PCM Feb / Mar 2015

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PERSONAL CHEF MAGAZINE | FIPPC | N. 01/2015 | Feb 2015 / Mar 2015

MARCELLO TRENTINI SERGIO MARIA TEUTONICO SPECIALE FINGER ARTE E CIBO CON DAVIDE DOTTI HISTORICAL FOOD

LA RIVISTA ITALIANA DEL PERSONAL CHEF


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PERSONAL CHEF MAGAZINE Numero 1 - Anno 1 - Bimestrale - Febbraio 2015

FIPPC - FEDERAZIONE ITALIANA PROFESSIONA PERSONAL CHEF sede legale: via Tito Schipa, 1/D - 73058 Tuglie (LE) Cod.Fisc/P. IVA: 04538520752 - REA LE 300669 email: segreteria@fippc.com - segreteriafippc@gmail.com www.fippc.com

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direttore responsabile: Alessandro Allocco - direttore.pcmagazine@gmail.com redazione: Stefania Erroi, Giorgio Trovato, Alessandra Zarlottin progetto grafico e impaginazione: Stefano Raia su modello Broluthfi (http://goo.gl/SenrTk) hanno collaborato a questo numero: Simona Cairo, Simone Carta, Roberto De Donno, Davide Dotti, Enzo Gola, Andrea Greco, Antonio Lamberto Martino, Roberta Sabbadin, Alessandra Zarlottin, Arianna Zocca fotografie: Alessandra Zarlottin contributi fotografici: PlastiKwombat studio fotografie FIPPC Academy: Stefania Erroi redazione: ufficio_stampa@fippc.com pubblicità: a cura dell’editore marketing e relazioni esterne: Stefania Erroi - segreteriafippc@gmail.com piattaforma: issuu.com/fippc stampa: quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 italia Il materiale prodotto in questo numero è protetto da copiright. Tutti i diritti sono riservati. L’intero contenuto della pubblicazione e dei suoi allegati non è riproducibile né totalmente né parzialmente senza il consenso scritto della Fippc. Tutti i marchi citati nella pubblicazione sono proprietà dei rispettivi titolari. © 2015 FIPPC


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I cibi conservati con la tecnica del sottovuoto, una volta cucinati, non hanno nulla da invidiare ai cibi freschi proprio perché il vuoto ne mantiene invariate le caratteristiche organolettiche. La creazione del sottovuoto blocca il processo di ossidazione per cui le pietanze così conservate non perdono gusto, ma risultano più stuzzicanti. Il sottovuoto evita la proliferazione di quei piccoli parassiti che, normalmente, si formano nella pasta, nel riso, nelle farine o nella frutta secca. L'irrancidimento di grassi ed olii, la formazione delle muffe, anche nei cibi conservati sott'olio. Evita di dover ricorrere alla conservazione di insaccati in olio o in strutto, sottraendosi così ad una fastidiosa e senza dubbio noiosa incombenza, ossia la fase di pulitura.

Orved Cooking System

www.orved.it - orved@orved.it

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MESSAGGIO PUBBLIREDAZIONALE

Dal 1932 la storica Collezione di Baldassare Agnelli Per cucinare, per servire con stile gli ospiti , per regalare, per contenere, per arredare... Lo stile in cucina è un linguaggio fatto da un lessico pieno di ingredienti e da una sintassi che ne intreccia le regole. Chi manovra le pentole non può prescindere da questi due elementi e chi gode della tavola sa che i grandi piatti non provengono mai da ostentazione di destrezza e di originalità estrema. Così per consacrare il rito del cucinare e del mangiare bene Pentole Agnelli ha riprodotto, in chiave moderna, una collezione di strumenti di cottura - per cucinare e per servire - nata nel 1932. La nuova linea Baldassare Agnelli 1932, recupera il valore della buona cucina e l’arte della tavola nei diversi metalli da quello più nobile come l’oro, a quello più tradizionale come il rame, a quello più leggero e multifunzionale, oltre che avveniristico, come l’alluminio. Il corretto dimensionamento sia delle forme che dei materiali e degli spessori oltre che le più raffinate finiture, rendono le pentole della Collezione Baldassare Agnelli 1932 oggetti unici in cui la preparazione è servita nello strumento di cottura, in porzione singola. Diverse, le belle e pratiche finiture disponibili: in puro alluminio alimentare con spessore professionale di 3 mm, nello speciale e resistessimo antiaderente Withford colore bianco ceramico, in rame stagnato, in oro.


IL RAME STAGNATO, DOVE REGNA LA NOBILTÀ DEL FUOCO

Il Rame Baldassare Agnelli è particolarmente indicato per le cotture più lunghe ed accurate, per le lavorazioni anche pasticciere a temperature precise, e per gli appassionati che sanno“muovere” le pentole fra i fornelli, governando a dovere calore e colpi di fiamma. Le pentole in rame si tramandano di generazione in generazione; la patina del tempo le rende più che mai affascinanti. Frutto di una grande maestria artigiana, la gamma è disponibile sia in rame liscio, la lavorazione più attuale, dal moderno design, che in rame martellato, la lavorazione più classica, dal fascino antico.


EDITORIALI GIORGIO TROVATO PAG. 10 ALESSANDRO ALLOCCO PAG. 12

FIPPC ACADEMY STEFANIA ERROI PAG. 14

TOP & STAR INTERVISTA A MARCELLO TRENTINI A cura di Alessandro ALLOCCO

PAG. 16 RITRATTO DI SERGIO MARIA TEUTONICO: PARTENDO DALL’ORTO A cura di Alessandro ALLOCCO

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RUBRICHE SPECIALE FINGER Finger food: un’idea gastronomica

PAG. 28 CUCIN*ARTE Arte e cibo e arte

PAG. 32 HISTORICAL FOOD Zabaglione antica delizia Enzo GOLA

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PERSONAL CHEF MAGAZINE


BIO E LOGICO SALUTE E GUSTO Cuocio sano Antonio Lamberto MARTINO

PAG. 36 GUSTO SANO Malva capitulare

PAG. 38 RICICLO & NATURA La festa è riuscita perfettamente Roberta SABBADIN

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TENDENZE IT’S TEA TIME PAG. 42

OFF TOPIC AGGIUNGERE SAPORE ALL’IMMAGINE Alessandra ZARLOTTIN

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IN CAMPO A cura di Stefania ERROI

CRESCENDO TRA LE STELLE CON LO SGUARDO ALL’INFINITO Simone CARTA

PAG. 50 PERSONAL CHEF: UN PROFESSIONISTA E UN IMPRENDITORE INSIEME Arianna ZOCCA

PAG. 52 PROFESSIONAL PERSONAL CHEF: UN AMBASCIATORE DI ECCELLENZE ENOGASTRONOMICHE Simona CAIRO - Andrea GRECO

PAG. 54 PCM

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MESSAGGIO PUBBLIREDAZIONALE

Insalata di rana pescatrice con polvere di capperi di Pantelleria su insalatina di campo ed aceto tradizionale del Consorzio Produttori Antiche Acetaie di Modena Ingrediente per 4 pax Insalata di campo 160 gr carote 50 gr Finocchio 80 gr rana pescatrice 500 gr capperi 25 gr erba cipollina 12 fili menta 4 foglie Pepe rosa 3 gr Aceto balsamico tradizionale di Modena D.O.P 25 anni 4 ml Procedimento Pulite e lavate tutte le diverse tipologie di erbe e le diverse tipologie di insalata . Per la polvere di capperi da preparare il giorno prima Scolate i capperi dalla salamoia, sciacquateli e scolateli e ponete all’interno di una teglia traforata. Fate cucinare in forno a 60° per almeno 12 ore , fate freddare e tritate fino a ridurre il tutto in polvere. Pulire la coda di rospo togliendo la pelle e la spina centrale . Tagliate i filetti di pesce a fettine di mezzo cm circa e passiamo in una padella antiaderente ben calda in modo da sigillarle su ogni lato. A questo punto ci prepariamo ad impiattare con l’aiuto di un ring che collocheremo al centro del piatto . All’interno inseriremo le insalate e le erbe , adagiamo sopra la coda di rospo, una leggerissima spolverata di capperi . A questo punto condire il tutto con l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena invecchiato 25 anni , un filo di Olio DOP della zona di Trapani , ed aggiungiamo qualche bacca di pepe rosa leggermente schiacciata .


