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Bisognava farlo, l'abbiamo fatto!

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allo sbaraglio

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Un "niente" che deve diventare "molto"

Miranda Baldi: Mira per gli amici di oggi, "Nanda" durante la lotta di liberazione per i compagni della clandestinità, così come era stata "Nanda" nella vecchia casa fiorentina per il padre e i fratelli, "Nanda" per i compagni di gioco del rione Santa Croce, ragazzina anche lei, fra loro, nelle stesse strade, negli stessi vicoli, e a dividere merende e giochi e corse in bicicletta; "Anche se non riuscivo allora a spiegarmi perchè mai io avessi sempre giocattoli bellissimi e guanti caldi e gli altri solo bambole di pezza e mani nude". Ragazzina ancora e sgomenta, ma già consapevole, quando le squadracce fasciste irrompevano di notte, ogni notte, nella sua casa, e il padre veniva minacciato e percosso, e di queste percosse in seguito morì. Il fascismo fu anche questo: svegliarsi di notte con la paura, tremare quando qualcuno che si ama tarda a tornare, distogliere gli occhi se si incontra il compagno di un tempo che è passato dall'altra parte, e nei suoi lineamenti non c'è più amicizia, ma prepotenza e arroganza.

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"Rifiutai di iscrivermi al GUF (Gruppi Universitari Fascisti)e do- vetti abbandonare la Facoltà di Medicina. Allora ero in contatto con la rivista "Campo di Marte", conoscevo Pratolini, Alfonso Gatto, ogni tanto facevo delle recensioni cinematografiche, ma soprattutto volevo parlare, capire, imparare. Poi non mi fu più possibile rimanere a Firenze, scappai a Milano, feci l'operaia, tanti mestieri diversi per sopravvivere. Era il 1938, avevo allora 26 anni. Entrai a far parte dei nuclei antifascisti: si distribuiva la stampa clandestina, si facevano raccolte per detenuti politici..." Poi l'8 settembre e la necessità per tutti di una scelta: la difesa contro il furore dei tedeschi e dei fascisti diventa lotta organizzata, volontà di liberazione. "Requisivamo io e Aldo Tortorella, un ragazzino allora, gli automezzi per far fuggire gli exdetenuti e gli ebrei, per allontanarli dalla città. Un giorno mi presero: ricordo che avevo con me una grossa somma di denaro che dovevo consegnare ai compagni e mi disperavo all'idea che dovesse cadere in mano ai tedeschi. Nel cellulare che mi portava a San Vittore c'erano con me due pro- stitute: affidai a loro il denaro, diedi l'indirizzo;• fra me pensavo che non l'avrebbero mai consegnato, ma, mi dicevo, sempre meglio a loro che ai tedeschi. Seppi poi, invece, che l'avevano portato, proprio là dove avevo detto. Anche questo, credo, è stata la Resistenza." Rilasciata l'anno seguente, fu mandata dal CVL nell'Otrepo Pavese, in montagna a combattere. Lei che aveva imparato a sparare nella tenuta di caccia della sua famiglia e sparava solo alle foglie e ai barattoli perchè "per nulla al mondo avrei colpito un essere vivente", proprio lei, in quegli anni, si ritrovò di nuovo con le armi in pugno, comandante del 9° distaccamento della 117a. brigata Garibaldi, a fianco di uomini leggendari come Li Causi, Pesce, Negarville, a sparare non più alle foglie e agli alberi, ma a quelli stessi che le avevano ucciso il padre poi un fratello, che avevano terrorizzato le sue notti di bambina, che avevano, con arrogante violenza, calpestato la coscienza di un popolo. "Ho sempre cercato di sparare il meno possibile, solo quando era necessario. Bisognava ricostruire, recuperare, non distruggere, e la vita umana ha un valore. Anche in questo noi eravamo diversi dai fascisti e l'abisso che ci separava da loro era non solo politico, ma morale".

Per noi che siamo venuti dopo e su questi valori, su queste idee abbiamo costruito la nostra vita e la nostra coscienza, la lotta di Liberazione acquista a volte i contorni di una favola lontana ed eroica e viene spontaneo chiederci se anche noi allora avremmo agito così e se oggi, nelle stesse circostanze, avremmo noi pure quella volontà o non saremmo piuttosto vinti dallo sgomento e dalla paura. Ma come hai fatto, Mira, come ci sei riuscita?

