ANNO SCOLASTICO 2022/2023
PROGETTI DELLE SCUOLE PRIMARIE E SECONDARIE DI PRIMO GRADO DELLA PROVINCIA DI BELLUNO
PROGETTI DELLE SCUOLE PRIMARIE E SECONDARIE DI PRIMO GRADO DELLA PROVINCIA DI BELLUNO
NELLE DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE UNESCO
INTRODUZIONE
Ester Cason Angelini consigliere delegato Fondazione G. Angelini
Mara Nemela direttrice della Fondazione Dolomiti UNESCO
Massimiliano Salvador dirigente Ufficio Scolastico Provinciale di Belluno
Roberto Padrin presidente della Provincia di Belluno
LE SCUOLE E I PROGETTI REALIZZATI
Lorenzago di Cadore: colori in punta di penna, stagioni e inchiostro
Scuola secondaria di primo grado “G. Cadorin” di Lorenzago (IC Auronzo) CLASSE II A e Classe III A
Feltre, di pietra in pietra nel contesto dolomitico
Scuola secondaria di primo grado “G. Rocca” (IC Feltre)
CLASSE III D
In viaggio nel tempo e nello spazio. Val Cordevole e valle dell’Ardo
Scuola primaria di Chiesurazza (IC Belluno1) CLASSE IV
Il profumo del pane. Viaggio tra gli antichi forni di Polpet
Scuola secondaria di primo grado “S. Pertini” di Ponte nelle Alpi (IC Ponte nelle Alpi) CLASSE I C
Alla scoperta di un lago prealpino nelle Dolomiti
Scuola secondaria di primo grado “G. Zanon” di Castion (IC Belluno3) CLASSE I C
Parolando tra le Dolomitiche
Scuola secondaria di primo grado “T. Merlin” di Belluno (IC Belluno2) CLASSE III B
La forza dell’acqua: gli opifici lunga l’antica roja alimentata dal torrente Ardo
Scuola secondaria di primo grado “G. Zanon” di Castion (IC Belluno3) CLASSE II B
In copertina: il Crìdola da Ciampo in Val de Crìdola, m 962 (foto E. Fabbro)
In IV di cop.: Alleghe, il lago e la parete NO della Civetta (Adobe Stock)
Le foto all’interno sono pubblicate dietro autorizzazione di genitori e dirigenti scolastici
Ester Cason Angelini
consigliere delegato Fondazione G. Angelini, responsabile del progetto
Io vivo qui - alla scoperta e riscoperta dei luoghi di vita nel contesto delle Dolomiti è il titolo della nuova pubblicazione che raccoglie la sintesi dei lavori che alunni e insegnanti di alcune classi delle scuole bellunesi hanno svolto in modo encomiabile nell’a.sc. 2022/2023. Si tratta di un progetto della Fondazione Dolomiti UNESCO, coordinato nel caso specifico dalla Fondazione G. Angelini, quale referente della Rete della Formazione e della Ricerca della Fondazione Dolomiti UNESCO per la Provincia di Belluno, in stretta collaborazione col M.I.U.R. – Ufficio Scolastico Provinciale di Belluno; esso trova piena corrispondenza nella filosofia della Fondazione G. Angelini che qui rappresento, e che, all’indomani del riconoscimento da parte dell’UNESCO delle Dolomiti quale Patrimonio naturale mondiale, ha avviato corsi di formazione nel Bellunese denominati “Vivere Dolomiti UNESCO”, ponendo l’accento sul ruolo degli abitanti delle Dolomiti quali protagonisti e attori di uno sviluppo sostenibile all’interno del Bene. Hanno partecipato al progetto classi degli Istituti Comprensivi di Auronzo di Cadore, Ponte Nelle Alpi, Feltre, Belluno1, Belluno2 e Belluno3, che, sostenute dall’entusiasmo dei docenti e d’intesa con genitori e dirigenti, hanno ragionato e lavorato concretamente sui diversi aspetti del territorio dolomitico, così che i bambini e ragazzi potessero prendere coscienza delle valenze del paesaggio e delle culture in cui sono inseriti e sentirsi parte di una comunità; classi che hanno lavorato assiduamente con intensi laboratori didattici e momenti di scambio tra loro e, nel caso di Lorenzago, anche con alunni di scuole al di là dello spartiacque montano, in Friùli, seguendo il filo storico dei montanari che hanno sempre travalicato i confini. “Io vivo qui” persegue, infatti, lo scopo di formare i ragazzi verso la cittadinanza attiva nel proprio territorio, così che si sentano protagonisti e in grado di proporre forme di miglioramento del paesaggio e della qualità della vita della comunità di appartenenza, dopo aver compreso che le specificità – geografiche, naturalistiche, architettoniche, storiche e socio economiche - rappresentano una componente essenziale del paesaggio, che sono abituati a vedere ma non a guardare, con attenzione. Ma il progetto spinge anche a guardare “oltre”, a conoscere ed accogliere culture diverse che sono fonte di ricchezza.
Ringrazio tutti coloro che hanno permesso la realizzazione del progetto, a partire dalla direttrice della Fondazione Dolomiti UNESCO, Mara Nemela e dalla tutor, Mara De Monte, segnalando anche che nella biblioteca del nostro Centro Studi sulla Montagna è presente una sezione “scolastica”
delle scuole di montagna, dove possono confluire i prodotti completi delle ricerche realizzate dalle classi, così che il lavoro silenzioso, costante e meritorio di tanti insegnanti che amano la Scuola e il Territorio nella “costruzione” dei futuri cittadini, possa essere visionato da tutti. I miei ringraziamenti vanno quindi ai docenti: Mariarosa Andrich, Daria Burigo, Mariacristina Carì, Federica Collazuol, Federica Cossalter, Lucia Costantini, Barbara Dall’Agnol, Marco D’Ambros, Claudia De Brida, Patrizia De Lorenzo, Francesca Deon, Libera De Villa, Claudia De Zordi, Patrizia Fava, Antonio Giuffrida, Claudia Ientile, Giuseppina Malvone, Patrizia Meneghel, Cristina Nard, Elisa Olivo, Federico Palazzin, Marianna Piazza, Daniela Sovilla, Anna Spedo, Vilma Tegner, Francesca Verrastro, Lina M.A. Zanin e Paola Zanin, con i dirigenti degli Istituti Comprensivi Antonella Pacieri, Bruna Codogno, Morena De Bernardo, Orietta Isotton, Carlo Mazzanesu e Teresa Scimonello; al dirigente dell’Istituto scolastico provinciale Massimiliano Salvador, con il referente del progetto Franco Chemello, e al Presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin.
Massimiliano
Questa ulteriore pubblicazione è la dimostrazione della continuità di un progetto particolarmente sentito dall’Ufficio Scolastico Territoriale di Belluno, in quanto rivolto a stimolare la relazione tra i giovani e il proprio territorio, quello bellunese, tanto prezioso e apprezzato quanto complesso.
Come responsabile dell’Ufficio Scolastico di una provincia interamente montana, e inserita nell’areale dolomitico, ringrazio la Fondazione Dolomiti Unesco e la Fondazione Giovanni Angelini per il coinvolgimento duraturo degli studenti e delle scuole nella scoperta del valore del proprio ambiente, attraverso l’apporto di un metodo scientifico.
Da sempre, in particolare, la Fondazione Giovanni Angelini collabora con il sistema scolastico ed educativo nella scoperta del territorio, nelle sue peculiarità naturalistiche, antropiche e culturali, patrimonio dell’umanità.
Solo una crescita culturale e la riscoperta del proprio ambiente sociale e naturale, con lo sguardo al futuro sostenibile, possono contribuire a fermare l’esodo dei giovani da una provincia che in realtà ha molto da offrire.
