Rassegna Stampa Dolomiti UNESCO | Novembre 2023

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RASSEGNA STAMPA NOVEMBRE 2023

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PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA DI NOVEMBRE: INCONTRO ANNUALE GESTORI DI RIFUGIO A PIEVE DI CADORE ..................................................................... 3 IL CORSO PER GLI AMMINISTRATORI DELLE DOLOMITI ................................................................................... 5 CRISI CLIMATICA: GLI EFFETTI SUI GHIACCIAI DELLE DOLOMITI ..................................................................... 6 CRISI IDRICA: LE RIPERCUSSIONI SUL COMPARTO SCIISTICO......................................................................... 7 GESTIONE DEI FLUSSI E DESTAGIONALIZZAZIONE .......................................................................................... 8 GRANDI OPERE: COLLEGAMENTO CIVETTA – 5 TORRI..................................................................................... 9 OLIMPIADI: LA PISTA DA BOB ......................................................................................................................... 11 DIGA DEL VANOI: GLI AGGIORNAMENTI .......................................................................................................... 15 EVENTI PATROCINATI DALLA FONDAZIONE DOLOMITI UNESCO .................................................................... 15 NOTIZIE DAI RIFUGI.......................................................................................................................................... 16 NOTIZIE DAI PARCHI ........................................................................................................................................ 23 NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO ................................................................................................................... 23 NOTIZIE DALLE ASSOCIAZIONI ALIPINISTICHE ............................................................................................... 24 INTERVISTE ED EDITORIALI ............................................................................................................................. 27

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INCONTRO ANNUALE GESTORI DI RIFUGIO A PIEVE DI CADORE Gazzettino | 18 novembre 2023 p. 11, edizione Belluno

Corriere del Veneto | 21 novembre 2023

p. 18, edizione Treviso - Belluno Rifugi a secco, docce dei turisti troppo lunghe L’allarme lanciato dai gestori delle strutture d’alta quota nelle Dolomiti Unesco: «Spesso arrivano con pretese eccessive, pensano di trovare Spa e piscina». Iniziative d’informazione con la Fondazione

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Dimitri Canello BELLUNO Trenta gestori dei rifugi alpini che ricadono in provincia nell’area delle Dolomiti Patrimonio Mondiale si sono posti una serie d’interrogativi al settimo incontro annuale di categoria promosso dalla Fondazione Dolomiti Unesco. L’appuntamento a Pieve di Cadore nei giorni scorsi, incentrato su due argomenti in particolare: la penuria d’acqua che devono affrontare alcuni rifugi di alta montagna e le richieste spesso assurde dei turisti che non si rendono conto a sufficienza di quanto la crisi climatica abbia ridotto le risorse idriche. Tra i progetti che i gestori hanno deciso di portare avanti c’è #vivereinrifugio, la campagna di comunicazione ideata dai gestori di rifugi delle Dolomiti Patrimonio Mondiale e orientata a far comprendere ai frequentatori della montagna (spesso nuovi, creati dall’attrattività delle Terre Alte dopo la pandemia e il cambiamento climatico che ha drammaticamente rialzato le temperature) le difficoltà legate alla gestione di una struttura ricettiva in quota. «Vogliamo portare all’attenzione del turismo di massa, anche quello dolomitico, il problema dell’approvvigionamento idrico — spiega la direttrice di Fondazione Dolomiti Unesco, Mara Nemela — Purtroppo non c’è sufficiente consapevolezza delle difficoltà da dover affrontare. Alcuni rifugi di alta montagna che ricevevano acqua da piccoli ghiacciai o dai nevai circostanti sono in grossa crisi per la loro riduzione. Non è un tema di prospettiva, ma di stretta attualità. Questa situazione è legata alle assurde richieste che arrivano da alcuni clienti, convinti di poter fare lunghe docce in rifugio come se fossero a casa loro. Qualcuno si aspetta persino di trovare una piscina e vogliamo far capire come non vada sprecato l’acqua, bene sempre più prezioso». Così i gestori dei rifugi promuoveranno un unico calendario di eventi estivi dove loro stessi informeranno i partecipanti sugli aspetti più concreti della vita in rifugio, proprio come nei video della campagna #vivereinrifugio che in questi due anni ha già avuto larga diffusione sul web. Le giornate di formazione saranno inoltre caratterizzate da approfondimenti geologici, paesaggistici e culturali, anche con l’intervento di ospiti qualificati. «Vogliamo estendere questo problema a chi organizza viaggi — aggiunge Nemela — Non è immediatamente risolvibile, dovremo modificare le nostre abitudini». Emersa anche una diffusa preoccupazione per la gestione anche, ad esempio, della manutenzione dei sentieri e della responsabilità nel fornire informazioni sulla sicurezza dei versanti, a fronte degli eventi meteo estremi e improvvisi che cambiano l’orografia delle valli in pochi minuti. Corriere delle Alpi | 27 novembre 2023 p. 16

I rifugisti guardano al futuro tra clima e turismo di massa BELLUNO Riscoprire il senso del limite. Per ogni aspetto della montagna, perché i cambiamenti climatici stanno modificando radicalmente tutto. È la conclusione a cui sono arrivati i gestori dei rifugi che hanno partecipato, a Pieve di Cadore, al convegno della Fondazione Dolomiti Unesco. «La destagionalizzazione è un obiettivo rassicurante. Ma quanto è realizzabile se abbiamo acqua per soli due mesi (per fortuna quest'anno no) e se le temperature sempre più alte riducono il permafrost per cui aumentano i crolli che interrompono i sentieri?», si è chiesto Mario Fiorentini, gestore del "Città di Fiume" e presidente regionale dei rifugisti Agrav. Michel Da Pozzo, direttore del Parco Dolomiti d'Ampezzo, lo ha detto chiaro e tondo: «Se la destagionalizzazione è auspicabile per l'attività turistica, non lo è per la natura, per la fauna in particolare, che ha bisogno di periodi di non disturbo». Il nuovo gestore del Rifugio Biella, Stefano Pierangelini, si è dannato l'anima, quest'estate, per far fronte a tutte le richieste degli ospiti ma soprattutto a quelle logistiche dei tour operator che magari si preoccupano del trasporto dei bagagli da una struttura all'altra. È facile quando è garantita qualche forma di accesso, ma là dove si arriva solo a piedi il rifugista deve assoldare degli scherpa italiani

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per alleggerire di zaini, trolley e valigioni i turisti americani del passeggio? Il dibattito su questi temi e su altri analoghi è stato molto vivace fra i trenta gestori dei rifugi che ricadono all'interno dell'area "cuore" delle Dolomiti Patrimonio Mondiale. Trovare delle soluzioni subito praticabili è praticamente impossibile. Di certo è stato detto di no al numero chiuso e al pagamento di un ticket. I tempi degli adattamenti ai cambiamenti climatici sono lunghissimi. Ed ecco, intanto, una soluzione ponte. «I gestori hanno deciso di portare avanti c'è #vivereinrifugio, la campagna di comunicazione ideata da Dolomiti Patrimonio Mondiale e orientata a far comprendere ai nuovi frequentatori della montagna (sempre più numerosi e sempre meno consapevoli), le difficoltà legate alla gestione di un rifugio, a cominciare da quelle acuite dalla crisi climatica, come il rifornimento idrico», sintetizza un primo risultato Mara Nemela, direttrice della Fondazione. Un secondo risultato è la promozione di un unico calendario di eventi estivi durante i quali saranno i rifugisti stessi a informare i partecipanti sugli aspetti più concreti della vita in rifugio. Le giornate saranno inoltre caratterizzate da approfondimenti geologici, paesaggistici e culturali grazie all'intervento di ospiti qualificati. «L'informazione», anticipa Fiorentini, «riguarderà anche temi di strettissima attualità quali la carenza d'acqua e la modifica della morfologia del territorio; sono tra gli aspetti che dobbiamo affrontare con sempre maggiore attenzione, per informare in modo adeguato i nostri ospiti». «E questo perché», aggiunge Elena Zamberlan, gestrice del Rifugio Pian de Fontana, «i fruitori, talvolta, fanno fatica a capire dove si trovano e noi gestori possiam o fare molto per dare informazioni corrette sul tipo di rifugio che stanno frequentando e sui servizi che può o non può offrire loro». Il seminario di Pieve di Cadore ha offerto anche un confronto tra i gestori di rifugio sulle diverse esperienze, al tempo stesso si è cercato di comprendere gli scenari futuri, alla luce del necessario adattamento alla crisi climatica e alla gestione di flussi che, in alcuni casi, hanno raggiunto il punto di saturazione. «Dal dibattito è emerso che, oltre ai limiti strutturali, esistono anche dei limiti "emotivi" da gestire: le eccessive pretese da parte di una clientela poco consapevole delle difficoltà di gestione rischiano di compromettere la serenità di un ruolo che ha nell'accoglienza il suo primo valore», dichiara Fiorentini. Molti interventi hanno evidenziato anche la necessità di un dialogo costruttivo con le istituzioni per definire, anche dal punto di vista normativo, caratteristiche e funzione dei rifugi, che non possono essere equiparati alle strutture di fondovalle. «Anche quest'anno proporremo nuove iniziative insieme ai gestori», conclude Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco, «si tratterà di eventi finalizzati a far capire cosa significa la sobria ospitalità del rifugio, non più solo attraverso i video ma anche incontrando direttamente i frequentatori della montagna e offrendo una riflessione sul Patrimonio Mondiale, sulla geologia e sulla crisi climatica». — fdm

IL CORSO PER GLI AMMINISTRATORI DELLE DOLOMITI Alto Adige | 13 novembre 2023 p. 30 Dolomiti Unesco, corso per amministratori Il 24 e 25 novembre la Fondazione Dolomiti Unesco ha invitato gli amministratori locali dei Comuni, delle Unioni Montane, delle Comunità di Valle alla seconda edizione del corso sul ruolo delle amministrazioni per la gestione delle Dolomiti Patrimonio Mondiale. Se la prima edizione si era svolta nelle sale della Provincia di Belluno, sarà questa volta il Primiero (TN), grazie alla collaborazione del Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino e della locale Azienda di Promozione Turistica, ad ospitare i corsisti che avranno modo di approfondire la conoscenza dei valori che hanno determinato il riconoscimento Unesco e di discutere sulla consapevolezza e sulle responsabilità connesse, anche alla luce dall'adattamento imposto dagli effetti della crisi climatica.Per informazioni contattare la segreteria del corso: tsm|step - Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio 0461 020028, step@tsm.tn.it. La Voce del NordEst | 26 novembre 2023 https://www.lavocedelnordest.eu/dolomiti-unesco-aministratori-del-nordest-progettano-il-futuro-tra-luci-ed-ombre-dei-monti-pallidi/ Antenna Tre | 26 novembre 2023 https://antennatre.medianordest.it/88009/vigo-di-cadore-da-san-martino-di-castrozza-per-il-futuro-delle-dolomiti/ Il Nuovo Trentino | 26 novembre 2023 https://www.giornaletrentino.it/montagna/unesco-gli-amministratori-comunali-a-san-martino-di-castrozza-1.3641996

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CRISI CLIMATICA: GLI EFFETTI SUI GHIACCIAI DELLE DOLOMITI Alto Adige | 4 novembre 2023 p. 19 Ghiacciai, un'altra estate disastrosa Bolzano «Riguardo ai dati complessivi, sia numerici che paesaggistico-ambientali, forniti dalla campagna 2023, si è purtroppo constatato come il bilancio glaciologico sia stato estremamente negativo per l'intero territorio altoatesino e di conseguenza appare quanto mai doveroso segnalare il generale allarme per tutte le conseguenze che tale stato comporta e che confermano la drammaticità del cambiamento globale in atto». Queste le stringate, secche parole contenute nella relazione finale della campagna glaciologica del Cai Alto Adige, vergate dal presidente, il generale Pietro Bruschi, e dal coordinatore scientifico, il geologo Franco Secchieri.La prima neve "invernale" è finalmente scesa sui ghiacciai, mandandoli in un letargo che durerà fino all'arrivo della prossima primavera, quando prenderà nuovamente avvio il processo di fusione. «La speranza - scrivono i tecnici del Servizio glaciologico Cai - «è che la stagione estiva 2024 non sia come le ultime passate, calde e secche, così come gli inverni avari di neve che hanno portato a bilanci glaciologici disastrosi». È bene ricordare che per i glaciologi l'annata idrologica comincia di consuetudine con il 1° ottobre (di fatto con le prime nevicate) e si suddivide in due stagioni: quella di accumulo (inverno) e quella di ablazione (estate). Al termine dell'estate, se su un ghiacciaio la neve che si è fusa è pari a quella caduta, il bilancio glaciologico dell'annata è pari a zero, mentre se è maggiore e se si consuma anche il nevato (o il ghiaccio) si ha un bilancio negativo o addirittura molto negativo, perché si perde la massa gelata accumulatasi nelle annate precedenti con la conseguenza di vedere ridursi i ghiacciai in area e volume.Guardando all'evoluzione negli ultimi decenni, spiega il Sgaa, si è notato che a partire dalla metà degli anni '80 c'è stata una serie di annate con bilanci negativi, «fino a quelli con valori assolutamente anomali e drammatici nelle ultime due».A tale riguardo la preoccupazione dei glaciologi (e non solo) riguarda diversi aspetti, non solo il più drammatico, che è la diminuzione delle riserve d'acqua in forma solida, ma quello ambientale e paesaggistico per le fasce più elevate del territorio alpino.La crisi derivante dalla carenza di neve, spiegano gli esperti, «coinvolge settori diversi con preoccupanti aspetti economici: si pensi ad esempio all'industria dello sci per la riduzione dell'innevamento naturale e il ricorso a quello artificiale e con una progressiva emarginazione di località alle quote più basse». C'è poi il problema delle malghe d'alta quota e quello dei rifugi alpini che devono confrontarsi con la scarsità della risorsa idrica. Senza dimenticare anche l'interferenza negativa per l'escursionismo e l'alpinismo, dovuta anche all'aumento di pericoli di frane e crolli dovuti allo scioglimento del permafrost. Il cambiamento del paesaggio alpino d'alta quota, soprattutto estivo, chiariscono, «non è che l'espressione di un evento climatico globale che non può più essere disconosciuto».Il Servizio glaciologico del Cai Alto Adige opera da più di trent'anni per il controllo e la valutazione delle modifiche dei ghiacciai altoatesini. Si ricorda a proposito che il 78% dei 7.400 kmq del territorio provinciale è posto al di sopra dei 1200 metri e che secondo i rilievi del 1982, forniti dall'Ufficio idrologia e dighe della Provincia, i ghiacciai e i glacionevati presenti erano 345 per una superficie totale di 153 kmq. Le misurazioni eseguite dal Sgaa nel 2023 riguardano principalmente gli arretramenti delle fronti e la diminuzione del volume dei ghiacciai. Assieme ai sopralluoghi terrestri svolti alla fine della stagione estiva (di ablazione) è stato eseguito anche un sorvolo aereo per l'effettuazione di foto aereo-prospettiche e panoramiche che hanno lo scopo di poter meglio valutare e descrivere le condizioni delle masse gelate. «Con tale modalità - concludono gli esperti - sono stati osservati e fotografati oltre un centinaio di apparati, dai più grandi fino anche alle masse gelate minori, ugualmente importanti per una valutazione delle modifiche in atto. Il rilievo aereo si ritiene infatti indispensabile in quanto fornisce la immediata percezione del degrado glaciologico che stanno subendo i territori d'alta quota». E le foto del Sgaa lasciano a bocca aperta: di molti ghiacciai altoatesini ormai rimane poco o nulla. DA.PA Corriere delle Alpi | 13 novembre 2023 p. 19 Ghiacciai dolomitici sempre più piccoli: perso in due anni il 10% della superficie «La neve caduta sulla Marmolada e sugli altri ghiacciai in questi giorni è la migliore per consolidarsi. È densa e resiste di più di quella primaverile. Se le temperature continueranno a restare basse (-14 gradi ieri), la massa di un metro e 40 circa ha la possibilità di trasformarsi tra i 5 e i 10 centimetri di ghiaccio. E non è poco. Ma anche di rimpinguare le riserve idriche. Però ci vogliono almeno cinque anni di deposito. Tempi lunghi, dunque». Chi parla è Franco Secchieri, componente del Comitato glaciologico italiano. Ha monitorato le aree glaciologiche e nivali delle Dolomiti a fine stagione, come fa ogni anno, per "misurarle", poi ha messo a confronto i dati raccolti. Un confronto amaro, preoccupante, con le precedenti ricognizioni. «In due anni se n'è andato almeno un 10% del ghiacciaio, forse anche di più. E il trend è il medesimo per il Sorapis e l'Antelao, con l'aggiunta, in questi casi, che lo sgretolamento delle pareti va a coprire con i detriti le ultime placche. È letteralmente scomparso il glacionevato che si riscontrava ancora sul Piz Boè, sopra Arabba, negli anni '80. Ma ci sono situazioni