L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è sicuramente uno dei prodotti più antichi e naturali. Il periodo di invecchiamento trascorso in botte

100 ml, di forma sferica con base rettangolare, inserita nel disciplinare di produzione DOP (Denominazione di Origine Protetta). Ogni bottiglia è contrassegnata da un sigillo di garanzia a serie numerata. L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, grazie ai sui aromi dolci e delicati, può essere abbinato dall’antipasto alla frutta.


EDITORIALE di GIORGIO TROVATO, Presidente FIPPC

Tante volte mi sono ritrovato a parlare dell’importanza del senso di appartenenza, della necessità che le esigenze di gruppo debbano prevalere sui personalismi ma, evidentemente, deve essere fisiologico per l’uomo moderno credere di poter e dover far prevalere le proprie necessità in ragione di una presunta superiorità professionale od intellettuale. Come tutte le cose presunte, spesso son vere solo per chi si pone in una condizione di distacco dalla realtà. Esiste un’altra posizione invece fatta di confronto, di rispetto dei ruoli, di raggiungimento degli o-biettivi del gruppo, invece che costruita unicamente intorno alla gratificazione del singolo. Questa da sempre la scelta di fondo della Fippc, scelta che non può e non deve essere messa in discussione da presunte superiori capacità perché, ripeto, la Fippc non è questa. La qualità dei rapporti umani, il rispetto e la tutela di ogni singolo associato sono la forza di questo gruppo a cui, in tutta onestà, non interessa essere simpatico ma leale ed affidabile. Questa è sempre stata la direzione Fippc, questo il percorso che in futuro continuerà ad essere seguito .

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - EDITORIALE


Lo scorso numero vi abbiamo presentato la nuova veste grafica del PCMagazine.Credo di interpretare il pensiero di tutti ringraziando Giorgio Giorgetti, per il lavoro realizzato e per questo meraviglioso dono alla Federazione. Un magazine all’interno del quale il suo tocco da professionista, esperto del settore, resterà indelebile anche in futuro. Ora è il tempo di dare il benvenuto ad Alessandro Allocco, non solo caro ed attento amico ma professionista completo. Giornalista, scrittore, curatore di mostre e tanto altro ancora ora con noi e per il PCMagazine per modellarlo, miscelando con cura e delicatezza gli elementi intorno alle esigenze di ogni Professional Personal Chef e della Fippc stessa. Benvenuto Direttore Alessandro Allocco e buon lavoro.

Oltre che presidente della Federazione e rettore di Fippc Academy, Giorgio Trovato è executive chef e restaurant manager a Il Convito di Curina del Villa Curina Resort a Castelnuovo Berardenga (Si). Ha prestato la sua consulenza all’estero per numerosi ristoranti nel mondo: come quando ha guidato 65 cuochi di Stefano’s Fine Food Factory a Kiev in Ucraina o ha seguito la cucina de Il Vicoletto a Dublino.

DI GIORGIO TROVATO, PRESIDENTE FIPPC

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EDITORIALE di ALESSANDRO ALLOCCO, Direttore PCM

Quando uscì il primo numero della nostra rivista pochi, nel panorama italiano, si proponevano di parlare agli operatori professionali per valorizzarne ruoli e capacità, dare voce ai giovani talenti culinari, fornire curiosità e far conoscere agli addetti ai lavori i progressi di coloro che ce l’hanno fatta, creare collaborazioni, ispirare coloro che si affacciano a questo mondo e sicuramente nessuno si dedicava ai Professional Personal Chef. PCMagazine, allora come oggi, ha avuto e ha l’ambizione di essere per i Professional Personal Chef e per tutti coloro che vorranno seguirci valido interlocutore con il mondo professionale e non. Il veicolo di comunicazione scelto è senza dubbio quello più al passo con i tempi: quello online anche se a fianco, completeremo la nostra offerta comunicativa con una tradizionale testata su carta in abbonamento, valorizzata da un impianto grafico accattivante (come d’altronde lo è anche quello online). I numeri di quest’anno offriranno molte nuove ed interessanti rubriche, interviste a personaggi d’eccezione, articoli ad alto contenuto scientifico con un occhio all’ecocompatibile e ai prodotti di qualità. Siamo sicuri che le nuove modalità saranno la formula vincente della rivista. Informazioni utili, aggiornamenti, eventi, appuntamenti e tutto ciò che riguarda i Professional Personal Chef, oltre a tutte le categorie professionali a cui ci rivolgiamo da tempo , si potranno trovare nel nuovo e rinnovato Magazine. E’ questa per noi una

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - EDITORIALE


scelta ponderata che rappresenta un grande sforzo di investimento per il nostro editore e la redazione tutta, ma ci è sembrato prioritario offrire uno stimolo a tutti coloro che hanno fatto dell’aggiornamento e della riqualificazione professionale nel settore, un atto di fede e a cui tutta la Federazione ha dato un deciso contributo in questi anni affinché i Professional Personal Chef possano proseguire speditamente. Con questi presupposti ho accolto l’invito ad assumere la responsabilità della direzione della testata per il quale ringrazio veramente di cuore Giorgio Trovato, caro amico e professionista instancabile e dai mille talenti (Chef, Artista, Scrittore e molto altro) e mi propongo in questo anno di portare un contributo di maggiore attenzione ai temi cari al nostro mondo di riferimento non tralasciando di trattare tutte le problematiche legate alla gestione, amministrazione dei nostri professionisti-imprenditori. Ringrazio anche Giorgio Giorgetti che ha contribuito a dare alla rivista una veste sofisticata e certamente all’altezza delle pubblicazioni di settore più prestigiose. Dopo diversi anni di collaborazioni con riviste di settore come critico d’arte e “appassionato” di cucina , cercherò ora (insieme a Giorgio Trovato e Stefania Erroi che sono e restano punto di riferimento della nostra rivista) di garantire sempre più servizi utili agli operatori, ai quali tutti noi assicuriamo la massima disponibilità, un ascolto fattivo delle esigenze e proposte affinchè il mondo dei Professional Personal Chef possa continuare a crescere e offrire opportunità di successo a tutti.

DI ALESSANDRO ALLOCCO, DIRETTORE PCM

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FIPPC ACADEMY

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Personal Chef

CADEMY

di STEFANIA ERROI

Coordinamento segreteria e partnership Direzione personal chef academy

Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere “superato”. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è il merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Albert Einstein

Se ho voluto iniziare il mio redazionale con questa frase è perché credo fermamente che abbia molto a che fare con quello che è il nostro progetto formativo. La Fippc Academy, così come la Fippc Italia alla quale è strettamente collegata nasce in un momento particolare, un momento caratterizzato dall’incertezza. Incertezza di

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - FIPPC ACADEMY


“conservazione” del proprio posto di lavoro per chi ne ha già uno e soprattutto incertezza di potercelo avere un “primo lavoro” da parte dei giovani che si affacciano per la prima volta nel mondo lavorativo. Einstein recita: “La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura” e indica così il giusto sentiero che non è connesso al disfattismo deprimente o all’autocommiserazione di chi aspetta che la grande occasione possa cascargli dal cielo restando lì immobile ad attendere. No. Bisogna pensare, capire e agire. La chiave di lettura del “come” fare è contenuta nella frase: “La vera crisi è la crisi dell’incompetenza”. Vivrà la crisi in modo drammatico chi non avrà sufficiente forza per reinventarsi e per comprendere che sono le competenze a fare la differenza. Solo chi avrà un’adeguata professionalità riuscirà ad emergere e a farcela, anche in momenti bui come questi. E la professionalità non può che essere il frutto di una formazione adeguata seguita da aggiorna-menti instancabili e puntuali. La Fippc Academy è questo che si propone di fare: formare chi è appassionato o anche chi è già cuoco, ma magari demotivato dal particolare momento, mostrando al fruitore tutte le potenzialità creative e il talento ancora inespresso.