L’indagine organizzata nel 2021 dalla Consulta Provinciale degli Studenti, rivolta agli studenti delle scuole superiori con il coordinamento dell’Ufficio Scolastico bellunese, ha dimostrato che, per combattere il disagio esistenziale degli adolescenti nel post pandemia o per rispondere alle domande di senso e alle esigenze di “nuovo”, vanno implementati il livello di benessere, l’offerta culturale e le “esperienze stimolanti”, oltre all’offerta lavorativa che dia adeguate possibilità di crescita professionale.
Vanno, quindi, promosse tutte le iniziative che, come la presente, possano sviluppare la consapevolezza delle eccezionali opportunità che può offrire il territorio.
La storia del Cordevole o dell’Ardo, degli opifici o dell’arte delle spade, la valorizzazione di un laghetto prealpino in paesaggio dolomitico, la proposta concreta e operativa di un turismo soft, lo sguardo scientifico sulle rocce su cui camminiamo, la produzione di una guida turistica, la riscoperta dell’arte di fare il pane o delle trincee della Grande Guerra in Dolomiti, sono percorsi preziosi per rendere gli studenti attori della propria formazione e del proprio territorio.
L’acquisizione di un approccio scientifico, l’investimento di energie verso un’economia sostenibile di montagna e lo sviluppo di una mentalità più aperta si auspica possano fidelizzare i nostri giovani al proprio ambiente, perché sarà sempre più palese che “si vive meglio qui” piuttosto che in altre realtà, solo in apparenza più allettanti.
Un ringraziamento particolare ai docenti che hanno guidato gli
studenti alla scoperta dell’importanza di questi temi, e un complimento sentito ai nostri ragazzi che, con orgoglio, il sistema scolastico bellunese accompagna alla scoperta di sé e del proprio posto nel futuro del territorio.
Lo scorso anno ci eravamo lasciati con l’auspicio è che l’iniziativa “Io vivo qui” potesse nuovamente coinvolgere nuovi e più numerosi protagonisti su tutto il territorio dopo gli anni difficili che il comparto della scuola – e non solo – ha passato. Sono molto lieta dunque di riscontrare che così è stato e che con rinnovato entusiasmo molte classi, guidate da insegnanti appassionati, sono tornate sul campo alla scoperta delle peculiarità dei luoghi in cui vivono e delle connessioni che queste offrono in relazione all’ambiente dolomitico che ci circonda.
Essere abitanti e custodi di un Bene caro a tutta l’Umanità, qual è quello delle Dolomiti Patrimonio Mondiale UNESCO, è una sfida quotidiana la cui riuscita dipende in gran misura dalla consapevolezza e dalla conoscenza che il mondo della scuola riesce a trasmettere ai ragazzi, già dalla giovane età, anche grazie ad attività come questa mirate a sviluppare un concetto di comunità e cittadinanza attiva, un senso di appartenenza ad una realtà culturale e ad un contesto naturale eccezionale. La varietà delle tematiche trattate dai progetti presentati in quest’edizione 2022/2023 denota curiosità, vivacità e attaccamento al territorio, doti inestimabili anche per l’UNESCO - Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, che considera l’educazione un diritto fondamentale da tutelare nel mondo. Non posso che ribadire un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno permesso anche quest’anno la realizzazione di questo importante progetto che coinvolge molteplici attori in quanto sviluppato nell’ambito della Rete della Formazione e della Ricerca Scientifica della Fondazione Dolomiti UNESCO, con il coordinamento della Fondazione Giovanni Angelini – Centro Studi sulla Montagna, in collaborazione col MIM – Ufficio scolastico regionale per il Veneto, Uff. IV – Ambito territoriale di Belluno e con il finanziamento della Fondazione Dolomiti UNESCO e del Fondo Comuni Confinanti.
Presidente della Provincia di Belluno, membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione
Dolomiti UNESCOL’inserimento della Dolomiti nel Patrimonio naturale mondiale dell’Umanità UNESCO è un obiettivo che questa Amministrazione provinciale ha perseguito con tenacia e determinazione dagli albori fino al riconoscimento del 26 giugno 2009.
La sfida più importante, però, è ora quella di trovare gli strumenti e i canali giusti per far conoscere il valore del territorio dolomitico e del riconoscimento UNESCO alla popolazione. Tra le tante iniziative che la Fondazione Dolomiti Unesco, di cui la Provincia di Belluno è socio fondatore, ha realizzato c’è il progetto didattico ed educativo “IO VIVO QUI”, un progetto di primaria importanza in quanto rivolto a tutti gli studenti bellunesi, fin dalle prime classi, con l’obiettivo di far loro conoscere ed apprezzare il “Bene” UNESCO e renderli consapevoli dell’enorme valore paesaggistico e storico del territorio in cui hanno la fortuna di vivere.
Cultura, dialetti, storia, natura, geologia del territorio sono i concetti che gli studenti devono imparare ad apprezzare fin da piccolo per imparare ad amare il territorio in cui sono nati e cresciuti, obiettivo che “Io vivo qui” ha sempre cercato di raggiungere.
Seguendo il percorso proposto da questo progetto i nostri ragazzi possono, infatti, imparare l’importanza della conservazione e valorizzazione delle Dolomiti e, con la loro freschezza, influenzare anche la comunità di appartenenza.
Auguro a tutti i ragazzi che hanno partecipato o parteciperanno a questo interessante percorso didattico di sfruttare appieno questa occasione per diventare cittadini consapevoli e rispettosi del bene comune e di saperlo trasmettere a quanti verranno dopo di loro.
Scuola secondaria di primo grado
“G. Cadorin” di Lorenzago di Cadore (IC Auronzo di Cadore)
CLASSI II E III A
Insegnanti:
Libera De Villa
Claudia Ientile
Patrizia De Lorenzo
Marianna Piazza
Marco D’Ambros
Nel progetto sono rientrati, da ultimo, due ulteriori passaggi; il primo consisteva in una sorta di riflessione a caldo sul percorso. Ai ragazzi sono state sottoposte due domande sulle attività eseguite:
1. Del progetto Io vivo qui quale attività hai maggiormente apprezzato? Argomenta la tua risposta.
2. Che cosa hai imparato grazie a questo progetto?
Tutti i ragazzi, sia della classe 2ª, che della 3ª, hanno apprezzato lo scambio epistolare con i coetanei della scuola di Forni, molti infatti continuano la corrispondenza con i nuovi amici. Si sono descritti orgogliosi di poter raccontare il proprio paese, di guidare gli alunni della scuola in oggetto alla scoperta del proprio luogo di residenza.
Questo ci conduce ad un’ulteriore riflessione: il bisogno dei nostri giovani di scambi autentici, al di là di una messaggistica immediata, ma spesso vuota di contenuti. La necessità di aprirsi in una maniera più umana, che prenda in esame il loro vissuto, le loro esperienze personali, che parli di loro come persone, li renda protagonisti della cultura locale. L’approccio a missive con carta e penna riconduce perciò ad un vero umanesimo, del gesto e nel cuore. I ragazzi, narrando di Lorenzago, lo hanno riscoperto, rivissuto e donato, con la gioia di chi riconosce le proprie radici e percepisce cosa significhi appartenere ad un luogo. Una lettera è anche progettazione, riflessione, rilettura e correzione, quindi, in questi tempi veloci, dove tutto è consumato in fretta, essa diviene l’elogio alla lentezza, ad un ritmo umano
La seconda domanda riguardava le conoscenze acquisite, le risposte sono state anche qui illuminanti. I ragazzi hanno sottolineato il piacere di aver osservato con uno sguardo nuovo
Lorenzago, di aver imparato la ricchezza dei monumenti, degli edifici storici e di culto, le particolarità geomorfologiche del territorio. Alcuni hanno parlato della lezione sulle Regole Cadorine del professor Giandomenico Zanderigo, del suo intervento esperto, di quanto siano fondamentali per preservare territorio e tradizioni.