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ancora peggiori. Riguardo ai ghiacciai dell'Alto Adige le variazioni che ho misurato su una trentina di ghiacciai hanno visto arretramenti notevoli di decine di metri, fino al massimo di ben 450 metri per Vallelunga». Il ghiacciaio della Marmolada ad oggi si è ridotto di un quarto rispetto agli inizi delle misurazioni iniziate negli anni '80 da Secchieri e collaboratori. «Una riduzione», specifica il glaciologo, «che ha visto la frammentazione del ghiacciaio principale in più parti con l'affioramento di rocce che ne accelereranno la fusione». La neve "autunnale" - è finalmente scesa sui ghiacciai mandandoli in un letargo che durerà fino all'arrivo della prossima estate quando riprenderà il processo di fusione. Ma Secchieri non tira un sospiro di sollievo. «Nutriamo solo la speranza che la stagione estiva 2024 non sia come le due ultime passate, calde e secche seguite a inverni avari di neve, che hanno portato a bilanci glaciologici disastrosi, non solo per l'alta montagna, ma per l'intero territorio». Per i glaciologi l'annata idrologica si suddivide in due stagioni: quella di accumulo (inverno) e quella di ablazione (estate). Se al termine dell'estate su di un ghiacciaio la neve che si è fusa è pari a quella caduta nell'inverno, il bilancio glaciologico dell'annata è pari a zero, mentre se è maggiore si ha un bilancio negativo o addirittura molto negativo in quanto si scioglie anche il ghiaccio e il nevato che costituiscono la massa gelata accumulatasi nelle annate precedenti. «Quest'ultima situazione è quella che si sta verificando ormai da anni su tutti i ghiacciai alpini, compresi ovviamente quelli dolomitici alcuni dei quali stanno addirittura scomparendo», spiega Secchieri. Esaminando l'evoluzione climatica degli ultimi decenni, a partire dalla metà degli anni ‘80 vi è stata una serie di annate con bilanci negativi, fino a quelli con valori assolutamente anomali e drammatici nelle ultime due, che ha deter minato una riduzione dei corpi glaciali, alcuni dei quali sono arrivati ormai sulla soglia dell'estinzione. «Il grido di allarme riguarda dunque la straordinaria riduzione delle masse gelate che comporta anzitutto la diminuzione delle riserve d'acqua in forma solida. Ma non è tutto qui, perché in questo processo sono coinvolti anche altri e diversi aspetti che vanno da quello degli habitat fino a quello paesaggistico relativamente per le fasce più elevate del territorio alpino, con ripercussioni che giungono fino alla pianura e fino al mare». La carenza di neve, infatti, coinvolge settori diversi con preoccupanti aspetti economici: si pensi ad esempio – dice l'esperto – all'industria dello sci per la riduzione dell'innevamento naturale e il ricorso a quello artificiale e con una progressiva emarginazione di località alle quote più basse. Vi è poi il problema delle malghe d'alta quota e quello dei rifugi alpini che devono confrontarsi con la scarsità della risorsa idrica. Senza dimenticare l'interferenza negativa per l'escursionismo e l'alpinismo dovuta all'aumento di pericoli frane e crolli dovuti allo scioglimento del permafrost. —

CRISI IDRICA: LE RIPERCUSSIONI SUL COMPARTO SCIISTICO Corriere del Trentino | 13 novembre 2023 p. 2 Acqua, per produrre neve artificiale in regione servono 7.400 piscine olimpioniche all’anno Albino Ferrari: «Soldi pubblici per le piste in Panarotta? Accanimento terapeutico. L’overtourism spopola la montagna» Tiziano Grottolo TRENTO Ben 278,5 milioni di metri cubi: è questa la quantità d’acqua che ogni anno viene consumata in Trentino per alimentare settori come agricoltura (120), industria (100), acqua potabile (50) e per produrre neve artificiale (8,5). Cifre simili si riscontrano in Alto Adige dove per sostenere l’agricoltura vengono utilizzati 150 milioni di metri cubi d’acqua all’anno, con l’industira e l’uso potabile che si attestano rispettivamente a 50 e 45 milioni. In provincia di Bolzano però, ogni anno si consuma più acqua per imbiancare le piste da sci: circa 10 milioni di metri cubi. Per entrare più nel dettaglio, in Trentino il settore che ogni anno movimenta i volumi di acqua maggiori è quello idroelettrico con 17.853 milioni di metri cubi, pari al 91,2% del totale. Seguono l’uso ittiogenico nelle pescicolture (3,4%), quello agricolo (3,1%) e quello civile (1,6%), in cui rientra l’acqua potabile e dove si riscontrano consumi più alti rispetto alla media nazionale ma anche molte meno perdite negli acquedotti. Tuttavia, come spiega il dirigente generale del Dipartimento territorio e trasporti, ambiente, energia e cooperazione, Roberto Andreatta, quando si parla di questi dati è importante distinguere fra l’acqua «prelevata» e quella che poi viene effettivamente consumata. Per esempio l’utilizzo idroelettrico praticamente non consuma questa risorsa, dal momento che l’acqua viene restituita all’ambiente a valle della turbina. «Nella nostra provincia è l’irrigazione a consumare la maggior parte dell’acqua prelevata», afferma Andreatta. Infatti fra evaporazione, inclusione nel raccolto e traspirazione dalle piante la metà del volume utilizzato viene consumato, mentre la parte restante ricarica la falda o il flusso superficiale: «Oppure si perde in evaporazione non produttiva», sottolinea il dirigente. «Al contrario fino al 90% dell’acqua prelevata per uso civile e domestico ritorna ai fiumi e agli acquiferi in forma di refluo. Al contempo le industrie generalmente consumano solo circa il 5% dell’acqua che prelevano». Comunque Andreatta guarda al proverbiale bicchiere mezzo pieno: «Se raffrontato a quello di altre regioni il fabbisogno idrico del Trentino è assolutamente marginale, basti pensare che da noi ci sono poco più di 20.000 ettari coltivati e irrigati a fronte degli oltre 247 mila del Veneto». Casomai il problema è rappresentato dai cambiamenti climatici e dagli scenari futuri collegati. Secondo l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente i conflitti per questa importante risorsa sono destinati a crescere, inoltre l’aumento delle temperature e la diversa distribuzione delle precipitazioni indotta dai cambiamenti climatici modificheranno il ciclo idrologico, andando quindi ad alterare

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la quantità (disponibilità di acqua nello spazio e nel tempo) e la qualità delle risorse idriche (superficiali e sotterranee). «A livello nazionale — sottolinea il dirigente della Provincia — i cambiamenti climatici porteranno a ridiscutere alcune coltivazioni come quella del riso, che ha bisogno di molta acqua. Diversamente la vite, già molto diffusa in Trentino, potrebbe svilupparsi ulteriormente in quando poco idroesigente». Detto questo Andreatta ricorda che gli investimenti andranno indirizzati laddove si consuma più acqua e, conseguentemente, dove c’è una più ampia possibilità di razionalizzazione: «Negli ultimi anni abbiamo già investito molto come per gli impianti a goccia, ma il settore agricolo dovrà essere ulteriormente sviluppato prevedendo un sistema di bacini di accumulo per recuperare maggiori quantità d’acqua». Cionondimeno è anche alla luce di queste necessità che molti hanno iniziato a chiedere più sacrifici al comparto sciistico, un settore tradizionalmente sostenuto anche attraverso fondi pubblici. Come già anticipato, per produrre neve artificiale in Trentino, ogni anno, vengono utilizzati 8,5 milioni di metri cubi d’acqua: l’equivalente di 3.400 piscine olimpioniche. «Più che ai numeri dovemmo guardare a quanto è aumentata la richiesta d’acqua per produrre neve artificiale», osserva Marco Albino Ferrari giornalista e scrittore (il suo ultimo libro è «Assalto alle Alpi»), nonché una delle voci più autorevoli sulla cultura della montagna. «Di anno in anno questa richiesta è aumentata, perché i giorni buoni per produrre neve sono sempre meno ed è necessaria sempre più acqua da sparare in brevi periodi». Nel frattempo i prezzi degli impianti aumentano e in quota si moltiplicano i bacini artificiali. «Sulle Dolomiti lo skipass giornaliero è arrivato a costare 80 euro, una cifra altissima, mentre il pubblico italiano cala vertiginosamente lo sci è diventato uno sport per pochi eletti. Inoltre — punta il dito lo scrittore — dire che i bacini di innevamento servono per spegnere gli incendi è solo una scusa». Ferrari non chiede di chiudere le grandi stazioni «dove si fanno ancora affari d’oro», ma perlomeno che non vengano concessi nuovi impianti. «All’opposto investire risorse pubbliche nelle stazioni che arrancano, come la Panarotta, è un ragionamento miope e anacronistico». Per Ferrari in questo comprensorio sarebbe meglio investire su scialpinismo e ciaspole. «Mettere soldi pubblici per salvare questi impianti è accanimento terapeutico, non possiamo salvare le piccole centrali dello sci che non si reggono in piedi da sole. In passato — prosegue lo scrittore — lo sci e il turismo hanno salvato le Alpi dalla povertà, oggi però l’overtourism può portare addirittura allo spopolamento». Effettivamente tra seconde case e affitti brevi che fanno lievitare i prezzi, in queste località i residenti sono sempre meno. «In centri come Cortina d’Ampezzo, Canazei piuttosto che Madonna di Campiglio, assistiamo a una sorta di “sostituzione etnica”: i locali vengono rimpiazzati dai turisti che si comprano le case per le vacanze». Il rischio è che montagne sempre più spopolate diventino nuovi terreni di conquista, grandi serbatoi a cui attingere per recuperare una risorsa sempre più scarsa. «Agricoltura, turismo e idroelettrico si strapperanno l’acqua a vicenda, di questo passo — conclude Ferrari — i conflitti non potranno che aumentare».

GESTIONE DEI FLUSSI E DESTAGIONALIZZAZIONE L’Adige | 15 novembre 2023 p. 10 Destagionalizzare, la sfida del futuro TRENTO Destagionalizzare non solo per allungare il periodo di apertura di hotel e ristoranti, ma anche per migliorare la qualità dell'offerta turistica. Attorno alle nuove tendenze e al "cambio di mentalità"che deve interessare operatori e vacanzieri ci si è confrontati ieri nella prima giornata della Borsa del turismo montano Bitm.«La prima cosa che viene in mente è il concetto di quantità. Cerchiamo di allungare la stagione turistica per aiutare le nostre imprese a lavorare meglio e di più. Il che è vero solo in parte, perché è un passaggio di rimbalzo per arrivare invece al concetto di qualità. La sfida è quella di far lavorare di più le nostre imprese tutto l'anno, un sistema per ritornare a una qualità per la nostra comunità, a partire dai nostri lavoratori» ha spiegato il presidente di Confesercenti Mauro Paissan. A tracciare l'identikit del turista delle "mezze stagioni" Linda Osti, docente in Management e Marketing del Turismo. «La vacanza nelle basse stagioni o nelle stagioni di mezzo è chiesta soprattutto dal turista straniero o internazionale. Si è anche visto che è un turista tendenzialmente più anziano, over 65». Dal punto di vista degli operatori i problemi sono sostanzialmente due: «Mettere in rete le aziende che decidono di rimanere aperte e il brutto tempo, perché soprattutto agli italiani, non piace andare in vacanza e rischiare di trovare giornate di pioggia. Serve cambiare la cultura fornire proposte alternative e allettanti». Maurizio Rossini, ad di Trentino Marketing, si è focalizzato sulle nuove tendenze: «In questi anni abbiamo imparato a essere molto flessibili e questo ci ha permesso di ottenere degli ottimi risultati. Non abbiamo più delle tendenze univoche. Sta crescendo molto l'early booking, la prenotazione anticipata, cosa che un anno o due fa ci sembrava un mondo destinato a morire».Per Michele Lanzinger, direttore del Muse e Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco bisogna evitare l'over tourism assicurando «gestioni dei flussi sostenibili e compatibili con il mantenere la bellezza delle montagne anche per le generazioni future».

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GRANDI OPERE: COLLEGAMENTO CIVETTA – 5 TORRI Corriere delle Alpi | 25 novembre 2023 p. 18

Grandi opere, tutela del territorio sbloccati 600 milioni per il Veneto Enrico Ferro INVIATO A VERONA «Con questo Governo il Veneto non si sente periferia dell'impero». Luca Zaia esulta dal palco della Fiera di Verona mentre annuncia la firma di un accordo con Palazzo Chigi che fino al 2027 porterà nelle casse della Regione oltre 600 milioni. Soldi da destinare a opere in vari ambiti, dalla digitalizzazione (2,5 milioni) alla competitività delle imprese (35 milioni), dall'ambiente e le risorse naturali (134 milioni) alla cultura (3,75 milioni), i trasporti e la mobilità (151 milioni), la riqualificazione urbana (22 milioni), il sociale (26 milioni), l'istruzione e la formazione (10 milioni). Sulla carta è un po' il contrario del concetto di autonomia, perché il Veneto dovrà rendere conto puntualmente al governo centrale dell'uso che fa di questi fondi. Ma si tratta comunque di una iniezione salutare di denaro in un periodo di forti ristrettezze. Dopo la botta dei tagli della manovra che dreneranno dalle casse regionali 28 milioni, ricevere una valanga di soldi così dall'Europa è più di una boccata di ossigeno. Giorgia Meloni arriva con i ministri Raffaele Fitto e Carlo Nordio. «Noi siamo qui stamattina per firmare l'accordo tra Governo e Regione Veneto, che investe importanti risorse in sviluppo e coesione», ha detto la premier, circondata da migliaia di studenti delle scuole superiori in visita a Job&Orienta in Fiera. «Gli accordi di coesione fanno parte di una delle più ampie riforme, per invertire la rotta sui