Diventa anche tu Personal Chef Professionista con il corso “INTERMEDIATE” di FIPPC MILANO DAL 13 AL 19 APRILE 2015

DI STEFANIA ERROI

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - MARCELLO TRENTINI

di ALESSANDRO ALLOCCO

MARCELLO TRENTINI

un intervista di ALESSANDRO ALLOCCO


OP & STA

Di Marcello Trentini si è scritto tanto in questi anni: chef intelligente, simpatico, scaltro, capace e che si diverte a creare i suoi piatti … Piemontesità, anzi torinesità prorompente con una forte attitudine alla globalità maturata nei suoi numerosi “viaggi alla scoperta” di culture affascinanti, caratterizzano non solo le creazioni, ma il modo di vivere di questo “giovane” astro nascente della cucina italiana che cresce con l’amore per i buon cibo e la convivialità imparati alla scuola famigliare. Si perchè quanto Marcello era piccolo, uso della famiglia Trentini era programmare nel fine settimana“full immersions” nell’arte culinaria in sessioni plenarie con tutti i membri: mamma, papà e figli, in cui si spadellano manicaretti riposti sottovuoto per tutta la settimana. Marcello Trentini è colto, proviene da una famiglia colta, borghese e questo suo tratto distintivo e caratterizzante, spesso viene messo in secondo piano. Io sono stato molto attirato da questo aspetto anche perchè ha confermato la mia idea che ogni chef ha in sé talento artistico da vendere. Trentini ha da sempre un rapporto privilegiato con l’arte: studia all’Accademia Albertina con particolare interesse per tutto ciò che riguarda la tridimensionalità (che applicherà poi ai suoi piatti), espone nel suo locale pezzi originali come quelli di Fresu, scrive libri e dipinge l’insegna del suo locale (storia interessante, ma buona per la prossima puntata). Terminati gli studi si dedica totalmente alla sua passione primigenia senza ripensamenti o scoraggiamenti partendo dal basso fino ad arrivare ad aprire un suo locale “Il Magorabin” (l’uomo nero e spaventevole delle fiabe) . Come entra l’arte entra nei tuoi lavori? E se hai notato sto parlando dei tuoi piatti come dei pezzi d’autore! Ecco, credo tu abbia centrato il punto focale secondo me! Un piatto è arte quando è autorale, quando si crea e ricrea più volte qualcosa con gusti, profumi, colori e forme che prima non c’erano mantenendo inalterato nel tempo, seppur con lievi differenze, il livello di esecuzione. Certo non si deve limitare la creatività. Io ad esempio sono irrequieto e sono capace di modificare anche molto un piatto nel giro di poco tempo (questo fa impazzire i miei collaboratori che in ogni caso sono talmente bravi da starmi dietro). I tuoi piatti sono autorali, personali, tu non rivedi o ricrei cucine tradizionali, come nasce il processo creativo? Ho realizzato, anche grazie alle parole del direttore del Teatro Regio di Torino, che la mia testa funziona come quella di un compositore che al posto delle note inserisce sapori e profumi per creare una sinfonia. Ho questa immensa fortu-

TOP & STAR

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - MARCELLO TRENTINI


DI ALESSANDRO ALLOCCO

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na di avere un “archivio” dei gusti stampato nel cervello e la capacità di abbinarli (a volte anche in maniera azzardata) per ottenere un ottimo risultato. Sei appassionato di teatro e di opera. Sono passioni che fanno parte del tuo modo di cucinare? Nei tuoi piatti c’è più tragedia o commedia? Sono più appassionato di Opera che di teatro in realtà. Certamente queste passioni entrano a pieno titolo nel mio modo di lavorare. Direi che lo spirito leggero e giocoso della commedia aleggia su tutte le mie preparazioni, ma i gusti sono quasi sempre a “tinte forti, drammatiche”, gusti decisi e carichi classici delle composizioni operistiche (quasi sempre tragedie). Ho immaginato anche i miei menù degustazione come un’opera con preludi introduttivi che preparano gli astanti a gustare i piatti successivi i quali tengono alta la tensione e le aspettative fino al momento finale di sublimazione che stempera la tensione verso il momento defatigante. Ovviamente sei una persona sicura di sé. Questa tua sicurezza è data dall’enorme lavoro e fatica profusa nel fare il tuo lavoro. Mi domando: sei un maniaco del controllo?

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - MARCELLO TRENTINI

Assolutamente si! Sono anche pignolo e instancabile, dormo pochissimo, lavoro moltissimo. I miei collaboratori però, mi seguono con passione e nonostante a volte li faccia impazzire, mi ringraziano perchè possono costantemente imparare e io ringrazio loro perchè anch’io, nelle sedute di Brain storming che ogni tanto facciamo, imparo qualcosa. Quando qualcuno sbaglia quindi “dai di matto” No, non direi! Io pretendo da me stesso molto più di quanto pretenda dagli altri, ma gli errori sono naturali. Cerco sempre di affrontarli con fermezza, ma senza esagerare... a meno che non siano frutto di svogliatezza o sbadataggine, a quel punto si, “do di matto” e, una volta conclusa la sfuriata, tutto torna come prima. So che sei sostenitore del Km 10,000 e non del Km 0 perchè? In verità sono anche fan del km 0, ma non voglio farmi imprigionare in gabbie precostituite. Sono fondamentalmente uno spirito libero: cucino quello che mi pare, mangio quello che voglio, servo ai clienti le mie visioni. Non voglio circoscrivere la mia creatività. Sono un contemporaneo e la contemporaneità prevede la globalità.


DI ALESSANDRO ALLOCCO

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Non voglio dovermi imbrigliare usando solo prodotti italiani o ancora di più piemontesi. Il mondo è grande e le materie prime di stagione e di ottima qualità, sono presenti in tutto il globo. Certo che se posso avere i peperoni di Carmagnola non vado certo a comprare quelli peruviani, ma se voglio cucinare... in pieno inverno, devo essere libero di scegliere un produttore dall’altra parte del mondo che nel giro di 12 ore mi recapiti tutto. Questa è la meraviglia della contemporaneità e non vedo perchè non si debba sfruttare. Hai detto che mangi ciò che vuoi. Sei uno di quelli che, quando mangia fuori sceglie solo ristoranti di classe o cucina al posto degli ospiti? Ma non scherzare! Quando mangio da amici sono loro che cucinano e mi guardo bene dal fare commenti (se negativi). Pensa che a volte mi capita di mangiare anche il “fast food”, magari con qualche goccia di tabasco… ho addirittura creato un cooking show del riuso alimentare (con materie prime scartate dai banchi del mercato) in effetti ora che ci penso tanto sono pignolo sul lavoro tanto poco lo sono nella vita privata.