La storia locale è stata dunque percepita fondante e ricca; la ricaduta formativa foriera di competenze importanti.
Lorenzago ha inoltre una storia recente, quella che comprende gli anni dal 1970 al 1990, la storia dei genitori e dei nonni dei giovani che ora frequentano la scuola locale. Si è pertanto pensato di far diventare i nostri allievi dei giornalisti, hanno quindi intervistato i loro genitori e parenti per sapere di più su questo recente passato e sull’odierno spopolamento del paese.
Le interviste sono state un vero e proprio compito esperto. Queste sono state altresì lette in classe ed è stata svolta una lezione dialogata, commentando le parole dei propri cari. È stato un momento interessante e divertente, una riflessione che ha considerato le categorie spazio e tempo, alla luce di aneddoti e racconti di famiglia. La storia locale più recente li ha fatti riflettere sul tempo odierno, sui cambiamenti intercorsi e non da ultimo, su loro stessi, sul futuro ricco di sfide che li attende.
La centralità degli studenti nella costruzione delle loro conoscenze, abilità e competenze è stato il risvolto forse più emozionante ed entusiasmante del Progetto Io vivo qui Accompagnare gli allievi in questa avventura, vederli alle prese con attività, lezioni, ricerche, scrittura e sentimenti, si è rivelato, anche per noi docenti, formativo e coinvolgente.
I grandi alpinisti dicevano: “Una montagna non è tua fino a che non l’hai discesa, fino a che non sei tornato a valle”. Ecco fatto.
Scuola secondaria di primo grado “G. Rocca” (IC Feltre)
CLASSE III D
Insegnanti:
Federica Cossalter
Patrizia Meneghel
Claudia De Zordi
A contatto con l’acido cloridrico reagisce producendo effervescenza e un caratteristico residuo argilloso
Abbiamo ideato il progetto “Feltre di pietra in pietra - le Dolomiti in città” con l’obiettivo di far scoprire agli alunni della classe coinvolta alcuni manufatti che impreziosiscono la città di Feltre e che sono costituiti da rocce locali. È stato emozionante apprendere come questi materiali antichissimi, ricavati dalle cave locali, lavorati, trasportati con grande fatica e perizia, siano così fondamentali per il nostro centro storico. Gli alunni hanno compreso il significato dell’iniziativa “Io vivo qui” perché hanno trovato nella loro cittadina una molteplicità di aspetti ai quali non è scontato prestare attenzione e hanno colto il valore di quello che il nostro territorio sa offrire.
Il lavoro si è articolato in cinque fasi ed è stato organizzato a piccoli gruppi:
- trekking urbano guidato presso il centro cittadino con la dott.ssa Isabella Pilo;
- incontro ed uscita in città con l’esperto geologo prof. Danilo Giordano;
- stesura delle relazioni e rielaborazione delle informazioni per creare delle sintesi scientifico-culturali – i testi si rivolgono direttamente a un ipotetico visitatore;
- realizzazione dei video con il prof. Giovanni Vanz;
- realizzazione della brochure promozionale in lingua italiana, inglese e tedesca con inserimento dei video tramite QR-code. La scuola secondaria “G. Rocca” è situata alle porte del centro cittadino e questo ci ha permesso di raggiungere agevolmente i siti di interesse. Nel laboratorio di scienze dell’Istituto abbiamo potuto analizzare le rocce viste in città e nel laboratorio di informatica abbiamo approntato il pieghevole utilizzando lo strumento di progettazione grafica Canva.
Cominciamo il nostro tour dal posto dove metterai… i tuoi piedi! Passeggiando per Feltre camminerai su cubetti di roccia scura, i sampietrini, così chiamati perché rivestono anche Piazza San Pietro a Roma (oppure bolognini se si considera il tipo di roccia). Sono di porfido: una roccia effusiva di origine vulcanica, di colore rosso bordeaux o violaceo, che si depositò circa 280 milioni di anni fa nella zona dolomitica. I porfidi utilizzati in edilizia (ignimbriti) sono detriti vulcanici derivanti da nubi ardenti e sono particolarmente resistenti alle temperature estreme, quindi sono perfetti per gli esterni. Nel feltrino questa roccia viene trovata nei depositi alluvionali o glaciali, infatti le correnti glaciali hanno scaricato nella conca Feltrina una incredibile varietà di rocce provenienti dai bacini del Cordevole, del Piave, del Cismon e del Vanoi.
LA SCAGLIA ROSSA
Alcuni marciapiedi della cittadella sono stati realizzati in Scaglia Rossa. Si tratta di un calcare marnoso e presenta un colore che va dal rosato, al rosso mattone, al grigio e ha un tipico aspetto a scaglie. Questa roccia si divide facilmente in lastre spesse 4-7 cm, che mantengono una notevole compattezza e sono facilmente estraibili. Nei dintorni di Feltre esistevano molte piccole cave, l’ultima in località Festisei, chiusa alla fine del ‘900. La Scaglia Rossa è molto importante perché su di essa è fondata la nostra città! Ad esempio il Museo Diocesano, un meraviglioso edificio di origine medievale che custodisce tesori di arte sacra, fu costruito proprio sopra un solido basamento di questa roccia: la si vede benissimo sia all’esterno,
sia nelle cantine al piano interrato. È bellissima, assomiglia al colore del cielo al tramonto! Un altro impiego interessante della roccia in città riguarda i muretti a secco: realizzati con ciottoli prelevati dal greto dei torrenti, sono sempre rinforzati da una copertina in lastame: con questo termine si intende la varietà feltrina della Pietra di Castellavazzo presente alla base della Scaglia Rossa, disponibile presso molte piccole cave dislocate poco lontano dalla città. Per analizzare la Scaglia rossa che affiora alla base delle mura cittadine, con il prof. Giordano abbiamo condotto un esperimento che successivamente abbiamo riprodotto nel laboratorio di scienze:
- abbiamo versato qualche goccia di acido cloridrico sul campione di roccia e abbiamo verificato che il calcare contenuto nella scaglia rossa reagisce con l’acido manifestando un’effervescenza che è dovuta all’anidride carbonica lasciando poi un caratteristico residuo argilloso rossastro.
Ora ti presentiamo un’altra star delle nostre ricerche: sua eccellenza… il titoniano! Detto anche “verdello”, si tratta di una formazione risalente al Giurassico terminale (circa 150 Ma). Sì, hai capito bene: l’era dei dinosauri! È un calcare leggermente marnoso, compatto, di colore chiaro, con lievi screziature verdi. Affiora nella fascia pedemontana e veniva estratto dalle cave di Pedescala di Cesiomaggiore, La Perina a S. Giustina, Fastro e molte altre minori. Questa è la pietra più usata nel Feltrino! Grazie alle sue ottime caratteristiche meccaniche e alla possibilità di ottenere elementi lapidei di grandi dimensioni, è stato impiegato non solo come pietra da costruzione in conci squadrati, ma anche per la realizzazione di capitelli e portali, come quelli meravigliosi del Battistero e di San Giacomo, sopravvissuti all’incendio di Feltre del 1510.
Il titoniano, a Feltre, lo potrai ammirare in tutte le tre porte antiche. Portoria, ad esempio, è uno dei simboli della nostra città e sopravvisse anch’essa alla guerra cambraica. È sostenuta da archi di titoniano: bello e resistente, è perfet-
to per sopportare il forte peso della muratura senza rinunciare all’eleganza! Anche la cinquecentesca Porta Imperiale è impreziosita dal Titoniano e alla base potrai distinguere il lavoro degli scalpellini e della loro bocciarda. E Porta Pusterla, vedrai: è talmente bella che… non serve dirti altro!
