Rassegna Stampa Dolomiti UNESCO | Marzo 2022

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RASSEGNA STAMPA MARZO 2022


PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA DI MARZO: CRISI CLIMATICA ............................................................................................................................................... 3 INCENDIO NEL LONGARONESE ....................................................................................................................... 11 OLIMPIADI 2026: GLI AGGIORNAMENTI ........................................................................................................... 15 OLIMPIADI E ACCESSIBLITA’ ........................................................................................................................... 22 MONDIALI DI SCI 2029 ...................................................................................................................................... 22 MOBILITA’ ........................................................................................................................................................ 24 COLLEGAMENTO INTERVALLIVO CORTINA – ARABBA – CIVETTA ................................................................. 26 COLLEGAMENTO VAL FIORENTINA – CORTINA .............................................................................................. 26 MARMOLADA ................................................................................................................................................... 27 DOLOMITI AL CINEMA ...................................................................................................................................... 28 DOLOMITI IN TV ................................................................................................................................................ 29 NOTIZIE DAI RIFUGI.......................................................................................................................................... 32 NOTIZIE DAI PARCHI ........................................................................................................................................ 34 NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO ................................................................................................................... 37 NOTIZIE DAI CLUB ALPINI ................................................................................................................................ 37


CRISI CLIMATICA Corriere delle Alpi | 2 marzo 2022 p. 20 Sos dei glaciologi «I teli? Sono dannosi I nostri ghiacciai si scioglieranno» Francesco Dal Mas BELLUNO I ghiacciai plastificati? «Non si salvano così, col sudario di plastica, cioè con i teli geotessili», riflette a voce alta Jacopo Gabrieli, ricercatore bellunese dell'Istituto di Scienze Polari della sede di Venezia del Cnr. «I teli di copertura potranno ritardare la consunzione di uno, due anni. Ma fra 20 anni, 30 al più tardi, il ghiacciaio della Marmolada non esisterà più. Neppure quello del Senales».Sulla Marmolada i teli conservativi sono comparsi lungo alcuni tratti della pista più lunga d'Europa, ben 12 chilometri. Al Senales vengono utilizzati in maniera molto più ampia. «Sia chiaro: io, da studioso, non sono pregiudizialmente contrario a queste iniziative. Dico che non servono, perché i cambiamenti climatici e il gas serra in particolare non sono destinati a rallentare la loro corsa per cui è inevitabile lo scioglimento di queste superfici».Quest'anno sulle Dolomiti manca circa un metro e mezzo di neve. Ad oggi... «Se domani dovesse cominciare a nevicare non per giorni, ma per settimane, le temperature e il sole della tarda primavera e dell'estate scioglieranno gran parte della coltre bianca. Anzi, probabilmente», aggiunge Gabrieli, «intaccheranno lo stesso ghiacciaio. La fine, insomma, è ineluttabile».Gabrieli è uno dei 38 glaciologi che hanno sottoscritto un documento per spiegare, con motivazioni scientifiche, come questi teli non servono allo scopo. Gli studiosi appartengono al Comitato Glaciologico Italiano, Fondazione Montagna Sicura, Italian Climate Network, Servizio Glaciologico Alto Adige, Servizio Glaciologico Lombardo, Società Alpinisti Tridentini, Società Meteorologica Alpino-Adriatica, Società Meteorologica Italiana. «Se localmente i teli possono contribuire a rallentare la fusione, va detto che il vero modo per salvare i ghiacciai è non emettere più gas serra nell'atmosfera», aggiunge Gabrieli. «Dovrebbe essere ormai chiaro che si tratta di un modo per preservare delle legittime attività economiche e invece viene sempre più spesso presentato come un intervento sostenibile, una soluzione agli effetti avversi del cambiamento climatico. Credo che si tratti di una delle conseguenze di quello che definirei il business della sostenibilità».Per lo studioso, gli operatori turistici - ma non solo loro - dovrebbero già mettere in conto quanto accadrà fra 20 anni e immaginare le possibili alternative. E non solo per luoghi iconici come la Marmolada. «Oggi sono stato a sciare sul Nevegal. Tutto molto bello», afferma Gabrieli, con riferimento alla giornata di ieri, «ma ostinarsi a investire su quest'area sciistica ipotizzando la costruzione addirittura di un bacino d'acqua e come peccare di irrealismo».Ma tornando ai teli, Gabrieli sottolinea anche i limiti in sé dell'operazione: dall'impatto del carburante per alimentare i gatti delle nevi, a quello della produzione delle materie plastiche di cui sono composti i teloni stessi, fino alle conseguenze del rilascio delle fibre plastiche e al "soffocamento" di piante e animali che si spostano verso fasce più elevate, proprio in ragione del cambiamento climatico. "Un ghiacciaio ingegnerizzato è un accumulo artificiale di acqua allo stato solido, isolato, inaccessibile e impercorribile. Sono davvero questi i ghiacciai che vogliamo salvare per le future generazioni?", scrivono gli scienziati nel loro appello. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 2 marzo 2022 p. 20 Sulle Dolomiti bellunesi mancano 150 cm di neve rispetto alla media dal 2009 BELLUNO Sulle Dolomiti manca un metro e mezzo di neve sulla media delle precipitazioni degli ultimi 13 anni. E le precipitazioni che potrebbero arrivare nel fine settimana «sono troppo leggere per cominciare a dare un contributo», afferma il previsore dell'Arpav di Arabba Davide Dalla Libera. Altre nella prossima settimana? «Pare che non ce ne siano da mettere in conto», risponde.Dunque non resta che approfondire il bilancio in rosso dal primo ottobre al 28 febbraio. Casera Coltrondo, a 1967 metri di altezza, in Comelico, ha ricevuto quest'inverno solo 2 metri e 25 centimetri di neve. La media dal 2009 è stata di 3 metri e 54 centimetri, con un record, nel 2014, di 6 metri e 46. Passiamo dall'altra parte della provincia, sui monti Ornella: 2 metri e 54 cm quest'inverno, ben 7 metri e 18 cm nel 2014, l'anno scorso 6 metri. La media? 410 centimetri, Siamo sotto di oltre un metro e mezzo. A Malga Losch è nevicato per 2 metri e mezzo, come dalle altre parti; la media era di 3 metri e 94 cm. Scendiamo a Falcade, 1200 metri: sono 143 cm, quest'inverno, contro tre volte tanto l'anno scorso, 422 cm. La media? 2 metri e 42 cm, quindi manca un metro. A Col dei Baldi, davanti al Civetta, la quota di neve è stata la più alta, tre metri e 12 centimetri, ma la media è di 4 metri e 72, per cui siamo in carenza di 170 cm; l'anno scorso la precipitazione aveva raggiunto i 7 metri, nel 2014 gli 8 metri e 4 cm. Arabba si difende con un metro e 64 cm: nel suo caso la media è


di 3 metri 34 cm; l'anno scorso la precipitazioè stata di 5 metri e mezzo.«In questi primi cinque mesi gli eventi sono stati di scarsa entità, molto rapidi. Non si sono avute le grandi nevicate dell'anno scorso o del 2014», riferisce Dalla Libera, «che continuavano per più giorni».Per le piste da sci i problemi sono stati relativi perché la neve programmata è stata agevolata dalle basse temperate. Ne ha sofferto il paesaggio, o meglio il turismo, che dell'ambiente ha bisogno. Ne soffriranno le riserve idriche. Ma sul problema, conosciuto da Arpav, si preferisce soprassedere perché il tema è di altra autorità regionale: «È un tema attenzionato», afferma l'assessore regionale Gianpaolo Bottacin, «come Regione siamo preparati a ogni evenienza. Anche a quella, per la verità, che arrivino importanti precipitazioni primaverili». --fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 4 marzo 2022 p. 15 Il Veneto è sempre più a secco «Bisogna conservare l'acqua» Laura Berlinghieri / Venezia In un mondo che dell'emergenza fa ormai la sua quotidianità, ce n'è una che scorre (a fatica) a lato delle strade. Che si coglie con vette sempre più colorate. Con laghi e fiumi senza specchio.In Veneto non cade una goccia d'acqua praticamente da due mesi. La situazione è talmente grave che in alcune valli alpine si parla persino della possibilità di interrompere il servizio idrico. Sulle Dolomiti e sulle Prealpi, la sete si misura in 90 centimetri di neve, che dovrebbero esserci, ma non ci sono. Il livello del Brenta è inferiore di un metro e mezzo alla media. Nel suo bacino, il lago del Corlo è sceso di addirittura 13 milioni di metri cubi d'acqua, attestandosi a 9,7 milioni: record negativo dal 1996. I dati sono forniti da Anbi - Associazione nazionale consorzi gestione e tutela del territorio e acque irrigue. Pennellate di una situazione che è disastrosa ovunque. «In montagna, il manto nevoso è inferiore di circa un metro e mezzo rispetto alla media storica. E la neve è soprattutto fresca, la riserva è poca. I tre laghi di Santa Croce, del Mis e di Cadore hanno una soglia di riempimento più che dimezzata rispetto alla media storica. I fiumi hanno portate al limite dei flussi minimi vitali. E le falde acquifere segnano il record negativo degli ultimi 20 anni» spiega Andrea Crestani, direttore di Anbi Veneto, mettendo insieme tutte le tessere che compongono il quadro.Ci sono due piani, quindi. C'è una cornice di clima alterato, nella quale si innestano fenomeni, che, considerando una ciclicità sempre più rapida, non possono più ritenersi tali. «Lo stesso periodo di siccità che sta caratterizzando gli ultimi due mesi, lo avevamo vissuto nel 2017. Ma fenomeni che, un tempo, capitavano ogni 50 anni, adesso si ripetono ogni 2-3 anni. Penso ad esempio alle alluvioni. E questo non è un caso. È l'impatto del cambiamento climatico» analizza Crestani.A gennaio 2022, ad esempio, in tutto il Veneto sono caduti mediamente 28,1 millimetri di pioggia, contro i 59,2 millimetri di media storica. In tutto il mese, è stata apprezzata appena una nevicata significativa. I parametri indicano un grado di severità della crisi idrica ancora basso, perché gli usi dell'acqua sono tutti soddisfatti. Ma, con l'inizio della stagione dell'irrigazione, anche l'osservatorio per le crisi idriche, in seno all'autorità di bacino delle Alpi orientali e del Po, potrebbe cambiare idea.Perché non piove. E, con la situazione di crisi idrica generalizzata, non c'è alcun aiuto a cui aggrapparsi.«L'agricoltura sta diventando sempre più efficiente e sostenibile, grazie a tecniche di irrigazione rinnovate. I consorzi di bonifica distribuiscono l'acqua e, soltanto in Veneto, abbiamo in programma una spesa da 300 milioni di euro, provenienti dal Pnrr, per rendere le reti più efficienti. Ma non basta. Nella nostra regione non ci sono laghi o invasi che contengano acqua; dei 900-1000 millimetri di pioggia che scende ogni anno, ne tratteniamo appena il 5%, contro il 10% nazionale. Lavoriamo otto mesi all'anno, per portare l'acqua verso il mare, avendone troppa. Ma nel resto dell'anno non ne abbiamo» dice Crestani, proponendo la costruzione di invasi, per riequilibrare la situazione.«Dopo il Vajont, non ne abbiamo più realizzati di alcun tipo. Si potrebbero utilizzare le cave dismesse. Oppure costruire invasi interaziendali, che possano servire le aziende agricole, raccogliendo l'acqua in inverno e in primavera, da riutilizzare in estate. Sarebbe un esempio di resilienza in un territorio che cambia. La nostra regione non ha mai avuto problemi con l'acqua, ma il cambiamento climatico ha creato un'importante alternanza tra i periodi di pioggia e quelli di siccità. Un'alternanza alla quale dobbiamo far fronte, se non vogliamo compromettere l'agricoltura della nostra regione» dice il presidente di Anbi.Parla di un'agricoltura che, con 6,4 miliardi di fatturato, è la seconda in Italia. E che ora è chiamata a difendersi dalla natura, madre e matrigna. In un capovolgimento che non ha vincitori. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 5 marzo 2022 p. 16 Poca neve in quota e invasi semivuoti: serve un marzo di precipitazioni record BELLUNO


Per arginare la siccità in provincia di Belluno è necessario che nel mese di marzo piova per almeno 218 mm, ossia più di tre volte la precipitazione media del mese che dal 1994 è di 67 mm. Lo afferma l'Arpav, attraverso il bollettino sulle risorse idriche, riscontrando che il deficit pluviometrico già accumulato da ottobre è di 151 mm. Una curiosità: il mese di febbraio è stato il decimo meno piovoso dal 1994 con solo 72 millimetri alla stazione Arpav di Seren del Grappa, dove, però, in 5 mesi sono caduti 886 mm, più che in ogni altra parte del Veneto, ma sempre al di sotto della media. Quanto alla neve, il deficit, rispetto alla media dal 2009, è del 30%, pari a circa 120 cm (nelle Prealpi del 45, pari a 110 cm). «Le riserve idriche nivali», afferma l'Arpav, «sono ancora assai scarse: a fine febbraio sono stimabili in 140-50 milioni i metri cvi nel bacino bellunese del Piave». Solo il 2012 ed il 2017 presentavano un volume minore. Nel bacino del Cordevole la risorsa di neve è di circa 90 milioni di metri cubi. Dighe e laghi I serbatoi principali dell'alto Piave sono pieni al 48% del volume massimo invasabile, in particolare la diga di Pieve di Cadore si è mantenuta stabile e a fine febbraio risulta soltanto del 12% al di sotto del volume massimo invasabile. Santa Croce è in leggera ripresa, dopo un sensibile calo nella prima quindicina di febbraio, per cui a fine mese si presenta a metà del volume (al di sotto del 10% della media dal 2009). Il Mis ha più acqua degli altri bacini, quindi il 56% del volume, al di sopra dell'11% della media storica. Anche il serbatoio del Corlo, in comune di Arisè, dopo aver raggiunto a metà febbraio il minimo storico per il periodo, ha mostrato un deciso incremento dei volumi invasati a partire dall'ultima settimana di febbraio, pur se con un valore piuttosto basso: 12 milioni di metri cubi, 1,2 in meno dalla fine di gennaio. E qui siamo al 31% del volume attualmente invasabile.Fiumi e torrentiIn febbraio, dunque, ancora condizioni di magra invernale sulle sezioni montane del Piave: il Fiorentina a Sottorovei registra una portata inferiore del 36%, il Boite a Podestagno del 32%, i Padola a Santo Stefano del 31%, il Cordevole a Saviner del 25% e il Piave a Ponte della Lasta del 18%. Solo sul Boite a Cancia la portata appare più sostenuta (-4%). Sul bacino prealpino del torrente Sonna a Feltre deflussi piuttosto ridotti ed in leggero calo (-51%). Il volume defluito nei primi cinque mesi dell'anno idrologico (dal 1° ottobre), è inferiore del 24% sul Boite, del 40% sull'alto Piave, del 40% sul Cordevole, Fiorentina e Sonna. La conseguenza prima di questa situazione? «Senza dubbio la siccità», risponde il glaciologo Franco Secchieri. «Come si può desumere dai dati pubblicati dall'Arpa Veneto, in montagna il manto nevoso è ridotto e questo significa che per i ghiacciai si prospetta un'altra stagione estiva negativa con una ulteriore e consistente perdita di area e volume. I ghiacciai infatti vivono e sopravvivono grazie alla neve, specie quella che rimane sulla loro superficie dopo aver superato il caldo della stagione estiva». -Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 15 marzo 2022 p. 12 La siccità consuma il Veneto il mese scorso piogge a -52% Venezia Il Veneto sta vivendo una forte siccità, che si trascina dalla seconda metà del 2021, e che, dopo un inverno con poca neve, ha visto a febbraio un apporto di piogge inferiore del 52% alla media storica del mese.Le due autorità di bacino della regione, (Po e Alpi Orientali) hanno decretato lo stato di "severità idrica bassa". La circostanza è stata resa nota con il bollettino dell'Anbi, l'associazione dei consorzi di bonifica e gestione dei corpi irrigui. Pioggia e neve caduti a febbraio sul territorio sono stati stimati in circa 534 milioni di metri cubi d'acqua, il 52% in meno della media. La parte meridionale del Veneto ha fatto registrare le quote minime di precipitazione, con le stazioni rodigine di Adria e di S. Apollinare ferme a circa 3 millimetri, e Concadirame (Rovigo) e Tribano (Padova) a circa 5 millimetri. A livello di bacino idrografico, rispetto alla media 1994-2021, si riscontrano ovunque condizioni di deficit pluviometrico. Scarso in questa stagione invernale anche l'apporto garantito dalle nevicate. Le ultime precipitazioni di metà febbraio a incrementato lo spessore del manto nevoso; l'assestamento e la mancanza di nuove nevicate ha però portato l'indice sotto il valore medio. I fianchi delle montagne completamente senza neve, con le sole piste da sci generate artificialmente, sono stati ampiamente fotografati. Le portate dei corsi d'acqua tra dicembre scorso e febbraio sono tutte in deficit: Adige -24%, Po -47%, Brenta -43%, Bacchiglione -56%. --


Corriere delle Alpi | 16 marzo 2022

p. 21, segue dalla prima Il cielo delle Dolomiti si tinge di giallo: è la sabbia del Sahara portata dal vento il fenomeno Francesco Dal Mas Il Pelmo giallo? Che cosa sta accadendo? «Mai vista una neve color seppia», commenta dal rifugio Città di Fiume il gestore Mario Fiorentini. Dello stesso tenore la sorpresa al rifugio Lagazuoi. Le Marmarole e, dall'altra parte, il Cridola e gli Spalti di Toro, ingialliti anch'essi. Quasi montagne, come dire, d'antiquariato. Forcella Giau e Lastoi di Formin così non li abbiamo mai visti. Il Gran Vernel Neppure. E nemmeno la Tofana. Che cosa sta accadendo? Tranquilli, rasserenano dalla Fondazione Dolomiti Unesco: «Non sono fotografie dal passato, non si tratta di immagini vintage "effetto seppia", sono istantanee dalle Dolomiti. Responsabile è la sabbia del Sahara che attraversa il Mediterraneo verso l'Europa».L'esperto del CnrUna novità, non del tutto tranquillizzante ce la passa Biagio Di Mauro, un ricercatore del Cnr che sta lavorando sulle deposizioni sahariane. «Questa sabbia, o meglio polvere del Sahara, depositandosi, rischia di accelerare la fusione della poca neve che è rimasta. E in base agli studi che ho compiuto, può accelerarla