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fondi europei. Non sempre le risorse mancano, a volte ci sono state ma non siamo stati in grado di spenderle. Questo non riguarda il Veneto, ovviamente, che resta una regione locomotiva d'Italia. Noi abbiamo pensato di riformare il fondo di coesione e sviluppo per rendere questi soldi pienamente spendibili. Si firma un accordo: le regioni fanno le loro proposte ma devono essere condivise con lo Stato centrale. Vogliamo che risorse vengano spese in una visione di sviluppo nazionale». Dietro a questo nome criptico "Fondi Fsc" (Fondi per lo sviluppo e la coesione) si cela uno strumento finanziario utilissimo se usato nel modo giusto. Soprattutto si attiva un meccanismo che da molto tempo è un pallino del governatore Luca Zaia, cioè non sprecare i soldi che altre regioni non riescono a usare. Non si contano gli appelli fatti dal presidente in questo senso. I fondi Fsc portano in dote proprio questo meccanismo. «Bisogna concentrare le risorse su interventi strutturali, importanti» continua Meloni. «Ma concentrandosi su pochi progetti, senza dilapidarli in mille rivoli. Con l'accordo che firmiamo oggi si concentrano su due grandi priorità: le infrastrutture viarie e la messa in sicurezza del territorio, con particolare riferimento alla risorsa idrica». Ben 35 milioni saranno poi destinati a sostenere il tessuto produttivo di una regione che è una locomotiva d'Italia, con particolare riferimento alla garanzia dei livelli occupazionali. Plauso del senatore Antonio De Poli: «È il risultato della filiera del centrodestra». — Corriere delle Alpi | 25 novembre 2023 p. 19 Collegamento Civetta-Cinque Torri Il Governo ha stanziato 33 milioni Francesco Dal Mas / BELLUNO «In previsione delle Olimpiadi invernali, 33,5 milioni sono destinati al collegamento delle Ski Area del Civetta e delle Cinque Torri e alla realizzazione di bacini idrici per l'innevamento». È quanto prevede l'accordo per lo Sviluppo e la Coesione sottoscritto dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e dal presidente veneto Luca Zaia. Si tratta del collegamento sciistico tra Cortina e il Civetta. Anzi, per essere più precisi, del progetto di massima di due telecabine e di una pista. La prima telecabina scende da Passo Giau, specificatamente da località Fedare, fino a L'Aiva, un borgo sopra Caprile, in comune di Alleghe, poco sotto Colle Santa Lucia. La seconda telecabina sale da L'Aiva fino in cima al monte Fertazza, 2101 metri, dove arrivano già gli impianti della ski area Civetta, e da dove scenderebbe, per almeno 4 km, una nuova pista, tutta a nord, dove cioè non batte il sole. Il progetto fa parte del programma di sviluppo lanciato a suo tempo da Zaia e dall'assessore al turismo Caner, per realizzare un hub dello sci, tutto Veneto, tra Cortina, il Civetta e lo Zoldano, collegato con il Sellaronda. Un investimento da 100 milioni di euro che s'immaginava di poter materializzare prima delle Olimpiadi. È accaduto, invece, che l'opposizione di Arabba, nonché di tanti ambientalisti e di altre associazioni, abbia fatto saltare il collegamento tra il Passo Falzarego e il monte Cherz, sopra Arabba; adesso si parla (ma, appunto, si parla e basta), di far scendere l'impianto dal Falzarego, anzi dal passo Val Parola verso San Cassiano. Le due telecabine e la pista costerebbero 50 milioni. «Averne a disposizione già 33,5 è una rassicurante base di partenza», afferma Sergio Pra, albergatore di Alleghe e Caprile e presidente di Alleghe Funivie. Un tempo c'era la disponibilità anche di una rete di investitori privati, ma per ragioni diverse – informa Pra – l'investimento sarebbe esclusivamente pubblico. «Una volta realizzato l'impianto verrebbe ovviamente dato in gestione attraverso apposito bando», precisa. Ma quando vedrà la luce? «Il desiderio condiviso sarebbe che la struttura fosse pronta per le Olimpiadi ma non so se ce la faremo con i tempi», mette le mani avanti l'assessore Caner. «In ogni caso bisogna affrettare la predisposizione del progetto definitivo ed esecutivo e partire dal bando di gara». Pra, figlio di Sergio, ex assessore regionale che ebbe il coraggio di trattare fruttuosamente con gli ambientalisti per tutta una serie di accordi, raccomanda che la condivisione sia massima, per evitare intoppi. Al tempo stesso sottolinea la "strategicità" del collegamento ai fini dello sviluppo di tutto l'Alto Agordino, oltre che dello Zoldano. «In futuro si potrebbero mettere gli sci ai piedi in Zoldano o ad Alleghe e arrivare fino ai piedi delle Tofane, oppure sul Faloria o, dall'altra parte, fino sul Sella e in Val Gardena». Cortina, come si sa, è già collegata col passo Giau, con Fedare in particolare. Anche il sindaco ampezzano Gianluca Lorenzi saluta con favore l'investimento e ammette che a guadagnarne sareb be tutta Cortina. Meglio ancora se il collegamento raddoppiasse con la Val Badia, oltre che con il Civetta. Gli ambientalisti, specie quelli di Mountain Wilderness, sono contrari ai grandi hub, anche se per la verità si era dichiarati risolutivamente contro l'attraversamento delle valli tutelate di Arabba, piuttosto che in dissenso con la relazione passo Giau-Civetta. Il loro timore riguarda soprattutto l'implementazione di alberghi ed altre attività in siti da conservare, quali il passo Giau. Inoltre s'interrogano sul motivo per cui non entrano in campo con risorse proprie anche gli impiantisti privati. «L'importante», taglia corto l'assessore Caner, «è che gli amministratori pubblici abbiano già dimostrato interesse per questa prospettiva di sviluppo». — © RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 26 novembre 2023 p. 23

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«Collegamento strategico» Si brinda ad Alleghe e Cortina ALLEGHE «L'Alto Agordino e immagino anche Cortina, ringraziano la Regione e il Governo per questa indispensabile opportunità di sviluppo. Il collegamento sciistico, lo assicuriamo, non darà nessun problema di carattere ambientale». Così Danilo De Toni, sindaco di Alleghe e consigliere provinciale delegato all'attività turistica. La premier Giorgia Meloni e il presidente Zaia hanno sottoscritto un protocollo che prevede una quota di 33,5 milioni per collegare la località Fedare, sul Passo Giau, dove arrivano gli impianti della Ski Area 5 Torri, alla cima del monte Fertazza, facendo tappa in borgo L'Avia, sopra Caprile ma in territorio comunale di Selva di Cadore. «Si tratta di un progetto che la Regione ha perfezionato ma soprattutto condiviso con i sindaci coinvolti e gli operatori del settore, sia del Civetta, che della Val Zoldana e di Cortina», puntualizza De Toni. «Si tratta di un servizio di trasporto (due telecabine ed una pista) utile non solo per l'inverno, ma anche per la mobilità estiva». Il progetto ammonta a 50 milioni di euro. Ne mancano ancora 16,5. «È strategico il collegamento tra Cortina, il Civetta e la Val di Zoldo», riconosce Marco Zardini, presidente del Consorzio Cortina Skiworld. «Chi lo utilizzerà avrà modo di assaporare la bellezza di uno dei panorami più appaganti delle Dolomiti. Nell'area del 5 Torri, sia chiaro, non verranno costruiti nuovi impianti, perché sino a Fedare si arriva già. Era invece strategico agganciare il Civetta e lo Zoldano. E da quanto è risultato anche in sede regionale, non ci sono problemi di compatibilità ambientale per l'area attraversata». — Fdm Corriere del Veneto | 26 novembre 2023 p. 15, edizione Treviso-Belluno Civetta-Cinque Torri: 33,5 milioni di euro BELLUNO Ben 33,5 milioni di euro al collegamento fra le Ski area del Civetta in Agordino e delle Cinque Torri a Cortina dopo l’accordo per lo Sviluppo e la Coesione sottoscritto fra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente della Regione Luca Zaia. Il progetto prevede la costruzione di due telecabine, la prima che scenderà da Passo Giau, la seconda risalirà da L’Aiva al Monte Ferrazza e di una pista, tutta a nord per un tracciato di circa quattro chilometri in una zona dove c’è molta ombra e il sole fatica ad arrivare. Il costo totale delle due telecabine e della pista dovrebbe aggirarsi attorno ai 50 milioni di euro. «Il nostro augurio — spiega l’assessore regionale al Turismo, Federico Caner — sarebbe quello di completare tutti i lavori entro l’inizio delle Olimpiadi nel 2026 a Cortina, ma sinceramente non sarà semplice riuscirci, soprattutto perché bisogna fare in fretta ad allestire tutti i procedimenti burocratici previsti». La situazione ancora tutta da definire, tenendo presente che gli ambientalisti sono contrari ai grandi hub. In ogni caso la base economica per il maxi-progetto sembra imponente e sembra che si sia sulla strada giusta per arrivare a una soluzione che rappresenterebbe una vera svolta per tutta la zona.

OLIMPIADI: LA PISTA DA BOB Corriere della Sera | 1 novembre 2023 p. 45 Tajani fa il tifo per Cesana «L’Olimpiade resti in Italia» Ma la pista di bob va demolita Il governo tace, Zaia si oppone. I tecnici: «Ci sono criticità» «Non disputare le gare di bob, slittino e skeleton a Cesana Torinese sarebbe una sciocchezza colossale, una resa nazionale, una cosa fuori dalla logica e dal buonsenso. Le Olimpiadi sono state assegnate all’Italia, facciamole in Italia». Arrivato ieri in Piemonte a titolo personale con i colleghi forzisti Zangrillo (ministro della pubblica amministrazione) e Cirio, presidente della Regione, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha usato parole forti contro l’ipotesi di emigrazione delle gare di scivolamento sul ghiaccio dei Giochi di Milano-Cortina 2026. La bozza di ripristino del budello abbandonato da 17 anni è già scritta, ha spiegato Tajani, il Piemonte è pronto ad anticipare 4 dei 33 milioni necessari al progetto di recupero (guidato dal Politecnico di Torino) che andrebbe finanziato dal governo con i fondi non spesi per ricostruire l’anello di Cortina. Il blitz ministeriale ha creato scompiglio. Quindici giorni fa il Cio, titolare dei Giochi, dopo il no governativo a Cortina ha dettato le sue condizioni non negoziabili (uso di un impianto «esistente e funzionante a oggi») autorizzando di fatto solo una soluzione estera. La via

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che porta a St-Moritz (pista attiva ed ecologica) è tracciata, l’irruzione di Torino richiederebbe un cambio di ragione sociale sia della Fondazione Milano-Cortina che della Simico, la società che gestisce i Giochi. Senza contare l’ira funesta del governatore del Veneto Zaia: il no a un impianto in Italia con adeguate compensazioni è gestibile, l’assegnazione dei fondi a una regione che con i Giochi non c’entra sarebbe uno smacco difficile da sopportare per la Lega. Il governo tace, Giovanni Malagò nel suo triplice ruolo (Coni, Fondazione, Cio) trattiene il fiato. Scompiglio Il blitz in Piemonte del ministro ha creato scompiglio. Il Cio vuole impianti già funzionanti Indifferenti alla battaglia politica, gli esperti si concentrano sulla bozza di progetto di restauro di Cesana che già lo scorso anno la Simico aveva sonoramente bocciato per la presenza di «elementi di indeterminatezza procedimentale e di criticità tecniche». In Piemonte si ipotizza di sostituire la pericolosa ammoniaca (che richiede monitoraggi costanti) con l’acqua glicolata che però «non offre garanzie sulla sua effettiva efficacia e richiederebbe una sostituzione delle tubazioni di raffreddamento (che si sviluppano per oltre 70 chilometri, ndr) con altre dimensionate per un diverso fluido vettore e quindi comporterebbe una sostanziale demolizione della pista». Demolizione a cui nessuno fa cenno. A livello mondiale l’acqua glicolata (50% acqua, 50% glicole) è usata nel budello di La Plagne, 500 metri più in quota di Cesana, in un comprensorio di altissima vocazione turistica: i tecnici spiegano che con il riscaldamento ambientale gestire un impianto «in posizione infelice dal punto di vista energetico, in quanto esposto a sud, e dal punto di vista della fruibilità visto che Cesana ha una limitata valenza turistica» comporterebbe un rapporto costi/benefici svantaggioso. Non c’è tempo da perdere: il Cio vuole una decisione entro fine mese, il governo dovrà decidere se smentire il suo vicepremier o appoggiarlo, rischiando l’ira di Losanna. Corriere delle Alpi | 2 novembre 2023 p. 26 Bob, Zardini getta benzina sul fuoco «Impianti necessari per crescere» Gianluca De Rosa / CORTINA «Impianti e infrastrutture sono elementi fondamentali nel percorso di crescita di Cortina». Intervenuto alla fiera Skipass di Modena nei giorni scorsi per prendere parte al convegno sulla sicurezza in pista organizzato da Anef alla presenza del ministro Andrea Abodi, il presidente di Cortina Skiworld Marco Zardini ha rimarcato tutta l'importanza, per la conca ampezzana, di poter contare su impianti e infrastrutture al passo con i tempi. Dettaglio non secondario per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Inevitabile, in questo contesto, un richiamo alle arcinote vicende legate alla pista da bob Eugenio Monti: «Le infrastrutture devono rappresentare il pane quotidiano per una località turistica che intende abbracciare il futuro», ha sottolineato Zardini a Modena. «Inutile negare che il dietrofront alla costruzione della nuova pista da bob sia un brutto colpo per Cortina che, dal canto suo, ha sempre sostenuto convintamente la candidatura olimpica, certa del fatto che rappresenti un evento di enorme richiamo turistico a livello planetario». Marco Zardini, sempre nell'ambito della kermesse modenese che ogni anno apre ufficialmente la stagione della neve in tutta Italia, ha colto l'occasione per rintuzzare la polemica social che quotidianamente anima la discussione attorno alla rassegna a cinque cerchi. «Nell'ultima manifestazione svoltasi a Cortina per protestare contro la realizzazione della nuova pista Eugenio Monti, i partecipanti erano in larga maggioranza provenienti da altre località. I residenti di Cortina che hanno aderito all'iniziativa erano ventuno. Al netto dei numeri, Cortina necessita di guardare al futuro con rinnovato ottimismo, lasciando da parte polemiche e divisioni. Urge ritrovare unità d'intenti, in una comunità che conta poche migliaia di residenti». Dalle infrastrutture come la pista da bob all'impiantistica il passo è breve. La prima neve ha innalzato ai livelli massimi l'attesa per il ritorno in pista. Occasione utile per focalizzare l'attenzione su un impianto di ultima generazione come la cabinovia Cortina Skyline. Opera spesso contestata dal rumoroso "popolo del no ad alta quota" ma che, stando a numeri ed analisi tecniche, non solo ha aumentato i passaggi tra Tofane e Cinque Torri e contestualmente "avvicinato" la conca ampezzana alla Val Badia (leggasi Sellaronda) ma ha anche ridotto drasticamente il transito veicolare lungo i tornanti del passo Falzarego a tutto vantaggio della mobilità sostenibile. D'inverno come d'estate. — Corriere delle Alpi | 8 novembre 2023 p. 10 «Olimpiadi, in pochi giorni la scelta finale per il bob Cesana è la nostra priorità» Una decisione definitiva in pochi giorni sulla pista da bob con un'attenzione particolare alla soluzione Torino per avere «un'Olimpiade tutta italiana». Il ministro allo Sport Andrea Abodi, in visita a Udine per assistere alla presentazione del progetto di ristrutturazione del palazzetto dello Sport, ha chiarito i tempi e le modalità con cui auspica venga sciolto l'ultimo nodo in vista delle Olimpiadi di MilanoCortina del 2026 per quanto concerne gli impianti sportivi. «Entro pochi giorni - ha affermato - ritengo che si debba arrivare a una scelta definitiva sulla pista da bob perché il tempo a disposizione è poco».

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L'impianto piemontese di Cesana resta una soluzione percorribile? «Di sicuro è un'ipotesi che vogliamo valutare con attenzione perché la nostra priorità sarebbe quella di mantenere l'Olimpiade tutta italiana». Quali i prossimi passi? «Abbiamo lavorato per mettere in condizione chi deve decidere dove si faranno le competizioni, ovvero la fondazione Milano-Cortina e il Cio, di trovare una soluzione rispettosa del programma olimpico e paralimpico. Sono in corso valutazioni tecniche e anche economiche, ma non solo». Il progetto di Cortina è stato bocciato per i costi elevati e per l'impatto ambientale. A Cesana la situazione sarebbe diversa? «Stiamo aspettando tutte le analisi e di sicuro sarà valutato l'impatto ambientale, la sostenibilità deve essere garantita anche nel lungo periodo». Il valore dello sport è stato riconosciuto dalla Costituzione: come dare attuazione alla norma? «Per dare corpo a quella che è la riforma costituzionale sullo sport (riconosciuto per il suo valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico) è importante che gli impianti migliorino e si allarghino le opportunità di praticarlo, siamo un Paese ancora troppo sedentario» . Come coinvolgere di più i giovani? «Bisogna migliorare la relazione tra scuola e associazioni sportive e dilettantistiche che tra l'altro operano in impianti pubblici per la maggior parte a gestione comunale». — Corriere del Veneto | 10 novembre 2023 p. 9, edizione Treviso - Belluno Pista da bob a Cortina, speranza di Zaia: «Ancora una possibilità» BELLUNO Ancora bagarre sulla pista da bob di Milano Cortina 2026. Intervenuto ancora il presidente della Regione Luca Zaia. «C’è ancora un decreto aperto, vorrei anche continuare a dire che Cortina si aspetta il bob. Per me finché qualcuno non ci scrive c’è ancora aperta una possibilità». Il governatore ieri ha aggiunto: «Voglio ricordare al mondo intero che se non c’è più il bob a Cortina non è per colpa della Regione Veneto. Non dovevamo realizzarlo noi. Vorremmo almeno che si considerasse come noi siamo parte in causa come danneggiati. Quindi chiediamo il ristoro rispetto a una cosa come questa quantomeno sul fronte delle gare». L’argomento è stato nuovamente toccato anche dal presidente del Coni, Giovanni Malagò. «Se il governo italiano — ha detto a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico sportivo a Torino — mette nero su bianco e dà garanzie sotto tutti i punti di vista riguardo la realizzazione e la parte economica, siamo ben felici di andare dal Cio (Comitato olimpico internazionale, Ndr ), cui è stata comunicata la notizia che riguarda Cortina, per capire ciò che si può fare per rispettare la volontà di governo italiano, Regione Piemonte e Città di Torino (per fare la pista da bob a Cesana, Ndr ). Mi sembra una cosa chiara. Se si vuole strumentalizzare ipotesi diverse, si sbaglia». Luana Zanella (Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera) attacca: «Emergono forti pressioni per la scelta di Cesana sui ministri e politici, nonostante il Cio ha già detto che non ci sono le condizioni. Malagò abbia il coraggio di dire che gli impianti piemontesi non sono attivi e che le risorse per metterli in campo sono sconsiderate». (D.C.) © RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 13 novembre 2023 p. 9 Cortina, pista o altre gare Veneto alla stretta finale «La decisione è urgente» Francesco Dal Mas / VENEZIA La lettera del presidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro, alla premier Giorgia Meloni a sostegno di Cortina e della sua pista di bob, skeleton e slittino? «Il presidente Carraro è una delle figure e delle voci più autorevoli del Veneto – constata Luca Zaia, presidente della Regione Veneto –. Solleva una questione cruciale che va ben oltre la dimensione sportiva, sociale ed economica. Una questione reputazionale per il Veneto e l'intero Paese, davanti a tutto il mondo». Chi – si chiede Zaia – avrà l'ardire di fare spallucce? Ecco, dunque, che tassello dopo tassello, Cortina ricostruisce il puzzle della speranza olimpica per quanto riguarda una possibile retromarcia in grado di portare alla realizzazione della pista da bob a Cortina. Prima la lettera di Carraro, contestualmente le aperture del ministro dello Sport, Andrea Abodi, su Cortina. E ieri il rilancio, molto appassionato, di Lorraine Berton, presidente di Confindustria Belluno Dolomiti. «Le parole pronunciate a Verona dal ministro Abodi rappresentano uno spiraglio dopo settimane di caos» sostiene in una nota l'imprenditrice. «A questo punto, il Governo non può deluderci. Si valuti seriamente il ritorno della pista da bob a Cortina, come chiediamo fin dall'inizio». Secondo Berton, «meglio ritornare sui propri passi – prosegue la rappresentante degli industriali bellunesi –