Qui invece siamo al Castello, il principale simbolo della nostra città, risalente all’XI secolo. Beh, se li porta bene i suoi mille anni! Questa è la Torre del Campanon ed è costituita prevalentemente di titoniano. Puoi immaginare il panorama che si vede da lassù, infatti questa torre, che era il mastio, era in collegamento con una fitta rete di castelli limitrofi. Pensa che è stata usata a scopi militari anche da Napoleone, dagli Austro-ungarici durante la feroce occupazione del 1917-1918 e dai Tedeschi dopo l’8 settembre 1943. Se consideri che è sopravvissuta anche a un forte terremoto e a due terribili incendi, capirai bene quanto sia resistente il titoniano!
Il Rosso ammonitico rientra anche nella composizione delle mura del nostro castello. Quello denominato inferiore è una formazione geologica che si è depositata nel Giurassico medio, in un ambiente di mare profondo. Si tratta di un calcare rosso o giallo e nodulare, caratterizzato dalla presenza di molti fossili di ammoniti, cefalopodi marini che si sono estinti alla fine del Mesozoico. Veniva utilizzato come pietra da costruzione, il suo impiego nel Feltrino è limitato però dallo spessore esiguo e dalla difficile reperibilità, in quanto affiora praticamente solo ad alta quota sulle Alpi Feltrine. Il Rosso ammonitico superiore invece consiste in calcari nodulari rosati e risale al Giurassico superiore. Veniva estratto in diverse cave della fascia pedemontana e del veronese ed utilizzato per lastre di copertura e come pietra ornamentale in molti palazzi di Feltre. Ma dov’è che questa meravigliosa roccia dà il meglio di sé? Ad esempio all’interno della Cattedrale di Feltre, dedicata ai Santi Pietro e Prosdocimo. Camminiamo su belle piastre a losanga e… ops! Qui si percorre la preistoria! Ecco
CALCARE NUMMULITICO
Alcuni tipi di roccia presenti nelle mura e nei muretti della città
Ti ringraziamo per averci seguiti fin qui, ma non possiamo lasciarti andare senza averti prima presentato altre due rocce particolari. La prima è questa color nocciola: si chiama Flysch ed è il risultato di imponenti frane sottomarine che si verificarono durante l’emersione della catena alpina nel Paleocene/Eocene. Il Flysch di Belluno è una roccia composta da un’alternanza di duri banchi di arenaria, dello spessore massimo di 50 cm, e più diffusi livelli marnoso argillosi. Gli strati di arenaria, soprattutto di origine glaciale, sono stati utilizzati come pietra da costruzione per la forma dei blocchi. La puoi osservare da vicino anche sul muro dell’antica Portoria.
La seconda roccia dà il meglio di sé osservandola molto da vicino: meglio se hai una lente, perché è composta da una miriade di piccolissimi fossili! Si tratta di nummuliti, protozoi estinti vissuti durante il Paleogene e l’Eocene, il cui strano nome deriva dal latino nummulus, “monetina”. I calcari nummulitici sono frequenti nella regione mediterranea, sia sulla sponda europea che su quella africana, infatti furono usati in Egitto per costruire le piramidi. Ma li puoi ammirare anche a Feltre, ad esempio sul portale della trecentesca Chiesetta della Ss. Trinità, oppure in Piazza Filippo De Boni, dove costituiscono il bellissimo portale a stile “incatenato” di Palazzo Angeli.
Scuola Primaria
“G. Segato” Chiesurazza (IC Belluno1)
CLASSE IC
Insegnanti:
Lina M.A. Zanin
Daniela Sovilla
Vilma Tegner
Ciao a tutti! Io sono Cordevole. Non per vantarmi, ma sono il principale affluente del Piave e, con i miei 78,92 km, sono il più lungo corso d’acqua interamente compreso nella provincia di Belluno.
La vita di noi torrenti è proprio speciale! Ogni giorno corro, senza mai stancarmi, dai monti fino al Piave... Nella mia lunga vita ne ho viste davvero tante! Se avete un po’ di tempo mi piacerebbe raccontarvi qualche storia!
Parto ogni mattina vicino al passo Pordoi a 1919 m s.l.m.: diverse piccole sorgenti mi regalano i loro rigagnoli. Lì sono fresco e saltellante: mi diverto a scorrere tra i sassi e a guardare i boschi e i prati. Ecco le mie amiche mucche al pascolo! Pensate che un tempo, quassù in montagna, ogni famiglia aveva il fienile e la stalla con quattro o cinque mucche, il vitello, qualche capra e quasi ogni famiglia aveva il maiale. Attorno c’erano campi e prati da falciare. Si andava a far fieno anche su in montagna: il fieno veniva portato giù con le slitte e messo nei fienili.Quando nei campi venivano tagliate la segale, l’orzo, il grano... i fasci di spighe venivano messi a seccare sul ballatoio. Oggi i fienili sono stati trasformati in abitazioni o magazzini, oppure abbandonati.
Dove un tempo la montagna era bella, curata e pulita, in seguito sono cresciuti i boschi... e poi, che tristezza! Il 29 ottobre 2018 la tempesta Vaia! Che nottata quella! Sentivo il fischio del vento sempre più forte, le mie acque si erano ingrossate a tal punto che non riuscivo più a controllarle! Strade interrotte, ponti crollati, paesi senza luce, boschi interi distrutti! Ecco quel che è rimasto: montagne e montagne di legna a terra… E, come se non bastasse, è arrivato anche il bostrico, un piccolo coleottero che si nutre di legno: scava un fitto reticolo di gallerie sotto la corteccia degli abeti rossi, in questo modo impedisce alla linfa di passare e gli alberi si seccano.
Ma eccomi a Caprile! Qui mi regalano la loro acqua prima il Pettorina che scende a fianco del maestoso massiccio della Marmolada, e, poco dopo, il mio amico Fiorentina: anche lui ne ha di storie da raccontare! Tipo quella dei dinosauri. Io non so se crederci, ma lui mi ha giurato che un tempo, prima ancora che nascessero le Dolomiti, qui c’era un bel mare tropicale! Su un masso alla base del monte Pelmetto sono stare ritrovate da Vittorino Cazzetta tre “piste” fossilizzate: le impronte di un Ornitisco (rettile con il bacino simile a quello degli uccelli), di un Saurisco (carnivoro di piccole dimensioni) e di un Prosauropode (grande erbivoro) che circa 220 milioni di anni fa passeggiavano sui fanghi della bassa marea.
In tempi più recenti - si fa per dire!- … vi parlo di circa… 7500 anni fa (!), invece, giravano sull’altopiano di Mondeval uomini come Valmo, la cui sepoltura è stata ritrovata sempre grazie a Vittorino Cazzetta e portata alla luce dallo scavo degli archeologi dell’Università di Ferrara, nel 1987. Una scoperta straordinaria: i resti di un cacciatore del Mesolitico a 2150 metri s. l.m., in ottimo stato di conservazione, sepolto con cura e con amore dai suoi compagni, con accanto il “corredo funebre”, una sessantina di utensili che potevano servirgli nella vita dell’aldilà.
Poi c’è la storia delle miniere del Fursil: me l’avrà raccontata almeno una quindicina di volte, e ogni volta aggiunge qualche nuovo particolare. Le miniere di ferro del monte Pore erano sicuramente frequentate a partire dal 1177 e restarono in attività per almeno sei secoli. Nel periodo migliore si stima venissero estratte più di 300 tonnellate all’anno di minerale ferroso. Da questo minerale si ricavava un ferro resistente agli urti e alla corrosione, molto adatto alla produzione di armi. A Belluno, nel XVI secolo, venivano prodotte spade di alta qualità e il ferro veniva portato anche a Venezia, lungo il Piave - questo me lo ha raccontato lui! - dove veniva usato anche per fare palle da cannone.