anche di un mese». Un evento analogo, ricorda Di Mauro, lo si è avuto nel mese di febbraio dell'anno scorso. Solo che allora il manto nevoso era ben superiore. «La polvere è arrivata ieri mattina dal deserto in Spagna, ha cominciato a depositarsi sui Pirenei, e ha raggiunto le Alpi. A Davos sembra che abbia toccato terra. Modificherà la riflettività della neve, quindi i tempi della fusione». Con riflessi anche sull'acqua? «Questo è tutto da vedere, dipende da quando la neve sarà "sporca"». Tutta colpa, anche in questo caso, dell'anticiclone africano che sta interessando pure le Dolomiti. Il fenomeno potrebbe continuare sino a questa mattina. La parola ad ArpavSiamo tutti abituati ad ammirare la neve bianca che ricopre i prati, gli alberi, le montagne. L'osservatore nivologico esperto, quando scava una buca nella neve, è capace invece di leggere e interpretare i vari colori del bianco, da quello opaco della neve ventata o appena caduta, a quello azzurro leggero per i primi processi di crescita cinetica, all'azzurro inteso della neve bagnata. Mauro Valt, nivologo dell'Arpav di Arabba, ha pubblicato uno studio dedicato alla "neve rossa" - così la chiama - per la presenza di polveri sahariane, che spesso si può osservare sia in superficie che nei profili stratigrafici del manto nevoso in strati sommersi nonché nelle carote di neve estratte dalle nevi annuali e dai ghiacciai. «Oggi, diversi progetti europei hanno studiato il trasporto della sabbia sahariana verso l'Europa e il suo impatto nelle precipitazioni anche come eventi di aumento delle concentrazioni di PM10».Neve inquinata ed inquinante, dunque. Diversi gli impatti a larga scala degli eventi di trasporto di neve sahariana: «Un significativo incremento del rischio valanghe per il disturbo alla tessitura della superficie del manto nevoso; una diminuzione dell'albedo della neve con un aumento dell'ablazione durante la primavera con un effetti sul bilancio di massa dei ghiacciai alpini; una sostanziale neutralizzazione del forte inventario acido del manto nevoso stagionale a causa dell'ingresso di polvere alcaline che forniscono anche un flusso supplementare di oligoelementi essenziali e sostanze nutritive per le aree alpine ecologicamente sensibili». Il fenomeno osservato ieri, e che, come detto, probabilmente continuerà questa mattina, non è del tutto trascurabile per gli studiosi. Meriterebbe ancora più approfondimenti, soprattutto per quanto riguarda la qualità delle acque. Specie nel caso in cui i depositi delle polveri sul manto nevoso fossero davvero consistenti.Impiantisti preoccupatiCommenta Marco Grigoletto, presidente dell'Anef, l'associazione degli impiantisti: «La neve che ci rimane in pista è quella che ci basta per arrivare a Pasqua, le previsioni meteo non ne danno di fresca, ci mancherebbe che quella presente si fondesse anzitempo». «Il Covid, la crisi energetica, l'Ucraina e adesso anche il Sahara... proprio no», sospira l'uomo delle nevi cristalline. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 18 marzo 2022 p. 22 Allarme di Barbante sul clima che cambia: ormai siamo davanti a una crisi conclamata lo scienziato Raffaele Scottini «Fino a qualche anno fa si parlava di cambiamento, adesso però vista l'accelerazione cominciamo tutti a parlare di una crisi climatica vera e propria». Parte da questo presupposto Carlo Barbante, direttore dell'istituto di scienze polari del Cnr, docente all'università Ca' Foscari di Venezia e feltrino doc, che si occupa da anni di ricostruzioni climatiche ed ambientali. Barbante sarà tra i relatori, domani all'istituto canossiano, dell'incontro "Il clima cambia, la montagna risponde".«Le aree montane sono in prima linea», dice lo scienziato feltrino difensore del clima. Che aggiunge: «Uno degli effetti più importanti che abbiamo visto è l'estremizzazione degli eventi, cioè aumenta la frequenza degli eventi sopratutto piovosi, ma anche secchi, importanti. Quindi non piove per lunghi periodi e poi nel giro di pochi giorni cadono enormi quantità d'acqua. Questo comporta effetti molto seri sulla resistenza dei nostri fiumi e degli effetti a cascata che abbiamo visto ad esempio con la tempesta Vaia». Come può rispondere la montagna a tutto questo? «A livello globale le strategie da mettere in atto sono legate alla mitigazione, quindi cercare di ridurre le emissioni di gas serra, che sono responsabili dell'innalzamento della temperatura. A livello più locale l'adattamento è essenziale. Vuol dire prepararsi a quello che sta accadendo, quindi tutte le comunità devono essere pronte. Sto pensando ai bacini di laminazione, alle briglie per i torrenti, evitare di costruire in zone potenzialmente a rischio. Tutte queste sono attività che aiutano a far fronte agli eventi che saranno via via sempre più estremi». Come si presenta il territorio bellunese in questo panorama? «Abbiamo delle zone che sono letteralmente a rischio, lo abbiamo visto nel 2018 quando Vaia a messo a nudo tutte le nostre criticità. Ma ha fatto emergere anche le nostre eccellenze, ad esempio sulla previsione. Una delle cose che ha funzionato bene è stato l'aspetto previsionale di quell'evento veramente catastrofico, che avrebbe potuto costarci molto di più. Ma la prevenzione è stata ottimale, a livello di previsione meteo-climatica, di Protezione civile, di Comuni. Questa è una cosa che ha funzionato bene. Del resto un evento del genere era così importante che le aste fluviali sono state messe sotto grande stress, dall'Agordino, alla Val Fiorentina, al Feltrino».Quale lezione ci ha lasciato? «Dobbiamo aspettarci eventi estremi con forti precipitazioni e forti raffiche di vento. Sono eventi che avverranno purtroppo con maggior frequenza, lo sappiamo e dobbiamo quindi essere pronti a fronteggiarli». Ci sono zone che preoccupano di più? «Le aree montane sono tutte ad alto rischio. In alcune zone sono stati fatti sistemi protettivi, bacini di laminazione o altro, ma dove c'è un torrente e ci sono precipitazioni importanti, è chiaro che questo è sotto forte stress. Comunque si sta lavorando molto, anche a livello provinciale, per mettere in sicurezza uno alla volta i punti più critici».I nostri ghiacciai sono i primi testimoni del cambiamento globale. «Reagiscono in maniera molto rapida, essendo fatti di acqua solida ovviamente hanno una fusione molto rapida e questo comporta, oltre alla perdita della risorsa acqua, anche uno sconvolgimento molto spesso legato agli assetti idrogeologici dei nostri territori. Il ghiacciaio della Marmolada ha perso l'80 per cento


della massa nel giro di ottant'anni. È una sentinella del cambiamento climatico. I ghiacciai di alta quota, a 4 mila metri, andranno a sparire entro la fine del secolo. La Marmolada a questi ritmi molto prima». Qual è il messaggio che si vuole cercare di trasmettere? «Quello legato all'adattamento. Ormai il cambiamento climatico è in atto. Alcuni punti di non ritorno sono stati già raggiunti, quindi è bene che il nostro sistema, a partire dalle piccole comunità, pensi a delle soluzioni di adattamento che facciano fronte a questo forte cambiamento. Cioè la tutela dell'ambiente, la manutenzione continua degli alvei fluviali, piuttosto che dei boschi e così via. Sono tutte cose che ci consentono di diminuire un po' l'impatto che è in corso e che avverrà sempre più violento. Ormai parliamo proprio di crisi climatica e una crisi va affrontata con mezzi estremi». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 18 marzo 2022

p. 22 Il ghiacciaio dell'Antelao per riflettere Quello che resta del ghiacciaio dell'Antelao, in una foto del 2013 scattata da Alberto Perer. È questa l'immagine emblematica scelta dalla Fondazione Dolomiti Unesco per invitare sui social a seguire l'appuntamento di domani all'istituto canossiano di Feltre. L'immagine di Perer e l'invito sono stati pubblicati sulla pagina Facebook "Dolomites Unesco", interfaccia social della Fondazione. A destra lo scienziato feltrino Carlo Barbante e una immagine della Culiada devastata il giorno dopo la tempesta Vaia

Corriere delle Alpi | 18 marzo 2022 p. 22 Gli specialisti si confrontano all'auditorium canossiano FELTRE Portare consapevolezza sul tema dell'ambiente e l'attenzione al mondo della montagna. Con questo spirito le associazioni Lions Feltre Host e Leo club di Feltre organizzano la conferenza dal titolo "Il clima cambia, la montagna risponde", domani all'auditorium dell'istituto Canossiano in occasione della giornata internazionale dedicata all'azione per il clima.Il gruppo di lavoro ha rimesso in campo l'iniziativa che era stata prevista inizialmente per la primavera del 2020, ampliando la proposta sia nei contenuti che nella modalità. L'iniziativa, pensata per le scuole del Feltrino, gli ordini professionali degli ingegneri di Belluno, geologi della Regione e dottori agronomi della Provincia, verrà trasmessa in streaming nei canali YouTube, Facebook e Instagram di "ValdoTV". La diretta inizia alle 8. «Ci saranno ospiti internazionali e un tavolo tecnico direttamente correlato al mondo della montagna veneta», dice commenta il presidente del Lions Feltre Host Paolo Raineri. «L'invito a partecipare è quindi esteso a tutte le persone che vogliono conoscere di più su un tema così attuale con opinioni importanti ed autorevoli, ma anche una prospettiva molto vicina alla nostra zona».Il programma si divide in due momenti principali: una prima ora accademica con i docenti Carlo Barbante, Piero Gianolla (professore ordinario di fisica e scienze della terra all'università di Ferrara) e Geremia Gios (professore senior del dipartimento di economia e management dell'università di Trento) per l'analisi del cambiamento climatico dal punto di vista delle sfere glaciologica, geologica ed economica, e una seconda


parte che prevede un tavolo tecnico il cui fine è esplorare la risposta della montagna veneta al cambiamento climatico. Interverranno Alvise Luchetta (direttore ai lavori pubblici e edilizia della Regione), Gianvittore Vaccari (Ad di Veneto Acque), Nicola Dell'Acqua (direttore di Veneto Agricoltura) e Nicola Gaspardo del Genio Civile di Belluno. Le conclusioni della conferenza saranno a cura dell'assessore regionale Gianpaolo Bottacin.«Questo evento vuole stimolare la sensibilizzazione sul cambiamento climatico», dice Elisa Miglioranza, socia Leo club. «La finalità è dare una visione d'insieme aggiornata e competente, ma anche rendere consapevole il pubblico delle risposte concrete e attualissime che la nostra montagna porta rispetto a un tema che ci riguarda sempre più da vicino». --Sco© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 20 marzo 2022 p. 16 L'attuale siccità? «Evento estremo come Vaia nell'ottobre 2018» Francesco Dal Mas FELTRE Lo sapete che dopo il disastro di Vaia i corsi d'acqua del Bellunese hanno perso i due terzi dei pesci? E che le temperature in provincia e nel Veneto si stanno alzando di mezzo grado ogni 10 anni? E che il fronte del ghiaccio della Marmolada si è ritirato di 650 metri dal 1985? E che a Natale per raggiungere lo zero termico bisognava salire di 200 metri sopra la Marmolada, quindi a quota 3500 metri? Lo sapevate che dal dicembre scorso in provincia sono caduti soltanto 36 mm di neve? Bastava essere ieri mattina alla conferenza del Lions Feltre Host e del Leo Club di Feltre per rendersene conto. «Non chiamiamoli cambiamenti climatici, ma crisi climatica», è stato il monito del professor Carlo Barbante, del Cnr.Numerosi altri i relatori, mentre le conclusioni sono state dell'assessore regionale all'ambiente, Gianpaolo Bottacin, che ha invitato i numerosi presenti all'auditorium delle Canossiane a non affrontare questo delicato tema in termini ideologici. È stato Gianvittore Vaccari, presidente della società "Veneto Acque", a citare un dato del tutto nuovo e che farà discutere: dopo il terremoto provocato da Vaia, nei rii, nei torrenti, nei fiumi e nei laghi della provincia, la fauna ittica - ha riferito si è ridotta ad un terzo. Cioè abbiamo perso i due terzi dei pesci, «per cui», ha insistito il dirigente, già sindaco ed ex parlamentare, «bisogna ripopolare le nostre acque, rinaturalizzare i flussi».E quando si parla di acqua, non si può non tener conto del meteo, delle precipitazioni, dei ghiacciai. Se in 36 ore, con Vaia, sono caduti 621 mm d'acqua (il record è stato registrato alla stazione di Valpore di Seren del Grappa), da dicembre ad oggi le precipitazioni si sono limitate a 36 mm. «Anche questo è un evento estremo», ha commentato Barbante, «come lo è stato quello di fine ottobre 2018». Ed è stato sempre lo studioso feltrino del Cnr a parlare dei ghiacciai e in particolare delle condizioni pietose in cui si trova quello della Marmolada. Dal 1985 ha perso il 65% del volume e, appunto, 650 metri di fronte.I risultati di questi cambiamentiNegli ultimi 5 anni, i mari si sonno alzati - così ha certificato ancora Barbante - di 5 millimetri l'anno. «Tutta "colpa" della temperatura». L'assessore Bottacin ha riferito che «in Veneto c'è stato in trent'anni un aumento medio di 1,5 gradi, ossia, 0,5 ogni 10 anni». Che cosa significa? «Significa, ad esempio», ha detto Piero Gianolla, veneziano, del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell'Università di Ferrara, «che il 27 dicembre, cioè nel cuore dell'inverno, per raggiungere gli zero gradi bisognava salire a 3500 metri. La Marmolada ne misura 3300. Quindi bisognava alzarsi ancora di 200 metri». Proviamo a tradurre? «Evidentemente bisogna pensare a qualcosa di diverso dallo sci».Gli interventiLa conferenza di ieri si è articolata in una prima parte "accademica" con i professori Barbante, Gianolla e Geremia Gios che hanno analizzato cambiamento climatico dal punto di vista delle sfere glaciologica, geologica ed economica e una seconda parte che ha esplorato la "risposta della montagna veneta" al cambiamento climatico con Vaccari (A.D. di Veneto Acque SPA), Nicola Gaspardo (Genio Civile di Belluno) e le conclusioni di Bottacin. Tutti i relatori hanno affrontato il tema loro assegnato "con le pinze", cioè lontano dalle declamazioni assolute. Gios, dell'Università di Trento, ha detto che «le risorse naturali non è saggio tenerle "mummificate", ma devono essere valorizzate con le necessarie attenzioni e, in ogni caso, lontano da ogni forma di assistenzialismo, oltre che di "vincoli assoluti"». Anche, anzi soprattutto in agricoltura. «Bisogna dunque conoscere il limite di ogni attività in montagna. E soprattutto saperlo rispettare». Gaspardo ha raccontato Vaia e il post Vaia. Vaia è collegabile con i cambiamenti climatici? «Solo in parte», ha puntualizzato il dirigente del Genio Cvile, «è stato piuttosto un segnale che conferma la tendenza in atto verso gli eventi estremi». Tendenza con la quale bisognerà convivere, ma sicuramente - come ha raccomandato Vaccari - cambiando atteggiamento.In auditorium c'erano numerosi studenti. Vaccari ha spiegato che la cura dell'ambiente comporterà nuove specializzazioni e, di conseguenza, nove professioni. Una di queste sarà, ad esempio, la gestione dei droni, la cui applicazione in questi ultimi anni «è stata straordinaria, perché ha permesso di vedere tanti aspetti che fino ad oggi risultavano sconosciuti». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 20 marzo 2022 p. 16


Mitigazione e inversione di rotta «Ecco come si muove la Regione» L'intervento Quando l'assessore regionale Gianpaolo Bottacin ha chiesto quanti sarebbero disposti a rinunciare al cellulare per non aggravare gli effetti della crisi climatica, solo in cinque hanno alzato la mano della nutrita platea riunita alle Canossiane. Questo per significare - ha commentato Bottacin - che i temi della conversione ecologica, o se vogliamo della transizione, non possono essere affrontati con approcci ideologici. L'assessore ha esemplificato ricordando il Deflusso Ecologico che in provincia di Belluno - ha specificato - si potrebbe tradurre in metà dell'energia idroelettrica da produrre. Quali le alternative? Il riscaldamento con le biomasse? «Ma questi impianti», ha ricordato ancora l'assessore, «sono tra i maggiori produttori di polveri sottili. E, allora, il fotovoltaico? Ma», si è chiesto, «siamo disponibili a coprire le valli di pannelli solari? Eppure qualcosa occorre fare. E, per la verità, si sta facendo». «In tema di clima, partendo dai dati oggettivi bisogna attrezzarsi sia in termini di mitigazione degli effetti, sia per cercare di invertire la rotta. Circa la mitigazione del rischio, come Regione abbiamo in campo un ambizioso piano da 3,2 miliardi di euro di cui negli ultimi anni sono state già eseguite opere ben oltre un miliardo di euro», ha fatto sapere Bottacin. «Per invertire la rotta stiamo cercando di incentivare, anche qui con importanti investimenti (un miliardo e 200 mila euro), il miglioramento degli strumenti che inquinando l'ambiente incidono pure sul clima (sostituzione auto e vecchie stufe, del parco treni e autobus ad esempio), ma anche focalizzando l'attenzione su comportamenti corretti (ad esempio un uso attento delle temperature da tenere in casa)».Bottacin si è soffermato soprattutto sul Piave, sollecitando il bacino di laminazione di Ciano del Montello per garantire la sicurezza delle popolazioni rivierasche. «Dobbiamo fare i conti, quasi per ogni opera, con i comitati. Comprendiamo sensibilità ed esigenze di partecipazione, ma a volte c'è mera contrapposizione». E a questo riguardo, ha denunciato che persino per una rotatoria bisogna fare la valutazione d'impatto ambientale che porta via un anno di tempo. --fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA

Messaggero Veneto | 27 marzo 2022 p. 39, edizione Pordenone Siccità e rubinetti a secco A Casso c'è l'autobotte Fabiano Filippin Erto e CassoIl primo bersaglio della siccità è la frazione di Casso: da alcune ore l'abitato è infatti alimentato grazie ad autobotti collegate all'acquedotto centrale. A causa dell'elevata altitudine su cui sorge, Casso è spesso soggetta a carenze d'acqua. Le sorgenti d'alta quota risultano infatti molto superficiali, con la conseguenza che si seccano completamente dopo un periodo di scarsità di precipitazioni. Le cisterne vengono gestite da Hydrogea, la società pubblica che si occupa del servizio idrico in Val Vajont. Anche in passato si era reso necessario il ricorso alle autobotti, con alti costi e preoccupazione per il rischio di incendi. Proprio sotto questo aspetto, anche Erto e Casso sta seguendo con apprensione l'evolversi del rogo che da giorni sconvolge Fortogna. La località del Longaronese, dove tra l'altro è stato realizzato il cimitero comune delle vittime del Vajont, è sotto scacco a causa di un fronte di fuoco che non accenna a diminuire. Il fumo ha invaso pure Erto e Casso, distante pochi chilometri dall'epicentro dell'emergenza, e in alcuni momenti ha oscurato parzialmente il sole. Il sindaco Fernando Carrara è anche presidente del Parco naturale delle Dolomiti friulane e si è messo a disposizione dei colleghi del Bellunese per l'eventuale invio di mezzi e uomini di supporto nelle operazioni di spegnimento. --© RIPRODUZIONE RISERVATA


INCENDIO NEL LONGARONESE Corriere delle Alpi | 24 marzo 2022

p. 2., segue dalla prima Rogo a Longarone notte di allerta Le case di Fortogna sorvegliate a vista LONGARONE Ieri sera sembrava l'apocalisse. Difficile pensare che quel rogo furioso con un fronte di oltre quattro chilometri sia partito da tre colonne di fumo che ieri mattina salivano sulle crode sopra Becola, zona Rio dei Frari, sopra Fortogna. Tant'è. Più che per l'eventuale corrispondenza ad altrettanti tre inneschi, il sospetto dolo viene dalla quota del territorio interessato. Troppo alta: solo una sbadataggine grossa come una casa o una volontà incendiaria avrebbero potuto ferire l'area così in alto, alimentando un incendio che solo i mezzi aerei han potuto provare a domare. E alle porte di un Parco nazionale che per ora non è stato interessato. Fortogna ieri sera era osservata speciale: si temeva che il fronte del fuoco si abbassasse alle porte della frazione, aggredendo qualche edificio sulla costa della montagna. «Fortogna va sorvegliata», spiegava il sindaco Roberto Padrin ieri sera: dalle 18 è andato a rendersi conto di persona di quanto stava succedendo. «Abbiamo fatto un giro su alcune case per tenerle in preallarme», continua Padrin, «quelle più vicine alla montagna. Perché l'incendio sembrava lato, ma a un certo punto è sceso molto velocemente: la preoccupazione c'è, quindi bisogna vigilare e stare attenti. Non c'è motivo per evacuare ma la situazione va tenuta sotto controllo, il fronte è molto vasto e le fiamme sono scese molto». Case e casere da controllare: di una sicuramente non si sa che fine abbia fatto, la casera comunale gestita da un comitato di Becola: «Non sappiamo se si sia salvata perché non abbiamo elementi per dirla», riprende Padrin. «Poi tutto il paese ho avvisato e protezione civile e vigili del fuoco faranno i presidi di notte». Il sentiero per Becola viaggia molto alto: zone difficili da raggiungere a piedi: le squadre antincendio e i vigili del fuoco hanno operato nelle aree basse. Per tutto il giorno i Canadair impiegati sono andati avanti e indietro. Ma il rogo continuava a ingigantirsi e a mangiare territorio. Ieri sera il fumo aveva invaso Agordino, Valbelluna, la stessa Belluno aveva il tramonto oscurato come quando, qualche giorno prima di Vaia, andò in cenere la valle di San Lucano in Agordino. Là, sopra Fortogna, le fiamme si sono sprigionate intorno alle 9 del mattino. Sembrava che si potessero arginare con l'ausilio di uno dei due elicotteri della protezione civile regionale ma così non è stato: le squadre a terra di vigili del fuoco permanenti di Belluno e volontari di Longarone, le squadre comunali e dell'antincendio boschivo regionale, potevano fare poco. Ma vento e aria hanno alimentato le fiamme, ingigantendo il fronte: nel primo pomeriggio sono entrati in azione i Canadair che hanno continuato a