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che fare una figuraccia mondiale esponendo il Paese e il nostro territorio a una perdita seria di credibilità e di opportunità, a un danno economico e d'immagine enormi». L'alternativa, prosegue Berton, «non negoziabile resta ovviamente la ridistribuzione effettiva delle gare olimpiche. Le strade sono due: altre soluzioni sarebbero solo fumo negli occhi. Siamo convinti che debba prevalere il buon senso, ovvero l'interesse dell'intero Paese». Il Veneto, quindi, prova la stretta finale pur avendo la consapevolezza che il varco per arrivare a una retromarcia che riporti il bob a Cortina è molto stretto. Gianluca Lorenzi, sindaco di Cortina, conferma che per la sua città lo sliding center resta in campo; il Governo lo prevede con tanto di Dpcm. «E noi chiaramente lo vogliamo. Non si creda che abbiamo rinunciato. Però esigiamo finalmente chiarezza. E cioè che si vada avanti, con questa e le altre opere olimpiche, se non si è deciso diversamente. Se, invece, l'orientamento è diverso, si abbia il coraggio di dirlo. Ma subito». Chiarezza, sollecita il sindaco. Qualche elemento in più c'è, proprio da ieri. La Svezia, che aveva perso la candidatura contro Milano-Cortina per il 2026, ha deciso di ripresentarla per il 2030. È già in campo la Francia. E lo è pure la Svizzera con St. Moritz. Il Cio dirà ancora una volta di no a Stoccolma? È poco probabile. L'ipotesi dello scambio bob-ghiaccio tra St. Moritz (2026) e Milano (2030) riceve, quindi, un primo scossone. Favorendo il campo per Cesana e/o Cortina. Il Cio ha già detto di no a Cesana e oggi (o domani) Simico avrà un ultimo confronto con i tecnici piemontesi, per poi redigere il giudizio tecnico. Che potrebbe essere meno favorevole di quello politico (Cirio, Tajani, Zangrillo, Lo Russo). Quindi potrebbe davvero tornare in campo Cortina. Magari con un affidamento diretto ad Implenia, l'azienda svizzera leader nella fornitura di servizi edili, che già aveva manifestato l'interesse per lo sliding center di Cortina, dentro il budget degli 81,6 milioni della gara, e che aveva pure fatto un sopralluogo, salvo poi rinunciare? Oggi, a Cortina, ci si chiede se quella rinuncia fosse stata dettata dall'opportunità di lasciare campo libero a St. Moritz. E quindi si profila l'opportunità di ritornare alla carica, sempre dentro i vincoli della gara già formalizzata. Perché confezionarne una nuova, magari con un budget supplementare di 50 milioni, sarebbe oggettivamente impraticabile: non c'è la disponibilità di tempo e di risorse. La società Implenia, tra l'altro, era già stata contattata a suo tempo direttamente dal Bellunese. Ai piani alti di Corso Italia, a Cortina, si chiede che venga esperita almeno una verifica, essendo questo l'unico modo di non dover rifare la gara, perdendo un altro mese di tempo. E, in ogni caso, sempre a Cortina come a Venezia si attende quindi un segnale definitivo da Palazzo Chigi. — Corriere delle Alpi | 13 novembre 2023 p. 11 Bob, Abodi e Malagò spengono le speranze venezia Nel borsino settimanale della pista da bob a Cortina, stavolta le quotazioni subiscono un netto ribasso. Se sabato a Fieracavalli il ministro Andrea Abodi aveva lasciato aperto uno spiraglio ( «Cortina è ancora un tema, ne stiamo parlando» ), le sue parole di ieri sono una specie di macigno. «Avremmo dovuto dire di sì per il contratto con il Cio, che prevedeva che la pista fosse fatta a Cortina», ha detto il ministro dello Sport e dei Giovani, a "Italia 2023: Persone, Lavoro, Impresa", la piattaforma di dialogo con i massimi esponenti del mondo delle istituzioni, della finanza e dell'impresa, promossa da PwC Italia. «Dolorosamente abbiamo dovuto dire di no perché la coperta è corta. Stiamo aspettando delle indicazioni tecniche per Cesana». Dunque, a soli due giorni di distanza, sembra che la prospettiva sia quella di un "no" secco. «A me» ha aggiunto Abodi «interessa che anche alla pista da bob le Olimpiadi raggiungano l'obiettivo di conti in ordine e infrastrutture funzionanti. Olimpiadi e Paralimpiadi sono una grande occasione anche per il dopo. Mi auguro siano Olimpiadi italiane nel loro complesso, mi auguro che tutta l'economia bianca possa trarne beneficio». Un altro bel montante è arrivato sempre ieri da Giovanni Malagò, presidente del Coni. Sempre sulla pista da bob di Milano-Cortina ha ricordato come il Cio voglia che sia " existing and working ", per questo parlando di Cesana ha concluso: «Se il Governo ci scrive nero su bianco che la pista da existing diventa working , allora sarà nostro desiderio accompagnarlo a riaprire la partita con il Cio». Parole che suonano come macigni per il Veneto, soprattutto per chi come Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, sostiene con forza la candidatura. La lettera inviata alla premier Giorgia Meloni porta la sua firma. «Se perdessimo il bob, rimarrebbe il grave imbarazzo di una Cortina teatro di sole 8 gare per l'assegnazione di 24 medaglie: una condizione che, di fronte a quello che il suo nome evoca in tutto il mondo, non consentirebbe di parlare di Giochi olimpici», ha specificato il presidente di Confindustria Veneto, sostenuto apertamente da molti esponenti di spicco del mondo dell'impresa e anche dalla collega di Belluno Lorraine Berton. Resta da vedere ora cosa riuscirà a fare il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, impegnato ormai da settimane nell'interlocuzione con i vertici decisionali, per ripristinare un po' l'equilibrio nell'ottica di una redistribuzione delle gare. Ma la partita è complessa, perché nessuna delle regioni coinvolte (Lombardia e Trentino Alto Adige) intende cedere alcunché al Veneto rimasto con un pugno di mosche in mano. —

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DIGA DEL VANOI: GLI AGGIORNAMENTI Corriere delle Alpi | 10 novembre 2023 p. 25 Diga del Vanoi, rotto il fronte del "no" le opposizioni sollecitano più dati per potersi esprimere sul bacino Si spacca il fronte del "no" alla realizzazione della diga sul torrente Vanoi. Ieri sera, al consiglio comunale di Lamon chiamato ad approvare l'ordine del giorno della giunta Maccagnan contro il progetto del Consorzio di bonifica Brenta, il gruppo consiliare SiAmo Lamon di Gino Pante e Tullio Tommasini si è presentato con tutta l'intenzione di astenersi dalla votazione del punto, sollecitando il rinvio del tema in attesa di avere elementi tecnico-scientifici approfonditi per quanto riguarda rischi, costi e benefici per il Comune. E +Lamon, con Corinna Largo e Paolo Malacarne, ha fatto a sua volta un grosso distinguo. «Siamo giunti alla conclusione che non ci sono stati forniti elementi tecnici sufficienti per poter trarre un giudizio che non sia condizionato da emotività conseguenti alla tragedia del Vajont», motiva il capogruppo Pante, «o ad altri fenomeni di dissesto idrogeologico e ambientale nel nostro territorio. Anche per quanto riguarda una valutazione dei vantaggi che tale opera potrebbe portare al territorio per il quale siamo qui a fare gli interessi, riteniamo necessario poter disporre di contributi tecnici di fattibilità non condizionati da fattori esterni e da correnti politiche». Prematuro dunque, per SiAmo Lamon, dire sì o no a un'opera «senza aver convocato prima una commissione scientifica esterna di professionisti». «Non abbiamo visto relazioni tecniche, geologiche e ambientali, quindi è difficile esprimersi per un sì o per un no all'opera», è anche l'appunto di +Lamon, che ha invece assicurato sostegno alla posizione della giunta ma vincolandolo alla convocazione urgente di un tavolo "interistituzionale". Nell'ordine del giorno della giunta Maccagnan si condannano «le modalità simil-coloniali con le quali il "progetto Vanoi" è nato» e ancora una volta si esprime «profonda preoccupazione per l'incolumità degli abitanti posti a valle dell'invaso in progetto, unita alla preoccupazione di compromettere in via definitiva uno dei pochi grandi corsi d'acqua alpini ancora integri». Da parte della maggioranza, dunque, un no netto contro il piano di sbarramento sul Vanoi, con l'invito rivolto a Provincia e Regione affinché si eseguano «tutti i lavori di manutenzione di pulizia e sghiaiamento degli attuali bacini artificiali esistenti» . — Gazzettino | 11 novembre 2023 p. 9, edizione Belluno

EVENTI PATROCINATI DALLA FONDAZIONE DOLOMITI UNESCO Corriere del Trentino | 8 novembre 2023 p. 8

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Bonatti, vita oltre i limiti L’avventura, le tante sfidee l’esplorazione interiore A Bolzano la mostra-omaggio all’alpinista, il ricordo a 12 anni dalla morte. Foto e ambienti ricostruiti, dalle alpi alle foreste Un giovanissimo Walter Bonatti immortalato, nel 1948, in una delle sue prime scalate sulla roccia della Grigna, poi in uno scatto a torso nudo, in Tanzania nel 1966, con in mano il «panga», il machete masai. E ancora, in un momento di gioia, nel 1968, dopo la danza in onore dei defunti nella necropoli di Lemo a Tana Toradja, nell’isola indonesiana di Sulawesi, oppure nelle foreste di Sumatra, di fronte alla Laguna San Rafael nei fiordi patagonici cileni, di fronte al Cervino, o sulle pareti del vulcano Krakatoa. Sono intime e potenti le immagini che compongono la mostra «Walter Bonatti. Stati di grazia. Un’avventura ai confini dell’uomo inaugurata oggi alla Galleria Civica di piazza Domenicani, a Bolzano. Un percorso espositivo con cui, fino al 7 gennaio, la sezione altoatesina del Club Alpino Italiano vuole rendere omaggio all’alpinista a 12 anni dalla sua morte. Curata da Roberto Mantovani e Angelo Ponta, la mostra presentata inizialmente dal Museo della Montagna di Torino, è frutto del paziente e meticoloso lavoro di riordino, catalogazione e digitalizzazione dell’Archivio Walter Bonatti, donato nel 2016 dagli eredi dell’esploratore bergamasco. Ora sotto il coordinamento di Maurizio Veronese, presidente della sezione e responsabile della commissione cultura del Cai di Bolzano, la mostra approda in Alto Adige per ripercorrere le scoperte di Bonatti, dalle prime scalate fino alle ultime esplorazioni. «Per tutta la vita Walter Bonatti andò alla scoperta del mondo e di sé - spiega Veronese - mostrando il suo enorme talento e una dedizione senza compromessi. A muoverlo era il desiderio di avventura, ma non solo: il suo rapporto con la natura selvaggia era caratterizzato da una ricerca che all’inizio fu quasi inconsapevole, ma con gli anni si fece sempre più lucida e determinata, fino a diventare un vero e proprio esperimento». A fronte di un approccio alla montagna e alla natura molto personale, rivestono invece carattere di universalità gli spunti che la figura di Bonatti offre ancora oggi per riscoprire una relazione intima e senza filtri con un pianeta alterato, rimandando alla consapevolezza della necessità di un nuovo sguardo sul mondo e su chi lo popola. In primo luogo gli esploratori. «La mostra non vuole solo ricostruire la storia di Walter Bonatti, ma mettere in luce quel filo che lega le sue avventure e le sue emozioni, dalla montagna al mondo - prosegue Veronese -. Nel farlo si attinge alle immagini, agli oggetti e alle parole che rendono prezioso l’archivio, ma si vuole anche riprodurre ambienti nei quali Bonatti si è immerso: dalle grandi pareti delle Alpi fino ai confini del pianeta con ghiacci, da foreste a vulcani, provando a suscitare suggestioni e a sviluppare una partecipazione emotiva». Patrocinata dal Comune di Bolzano e dalla Fondazione Dolomiti Unesco, la mostra alla Galleria Civica sarà affiancata da altri eventi collaterali. Il 16 novembre alle 20.30 al Teatro Spazio Costellazione verrà proiettato il film «Fratelli si diventa. Omaggio a Walter Bonatti, l’uomo del Monte Bianco», con la regia di Alessandro Filippini e Fredo Valla. Nel documentario vengono ripercorse alcune delle più importanti imprese di Bonatti. Il 23 novembre alla Nuova Libreria Cappelli di corso Libertà, la conferenza «Walter Bonatti - La Montagna Incantata», mentre la sera del 24 novembre, al Teatro San Giacomo di via Maso Hilber, lo spettacolo «Walter Bonatti - Sognare ancora. Canti, parole e musica per un mito del’900». Angelo Ponta dirigerà un viaggio sonoro introspettivo, evocando il Bonatti più intimo tra silenzi, urla, valanghe, ruggiti e uragani, per raccontare la vita dell’alpinista dando voce alle sue emozioni e a quella che lui stesso definì «esplorazione interiore». Il Coro Rosalpina sarà il filo conduttore del racconto, con il soprano Lorenza Maccagnan, il pianista Nicola Pontara e le due voci narranti di Patrizia Scianca e Cesare Rasini. Infine l’1 dicembre, nuovamente al Teatro Spazio Costellazione, la proiezione del film dedicato al celebre alpinista Erich Abram, che nel dopoguerra scalò tutte le vie più irte delle Dolomiti e che nel 1954, assieme a Walter Bonatti, partecipò alla spedizione sul K2.

NOTIZIE DAI RIFUGI Corriere delle Alpi | 6 novembre 2023 p. 18 Illes Ulgelmo, 101 anni di amore per le Dolomiti «Su e giù con una 500 per far nascere il Berti» il personaggio stefano vietina «Nella primavera del 1958 Livio Grazian, da poco nominato presidente della Commissione Rifugi del Cai di Padova, su sollecitazione dei vecchi soci, reduci della Prima Guerra Mondiale, riguardo alla necessità di ristrutturare il Rifugio Sala, decise di fare un sopralluogo in quel rifugio e mi chiese di accompagnarlo», racconta Illes Ulgelmo. Il Sala del Cai Padova era stato realizzato nei primi anni venti, adattando a rifugio un fabbricato esistente, costruito dagli Alpini durante la Grande Guerra per il loro comando.