E la sua risposta, come quella di tutti i partigiani di allora, uomini e donne oggi di mezz'età, sconosciuti quasi sempre, alle prese come noi con i problemi quotidiani di questa vita ancora aspra e difficile, ma che ci fu consegnata piena di promesse, la sua risposta, la loro risposta è sempre questa, e non può essere che questa: "Così: bisognava farlo, l'abbiamo fatto".

Stiamo vivendo la più grave crisi economica dal dopoguerra ad oggi. E' una crisi profonda, che colpisce in modo pesante la stabilità economica delle famiglie di salariati e lavoratori. L'immediata conseguenza è stato l'aumento dei prezzi dei generi di prima necessità (pane, pasta, olio, carni, zucchero, sale, ecc.),In Italia, poi, alla crisi energetica diffusa in tutto il mondo si è senz'altro aggiunto l'aggiottaggio, per non dire corruzione, che ha portato ad un ulteriore, scandaloso aumento dei prezzi. Non esito quindi ad individuare, al di là delle cause oggettive della crisi, le gravi responsabilità del governo che non ha saputo , o non ha voluto, con la sua consueta debolezza e indecisione, stroncare l'azione disonesta degli speculatori. Porto un solo esempio: al rincaro dello zucchero, dell'olio, della benzina e del gasolio si è giunti dopo una serie di ricatti e di pressioni esercitati attraverso finte esportazioni e successive reimportazioni, cioè con l'imboscamento degli stessi prodotti da parte delle industrie e dei grossisti.

Ovviamente, a Milano, come del resto in tutta Italia, le zone che più hanno sofferto e soffrono della crisi economica sono quelle popolari. Noi tutti della zona 10 ricordiamo senz'altro bene che, due anni fa, pensionati, bambini, famiglie intere dovettero stare al freddo perchè le imprese e i grossisti non fornivano di kerosene i distributori, per spingere al rialzo dei prezzi.

E non è per caso che proprio nelle zone popolari di Milano abbiano avuto un qualche successo i mercatini rossi organizzati dalla sinistra extraparlamentare. Anche la .nostra zona ha avuto l'onore, per ben due sabato-mattine, di ospitare tali "vendite alternative". Al di là di ogni polemica e di ogni valutazione politica, bisogna riconoscere che queste iniziative, se pur provvisorie e di scarso respiro, hanno attirato l'attenzione un po' di tutti sul grave problema del caro vita, l'hanno, se così ci si può esprimere, fatto esplodere, almeno qui a Milano. Qualcuno forse potrebbe chiedersi come una grande organizzazione come la federazione unitaria C.G.I.L. C.I.S.L. U.I.L. si sia fatta scappare questa bellissima idea, che, a sentir qualcuno, ha avuto tanto successo. Mah, forse perchè illudere la gente non è costume dell'organizzazione sindacale che difende i diritti dei lavoratori. La lotta alla intermediazione parassitaria non va avanti con qualche bancarella davanti ai supermercati. Ma è necessario creare le condizioni per cui gli Enti Locali e le stesse partecipazioni statali possano realmente controllare il settore del mercato all'ingrosso, che oggi è in mano a grandi gruppi finanziari che tra gli altri si chiamano Montedison e Fiat. Nel sistema commerciale milanese sono molti i nodi da sciogliere, triste eredità della passata amministrazione. Il comitato provinciale prezzi, carico di denunce per omissione d'atti d'ufficio, come nel caso degli aumenti del gas; l'ortomercato, dove spadroneggiano mafia e imbroglioni; i macelli comunali, chiaramente sottoutilizzati; i meccanismi di sdoganamento, che oggi rendono possibili artificiosi aumenti di prezzo per questioni di cambio; la So.Ve.Co., la società comunale per le vendite controllate, da tempo investita da polemiche. Ecco, vorrei soffermarmi un attimo di più su quest'ultimo punto, perchè forse è quello che si può sciogliere più in fretta. Infatti si è da poco rinnovato il Consiglio di amministrazione della So.Ve.Co., si è presentato un nuovo programma di vendite, e si tenta così un rilancio della società.