buttare acqua. Stamane riprenderanno le operazioni con i mezzi aerei, sperando che la notte non abbia portato ulteriori pericoli. Il fuoco correva veloce. In serata è stata decretata la chiusura della ferrovia per Calalzo, e si temeva anche per la statale Alemagna. Delle indagini si stanno occupando i carabinieri forestali di Belluno coordinati dal tenente colonnello Corbini. È presto per dire se effettivamente si possa trattare di dolo: certo è sospetta la quota alla quale si sono sviluppate le fiamme. Al di là di quelli che sembrano tre inneschi in corrispondenza dei tre punti di fuoco sopra Fortogna: le circostanze parlano da sole, fermo restando che resta plausibile che materiale in fiamme possa rotolare, alimentando il rogo in altri punti, secchi e siccitosi. In allarme anche i comuni limitrofi, come Ponte che ha attivato il tavolo operativo di controllo. Il sindaco Vendramini: «ci siamo allertati con la protezione civile e gli uffici e stiamo monitorando la situazione. Erba e sterpaglia bruciano: vedo tre fronti, sembra doloso». «Un dato di fatto: i troppi mesi di siccità, una certezza la stupidità di chi si comporta in maniera imprudente (o delinquente). Grazie a tutti quelli che si stanno impegnando per le operazioni di spegnimento», diceva ieri il parlamentare Roger De Menech. --Cri.CO© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 25 marzo 2022 p. 2 Incendi di Longarone sotto controllo Oggi tornano canadair ed elicotteri Cristina Contento Longarone Sull'Alemagna si vedono a stento anche i display che avvertono della chiusura della 251 Val di Zoldo: una cappa infame di fumo che rende l'aria irrespirabile e spegne il sole che rivive solo all'altezza di Villanova. Incendi giorno 2: la passione. Quella degli abitanti di Fortogna, Igne e Soffranco, della Valle di Zoldo isolata chissà fino a quando, sotto scacco di due roghi devastanti al punto che la Regione Veneto, per mano del governatore Luca Zaia ha dichiarato lo stato di crisi nell'area longaronese: «Personalmente e con tutte le strutture della Protezione Civile regionale - informa Zaia - stiamo monitorando da giorni la situazione, che riguarda più province del Veneto. Siamo già intervenuti tempestivamente in varie situazioni per assicurare il ritorno alla normalità. Stiamo inoltre tenendo sotto stretta osservazione la qualità dell'aria».Ieri un miglioramento nella lotta al fuoco: in serata erano entrambi i fronti sotto controllo ma non completamente spenti: a Fortogna di nuovo notte di presidi. Stamane si riprende con tre Canadair, due elicotteri della protezione civile e due Erickson S-64 per l'azione definitiva (si spera). Spento il focolaio a cavallo del Rio dei Frari che rischiava di attecchire saltando il fosso.Non ci sono state evacuazioni di paesi o frazioni, ma nello Zoldano si fa fatica a uscire dalla valle: stamane un pullman di Dolomitibus permetterà agli studenti di andare a scuola a Longarone e Belluno. A causa del rogo resta chiusa una stazione ferroviaria (Ponte delle Alpi) e bloccate tre linee dell'alta tensione per lo spegnimento in sicurezza.Cinque chilometri di fronte l'incendio di Fortogna, almeno un chilometro quello tra Igne e Soffranco: oggi si conta di poter spegnere, già da ieri la potenza del fuoco era stata abbassata dai viaggi di canadair ed elicotteri iniziati al mattino presto. Almeno queste le speranze che sono state manifestate nel vertice tra enti e forze in campo, tenuto ieri pomeriggio a Longarone. I sindaci Padrin e De Pellegrin hanno fatto il punto della situazione con Arpav, Veneto Strade, vigili del fuoco e altri enti che stanno intervenendo nello spegnimento. «La situazione in questo momento è sotto controllo» diceva Padrin finita la riunione «Grazie al lavoro, soprattutto nel pomeriggio, fatto da Canadair, Ericson e elicotteri, devo dire che gran parte dei focolai sopra Fortogna sono stati spenti, s'è buttato anche ritardante con il Canadair, un gran lavoro per evitare che il fuoco si diriga verso Cajada. I vigili del fuoco resteranno a presidio dei paesi per tutta la notte»:Arrivati anche i primi risultati Arpav sui campionamenti dell'aria: «sui pm10 ha dato valori in mattinata notevolmente superiori al limite dei 50 microgrammi per metro cubo: 480 Belluno alle 11, 220 Treviso 225 Conegliano. Nel giro di un paio di ore tutto è tornato nella norma e ci darà quelli su diossine e altri valori campionati».Alle 13 il livello delle polveri PM10 era pari a 120 microgrammi per metro cubo e alle 16 il valore è era rientrato sotto il limite giornaliero di 50. Arpav continua a monitorare la situazione.«Non è ancora spento l'incendio a Soffranco, e questo non fa riaprire la 251» sottolinea Padrin con estremo rammarico. Oggi ispezione geologica con i droni per vedere i disgaggi da fare. «Ma lì bisogna aprire il prima possibile. Mi spiace molto per gli abitanti della Val di Zoldo che sono bloccati in casa o devono fare giri pazzeschi per uscire dalla valle e con le piogge il rischio è che si muovano i versanti perché comunque quella montagna la conosciamo. Sarà fondamentale la mattinata di oggi con tre Canadair e due Erickson che dovrebbero riuscire a completare lo spegnimento. A Fortogna sono rimasti fumetti e focolai che si vedono a occhi nudo: il fuoco si è spostato verso il cimitero ma lì si è fatto un gran lavoro con i Canadair per evitare il peggio».Nessuna evacuazione, scuole aperte: i ragazzi sono invitati a portare la mascherina all'esterno. Anche alcune aziende sono rimaste chiuse per l'aria irrespirabile. «Ringrazio tutti coloro che si sono attivati conclude il sindaco - volontari permanenti, vigili del fuoco, Regione, polizia, carabinieri. E ringrazio i cittadini che con pazienza e dignità hanno affrontato anche questa difficile esperienza dalla quale usciamo con un invito alla massima allerta specie in questi giorni perché la pioggia è prevista solo da mercoledì». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 28 marzo 2022


p. 17 Incendi, il vento riattiva alcuni focolai Paola Dall'Anese Longarone Continua senza sosta l'attività di Canadair ed elicotteri per spegnere i focolai che ripartono, improvvisi, tra Longaronese e Zoldano. Ieri è stato fermato un principio di incendio sopra Codissago, «grazie all'intervento repentino degli elicotteri che, prelevando l'acqua dal laghetto pescasportivo, sono riusciti ad avere ragione delle fiamme. Ma non possiamo dire di essere fuori pericolo, perché con il vento e le temperature elevate siamo sempre a rischio che riprendano i focolai», precisa il sindaco di Longarone, Roberto Padrin.Ripartito, nel pomeriggio, invece, il fronte dell'incendio a Soffranco. «Gli elicotteri stanno volando senza sosta portando acqua costantemente», precisa il sindaco Camillo De Pellegrin. «Per fortuna da qualche giorno possono contare sulle vasche che i vigili del fuoco riempiono sempre d'acqua e che riducono di molto il tempo di rifornimento idrico, evitando così che si propaghi il fuoco. Purtroppo, dobbiamo considerare la conformazione del nostro territorio: in alcune zone i Canadair possono arrivare, in altre l'accesso è loro negato».Restano quindi aperti i focolai a Igne, Soffranco e Mezzocanale, sui quali i mezzi antincendio hanno lavorato costantemente. «Spegnere questi focolai è impossibile in queste condizioni climatiche. Quello che serve realmente è la pioggia, prevista per mercoledì. Solo allora si potrà sperare che l'allarme rientri. Nel frattempo si vive sempre in apprensione, con gli occhi a scrutare i crinali dei monti per capire se si alzano nuovi fumi», dicono Padrin e De Pellegrin.Quest'ultimo, in qualità di presidente di Bacino, lancia un altro allarme. «La risorsa idrica sta diventando sempre più fondamentale. Vista la frequenza di periodi siccitosi degli ultimi anni, si impone un ragionamento a livello territoriale su come conservare l'acqua che produciamo. Per questo pensiamo di chiedere un incontro in Prefettura per iniziare a parlare della gestione della siccità. Ci vuole una presa di coscienza di tutti sul fronte del consumo idrico da qui ai prossimi anni. E bisogna iniziare ad agire se non vogliamo arrivare al razionamento dell'acqua». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gazzettino | 29 marzo 2022 p. 2, edizione Belluno La procura: «Qualcuno si è divertito col fuoco» È arrivato un esposto, in Procura, sulla possibile causa dell'incendio a Fortogna. Un cittadino ha puntato il dito contro i militari spiegando che quel giorno erano in corso delle esercitazioni e chiedendo di approfondire gli accertamenti. L'ipotesi di un coinvolgimento militare, a dire il vero, era già stata presa in considerazione da chi sta svolgendo le indagini, ossia i carabinieri forestali, ma era stata anche scartata. IL POLIGONO O meglio: l'area operativa del poligono, dove vengono solitamente svolte le esercitazioni, e quella in cui è scoppiato l'incendio sono molto distanti. Una correlazione tra i due eventi, stando a fonti investigative, è quindi altamente improbabile tanto che l'ipotesi di reato è quella di incendio doloso (e non colposo o accidentale). Inoltre si è discusso per giorni di queste esercitazioni militari dando quasi per scontato che ci fossero state. Ma è davvero così? La prima precisazione da fare è che nell'area del poligono del Monte Serva Nord possono esercitarsi militari anche da fuori provincia. È un dettaglio importante perché il Settimo reggimento alpini, si apprende da fonti interne, «non aveva in programma e non ha svolto nessuna esercitazione». In quei giorni, per essere ancora più precisi, i militari del Settimo si trovavano in Sardegna. A Belluno c'era invece il Comando forze operative nord (Comfop nord) per un'esercitazione di un paio di giorni (in programma mercoledì 23 e giovedì 24). L'ESERCITAZIONE Anche qui la smentita: «Le esercitazioni fanno sapere dal Comando non hanno avuto luogo. L'incendio era già partito il giorno precedente, quindi martedì, e proprio per questo motivo tutte le attività addestrative erano state sospese. In ogni caso non si sarebbe trattato di una manovra militare, bensì di uomini con armi portatili». L'esposto depositato in Procura ha fatto riemergere l'ipotesi dell'esercitazione militare, quale possibile causa dell'incendio, e seguiranno ulteriori accertamenti. Tuttavia, da ciò che sta emergendo dalle indagini, rimane una pista poco probabile. In questi giorni i carabinieri forestali hanno consegnato l'informativa al Procuratore. Un lavoro reso complicato dalla nascita di continui focolai, e quindi dalla difficoltà di spegnere l'incendio, ma anche dal fatto che molte aree risultano impraticabili rendendo impossibile un sopralluogo. Il video in time-lapse, ripreso da una telecamera fissa in Nevegal e consegnato ai carabinieri forestali nei giorni scorsi, è stato utile per ricostruire orari e punti di innesco delle fiamme. Permetterebbe di escludere addirittura l'origine accidentale e colposa dell'incendio: sono zone troppo alte e impervie. Anche l'ipotesi che qualche boscaiolo abbia provato a sbarazzarsi delle ramaglie al momento viene messa da parte. IL PROCURATORE


«C'è l'elevata probabilità ha spiegato ieri il procuratore che qualcuno abbia pensato di appiccare l'incendio e divertirsi in questo modo». Si segue quindi la pista dolosa ed è caccia al piromane (o ai piromani). Gli inquirenti stanno valutando biografie, profili, precedenti. Insomma, qualcuno che possa aver commesso azioni delittuose simili in passato. EMERGENZA SENZA FINE Intanto rimane necessario spegnere le fiamme. Alcuni versanti sono salvi, altri rimangono devastati da lingue di fuoco sempre più minacciose. Emerge un quadro preoccupante: boschi completamente rasi al suolo, strade chiuse, persone bloccate nel proprio comune, acqua non potabile. E ovviamente un costo sempre più salato, legato ai mezzi di soccorso impegnati nelle operazioni di spegnimento e causato (pare) da un pazzo in cerca di visibilità. Serviranno anni per ripristinare l'ambiente ma la speranza è che si arrivi presto all'identificazione del responsabile. Davide Piol

Corriere delle Alpi | 30 marzo 2022 p. 12 «Incendi, marzo record ma trend in calo» Enrico Ferro VENEZIA Sono 48 gli incendi scoppiati in Veneto nel mese di marzo. Un numero importante, che impone un'attenta analisi delle cause e delle modalità di intervento. L'assessore alla Protezione civile Gianpaolo Bottacin coglie l'occasione per tracciare una sorta di bilancio: «Se vogliamo stilare una classifica degli incendi peggiori rilevati in Veneto negli ultimi quarant'anni, possiamo ricordare il 1983 come l'anno peggiore per l'estensione degli incendi (ben 3853 ettari bruciati) e il 1990 come l'anno peggiore per il numero degli incendi (272)». Ma anche marzo non scherza, con 48 "brutte bestie", come li definisce l'uomo della giunta Zaia. «In 16 casi è stato necessario l'intervento degli elicotteri regionali» ricorda Bottacin. «Ringrazio la struttura della Regione del Veneto che, dal 2000, in base alla Legge nazionale 353, ha la competenza sugli incendi boschivi». Una circostanza questa, che proprio nell'ultima settimana ha scatenato qualche polemica con i sindacati dei Vigili del fuoco. Il Veneto, infatti, è una delle pochissime regioni d'Italia a non avere sottoscritto una convenzione con il Corpo nazionale per la gestione degli incendi boschivi. Nell'ottica di una gestione "federalista" delle risorse la Regione ha preferito creare una propria squadra con i volontari della Protezione civile e con i forestali, tagliando fuori i pompieri dalle convenzioni che invece sono in essere nella maggior parte delle regioni d'Italia: protocolli tra enti che consentono al personale di guadagnare qualche soldo in più con gli straordinari, oltre che arricchire il parco mezzo. Il tutto in una cornice di emergenza gestita da professionisti dell'antincendio. L'assessore Bottacin ha fatto anche un aggiornamento sugli ultimi tre incendi: quello in zona di Soffranco, nel Longaronese (Belluno), che è attivo da una settimana, quello nella zona tra Recoaro e Valdagno (Vicenza) e quello a Foza, sull'Altopiano di Asiago (Vicenza). «Domani dovrebbe cominciare a piovere e questo ci aiuterà a spegnere gli ultimi focolai», si augura l'assessore. «Al di là di questo marzo, negli ultimi 20 anni abbiamo avuto un calo degli incendi boschivi che vale più del 50% come numero degli incendi e più del 60% come estensione media delle aree bruciate, passando da 8 ettari a 3,6 ettari: numeri che dimostrano quanto sia importante e fondamentale il piano regionale su prevenzione e azioni su questo fronte».E visto che per aumentare la piovosità nulla si può fare, per lo meno nell'immediato, Bottacin prova a lanciare un appello: «Per prevenire gli incendi boschivi ciascuno di noi può e deve fare la propria parte, in termini di prevenzione e senso civico. Cerchiamo di evitare di accendere fuochi al di fuori delle aree attrezzate, di parcheggiare l'auto sopra l'erba e foglie secche, di gettare mozziconi di sigaretta o fiammiferi accesi e di dar fuoco a residui vegetali o forestali». «L'ambiente è di tutti ed è importante che ci impegniamo per la sua sostenibilità e salvaguardia, anche e soprattutto per i nostri ragazzi» conclude «cerchiamo di essere per loro un buon esempio e lavoriamo per lasciare a loro un territorio più sano». --© RIPRODUZIONE RISERVATA


OLIMPIADI 2026: GLI AGGIORNAMENTI Corriere dell’Alto Adige | 2 marzo 2022 p. 4 Olimpiadi e impianti. «No a traffico aggiuntivo» Giochi 2026, allarme degli ecologisti. La Provincia: saranno sostenibili. Il punto su Anterselva Francesco Mariucci BOLZANO Chiuso il sipario sui Giochi di Pechino, il testimone è passato a Milano-Cortina in vista del 2026. Un’edizione che toccherà anche l’Alto Adige: ad Anterselva, casa del recente bronzo olimpico Dorothea Wierer, saranno disputate le gare di biathlon. Già oggi il paese ospita abitualmente una delle tappe della Coppa del mondo di disciplina, ed è stata più volte sede dei Mondiali, l’ultima nel 2020. Nel 2006 è stata ultimata la ristrutturazione dell’Arena Alto Adige, che sarà teatro di gara anche ai Giochi del 2026. Per l’occasione sono previsti impianti di innevamento, un poligono, una struttura indoor, rinnovate tribune per i media, e il prolungamento delle piste. Tra gli obiettivi più volte dichiarati, c’è quello di realizzare un’edizione ad impatto zero, sostenibile e rispettosa dell’ambiente: «Una priorità anche per l’Alto Adige — sottolinea l’assessore provinciale all’ambiente Giuliano Vettorato — da portare avanti utilizzando e valorizzando unicamente impianti e infrastrutture già esistenti, rinunciando a costruirne di nuovi». Parole che, per ora, non convincono le associazioni ambientaliste altoatesine. A preoccupare sono i lavori che interesseranno la zona: la circonvallazione di Perca, un ampliamento e un nuovo collegamento tra la statale della Pusteria e la valle di Landro, e nuovi svincoli verso Valdaora, Anterselva e Sesto. Fa discutere anche la costruzione del bacino idrico per l’innevamento programmato, proprio nella zona di Anterselva. Previsto poi l’ampliamento del collegamento tra San Cassiano e Cortina, così come di molte strade che attraversano passi dolomitici e aree naturali altamente tutelate a livello europeo in quanto parte della rete Natura 2000. «Tutti gli investimenti infrastrutturali resteranno fruibili — continua Vettorato —. No ad impianti impattanti, anche per questo è stata scelta Anterselva, dove c’è già un’ottima base di partenza. Con i Giochi all’insegna della sostenibilità raggiungeremo un doppio obiettivo: da una parte faremo conoscere meglio il territorio, e dall’altra lo riqualificheremo». Sulla stessa linea anche il sindaco di Anterselva, Thomas Schuster: «Rinnovare i nostri impianti ci consentirà di restare presenti come meta di manifestazioni internazionali — afferma —. È un’occasione importante sia dal punto di vista ecologico che da quello sociale, dato che poi le infrastrutture saranno utilizzate dalla popolazione». Secondo le associazioni ambientaliste però, le opere sarebbero poco funzionali, soprattutto una volta passate le due settimane olimpiche: «Strade nuove e più ampie generano nuovo traffico — spiega Albert Willeit, presidente dell’Heimatpflegeverband per la val Pusteria —. Non abbiamo bisogno di velocizzare il passaggio delle auto, ma di diminuirlo. Nei prossimi anni un aumento del trasporto individuale motorizzato, con tutti gli effetti collaterali negativi per persone e ambiente, non sta venendo solamente messo in conto e accettato, ma pianificato e favorito. Noi non siamo contro le Olimpiadi, ma vogliamo che i fondi vengano investiti in modo sostenibile». Intanto il confronto con le istituzioni continua: fra dieci giorni tavolo con l’assessore provinciale alla infrastrutture Daniel Alfreider per analizzare i progetti stradali.

Corriere del Veneto | 3 marzo 2022 p. 10, edizione Treviso – Belluno «Per le Olimpiadi la Vas è necessaria» Gruppo d’intervento giuridico in pista Tommaso Moretto cortina d’ampezzo Dalla Sardegna per mettere i bastoni tra le ruote alle Olimpiadi invernali a Cortina del 2026. Ci si è messa l’associazione di protezione ambientale «Gruppo d’intervento giuridico». Sul loro sito web si legge che si sono costituiti a Cagliari nel 1992 e che puntano tutto sulle competenze legali. Dichiarano di aver promosso oltre 3.500 azioni e iniziative. Secondo l’associazione sarda, per i Giochi, è necessario una procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas). «Eppure finora — scrivono — nessuna procedura di Vas è stata attivata». E, dicono, si sono già rivolti a tutti gli enti competenti: ministeri della Transizione Ecologica e della Cultura, Regioni Lombardia e Veneto, Province autonome di Trento e di Bolzano. Ma non solo, anche alla Commissione europea. Nel mirino, per esempio, la pista di bob. Il «Gruppo giuridico», osserva: «Risulta esterna ai siti della rete Natura 2000 e in generale al sistema delle aree protette e tutelate. Tuttavia l’area di Cortina è oggetto di diversi interventi connessi alla realizzazione della


infrastrutturazione necessaria allo svolgimento dei Mondiali di sci e delle Olimpiadi invernali del 2026, molti dei quali con impatto significativo sui siti Natura 2000».