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«Lo stabile, in grado di ospitare otto persone, ma poco frequentato a causa della mancanza d'acqua, si trovava in una posizione ideale, in quanto permetteva di ammirare tutta la Val Padola. Tuttavia ci rendemmo conto che non era possibile eseguire ampliamenti e che qualsiasi lavoro interno al rifugio non avrebbe portato a un reale miglioramento, a causa dell'impossibilità di far arrivare acqua». Padovano, classe 1922, Ulgelmo ricorda in maniera nitida quegli anni in cui, amante della montagna e iscritto al Gruppo rocciatori padovani, frequentava le Dolomiti per passione. Non gli fanno difetto i suoi 101, anzi quando parla la voce si alza, diventa quasi stentorea, perché questo è solo il prologo di quella che ritiene la sua più importante realizzazione, il rifugio Berti nel Vallon Popera, in Comelico Superiore. Un rifugio che ha compiuto 60 anni nel 2022 ed è stato celebrato recentemente in un bel libro curato da Giampaolo Fornara. Il giorno della presentazione del volume, Illes era in prima fila e, prendendo la parola davanti alla sala gremita, ha soggiunto. «Il rifugio io l'ho costruito, insieme a tante maestranze che ci dettero una bella mano; adesso è li per voi, usatelo». Il lavoro alle Ferrovie «Sono di Padova e amavo il calcio, ho giocato fino al 1940 – ricorda Illes – poi sono stato assunto dalle Ferrovie dello Stato. Da Venezia mi hanno mandato a Bribano, come assistente ai lavori, per la costruzione della linea ferroviaria; poi a Ponte di Piave per la costruzione del nuovo ponte ferroviario, era il 1950-52. Mettemmo 12 km di pali, 18 km di tavole di ferro, con le guide con cui essere agganciate, per fare le fondazioni. Io volevo tornare a casa perché avevo i genitori anziani e soli, ma non ci fu verso: il capo mi stimava e mi voleva lì. Il problema era che guadagnavo poco, solo 9.000 lire al mese e per un pranzo se ne pagavano 250: mi sarebbero servite almeno 15.000 solo per mangiare. Così la sera saltavo la cena e andavo a camminare». Alla fine Illes riesce a tornare a Padova, per lavorare alla ricostruzione della stazione centrale, curando l'acquisto dei materiali e la sorveglianza delle imprese impegnate nel lavoro. Il suo capo era un ingegnere appassionato della montagna e così anche lui si iscrive al Cai padovano. La necessità di un nuovo rifugio È così, per la sua esperienza lavorativa, che viene coinvolto nell'ipotesi di ristrutturare il Sala. «Pensammo subito a un nuovo rifugio – riprende – ma dove costruirlo? A nostro avviso, l'area idonea doveva rispondere ad alcuni precisi requisiti: non essere soggetta al pericolo valanghe; essere in posizione baricentrica rispetto ai vari itinerari alpinistici del Vallon Popera; essere visibile dal fondovalle (Val Padola) per attirare il maggior numero possibile di escursionisti; trovarsi in posizione idonea per far arrivare l'acqua». Scelta la zona, portano al consiglio del Cai la proposta di trasformare il Rifugio Sala in Museo della Memoria, per ricordare i sacrifici e gli atti eroici compiuti dagli alpini durante la Grande Guerra, e di costruire un nuovo rifugio. «Proposta approvata all'unanimità. Un consigliere, l'arch. Brunetta, docente dell'Università di Padova, che in quell'occasione si era offerto di progettare il nuovo rifugio, diversi mesi dopo mi convocò nel suo studio e mi disse: "Il mio progetto tiene conto della scarsa affluenza verificatasi finora al Sala e delle modeste possibilità economiche della sezione. Nessuna modifica senza il mio consenso. A lei il compito del preventivo"». Parte la costruzione «Complessivamente il nuovo rifugio avrebbe potuto ospitare 56 persone; feci il preventivo, che venne approvato dal consiglio, di poco inferiore a 10 milioni di lire, e mi mossi alla ricerca della manodopera, che ci consentisse di conseguire un risparmio significativo. Il consiglio mi affidò l'incarico e, per agevolare il mio compito, mi diede in comodato d'uso una Fiat 500. Sapevo di poter contare sulla massima collaborazione da parte di un'impresa che da diversi anni, sotto la mia direzione, costruiva fabbricati con onestà, capacità ed esperienza. Io dovevo dirigere i lavori e pensare alla fornitura di tutto il materiale necessario, da far arrivare a quota 1950. Per ottenere questo risultato era necessario svolgere un'attenta ricerca di mercato sul posto, per individuare le imprese più qualificate, in grado di soddisfare le mie esigenze e aspettative. E così iniziai a girare con la 500». Avveduto e parsimonioso Illes ci tiene a ricordare (facendo anche riferimento ad un suo articolo pubblicato nel 2018 sulla rivista Sot Narla) che alle Ferrovie lavorava in ufficio dalle 8 del mattino alle 14: poi partiva in macchina e sfruttava anche i fine settimana. «L'auto in quegli anni era un mezzo di locomozione di pochi, in una sola giornata mi fu possibile contattare: a Belluno il Comando del 7° Alpini per una possibile collaborazione, a Candide l'autorità comunale per le pratiche burocratiche, a Casamazzagno il presidente della Regola per l'acquisto del terreno. Affidai poi i vari incarichi a diverse imprese: Dal Zio per la manodopera e i mezzi d'opera; De Cesaro per costruzione e gestione della teleferica e il trasporto del materiale da Selvapiana a quota 1950; Barel per la fornitura di tutto il materiale; Barcellan per la fornitura e la messa in opera di tutti i serramenti; Paccagnella per gli impianti idrici; Pocchiesa per la fornitura e posa in opera della lamiera di copertura del tetto». Tipo meticoloso Illes, che lavorò al rifugio con lo stesso impegno e la stessa parsimonia che avrebbe messo nel costruire la propria casa. Non restava che scegliere il nome, che fu quello di Antonio Berti, medico e uno dei padri fondatori del Cai Padova; forte rocciatore, aveva aperto numerose vie sulle Dolomiti Orientali sulle quali scrisse e pubblicò due libri: "Guida Alpi Orientali I e II». Inaugurazione il 2 settembre 1962 con il discorso di Giuseppe Mazzotti, apprezzato scrittore di montagna e alpinista. «Fu una giornata assolutamente indovinata per il tempo e per la partecipazione di oltre seicento persone e del coro del Cai che accompagnò la messa con i suoi canti di montagna. Dopo il taglio del nastro ci fu il pranzo per tutti gli invitati, offerto dalla Sezione di Padova». Un lavoro gratis «Un cronista del quotidiano locale di Padova "Il Veneto" , nel raccontare la cerimonia – sorride Illes – citò il mio nome come quello del costruttore del rifugio. Ciò attirò l'attenzione dei funzionari comunali addetti alle tasse i quali mi convocarono nel loro ufficio per stabilire quanto io dovessi versare in relazione al guadagno. La questione si risolse solo quando il presidente sezionale scrisse all'Ufficio tasse del Comune di Padova una lettera nella quale assicurava che, per attaccamento alla Sezione e per passione per la montagna, la mia prestazione era stata completamente gratuita». La vera ricompensa

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Nell'ultimo periodo della direzione dei lavori, Illes Ulgelmo aveva conosciuto una ragazza che aiutava il gestore, suo cugino, nella conduzione del rifugio. «Diventammo amici. Nei nostri incontri domenicali, un po' alla volta capimmo di desiderare entrambi di costruire in Comelico la nostra famiglia. Era Ausilia De Bettin (1939-2021), che divenne mia moglie e mi diede i nostri due figli Paolo e Franco. La mia vera ricompensa per la costruzione del rifugio Berti!». — Corriere delle Alpi | 9 novembre 2023 p. 26 Assegnati i lavori per riaprire la strada del "Città di Fiume" «Bisogna far presto» val di zoldo/agordino Corsa corso il tempo per il ripristino della strada silvo pastorale della val Fiorentina che dal passo Staulanza conduce fino al rifugio Città di Fiume, investita nei giorni scorsi (e proprio nel tratto iniziale) da una imponente colata detritica venuta giù dal Pelmo sotto la spinta delle piogge. Il Comune di Borca, ente proprietario della strada indicata col segnavia 467, dopo aver emesso l'ordinanza di chiusura del tracciato anche ai pedoni, ha deliberato l'assegnazione dei lavori di sgombero ad una ditta trentina, la Sevis, anche se al momento tutto è purtroppo ancora fermo al palo. «Bisognerà intervenire prima dell'arrivo del gelo», ha sottolineato il sindaco di Borca Bortolo Sala, che sta seguendo da vicino la vicenda, «per quanto concerne le iniziative a carico del Comune di Borca abbiamo fatto tutto quello che c'era da fare, peraltro in tempi molto rapidi. Adesso aspettiamo fiduciosi l'avvio del cantiere, consapevoli che si tratta di interventi non particolarmente impegnativi e neanche onerosi. L'impegno di spesa è stato di appena cinquemila euro». Il sindaco promette di incalzare la ditta assegnataria dei lavori, consapevole dell'importanza di poter completare la pulizia del sentiero dalla mole di detriti prima dell'arrivo del grande freddo, peraltro annunciato per la prossima settimana. «Le nevicate di questi giorni non preoccupano più di tanto», ha aggiunto Sala, «la situazione però può cambiare radicalmente se dovesse arrivare di punto in bianco il grande freddo. È questo che dobbiamo scongiurare, altrimenti si rischia di andare alla primavera». Ad attendere buone nuove sul fronte della riapertura della strada sono i gestori del rifugio Città di Fiume dove nel frattempo proseguono, nonostante i disagi, i lavori di sistemazione del tetto che hanno richiesto anche l'ausilio di una gru. Mezzi ingombranti, che ora si trovano di fatto "ostaggio" della frana così come gli operai al lavoro sul cantiere, costretti a muoversi a piedi con tutti i disagi del caso visto che non sono escursionisti in gita domenicale al rifugio. Nella mattinata di ieri il gestore del Città di Fiume, Mario Fiorentini, è tornato in valle, certificando una situazione di stallo che preoccupa, e non poco, in vista della sempre più vicina apertura invernale. «Per il ritorno dei turisti in val Fiorentina non prevedo problemi», ha sottolineato in merito il sindaco di Borca, Sala, «eventualmente il problema sarà dove parcheggiare la auto visto che sullo spiazzo adiacente la partenza del sentiero interessato dalla frana posso dire sin da ora che manterrò l'ordinanza di divieto fino a quando lo stesso non verrà messo in sicurezza. La frana è arrivata fin lì, non c'è spazio per abbassare la guardia». Quanto rimarcato dal primo cittadino di Borca chiama inevitabilmente in causa la Regola di San Vito, proprietaria del terreno. — Gianluca De Rosa Corriere del Trentino | 9 novembre 2023 p. 6 Passo Principe, avanti con i lavori «Siamo in sintonia con la sua storia» Sergio Rosi, classe 1954, è guida alpina e rifugista da una vita: una passione che ha trasmesso a molti dei suoi collaboratori — cinque dei quali sono diventati a loro volta gestori-—e anche al figlio Daniele. In questo periodo la struttura alla base del Catinaccio d’Antermoia è in fase di ristrutturazione, con l’obiettivo di riaprire nel corso della prossima estate. Quanto cambierà il Grasleitenpasshütte-rifugio Passo Principe? «Non molto. Mio figlio, sua moglie Valentina e il piccolo Martino attualmente dormono in una stanza di due metri per due, la cucina è piccola, così come il bar. Era difficile avere degli spazi adeguati per noi e per il personale, considerate che in questo rifugio il gestore ci vive 8 mesi all’anno. La veranda sarà unita al bivacco, ingrandiremo i locali e avremo un asciugatoio e un magazzino più grandi. Ma l’aspetto generale non cambierà: la parte alta rimarrà sempre incastonata sotto la roccia. Già nel 2006, quando l’ho rilevato insieme a mio figlio, ho voluto mantenere il più possibile un ambiente in sintonia con la sua storia e quello che c’è intorno. Anche i mobili sono fatti a mano, ci abbiamo messo molto di personale. Questa è casa nostra». Quindi è possibile andare incontro ai turisti pur senza perdere un legame autentico con la montagna.. «Il rifugio fu costruito nel 1952 da Franz Kofler, in legno, e trasportato sul posto, dove venne montato. La posizione non è casuale, da sempre il passo è un luogo di transito per chi faceva il giro dei sentieri. D’altronde le locande e gli alberghi in valle erano per i commercianti, ma i rifugi erano stati costruiti espressamente per i turisti, fin dalla fine dell’Ottocento».

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Lei è rifugista da una vita, è vero che la clientela è cambiata? E se sì, in che modo? «Ho iniziato al Selvata, nel 1986; dal 1989 al 2005 sono stato al Caré Alto. È stato il mio periodo più intenso come guida alpina, organizzavo anche corsi di alpinismo. Una struttura come quella, sul ghiacciaio, chiamava una clientela di stampo classico. È un rifugio “vero”, per distanza dal parcheggio, per dislivello: gli alpinisti arrivavano nel tardo pomeriggio, andavano a dormire presto. Alle 4 del mattino mi alzavo per preparare le colazioni e potevo ancora fare la giornata come guida, anche perché a mezzogiorno non veniva quasi nessuno a mangiare. Dalla fine degli anni ‘90 la situazione è cambiata. Hanno iniziato a salire i trekker, che volevano fare camminate di più giorni. Così incominciai a preparare due colazioni, quella in orario classico e una più tardi. Da lì in poi si è accentuata la tendenza a vedere il rifugio come meta di una gita, piuttosto che un punto d’appoggio». Si leggono molte critiche rivolte ai montanari della domenica. C’è stato un peggioramento delle competenze o sono esagerazioni mediatiche? «C’è un po’ di tutto, ma personalmente non sono molto d’accordo con chi si lancia contro i cosiddetti merenderos. Nessuno è nato alpinista, ricordiamocelo, e comunque questa gente ha l’input positivo di muovere le gambe. Credo sia compito del rifugista quello di passare al tavolo e fare due chiacchiere, dire un bravo a chi è arrivato. A volte si tratta solo di stimolare una conversazione, accendere un desiderio a fare qualcosina in più. Solo un appunto: è importante documentarsi. Io dico sempre ai ragazzi che lavorano come stagionali: se qualcuno degli ospiti vuole informazioni sulla montagna, dite che gli mandate la guida alpina. È importante fare comprendere che c’è un mestiere apposta per parlare con cognizione di tempi di percorrenza, agibilità dei sentieri, difficoltà degli itinerari». Al Passo Principe che tipo di clientela arriva? «Dai nostri sentieri possono passare anche 4mila persone al giorno. In uno studio di qualche anno fa, nella valle del Vajolet sono state stimate 400mila presenze tra luglio, agosto e settembre, contro il milione e 200mila del Vaticano, sui 12 mesi però. Su base mensile ci sono più turisti qua che là. Sono educati alla quota, in valle magari manco passano e si fermano a mangiare qualcosa nel corso dei loro giri. C’è molta clientela internazionale: americani, australiani, cinesi anche. Io mi sono spostato qui quando ormai la crisi dei ghiacciai era evidente: avevo capito che il futuro sarebbe stato un certo tipo di turismo». Come è nata la sua passione per la montagna? «Sono di Calliano, ma già da bambino amavo andare per monti. Nel 1971 ai Bindesi ho fatto il corso di roccia, poi sono diventato guida alpina. Inizialmente facevo il perito, ma chiesi una sorta di part-time verticale ante litteram per non trascurare la montagna. Mio figlio ha ereditato la stessa passione: è guida e rifugista anche lui». Le più grandi soddisfazioni da guida? «Vedere i clienti in cima: quella corda che ti lega non è solo sicurezza, trasmette anche emozioni. E poi molti di loro sono diventati amici, a Monaco di Baviera vado ancora a trovare molti miei ex clienti. Tra i più bei ricordi la prima salita alla Cima Tosa, quando ancora era 3173 metri, con quei 40 metri di ghiaccio che non ci sono più». E i più bei ricordi da alpinista? «Non ho fatto grandi cose, la mia più grande soddisfazione è sempre stata l’alpinismo di ricerca. Mi piacevano le vie poco o per niente ripetute. Mi ricordo quella volta che ho trovato un chiodo di Detassis nascosto sotto il muschio, o quella volta che sulla Torre Città di Monza ho trovato il suo biglietto in cima. La montagna può dare anche emozioni tremende, come quando il tuo compagno rimane sotto una valanga, ma va accettata nella sua interezza».