Da quassù il panorama è davvero magnifico! Di fronte a me la Civetta, con le sue alte muraglie e le sue possenti torri, simile a un’antica civitas medievale. Ma ci pensate a quanto tempo c’è voluto per formare queste straordinarie pareti di roccia? Le Dolomiti, dette anche Monti Pallidi, prendono il nome dal naturalista francese Deodat de Dolomieu (1750-1801) che per primo studiò il particolare tipo di roccia che le compone: minerale carbonato doppio di calcio e magnesio che deriva dai depositi di antiche scogliere coralline e che dà alle rocce una speciale lucentezza e capacità di riflettere la luce.
Da Caprile, in un baleno, eccomi a Santa Maria delle Grazie. Verso la metà del 1600, forse proprio a causa mia, che in quel tempo correvo in piena, minaccioso, gli abitanti si affidarono alla Vergine Maria e per ringraziarla fecero voto di erigere una chiesa in suo onore, edificata da un certo Simone Rossi con l’altare maggiore dedicato a Maria, un altare laterale dedicato a san Giuseppe e l’altro a san Giovanni Nepomuceno, protettore contro le alluvioni. In seguito, nel 1947, è stato costruito accanto alla chiesa antica il nuovo santuario.
Ad Alleghe nel Natale del 1979 è stato inaugurato il primo impianto di risalita, il cui ingresso quest’anno è stato rinnovato, con una facciata in metallo lucente. Si tratta di una delle principali risorse per il turismo invernale ed estivo. Dotato di una moderna infrastruttura per l’innevamento programmato, offre allo sciatore 72 km di piste in collegamento con Selva di Cadore e la Val di Zoldo, in un ambiente tra i più nevosi delle Dolomiti.
Ora è difficile immaginare Alleghe senza il suo lago, ma non è sempre stato così! Esso ha avuto origine da un terribile evento. La notte dell’11 gennaio 1771 non la dimenticherò mai! Un’enorme frana si staccò dal monte Piz e precipitò a valle seppellendo tre villaggi: Fucine, Riete e Marin, causando la morte di una cinquantina di persone. I massi della frana riempirono il mio letto, le mie acque si trovarono bloccate e lentamente formarono il lago che sommerse altri cinque villaggi. Sulle rovine della frana si trova la località chiamata Masarè, proprio per la presenza di questi grossi massi.
Non pensate che io mi diverta a combinare guai! Anzi, cerco di mettere al servizio dell’uomo la mia forza, come per esempio a Cencenighe, dove, con la costruzione di una diga, completata nel 1939 per opera della SADE (Società Adriatica Di Elettricità), ho formato un laghetto artificiale: il lago del Ghirlo. L’acqua del Ghirlo è poi utilizzata attraverso delle gallerie anche dalle centrali idroelettriche di Agordo (in località Bries) e La Stanga, quest’ultima costruita negli anni 1942-43 all’interno della montagna.
A Cencenighe un altro affluente arriva ad alimentare le mie acque: è il torrente Biois, che scende dall’omonima valle. È quello che mi porta più acqua di tutti! Anche lui un gran chiacchierone! Mi racconta le ultime di Falcade, di Canale d’Agordo (quest’anno in festa per la beatificazione del “suo” papa Albino Luciani), di Caviola, di Vallada… orgoglioso della sua bella valle detta “la valle santi alle finestre”, per i numerosi affreschi presenti sulle case.
Nei pressi di Taibon ricevo le acque cristalline del Tegnas e subito dopo Agordo quelle del torrente Rova. Ad Agordo, nell’aprile del 1961, proprio adagiato accanto alla mia riva, l’allora ventiseienne Leonardo Del Vecchio aprì un piccolo laboratorio per la produzione di componenti per occhiali. Il giovane imprenditore veniva da Milano: perchè è arrivato fino a qui, vi chiederete? La scelta del luogo aveva diverse motivazioni: il Bellunese era ricco di competenze, in particolare nel campo dell’occhialeria; inoltre, in quegli anni, il Comune di Agordo aveva messo a disposizione del terreno e delle agevolazioni a giovani che volessero avviare nuove imprese. Da quel primo capannone blu - il colore del cielo riflesso nelle mie acque!lo stabilimento Luxottica di Agordo si è pian piano ingrandito e attualmente impiega ben 4953 dipendenti, ma la sua attività e la sua fama sono mondiali!
In precedenza la più importante attività economica della vallata agordina era legata invece alle miniere. Il centro minerario e metallurgico di Valle Imperina si sviluppò fin dal XV secolo proprio là dove ricevo le acque del torrente omonimo e diventò uno dei più importanti dell’area veneta. Dal minerale estratto furono ricavati rame, che veniva portato a Venezia, argento, vetriolo (un colorante verde-azzurro che serviva per l’industria tessile) e, infine, nell’ultimo periodo di sfruttamento da parte della Montecatini (1910 - 1962), pirite di ferro usata per la produzione di ghisa e di acido solforico che serviva per l’industria di fertilizzanti per l’agricoltura. Le miniere di Valle Imperina sono dunque rimaste attive per oltre cinque secoli, riuscendo a occupare, nel periodo di massima attività, fino a 3000 operai.
Tra il 1922 e il 1924, per iniziativa della SAIF (Società Anonima Industriale Ferroviaria), venne costruita una ferrovia che restò in attività dal gennaio 1925 al novembre 1955, per il trasporto di merci legato all’attività mineraria, ma molto utile anche per il trasporto passeggeri. Una delle quattro locomotive di allora (LB1) nel 2003 è stata posta all’ingresso del Centro minerario di Valle Imperina, ristrutturato per valorizzare la zona da un punto di vista turistico.
Superate le antiche miniere mi inoltro per una valle piuttosto stretta, il Canal de Agort, che ho scavato io stesso nel corso di milioni di anni, fino alla località Peron, dove il paesaggio si apre verso Belluno. Uno sguardo all’indietro mi consente di vedere chiaramente quanto abbiamo lavorato, io e il mio vecchio amico ghiacciaio, dando forma a questa valle!
Nei pressi del Mas, alle pendici del Piz di Vedana, alla mia destra, verso la metà del XV secolo ho visto sorgere un suggestivo edificio che ospitò i monaci certosini fino al maggio 1977, con un periodo di pausa, dal 1769 al 1882. Nel secolo di assenza dei certosini il complesso monastico fu gestito come azienda agricola: il 13 giugno 1792 qui nacque Girolamo Segato, a cui è dedicata la vostra scuola di Chiesurazza!
Ora, cari ragazzi e ragazze, il mio viaggio è quasi al termine. Dopo aver fiancheggiato le famose Masiere di Vedana, ricevo le acque del torrente Mis che sono abbondanti in quanto all’altezza di Gron di Sospirolo, finalmente, mi vengono restituiti i prelievi effettuati a monte dal Lago del Mis, nel quale si riversano le condutture che partono dall’Agordino. Giungo così a confluire nel fiume Piave presso Bribano, a 275 m s. l.m, e il Piave... mi porta fino al mare!
HANNO DATO VOLTO E VOCE AL TORRENTE CORDEVOLE:
Lucia, Dino, Francesco, Maksim, Jacopo, Aurora, Ludovica, Arianna, Manfredi, Erica, Nicola, Elia, Emma, Luna, Elisei, Raniero, Beatrice, Marco, Simone.