Gazzettino | 9 marzo 2022 p. 2, edizione Belluno «Olimpiadi, 90 milioni per rinnovare gli hotel» BELLUNO Il tempo scorre macinando l'attesa per le Olimpiadi di Milano - Cortina 2026. Le aspettative per i Giochi sono altissime. Non solo sul fronte delle infrastrutture viabilistiché e degli impianti sportivi ma anche per quanto riguarda il rinnovo dell'accoglienza che deve essere moderna e inclusiva. Gli albergatori bellunesi hanno più volte manifestato i loro timori di non riuscire ad adeguare e rimodernare le strutture per tempo. Ieri a rassicurarli è stato l'assessore al Turismo, Federico Caner, che ha annunciato che in vista dell'evento iridato arriveranno 90 milioni destinati proprio al miglioramento delle strutture ricettive. Ma non solo. Caner si è anche soffermato sui timori che più volte arrivano dalla provincia: «Spesso sento il lamento ha affermato Caner, raccogliendo una parola suggerita in sala dal profondo delle Dolomiti». FONDI PER LA RICETTIVITÀ L'assessore ha fatto riferimento ai fondi per la ricettività, a quelli più specifici come i Por Fesr (comunitari) che nel Bellunese sono arrivati in maniera cospicua «con non pochi mugugni dalla Pianura» ha tenuto a precisare. «Ci sono poi gli interventi per i maestri di sci con 3,5 milioni di euro e così via. Per la questione dell'area interna, invece, precisiamo senza polemiche che il ritardo dei 3 anni per le risorse in Agordino non è dipeso dalla Regione ma le comunità montane ci hanno impiegato tre anni a inviarci i report. La Regione, al massimo, ha un ritardo di tre mesi perché, per valutare tutti i criteri che abbiamo applicato per la suddivisione dei 34 milioni e 80 mila euro». Caner, inoltre, ha evidenziato come «ci siano problemi con Avepa per la gestione del bando perché l'agenzia è intasata per la richiesta di istruttorie». FONDI POR FES Ma che ne è dei milioni promessi in vista delle Olimpiadi per rimodernare gli alberghi? «Abbiamo una programmazione finita con i Por Fesr e i fondi direttamente erogati dalla Regione, ora si apre un nuovo settennato fa sapere l'assessore Caner -. Siamo riusciti ad avere il doppio, si parla di quasi 90 milioni di euro. Un buon risultato rispetto ai 40 milioni di prima». Denaro che però starebbe trovando qualche resistenza ai piani alti dell'Unione europea. «Dall'Europa ci chiedono di comunicare quali siano le priorità e come si pensa di utilizzare le risorse. Penso sia necessario mantenere la formula della ristrutturazione alberghiera». La giunta e il consiglio regionale hanno già approvato la proposta. Ora essa è soggetta alla valutazione della Commissione europea «che aveva detto che avevamo messo troppi soldi ha spiegato ieri l'assessore regionale - Noi abbiamo fatto presente che in Veneto il settore turistico frutta 18 miliardi di fatturato. Abbiamo quindi fatto capire che quelle risorse erano incentrate su questo: siamo la prima regione turistica in Italia. Ma abbiamo dei problemi di arretratezza, sia digitale che di infrastrutture». I bandi usciranno nella seconda parte di quest'anno. GLI ALBERGATORI Walter De Cassan, il presidente di Federaberghi Belluno, ha portato i saluti della collega di Cortina d'Ampezzo, Roberta Alverà, che solo poco tempo fa aveva chiarito un concetto: «In questo momento, così come siamo strutturati, abbiamo difficoltà, perché ci sono alberghi centenari, con tante barriere architettoniche. Serve un cambio strutturale, che deriva da un cambio di mentalità. Sarà indispensabile che tutti i progetti di ammodernamento dei nostri alberghi, da qui al 2026, siano fatti nell'ottica della accessibilità». Walter De Cassan ha aggiunto che «in riferimento all'arrivo dei 90 milioni, sappiamo che i soldi ci sono ma non bisogna sottovalutare il fattore tempo. Il problema sta qui. Fra quattro anni saranno già finite le Olimpiadi». E il presidente di Federalberghi ha sottolineato come il periodo per eseguire manutenzioni strutturali negli hotel e negli alberghi bellunesi è limitato, d'inverno le nevicate non permettono di iniziare lavori e poi ci sono le alte stagioni. Federica Fant

Corriere delle Alpi | 15 marzo 2022 p. 16 Dal carosello alla pista da bob: Legambiente boccia Cortina 2026 la protesta Ancora quattro rotondi no di Legambiente ai collegamenti da Cortina ad Arabba (o Armentarola), da Cortina a Cima Fertazza (leggi Civetta), da Padola a cima Colesei (o poco sotto) e alla pista di bob, a Cortina. Un tentativo di stop che arriva dal dossier "Nevediversa


2022" , pubblicato ieri, che aggiorna l'elenco degli impianti sciistici dismessi, di quelli chiusi dal futuro incerto e di quelli che rimangono aperti grazie ai cosiddetti accanimenti terapeutici. Il dossier si sofferma anche sui progetti di infrastrutturazione localizzati in aree di grande pregio naturalistico o comunque non idonee alla pratica sciistica. E proprio questa sarebbe l'area del Carosello delle Dolomiti (Cortina - Arabba; Cortina - Civetta; Cortina - Val Badia). Questi i siti minacciati: Monte Pelmo, Mondeval, Formin, Dolomiti di Ampezzo, Col di Lana, Settsas, Cherz, Gruppo del Sella, Marmolada.Come caso simbolico di impianti dismessi Legambiente cita quello di Staunies, a Cortina, con un'ovovia e una seggiovia non più operativi dal 2016, ma di recente la Regione ha dato il via libera a una nuova struttura. «È una montagna alle prese con le trasformazioni provocate dai cambiamenti climatici e con una transizione ecologica che fatica a decollare, soggetta a forme di "accanimento terapeutico" dovuto a progetti di sviluppo», denuncia Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto. «Ma l'esempio più sconcertante in questo senso noi veneti ce l'abbiamo in casa, a Cortina, dove la neve è fioccata sulle piste da sci con l'elicottero o meglio trasportata dall'elicottero: è successo a gennaio nel comprensorio di Socrepes e Tofana, per la precisione sulla Tofonina. Da chi si è candidato ad ospitare i prossimi giochi olimpici invernali ci aspetteremo maggiore intelligenza e competenza nell'affrontare e governare gli effetti generati dalla crisi climatica, se questo è l'esempio di come intendono governare le Olimpiadi 2026, è più che lecito allarmarsi».Il dossier rileva che in Italia "fioccano" gli impianti ma senza neve. Sono 150 i nuovi i progetti che minacciano i siti protetti da Rete Natura 2000, 234 gli impianti dismessi (54 in più rispetto all'edizione 2021), 135 le strutture dal futuro incerto e 149 i casi di "accanimento terapeutico". Dall'indagine emerge un quadro problematico, con numerose proposte di impiantistica a quote molto basse, in contesti dove la neve sarà sempre più rara e gli inverni sempre più brevi, con il rischio concreto che i buoni intendimenti delle direttive europee per la tutela di aree di grande pregio naturalistico e la loro estensione dall'attuale 22% al 30% vengano clamorosamente disattesi. A complicare il tutto c'è l'arrivo imminente dei fondi europei previsti dal Pnrr: da tempo auspicati ma che, in un clima di poca chiarezza, possono trasformarsi in un facile volano per la realizzazione di progettazioni molto impattanti. -- F.D.M.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 18 marzo 2022 p. 31 Opere olimpiche: persi due anni Il governo avvia il tavolo permanente Irene Aliprandi Cortina «Abbiamo perso due anni e le criticità sono numerose, ma il governo considera le Olimpiadi del 2026 una priorità assoluta che deve avere una corsia preferenziale». Alessandro Morelli, viceministro delle Infrastrutture, ha un approccio schietto e non cerca alibi rispetto ai ritardi accumulati dalle opere olimpiche e da quelle previste per i Mondiali del 2021 e mai realizzate. Ieri Morelli ha incontrato in Prefettura a Belluno i sindaci della valle e il presidente della Provincia, alla presenza anche dei nuovi vertici di Anas. E sono proprio le opere viarie quelle a impensierire di più.«Questo è il primo incontro di un tavolo che sarà periodico», spiega il viceministro, «per condividere il percorso e segnalare le potenziali criticità». La prima arriva proprio da Morelli, perché si registra un aumento dei prezzi delle materie prime del 20-25%, con ripercussioni che dureranno a lungo e che potrebbero portare a dover aumentare il già notevole budget stanziato: 600 milioni di euro solo per la vallata, ma con le altre opere si supera il miliardo. «Se serve il governo garantirà anche questa copertura», afferma Morelli, «perché ci interessa migliorare le condizioni di questa valle, oltre che fare una bella figura a livello internazionale».I ritardi, però, sono clamorosi: «Dall'assegnazione delle Olimpiadi, nel 2019, alla costituzione della società per le infrastrutture sono passati due anni. Stiamo recuperando tempo oggettivamente perso», ammette il viceministro che ha chiesto anche sostegno politico alle istituzioni locali affinché facciano pressione sui ministeri dell'Ambiente e della Cultura attraverso mozioni e ordini del giorno che sollecitino tempistiche burocratiche più rapide possibili. «Questo evento si porta dietro opere che avrebbero dovuto essere pronte per quello precedente (i Mondiali del 2021)», osserva il presidente di Anas, Edoardo Valente. «Ora il nostro impegno è quello di essere presenti sul territorio in maniera assidua». Valente spiega che, finalmente, i progetti definitivi esecutivi delle varianti di Tai, Valle e Venas sono pronti: «Ma ci sono ancora alcune valutazioni da fare».Dunque, la situazione non si può definire compromessa, ma le difficoltà non mancano e a questo punto serve un piano B «che non possiamo non considerare», dice Morelli. Il tavolo permanente, quindi, dovrà individuare criticità e priorità dove concentrare le forze, ma di tempistiche non si può ancora parlare. Perché se gli iter burocratici si possono comprimere, il limite tecnico imposto dalla costruzione delle strade è invalicabile.A farsi portavoce dei sindaci presenti al tavolo è il presidente della Provincia, Roberto Padrin: «Siamo in una fase delicata che ci preoccupa, ma apprezziamo il dialogo instaurato. Oltre alle tre varianti ereditate dal 2021 ci auguriamo che si riescano a realizzare almeno in parte anche quelle di Longarone e Cortina. Lavori che causeranno qualche disagio, ma che rimarranno con ricadute permanenti e positive per il nostro territorio e che senza le Olimpiadi non sarebbero mai state finanziate».Risorse mai viste in 50 anni di storia, come evidenzia il sindaco di Cortina, Gianpietro Ghedina: «È giunto il tempo di fare sintesi e concretizzare i progetti. Come dice il viceministro serve una "corsia olimpica" per arrivare nei tempi corretti a vedere realizzate tutte le opere previste». Ghedina è ottimista e apprezza il cambio di passo dato da Morelli e dai nuovi vertici di Anas, contando anche sul lavoro dell'amministratore delegato della società Infrastrutture Milano Cortina 2026 Luigi Valerio Sant'Andrea.«Le nostre comunità attendono da tempo opere infrastrutturali importanti


e necessarie, su cui questo governo e il precedente hanno creduto fortemente», ricorda il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà, nel saluto inviato al tavolo della Prefettura: «per Milano-Cortina sono state destinate considerevoli risorse, a partire dal miliardo di euro stanziato sotto il governo Conte, ai 145 milioni aggiuntivi e agli ulteriori 324 milioni. Dai Giochi invernali del 2026 passerà lo sviluppo dei territori, una crescita di lunga visione che consentirà ai cittadini e a intere famiglie di costruire ancora un futuro nel bellunese: sarà possibile con interventi che rendano la viabilità più agile, con l'ottimizzazione dei servizi e nuove infrastrutture, anche digitali, che migliorino la vita delle comunità e le rendano più competitive».«Quando lanciai la candidatura di Cortina alle Olimpiadi invernali 2026 dicendo che avrebbero portato sviluppo e investimenti, quelli che sanno sempre tutto risero. Oggi a Belluno, il viceministro Morelli ci ha dato conferma che le cose stanno andando per il verso giusto», conclude il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 19 marzo 2022 p. 15 Le Olimpiadi accendono Cortina Crescono gli investitori stranieri Gianluca De Rosa Cortina Cortina è sexy agli occhi degli investitori internazionali. Vecchi e nuovi, attratti dalla prospettiva olimpica ma votati ad un progetto a più lungo termine. Convinti da un potenziale fin qui inespresso, appena rinvigorito dall'assegnazione dell'evento a cinque cerchi dopo settant'anni trascorsi cullandosi su allori nel frattempo scoloriti.È questo il quadro emerso al termine della giornata di incontro e confronto Winter Games, tenutasi all'ombra delle Tofane, concentrata attorno a due macro aree, ospitalità e sviluppo, ed un comune denominatore: la necessità di dover cambiare passo per garantirsi quella pioggia di milioni in grado di trasformare Cortina in destinazione di prima fascia a livello mondiale. Non solo d'inverno grazie allo sci ma tutto l'anno nel nome del buon vecchio piano di destagionalizzazione che rappresenta, oggi, una "piaga" per il turismo del Belpaese. Qualcosa sta cambiando, tanto che Cortina è annoverata dagli esperti come la località alpina italiana sulla quale stanno convergendo le maggiori attenzioni da parte degli investitori internazionali. Nuova meta "place to be", denominazione corroborata dai numeri: il 65% delle strutture ricettive situate a Cortina è oggi in mano a capitali stranieri. L'obiettivo, entro il 2026, è aumentare la forbice arrivando a toccare quota 75%. È il turismo del lusso quello che traina di più, in linea con la vocazione della destinazione. Gli hotel di prima fascia, quelli per i quali servono anche mille euro per un pernottamento, sono tutti in mano ai grossi capitali stranieri, con la conduzione familiare interessa che quasi esclusivamente i tre stelle.Tutto bene? Non proprio. La disamina parte da un altro dato. Cortina, oggi, garantisce al turista 4.800 posti letto, un quinto rispetto alla vicina val Gardena che di posti letto ne vanta 25mila oppure alla confinante val Badia che ne ha 15mila. Serve accelerare, ma come? Riqualificando gli alberghi dismessi, che sono una decina, rappresenta un primo passo peraltro già avviato ma per allinearsi ai competitor stranieri come Zermatt e Sainkt Moritz in Svizzera oppure Courchevel in Francia serve altro. Ad esempio meno intoppi di natura burocratica, altra tematica che da sempre attanaglia il Belpaese.«Nello stesso arco di tempo con cui in Austria abbiamo avviato e completato sette progetti, in Italia stiamo ancora aspettando una risposta», ha sottolineato, visibilmente contrariato Otmar Michaeler, ceo del colosso altoatesino Falkensteiner che aspetta il via libera istituzionale per iniziare i lavori di realizzazione di un nuovo complesso ricettivo a cinque stelle proprio a Cortina nelle vicinanze del palaghiaccio.«Sarà una struttura di ultima generazione, contenuta nelle dimensioni e caratterizzata da quattro mini complessi, tutti rispondenti alle principali normative ambientali. Le Olimpiadi non c'entrano niente con questo intervento, lo avevamo pensato già prima dei Mondiali di sci del 2021. Risale a cinque anni fa ma se non è stato ancora realizzato è solo per colpa dei tempi burocratici. Noi siamo pronti ad iniziare i lavori anche domani».Michaeler ha reso noto un progetto di investimento innovativo. Interessa direttamente i clienti del colosso Falkensteiner che acquistando una quota pari a diecimila euro ne diventano soci. «In Germania questo prodotto innovativo concentrato nella fidelizzazione del cliente sta andando molto bene, ma prima di poterlo perseguire serve creare un brand molto forte», ha concluso Michaeler. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 19 marzo 2022 p. 32 Ghedina tuona contro gli ambientalisti «Far saltare le opere va contro la gente» Francesco Dal Mas CORTINA


Si può immaginare un convegno sostenibilità sociale, economica ed ambientale a Cortina e non fare riferimento alle Olimpiadi? Evidentemente no. Ecco dunque che quando il sindaco Giampietro Ghedin ha portato ieri il saluto della città olimpica ai giovani industriali del Nordest e dell'Emilia Romagna, intenti ad interrogarsi su cosa significa essere sostenibili in presenza di una crisi energetica come quella attuale, ha abbandonato per un istante il suo aplomb e ha puntato il dito contro quegli ambienti che rischiano di far saltare le infrastrutture olimpiche, a cominciare dalla pista di bob. «Non si può declamare la sostenibilità», ha detto, «solo con l'intento di non far fare le opere. Anche perché così si va contro la nostra gente che vuol continuare a lavorare, restando in montagna e da qui competere».Reduce dal vertice in Prefettura col viceministro Morelli e i vertici Anas, il sindaco si è reso conto che i ritardi sono addirittura più gravi di quelli temuti: rischiano di saltare le circonvallazioni, il tunnel di collegamento tra il centro Apollonio e la stazione Faloria e anche la realizzazione del villaggio olimpico ha bisogno di una decisa accelerazione, oltre alla pista di bob. È andata a nozze, su questi temi, Maria Cristina Piovesana, affermando che: «Non si può essere ostaggi dei Comitati, la politica abbia il coraggio di decidere. Una non decisione oggi sarà un disastro domani». Il suo riferimento era ai più diversi temi ambientali. Ma specificatamente sulle Olimpiadi è tornato Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, ribadendo tutto l'affetto per quella che considera la "sua" città. Non si può, secondo Carraro, perdere la sfida olimpica, per cui, contro i ritardi nell'infrastrutturazione, sarà opportuno costituire una task force di tutte le forze in campo, ma in particolare di Confindustria, per tallonare chi non sa decidere o ritarda nel farlo. «L'Olimpiade invernale 2026 è un obiettivo estremamente importante», ha dichiarato Carraro. «Per questo ci candidiamo come imprenditori a collaborare con il pubblico, per creare una task force condivisa per il monitoraggio dei tempi e delle infrastrutture in fase di sviluppo».Il sindaco Ghedina ha subito raccolto la proposta. Ad ospitare il 34° Meeting dei Giovani Imprenditori del Nord Est dal titolo "Evoluzione (in)sostenibile" è stata una struttura trasparente piazzata in centro a Cortina, all'ombra del duomo. Organizzato dai Giovani Imprenditori di Confindustria Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, l'incontro, al quale hanno partecipato giovani imprenditori provenienti da tutt'Italia, ha voluto lanciare un messaggio provocatorio: parlare di sostenibilità focalizzandosi solo su aspetti contingenti ed interessi specifici equivale a privarla del suo valore globale e della sua capacità di cambiare il mondo.Non si poteva non parlare anche del Pnrr e della corsa ai progetti che si sta facendo anche ai piedi delle Dolomiti. Ma tutto cambia con la crisi energetica. «Bisogna rivedere il Pnrr, con quello che c'è stato, non possiamo pensare che il paletto messo sul 2026 possa essere mantenuto», ha detto il presidente Carraro. «Ci saranno alcuni aspetti da rivedere, ma non quello della transizione energetica, anche se ci stiamo accorgendo dei limiti che aveva, con una road map fatta a tavolino da parte di qualche tecnico che non si era reso conto della necessità di altri elementi». Carraro si è detto convinto che: «Saranno le energie rinnovabili il futuro del paese ma», ha concluso, «dobbiamo rimodulare i tempi ed avere un supporto dal legislatore». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gazzettino | 23 marzo 2022 p. 12, edizione Belluno Perenzin attacca le Olimpiadi green “Sono impossibili, no alla pista da bob” «La Provincia spinga per delle olimpiadi davvero sostenibili. Caratterizziamo l'evento su questo aspetto fondamentale». Sono le parole, appassionate e approfondite con dati alla mano, del sindaco di Feltre e consigliere provinciale, Paolo Perenzin, che ha pronunciato ieri in consiglio provinciale, prima di astenersi dall'approvazione dello schema di accordo di programma per la realizzazione ed il cofinanziamento dell'intervento di riqualificazione dell'impianto di bob Eugenio Monti. Come è noto il comitato organizzatore ha inserito la pista nel programma ufficiale: A Cortina d'Ampezzo, stando alle previsioni, si terranno le gare di bob, di slittino, di skeleton e si pensa anche di parabob, durante le paralimpiadi. COSTO DI 61 MILIONI DI EURO Il progetto iniziale proposto dalla Regione Veneto prevedeva una spesa da 85 milioni di euro per la demolizione e il rifacimento della pista, oltre alla costruzione di un parco ludico sportivo che sarebbe servito a sostenere economicamente la gestione dopo le Olimpiadi. Alla fine di ottobre, la Regione ha annunciato che si rifarà solo la pista con un progetto da 61 milioni di euro. Un cantiere complesso e costoso con conseguenze rilevanti per un ambiente particolarmente delicato come la montagna. Molte persone a Cortina si stanno chiedendo se ne valga davvero la pena. Ne è nato un dibattito appassionato e rispettoso tra i sostenitori di due modelli inconciliabili: il primo, quello dello sviluppo a qualsiasi costo, che non si ferma di fronte a questioni concrete come la sostenibilità economica e la tutela dell'ambiente; il secondo, più prudente, punta a lasciare tutto com'è, arrivando a suggerire di spostare le gare da un'altra parte o di non farle proprio. E anche ieri Perenzin ha suggerito di rivolgersi alla vicina pista di Innsbruck (di Igls in particolare), ma non prima di aver bene reso l'idea del perché. «SONO FUORI DAL CORO» «A me dispiace, sarò una voce fuori dal coro, questo è il primo atto che arriva in consiglio provinciale sulle olimpiadi, che sono il più grande evento sportivo. Ma la formula grandi eventi e impatto zero non funziona, e per come è impostato il lavoro non mi pare ci sia un segnale incoraggiante». Il sindaco di Feltre ne fa una questione di metodo e di merito: nessun atto è passato per Palazzo Piloni sulla pista da bob «e non ci possono essere scelte che ci passano sopra la testa». Nel merito Perenzin sarebbe stato «più incisivo:


che tipo di evento olimpico vogliamo organizzare nel 2026? Quanto può essere di esempio per la sostenibilità un evento di questa caratura? Se davvero prendiamo in considerazione lo stato di grande malattia del pianeta dobbiamo essere disponibili, se davvero vogliamo dare una svolta rilevante, a far sì che le olimpiadi tornino ad essere più sobrie, non avere lo show finale, per esempio. O ragionare se ha senso costruire una pista da bob o se magari sostarci a Innsbruck. Non avrei visto come scandalo se avessimo fatto un ragionamento simile». REGOLE DA CAMBIARE «La concentrazione di Co2 atmosferica si attesta sui 421 quando erano 330 nel 1960 - prosegue -. E la soglia di estinzione dell'uomo è prevista a 460. Noi siamo nelle condizione di stabilizzarlo il pianeta, come si fa con un paziente. Per fare operazione di questo tipo dobbiamo dare uno scatto fortissimo. Dobbiamo incidere. Dobbiamo cambiare il modo di vivere, produrre e consumare, altrimenti non ce la facciamo». L'idea che ha quindi lanciato Paolo Perenzin, e che a parole ha ricevuto il placet di tutti (anche se è stato lui l'unico a dare un segnale con il voto) è di «pensare di poter organizzare un evento radicalmente diverso». Il sindaco della città di Tancredi ha anche parlato del villaggio olimpico: «mettiamoci al lavoro e cambiamo le regole consolidate (che lo vogliono tutto unito e non a ranghi dispersi Ndr), c'è bisogno di un intervento per lanciare un messaggio che vada nel segno della sostenibilità». Federica Fant