Corriere delle Alpi | 13 novembre 2023 p. 22 Per il rifugio Bianchet una storia lunga 50 anni al cospetto della Gusela Sentinella della Schiara. Il rifugio Bianchet ha festeggiato i primi 50 anni di attività e il Cai di Belluno ne ha ripercorso la storia in una serata ricca di pubblico e di amore per la montagna all'interno dell'auditorium di Cavarzano. LA STORIA DEL RIFUGIO Sorgendo a nord della Schiara, il Bianchet da mezzo secolo è un punto di riferimento per gli appassionati di montagna lungo l'Alta via n. 1 e per quelli che viaggiano all'interno del Parco nazionale Dolomiti bellunesi. L'idea di far sorgere un rifugio al cospetto della Gusela del Vescovà, ai piedi del versante nord della Schiara – ha ricordato Gabriele Arrigoni, che all'epoca dell'inaugurazione ricopriva la carica di presidente della sezione bellunese del Cai – era stata avanzata da alcuni alpinisti, tra i quali lo stesso Furio Bianchet, innamorati della Val Vescovà per la sua originalità e il suo contesto naturale, ma anche per la sua conformazione geologica e le antiche attività silvo-pastorali che vi si praticavano. Il Bianchet, realizzato nell'abitazione degli operai forestali eretta nel 1971, fu inaugurato il 29 giugno 1973, vicino ai ruderi della Casera Pian de i Gat. All'inaugurazione intervennero il presidente generale del Cai, Giovanni Spagnolli, che era anche presidente del Senato, tutti i parlamentari bellunesi e il vescovo Muccin. Presenti anche il presidente del Collegio nazionale guide alpine, Armando Da Roit "Tama", e tanti alpinisti arrivati per rendere omaggio e ricordare la figura di Furio Bianchet. Chi era BIANCHET Durante la serata a Cavarzano, il compito di ripercorrere la storia e le gesta dell'alpinista al quale è intitolato il rifugio è stato riservato al vicepresidente del Cai di Belluno, Alberto Gris: «Oltre che un valido alpinista è stato un grande uomo e un instancabile ideatore di

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iniziative per promuovere la sua Belluno, le sue montagne e le Dolomiti bellunesi», ha spiegato Gris, «fra le salite compiute, ricordiamo quelle con Alvise Andrich allo spigolo ovest al Cimon della Pala, quella sulla muraglia di Cima De Gasperi, in Civetta, e quella sulla parete sud della Tofana di Rozes, con Attilio Tissi». I CUSTODI del rifugio Nel corso di questo mezzo secolo di storia, i protagonisti veri del Bianchet, però, sono stati indubbiamente i gestori, o meglio i custodi, del rifugio – come sottolineato dal presidente del Cai di Belluno, Paolo Barp – a cominciare dal primo, Fioravante Bellenzier, ma anche Rita Da Canal e i coniugi Fedeli, che al momento lo hanno in gestione. Gli aneddoti della Gusela Ricco, ricchissimo, infine, il capitolo di storia alpinistica collegato al Bianchet, che ha come luogo simbolo soprattutto la Gusela del Vescovà, mitico monolite dolomitico che dalla metà del 1800 ha richiamato molti alpinisti, primi tra tutti Arturo Andreoletti, Francesco Jori e Giuseppe Pasquali, che ne conquistarono la vetta il 14 settembre 1913. A raccontare le principali vie e imprese alpinistiche sulla Gusela e sulla Schiara è intervenuto Gianni Gianeselli. A lui, che è stato anche capostazione del Soccorso alpino di Belluno, è stato chiesto anche di raccontare alcuni incidenti verificatisi sulla Gusela, a cominciare da quello occorso alla famosa guida alpina Gabriele Franceschini: «Per soccorrerlo», ha rammentato Gianeselli a Cavarzano, «è intervenuto l'elicottero pilotato da France Natra e utilizzato per le riprese del film "Il Colonnello Von Ryan", girato nel Bellunese nel 1964». — Corriere delle Alpi | 16 novembre 2023 p. 22 Il Rifugio Bianchet cerca un gestore BELLUNO Appena compiuti i suoi primi 50 anni, il rifugio Bianchet è pronto a fare un salto di qualità importante, grazie a una visione improntata su un tipo di accoglienza più moderno e su una maggior comunicazione social. Per farlo, la sezione di Belluno "Francesco Terribile" del Club alpino italiano ha pubblicato un bando per trovare il nuovo custode del rifugio situato al Pian dei Gat, lungo il tracciato dell'Alta via n. 1 delle Dolomiti (variante VII), nel gruppo dolomitico della Schiara. «Il contratto con Ezio e Sonia (gli attuale gestori, nda ) era scaduto già un anno fa, ma avevamo fatto una proroga di un anno, perché ad aprile il rifugio è passato sotto la gestione dell'Ente Parco e non potevamo fare una gara d'appalto all'ultimo minuto», spiega il presidente del Cai di Belluno, Paolo Barp, «ora il Parco ha deciso di investire sul Bianchet, chiedendo anche un cambio di passo per quanto riguarda l'accoglienza, che dovrà mettere a disposizione dei clienti una linea internet e una promozione via social molto più strutturata». Queste richieste sono giustificate anche e soprattutto dai numeri che si stanno registrando al rifugio in questi ultimi tempi: «Nelle ultime stagioni abbiamo avuto un numero di passaggi che non ci aspettavamo e sono già stati approvati importanti lavori per ammodernare anche la strada d'accesso», continua Barp. «Siamo comunque sull'Alta via numero ed è sempre più comune ospitare escursionisti e alpinisti provenienti da ogni parte del mondo. Per questo i nuovi gestori, che potranno essere anche gli attuali se si candideranno, dovranno accettare le nuove politiche legate a questo cambio di passo». Il Bianchet si trova all'interno del Parco nazionale Dolomiti bellunesi, che fa parte dei siti naturali patrimonio dell'umanità tutelati dall'Unesco. Gli interessati possono consultare le linee guida per la concessione in affitto del rifugio nel sito della sezione Cai di Belluno (www.caibelluno.it). I curriculum, invece, dovranno essere inviati all'indirizzo mail info@caibelluno.it, all'attenzione della commissione rifugi, entro e non oltre il 10 dicembre, indicando nell'oggetto del messaggio "Nuova gestione del rifugio Bianchet". — Fabrizio Ruffini Corriere delle Alpi | 22 novembre 2023 p. 30 Rifugio Berti: Martini in pensione Aperto il bando per il nuovo gestore comelico superiore Dopo ben 46 anni consecutivi, la famiglia Martini Barzolai lascia la gestione del rifugio Berti: dopo averlo lasciato intuire nel corso della festa per i 60 anni della struttura, Bruno Martini ha dunque confermato che va in pensione. Ed il Cai di Padova, proprietario della struttura, si è subito premurato di lanciare un bando di affidamento in gestione, specificando peraltro che Bruno è comunque disponibile ad affiancare il nuovo gestore per il passaggio delle consegne nella prossima stagione estiva 2024. Il rifugio si trova in una delle zone più belle e panoramiche del Comelico, il Vallon Popera, nel comune di Comelico Superiore, a quota 1950 metri; la concessione sarà quinquennale e, si legge nel bando, "la scelta del gestore spetta con insindacabile giudizio al Cai di Padova, che terrà in considerazione anche la conoscenza dei luoghi da parte dell'offerente, la sua condivisione dei valori propri del Cai, la sua capacità tecnica di adempiere al compito istituzionale e di assumersi la responsabilità di titolare del presidio del territorio alpino che il rifugio rappresenta».

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L'importo posto a base di gara è di 21. 000 euro (più Iva) quale canone annuo per la durata della concessione dei cinque anni, oltre alle imposte per la registrazione del contratto. Per i successivi anni si terrà conto dell'adeguamento Istat. "La scelta dell'aggiudicatario avverrà a cura della commissione incaricata, che individuerà, tra le offerte presentate, il candidato che, oltre ad avere il possesso dei requisiti professionali, delle competenze tecniche, delle esperienze lavorative precedenti, sia idoneo a garantire nello spirito di stretta collaborazione con la sezione di Padova, le finalità di intenti e lo spirito di appartenenza al CAI». Le offerte dovranno pervenire, con la relativa documentazione, alla sezione Cai di Padova o tramite posta elettronica certificata, con oggetto "offerta per l'affidamento in gestione del rifugio Antonio Berti" , all'indirizzo padova@pec. cai. it, o con consegna diretta e in busta chiusa, nella sede del Cai Padova. Fra i documenti richiesti: il curriculum vitae completo dell'offerente, o degli offerenti in caso di società; la dichiarazione di conoscenza della lingua inglese, del tedesco e dell'utilizzo di PC/internet; l'autocertificazione della conoscenza dell'ambiente ove è situato il rifugio, del territorio di riferimento, delle sue vie di accesso, dei percorsi segnalati e degli itinerari; la dichiarazione sottoscritta di piena conoscenza ed accettazione del regolamento generale rifugi del Club Alpino Italiano del 1 gennaio 2021 e di impegno alla conoscenza e preventiva accettazione delle future integrazioni e modifiche delle predette normative; l'elenco delle esperienze maturate dal candidato nel campo della gestione di rifugi alpini e nel campo della ristorazione; una relazione contenente il progetto di gestione. L'offerta dovrà pervenire al Cai di Padova entro e non oltre le ore 19 del 15 dicembre 2023: farà comunque fede la data di invio della e-mail Pec con conferma di ricezione o la ricevuta di cons egna della sede CAI Padova in caso di consegna a mano dell'offerta. Tutte le informazioni all'indirizzo caipadova. it/news/. — Stefano Vietina Gazzettino | 25 novembre 2023 p. 13, edizione Belluno

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L’Adige | 30 novembre 2023 p. 10 L'assemblea Giugno difficile, bene settembre e ottobre. Resta il problema acqua Monica Malfatti I rifugi come presidi "antichi" ma in continuo cambiamento e le cui politiche di gestione proprio in un'ottica di evoluzione vanno concepite. È questo il concetto emerso durante l'assemblea dell'Associazione Rifugi del Trentino, prezioso appuntamento annuale per fare il punto sulla stagione estiva appena conclusasi, pianificando l'inverno e il nuovo anno imminenti.Per quanto riguarda dunque l'estate 2023, nonostante un inizio che la presidentessa dell'associazione, Roberta Silva, ha definito piuttosto in sordina, gli accessi ai rifugi sono stati del tutto simili a quelli registrati nel 2022. «Nei mesi di luglio e agosto i numeri erano in linea con l'anno precedente. A giugno abbiamo fatto fatica, perdendo circa il 10% degli accessi, prontamente recuperati però nei mesi di settembre e ottobre, dove il numero delle presenze registrate nello stesso periodo del 2022 è stato di gran lunga superato».Il meteo autunnale favorevole ha di fatto determinato un allungamento della stagione, che per i rifugi solitamente si chiudeva il 20 settembre. Tant'è che almeno un terzo delle 145 strutture presenti in provincia, 100 delle quali sono associate a Rifugi del Trentino, hanno provato a tenere aperti i battenti oltre quella tradizionale data. «Il problema, nella nostra promozione di una destagionalizzazione turistica - ha proseguito Silva - risiede nel fatto che il supporto delle strutture a valle è spesso carente, con alberghi, bar ed altre ricettività chiuse».Fra le nazionalità più rappresentante, sia nel nuovo turismo autunnale che soprattutto per quanto riguarda i pernottamenti nell'arco dell'intera stagionalità, la predominanza è stata dei tedeschi, «anche se negli ultimi anni si sta affacciando con decisione il mercato statunitense o, più in generale, d'oltreoceano» precisa Silva.Oltre ai dati estremamente positivi, restano sul tavolo anche i diversi problemi che i rifugi del Trentino hanno dovuto, devono e dovranno affrontare: l'infrastrutturazione per l'approvvigionamento dell'acqua, ad esempio, ma anche i cambiamenti climatici, strettamente connessi alla questione della carenza idrica, oltre all'energia e alla consegna e mantenimento dei reflui. Una gestione complessa, che necessita di molti attori in campo.«La nostra volontà - ha dichiarato in tal senso l'assessore Roberto Failoni - è provare ad interloquire con tre dipartimenti e quattro assessorati diversi, ma competenti in materia di rifugi, per provare ad approntare un disegno di legge sulla montagna a trecentosessanta gradi, utile e necessario per il tanto agognato salto di qualità che questo comparto merita da tempo».Un salto di qualità per il quale la provincia stessa ha già stanziato, dal 2019 al 2023, 3 milioni di euro l'anno, almeno secondo quanto riferito dal dirigente del Servizio turismo Giorgio Cestari, che ha aggiunto come annualmente vengano «adottati tra i 25 e i 35 provvedimenti».Nessuno di questi sembra però aver riguardato Guido Trevisan, ex gestore del rifugio di Pian dei Fiacconi in Marmolada, distrutto nel dicembre del 2020 da una valanga. «A distanza di tre anni dal fatto - ha affermato Trevisan, prendendo parola a margine dell'incontro - non ho avuto ancora nessuna risposta sulle sorti mie e della struttura. Le uniche informazioni apprese provenivano dai giornali, che hanno segnalato esproprio, demolizione e rimozione imminenti, senza che io ne sapessi nulla. Ad oggi inoltre non è stata riconosciuta la calamità naturale e non ho avuto indennizzi».L'assessore Failoni ha concluso il suo intervento promettendo a Trevisan una risposta entro la fine della prossima settimana. Corriere del Trentino | 30 novembre 2023 p. 4 Rifugi, il clima mite aiuta a destagionalizzare «Ma restino aperte anche le strutture a valle» Silva: «Aumenta la presenza di turisti stranieri». Failoni: «Lasciamo più libertà di costruire in montagna» Chiara Biasioli TRENTO Si è conclusa positivamente la stagione estiva del 2023 dei Rifugi trentini, con numeri che «si avvicinano molto a quelli visti nel 2022», come ha comunicato ieri Roberta Silva, presidente dell’Associazione gestori Rifugi del Trentino, nella relazione annuale ai soci. «La scorsa stagione era stata anomala», ricorda Silva, poiché era iniziata molto presto per via del caldo e dell’assenza di neve, mentre quest’anno la partenza è avvenuta più a rilento a causa delle persistenti piogge e delle basse temperature. Un quadro, questo, che però è stato bilanciato dal caldo autunnale, a sua volta anomalo, che ha permesso a molti Rifugi di posticipare la chiusura, allungando così la stagione. «I numeri di frequentatori nei mesi centrali di luglio e agosto degli ultimi due anni sono molto simili, mentre le differenze si vedono nell’apertura e nella chiusura della stagione, a conferma di come queste difformità siano dovute alle variabili climatiche e metereologiche». Ottimo l’afflusso di turisti italiani «sia delle vecchie che delle nuove generazioni», precisa Silva. E questo genera ottimismo sull’attrattività che l’ambiente montano continua a suscitare anche con il passare degli anni. Ma resta elevato anche il numero di presenze estere. «Siamo contenti del lavoro che sta svolgendo Trentino Marketing — prosegue la presidente — con cui collaboriamo molto proficuamente, e l’efficacia delle loro campagne promozionali è evidente». Infatti, nonostante resti predominante il mercato tedesco, stanno aumentando gli ingressi di visitatori americani e di altri continenti, su cui la promozione di Trentino Marketing sta lavorando molto. Lo scopo è creare nuovi mercati per aumentare la presenza, proprio nell’ottica di una valorizzazione della «bella stagione autunnale», durante la quale la maggior parte dei turisti italiani non viaggia a causa dei calendari scolastici o lavorativi. Certo

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però, sottolinea Silva, per destagionalizzare non basta che restino aperti solo i Rifugi: «Speriamo che i nostri sforzi siano accompagnati da una maggiore presenza di strutture e servizi disponibili anche a valle. Serve che il turista non si ritrovi in una vallata spoglia e spenta perché abituata alla stagionalità fissa con cui si è lavorato fino a pochi anni fa». Parlando di come attirare nuovi utenti, un tema fondamentale risulta anche la sensibilizzazione alla prudenza e la formazione degli escursionisti. A tale scopo, per il secondo anno si è tenuto il progetto «Prudenza in montagna» che ha visto la collaborazione di vari enti, tra cui Trentino Marketing, Sat e il Soccorso Alpino, per la creazione di un progetto congiunto che offrisse più risonanza possibile all’importanza della sicurezza e della prudenza nell’ambiente montano.«Resta poi a noi pensare a cosa vogliamo costruire per i prossimi anni — conclude Silva — decidendo se lasciare che sia la richiesta a manovrarci, o se invece preferiamo stabilire noi l’offerta e puntare su un turismo più tecnico e informato, o su una maggiore varietà di visitatori». Sul tema si è espresso anche Roberto Failoni, riconfermato assessore al Turismo, che concorda sull’importanza della formazione e della prudenza, ma aggiunge come sia decisivo «investire per avere un’offerta di Rifugi di alta qualità, per andare incontro anche alle aspettative mutevoli dei turisti». E rispetto alla tutela ambientale e all’impatto consentito alle infrastrutture, spiega: «L’attenzione dei trentini per la montagna è, giustamente, viscerale, ma dobbiamo anche permettere a tutti di viverla e conoscerla, lasciando più libertà anche nelle ristrutturazioni o nuove costruzioni. Attenzione e tutela, ma più libertà». Il suo obiettivo, afferma, è di «ritrovarci tra cinque anni con i Rifugi rinnovati e migliorati nei servizi per promuovere l’accoglienza trentina che tutti ci invidiano».