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UN PIATTO È ARTE QUANDO È AUTORALE, QUANDO SI CREA E RICREA PIÙ VOLTE QUALCOSA CON GUSTI, PROFUMI, COLORI E FORME Come passi il tempo libero, se ne hai ovviamente. In maniera decisamente molto semplice: una bottiglia di buon vino,libri, film d’autore, musica, divano e coperte e la compagnia di mia moglie e amici. La domanda che tutti vogliono sentirsi porre: il futuro? Banale! Non ho la palla di vetro e non so cosa mi riserva. Quello che ti posso dire è che continuerò a lavorare tendendo verso un costante miglioramento (anche perchè vorrei la seconda stella), rimanendo sempre attento a proporre una cucina colta e di qualità.

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RITRATTO DI SERGIO MARIA TEUTONICO: PARTENDO DALL’ORTO Articolo realizzato con il contributo dell’intervista di Viviana Musumeci per VM-Mag. di ALESSANDRO ALLOCCO

È importante oggi, riscoprire le gioie della coltivazione diretta della terra, può essere un modo rilassante per trascorrere il tempo. Mangiare la frutta e la verdura coltivate con le proprie mani, può rappresentare una grande fonte di soddisfazione, senza contare che la qualità è indubbiamente migliore poiché si ha il controllo di ciò che viene utilizzato per la coltivazione. Sergio Maria Teutonico, classe 1971, realizza tante ricette intriganti, gustose e realizzabili con una certa facilità, utilizzando come ingredienti principali i prodotti dell’orto anche perchè, per sua stessa ammissione “Mangiare verdure è importante e salutare”. Salute e benessere hanno ispirato questo poliedrico chef e scrittore ( ricordiamo “Colto e mangiato”, “Di necessità Menu”, “Il pollo, il cuoco e la motocicletta” e “Chef Academy”) che ha reso l’approccio alle verdure appetitoso e ghiotto. Le tante trasmissioni televisive e radiofoniche che lo ospitano – difficilissimo ottenere un’intervista – lo vedono impegnato nella realizzazione di tante ricette, sane e colorate con un’attenzione speciale alla creazione di un percorso di cucina e di gusto che tenga conto della scelta delle tecniche di cottura, dei condimenti, della leggerezza (a volte), di tradizione e innovazione e, soprattutto, della stagionalità e della qualità delle materie prime.

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Innumerevoli le sue proposte per la cucina vegetariana, ricette leggere e sfiziose, ma anche piatti sostanziosi e ricchi per tutti i gusti e per tutto l’anno: il profumo delle verdure primaverili, come piselli e fagiolini, la freschezza di pomodori,insalate, zucchine e melanzane in estate, il calore di zucche, patate e cavoli per affrontare l’autunno e l’inverno. Sergio Maria Teutonico è sicuramente “appassionato” di orto e, specialmente in questi ultimi anni di crisi, moltissime persone di ogni genere si sono avvicinate a questa rilassante attività ottenendone vari benefici: maggiore controllo su quello che si mangia, sui costi e la qualità; maggior consapevolezza di sé stessi e delle proprie capacità di realizzare progetti complessi; auto-produzione alimentare apportatrice di benessere non sempre al primo posto nelle intenzioni dei grandi distributori spesso sinonimo di approssimazione e mediocrità. “Migliori sono le materie prime, migliore è il risultato finale” sembra dirci Sergio Maria Teutonico che, in cucina ne inventa proprio una più del diavolo anche se sembra non avere segreti particolari se non studio, impegno, sensibilità, ed esercizio continuo senza nessuna dote specifica (anche se sospetto che lo dica per schernisi un poco). Completano il quadro

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determinazione e un pizzico di follia che portano lo chef ad adattarsi ad ogni situazione anche quelle più ingrate – a questo proposito mi piace ricordare le ricette gustosissime, ma certamente da “pazzoide” contenute in “Il pollo, il cuoco e la motocicletta” dove il nostro chef motociclista utilizza il mezzo di locomozione come una cucina – traendo il massimo da ogni situazione. Sergio Maria Teutonico è un comunicatore con l’innata capacità di mettere a proprio agio le persone che, nella sua cucina apprendono senza difficoltà, ma è anche fortemente volitivo, già da piccolo, incapace di rinunciare alla sua libertà di pensiero, di azione e di parola sia nella vita che nel mondo professionale. Un tallone d’Achille? Si, in effetti c’è: l’odio appassionato per le lenticchie, anche quelle coltivate da lui, cibo cattivissimo anche quando lo servivano alla mensa dell’asilo... però non ditelo a nessuno.

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - RITRATTO DI SERGIO MARIA TEUTONICO: PARTENDO DALL’ORTO


DI ALESSANDRO ALLOCCO

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FINGER FOOD: UN’IDEA GASTRONOMICA “Un’idea gastronomica collocabile ad inizio pasto, articolata, che può essere gustata in punta di dita”. Questa in breve la definizione di “Finger Food” partorita dalla mente di quei geniacci tedesci di Expo-Gast Salisburgo nel 2002, anno in cui per la prima volta si parla di “Finger Food” come vero e proprio stile di cucina. In realtà i geniacci tedeschi non hanno inventato nulla di nuovo. Semplicemente hanno “etichettato” una tendenza che, per noi popoli di cultura romanza ad esempio, è da sempre usata per passare qualche momento insieme agli amici sorseggiando un buon bicchiere di vino. Grande entusiasmo però colse gli chef che partecipavano all’esposizione e fu tutto un susseguirsi di ricette, spunti, petits biyoux che in breve tempo portarono il “Finger Food “ ad acquistare dignità e un proprio spazio all’interno del mondo culinario professionale. Questo è talmente vero che perfino riviste specializzate nel settore con l’ausilio di comitati scientifici, si sono impegnate nel definire le nozioni base di questo stile culinario mettendo in luce un sistema ragionato e puntuale utile

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - FINGER FOOD: UN’IDEA GASTRONOMICA


IL FINGER FOOD È UNA PROPOSTA GASTRONOMICA ADATTA A QUALSIASI FORMULA RISTORATIVA

a quanti desiderino promuovere e valorizzare, all’interno della propria realtà ristorativa, questa gustosa offerta gastronomica. La cucina classica già aveva in sé l’idea dei “Petites Bouches”, piccoli bocconi salati da gustare con le mani o di “ Petits Bonbon” pasticceria mignon come ancora si usa fare in quasi tutte le pasticcerie torinesi ad esempio. Quello che in questi anni è cambiato è l’atteggiamento che i professionisti di settore riservano al “Finger Food” che si è trasformato da “Patatine e noccioline” in elaborati bocconi dai gusti ricchi degni delle occasioni più speciali. Certamente gli chef hanno ben presente il dogma della definizione di Finger: un’idea gastronomica collocabile ad inizio pasto, articolata, che può essere gustata in punta di dita” e quindi sono consapevoli che devono presentare piccole quantità di cibo, ma non per questo qualsiasi cosa può diventare Finger Food. Le articolate e policrome presentazioni devono condurre il commensale, l’avventore, verso un viaggio sensoriale tale da far cogliere delle emozioni gastronomiche perchè ogni bocconcino, una volta prelevato dal vassoio, deve garantire l’opportunità di deliziare i cinque sensi.

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PICCOLO “DECALOGO” DEL “FINGER FOOD” a cura di: Commissione Tecnica per conto del comitato di organizzazione del Campionato di Finger Food “Chef in Punta di dita”.