Il primo intervento della So.Ve.Co. si ebbe nei primi anni del dopoguerra, quando, per iniziativa dell'assessore all'Annona, Montagnani, si vendevano i sacchettini di pesce fritto; si tentava così di alleviare il disagio provocato dagli alti costi sia del cibo, sia del gas per cuocerlo. Ci fu poi un periodo di inattività, durante il quale il servizio era svolto da privati, che acquistavano al mercato ortofrutticolo i residui della contrattazione mattutina, li confezionavano e li rivendevano sotto la protezione comunale. Dal 1968 al 1972 le vendite controllate dal comune erano affidate all'Alleanza cooperative lombarde, un organismo che raggruppava tutte le cooperative di ogni tendenza nel settore del consumo. Infine, la "nuova" So.Ve.Co.: ma dal '72 ad oggi, nonostante le nutrite sovvenzioni del comune (alcune centinaia di milioni), non è mai riuscita a svolgere una azione di qualche rilievo. Infatti ,oggi la So.Ve.Co. vende soltanto frutta e verdura ed il suo intervento copre poco meno del 2% del consumo della città. Appare chiara, a questo punto, la necessità che la So.Ve.Co. venga ristrutturata e assuma il ruolo che le compete tra produttori e dettaglianti; che potenzi e ampli i suoi punti di vendita agendo su tutti i prodotti di prima necessità: che si decida ad esempio, a vendere anche la carne, cosa fin ora mai fatta. Con queste prerogative, la So.Ve.Co. potrebbe essere una valida soluzione al problema del carovita: ma allora il comune di Milano dovrà fare tutto il possibile per trasformare la Società per le Vendite Controllate dall'attuale "niente" in uno strumento di efficace intervento.

F.F.

RIPARTIZIONE DECENTRAMENTO

Consiglio di Zona n. 10 "Monza-Padova"

MOZIONE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI ZONA

NELLA SEDUTA DEL 24 MARZO 1976

Pur senza la pretesa di esprimere, In questa sede, una valutazione politica complessiva sul problema dell'occupazione dell'exdazlo, non è superfluo fare qualche considerazione sul comportamento dei giovani occupanti e sulla loro concezione della democrazia e della partecipazione.

Il ventisette marzo, otto giorni dopo aver occupato i locali dell'ex dazio, essi hanno avuto la brillante idea di "far decidere al quartiere" la destinazione dell'area: si sono riuniti in circa cinquanta, e chi si aspettava di sentire i cittadini intervenire è rimasto deluso. C'erano soltanto alcune decine di giovani in buona parte estranei al quartiere, ma dei cittadini e dei lavoratori del quartiere neanche l'ombra.E ciò è comprensibile se si considera che neanche un invito è stato inoltrato alle organizzazioni politiche o alle forze sociali presenti nel quartiere. Alla fine, dimenticandosi che il C. di Z. in seguito ad ampie consultazioni di base aveva già stabilito di utilizzare l'area per servizi sociali, e che alla stessa decisione erano giunti i cittadini che avevano partecipato all'assemblea del 25.9.75, indetta dalla cooperativa I° Maggio e dal circolo culturale P. Neruda, alla presenza dell'assessore all'edilizia popolare C. Cuomo, hanno stabilito per proprio conto di fare uno di quei centri sociali che altro non sono che le sedi di gruppi extraparlamentari.

Il consiglio di zona ha stabilito di creare una commissione che studi l'utilizzazione immediata delle aree vincolate a servizi sociali. Appare quindi abbastanza strumentale l'operato di costoro che richiamandosi alla effettiva volontà popolare non solo "decidono" senza la gente del quartiere, ma mettono in discussione le democratiche decisioni prese dalla cittadinanza e da coloro che la rappresentano.

Ugo Siciliano

Il Consiglio di Zona 10, di fronte all'episodio dell'occupazione di due immobili comunali — l'area dell'ex casello daziario di Viale Monza e la Cascina di Via S. Mamete esprime la sua condanna per questo tipo di iniziativa, che non favorisce certamente la razionale utilizzazione delle aree e degli immobili comunali a fini di servizi sociali, ostacola la collaborazione fra forze politiche e sociali della zona e nega la funzione stessa del Consiglio di Zona come interprete delle esigenze della cittadinanza.

Anche se azioni di questo genere costituiscono un evidente sintomo della profonda situazione di disagio dei giovani, che non dispongono di centri sociali e culturali e rimangono quindi abbandonati ai rischi della disgregazione sociale della droga e della delinquenza, íl Consiglio di Zona riafferma che solo attraverso una corretta programmazione, condotta con metodo aperto e democratico, si possono avviare a soluzione tali gravi problemi.