NOTIZIE DAI PARCHI L’Adige | 16 novembre 2023 p. 29 Parco per un turismo sostenibile Arriva la certificazione europea PRIMIERO Il Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino ha ottenuto la certificazione CETS, la Carta Europea per il Turismo Sostenibile. L'Europarc Federation ha così riconosciuto all'ente un'attenzione particolare all'ambiente e ai temi di uno sviluppo sostenibile, oltre che la strutturazione delle proprie attività in modo da favorire un'offerta di turismo compatibile con l'ambiente.Il riconoscimento (che sarà ritirato nelle prossime settimane al Parlamento Europeo a Bruxelles) giunge al termine di un intenso percorso di partecipazione, iniziato nel maggio dello scorso anno, che ha visto la collaborazione di istituzioni, operatori, associazioni e cittadini, che ha portato a definire definire una strategia comune, nell'ambito di un turismo attento al territorio, dentro una dimensione di "sostenibilità".Il percorso per la costruzione della Carta si è sviluppato, in particolare, con incontri e tavoli di confronto dove poter raccogliere esperienze, idee e proposte per costruire una strategia e un Piano d'azione che siano partecipati e condivisi. Ora si apre quella che è la fase più operativa, volta alla realizzazione delle azioni individuate nel "Piano" e del loro monitoraggio, azioni da attuarsi nell'arco di cinque anni, attraverso la collaborazione fra Parco e soggetti promotori.

NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO Corriere delle Alpi | 4 novembre 2023 p. 28 Sempre più soccorsi in ferrata Anche le e-bike creano pericoli Francesco Dal Mas / BELLUNO. L'anno delle ferrate. La grande passione soprattutto degli stranieri, richiamati dal fascino delle Dolomiti Unesco. Ed ecco che la seconda ragione dei soccorsi in quota è proprio questa: l'inesperienza di chi si fionda sui percorsi attrezzati e gioca brutti scherzi ai malcapitati. «L'anno scorso le ferrate si piazzavano al quinto posto raccogliendo solo il 5,8% degli interventi da parte del Soccorso Alpino, quest'anno», fa sapere Alex Barattin, «hanno conquistato la seconda piazza, salendo ad oltre l'8%». Barattin è il capo delegazione del Cnsas di Belluno e della pedemontana trevigiana. La stagione dei 760 volontari del Veneto (di cui ben 490 nella delegazione territoriale) si è appena conclusa ed è tempo di bilanci. Ben 1.110 le persone fino ad oggi riportate in sicurezza da una situazione di rischio; una buona quota letteralmente salvate. In testa ai soccorsi ci sono sempre loro, gli escursionisti – a volte improvvisati, altre volte incoscienti e quindi imprudenti, altre volte ancora davvero malcapitati, ma non per responsabilità diretta, con una percentuale a carico del 46%. E poi, appunto, i "ferratini" che, arrivando magari dalle parti più lontane del mondo, vogliono penetrare il brivido, oltre che la bellezza delle cime dolomitiche. È il "fenomeno nuovo" di quest'anno, anzi forse della post pandemia.

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Ma in verità l'estate 2023 ha riservato anche altre novità. Quei 1.110 soccorsi (fino a ieri) segnano infatti una inversione di tendenza: rappresentano una riduzione dell'6% di interventi rispetto al 2022. Meno gente, dunque, che frequenta l'alta montagna. «È vero, però dobbiamo capirci. L'estate appena conclusa e l'autunno da poco iniziato hanno registrato numerose giornate di impraticabilità dei sentieri, delle uscite in quota. Il maltempo di giugno, di luglio, dei primi 10 giorni di agosto ha fatto il vuoto», spiega Barattin, al quale si associa anche il presidente regionale Rodolfo Selenati. «Il che significa che nei giorni e nelle settimane di bel tempo si sono fiondati in montagna più escursionisti». È pur vero – ed è un altro fattore di novità – che gli italiani stanno rallentando. Nell'incidentistica, ad esempio, sono scesi dall'87% del 2021 all'80% del 2022 fino al 71% di quest'anno. L'incidenza in regresso dipende da una ritrovata consapevolezza dei pericoli rappresentati dalle alte quote, e quindi dalla prudenza, o più semplicemente dal minor numero di connazionali sulle Dolomiti? «Sono vere entrambe le ipotesi», ammette Selenati, affermando che l'insistenza con cui il Soccorso alpino si sta battendo per la sicurezza in montagna, anche attraverso i numerosi corsi, trova finalmente gli esiti sperati. Anche se gradualmente. Anzi, diciamo pure con troppa gradualità, nel senso che ancora ci sono tante persone che affrontano camminate e lunghi percorsi in salita senza alcuna preparazione. E soprattutto privi di orientamento preciso. Da questo punto di vista, analogo è il tema considerando gli eccessivi incidenti a causa di una gestione inappropriati dall'e-bike. «Non si sa andare in discesa», spiega Baratti n, «non si sa usare il freno, soprattutto non si sa moderare la velocità. Ma il peggio è che non si sa andare neppure in salita, perché abbiamo registrato cadute pure ascendendo lungo i più facili sentieri. L'atto di scollinare, ad esempio, è sempre più a rischio… a rischio caduta, ovviamente». La stagione ha riservato altre sorprese che i volontari del Cnsas hanno sottoposto ad approfondita analisi. La frequentazione escursionistica delle Dolomiti è temporalmente la più ballerina. Ci sono dei giorni, anche di bel tempo, in cui non si verificano incidenti, probabilmente perché le presenze sono contenute; altri, invece, in cui non bastano neppure i due elicotteri del Suem. «Si tratta di capire che cosa muove l'escursionista, per meglio organizzarci», puntualizzano i responsabili del Cnsas. «E, a questo riguardo, bisogna tener presenti anche i cambiamenti climatici. La destagionalizzazione del meteo, anzi del clima, porta in montagna tanti appassionati ogni periodo dell'anno, specie nei fine settimana. E questo ci impone di non avere un periodo di riposo, o meglio di doverci tenere sempre in allerta». Ma bastano i 490 volontari del bellunese e dell'Alto Trevigiano? Assolutamente no, ammette Barattin. «Ci sono territori in cui scarseggiano i collaboratori. Ma non per cattiva volontà, per indisponibilità o peggio ingenerosità, bensì perché scarseggiano i giovani. Un problema di natalità, dunque. E nelle nostre comunità le opportunità di volontariato sono molteplici. Per cui non saremo certamente noi del Cnsas a portar via chi s'impegna nelle Croci o in Casa di riposo, o in altro ambiente». Un tema strutturale che come tale va affrontato.

NOTIZIE DALLE ASSOCIAZIONI ALIPINISTICHE Corriere delle Alpi | 12 novembre 2023 p. 25 Biciclette ad alta quota, il Cai chiede rispetto Frigo: «Troppi pericoli e sentieri rovinati» Gianluca De Rosa / BELLUNO Le evoluzioni ad alta quota di impavidi bikers non piacciono ai vertici regionali del Cai. Il presidente Renato Frigo, nel condannare i sempre più frequenti episodi considerati «un susseguirsi di violazioni dei regolamenti vigenti in montagna», chiede a gran voce un tavolo di confronto con le associazioni a due ruote alla presenza di una rappresentanza politica della Regione Veneto. Il tutto non senza disdegnare una "tiratina d'orecchie" alle istituzioni locali, Comuni ed Unioni Montane in testa, a cui è richiesto supporto nel controllo dei sentieri su cui con sempre maggiore frequenza si assiste a scene tutt'altro che edificanti. Presidente Frigo, cosa ne pensa di chi, in sella ad una mountain bike, si avventura non più solo sui sentieri ma addirittura sulle ferrate? «Uno scempio. Di recente mi sono soffermato in rete a visionare un video in cui due ragazzi in sella a una mountain bike scendevano dalla ferrata Dibona sul Cristallo, a Cortina. Davvero c'è chi crede che quello sia il modo giusto di promuovere la montagna? Al netto del pericolo che iniziative del genere comportano, non solo per chi le effettua, ma anche per chi poi tenta di emularle, cosa che purtroppo avviene sempre più spesso nell'era dilagante dei social, il pensiero ricorrente è che quel tipo di iniziative nulla hanno a che vedere con il rispetto di luoghi sacri ed inviolabili. Ovviamente stiamo parlando di iniziative non ammesse dalle leggi vigenti sul territorio regionale. Ci sono delle regole a cui bisognerebbe attenersi quando si sceglie su quali sentieri cimentarsi con le biciclette. Perché, sembra superfluo ma è bene ricordarlo, non tutti i sentieri di montagna sono ammessi alla circolazione delle biciclette, figuriamoci una ferrata». L'occasione è utile per fare chiarezza sulla percorribilità dei tracciati d'alta quota? «Le biciclette hanno a disposizione una miriade di tracciati sull'intero arco dolomitico. Strade silvo pastorali, ma quel che mi preme sottolineare non è tanto il rispetto delle regole quanto l'utilizzo di buon senso e consapevolezza in determinati contesti. Se un sentiero si presenta pericoloso va da sé che non può essere affrontato da ciclisti ed escursionisti insieme per evidenti motivi di sicurezza. La montagna esige rispetto, e con essa i suoi frequentatori. Comportamenti irresponsabili portano molto spesso a gravi conseguenze, anche irreparabili».

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C'è poi un altro aspetto, quello che riguarda la manutenzione dei sentieri. «Aspetto tutt'altro che secondario, che chiama in causa chi dei sentieri, in forma del tutto volontaria, se ne prende cura periodicamente, togliendo tempo a se stesso per il bene comune. Parlo dei nostri tesserati, l'anima del Cai. La manutenzione sentieristica richiede impegno ed abnegazione ma basta il passaggio di una bicicletta, peggio ancora di una ebike che pesa anche di più, per rovinare il lavoro portato avanti per giorni. E questo non va affatto bene». A chi spetta il controllo dei sentieri d'alta quota? «Serve una maggiore partecipazione collettiva al controllo del territorio. Comuni e Unioni Montane rivestono un ruolo fondamentale. Stiamo vivendo un periodo complicato, la montagna è costantemente sotto attacco. I social non aiutano in questo senso, perché lo spirito di emulazione di iniziative scriteriate ha raggiunto un punto di non ritorno. Io non dico che non va bene niente, non siamo per le chiusure a scatola chiusa, siamo però per il rispetto di tutti e per la condivisione degli spazi. Sono del parere che anche sui sentieri è bene parlarsi e confrontarsi, in maniera costruttiva. Dal canto nostro abbiamo intrapreso una sempre più fiorente attività legata alle uscite in mountain bike, segno evidente della considerazione che abbiamo per questo fenomeno in costante ascesa. Ma che, proprio perché in costante ascesa, merita una volta per tutte un inquadramento». Cosa proponete? «L'auspicio è che presto ci si possa sedere ad un tavolo con le associazioni operanti in ambito cicloturistico e con i vertici della Regione per trovare una soluzione in grado di accontentare tutti ed al tempo stesso ridare alla montagna la giusta serenità che merita». — Corriere delle Alpi | 12 novembre 2023 p. 25 Deon: «Ok la manutenzione ma il controllo non spetta a noi» SEDICO La manutenzione e il controllo dei sentieri su cui ha richiamato l'attenzione il presidente del Cai regionale Renato Frigo riporta in auge l'annoso problema della carenza di risorse a cui quotidianamente devono fare fronte gli organi locali. «Le Unioni Montane non hanno fondi propri e per poter intervenire devono essere investiti dai Comuni a cui sono strettamente collegati», spiega il sindaco di Sedico e presidente dell'Unione Montana Valbelluna Stefano Deon, «detto questo, quando c'è da intervenire per reperire fondi da destinare al territorio noi ci siamo sempre, sia come Comuni che come Unione Montana, entrambi ben consapevoli dell'importanza che riveste la tutela dei nostri luoghi. È altrettanto vero che le risorse sono sempre di meno e gli interventi di salvaguardia e manutenzione del territorio sempre di più. Basti pensare ai danni causati dal maltempo che rappresentano una preoccupazione quotidiana, per tutti nessuno escluso». Deon si svincola da quelle che sono le attività di controllo. «Quello non spetta a noi ma agli organi competenti, resta sottintesa l'importanza di garantire al territorio la giusta sicurezza, rivolta a tutti coloro che scelgono la montagna per una giornata di svago. Siamo tutti consapevoli che la rete sentieristica rappresenta un volano di primaria importanza per il turismo bellunese. Siamo a conoscenza del fenomeno cicloturismo, in costante ascesa anche nella Valbelluna come in tutto il resto della provincia, ma la fruibilità degli spazi dev'essere improntata al massimo rispetto di tutti. Non esistono turisti di serie A e turisti di serie B, ognuno deve sentirsi libero e sicuro di poter usufruire della montagna come meglio ritiene opportuno. In questa direzione diventa fondamentale il rispetto reciproco delle regole». — Dierre Corriere delle Alpi | 24 novembre 2023 p. 18 Il Cai bellunese reclama autonomia «A noi le scelte sulle terre alte» BELLUNO La montagna appartiene esclusivamente ai montanari o anche al popolo di città? Chi ha diritto di parola sul presente e sul futuro delle terre alte? Questi ed altri interrogativi tornano nel dibattito all'interno del Club Alpino Italiano. I bellunesi del Cai intendono portare un contributo incisivo al congresso nazionale che si svolgerà a Roma domani e domenica sul tema dei cambiamenti climatici. Le sezioni della provincia (13 mila associati sui 63 mila del Veneto) hanno predisposto un documento. Che, tuttavia, non è stato accolto come tale, dal Comitato congressuale, ma recepito, solo in alcune sue parti, all'interno delle analisi che verranno proposte. Alverà di Cortina «Sostanzialmente spiegheremo che i primi custodi dell'ambiente siamo noi montanari – anticipa Luigi Alverà, presidente del Cai di Cortina, facendo sintesi del lavoro svolto dal Coordinamento provinciale dei presidenti –, che pertanto amiamo profondamente il nostro territorio, sul quale però dobbiamo anche vivere. E viverci con i presupposti che la nostra terra ci consente». Nella due giorni di confronto ritornerà, infatti, il tema del rapporto città-montagna. Con tutti i problemi che animano da anni il dibattito. Impianti sì e impianti