• Il Finger Food è una proposta gastronomica adatta a qualsiasi formula ristorativa; • Il F. F. può diventare un sistema di interscambio gastronomico tra le realtà di offerte ristorative di vendita e quelle prettamente legate alla produzione; • Il F. F. è una proposta gastronomica intesa come opportunità qualitativa per dare il via a qualsiasi tipologia di “menù”; • Il F. F. è un’opportunità di produzione e vendita di alimenti e prodotti che creano spettacolo per la loro preparazione, che si possono intendere come una filosofia dello Chef on Show; • Il F. F. è un’idea gastronomica di piccole dimensioni che si può gustare con l’uso delle dita, o con attrezzature adeguate, preferibilmente in un unico boccone; • Il F. F. non è mai inteso come dolce, o piccolo boccone dolce, perché già esiste una cultura codificata della pasticceria “mignonne”. Definizione dei canoni per il Finger Food. • E’ un prodotto che si degusta in un boccone; • E’ costruito con una logica ben precisa, gli alimenti impiegati per la produzione di un F. F. possono essere accostati per analogia o per contrasto (dolce/più dolce; salato/più salato; morbido/croccante; dolce/salato; etc.); • Un F. F. per la sua natura di essere gustato in un boccone, deve prevedere una facilità d’esecuzione, senza richiedere tempi di realizzazione eccessivamente lunghi; • Il F. F. inteso come “boccone” può essere afferrato con le dita di una mano, o con attrezzature minute ed adeguate;

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• Il F. F. può prevedere liquidi, gelatine, salse di accompagnamento, basta che siano in armonia con il principio del boccone e della presa con una mano; • Si ribadisce che il F.F. si degusta con una “mise en bouche” (messa in bocca); • La struttura del F. F. deve prevedere un minimo di 3 ingredienti, armoniosamente messi insieme. • Il F. F. non è classificabile con un sistema di cottura unico, può essere cotto e crudo, ma nel contempo sempre articolato nell’accostamento alimentare; • Il F. F. può prevedere una dimensione calda e fredda, indipendentemente dai metodi di cottura impiegati; • Il F. F. è sempre preciso nella sua forma di presentazione, è regolare nei tagli, si presenta sempre in un insieme di precisione; • Il F. F. è a tutti gli effetti un elaborato culinario e deve essere costruito con una attenzione ai principi di una sana ed equilibrata alimentazione; • Il F. F. deve essere presentato tenendo conto di una sua dimensione visiva. Di conseguenza la struttura deve essere attenta alle forme e alle policromie degli alimenti impiegati; • Il F. F. come espressione sensoriale deve permettere una percezione tattile e visiva definita, così come l’aspetto olfattivo dovrà essere riconoscibile; • Il F. F. è un modo di intendere la visione gastronomica, culinaria e, di conseguenza è un fatto di gusto: per questo il F.F. è espressione chiara di un gusto equilibrato. • Il F. F. non è una qualsiasi ricetta ridotta nella quantità.

PERSONAL CHEF MAGAZINE - FINGER FOOD: UN’IDEA GASTRONOMICA


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ARTE E CIBO E ARTE

Arte e cibo, cibo e arte … cucina d’artista o artisti in cucina! Credo che siano tutte declinazioni dello stesso soggetto. Si perchè da lungo tempo arte e cucina sono complementari tra loro. Fin dall’antichità e poi più compiutamente nel rinascimento fino ad arrivare al Barocco, al Rococò, impressionisti e in generale in tutto l’Ottocento fino al secolo scorso e le sue Avanguardie, l’arte è stata costellata di tavole imbandite, nature morte e vive, cibi succulenti dal provocante Food Design di fagiani, colombe, quaglie, biancomangiare e tripudi di frutta e formaggi. Talvolta gli artisti ritraevano il poco che riuscivano a mettere insieme per cena, più spesso erano le ricche tavole dei loro committenti ad essere immortalate. Il tema oggi attualissimo del cibo e delle sperimentazioni condivise con l’arte e il Design che sfociano in ricerche dagli inediti linguaggi ed in una innovativa cultura dell’alimentazione è stato affrontato anche dal giovane critico d’arte Davide Dotti che a Palazzo Martinengo di Brescia ha curato la mostra “Il cibo nell’arte. Capolavori dei grandi maestri dal Seicento a Warhol”. Studiando i dipinti in maniera scientifica grazie alla collaborazione con l’Università degli Studi di Parma, il giovane curatore ha ricavato preziose informazioni sui gusti, i cibi e le tradizioni culinarie dei secoli passati e il legame tra arte e cibo, palesato secoli fa e perpetuato dagli artisti specialisti del campo della cosiddetta “natura morta” o “still life”, ha dato origine ad una mostra dall’ampia, variegata e gustosa selezione.


La mostra è stata pensata come un menù di dieci portate iconografiche e cronologiche che danno origine a dieci sezioni: allegoria dei cinque sensi, mercati dispense e cucine, frutta, verdura, pesci e crostacei, selvaggina da pelo e da penna, carne salumi e formaggi, dolci vino e liquori, tavole imbandite concludendo con il cibo dell’arte del XX secolo. Lo scopo è quello di condurre il visitatore in un viaggio artistico-culinario e sensoriale, condurlo nell’osservazione di un dipinto cogliendo l’occasione per scoprire cibi oggi completamente scomparsi e di cui è difficile immaginare il sapore come quello di cibi “estinti” quali ad esempio il “Casatiello”, (un involucro di pasta di pane cotto nel forno ripieno: nei giorni “di grasso”, cioè di festa, con carne d’agnello, di piccione, di vitello, uova sode, spezie, formaggi, altre gustosità e nei periodi “di magro” ripieno esclusivamente di formaggi ed erbe cotte) che compare in un dipinto di Giuseppe Recco 1634-1695 oggi raro a testimonianza di tradizioni e usanze culinarie oggi scomparse.

ranei chef e buongustai devono sottolineare la qualità delle loro materie prime. Come un qualsiasi artista, la base delle preparazioni culinarie di uno chef deve essere di qualità superiore e ben impiattata perchè, esattamente come un quadro, un piatto si gusta prima con gli occhi e poi con la mente!

Ma il rapporto tra arte e cibo non si concretizza solamente nell’esercizio pittorico, va ben oltre. Henry Miller ne “Il giudizio del cuore scriveva: ”L’arte non insegna niente, tranne il senso della vita”. Il senso della vita che l’arte può evocare nell’ambito di una sana alimentazione è che, al pari degli artisti che ritraevano le preparazioni, i cibi, le pietanze con materie prime (i colori) preparati con cura e dedizione, i contempo-

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ZABAGLIONE ANTICA DELIZIA di ENZO GOLA Direttivo Nazionale FIPPC

Nipote di Giulio Cesare Tirelli, capocuoco della Serenissima Repubblica di Venezia, Bartolomeo Stefani, cuoco italianodel XVII secolo, operò presso i signori più raffinati dell’Emilia e della Lombardia, tra cui i Gonzaga di Mantova.

se”L’Arte di Ben Cucinare”, volume di cucina dedicato ad Ottavio Gonzaga Principe di Vescovato, all’interno del quale primo esempio nella storia moderna, era contemplata una sezione dedicata “Vitto ordinario” (cibo ordinario).

Cristina di Svezia alla vigilia di Natale del 1655, con il dettaglio delle impostazioni di cibo e tavola per ogni ospite, tra cui un coltello, forchetta, cucchiaio, bicchiere, un piatto (al posto delle ciotole più usate) e un tovagliolo.

Nel 1662, in servizio come capocuoco presso il il Ducato di Mantova, scris-

Il libro descrive uno dei tre banchetti offerti dal Duca Carlo in onore della Regina

La prima visita in Italia della Regina, nel novembre del 1655, la vide a Roma per

Ingredienti per quattro persone: Tuorli d’uovo 7; Zucchero 120 gr.; Vino bianco 60 gr.; Marsala 60 gr.

Procedimento: mettete in una casseruola a bagnomaria i tuorli d’uovo e lo zucchero, portate la temperatura dell’acqua sottostante a circa 35°/40° gradi e frustate per circa 5/6 minuti sino a quando le uova siano sbiancate. Aggiungete il vino ed il marsala, alzate la temperatura dell’acqua a circa 70°/75° e continuate a frustare il composto per circa 7/8 minuti sino a quando lo zabaglione avrà raggiunto una consistenza cremosa. Versate lo zabaglione in coppette e riponetele in frigorifero d’estate oppure servite questo delizioso composto tiepido in inverno, guarnendo con savoiadi o altri biscotti.