Corriere del Veneto | 23 marzo 2022 p. 10, edizione Treviso – Belluno Bob, la Provincia dice sì alla pista olimpica «Ma chiarezza sul master-plan dei Giochi» Firmata l’intesa con Regione e Comune di Cortina: l’ente partecipa alle spese per l’opera con 500 mila euro. Critiche sui piani olimpici: «Serve più coinvolgimento del territorio» Moreno Gioli BELLUNO Olimpiadi invernali del 2026? Sì, ma attenzione alla sostenibilità. Non solo associazioni ambientaliste e comitati di cittadini: la preoccupazione per l’impatto che potrà avere il grande evento sportivo in calendario tra meno di 4 anni raggiunge anche Palazzo Piloni, sede della Provincia di Belluno. In particolare l’aula consiliare, dove ieri è stato approvato l’accordo di programma con Regione e Comune di Cortina per la riqualificazione della pista di bob sulla quale la Provincia investe 500 mila euro (sui sessanta milioni complessivi di costo dell’opera). Si trattava dell’ultimo punto all’ordine del giorno del consiglio nel quale sono state approvate pure le linee programmatiche del terzo mandato firmato Padrin. Ma il tema è caldo (lunedì il masterplan olimpico è stato visionato a Cortina alla presenza della vicepresidente della giunta regionale, Elisa De Berti) e la discussione, così, sale di tono. Le preoccupazioni sono trasversali, mettono d’accordo Centrosinistra e Centrodestra. Ad innescare la miccia il sindaco di Feltre, Paolo Perenzin. Che non ci è andato leggero, astenendosi poi nel voto finale: «Non esistono grandi eventi ad impatto zero, questo è inutile che ce lo nascondiamo. Ci possono essere però molti diversi per organizzarli, puntando a ridurre l’impronta ecologica. Ma dalla piega che stanno prendendo le cose, non vedo in questo senso segnali incoraggianti». Il primo cittadino uscente ne fa una questione vitale. «In un convegno, sabato, è stato illustrato che nell’aria al momento ci sono 422 parti per milione di Co2. Negli anni sessanta erano 330, il limite per la sopravvivenza è 460. Per salvare il pianeta e noi stessi serve una svolta. Le olimpiadi non si possono più fare come nel recente passato, devono essere più sobrie. E nonostante i proclami iniziali mi pare che non si vada in questa direzione». C’è poi una questione di metodo. Ancora Perenzin: «Ci chiedono di approvare un masterplan, ma qui in Provincia non sono ancora arrivati atti ufficiali». Al sindaco di Feltre arriva la sponda di Serenella Bogana (Fratelli d’Italia, dall’altra parte dell’emiciclo): «Nemmeno io sono ottimista su questo evento, partito all’insegna della sostenibilità, anche economica. Sono molto perplessa». Scinde Masterplan e pista da bob il sindaco leghista di Cibiana, Mattia Gosetti: «Sono preoccupazioni legittime, nessun evento è sostenibile al 100%. La pista da bob va fatta, Cortina ne è la patria, ma per quanto riguarda il masterplan, invece, vorrei avere più tempo di studiare meglio le opere». Ancora dal Centrosinistra la voce di Simone Deola, assessore a Borgo Valbelluna: «La mia posizione è favorevole riguardo al progetto della pista, presentatoci giovedì scorso, perché si tratta di rigenerazione di uno spazio già occupato. Ma concordo sul metodo. Vogliono la partecipazione della Provincia? Allora devono coinvolgerci di più». C’è poi il tema della gestione. Che costerà, secondo i calcoli, un milione e trecento mila euro all’anno. «Sappiamo che la gestione comporterà perdite per 400 mila euro all’anno – scandisce il sindaco di Alleghe, Danilo De Toni (Lega), spalleggiato dall’assessore del capoluogo, Walter Cibien (Centrosinistra) – quindi sarà necessario che il Comune di Cortina, una volta entrato in possesso dell’opera, la affidi a dei veri professionisti».


Corriere delle Alpi | 23 marzo 2022 p. 15 Olimpiadi, Provincia tra dubbi e timori «La sostenibilità non va dimenticata» Irene Aliprandi Belluno Quanto rimane dei proclami sulla sostenibilità ambientale e finanziaria nei progetti per le Olimpiadi del 2026. Dubbi e preoccupazioni non arrivano più solo dagli ambientalisti, ma entrano anche nell'aula e nel dibattito di Palazzo Piloni. L'accordo di programma tra Provincia, Regione e Comune di Cortina sulla riqualificazione della pista da bob ha infatti sollevato riflessioni attente da parte dei consiglieri provinciali. Ad innescare il dibattito è stato il sindaco di Feltre, Paolo Perenzin (centrosinistra), che si è anche astenuto nel voto finale. «È inutile nasconderci che i grandi eventi a impatto zero non esistono, ma si può fare molto per la sostenibilità e in questo momento non mi pare che ci siano segnali incoraggianti». Perenzin contesta il metodo «stiamo approvando un masterplan che non abbiamo agli atti e senza garanzie», ma anche il merito: «Che tipo di evento vogliamo realizzare e quanto siamo convinti della necessità che sia sostenibile? Per salvare il pianeta serve una svolta. Le Olimpiadi non si possono più fare come in passato. Serve più sobrietà. All'inizio ho creduto alle buone intenzioni dichiarate nella candidatura di Milano e Cortina, ma ciò che vedo non va in quella direzione». Il sindaco di Feltre teme anche per il villaggio olimpico: «Io non approverò atti per il villaggio a Fiames», preannuncia. «È ora di cambiare le regole, proprio con la potenza simbolica delle Olimpiadi».La preoccupazione arriva anche dal lato opposto del consiglio provinciale. «Le parole di Perenzin sono condivisibili», sottolinea il sindaco di Alano di Piave, Serenella Bogana (Fratelli d'Italia), «su queste Olimpiadi vorrei essere ottimista ma la vedo difficile. Erano partite come Olimpiadi della sostenibilità, ma quanto ne rimane? L'aspetto ambientale mi preoccupa molto e sono perplessa anche sulla sostenibilità economica della pista da bob. Mi riservo di attenzionare la questione». Nel riconoscere l'importanza dell'evento, anche il sindaco di Cibiana Mattia Gosetti (Lega) parla di: «Preoccupazioni legittime. Nulla è sostenibile al 100% e non finirà come a Torino, ma chiedo la massima attenzione rispetto a ciò che dovremo approvare in futuro. Il masterplan contiene molte opere e vorrei avere il tempo di studiarle meglio». Tornando nel centrosinistra, l'assessore di Borgo Valbelluna, Simone Deola, aggiunge: «Le Olimpiadi saranno una grande opportunità, ma bisogna blindare la visione iniziale. Il no al consumo di suolo sia vincolante. Se vogliono la partecipazione della Provincia ci devono coinvolgere di più, fornendoci i progetti per tempo». «No a progetti calati dall'alto per fare in fretta», incalza il sindaco di Alleghe, Danilo De Toni (Lega). «Bisogna riflettere sul metodo. La pista da bob è un'opportunità importante, ma sappiamo già che la sua gestione comporterà perdite di 400 mila euro all'anno. Serve una gestione più che capace». Chiude il presidente, Roberto Padrin: «Serve un metodo di confronto più efficace. Tutti abbiamo a cuore la tutela del territorio e, se serve, anche con scelte controcorrente». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 24 marzo 2022 p. 31 Pista da bob, firmato lo schema di accordo per il rifacimento CORTINA Dopo il via libera del consiglio provinciale, il presidente Roberto Padrin ha sottoscritto con Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, e con il sindaco di Cortina, Gianpietro Ghedina, lo schema d'accordo per la realizzazione della pista da bob "Eugenio Monti".«La Provincia e il Comune, consapevoli dell'importanza dell'opera, daranno il loro contributo affinché la nostra regione sia protagonista ai prossimi Giochi invernali», ha commentato Zaia, che sulla pista non vorrebbe sentire tentennamenti di sorta, essendo l'opera-simbolo dei Giochi 2026. Opera che richiede un investimento di 61 milioni. Con l'intesa sottoscritta, la Provincia di Belluno e il Comune di Cortina destinano 500mila euro ciascuno per la riqualificazione dell'infrastruttura. Un'opera recentemente apprezzata anche da Ivo Ferriani, presidente della federazione internazionale bob e skeleton.«La pista di Cortina non sarà solo un'infrastruttura, ma diventerà l'emblema di questi giochi a cinque cerchi», insiste Zaia, «ricordo che il rifacimento della pista avverrà su un'area già dedicata a funzione sportiva, senza aumento del consumo di suolo e permetterà di recuperare un'area centrale per il comune di Cortina, oggi dismessa e abbandonata». Come ricorda ancora il presidente, la "Eugenio Monti", inoltre, sarà l'unica pista a norma in Italia per gare nazionali e internazionali, ma anche la prima pista al mondo per le Paralimpiadi. «Avevamo promesso di ridare vita a un cadavere eccellente, che 70 anni dopo la prima Olimpiade a Cortina tornerà a splendere», conclude Zaia, «e con questo schema d'accordo appena firmato facciamo un grande passo in avanti verso questo obbiettivo. La sinergia con Provincia e Comune sta a indicare che in Veneto siamo più che mai pronti a recitare un ruolo da protagonista, consapevoli che la vetrina olimpica darà più risalto alla nostra montagna tutta».La vecchia infrastruttura sarà quasi completamente smaltita e bonificata, mentre le parti con una valenza storica verranno mantenute e valorizzate. L'intervento di riqualificazione dell'impianto è stato finanziato con un emendamento del Governo


nell'ambito dell'ultima manovra di bilancio, ed è stato individuato nel Masterplan olimpico quale "Venue" di gara per lo svolgimento delle discipline non solo del bob, ma anche dello slittino e dello skeleton. --francesco dal mas© RIPRODUZIONE RISERVATA

OLIMPIADI E ACCESSIBLITA’ Gazzettino| 1 marzo 2022 p. 2, edizione Belluno Tofane e stadio Olimpico si misurano sull'accessibilità Nei Giochi paralimpici invernali Milano Cortina 2026 la conca d'Ampezzo avrà uno spazio notevole, nel programma del grande evento sportivo. Sulle nevi della Tofana si svolgeranno infatti le gare di sci alpino e dello snowboard, mentre lo storico stadio Olimpico accoglierà il torneo di curling. Le altre sedi saranno Milano per l'hockey su ghiaccio e per la cerimonia di chiusura, in piazza Duomo; la Val di Fiemme per lo sci di fondo; l'Arena di Verona per la cerimonia di apertura, nello stesso luogo in cui, un paio di settimane prima, ci sarà la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi. Lo sci alpino è compreso fra le discipline paralimpiche dai Giochi che si svolsero in Svezia nel 1976. E' consuetudine che tutte le specialità dello sci alpino siano ospitate dalle piste che hanno visto in gara le donne ai Giochi olimpici, poche settimane prima delle Paralimpiadi: sono considerate solitamente meno difficili, rispetto alle piste delle gare maschili, quindi più abbordabili. OLYMPIAA Cortina si gareggerà pertanto sull'Olympia delle Tofane, un tracciato storico, allestito per i VII Giochi invernali 1956 e poi più volte ammodernato. L'ultimo intervento è stato fatto un paio di anni fa, in vista dei Campionati del mondo Cortina 2021. Il calendario prevede cinque discipline: discesa libera, slalom speciale, slalom gigante, supergigante e supercombinata, composta da una manche di supergigante e una di slalom. Senza necessità di intervenire sulla pista, sarà invece necessario dotare l'area di arrivo a Rumerlo, ma pure le zone di partenza, in quota, e gli stessi impianti di risalita, di tutti gli accorgimenti necessari per consentire l'agevole accesso agli atleti paralimpici, con le loro speciali dotazioni, soprattutto il guscio, fissato al monosci. Lo snowboard è stato inserito nel programma dei Giochi paralimpici invernali dall'edizione 2014 a Sochi. Comprende due specialità: il boardercross, con modalità del tutto analoghe alla versione per i normodotati, e il banked slalom, con tre manche per atleta, fra le quali scegliere i migliori tempi Il curling è diventato disciplina paralimpica proprio in Italia, con i Giochi invernali di Torino 2006. IL TORNEO Per il torneo paralimpico, fra quattro anni, si userà lo storico stadio Olimpico di Cortina, simbolo dei Giochi 1956, quando accolse le cerimonie di apertura e di chiusura, oltre alle partite di hockey e alle esibizioni di pattinaggio artistico. Coperto vent'anni fa, è stato più volte oggetto di interventi di manutenzione e di miglioramento; altri lavori sono previsti nei prossimi anni, in vista dell'appuntamento a cinque cerchi del 2026. Si lavorerà anche per migliorare l'accessibilità con le carrozzine, rispetto alla situazione attuale. Nel mese di febbraio 2026 ospiterà il torneo di curling per le Olimpiadi; poche settimane dopo si aprirà di nuovo, per le Paralimpiadi. La qualità del ghiaccio e il comfort di giocatori e pubblico sono assicurati da un impianto di condizionamento dell'aria, collaudato per le due edizioni dei Campionati del mondo di curling: quelli di doppio misto nel 2009 e quelli maschili del 2010. E' in fase di progettazione, con l'auspicio di un rapido avvio dei lavori, un centro federale per il curling, con tre piste, da realizzare negli interrati dell'Olimpico, sotto la vecchia pista esterna, inutilizzata ormai da oltre trent'anni. Questo nuovo impianto sportivo sarà dotato di tutti i servizi necessari, per atleti e pubblico, e garantirà l'accesso alle persone con disabilità motorie. In occasione di Olimpiadi e Paralimpiadi 2026 quelle tre piste potranno accogliere le squadre, nelle fasi di allenamento e di riscaldamento dei giocatori, prima che accedano alla piastra superiore, per le partite che assegneranno le medaglie. MDib

MONDIALI DI SCI 2029 Alto Adige | 20 marzo 2022 p. 34 Il no degli ambientalisti ai Mondiali in Gardena


In un incontro a Ortisei, gli ambientalisti hanno esposto tutti i loro dubbi e lo scetticismo sulla sostenibilità di grandi eventi sportivi in montagna, con focus in particolare sui Mondiali di sci per la cui edizione 2029 la Gardena è in corsa.Engelbert Mauroner, presidente della Lia Natura y Usanzes, ha criticato la volontà di organizzare i Mondiali. "Tre sono i "pilastri" che andrebbero a subire danni irreparabili - ha detto - Ecologia, Sociale e Turismo. Per l'ambiente ci sarebbe uno spreco di energia e acqua, con aumento dei rifiuti. Il costo della vita aumenterebbe. I giovani emigrerebbero. Il turismo diventerebbe di massa e non di qualità. Di fatto non vedo alcun vantaggio".Elide Mussner, assessora comunale a Badia, ha aggiunto: "Ritengo di avere fatto la cosa giusta nell'oppormi alla candidatura ai Mondiali. Uno dei motivi è stata la poca trasparenza, come secondo me sta succedendo in Gardena, con progetti di nuove infrastrutture. Inoltre anche il periodo di febbraio è inadeguato, quando strade e piste sono già piene. Infine cosa s'intende per mobilità sostenibile? Un treno? Ma ci rendiamo conto dei costi di realizzazione?".Klaus-Peter Dissinger, presidente della Federazione sudtirolese Protezionisti della natura e dell'ambiente, ha precisato: "Non siamo contrari a grandi eventi, siamo contrari a come al giorno d'oggi vengano organizzate certe manifestazioni: non si rispetta l'ambiente, si costruiscono nuove piste, nuove infrastrutture e aumenta il traffico. Ricordo quello che di negativo è successo ad Anterselva. Siate scettici se vi garantiscono Mondiali sostenibili. Si parla già di una nuovo palazzo dei congressi a Selva, di una nuova pista da slalom, solo per citare qualche esempio. Mi chiedo chi ha bisogno dei Mondiali? Solo certe lobby? La Gardena non si deve vendere per grandi eventi, piuttosto deve puntare sulla splendida natura che la circonda. Questo sistema è obsoleto: bisogna cambiare strategia per l'economia, ma senza puntare a tali manifestazioni"."La nostra esperienza, con l'estrema incapacità nel gestire Mondiali e Olimpiadi è quasi da dilettanti allo sbaraglio - ha detto Silviero Lacedelli, attivista ambientale di Cortina - Si sono allargate alcune piste e per il resto è tutto in alto mare. Fisi e Coni hanno ascoltato gli ambientalisti, ma poi di fatto li hanno completamente ignorati. Quello che stiamo vedendo a Cortina è disarmante: progetti fantascientifici mai completati per i Mondiali". L'intervento di Lacedelli si è concluso definendo "fallito il tentativo di parlare di manifestazione sostenibile" e criticando pure la realizzazione dell'alta velocità tra Mestre e l'aeroporto Marco Polo di Venezia, così come la ristrutturazione dell'aeroporto di Verona.Sollecitato dal pubblico, il sindaco di Ortisei Tobia Moroder si è posto la domanda: "È positivo o negativo il fatto che Ortisei si autoescluda dal partecipare al tavolo di dialogo con i colleghi di Santa Cristina e Selva, così come con i rappresentanti di altre categorie economiche della valle, considerato che probabilmente la candidatura ci sarà? Ritengo doveroso considerare l'importanza di continuare la buona collaborazione tra i tre Comuni gardenesi. In ogni caso ritengo che una tale organizzazione può diventare un'occasione da sfruttare, in particolare su sostenibilità e mobilità". In effetti, va detto che i promotori della candidatura ai campionati mondiali non hanno mai affermato di voler incrementare il numero di turisti, bensì di riuscire, tramite una manifestazione sportiva di alto profilo, a raggiungere lo scopo di rendere lo sviluppo turistico, e in particolare la mobilità, sostenibile come auspicato da più parti e da più tempo. Attendendo i progetti concreti da parte degli organizzatori. Durante questa serata si sono sentiti quali sono i timori di una parte della popolazione.

Alto Adige | 31 marzo 2022 p. 34 «Sì ai Mondiali in Val Gardena ma senza nuovi impianti» val gardena In un incontro informale il presidente della Provincia Arno Kompatscher e Roland Demetz, Christoph Senoner e Tobia Moroder, sindaci dei tre comuni della Val Gardena, sono stati aggiornati dal presidente della Federazione italiana sport invernali - Fisi Flavio Roda e dal presidente del Saslong Classic Club Rainer Senoner, su tempi e contenuti della candidatura della val Gardena a sede dei Campionati del mondo di Sci alpino del 2029. Tra sette anni, per la seconda volta dopo l'edizione del 1970, la Val Gardena vorrebbe organizzare le gare iridate ospitandole a Selva di Val Gardena. "Siamo consapevoli della grande responsabilità che una candidatura per i Mondiali porta con sé. Il nostro obiettivo è organizzare una festa internazionale dello sport. Nel farlo diamo grande importanza alla sostenibilità. Vogliamo lasciare un patrimonio positivo alle prossime generazioni, come i pionieri del 1970 lo hanno lasciato a noi", ha affermato Rainer Senoner.All'incontro erano inoltre presenti i rappresentanti di due partner della candidatura: per Dolomites Val Gardena Ambros Hofer (presidente), Ezio Prinoth e Christoph Vinatzer; per il Consorzio Impianti a fune Val Gardena/Alpe di Siusi Andreas Schenk (presidente).Agire nel rispetto di paesaggio e popolazione. Senoner sa che si sono voci critiche contro i grandi eventi sportivi: "È comprensibile per via delle ultime esperienze ai Giochi olimpici di Pechino e ai Mondiali di calcio in Qatar. Per questo ci impegniamo ad agire con rispetto nei confronti del paesaggio unico, al centro delle Dolomiti - Patrimonio mondiale Unesco, e della nostra popolazione". Kompatscher e l'assessore provinciale Daniel Alfreider, che ha dovuto disdire la partecipazione all'incontro, accolgono con favore le manifestazioni sportive nel territorio provinciale: "L'Alto Adige è una terra di sport con atlete e atleti eccellenti, grandi leggende dello sport e anche eventi eccezionali. Per noi è molto importante che le manifestazioni sportive siano compatibili con il paesaggio e con le persone".Kompatscher ha aggiunto che la Val Gardena ha già a disposizione le infrastrutture necessarie dal punto di vista tecnico-sportivo, "tuttavia non si possono escludere interventi di adeguamento e risanamento"."Un'occasione unica". Kompatscher e Alfreider vedono nei Campionati del mondo una grande chance per la Val Gardena. E Roda ha spiegato: "Il nostro incontro è stato molto proficuo. La candidatura della Val Gardena a sede dei Mondiali 2029 sta procedendo nel migliore dei modi. La


Val Gardena può essere sicura del pieno sostegno della Fisi. Questa è una candidatura forte, supportata da molte istituzioni e partner. Sono convinto che la Val Gardena ben potrà competere al momento dell'assegnazione".Il ruolo dei Comuni. Nei prossimi anni avranno un ruolo importante i Comuni gardenesi. "Il nostro compito è essere presenti con il nostro sostegno e coinvolgere la popolazione, cosicché diventi una festa dello sport e della comunità. Allo stesso tempo, contribuiremo a plasmare questo processo verso una valle dal futuro sostenibile", hanno sottolineato i sindaci Roland Demetz (Selva), Christoph Senoner (S. Cristina) e Tobia Moroder (Ortisei), che ha aggiunto: "Non devono essere messi in primo piano solo i vantaggi economici per i diversi settori. Si tratta anche di assicurare la qualità di vita in favore di tutta la cittadinanza". In Val Gardena si prepara il dossier di candidatura per i Mondiali: dovrà essere depositato nella sede della Federazione Internazionale Sci Fis nella primavera 2023. Nel maggio 2024, nell'ambito del congresso FIS; saranno infine assegnati i Campionati del mondo di Sci Alpino del 2029. Coppa del mondo in dicembre. Per quanto riguarda la Coppa del mondo, in dicembre la competizione farà tappa per la 55ª volta in Val Gardena. Venerdì 16 dicembre si terrà il super-G, sabato 17 la classica discesa libera.