Scuola Secondaria di primo grado di Canevoi (IC Ponte nelle Alpi) CLASSE IC
Insegnanti: Elisa Olivo Federico Palazzin
C’erano una volta a Polpet quattordici forni per cucinare il pane. Per le strade del paese si respirava un profumo di farina ormai dimenticato. La gente sapeva bene in quale forno andare per procurarsi qualche pagnotta fresca e conversare sulla vita di paese. Oggi ne restano solo cinque e sono tutti a Polpet: quello dei Menegaz in via Giulio Cesare, quello dei Capelèr in via Fiori, quello di Ana Ciarìna, sempre in via Fiori, quello dei Zestèr in via Cesa e quello in via Leopardi. Fino a poco tempo fa, pochi sapevano della loro esistenza, perché da più di settant’anni ormai sono inutilizzati.
Nel corso del Novecento, con l’evolversi del commercio, dai forni nei cortili si è passati ai primi panifici. A Ponte nelle Alpi i fratelli Boito avevano rilevato il più antico negozio, quello dei Cecco, che non si sa da dove provenissero, cedendo l’attività di Polpet ai Piccin, la famiglia di Ugo Collazuol. Ai tempi della Prima guerra mondiale, invece, girava per le strade un certo Chechi da Canevoi con il suo carro trainato da un cavallo. Questi racconti sembrano leggende di un passato ormai molto lontano.
Abitiamo tra montagne stupende e uniche al mondo, tutelate dal Patrimonio mondiale Unesco, e facciamo parte di piccole comunità spesso fragili e sempre meno popolate, che tuttavia custodiscono ancora un patrimonio di conoscenze storiche, sociali e culturali, che merita di essere salvato. Perciò abbiamo invitato a scuola le signore Marisa Fanna, che aveva già intrapreso delle ricerche e delle iniziative su questo tema, e Luisa Menegaz, proprietaria di un forno, per capire meglio come si viveva nel secolo scorso nei cortili di Polpet.
Mentre oggi tutti preferiscono andare al supermercato o nei negozi, negli anni dopo la Seconda guerra mondiale era normale impastare a casa e poi cuocere il pane nei forni del paese, che dovevano essere riscaldati due giorni prima perché raggiungessero la temperatura necessaria.
Alcune famiglie ricavavano la farina ogni settimana, altre quando ne avevano, ma a Pasqua anche quelle più povere non rinunciavano a preparare il pan conzà. I forni funzionavano perfino di notte e ciascuno aveva il suo turno prestabilito per cuocere le focacce e le pa-
gnotte.
Intorno a Polpet si estendevano molti campi coltivati a frumento, granoturco, orzo e segale. Tutti partecipavano alla raccolta, soprattutto le donne, che rivestivano un ruolo particolare nel lavoro agricolo. Allora si respirava un’aria vera di comunità. Quando si usava il forno di qualcun altro, per esempio, non si doveva pagare in denaro, ma era gradito lasciare qualche pagnotta in omaggio. La gente condivideva le risorse e si aiutava a vicenda.
Siamo riusciti a riscoprire queste antiche tradizioni, andando a conoscere i due storici panettieri, figli d’arte, Fiori Collazuol, proprietario del panificio in via Fiori a Polpet, e Ivo Collazuol, proprietario di un altro panificio nel Rione Santa Caterina. Intervistandoli e lavorando insieme con loro, abbiamo conosciuto l’arte di fare il pane e i segreti del mestiere. Una volta pronto l’impasto, abbiamo modellato delle pagnotte nel laboratorio del panificio Fiori, per poi trasferirci nel cortile dell’antico forno Zestèr, dove ci aspettava il proprietario Renzo Costantini, impegnato ad alimentare il fuoco. Infine abbiamo infornato il pane, riscoprendo in pochi minuti settant’anni di storia. Altre persone del paese erano presenti a quello che è stato un vero evento per tutta la comunità pontalpina. Si percepiva fra gli abitanti un’aria di festa, segno che queste tradizioni sono ancora profondamente radicate nella cultura della gente.
A capire bene come è cambiata la vita da allora a oggi, ci ha aiutato il racconto del signor Giancarlo Collarin, un anziano di Polpet, classe 1936, il quale ci ha illustrato alcuni ricordi legati alla vita agricola e sociale del secolo scorso. Una volta a scuola, abbiamo poi raccolto tutto il materiale sulla vita dei forni per crearne un libro sul pane con testimonianze, interviste ai panettieri, racconti e filastrocche ideati da noi, antichi proverbi e tradizionali ricette da sperimentare.
Esiste, quindi, un legame profondo fra territorio e attività umane, che si è radicato nel tempo e che ha permesso a queste genti dolomitiche di vivere affermando il proprio modello culturale e sociale. Ripercorrendo la storia di chi lavorava in quei forni, noi ragazzi abbiamo
conosciuto un modo di relazionarsi al territorio diverso da oggi, più essenziale e meno consumistico, ma più improntato alla fatica e ad un impegno continuo e condiviso. Lo insegna il mestiere del panettiere, come ci ha raccontato Fiori, perché chi fa il pane nutre la comunità e la tiene unita.
Partire da questa prospettiva ci consente forse di guardare al futuro in modo diverso, cercando di migliorare la vita dei nostri paesi, senza farli morire, e facendo tesoro di quei semplici valori come impegno, fatica, solidarietà, spirito d’iniziativa, rispetto per l’ambiente e la natura, intensità di rapporti umani, organizzazione e salvaguardia della propria identità.
I RACCONTI. LE MEMORIE DEL PANE TRA LA GENTE DI POLPET
FIORI COLLAZUOL: «FORNO DI NOTTE, SCUOLA DI GIORNO»
Di sera, dopo cena, prendo la mia fantastica bicicletta e vado al panificio di Col con i miei amici. Sono un ragazzo di soli quindici anni. Ricordo bene la mia bici rosso scuro, i freni nuovi, quel campanello squillante e un cestino attaccato al manubrio. Mio padre è lontano, fa il soldato, ma di professione è fornaio. Perciò sono figlio d’arte. Io e la mamma, però, con tanto sacrificio cerchiamo di mandare avanti da soli il negozio. Dormo su comodi sacchi di farina, poi mi sveglio nel cuore della notte, verso le tre, e via a fare il pane! Il forno va a legna e, dopo due ore dall’accensione, si comincia ad infornare fino al mattino. Alle sette e mezza già la mamma apre il negozio, perché passano quelli della latteria che ogni mattina si fermano a rifornirsi di pane. Quella di sabato è la notte più faticosa, perché a volte la domenica viene servito il doppio del pane, specie in occasioni di festività come Natale, Capodanno, Pasqua e Primo maggio.
Quando finisco di lavorare, riprendo la mia bici e vado a scuola. Potete solo immaginare come posso sentirmi, dopo una notte di fatica. Durante la lezione, invece che ascoltare i professori, spesso mi addormento sul banco e così rischio di essere richiamato per scarso rendimento, ma come faccio a resistere al sonno? Non posso certo tirarmi indietro, devo contribuire ad aiutare in qualche modo la mia famiglia. Questa vita di sacrifici continua anche da grande, ma per fortuna trovo una compagna speciale con la quale condividere il progetto del panificio. È Lina Gretti, una ragazza meravigliosa e solare con occhi marrone e capelli castani. Ha una personalità semplice ma è più
matura della sua giovane età. Prende subito a cuore questo mestiere, dimostrandosi sempre presente e responsabile tanto da abbandonare presto il suo lavoro come domestica per aiutarmi in negozio. Non sono anni facili, siamo appena usciti da una guerra e, per far funzionare un’attività, ci vogliono coraggio e determinazione. Bisogna lavorare assiduamente, ma la fatica non mi spaventa.
Lavorare in panificio è impegnativo, tuttavia insieme vinciamo ogni difficoltà, perché crediamo in questo lavoro, lo facciamo con passione e ci permette di stare a contatto con la gente. Il nostro panificio è un punto di incontro importante per il paese: si scambiano idee e al contempo si gustano prelibatezze!