Si sottolinea inoltre l'opportunità che, in attesa dell'attuazione del piano dei servizi che viene elaborato in questo periodo e che indicherà la destinazione definitiva dei beni del demanio comunale, si propongano all'Amministrazione Civica possibili utilizzazioni temporanee di stabili e aree comunali attualmente non usate, sotto il controllo diretto del Consiglio di Zona.

Allegato "B" al verbale della seduta del 24.3.1976

Per l'ennesima volta esco dalla fabbrica, dove lavoro, con i nervi a fior di pelle, la causa di questo è il mio capo reparto.

Mi perseguita, mi incarica molto spesso lavori sporchi e insignificanti, mentre invece io credo di essere in grado di svolgere lavori molto più importanti.

Senz'altro ce l'ha con me, perchè ho sempre votato Democrazia Cristiana, per rispetto della Chiesa e ho sempre respinto la tessera dei sindacati. Non per la spesa, ma perchè la democrazia vige in Italia, per tanto come può un padrone sfruttare i lavoratori, se la legge è uguale per tutti?

Comunque un giorno o l'altro chiarirò tutto al direttore, solo lui potrà mettere a posto la faccenda, perchè so che è una persona molto brava e molto buona con noi operai, tanto è vero che, ogni giorno ci fa fare due ore di straordinario.

Arrivato all'edicola, acquisto il solito giornale, pieno di fatti di sangue, di rivolte e di pubblicità. Ma la mia attenzione è attratta dalle lettere cubitali in prima pagina: COLPO DI STATO

IN CILE. Leggo con avidità e l'articolista scrive che ci sono stati molti morti e disordini in tutto il paese.

Queste notizie mi turbano sempre, comunque io sono molto fortunato a vivere in un paese democratico.

Mi sento chiamare, mi giro e vedo Chico, un mio amico caro, è venuto per sapere se ho parlato col direttore dell'azienda, per quanto riguarda un posto di lavoro.

Povero Chico è senza lavoro da oltre due mesi, con moglie e due figli a carico. Molte volte gli ho offerto dei soldi e lui li ha sempre rifiutati. Chico nonostante disoccupato partecipa alle dimostrazioni sindacali e ascolta i comizi comunisti, ecco perchè non trova lavoro, io gli ho sempre detto di lasciar perdere la politica, la politica non è fatta per noi, la politica è sporca. Chico senza parlare, mi guarda sconvolto e va via, lo inseguo e chiedo le sue intenzioni. Sarebbe andato a dimostrare in piazza, avrebbe fatto sapere alla gente della strada le sue condizioni, con cartelli legati al collo. Ho cercato di dissuaderlo, ma lui è ormai deciso e corre verso il centro.

Io non lo farei mai, un senso di vergogna e di paura mi prenderebbe lo stomaco e la gola.

Chico è ormai sparito fra la gente che affolla le strade; lo inseguo, ma lo raggiungo ormai in piazza, seduto per terra con due cartelli recanti i seguenti scritti: 'SPOSATO CON MOGLIE E

DUE FIGLI; SENZA LAVORO: e l' altro: 'CASA, MUTUA, LAVORO E

LIBERTA', DIRITTO F DI OGNI

ESSERE UMANO: potrò partecipare; perchè a quell'ora mi viene sempre un forte mal di testa.

La gente si jerma, lo guarda ridendo e si allontana, ma molte altre persone si fermano, lo scrutano, gli girano intorno e discutono.

Ci è giunto in redazione questo gustoso, ed amaro, bozzetto scritto da un nostro concittadino: lo pubblichiamo senz'altro; si commenta da sé.

Come tutte le mattine mi trovo sul posto di lavoro cinque minuti prima che suoni la campana delle otto, in ottima forma e già circola la voce di uno sciopero della durata di due ore per i fatti accaduti in Cile. Andiamo in mensa e un mio collega sindacalista prende la parola, uno che la sa lunga, io non capisco niente quando parla quello, pertanto diffido sempre di lui.

Inizia dicendo che la democrazia è stata calpestata dai militari cileni, la quale è il terreno indispensabile per un confronto politico e sociale, che è l'intimo nesso tra famiglia e realtà, il che sfocia in un rapporto umano fra la gente. E sottolinea a gran voce che ogni paese, che fonda la propria costituzione sulla repressione e su una falsa democrazia, ben presto cadrà sotto la forte spinta del movimento operaio, per una sola ragione, per una speranza che tutti gli oppressi conservano dentro di sè, la libertà.

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