MOBILITA’ Alto Adige | 15 marzo 2022 p. 33 Più ciclabili e trasporti pubblici: l'Alta Badia «taglia» le auto alta badia Una rete più ampia di piste ciclabili, un potenziamento del servizio di Citybus, un maggiore collegamento dei servizi di trasporto pubblico fra i tre comuni: queste le maggiori richieste da parte degli abitanti di Corvara, Badia e La Valle che hanno risposto al questionario i cui risultati sono stati presentati l'altro giorno in un'affollata riunione che ha visto la presenza degli amministratori comunali, dei responsabili dell'ente turistico e delle associazioni di categoria. La risposta ai vari quesiti del questionario - iniziato nel novembre scorso e che è durato fino alla metà di febbraio - è stata lusinghiera: sono state 899 le adesioni raccolte che rappresentano il 30 per cento circa delle famiglie. L'iniziativa era stata sostenuta dai tre Comuni dell'Alta Badia e coordinata dall'Ökoinstitut. Il questionario è stato voluto anche dall'associazione turistica. Fra le risposte è emerso anzitutto un dato che fa impressione. circa il 70% degli interpellati ha risposto di usare l''auto privata per gli spostamenti fra i tre comuni e per quelli interni. Una percentuale eccessiva che ha portato alle altre richieste prioritarie, la prima delle quali riguarda la realizzazione di un percorso di piste ciclabili tra i tre comuni dell'Alta Badia. Un problema sollevato da tempo ma non ancora risolto. Si pensi che il collegamento fra Corvara e La Villa è tuttora ostacolato da oltre 200 proprietari terrieri. Un "freno" esiste anche per realizzare il collegamento fra Corvara e Colfosco benché il Puc sia già stato modificato al riguardo. C'è poi un'altra richiesta emersa dal questionario: la necessità di istituire un servizio di Citybus che colleghi i tre Comuni: l'unico mezzo simile che funziona è quello fra Corvara e Colfosco; voluto da poco tempo, dimostra di essere funzionale. C'è poi la richiesta di potenziare il servizio di trasporto pubblico in generale: attualmente un pullman viaggia con cadenza ogni ora. Le risposte al questionario dicono che sarebbe necessario ridurre il tempo di passaggio della corriera almeno di mezz'ora. Ma per ottenere questo risultato è necessario coinvolgere direttamente la Provincia. I tre Comuni dell'Alta Badia hanno convenuto di procedere di Comune accordo nell'affrontare i singoli problemi sollevati. Sono emerse altre richieste che riguardano in particolare l'esigenza di limitare il traffico sui passi dolomitici. E.D.


La Usc di Ladins | 18 marzo 2022 p. 3

Alto Adige | 25 marzo 2022 p. 21 Provincia si lavora al Piano della mobilità Bolzano La mobilità deve diventare sempre più ampia, interconnessa e intermodale, orientata alle esigenze di spostamento delle persone. Questa dev'essere la linea guida principale del nuovo Piano provinciale della mobilità, sottolinea Daniel Alfreider, assessore provinciale alla mobilità. Insieme a stakeholder, parti sociali, associazioni ambientaliste, autorità locali ed esperti, Alfreider ha discusso ieri a Bolzano la direzione di marcia del Piano provinciale per la mobilità futura. I punti di forza e di debolezza dei piani esistenti e dei progetti già in corso sono stati esaminati alla luce dei target e degli obiettivi europei, nazionali e locali per la mobilità sostenibile.I suggerimenti raccolti finora saranno ora rielaborati in linee guida in un primo documento strategico e presentati alla giunta provinciale per l'approvazione in poche settimane. Questo primo passo è necessario per soddisfare i requisiti per l'accesso ai fondi europei Fesr, Fse e Fsc. Poi inizierà una fase di partecipazione più lunga, in cui il Piano definitivo sarà finalmente elaborato con la partecipazione di tutte le parti interessate e il coinvolgimento di stakeholder, parti sociali, associazioni ambientaliste, esperti e autorità locali.


COLLEGAMENTO INTERVALLIVO CORTINA – ARABBA – CIVETTA Corriere delle Alpi | 16 marzo 2022 p. 29 «Il collegamento dello Ski Civetta è fondamentale per il turismo» il dibattito Il collegamento sciistico con il Civetta e con Arabba o la Val Badia? «Attendiamo con ansia lo studio che la Regione ha affidato ad un professionista», conferma Marco Zardini, che fa parte della task force di impiantisti che ha lanciato l'idea progettuale. «Noi siamo parte integrante del Superski Dolomiti, ma questo collegamento ci manca. E lo vorremmo prima delle Olimpiadi», ammette Zardini. Il 7 gennaio la Regione ha affidato l'incarico per la redazione del progetto di fattibilità tecnico-economica allo Studio Plintos dell'ingegner Diego De Carli con sede ad Alano di Piave per un importo di 71.560 euro.Legambiente ha definito improponibile il collegamento, anche perché nei prossimi anni le precipitazioni nevose scarseggeranno in misura sempre più determinante.«Vorrei rispondere con una battuta: se non c'è neve non ci sarà nemmeno acqua e, quindi, ce la passeremmo davvero male», commenta Zardini, «ma, detto questo, analizzando gli ultimi anni di precipitazioni, riscontriamo che, per la verità, alle nostre quote ci sono sempre stati dai 2 ai 3 metri di neve. Un anno di più un anno di meno. Quindi la garanzia c'è. Raccogliamo, invece, un'altra preoccupazione: il rispetto dell'ambiente. E su questo abbiamo la medesima preoccupazione degli amici ambientalisti».Ma il collegamento per gli operatori è irrinunciabile.«Non per incrementare il nostro business, ma per garantire un futuro alla nostra gente, anzitutto sul piano del lavoro», afferma Zardini, «la sostenibilità va intesa non solo sul piano ambientale, ma anche economico». Per tutto il resto Zardini dice che lui ed i colleghi investitori si affidano alle scelte della Regione. Scelte che confermano il tracciato per il Civetta, salendo al Giau e successivamente verso il Col Fertazza. E che invece escluderebbero il transito da Arabba, deviando dal Falzarego per il passo Valparola e scendendo verso la Val Badia, precisamente in località Armentarola. E chi scuce gli 80 milioni necessari?«Nessuna cifra è ipotizzabile finché non c'è il progetto. Gli investitori privati hanno dato la loro disponibilità, ovviamente la Regione dovrà fare la sua parte», conclude Zardini. Il sindaco di Cortina, Giampietro Ghedina, dal canto suo, fa un passo da lato. «Non mi compete entrare nel possibile collegamento con altre aree territoriali. Certo mi piacerebbe. Ma intanto la mia preoccupazione è quella di collegare direttamente le Tofane con il Faloria», dice, « attraverso una galleria interrata, un tunnel come quello realizzato in Val Gardena. Opera, questa, senz'altro sostenibile». E la Regione? L'assessore Federico Caner si dice fiducioso sull'operato e sui tempi dello studio di Quero Vas cui è stato affidato il compito progettuale. È evidente che a tempo debito - ha ripetutamente assicurato Caner - ci confronteremo anche col territorio. --f.d.m.© RIPRODUZIONE RISERVATA

COLLEGAMENTO VAL FIORENTINA – CORTINA Gazzettino | 21 marzo 2022 p. 8, edizione Belluno Carosello Val Fiorentina-Cortina «È il sogno degli operatori: va fatto» «La Val Fiorentina sia collegata con Cortina con un impianto di risalita. Gli operatori economici di Selva di Cadore lo sognano: ottimo coronamento dell'area ski in inverno, valida alternativa all'auto in estate per passeggiate ed escursioni». L'appello arriva dal gruppo di opposizione Insieme per Selva. Ai piedi del monte Pelmo, quindi, si leva ancora una volta una voce favorevole alla realizzazione di una cabinovia o di una seggiovia che dal comprensorio della Val Fiorentina porti alla sommità del passo Giau. In quella località Fedare dove parte la seggiovia che collega con il vicino territorio ampezzano. A ribadire la propria posizione favorevole all'unione intervalliva è il capogruppo Andrea Peretti che con i colleghi in consiglio attende con trepidazione l'esito dello studio recentemente affidato dalla Regione Veneto. «Come minoranza - afferma Peretti - abbiamo sentito in questi mesi chi opera a Selva di Cadore, in modo particolare proprietari e gestori di strutture ricettive, e si ritiene quest'opera fondamentale non solo per lo sviluppo della valle ma per scongiurare il definitivo spopolamento di Selva e dei dintorni». «Siamo tutti attenti e sensibili alle questioni ambientali - sottolinea il capogruppo ma allo stesso tempo anche a uno sviluppo del settore turistico e a uno sviluppo economico del territorio. Si parla molto del rischio di limitate precipitazioni nevose per i prossimi anni, ma vorrei evidenziare come nelle ultime stagioni le piste, anche in periodi di poca neve, siano state favolose, grazie alla professionalità degli addetti ai lavori. Senza parlare del fatto che il collegamento sarà fruito anche d'estate, quando si farà concreta l'ipotesi di stabilire un blocco viario - o comunque un numero chiuso - verso il passo Giau».


MARMOLADA Corriere delle Alpi | 4 marzo 2022 p. 29, segue dalla prima

Lorenzo Soratroi LIVINALLONGO Confini contestati sul Portavescovo, la palla passa nelle mani dei tecnici. L'amministrazione comunale di Livinallongo ha affidato al geometra Dino Bellumat, dello studio associato Bellumat e Paniz di Belluno, l'incarico di avviare gli studi e le verifiche tecniche e storiche per individuare puntualmente la linea di confine tra il Comune di Livinallongo e quello trentino di Canazei nella zona di Portavescovo.La questione nasce nel settembre del 2018 quando ai Comuni di Livinallongo e Canazei arriva una comunicazione del catasto di Trento nella quale «si evidenzia l'impossibilità di concludere un accatastamento di fabbricati su terreni proprietà della Sofma a cavallo tra le province di Belluno e di Trento». La questione è legata alle pratiche avviate dalla società che gestisce gli impianti di Portavescovo a seguito dei lavori di ristrutturazione del rifugio Gorza. A Canazei, sembra a seguito di una segnalazione, si sarebbero accorti che una parte della stazione del Funifor Arabba-Portavescovo e del vicino rifugio ricadrebbero in realtà nel suo territorio. Con tutte le conseguenze amministrative. Come ad esempio quella ghiotta economicamente dell'Imu, che la Sofma dovrebbe quindi in proporzione versare nelle case del comune fassano.Dalla comunicazione del Catasto si evince che in quell'area tra le rocce della Mesola c'è una situazione dei confini decisamente indefinita e piuttosto confusa. Si parla infatti di linee di confine non coincidenti tra le carte in mano a Trento e quelle in mano a Belluno. Ed addirittura di vere e proprie "terre di nessuno": intere parti di terreno che non vengono attribuite né a un comune né all'altro.Secondo le carte presentate da Canazei, più di metà della stazione del Funifor ricadrebbe nel suo territorio. Più chiara invece la situazione del rifugio Gorza, che sarebbe invece quasi interamente in comune di Fodom: Canazei ne reclamerebbe invece solo una piccola parte. Da parte su la Sofma avrebbe risposto ai due Comuni, avanzando i problemi di doppia applicazione dei tributi che questa situazione comporterebbe. Cosa che - ricorda la Sofma - è anticostituzionale. Le due amministrazioni e la Sofma si sono già incontrate più volte, anche con un sopralluogo in zona, con la piena volontà di dirimere la questione. Di comune accordo hanno deciso ognuna di incaricare un tecnico specializzato per fare le verifiche e definire una volta per tutte il confine esatto.L'incarico affidato allo studio Bellumat e Paniz, costo 15.200 euro, prevede la ricerca storica negli Archivi di Stato di Belluno, Canazei e Trento per acquisire le cartografie sia delle mappe Teresiane che quelle del Catasto italiano, la ricognizione in loco per una valutazione dello stato dei luoghi, il rilievo con ricevitori satellitari Gnss e con droni ed infine, sovrapporre i dati acquisiti con le mappe esistenti per trovare eventuali errori nella formazione delle mappe del catasto. Al Comune infine i tecnici presenteranno un'analisi critica dei dati elaborati circa la più probabile posizione della linea di confine. --© RIPRODUZIONE RISERVATA


L’Adige | 20 marzo 2022 p. 31 Prg, Ciasates e Crepa Neigra «Qui progetti devastanti» GIORGIA CARDINI CANAZEI Non ci sono solo gli esposti dell'architetto Enzo Soraperra e le preoccupazione degli operatori di Passo Fedaia rispetto al futuro della Marmolada: la variante 2018 al Prg di Canazei non soddisfa neppure un gruppo di cittadini che, il 24 gennaio, ha presentato quattro pagine di osservazioni sul tormentato piano, puntando a far correggere in modo significativo alcune previsioni di ampliamento delle aree sciabili considerate irreversibilmente impattanti sotto il profilo ambientale e sociale. E che ora, conscio che i tempi del dibattito pubblico sono ormai agli sgoccioli, ha deciso anche di "suonare la sveglia" per i compaesani, assorbiti dal lavoro stagionale e perlopiù ignari rispetto ai contenuti della variante stessa.E' Marti Cigolla, cofondatrice dello spazio "Per mia Tera" , a rendere nota una presa di posizione firmata anche dagli altri quattro residenti: «Il focus della nostra preoccupazione - scrive il gruppo - si concentra sulle sezioni del Prg riguardanti le modifiche alle aree sciabili, in particolare sul possibile ampliamento dell'area del Campo Scuola-Ciampac. Nell'osservazione poi, abbiamo avuto modo di nominare brevemente anche l'intersezione di questo prospetto con un altro progetto devastante in programma: la circonvallazione Campitello-Canazei. La nostra analisi, che si appoggia anche su precisi aspetti tecnici del presunto sviluppo dell'area, verte soprattutto sull'ingente e irreversibile impatto ambientale e sociale che questi interventi comporterebbero. Infatti, oltre alla colonizzazione dell'unico e ultimo versante/spazio verde libero, selvaggio e indisturbato del paese», si assisterebbe a «una privatizzazione parziale di una terra e bosco di bene comune e del fatto che, come spesso accade in Fassa, le scelte territoriali sono pensate unicamente come turistiche e soprattutto sci-centriche».Il progetto impiantistico analizzato a proposito del campo scuola prevede, sul versante di Crepa Neigra, un nuovo impianto ad agganciamento automatico (seggiovia a 6 posti o ovovia a 8 posti), la creazione di una pista blu, tre skiweg in direzione Canazei e Alba, una pista da slittino (sulla strada forestale gravata da uso civico della frazione di Gries), un ascensore inclinato e una zipline: «Non è l'unico (progetto) previsto nelle modifiche presentate - fanno presente Marti Cigolla e gli altri firmatari - ma di certo è il più inquietante».Inquietante perché «il versante di Crepa Neigra - assieme all'area di Ciasates, che pure accuserebbe una trasformazione stravolgente, è l'ultimo e unico libero da antropizzazione ma, soprattutto, qualsiasi cambiamento su di esso - specialmente se mal pensato, insostenibile economicamente e non mirato a una guardianìa collettiva consapevole del territorio -comporterebbe la totale morte degli spazi verdi in prossimità del centro abitato e rappresenterebbe un definitivo e tragico punto di non ritorno».Quelli analizzati dal gruppo di cittadini «sono spazi dalla cui tranquillità, vicinanza e vastità tanta gente beneficia straordinariamente»: piane e angoli di quiete a pochissimi minuti dal paese immuni dal trambusto del traffico turistico del centro. «Il versante inoltre ospita una strada forestale parte dello storico "Troi di Ladins" (un percorso di 85 km in 15 tappe, ndr), oltre ai sentieri selvaggi che conducono sulle silenziose alture di Col Pelous e della Crepa Neigra». Il disaccordo del gruppo con le previsioni strutturate per l'area di Ciasates e per il versante Campo Scuola-Ciampac è totale: «Non è questo quello che vogliamo per la nostra terra, per noi e ancor di più, per le future generazioni».L'auspicio dei firmatari è che i cittadini di Canazei si informino di più sulla variante, che vigilino e siano pronti a far sentire il proprio dissenso rispetto ai piani per questa zona di Canazei: «Ci siamo anche noi, la gente, e non possiamo aggiungere la nostra negligente firma e il nostro silenzio a un ingordo e anacronistico sviluppo che sarà rovina definitiva per il paese».

DOLOMITI AL CINEMA Messaggero Veneto | 2 marzo 2022 p. 29, edizione Nazionale Al Cinema David lo spettacolo delle Dolomiti Le Dolomiti Unesco tornano sul grande schermo: venerdì alle 20.30 il Nuovo Cinema David di Tolmezzo ospiterà la serata di proiezioni "Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco - La sublime bellezza dei Monti Pallidi". L'evento è organizzato dal servizio biodiversità della Regione in collaborazione con la Comunità di montagna della Carnia e l'Asca (associazione delle sezioni Cai di Carnia, Canal del Ferro e Val Canale). Grazie alla Fondazione Dolomiti Unesco nel 2019 ha preso il via un progetto audiovisivo - affidato a Ivo Pecile e Marco Virgilio - dedicato alle caratteristiche paesaggistiche e geologiche uniche dei parchi naturali. Il progetto, ampliato nel 2020, prevede la realizzazione di dieci documentari della durata di mezz'ora che saranno completati in autunno. I documentari esprimono il fascino del paesaggio e della geologia che hanno portato al riconoscimento di patrimonio mondiale dei nove sistemi dolomitici. Gli autori hanno effettuato riprese di altissima qualità nei più importanti ambienti di fondovalle e in quota delle Dolomiti.


DOLOMITI IN TV L’Adige | 7 marzo 2022 p. 12 Veri “falegnami ad alta quota” I Curzel ristrutturano il Brentei Dmax vola sulle Dolomiti con la nuova serie «Falegnami ad alta quota», in onda da mercoledì alle 21.25 (e in anteprima streaming su Discovery+). Protagonista, la famiglia Curzel, falegnami trentini specializzati in ristrutturazioni di rifugi ad alta quota e nella realizzazione di baite in bioedilizia. Ovvero, Germano, il fondatore, detto anche "Il supremo", e i suoi due figli, Paolo e Giovanni, che oggi portano avanti l'azienda: tre generazioni di uomini e i loro collaboratori. Lo scenario, quella frontiera verticale che sono le vette delle Dolomiti, rocce e scenari mozzafiato sulle quali pionieri hanno fondato rifugi leggendari. Produzione originale EiE film per Discovery Italia, diretta da Katia Bernardi e realizzata con il sostegno di Trentino Film Commission, la serie racconta quanto costruire lassù sia una sfida estrema tra uomo e natura. Ma anche una corsa contro il tempo, in cui servono organizzazione perfetta e sangue freddo, perché ogni centimetro è da sudare, ogni chilo pesa il doppio. E l'errore non è ammesso. «Una cosa non difficile, di più», dice Giovanni, lo sportivo di famiglia. D'altronde, per lavorare qui, come spiega la serie, servono creature speciali, che devono volare come aquile, arrampicarsi come stambecchi, avere il carattere di un orso, ma essere uniti come un branco di lupi. Per oltre sei mesi la troupe di Dmax li ha seguiti in alcune delle location più spettacolari del Trentino, tra le Dolomiti di Brenta, Lagorai, Valsugana, Val dei Mocheni e Vigolana, a partire dal mitico rifugio Brentei (nella foto), costruito nel 1938. Il Cai ha commissionato ai Curzel una ristrutturazione completa. «Che è quasi come andare a rifare San Pietro», commenta Germano.