Mi chiamo Luigia Zilli e sono una simpatica vecchietta con la passione del pane. Ho mani forti e muscolose, dovute al fatto che faccio pane fin da quando ero bambina. Oggi è il giorno di Pasqua e nei cortili di Polpet, tra piccoli spazi circondati da muretti di sassi e case vecchie, si respira un’aria di festa.
Tutte le famiglie, anche quelle più povere, si riuniscono per preparare il buonissimo pan conzà! Si chiama così perché è un pane molto più condito rispetto a quello normale ed è una
gioia prepararlo. Quando lo mangi, vivi in bocca una vera e propria esplosione di gusti che ti mettono di buon umore. Io, Matilde, Consuelo ed Elena abbiamo messo sopra un grosso tavolo di legno gli ingredienti per preparare questa bontà: burro, uova, farina, un po’ di liquore per profumarlo e limone grattugiato per dare il sapore.
Ecco arrivato il momento di mescolare il tutto! Tra donne ci aiutiamo a vicenda, dividendoci i compiti: una impasta, un’altra aggiunge a mano a mano gli ingredienti. Matilde riscalda il forno, è quello dei Zestèr, uno dei più vecchi del paese, dove spesso molti vengono a cuocervi il pane. A turno controlliamo con precisione che il procedimento venga eseguito correttamente. L’impasto risulta soffice, elastico e profumatissimo. A questo punto possiamo infornare il pan conzà. Sale la tensione, aspettiamo con ansia il risultato finale!
Per fare in modo che l’aria non entri nel forno,
usiamo un trucchetto: mettiamo una buaza, ovvero una cacca di mucca, intorno al forno. Questo metodo non sembra molto gradevole, ma è fondamentale per chiuderlo ermeticamente e non far seccare il pane. Tuttavia bisogna stare attenti a non far cadere la buaza sul pane, altrimenti che guaio sarebbe!
Tutte insieme apparecchiamo la tavola e Giovanni tira fuori dal forno il nostro pane, bello e dorato. Il profumo invade tutto il cortile e i nipoti corrono a mangiare, gridando di gioia: «Che bontà! Come fate a farlo così speciale?». Io rispondo con un po’ di orgoglio: «Non faccio nulla di particolare per renderlo buono, è il pane fatto così! In realtà non c’è un trucco, ma basta solo impegno e passione!».
Così, tra un boccone e l’altro di morbido pane, la grande festa continua ed io sono davvero felice di aver trascorso questa giornata in mezzo alla mia gente, impegnandomi con passione per la comunità.
Alla scoperta di un lago prealpino nelle Dolomiti.
Scuola Secondaria di primo grado di Castion (IC Belluno3) CLASSE IC
Insegnanti: Maria Cristina Carì (referente), Federica Collazuol, Barbara Dall’Agnol, Francesca Deon, Nella Gazzi, Antonio Giuffrida, Cristina Nard (sostegno), Anna Spedo.
All’inizio dell’anno, si è proposto ai ragazzi di classe prima una unità interdisciplinare che permette di osservare abilità e competenze relazionali (sociali e civiche) e insieme competenze di base legate a discipline diverse (scienze, tecnologia, geografia, educazione motoria ed educazione artistica).
L’attività è iniziata il 20 settembre 2022 e si è conclusa alla fine di ottobre con la creazione di un pieghevole illustrato, accompagnato da poster pubblicitari (“prova esperta”) da presentare alle prossime classi prime dell’Istituto o a classi di altre scuole interessate a riproporre l’attività.
Dopo aver introdotto l’argomento e le finalità del lavoro da svolgere, gli insegnanti hanno preparato l’escursione al Lago di Santa Croce, condividendo con gli alunni le regole di comportamento ed il materiale necessario all’attività.
Con carte geografiche e satellitari si è passati all’osservazione indiretta del paesaggio, facendo considerazioni sui toponimi e sulla antropizzazione del territorio, utilizzando il prezioso volume di Giovanni Battista Pellegrini dal titolo “Geomorfologia del territorio bellunese” (Fondazione G. Angelini) e il libretto “Lingua e toponomastica” a cura di E. Cason e M.T. Vigolo (Fondazione G. Angelini – DiSLL, 2019).
Attraverso domande guidate, si sono formulate ipotesi sulla formazione geologica del lago e sulla presenza di venti solo nelle ore pomeridiane, avendo così l’occasione di introdurre argomenti di Scienze della Terra, di Orientamento, di Topografia e sul Clima ed i suoi fattori.
Parte essenziale dell’attività sul campo è stata la lezione di vela tenuta dagli istruttori federali durante le uscite. Una parte teorica sulla struttura delle imbarcazioni e su alcuni elementi di navigazione è stata trattata in classe.
Dopo una prima osservazione del paesaggio, sia durante il trasferimento che una volta arrivati a destinazione, il gruppo si è spostato all’Oasi Naturalistica attrezzata di Farra d’Alpago, dove ha potuto osservare diverse specie di alberi e arbusti del luogo, cercare tracce di animali, fotografare ambienti umidi di palude e lacustri.
Poi, attraversando la vasta spiaggia e percorrendo il sentiero ciclabile che circonda il lago, le classi sono giunte in località Poiatte, dove gli istruttori di vela hanno trasferito in gommone tutti i ragazzi fino al Circolo Velico di Santa Croce del Lago.
L’esperienza della navigazione diretta, prima a motore e poi a vela, è stata molto entusiasmante per tutti, ha permesso di superare timori e di condividere emozioni forti con i compagni.
Anche ragazzi con abilità e competenze diverse, hanno potuto dimostrare sul campo le loro doti di adattabilità, collaborazione e “coraggio”.
La gita è stata anche l’occasione per produrre testi narrativi sull’esperienza e confrontarli con i compagni. Lo scambio e la visione delle foto scattate hanno permesso, poi, di ricostruirne le fasi e quindi le sequenze. Inoltre le immagini sono state selezionate per essere utilizzate nella creazione del pieghevole. In classe è stata letta la leggenda del lago, dove si parla di un drago marino che era rimasto chiuso nelle grotte adiacenti il villaggio, emettendo spaventosi boati. Fu infine sconfitto dai cavalieri crociati che difendevano le sponde del lago. Si sono spiegati così alcuni toponimi e fenomeni naturali. Partendo da articoli di giornale del 2011, i ragazzi hanno poi scoperto che strani boati sono stati realmente registrati nella zona. In quel periodo alcune trasmissioni televisive hanno colto l’occasione per fare sensazione, ipotizzando la presenza di mostri nascosti nelle acque del lago. La visione critica di questi filmati ha dimostrato l’importanza di dare spiegazioni scientifiche corrette a fenomeni naturali apparentemente misteriosi.
Durante l’uscita i ragazzi, seduti sulla riva del lago, hanno descritto l’ambiente ed il paesaggio in testi strutturati, sperimentando sensazioni ed impressioni. Hanno poi disegnato lo stesso paesaggio, attraverso tecniche diverse e personali.
In classe, divisi in gruppi, gli alunni hanno progettato una locandina che riassumesse le possibilità offerte dal luogo per una uscita didattica di una classe di coetanei. Il lavoro di ideazione doveva essere condiviso e collaborativo. Infine ogni gruppo ha presentato ai compagni la sua bozza e ne è stata fatta una valutazione collettiva.
Si sono considerati poi gli aspetti migliori di ogni lavoro e si è giunti alla creazione con il programma CANVA, di 5 poster/ pieghevoli (competenze digitali).
L’utilizzo reale del prodotto da parte di altre scuole è auspicabile. La valutazione delle competenze è stata redatta attraverso rubriche di valutazione condivise ed è stata collegiale da parte di tutti gli insegnanti coinvolti. Ai ragazzi è stata chiesta una autovalutazione finale attraverso una relazione commentata dell’attività svolta.