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no, ad esempio. Il Cai regionale, come pure quello nazionale, sono contrari ai collegamenti intervallivi, come conferma il presidente veneto Renato Frigo. Precisa Alverà: «Spetta alle valli direttamente interessate pronunciarsi sui rispettivi progetti. Di sicuro, per quanto riguarda Cortina, siamo favorevoli – precisa il presidente – a quei collegamenti che in qualche misura riusciranno a liberare dal traffico le nostre strade». Frigo Cai Veneto Frigo fa sapere che «la supposta contrapposizione tra Cai di Montagna e Cai di Pianura non è stata accolta, perché – spiega – il Cai è una realtà unica che, quando si pronuncia su determinati temi, assumendo precise posizioni, pretende legittimamente che gli associati si adeguino, anche se non le condividono». E il Club alpino, ricorda ancora il presidente regionale, ha già detto di no a nuovi impianti di risalita, alla pista di bob di Cortina, a ogni forma di sfruttamento della montagna. Due giorni a Roma Il 101esimo Congresso nazionale del Club alpino italiano è in programma al teatro Italia di Roma e vedrà il sodalizio confrontarsi con il mondo scientifico, il mondo associazionistico e con la politica per individuare strategie per il futuro dei territori montani alla luce degli effetti della crisi climatica. Al centro la preservazione del capitale naturale della montagna, la frequentazione turistica, l'economia e le politiche per i territori montani. Coordinato da Raffaele Marini (presidente della Commissione centrale tutela ambiente montano del Cai) e, per la parte scientifica, da Riccardo Santolini (professore associato dell'Università di Urbino), il congresso è frutto di un lungo percorso di confronto avviato a inizio anno, che ha portato alla costituzione dei tre tavoli di lavoro: «Il Cai per il Capitale naturale», «Il Cai, la frequentazione responsabile della montagna, i nuovi comportamenti consapevoli» e «Il Cai per lo sviluppo della montagna – Economia e politiche territoriali». I lavori congressuali, moderati dalla conduttrice televisiva Licia Colò, si apriranno con i saluti del ministro del Turismo Daniela Santanché, del ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin, del presidente della IV Commissione Ambiente dell'assemblea capitolina, Roma Capitale Giammarco Palmieri, del vicepresidente del Touring Club Italiano Giuseppe Roma, della presidente di Mountain Wilderness Italia Adriana Giuliobello, del segretario generale dell'Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) Giulio Lo Iacono, del presidente di Federparchi Luca Santini e del presidente Comitato Glaciologico Italiano Valter Maggi. Don Ciotti contro pista di bob Tra gli interventi più attesi della mattinata quello di Don Luigi Ciotti, fondatore dell'associazione Libera. Don Ciotti è cadorino di Pieve di Cadore ed ha sempre avuto la tessera del Cai di questa sezione. Come tale prenderà parte, da relatore, al congresso, portando un contributo originale, tra l'altro non di critica alle Olimpiadi ma a come è stato concretizzato, ad esempio a Cortina, il tema della sostenibilità. Ribadirà un secco no alla pista di bob e rilancerà la prospettiva dell'ex Villaggio Eni come sede del villaggio olimpico. Non solo, tra le compensazioni da legacy chiederà la costituzione del Parco regionale dell'Antelao e delle Marmarole. Gli altri lavori Seguirà la presentazione delle tesi congressuali, frutto del lavoro dei componenti dei tre tavoli, composti da scienziati e da esponenti del Cai. Domani pomeriggio si discuterà delle politiche per la montagna, con alcuni rappresentanti dei gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione che dialogheranno con il Presidente generale del Cai Antonio Montani. La domenica mattina in scaletta gli interventi, tra gli altri, di Antonella Caroli (presidente Italia Nostra), Filippo Lobina (dirigente del Coordinamento politiche nazionali della montagna, direzione generale dell'economia montana e delle foreste – ministero dell'Agricoltura) e Alessandro Panza (consigliere per la montagna del ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli). Concluderà i lavori il presidente generale Antonio Montani. A Roma interverranno i rappresentanti di tutte le sezioni. Alverà precisa: «Noi soci di montagna non intendiamo contrapporci agli amici di città, ma semplicemente far valere le nostre convinzioni rispetto alla resilienza che siamo gli unici a garantire. Siamo i primi a desiderare la tutela, la conservazione dei nostri pascoli, dei boschi, del patrimonio ambientale, ma ci deve essere anche riconosciuta l'opportunità di vivere e quindi di poter usufruire in parte di alcune risorse. Si pensi solo al bosco, quindi alla selvicoltura. Oppure alla necessità di mettere in sicurezza la mobilità. Ingessare tutto è impossibile». — Francesco Dal Mas Corriere delle Alpi | 25 novembre 2023 p. 29 Dal Comelico alle Tre Cime, dal bob ai collegamenti: i contrasti all'interno del Cai Il 101° congresso del Cai si apre con la contrapposizione tra gente di montagna e gli appassionati delle città. Le sezioni Cai "montanare" reclamano poteri decisionali sul futuro delle loro terre, il comitato congressuale fa invece muro, recependo solo alcune istanze formulate dai club alpini bellunesi. Sono tanti e piuttosto impegnativi i fronti sui quali le sezioni del Cai bellunese si sono trovate in posizione distinta se non contrapposta rispetto a quella del Cai nazionale. A volte facendola prevalere, altre volte no. Ecco alcuni esempi. Comelico In Comelico il Cai territoriale ha condiviso il progetto delle amministrazioni per il collegamento sciistico con l'Alta Val Pusteria. «Sono perplesso», aveva commentato Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, nel commentare il parere favorevole della Soprintendenza al Paesaggio di Venezia alla realizzazione del collegamento, «non sembra l'investimento più adatto per una zona di pregio che può e deve puntare su una forma di turismo più sostenibile». Il Cai Val Comelico ha invece condiviso che quell'investimento

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era ed è indispensabile per trattenere la popolazione in valle. E tanti suoi componenti, per lo stesso motivo, si sono schierati contro gli eccessivi vincoli paesaggistici imposti sulla valle. «I vincoli, invece», aveva obiettato la presidenza regionale, con Renato Frigo, «hanno preservato la valle da facili abusi». Tre Cime Lavaredo Un breve volo e si sbarca in riva al lago di Misurina. Il Cai di Auronzo gestisce uno dei più redditizi rifugi alpini d'Italia, l'Auronzo, grazie all'arrivo della Strada delle Tre Cime. Gli ambientalisti la vorrebbero chiusa. Per il Comune di Auronzo rappresenta un introito "irrinunciabile" (fino a 3 milioni). Il Cai nazionale si trova d'accordo con gli studi promossi dalla Fondazione Dolomiti Unesco che consigliano un numero programmato di accessi. Come avviene, per esempio, per il lago di Braies. Pista di bob Ancora un breve volo e a Cortina le prossime Olimpiadi hanno dato luogo a posizioni distinte tra Cai ampezzano e Club alpino nazionale. Luigi Alverà, da assessore della ex giunta Ghedina, si è adoperato per l'implementazione delle opere olimpiche a Cortina, la pista di bob in particolare. Arrivato alla presidenza del Cai ha sostenuto, seppur con prudenza, questa posizione, facendo anche sapere di non condividere le manifestazioni di contrarietà e di protesta, magari dello stesso Club alpino italiano. Certo è il Cai nazionale non ha nascosto la sua soddisfazione per lo stop definitivo alla costruzione della pista stessa. «Non realizzare la pista da bob a Cortina, ci sembra una presa di posizione di buon senso che ci consente di guardare con ottimismo al futuro», ha affermato il presidente generale Antonio Montani. Dice oggi Alverà: »La pista? È ormai saltata, non esiste più il problema. E quanto agli altri impianti, decide la Fondazione Milano Cortina». Collegamenti sciistici Tema di confronto, ai vari livelli del Cai, sono anche i collegamenti sciistici da 80 milioni di euro ipotizzati fra Cortina e la ski area del Civetta, da una parte, ed Arabba o la Val Badia, dall'altra. «Hanno diritto a pronunciarsi le valli coinvolte», precisa Alverà. Il Cai dell'Alto Agordino non si è mai pronunciato contro. Sì, invece, alcuni tesserati di Livinallongo. Arabba e Livinallongo, infatti, sono riusciti, nella compattezza delle loro comunità, a stoppare l'approdo del collegamento con Cortina. Già nel 2020, invece, il Cai regionale, d'accordo con quello nazionale, esprimeva «la contrarietà in merito agli impianti e alle piste previste dal maxi progetto, ritenendoli troppo onerosi e troppo impattanti nel contesto ambientale dove si andrebbero a collocare». —

INTERVISTE ED EDITORIALI Corriere delle Alpi | 26 novembre 2023 p. 22 La grande sferzata di don Ciotti: «Basta cemento ad alta quota» Francesco Dal Mas / BELLUNO Le grandi domande del cadorino don Luigi Ciotti. Una sferzata senza precedenti. «Perché la grande speculazione ora riguarda anche le alte quote che si stanno asfaltando in alcune zone? Ma chi sono questi imprenditori, con tutta questa liquidità e pochi controlli sulla provenienza? Abbiamo scoperto forme di riciclaggio anche di organizzazioni criminali mafiose che vanno nelle zone stupende… Hanno tanta liquidità e c'è chi dà deleghe in bianco, non tenendo conto di tutto questo». È uno dei tanti passaggi da applauso, anzi da standing ovation, di don Ciotti, fondatore di Libera, che al congresso del Cai a Roma sui cambiamenti climatici si è presentato «orgogliosamente da cadorino iscritto da sempre al Cai di Pieve di Cadore». «Abbiamo ragazzi che hanno studiato, giovani meravigliosi, che vorrebbero portare il loro contributo per le loro terre. Invece di spendere soldi per la pista da bob o altro, si spendano soldi per fare ritornare questi ragazzi», ha poi provocato il prete così amico di papa Francesco. Applauso prolungato anche qui. «Non possiamo dimenticare la risorsa idrica, il problema dell'acqua. Ritorni l'acqua a essere bene pubblica. È fondamentale, l'importanza delle foreste e degli alpeggi da recuperare, non per sfruttarli ma per dare loro il complesso valore ecosistemico che offrono perché ne sia realmente una risorsa rinnovabile. Bisogna che qualcuno intervenga a favore di tutto questo», ha insistito "don Libera". Ciotti non poteva non ricordare che i parchi sono aree speciali in cui si concentrano risorse naturali che devono essere valorizzate. E a questo punto è sbottato: «Da anni con tanti amici stiamo lottando perché si faccia il parco Sorapis, Antelao, Marmarole, la terra dove siamo nati. Ma cosa ci impedisce di fare un parco? Ci sono resistenze e invece sono risorse che si possono tutelare, ampliare, occupare. E non dobbiamo dimenticare le riserve integrali…». Di nuovo battimani, specie da parte dei soci Cai del Bellunese. Ma poteva mancare quest'altro tema, così intrigante? «Gli impianti da sci sono già sufficienti, facciamo in modo che funzionino bene, ma non è il caso di fare grandi traversate deturpando l'ambiente. Facciamo bene quello che c'è». Come dire, no ai grandi collegamenti tra hub. Altri obiettivi "irrinunciabili"? «Abbiamo bisogno di comunità energetiche», insiste, «di cooperative legate a produzione biologiche. E anche la politica deve fare di più perché se la politica non fa questo, non è politica, è un'altra cosa. Abbiamo bisogno di incrementare una nuova filiera d'agricoltura, turismo, cultura e storia. Abbiamo bisogno del valore della biodiversità anche culturale, abbiamo necessità di nuove aree protette per creare anche lavori diversi». Davanti a una platea catturata perfino dalla commozione, il prete di frontiera ha ricordato l'appello recente del suo amico papa: «Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie estrattive, minerarie, petrolifere, forestali, immobiliari, agroalimentari di smettere di

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distruggere i boschi, le aree umili e le montagne, di smettere di inquinare i fiumi e i mari, di smettere di intossicare i popoli e gli alimenti». Don Ciotti ha evidenziato, a questo punto, che la montagna ha una storia lunga, ricca di valori che oggi per molti sono un po' sbiaditi e omologati da parole svuotate di contenuto come sviluppo, sostenibilità e green. «Non dimentichiamo», ha quasi implorato, «la lunga storia passata dei montanari, dei contadini, storia di convivenza che aveva ben presente il limite; si tratta di comunità nate nei valori della cooperazione, della solidarietà, della redistribuzione dei beni, la necessità di coltivare bene i boschi, i pascoli, il fieno… Erano i miei nonni, i nonni di tanti di voi. Oggi dobbiamo chiederci quanto rimane di tutto questo, di questi valori, della vita delle nostre montagne. Perché la montagna si è lasciata omologare ai bisogni delle città e dei cittadini? Alcuni sono persone oneste, altri invece la usano, la consumano, è un usa e getta». E infine un drammatico interrogativo: dove stanno i servizi essenziali, la salute, la scuola, la cultura, il traffico pubblico, la banda larga che permettono di vivere sulle terre alte? «Montagne, le nostre, sempre più impoverite di servizi di cui invece abbiamo bisogno per dare dignità e libertà alle persone. Perché suoli fertili sono stati erosi dalla cementificazione, da un'urbanistica cieca? Non si doveva permettere». Non è mancato un ultimo riferimento di don Ciotti al Bellunese, precisamente al Vajont. «La logica mafiosa non è solo quella delle organizzazioni criminali, ma anche quella del potere quando si nasconde dietro manipolazioni e menzogne. E la malattia del potere ambiguo, opaco non è stata mai del tutto debellata. Ricordate che il capo del Governo arrivò con l'elicottero, sorvolò Longarone, Erto e Casso, promise interventi subito, risarcimenti, ricostruzione di fronte a quel dramma, Giovanni Leone. Siamo ad ottobre, a dicembre cade il Governo e lui che era avvocato diventerà l'avvocato di quella società incriminata, è andato a difendere quella società. E sette mesi dopo viene eletto Presidente della Repubblica. Poi l'hanno cacciato, ma intanto è successo questo e il Vajont è stata una strage di Stato». Il prete cadorino ha concluso ricordando che «non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali, senza una maturazione del modo di vivere e delle convinzioni sociali; non ci sono cambiamenti culturali senza cambiamenti nelle persone e questo è un invito per ognuno di noi». — Corriere delle Alpi | 26 novembre 2023 p. 23 Salsa, basta contrapposizioni “Ma la montagna va ascoltata” Chi tutela meglio la montagna? Chi la abita o chi la frequenta arrivando da turista, da escursionista, da alpinista? Il dibattito non è di oggi. Ma al 101° Congresso del Club Alpino Italiano ha preso quota. Nei giorni scorsi il coordinamento delle sezioni Cai di Belluno hanno predisposto un documento e l'hanno recapitato agli organizzatori. Il Cai ha risposto che è improponibile la contrapposizione tra terre alte e terre basse. Ma il tema viene ripreso e rilanciato da un "insospettabile", l'ex presidente generale Annibale Salsa, autorevole antropologo, docente universitario. «Uno dei temi che ritengo debbano essere affrontati all'interno di questo congresso, al di là dei temi legati alle trasformazioni dell'ambiente, del clima e di tutto quello che ci tocca e ci coinvolge direttamente o indirettamente, credo che debba essere il rapporto tra le sezioni di città e le sezioni di montagna», ha dichiarato Salsa. «Ho sempre sostenuto che il Club Alpino Italiano ha un ruolo di mediatore culturale tra realtà diverse perché il sodalizio è uno, ma i territori sono profondamente diversificati e quindi le esigenze delle sezioni, delle città, grandi o piccole che siano, si differenziano in maniera profonda se non addirittura radicale nei confronti di quelle che sono le realtà delle sezioni di montagna». Sezioni di montagna vuol dire, secondo Salsa, sezioni fatte da soci che vivono in montagna, molti dei quali vivono anche di montagna. «Quindi i temi all'ordine del giorno devono essere proprio quelli di una ricucitura. Io percepisco ancora un distacco, percepisco ancora una distanza, è un problema ancora culturale, di percezione, tra quelle che sono le sezioni cittadine e quelle che sono le sezioni di montagna, soprattutto sui temi ambientali», ha ammesso l'ex presidente. E uno dei temi principali che riguardano questa differenziazione è ad esempio la convivenza con i grandi predatori, le problematiche legate alla precarietà del vivere in montagna e tanti altri aspetti che in qualche modo distinguono le due realtà. «Bisogna far sì che queste due realtà non siano contrapposte e per fare questo credo che il Cai debba affrontare questo tema, questo problema». Salsa ha detto di avvertire da parte di molti soci delle sezioni di montagna un disagio legato ai temi delle politiche ambientali nei confronti di altre realtà che sono realtà della città: «È del tutto comprensibile, devo dire, non c'è un problema di demonizzazione degli uni o degli altri. È comprensibile perché la mentalità si forma, si plasma vivendo in un determinato territorio». Quindi la percezione che ha il socio di città che va in montagna nel fine settimana o per vacanza non può e non può essere la stessa da un punto di vista psicologico, da un punto di vista antropologico, rispetto a quella di chi vive la montagna. «Questo, a mio avviso, è uno degli aspetti cruciali che va affrontato, altrimenti rischiamo di creare una lacerazione difficilmente ricucibile», ha concluso Salsa. — fdm

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