Corriere del Trentino | 10 marzo 2022 p. 11 «Falegnami in alta quota» Nuova serie action in tivù La regista trentina Katia Bernardi e il film su DMax canale 52 Roberto Brumat Due fratelli di Caldonazzo, il padre di 80 anni e il giovane capo carpentiere che odia la montagna, sono i protagonisti di Falegnami ad alta quota , serie tivù scritta e diretta dalla trentina Katia Bernardi, regista e scrittrice di Levico. Sei puntate in onda ogni mercoledì alle 21,25 su DMax per raccontare difficoltà e perizia di professionisti che sanno costruire dov’è quasi impossibile. «Una troupe, quasi tutti trentini, due telecamere e droni, ha vissuto da giugno a novembre a stretto contatto con i carpentieri dell’azienda Curzel dei fratelli Paolo e Giovanni, per ristrutturazioni di rifugi in quota», spiega la regista Katia Bernardi, che ha scritto la serie durante il lockdown. Bernardi è autrice anche del documentario Inedita e del celebre film Funne- Le ragazze che sognavano il mare . «Nessuno dei protagonisti di questa serie recita, sarebbe stato impossibile preparare testi per situazioni impreviste e imprevedibili. Partivamo alle 3,30 del mattino per prendere l’elicottero che ci portava a destinazione, dove il lavoro finiva alle 7 di sera. E abbiamo lavorato e vissuto per sei mesi nei rifugi Brentei, Tosa Pedrotti, Tuckett, Cima D’asta, Bivacco Vigolana, Bivacco Fravort, in condizioni climatiche proibitive, soffrendo il freddo e dormendo anche per terra». I suggestivi scenari, ripresi anche al tramonto con i droni, sono quelli delle Dolomiti di Brenta, di Lagorai, Valsugana, Val dei Mocheni, Vigolana. Con i fratelli Curzel c’è il patriarca Germano, che fondò la falegnameria nel 1963, specializzata negli anni in costruzione di case in legno chiavi in mano e in ristrutturazioni in luoghi impossibili. E ci sono Bruno il capo carpentiere con i falegnami Oscar e Roberto, ma anche Valentino, Martin, Samuel, Jona, nipoti del capostipite, che anche a microfoni spenti chiamano «Supremo». Prodotto da Davide Valentini della EiE fil, ha il sostegno di Trentino Film Commission. Costruire sopra i duemila metri dove ogni cosa pesa il doppio e tutto va portato in elicottero, è un’impresa che merita di essere raccontata. «C’è stato pure un bivacco che poteva essere raggiunto solo a piedi – precisa Katia Bernardi - . Ecco perché chi lavora dev’essere alpinista. Con il direttore della fotografia Alex D’Emilia, operatore alpinista free climber, fondamentale è stata la troupe trentina formata tra gli altri dal direttore di produzione Vanni Furlani, dal fonico Francesco Parolari e dalla società ex Format di Corrado Measso e Sara Parisi». In ogni episodio compare il rifugio Brentei a quota 2182 metri, realizzato nel 1938 e ora affidato per la ricostruzione alla Legno House Curzel. Ma ci sono anche l’allestimento del trono gigante per il rifugio Tuckett. Magie umane e incanti della natura. E il lato umano, come Giovanni Curzel che si trasforma in cuoco per 40 persone.


Gazzettino | 21 marzo 2022 p. 2, edizione Belluno «Dolomiti in televisione e il nostro turismo vola» BELLUNO L'industria cinematografica assume sempre maggior importanza in ottica turistica. Film e fiction, infatti, hanno la capacità di essere un efficace veicolo di comunicazione, capace di rafforzare o addirittura di creare l'immagine di una località, inducendo molti spettatori alla visita e alla scoperta dei luoghi in cui sono stati ambientati i lungometraggi. Il cosiddetto cineturismo, che fa sì che sia il cinema a far conoscere un territorio, ma anche di promuoverlo originando nello spettatore la volontà di esplorare e conoscere nuovi luoghi, nuove culture e nuove usanze. Così sta capitando anche in provincia di Belluno dove si odono ciak di fiction nazionali e internazionali. Ma non solo. Anche film e trasmissioni televisive. La ripartenza post covid parte anche da qui. LA PROMOZIONE «La presenza del Bellunese in tv è sia uno strumento formidabile di promozione turistica e territoriale, sia il riconoscimento del valore dei luoghi - afferma il presidente della Provincia Roberto Padrin -. Un valore riscoperto non solo dalla televisione e dal cinema, ma anche da diverse persone, specialmente durante il lockdown. I mesi di chiusura totale del 2020 hanno ingenerato un cambio di visione rispetto alla montagna, vista come luogo sicuro, salubre e di grande libertà, soprattutto da chi viveva in città ed era costretto a rimanere chiuso in casa, senza poter uscire, senza un giardino e senza quelle piccole cose che noi bellunesi abbiamo a due passi da casa, e spesso diamo per scontate. Questo genere di visione è fondamentale per poter valorizzare la nostra montagna non solo a fini turistici, ma anche in una prospettiva anti-spopolamento». «Per quanto riguarda le serie tv - penso soprattutto a Un passo dal cielo, che ha indici d'ascolto straordinari - il ritorno è stato poderoso - prosegue il presidente Padrin -. A San Vito un albergatore mi ha raccontato di turisti che non erano mai stati in zona e sono arrivati appositamente per vedere i luoghi della serie tv. Questo significa ampliare la promozione e anche poter allungare la stagione turistica. Dovremo essere bravi a sfruttare queste occasioni: da una parte costruendo un sistema di accoglienza e ricettività, in sinergia con gli operatori turistici che devono pensare in grande e tornare a investire; dall'altra portando nuovi servizi e ampliando sempre di più i flussi turistici, anche in zone che oggi ne sono toccate solo marginalmente. Il turismo può essere un motore economico della nostra provincia, con il vantaggio che i nostri luoghi, i nostri paesaggi e le Dolomiti non delocalizzano». LA SPINTA Un passo dal cielo, girato sul lago di Mosigo a San Vito di Cadore è stato emblematico in questo senso. «Un'esperienza racconta l'ex sindaco di San Vito di Cadore, Franco De Bon che si è rivelata una grossa promozione turistica». Tutto ha avuto inizio quando la sceneggiatrice, cercando nuove location, ha parlato con l'allora sindaco De Bon. Era l'inverno a cavallo tra il 2019 ed il 2020. «Abbiamo avuto subito ripercussioni- prosegue De Bon -: non appena sparsa la voce che la troupe sarebbe venuta è stato calcolato che il nome di San Vito di Cadore era aumentato del 1000% nelle ricerche sul web. Quell'estate abbiamo registrato il tutto esaurito, nonostante fosse la prima estate del Covid». Una cosa fondamentale, che segnala De Bon, anche consigliere provinciale delegato: «avevo chiesto che della presenza della troupe ne beneficiassero anche le altre località non solo in termini economici (alberghi), ma anche come location. E così è stato. Un passo dal Cielo è stato girato anche alla Villa Miari a Belluno, per fare un esempio». OPERATORI TURISTICI Anche gli operatori turistici sono rimasti soddisfatti dell'esperienza, basta parlarne con Gildo Trevisan del Consorzio Cadore Dolomiti. «La Regione Veneto pone, da anni, un accento e un'importanza sulla film commission», che si pone come riferimento per lì industria cinematografica. «Comunicare i nostri valori e le nostre tradizioni è molto importante e genera una grande risonanza mediatica con grandi ritorni a livello d'immagine. Questi sceneggiati ne sono la prova pratica: molti villeggianti chiedevano dove si trovavano i luoghi di riferimento nella fiction». E benché ora «bisognerà stare attenti a governare i flussi per la salvaguardia della nostra montagna chiude Trevisan va detto che la regia quest'anno è aperta ad accogliere suggerimenti per luoghi e per essere aiutata a meglio rappresentare le frazioni e la nostra storia. Ben vengano questi sceneggiati, contiamo molto su questo tipo di turismo». Federica Fant

Gazzettino | 21 marzo 2022 p. 3, edizione Belluno Ciak, San Vito come Cortina il cinepanettone si gira qui La serie continua. Un passo dal cielo 7. I guardiani tornerà per le riprese della nuova stagione a San Vito, a Cortina e in altre località dell'alto Bellunese. Ma bolle anche altro in pentola per San Vito di Cadore: tra aprile, maggio e molto probabilmente anche giugno si girerà un film. TOP SECRET


I dettagli sono ancora da chiarire ma è certo che si tratta di una importante produzione italiana che lavorerà su una sorta di Vacanze di... con attori di richiamo. Nei mesi passati, quando la neve ha imbiancato San Vito, sono state già girate delle scene, quelle utili per il racconto nel periodo invernale. PERIODO MAGICO Il paese della valle del Boite vive un momento che, se non è magico, poco di manca. Ne è consapevole il sindaco Emanuele Caruzzo che non aggiunge nulla sul film assicurando che i dettagli saranno svelati dalla produzione stessa al più presto. Quanto alla settima serie della fiction televisiva di Lux Vide avrà ancora come cornice il lago Mosigo e le Dolomiti. Una notizia, la conferma del ritorno, che ha entusiasmato gli appassionati delle avventure del commissario Nappi, con Daniele Liotti ed Enrico Ianniello. Ma soprattutto una grande notizia per il territorio interessato visto che nell'ultimo anno le visite turistiche ai luoghi della serie sono cresciuti. «ESTATE ECCEZIONALE» E San Vito con il lago dove insiste lo chalet palafitta, che diventa la stazione di Polizia, è stata la località più gettonata, il sindaco Caruzzo: «Per noi quella passata è stata un'estate eccezionale, straordinaria, tanti sono venuti a vedere i luoghi dove era stata girata la fiction, tanti si fermavano a chiedere dove andare per vedere dal vivo quanto ammirato in televisione». Una promozione fondamentale grazie alle puntate tanto amate de Un passo dal cielo, I guardiani in grado di registrare ascolti da oltre 5 milioni di media, con punte di share del 25-26%. LA PROSSIMA STAGIONE Nel vertice fra l'amministrazione, con il sindaco Emanuele Caruzzo e il vice Alfonso Sidro, il presidente del Consorzio Cadore Dolomiti Gildo Trevisan, il direttore di produzione e organizzatore generale Mirco D'Angeli ha confermato il ritorno di attori, regista e cast. Confermate anche le location principali e definito il programma di massima: attori e regista dovrebbero arrivare per le riprese a fine estate. La serie arriverà su Rai 1, salvo modifiche, per la trasmissione nella primavera 2023. Novità per la regia affidata all'attore Enrico Ianniello, che vestirà ancora i panni del commissario Vincenzo Nappi e Daniele Liotti interpreta ancora Francesco Neri, già forestale, ora amico e collaboratore, in borghese, della Polizia. I PREPARATIVI A San Vito di Cadore si stanno programmando lavori per rendere ancora più attrattiva l'area del lago Mosigo, «ci teniamo a migliorare il sito -assicura il sindaco- abbiamo già iniziato con piccoli interventi ora pensiamo a qualcosa di ben più importante». Fra le idee in questo momento si pensa ad una spiaggia, ad un nuovo chiosco, ad una ristrutturazione generale, «per ridare il lustro che merita al nostro lago» assicura Emanuele Caruzzo. Quanto al primo ciak della fiction, che ha lasciato l'Alto Adige per le Dolomiti di Ampezzo e Cadore, è previsto per fine agosto, e poi avanti con settembre che in montagna, tradizionalmente, è il miglior periodo con giornate terse per panorami straordinari. Giuditta Bolzonello


NOTIZIE DAI RIFUGI Corriere delle Alpi | 1 marzo 2022 p. 25

p. 6 Dalle spedizioni alla vita in rifugio: l’alpinista umano che divenne leggenda TRENTO Nella terza puntata della serie dedicata a Bruno Detassis, insieme alla guida alpina Omar Oprandi, ricostruiremo quei tratti che lo hanno reso un uomo straordinario non solo nell’alpinismo e nello sci, ma anche nella capacità di ispirare un modo diverso di vivere la montagna. Un nuovo capitolo della sua esistenza iniziò nell’immediato dopoguerra, quando tornò in Brenta dopo due anni di prigionia.«Fisicamente e mentalmente un’esperienza di questo tipo richiede tempo per essere superata, e anche Bruno tornò indebolito, ma non vuol dire che smise di arrampicare o aprire vie». L’ardore giovanile fece spazio a una consapevolezza adulta «che tra l’altro in lui era sempre stata presente. Diceva spesso che scalare non doveva mettere a repentaglio la vita e che, dove non sarebbe riuscito a passare, sarebbe tornato indietro, lasciando la montagna a chi sarebbe venuto dopo. Anche se Bruno ha sempre finito le sue vie». La sua seconda stagione alpinistica è ben rappresentata dal ruolo di capo spedizione nel tentativo trentino al Cerro Torre, del 195758. Alla partenza, Detassis si impegnò a nome del gruppo da lui guidato a fare tut quel che podem , mettendo in chiaro come il valore della vita sarebbe stato al di sopra delle possibili conquiste e rovesciando così la retorica nazionalistica degli eroismi a ogni costo, tanto in voga in quel periodo. «In quella spedizione, dove c’era un giovane leone come Cesare Maestri, tenne fede alla propria parola


impedendo ai ragazzi di attaccare il Torre, ritenuta una montagna impossibile». Il rapporto con il ragno delle Dolomiti si cementò negli anni. «Bruno era già da tempo il gestore del Brentei e quando passavi di lì per andare a scalare, in un certo senso “dovevi” passare a salutarlo. E così Maestri crebbe sotto lo sguardo di Detassis. Ma tutta la storia di Cesare è nel solco di Bruno: nati entrambi a Trento, trasferitisi in Brenta, talenti cristallini ma con una grande umanità e affezionati alla vita. Cesare vedeva in Bruno un punto di riferimento, ammirava la sua capacità di intuire le vie, la logica della sua arrampicata. Detassis riconosceva il valore di Maestri e lo scatto in avanti della generazione che rappresentava, un’epoca nella quale si cercava la linea più diretta possibile alla vetta». Entrambi riuscirono a invecchiare e un altro incrocio importante della loro vita avviene nel 1976, quando aprirono insieme la via delle tre generazioni sulla parete sud della punta occidentale di Campiglio. «Insieme a loro c’erano anche due boci : Ezio Alimonta e Claudio, figlio di Bruno, oltre al fratello Catullo. È una via molto bella, ideata da Detassis. Dal rifugio si vede tutta, anche se risulta un po’ schiacciata, ma al tempo aveva il grande pregio di andare a toccare una zona ancora inesplorata del Brenta. Fu l’ultima via aperta da Bruno, un ideale passaggio di consegne alle generazioni successive». Tra gli alpinisti che hanno raccolto l’eredità di Bruno nei decenni successivi, Ermanno Salvaterra ricopre un ruolo speciale. L’uomo del Torre è stato sempre molto attivo anche in Brenta. «Ha aperto grandi vie tanto sul Crozzon che sul Campanil Basso. Come Detassis e Maestri aveva una maestria incredibile, un totale controllo della propria potenza. Ermanno è stato un grande imitatore di entrambi i suoi predecessori, evolvendosi verso un alpinismo alla ricerca della velocità di esecuzione, tratto tipico degli anni in cui si è espresso al massimo livello. La via delle guide al Crozzon di Brenta percorsa in meno di due ore rimane ancora oggi impressionante». Gli anni ‘80 segnano il boom dei record, anche Oprandi è stato protagonista di quel periodo con il primato di percorrenza del sentiero delle Bocchette «e Bruno voleva sapere tutto, quanto tempo ci avevi messo, guai se non lo rendevi partecipe. Il rifugio era diventato la sua casa, tanto che anche negli ultimi anni ci si faceva portare in teleferica, pur di stare lassù. Era fedele al motto per cui sopra i duemila metri le differenze sociali scompaiono. Per lui stare al rifugio era un modo per non dovere selezionare gli incontri, ma lasciare che fosse la montagna a fargli arrivare le persone più gradite». Nel secondo dopoguerra, Detassis era sì rifugista «ma con l’animo irrequieto dell’alpinista “prestato” al ruolo. Sua moglie Nella era il vero gestore, donna capace e di carattere. Lui non si tirava indietro, ma fu solo molto avanti con l’età che si convertì in pieno al mestiere, e comunque non smise mai davvero di fare la guida. Se c’era qualcuno da accompagnare nei dintorni era sempre pronto, e nel frattempo era diventato un santone. C’era gente che saliva da Campiglio solo per salutarlo, farsi una foto o due chiacchiere». Detassis aveva una profonda umanità che si trasmetteva nel desiderio di vivere la montagna in relazione agli altri. «Fu tra i fautori del soccorso alpino in Campiglio e portò di persona i cavi del telefono fino al Brentei ogni anno, fino all’avvento della radio. Collegava il proprio albergo al rifugio. Era un modo per curare i propri interessi, ma anche per permettere ai soccorsi di essere allertati celermente». Non si può nemmeno dimenticare il grande contributo dato alla realizzazione del sentiero delle Bocchette. «Fu un’opera all’avanguardia, realizzata per fare vivere agli escursionisti le bellezze delle Dolomiti di Brenta, dove prima potevano arrivare solo gli alpinisti». Detassis ancora oggi è una leggenda, anche perché, da grande uomo, aveva gli occhi puntati in alto sulle sue montagne e una mano sempre tesa in basso, per aiutare tutti a salire.

Gazzettino | 9 marzo 2022 p. 6, edizione Belluno Rifugi, beffa fondi di confine «Aiuti ai privati, non al Cai» I rifugi a controllo dei flussi di turismo. Sono le prenotazioni in alta quota a dare l'indicazione di chi verrà a visitare il territorio e il Cai di Feltre sottolinea questo modello di raccolta dati per sensibilizzare una stretta collaborazione turistica fra queste strutture e gli operatori di fondo valle. «In attesa dell'assegnazione della gestione del Rifugio Dal Piaz sulle Vette Feltrine - spiega il presidente del Cai feltrino, Angelo Ennio De Simoi - stiamo seguendo le prenotazioni proprio su questo rifugio. Siamo quasi a cento e ne arrivano ogni giorno. Sono solo due le richieste che arrivano dall'Italia le altre giungono da Australia, Corea, Canada, Stati Uniti, Spagna, Norvegia e Germania». Questo da un'indicazione precisa secondo il presidente: «Chi vuole fare l'Alta via 2 delle Dolomiti prima prenota i rifugi e poi sceglie dove dormire a Feltre o Bressanone, questo però lo chiede a noi. Un gruppo di canadesi, che percorrerà l'Alta via al contrario, ci ha chiesto informazioni su dove andare a dormire prima di iniziare l'avventura sulle Dolomiti. I rifugi catturano queste informazioni e diventano la punta dell'iceberg di una potenziale promozione del territorio». Il Cai di Feltre è comunque sempre al lavoro e lunedì il direttivo si è incontrato per discutere sulla nuova gestione del Dal Piaz e sugli investimenti da destinare alla struttura. LA GESTIONE Si è chiusa poco tempo fa la possibilità di partecipare alla gestione del rifugio dopo la scelta di Mirco Gorza di non continuare l'attività ai 1993 metri di quota. «Sono state 10 le domande di partecipazione - commenta De Simoi - e sono state analizzate lunedì. Entro giovedì (domani) faremo una prima scrematura e nel fine settimana fisseremo degli incontri online con chi abbiamo scelto nella prima verifica. Ridurremo il numero a due o tre e questi li incontreremo nell'ultima decina di marzo per poi arrivare a una scelta definitiva a fine mese. Questo per avere un nome con ampio vantaggio sull'inizio della stagione». I partecipanti giungono da Feltre, dal Bellunese, ma anche dal Nord Italia e tutti vantano esperienza nella gestione piuttosto che in ambito di ristorazione. INVESTIMENTI


Il Rifugio Dal Piaz sarà al centro anche di alcuni investimenti da parte del Cai di Feltre. Una cifra di 20mila euro è stata destinata al rinnovo degli elettrodomestici presenti nella struttura. Questi soldi potevano essere ricavati dai Fondi di confine? Alla domanda risponde De Simoi: «Se il bando dei Fondi fosse ben strutturato sì. Purtroppo oltre un milione di euro è destinato alle imprese e il Cai non può partecipare. In un affitto di un locale di solito affitti l'immobile e non il contenuto, il Cai fa un contratto di affitto di azienda e consegna tutto, anche le forchette, al gestore. Una cosa non prevista dal bando. I fondi di confine vanno in aiuto ad alcuni soggetti, ma al prima voce rifugi di montagna non corrisponde a realtà o meglio, aiuta solo quelli privati e ce ne sono. Strutture più simili ad alberghi che a rifugi e che non praticano i prezzi e gli sconti dei rifugi Cai». L'appello arriva spontaneo: «Chi di dovere dovrebbe controllare come sono scritti i bandi, a chi sono dedicati e soprattutto alle varie realtà dei rifugi di montagna, perché un finanziamento a fondo perduto potrebbe salvare una struttura che opera in alta quota». Il riferimento è ai politici che operano in montagna e che forse involontariamente non conoscono la struttura di chi la vive e mette le energie a disposizione del territorio. Daniele Mammani

Alto Adige | 25 marzo 2022 p. 21 Nuovo rifugio passo Santner Dovrebbe aprire in estate Nuovo rifugio passo Santner, sul Catinaccio. Lo si vede a occhio nudo da chilometri di distanza, per esempio da Carezza o da malga Frommer. Ma ora stanno arrivando le prime foto, nello specifico postate sui social dall'impresa Sparer Gerüstebau di Appiano, che sta montando i ponteggi. Anche grazie alle scarse precipitazioni nevose e alle temperature accettabili di queste settimane, i costosi lavori, eseguiti anche con l'ausilio di gru ed elicottero, stanno procedendo velocemente. Lo conferma il sindaco di Tires Gernot Psenner: «Magari non subito per dormire, ma per fermarsi a mangiare e a bere dovrebbe aprire per il mese di giugno».