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - ZABAGLIONE ANTICA DELIZIA


ricevere dal Papa il sacramento della comunione e già dal suo ingresso in terra italiana, il viaggio si configurò come un festoso trionfo della sovrana. Cristina era infatti assai nota in tutta Europa e godeva fama di donna di eccezionale cultura, detentrice di forti legami con l’Europa dotta ed era invidiata per la sua fornitissima biblioteca e quadreria. Certamente non corriamo il rischio di errare nell’affermare che nel suo viaggio in Italia, un posto di primo piano lo assunsero i banchetti offerti dai signori che la ricevettero e la ospitarono. Particolarmente significativi i 3 banchetti offerti dal Serenissimo duca di Mantova, in particolare l’ultimo addì 27 novembre 1655, descritto con dovizia di particolari da Bartolomeo Stefani (dal cui testo originale

“L’arte del ben cucinare” è stata estratta la ricetta sottoriportata a lui attribuita).

Si piglierà ova fresche sei, zuccaro fino in polvere libra e mezza, vino bianco once sei, il tutto si sbatterà in sieme e poisi, piglierà un tegame di pietra vitriato a porzione della detta composizione, si metterà oncie due di butiro a disfar nel tegame, quando sarà disfato si butterà la composizione dandogli fuoco sotto e sopra, se si vorrà mettere nella composizione canella èpista se ne metterà un quarto, se si vorrà amuschiar conforme il gusto, avertendo però alla cottura che non si intortisca troppo. Puoi fare ancora lo zambalione in questa maniera: piglierai oncie due di pistacchi mondi, pellati e poi pisti nel mortaro e

stemprali con il vino, che va fatto lo zambalione, e questo zambalione serve assai per i cacciatori, perchè alla mattina, avanti vadino a caccia, pigliano questo; se per sorte perdessero il bagalio possono star così sino a sera; se può fare con il latte di pignoli, come di sopra, e per convalescenti, che non possono pigliar forza, si fa col seme di melone.

Lo zabaglione, ai giorni nostri, viene preparato in vari modi: con solo vino bianco, con marsala, con solo tuorli d’uovo, con tuorli e una chiara ecc... Io personalmente amo prepararlo in questo modo.

DI ENZO GOLA

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IO & LOGIC

CUOCIO SANO di DOTT. ANTONIO LAMBERTO MARTINO

Manager di rete, agronomo, esperto in tecnologia alimentare Per un lungo periodo i media hanno colmato i nostri occhi e le nostre orecchie con chef e cuochi per passione di poca chiara esperienza alle prese con pentole e padelle in cucine avveniristiche. Costoro hanno fatto del cibo un palcoscenico da calpestare in nome della propria popolarità conducendo inesorabilmente il consumatore verso prodotti alimentari o, peggio ancora, verso pietanze impoverita di tutte le necessarie proprietà nutritive fondamentali per il nostro organismo. Oggi più che mai bisogna proiettare l’attenzione verso un’alimentazione in cui il gusto sia giusta e saporita espressione del sano. E’ necessario, oggi più che mai prima, verificare la qualità e la provenienza dei cibi, preferendo il biologico che, possibilmente, abbia percorso il minor numero di chilometri possibili per arrivare sulla nostra tavola, al fine di mantenere inalterate le proprietà organolettiche e nutritive. Per apportare poi un beneficio al nostro organismo è necessario cuocere le ottime materie prime scelte nel modo giusto tenendo presente che, se è vero che alcuni alimenti una volta cotti diventano più digeribili e sicuri, è anche vero che altri con la cottura rischiano di perdere le loro sostanze più preziose vanificando gran parte delle nostre attenzioni in cucina. Sia modalità che sistemi di cottura sono due fattori fondamentali per la qualità finale del cibo. A seconda delle soluzioni adottate si possono esaltare i sapori, aumentarne la digeribilità, ridurre i rischi di contaminazioni microbiche, modificare il valore energetico e nutrizionale degli alimenti, fino addirittura ad impoverirli


e nei casi peggiori alterarli irreversibilmente e sicuramente molto dipende dal tipo di piatto che vogliamo preparare,

nalmente le diverse modalità di cottura che non distruggano le proprietà nutritive e sapore.

Prendiamo ad esempio gli ortaggi. Per cucinarli correttamente dobbiamo: limitare al massimo i tempi di cottura per non perdere le vitamine termolabili, prime fra tutte quelle del gruppo B e C che diventano la metà dopo un solo minuto a 100˚ C e, una volta cotti, riutilizzare l’acqua di cottura per cuocere pasta o riso guadagnando sia in sapore che in salute.

Qui vorremmo concentrarci su una delle modalità di cottura utili sia per ricavare il massimo del gusto che il massimo per la nostra salute: la cottura a vapore. Innanzitutto va detto che la cottura a vapore conserva intatte vitamine, sali minerali e caratteristiche nutritive. Con il vapore si evita il contatto diretto dell’alimento con acqua, grassi da condimento o altri liquidi; l’alimento si cuoce grazie al calore indiretto fornito dall’acqua bollente senza cessione per contatto di sostanze che possono così soddisfare il fabbisogno giornaliero di micronutrienti.

La cottura della carne, porta con se grosse problematiche soprattutto se si sceglie di cucinare alla griglia perchè, quando l’alimento raggiunge e supera i 200°C, si formano derivati ciclici del triptofano che possiedono potere mutageno (ovvero sono cancerogeni). Se cuocendo un cibo questo si “imbrunisce” o si brucia come gran parte di noi sentenzia, quasi sempre è opera di una cottura eccessiva a volte necessaria per conferire all’alimento un po’ di “gusto”. Nulla di male per molti di noi. In realtà un cibo bruciato è saturo di acroleina e acrilamide, due contaminanti fortemente inquinanti e nocivi per l’uomo. Per evitare esecuzioni errate delle ricette traendo da esse un beneficio sia organolettico che nutrizionale ci sono due semplici possibilità: andare da uno chef che rispetti la materia prima, ne valuti le proprietà nutritive e con quelle ricavi il gusto, o in alternativa, conoscere perso-

Ulteriore beneficio del vapore: l’assenza di grassi da condimento che potranno essere aggiunti a crudo a cottura ultimata con due benefiche conseguenze 1 - riduzione del contenuto lipidico del piatto 2 - apporto di antiossidanti contenuti nell’olio d’oliva non dispersi e distrutti ad elevate temperature. Ultimo, ma non ultimo il beneficio per il palato visto che, in particolar modo per carne e pesce, il vapore intenerisce i tessuti sciogliendo il grasso e rendendo più morbido il tessuto connettivo (cartilagini e tendini) creando un piatto delicato e carezzevole nel sapore, ma estremamente ricco nei valori nutrizionali.