Lo
scopo della scuola è quello di trasformare gli specchi in finestre (Sidney
Scuola secondaria di primo grado “T. Merlin” di Belluno
(IC Belluno2)
CLASSE III B
Insegnanti:
Daria Burigo
Francesca Verrastro
Patrizia Fava
Mariarosa Andrich
Giuseppina Malvone
Contemplo la luna Brillante tra tutte le stelle Rifletto.
Mi auguro di trovare la mia Che illumini la parte migliore di me.
Mi sento amata davanti ai regali di una natura generosa.
Il progetto intitolato “Parolando tra le DoloMITICHE” è partito dall’esperienza di due giorni trascorsi in montagna ad ottobre 2022 dalla classe 3B per un’escursione sul Monte Piana, dove abbiamo camminato tra le trincee della Prima Guerra Mondiale, e intorno alle Tre Cime di Lavaredo, nelle zone Patrimonio UNESCO, alloggiando presso il Rifugio Auronzo, accompagnati dalle guide del CAI di Belluno Daniela Mangiola e Giovanni Spessotto. I ragazzi hanno prima avuto modo di studiare a scuola l’ambiente montano, conoscere la storia, la formazione e la morfologia delle Dolomiti Patrimonio UNESCO e l’arte cinetica di Calder, per poi venire direttamente a contatto con ciò che avevano solo visto in foto o letto sui libri o sui documenti storici. Il loro compito durante il cammino era di immortalare qualcosa che li aveva particolarmente emozionati. Una volta rientrati, dovevano trasformare le loro emozioni in un testo scritto. I ragazzi hanno in seguito allestito una mostra fotografica nella serra didattica della scuola, luogo un po’ defilato, tale da creare un’atmosfera più intima e raccolta, pur con uno sguardo verso le nostre montagne. Lì hanno ricreato con lo spago un filo spinato che richiama l’ambiente della trincea, ricostruita in un angolo della serra con materiale di recupero, come sacchi di juta, barattoli o altro, ma anche originale come le casse di legno.
Dalla porta della serra hanno fatto partire un piccolo itinerario guidato, segnato da alcuni scarponi disposti simbolicamente a terra, che hanno permesso ai visitatori di rivivere il cammino dei nostri soldati in guerra, ma anche quello di chi ama la montagna, di chi percorre sentieri faticosi per raggiungere la vetta ed ancora di chi vuole capire, vedere e non dimenticare. Ogni uomo è in cammino e abbiamo voluto così ripercorrere le orme di chi è passato prima di noi. Fatica, silenzio, paura: questo è ciò che hanno provato i nostri soldati, guidati nei loro passi dall’amore per la Patria, dal desiderio di libertà, dal senso del dovere. Noi abbiamo voluto ricordare gli uomini che hanno dato la loro vita per la Patria e hanno guardato sempre al futuro per il popolo e il loro paese dimostrando che la vita vince sempre.
Su dei vecchi banchi sono stati appoggiati alcuni libri sulla guerra, lettere originali dal fronte, poesie e racconti scritti dagli alunni, che si sono messi nei panni di chi la guerra l’ha vissuta in prima persona.
“Fossa”
Puzza di fredda morte nelle fosse come mani di ghiaccio. Fiori per armi. Si spense il suono della vita in quella terra arida e spenta.
“Vite spezzate”
Immerso tra fratelli il cuore dolce suo fu trafitto.
Migliaia di sogni infranti il viale del tramonto attraversano.
La forza dell’acqua: gli opifici lungo la antica roja alimentata dal torrente Ardo.
Scuola Secondaria di primo grado di Castion (IC Belluno3)
CLASSE IIB
Insegnanti: Anna Spedo e Lucia Costantini
Il progetto, iniziato lo scorso anno scolastico con la visita alla mostra sulle spade nel bellunese, è proseguito quest’anno con la visita alla antica fabbrica di spade del “Busighel”, chiaro esempio di come la forza dell’acqua della roja, proveniente dal torrente Ardo, fosse sfruttata dagli abitanti della città per mettere in funzione i diversi opifici. Dal racconto dei ragazzi emerge la sorpresa di scoprire un luogo così ricco di storia vicino a loro, ma nello stesso tempo la tristezza per l’abbandono in cui versa il sito, ormai ricoperto dalla vegetazione. La visita è proseguita poi risalendo il tracciato della roggia fino alla zona di Borgo Pra, dove altri edifici testimoniano questo passato di lavoro intenso e di sfruttamento della forza dell’acqua.
Siamo partiti dalla nostra scuola verso le 8:15, eravamo tutti agitati e ansiosi di trascorrere una lezione all’aperto, in cui ci siamo divertiti e abbiamo riso e scherzato imparando cose nuove. Eravamo molto curiosi di vedere la roggia, un antico canale artificiale che faceva arrivare l’acqua del torrente Ardo dappertutto, per alimentare i vecchi opifici, passando perfino sotto i ponti sostenuta da fili di ferro da un’estremità all’altra!
Abbiamo deciso di imboccare “la curta”, una strada che adesso è secondaria, ma che una volta serviva agli abitanti di Castion per andare a piedi al mercato in centro a Belluno, sia per comprare che per vendere prodotti. Dopo una discesa ci siamo imbattuti in una chiesa, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, chiamata così perché molte persone che passavano per quella strada entravano e chiedevano una grazia.
Dopo aver lasciato lo spirito tranquillo, saggio e dormiente della “curta” iniziammo a dirigerci verso la parte dove il Piave e l’Ardo si incrociano fino a trovare la roggia. Proseguendo abbiamo incontrato una via che si chiama appunto “via della Roggia”, dove si poteva ammirare benissimo il sistema di trasporto dell’acqua che è stato in parte ricostruito con una moderna struttura. Poi finalmente siamo arrivati in quel luogo strano, quasi deserto dal punto di vista estetico, ma nell’anima il suo ricordo è ancora vivo: sinceramente la fabbrica di spade a prima vista sembrava un ammasso di erba e pietra, ma guardandola un po’ meglio riuscivamo a vederci la fabbrica all’opera, con quegli umili forni e camini che instancabilmente forgiavano le spade e con l’acqua della roggia che metteva in funzione i magli e serviva poi a raffreddare il ferro rovente.
Riuscivamo a vederci la tranquillità, anche in un posto che adesso può sembrare il disastro più totale, insomma riuscivamo a vederci qualcosa di bello.
Ed è per questo che vorremmo che la fabbrica di spade venisse sistemata, in modo che possa tornare alla semplicità di una volta, che possa essere un piccolo angoletto felice per chiunque e non un ammasso di foglie, rami e alberi. Questo opificio è solo uno dei pochi abbandonati fra le macerie che, piano piano, si stanno sgretolando e di loro non rimarrà più nulla. Belluno è una città ricca di storia, ma questa storia non va buttata via, va preservata e valorizzata.
Dopo questa visita abbiamo continuato il percorso della roggia e siamo andati a mangiare alla sede dei maestri di sci (anch’essa un vecchio opificio) che si affaccia sul torrente Ardo dove sorgono molte altre manifatture, posizionate lì proprio per sfruttare al meglio la potenza dell’acqua.
A Belluno ci sono un sacco di luoghi magici che non dovrebbero essere trascurati, ma bisognerebbe prendersene cura un po’ di più.
Poi siamo ritornati a scuola dicendo arrivederci a Belluno.
La classe 2B
Legge 23 dicembre 2009, n.191 e s.m.i. nell’ambito del progetto di “Valorizzazione del territorio attraverso azioni di gestione e comunicazione integrata del WHS Dolomiti UNESCO”