NOTIZIE DAI PARCHI Corriere delle Alpi | 5 marzo 2022 p. 19 L'archivio di Piero Rossi in un'App Al Parco la gestione del Bianchet Marcella Corrà / BELLUNO La presentazione di una web app dedicata all'archivio di Piero Rossi, il "padre" del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi, è stata l'occasione per fare il punto sulla progettualità dell'area protetta. L'ente Parco è impegnato su più fronti, con investimenti che arrivano a dieci milioni di euro, lavori che non è facile seguire dal punto di vista burocratico e progettuale per una struttura così piccola. Per questo, ha spiegato il presidente Ennio Vigne, sono state attivate collaborazioni, ad esempio con l'Unione montana Longaronese per la realizzazione della nuova caserma dei carabinieri forestali e per un ufficio informazioni. O con Veneto Strade, per la ciclabile dell'Agordino. A Belluno si sta lavorando con il Comune per l'ampliamento del museo naturalistico che ha sede in poche sale del Centro Piero Rossi e per il quale il Parco ha da tre anni un finanziamento statale di 1,2 milioni. Già il primo stralcio progettuale è pronto, ora si cerca un accordo con Palazzo Rosso per un supporto operativo, non facile comunque in un periodo in cui anche il Comune ha un bel pieno di progetti legati alla rigenerazione urbana. «Il nostro scopo è di riuscire a non rallentare l'iter - ha spiegato Vigne - per poter realizzare quanto prima l'obiettivo del Parco, del Comune e della Provincia di realizzare un museo naturalistico provinciale». In questa ottica, l'attuale bar verrebbe spostato sulla parte sinistra dell'edificio a ferro di cavallo di Piazza Piloni, per dare continuità alle attuali sale e a quelle nuove del museo. IL PARCO E BELLUNO Altro obiettivo è quello di far entrare il Parco dentro la città capoluogo: «Sono stati creati i presupposti perché la nuova amministrazione comunale di Belluno nel dopo elezioni possa inserire nell'area del Parco il corridoio dell'Ardo, che nell'attuale Pat è indicato come riserva naturale». C'è poi la Schiara, la montagna di Belluno, dove per l'estate saranno sistemate, con un intervento del valore di centomila euro, le ferrate Sperti e Zacchi, mentre con il Settimo Alpini si sta ragionando sulla sistemazione delle altre due ferrate, Berti e Marmol. Infine il rifugio Bianchet, Malga Varetta e Malga Vescovà passeranno in gestione al Parco «e così potremo fare dei ragionamenti sulla promozione di quel territorio a confine tra Belluno, Sedico e Zoldano». L'ARCHIVIO DI PIERO ROSSI Il prossimo anno l'ente compie 30 anni e tutto quello che si sta realizzando porta l'impronta


di chi ha fortemente voluto e si è battuto per avere un'area protetta delle Dolomiti Bellunesi. Piero Rossi non è stato il solo, ma di sicuro ha lavorato tanto. Il suo archivio è stato donato dalla famiglia alla Fondazione Angelini: 250 libri, 22 faldoni di documenti, 120 album fotografici. «L'intento - ha spiegato Anna Angelini - era che tutto questo patrimonio potesse non solo essere conservato ma soprattutto valorizzato».Due anni di lavoro hanno portato alla creazione di una web app, in cui l'archivio (una parte scelta, non tutto) diventa fruibile.La sezione "Il Parco di Piero Rossi" si troverà tra qualche settimana sia entrando nel sito del Parco che in quello della Fondazione Angelini. C'è dentro di tutto: dalla corrispondenza tra Rossi e Giovanni Angelini, che è stato il suo maestro, alle mappe, ai disegni, alle fotografie, ai libri. C'è tutta la campagna per la costituzione del Parco portata avanti per vent'anni da Piero Rossi, culminata con la proposta presentata in Senato nel 1970 e proseguita negli anni successivi fino alla nascita del Parco, nel '93. L'archivio è stato prima di tutto inventariato, come ha spiegato Elena Turro che si occupa degli archivi della Fondazione Angelini, e poi digitalizzato. C'è anche una sezione dedicata al "Parco che vive" che racconta i risultati di trent'anni, mettendo a confronto le fotografie di come erano i luoghi negli anni di Piero Rossi e come sono ora. Rossi non pensava solo alla tutela dell'ambiente, ha spiegato Enrico Vettorazzo, funzionario tecnico del Parco, ma anche a chi ci viveva e ci lavorava: «Diceva che la battaglia per il Parco era una battaglia per la nostra gente. E in questa sezione cerchiamo di far capire come abbiamo agito, con il recupero del patrimonio edilizio, e con la ricerca scientifica, perché il Parco è un vero laboratorio a cielo aperto». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 9 marzo 2022 p. 22 Sentieri accessibili a tutti è alleanza tra Parco e Aipd Raffaele Scottini FELTRE L'ambiente naturale a portata di tutti, grazie a percorsi adatti anche a persone con disabilità. È stata una missione del Parco delle Dolomiti negli ultimi anni con il progetto promosso dall'Aipd Belluno (Associazione italiana persone down) in collaborazione con le guide della cooperativa Mazarol, che vede nascere una guida escursionistica riguardante sentieri ad uso di persone con disabilità. "Il Parco per tutti - guida slow down" verrà presentata venerdì 18 all'auditorium dell'istituto Canossiano alle 20. 15. Il progetto denominato "Slow down" ha visto numerose persone con sindrome di Down, giovani e adulte, felicemente coinvolte per due anni in una serie di escursioni, durante le quali sono stati raccolti materiali fotografici e video. Il Parco delle Dolomiti e l'Aipd sono stati promotori di un nuovo approccio alla conoscenza del territorio attraverso una tipologia di turismo lento, in un'ottica di ecosostenibilità, inclusione e benessere psicofisico delle persone con sindrome di Down di ogni età. Promuovere la qualità di vita di tutte le persone attraverso una garanzia di fruibilità delle risorse naturali dell'area protetta era la finalità. «È l'esempio pratico di come la Carta europea del turismo sostenibile sia un elemento molto importante per quanto riguarda il nostro territorio nel famoso concetto di fare squadra, in questo caso con un'associazione come l'Aipd che da sempre è molto operativa e molto concreta», commenta il presidente del Parco delle Dolomiti, Ennio Vigne. «Si tratta di tradurre nel tema Parco le tematiche della tutela delle persone diversamente abili, con un turismo assolutamente sostenibile e che ha questo tipo di attenzioni». Parallelamente, sempre in tema di bellezze ambientali alla portata di tutti, anche il Cai di Feltre si è attivato nei mesi scorsi per individuare i percorsi accessibili a persone con disabilità e ridotta capacità motoria. Nella sezione "Itinerari" all'interno dei sito www.caifeltre.it, è stata aggiunta una nuova scheda dedicata a chi ha difficoltà a percorrere sentieri impegnativi, pur amando il contatto con la natura. Al momento la lista, che negli obiettivi è destinata ad allungarsi, porta alla descrizione informativa del percorso accessibile del monte Avena. Un tracciato percorribile anche a diversamente abili in carrozzina o con ridotte capacità motorie, classificabile AE secondo la scala dei percorsi accessibili del Cai. L'itinerario prevede che si lasci l'auto in uno dei parcheggi a Casere dei Boschi e si prenda la strada che sale sulla destra seguendo le indicazioni per Malga Campet e Malga Campon. Nella stessa sezione del sito vengono inoltre segnalati i progetti simili di Assi onlus e Visit Dolomites, con i link per accedervi direttamente. Va ricordato che il Cai di Feltre ha la responsabilità della manutenzione dei sentieri nelle zone delle Vette Feltrine, Pizzocco e Cimonega, parte orientale del Massiccio del Grappa, Monti del Sole e una parte delle Prealpi Bellunesi e Trevigiane. Si tratta di all'incirca 270 chilometri di sentieri. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gazzettino | 15 marzo 2022 p. 12, edizione Belluno Parco del Cadore, cittadini donano alcuni terreni: «Il primo passo»


Cittadini donano terreni al Parco del Cadore. Il 26 marzo a Pieve è in programma il convegno dal titolo La Prima pietra del Parco del Cadore proprio per suggellare la generosa donazione, occasione grazie alla quale saliranno nell'alto bellunese esponenti del mondo dell'ambientalismo e dell'associazionismo nazionale. Promosso dal Gruppo promotore Parco del Cadore e da un ampio cartello di associazioni locali e nazionali, con il patrocinio della Magnifica Comunità, l'evento celebrerà l'atto di donazione, da parte di due cittadini di Valle di Cadore, di terreni in località Paradisi alle pendici dell'Antelao: sono questi i primi tasselli del Parco. La prima pietra parte da lì ... e da due cittadini donatori questo il tema che sarà sviluppato da Giovanni Monico del Gruppo Promotore Parco del Cadore. IL SIGNIFICATO «Questa donazione ha un grande significato simbolico, e non resterà un atto isolato... ma cosa significhi questo il Gruppo Promotore lo spiegherà in occasione del convegno di Pieve». L'incontro servirà anche per riflettere su che cosa rappresentano i parchi oggi, in tempo di crisi climatica, per la tutela della biodiversità e per le opportunità che offrono ai territori in cui sono inseriti. Al centro già nel 1981 di un progetto di legge presentato dai Verdi, con Boato Valpiana Boato, il progetto di Parco del Cadore è stato in seguito recepito dalla Regione Veneto nel Piano Territoriale di Coordinamento, dalla Provincia di Belluno nel Ptp e infine dall'Unione Europea facendo rientrare l'area del Parco nelle zone Sic (Sito di Interesse Comunitario) e Zps (Zona Protezione Speciale) Rete Natura 2000. Ancora dagli organizzatori: «Tutto quello che era possibile fare da parte dei promotori è stato fatto: ora toccherà alle istituzioni locali trasformare la tutela di un territorio riconosciuto dall'Unesco in una grande opportunità per le persone che ci vivono». L'obiettivo dichiarato è, dunque, quello di creare un Parco che preservi la biodiversità. IL PROGRAMMA Questo il programma dell'incontro che inizierà alle 9 nello storico palazzo della Magnifica comunità. Dopo i saluti del vice presidente della Magnifica, Emanuele D'Andrea, Michele Da Pozzo, direttore del Parco delle Dolomiti d'Ampezzo, relazionerà sulla realtà ampezzana. Seguirà Raffaele Marini, presidente Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano del Cai, su Il Cai e le Aree Protette, un rapporto imprescindibile per la montagna del futuro. E ancora Isabella Pratesi, direttrice Conservazione, Wwf Italia con Il ruolo dei Parchi di fronte alla crisi climatica e il ruolo dei cittadini per la loro istituzione. Toccherà poi a Mirta Da Pra Pocchiesa, Gruppo Promotore Parco del Cadore, con Il Parco del Cadore: come siamo arrivati alla Prima Pietra, scelte passate e prospettive future. La conclusione è stata affidata a Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera con Il Parco del Cadore: un progetto di vita per valli abitate, accoglienti ed educative. Il convegno è organizzato in collaborazione con Cai Veneto; Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano del Cai; Commissione Tam Veneto-Friuli Venezia Giulia; Ecoistituto del Veneto Alex Langer; Fondazione G. Angelini Centro Studi per la Montagna; Italia Nostra di Belluno; Mountain Wilderness Italia; Peraltrestrade Dolomiti; Wwf Terre del Piave Belluno-Treviso. Giuditta Bolzonello

Messaggero Veneto | 18 marzo 2022 p. 43, edizione Pordenone Parco, Carrara resta al vertice «Ora puntiamo sullo sviluppo» Giulia Sacchi Cimolais Fernando Carrara, sindaco di Erto e Casso, è stato confermato alla guida del Parco naturale delle Dolomiti friulane. Il nuovo consiglio di amministrazione dell'ente si è riunito nei giorni scorsi: alla scadenza del mandato quinquennale, la Regione ha infatti appena rinnovato i propri rappresentanti. Del direttivo fanno parte i dieci sindaci dell'area protetta (Andreis, Barcis, Cimolais, Claut, Erto e Casso, Frisanco, Montereale Valcellina, Tramonti di Sopra, Forni di Sopra e Forni di Sotto) o loro rappresentanti, oltre, appunto, ai referenti di alcune categorie che vengono indicati direttamente dall'amministrazione regionale. Per il nuovo mandato si tratta di Walter Fantuz, rappresentante del Cai e delle associazioni ambientaliste, Gianluigi D'Orlandi, per gli agronomi forestali, Leandro Fachin, naturalista, Gianpiero Zanolin, per gli imprenditori turistici, Stefano Colautti, referente degli imprenditori agricoli e forestali.Nel corso del direttivo si è anche proceduto alla nomina del presidente: l'uscente Carrara è stato confermato al timone del Parco. In questo caso, si è trattato di una formalità: l'incarico era stato assegnato lo scorso anno e la prosecuzione dipendeva soltanto dall'eventuale mancata rielezione come amministratore del Comune dell'Alta Valcellina. Carrara ha invece ottenuto piena fiducia dai concittadini nelle votazioni dello scorso autunno.«Ringrazio i componenti del direttivo per la fiducia accordata - è il commento del riconfermato presidente - e anche i tecnici che ci hanno accompagnato con grande professionalità nel mandato che si è appena concluso. Hanno portato un fattivo contributo alla crescita dell'ente Parco, come sono certo faranno i nuovi rappresentanti designati dalla Regione. Persone dal curriculum di notevole spessore che rappresentano elementi di punta delle rispettive categorie e che, come D'Orlandi, hanno anche ricoperto prestigiosi incarichi all'interno della giunta regionale del passato».«In questi ultimi anni - ha proseguito Carrara -, l'ente si è concentrato molto sulla conservazione, raggiungendo peraltro risultati straordinari, grazie allo sforzo del personale e della direzione. Adesso dobbiamo fare un cambio di passo anche sotto il profilo dello sviluppo: vanno coinvolte maggiormente le aziende del territorio e, in accordo con Promoturismo Fvg, va valorizzato un ambito riconosciuto come Patrimonio dell'umanità dell'Unesco. In modo che sia per


tutti, a partire dai residenti, una medaglia da appuntare al petto con orgoglio, considerate le ricadute che garantisce in ambito internazionale».Il Parco è stato istituito con legge regionale 42 del 30 settembre 1996 ed è inserito nel comprensorio montano soprastante l'alta pianura friulana. L'area protetta si estende dalla provincia di Pordenone a quella di Udine e abbraccia la Valcellina, l'Alta Valle del Tagliamento e i territori confluenti verso la Val Tramontina. È il più vasto dei due soli Parchi del Friuli Venezia Giulia con un'area di 36.950 ettari. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO Corriere delle Alpi | 31 marzo 2022 p. 27 A scuola di montagna con il soccorso alpino ROCCA PIETORE Studenti alla scoperta del proprio territorio e della sua storia. Martedì i bambini della scuola primaria di Rocca Pietore, accompagnati dai volontari del soccorso alpino, si sono recati sul ghiacciaio della Marmolada per visitare il museo della Grande Guerra, la terrazza panoramica, la grotta della Madonna e svolgere una piccola esercitazione sulla neve. «La scuola», dice il sindaco Andrea De Bernardin, «è un luogo interessante dove arricchire le proprie conoscenze. In quella del nostro paese da tanti anni vengono proposte agli alunni attività significative che li fanno crescere bene. Sia le elementari di Rocca che l'asilo di Sottoguda sono luoghi educativi all'altezza di quelli di altre zone o forse hanno addirittura qualcosa in più. Credo che la conoscenza del proprio territorio sia prioritaria rispetto a tutto il resto». «Assieme all'Istituto comprensivo di Alleghe», continua il sindaco, «stiamo cercando di proporre attività aggiuntive come l'insegnamento del tedesco e dell'inglese per potenziare l'offerta formativa e far sì che le iscrizioni siano maggiori. Rocca è un territorio vasto e con molti villaggi che gravitano sulle scuole di Alleghe, ma non certo per demerito della nostra scuola». Per la riuscita della visita in Marmolada, l'amministrazione comunale ringrazia la società Tofane-Marmolada, Romina e Santo per le interessanti spiegazioni e i volontari del soccorso alpino Alessandro, Elio, Alessio e Sofia per la loro presenza costante». --G.San.© RIPRODUZIONE RISERVATA

NOTIZIE DAI CLUB ALPINI Gazzettino | 4 marzo 2022 p. 7, edizione Belluno In montagna con la mountain bike: il Cai bellunese primo in Veneto BELLUNO Frequentare la montagna non solo con scarponi o sci e pelli di foca sotto ai piedi. Alla camminata si può affiancare la pedalata. Una rima che la sezione del Club alpino di Belluno ha fatto propria: «Siamo i primi nel Veneto a creare una commissione ciclo-escursionismo operativa - il presidente Paolo Barp non nasconde l'entusiasmo per la novità già dopo Pasqua partirà il programma delle uscite». Al timone della commissione - divisa in due parti, in base all'uso di mountain bike con pedalata assistita o solomuscolare - ci saranno Furio De Benedetto, già istruttore di scialpinismo, Fabio Mares, guida di muontain bike certificata dalla Accademia nazionale, e Danilo Dal Piva, esperto anche a livello di competizioni. «L'idea è nata un mese fa, basandoci su quella che è diventata un'accresciuta frequentazione della montagna. Ora siamo pronti, dotati di un auto-regolamento che segue le direttive del Club alpino nazionale, puntando ad una pratica corretta e priva di impatto ambientale sui tracciati percorsi» precisa Paolo Barp. A tal proposito occorre tener conto che vi sono molti sentieri in provincia di Belluno che corrono all'interno del confine del Parco delle Dolomiti bellunesi, con le limitazioni connesse: «Difatti anche il Parco sta dando indicazioni a proposito di comportamenti a cui attenersi andando in mountain bike». Di sicuro la collaborazione avrà i suoi frutti. per capire meglio quali possano essere i disagi che la bici porta con sè, il presidente spiega portando un esempio concreto: «Per lo più i sentieri che portano in vetta o ai rifugi sono stretti, anche solo in qualche punto. Succede che magari escursionisti a piedi che stanno salendo si incontrino con gli appassionati che stanno scendendo in sella alle


bici». Inoltre è un dato di fatto che le ruote da mountain bike creino problemi con i solchi lasciati sul fondo, a volte fangoso. «Ma, tra le nostre Dolomiti, vi pure sono itinerari bellissimi su strade sterrate, ad esempio ci si può cimentare nel tour dei sei rifugi o si può salire al rifugio Bianchet in e-bike e poi camminare a piedi, facendo il giro per forcella Lavaretta», sono i suggerimenti di Barp. Vanno ricordate, per finire, le linee guida dettate dal Cai centrale per il quale «la bicicletta non è indispensabile per godere delle bellezze della montagna, ma permette di scoprirne, in modo duro e faticoso, nuovi aspetti. Con nuove motivazioni perchè, forse, proprio pedalando, l'escursione, cioè il viaggio, ha più senso della meta».

Corriere delle Alpi | 9 marzo 2022 p. 21 Sempre più bikers sui sentieri Il Cai crea una commissione montagna Fabrizio Ruffini Il Cai di Belluno vara la commissione ciclo-escursionismo, colmando un vuoto importante in un settore in costante espansione e che implica nuove sfide a livello di regolamentazione, ma anche di formazione.«Da quel che sappiamo dovremmo essere la seconda commissione di questo tipo creata in tutto il Veneto, sicuramente l'unica ad oggi in attività», spiega il presidente della sezione Cai di Belluno, Paolo Barp, «ci sembrava importante avere un gruppo di persone che si occupasse della questione mountain bike sui sentieri e che cercasse di irregimentare al meglio quello che è un fenomeno molto discusso, ma anche molto promettente per l'escursionismo in montagna».La nuova commissione, infatti, trova la sua funzione nel regolamento nazionale del Cai, che tenta di normare la sempre maggiore frequentazione della montagna da parte di bikers sia su bici muscolari che a pedalata assistita. «Negli ultimi anni sono sorte non poche problematiche riguardanti l'utilizzo dei sentieri in contemporanea da parte degli escursionisti a piedi che dei ciclisti», continua Barp, «a questo si aggiunge il fatto che non sono stati ancora mai segnalati i tracciati adatti alle biciclette e quelli invece che sarebbe meglio che i bikers evitassero per non rischiare incidenti».La presenza di escursionisti su pedali è sempre più normale in montagna e le ricadute positive per il turismo locale sono oramai chiare, tanto che lo stesso Ente parco sta istituendo diversi tracciati dedicati: «Pensiamo a quanti possono oggi arrivare in bici normale o elettrica a un rifugio come il Bianchet», spiega Barp, «questo vuol dire che da lì i ciclisti possono poi proseguire a piedi su un sentiero o su una ferrata, fermandosi al rifugio per mangiare o dormire». Serve però un'istituzione autorevole per portare un vero beneficio in questo settore: «Ci siamo interrogati anche su chi potesse comporre questa commissione, in modo da poter fornire agli appassionati di questa disciplina un riferimento autorevole per formarsi e restare sempre aggiornati», aggiunge il presidente del Cai di Belluno, «io stesso amo andare in mountain bike e so quanto sia bello lasciare la strada sterrata per affrontare qualche sentiero, ma questo non deve andare in contrasto con il diritto degli escursionisti a piedi di poter frequentare la montagna in sicurezza». La scelta, quindi, è ricaduta su Fabio Mares, Furio De Benedetto e Danilo Dal Piva: «Mares è già una guida di Mtb certificata, De Benedetto è istruttore di sci alpinismo con una grande passione per la bici e Dal Piva è un altro amante di questa disciplina con molta esperienza alle spalle», sottolinea Barp, «ci siamo dati delle direttive e abbiamo stilato un regolamento. Successivamente proporremo percorsi, gite e uscite studiate per apprendere al meglio il giusto comportamento in montagna. Ma penseremo anche a una forma di tabellazione utile ai ciclo-escursionisti per non imboccare tracciati che magari sbucano su strade trafficate o non adatti ai loro mezzi».Tutti i ciclo-escursionisti che amano la montagna sono invitati a prendere contatto con il Cai di Belluno (www.caibelluno.it), in modo da sviluppare sul territorio un punto di riferimento stabile per questa disciplina sempre più praticata. --© RIPRODUZIONE RISERVATA


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