DI DOTT. ANTONIO LAMBERTO MARTINO

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IO & LOGIC

MALVA CAPITULARE La malva è forse l’erba che trova il maggior impiego nelle case dei contadini, sia come rimedio risolutivo di molti mali, sia come vegetale in cucina. È una pianta conosciuta da tutti, anche per i suoi fiori delicati color malva appunto. È una delle erbe citate nel Capitulare de villis vel curtis imperii del periodo Carolingio, un volume che seleziona 89 specie di piante, fiori e alberi, fortemente voluto da Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero allo scopo di fornire detta-

gliate indicazioni sulle specie da coltivare nei suoi possedimenti ed era coltivata in quasi ogni orto dell’epoca medievale come base per medicine e pozioni. La coltivazione della malva è necessariamente di natura biologica” ammettendo solo l’impiego di sostanze naturali ed escludendo così l’utilizzo di sostanze di sintesi chimica (concimi, diserbanti, insetticidi). E in questi tempi di crisi e emergenza ecologica, coltivare in modo biologico si-

gnifica sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo. Ciò porta a salvaguardare la fertilità naturale di un terreno utilizzando materiale organico in modo non intensivo, coltivando non consecutivamente sullo

Occorrente: un mazzo di bietoline giovani e malva in pari volume una grossa cipolla, aglio, un uovo uno o due cucchiai di parmigiano o grana grattati (ma si può anche eliminare del tutto) olio d’oliva, pan grattato, maggiorana, sale, pepe

TORTINO DI BIETOLINE E MALVA

Preparazione Pulire le bietole e tagliarle in listarelle non troppo sottili, compresa anche la parte commestibile dello stelo. Pulire le foglie di malva; se sono giovani e tenere (come in questa primavera che non si decide a diventare estate) basta eliminare il picciolo fino alla base della foglia, se no forse sarà opportuno anche togliere i filamenti dalle nervature più grosse. Tagliare anche queste in listarelle. Mettere entrambe le verdure in pentola chiusa con l’acqua del lavaggio e un po’ di sale, finché non sono cotte al dente. Scolare appena del residuo di acqua superflua e lasciar raffreddare. Far appassire in olio d’oliva una cipolla tritata , aggiungere le foglie, sale (se occorre), pepe e un pizzico di maggiorana e uno spicchio d’aglio schiacciato o tritato, lasciare insaporire e asciugare. A fuoco spento mescolare il composto con un uovo e un paio di cucchiai di parmigiano grattato. Ungere d’olio una teglia e farvi aderire abbondante pan grattato. Stendere le verdure e ricoprire con altro pangrattato. Mettere in forno caldo finché il pangrattato non è dorato. Il tortino che ne risulta è molto saporito pur lasciando in bocca un’impressione di delicatezza e cremosità.

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - MALVA CAPITULARE


stesso terreno la stessa pianta, da un lato si ostacola l’ambientarsi dei parassiti e dall’altro si sfruttano in modo più razionale e meno intensivo le sostanze nutrienti del terreno. Della pianta di Malva si usa tutto: radici, foglie e fiori. Noi qui ci occuperemo solamente dell’uso delle foglie e dei fiori. I fiori si raccolgono da aprile a ottobre, possono usarsi sia freschi che secchi. Ottime le minestre, le insalate e le frittate realizzate con questa pianta dal delicato sapore e anzi sarebbe buona norma aggiungere sempre qualche foglia di Malva nelle insalate primaverili, insieme a Crescione, Cerfoglio, Acetosa, Primula, Pratolina e Borragine per impreziosire queste semplici preparazioni.

È, in ogni caso, ancora molto da indagare l’utilizzo della malva. È certamente la pianta più utilizzata nell’erboristeria popolare come anti-infiammatorio e rinfrescante, in particolare per tutte le mucose. In decotto è utile contro tutte le infiammazioni dell’apparato digerente (gastrite e soprattutto colite), viene utilizzata per sciacqui alle gengive e alla gola infiammata e anche per lavaggi intimi. Ma torniamo all’utilizzo culinario. La caratteristica peculiare della malva è l’alto contenuto in mucillagini che ne determina appunto le proprietà anti-infiammatorie. Il sapore è abbastanza neutro e la consistenza, una volta tritata e cotta, leggermente gelatinosa. C’è già qualcuno che la utilizza come le altre verdure da bollire, ma io mi chiedo invece se non sia

possibile sfruttare proprio le sue caratteristiche fuori dal comune per realizzare preparazioni più cremose e creative. Per esempio è già da un pezzo che medito su come realizzare un equivalente nostrano dell’Efò brasiliano. Nel frattempo ho sperimentato la malva in una variante delle classiche bietole gratinate, che consente di eliminare quasi del tutto la presenza di altri “leganti” quali uova e formaggio e mi sembra particolarmente indovinata.

PREPARAZIONE

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LA FESTA È RIUSCITA PERFETTAMENTE di ROBERTA SABBADIN

La festa è riuscita perfettamente! Tutta la fatica è stata ben ripagata: gli ospiti sono stati soddisfatti ed ancora sulla soglia hanno espresso il loro apprezzamento per alcuni piatti originali. Una ricorrenza da sottolineare richiede impegno e organizzazione anche se gli invitati sono una dozzina, veramente gli intimi. E proprio per questi intimi bisogna dare il meglio di sé e cercare i supporti migliori. Libri di ricette d’altri tempi, piatti ritrovati, posate lucidate e, prima di tutto, ingredienti di prima qualità, presi dalle mani del contadino, pochi, quelli di base da cui costruire tutto ciò che serve. Una giornata intera a lavorare sulle materie prime, a sceglierle, ad accarezzarle come dovremmo fare sempre riprendendoci quello spazio per l’arte di alimentarsi e di prendersi cura di quel magnifico dono che la natura ha fatto alla nostra coscienza e che chiamiamo corpo. La preparazione è lunga, parte da lontano, dalla farina e dall’acqua. Che soddisfazione! La bellezza dell’evento si estende, comincia giorni prima dell’appuntamento e si allunga a dismisura, apprezzando ogni singola fase, teorica e pratica finché tutto si


compie. Tutto ciò che non si può mangiare è finito in un cestino apposito. Cena per dodici il sacchetto è pieno, certamente pieno! Anche recuperando bucce di agrumi per le decorazioni è comunque pieno! Ma non è spazzatura! No, per niente! E’ il rifiuto che preferisco, cioè non è un rifiuto: è una materia prima diversa. Certo, in montagna col prato, l’orto e la compostiera il cestino fa poca strada: si mette tutto dentro e sei mesi dopo si riprende. In città, bisogna scendere in cortile, almeno per ora perché una piccola compostiera da balcone è in progetto…. E che succede dopo? La versione lunga implica la spiegazione di che cos’è il compostaggio: il processo con cui i residui organici sono trasformati in compost dai batteri già presenti in natura. Il compost può essere reimpiegato nell’orto o nel giardino di casa oppure, se non lo si ha, genericamente in agricoltura. Il suolo infatti, spesso troppo sfruttato e impoverito da colture intensive, ha sempre più bisogno di sostanze organiche per riacquistare l’equilibrio perduto. La concimazione organica ha come obiettivo il benessere sia del terreno che della pianta e quando a concimare sono i rifiuti organici, fa molto bene anche all’ambiente. Solo con una maggiore vitalità del terreno si possono sviluppare colture più robuste, con un più alto valore nutritivo e migliori qualità organolettiche.

La versione corta, invece, descrive un cerchio che si chiude: sarà possibile ritrovare gli stessi frutti della terra che serviranno per preparare un altro ottimo pasto! Dalla terra alla terra, la sinfonia della Terra. A dirla tutta, l’umido organico viene utilizzato anche per produrre biogas che viene trasformato in energia elettrica e termica ma il discorso mi appassiona meno… Detto ciò, solo uno stolto potrebbe storcere il naso di fronte a gusci d’uovo, fondi di caffè, bucce, fiori appassiti e simili e considerarli “monnezza”! Mi piace chiudere con una frase di Pierre Rabhi, tratta da “Manifesto per la terra e per l’uomo” (Add Editore, Torino, 2011) in attesa dei prossimi primaverili frutti della terra: “Affinché gli alberi e le piante si schiudano, affinché gli animali che se ne nutrono prosperino, affinché gli uomini vivano, la terra deve essere onorata”.

DI ROBERTA SABBADIN

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IT’S TEA TIME

Vi è mai capitato di sentire nel bel mezzo del pomeriggio lavorativo un “certo languorino” che non è proprio fame... piuttosto “voglia di qualcosa di buono”? A me si! E certamente anche a migliaia di persone in tutta Europa che verso le 17.00 prendono il The o il caffè in un break che sta diventando rapidamente un trend. In realtà, il languorino a metà pomeriggio viene soddisfatto da più di 400 anni stando alle cronache, quando una dama di compagnia della regina Vittoria creò il vero e proprio rito dell’afternoon tea all’epoca appena apparso sui mercati dell’Impero Britannico, ma molto apprezzato dai fini palati di nobiltà e borghesia, da servirsi alle cinque del pomeriggio con accompagnamenti dolci e salati. Gli inglesi tutti, cominciarono ben presto ad apprezzare questa esotica bevanda, che in breve tempo, dilagò in tutta Europa. Per coloro i quali il rito del tè delle cinque è ancora qualcosa dal sapore anonimo di bustine di “tè” o si accompagna al ricordo di interminabili pomeriggi nel salotto buono della vecchia zia, l’epifania è dietro l’angolo! Il tea o coffee time è un boom in piena regola. Che potesse tornare di moda non ci avrebbe scommesso davvero nessuno eppure, le cinque hanno sostituito le sette nell’orologio della social life cittadina. Da questo trend decisamente molto meno rumoroso e caotico di un happy hour, meno sbalorditivo e stancante di una notte brava in discoteca, ma molto più dolce, e chic, si sono lasciati sedurre giovani e meno giovani . Coffee-time e tea-time non sono certo intesi come brevi pause nella routine della giornata. Noooo..., stiamo parlando di veri e propri rituali sociali, con una storia, un


ENDENZ

cerimoniale di regole da non trascurare e una tradizione alle spalle che li vuole fatti e apprezzati in un certo modo: dal Pure British afternoon tea al rito della kaffee und kuchen di kafkiana memoria, ecco tutto quello che dovete sapere per smetterla di festeggiare facendo tintinnare il vetro dello spritz, e iniziare a recepire queste nuove tendenze dal sapore mitteleuropeo, più zuccheroso, morbido dal sapore un po’ vintage, come una fetta di torta della nonna. L’innesco della tendenza è certamente la patria storica del tea che ha riportato in vita una tradizione che ben si adatta alle giornate contemporanee frenetiche e flessibili. Per fare un esempio: gli incontri di lavoro in una sala di grandi Hotel di Londra, assumono un carattere informale, quasi un momento di relax domestico; si possono ricevere numerosi ospiti senza svenarsi o dilungarsi in interminabili cene e le dame più retò possono scambiarsi pettegolezzi in assoluta tranquillità e “segretezza”. Nella capitale mondiale del tea time, Lon-

dra, per entrare nelle sale più blasonate, come quelle del Ritz, Blakes o Claridge’s Hotel bisogna prenotare con settimane di anticipo e questo perchè il momento del tea pomeridiano è cambiato molto da come si presentava mezzo secolo fa, con il suo corredo rigido di buone maniere e signore agées con guanti e cappello. Il suo fascino è via via aumentato a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso ad opera di alcuni grandi Hotel che hanno rinnovato il loro stile preferendo ad un lusso inamidato e barocco un design minimale, forme geometriche e un’idea di eleganza nuova e fresca passando da noioso a prezioso! I Campbell Grey Hotel e il W Hotel sono stati i primi a far sfoggio di un lusso fatto di linee essenziali e di un servizio impeccabile quasi personalizzato al posto di vecchi candelieri, tazze a fiorellini e argenteria offrendo un tea time esclusivo, privatissimo ed esclusivo da consumare nei lounge in pieno relax. Le vecchie signore saranno state sconcertate, ma i giovani, i nuovi ricchi, i manager e persino gli uomini hanno decisamente apprezzato.

TENDENZE

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La tendenza è forte anche a Milano, Roma, Torino questo anche a causa di una giornata lavorativa che ha perso le sue caratteristiche di rigidità scandite da colazione, pranzo e cena. Anche in Italia, come nel resto d’Europa il lavoro sta diventando più fluido , i pasti più flessibili e le occasioni per incontrarsi per affari o piacere si adeguano cercando nuove o rinnovate possibilità intermedie più lunghe di un semplice “prendiamo un caffè?” e meno impegnative di un pranzo o una cena. E in questi momenti di crisi economica: anche il più lussuoso dei tea è di gran lunga più economico del ristorante. Se vi trovate in Italia e volete rilassarvi con un perfetto tea time, potete recarvi al Park Hyatt Hotel a Milano che propone un afternoon firmato da Chef Andrea Aprea, per i nottambuli il Salotto dell’ Hotel Principe di Savoia che offre anche una carta di After dinner tea è l’ideale. A Roma, Villa Panphili offre una comoda sistemazione nel parco d’ispirazione Vit-

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PERSONAL CHEF MAGAZINE - IT’S TEA TIME

toriana e può anche organizzare eventi privati a porte chiuse. A Torino, sofisticata capitale del regno sardo-piemontese, il Palazzo Reale nel suo caffè riccamente decorato serve una versione sabauda a base di biscotti Garibaldini, brutti e buoni e baci di dama soprannominata Merenda Savoia, nonché una visita delle cucine reali e degli appartamenti di Madama Felicita. Se invece desiderate gustare una selezione di tè davvero speciali magari nella tranquillità della vostra casa, potete fare shopping alla Tea Room di Porta Giustizia, dietro Piazza del Campo a Siena, al Tête a Thè di Abbiategrasso o allo Chà Atelier di Milano.


TENDENZE

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AGGIUNGERE SAPORE ALL’IMMAGINE di ALESSANDRA ZARLOTTIN

Parlare di cibo oggi, significa non solo raccontare la storia di un piatto e della sapienza creativa racchiusa in esso, ma anche riferirsi in modo immediato alla sua immagine. La “food photography”, oggi così diffusa e apprezzata, ha generato un vero e proprio immaginario gastronomico ormai parte del nostro bagaglio visivo. Ed è così che, quando pensiamo ad una ricetta o ad una creazione culinaria, ci immaginiamo in modo quasi automatico, il loro rispettivo fotografico, affermando la viva complicità tra cucina e immagine. Questa affinità vede la fotografia come il veicolo perfetto per esprimere l’idea e la personalità di un piatto, evocandone profumi, sapori, consistenze. Oggi è quindi diventata un’esigenza, per i professionisti del settore gastronomico, investire nell’immagine e promuovere il proprio lavoro attraverso scatti ricchi di una forza visiva capace di suscitare la curiosità di scoprire ed assaggiare. La bellezza ritratta di un piatto deve essere comunicativa e deve farlo con intelligenza, quella pensata per trasmettere sensazioni e inducendo lo spettatore a soffermarsi. Fondamentale è perciò capire quali siano gli elementi imprescindibili di una buona fotografia di food e quali i dettagli che permettono di distinguersi. Come per una


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ricetta ben riuscita è importante bilanciare gli ingredienti: luce, materia prima, taglio, colori e cucinare il tutto secondo un punto di vista, che è la chiave per viaggiare dentro un mondo, gustandolo con lo sguardo. La luce e le sue varianti permettono di giocare con i volumi e le forme rendendo vivo e corposo il cibo, lasciandone intuire la fragranza e l’autenticità. Il colore in uno scatto suscita un valore emozionale, da declinare in una tavolozza armoniosa, accompagnata da accenti cromatici quali stimoli visivi per condurre chi osserva a mangiare con gli occhi. L’equilibrio unito ad alcuni elementi di attrazione, che siano parte del piatto stesso o del set allestito, è il mezzo per restituire la cura, l’elaborazione e l’estro nella preparazione della pietanza. Ne consegue che una luce dinamica, colori generosi e sazianti, raffinatezza dei dettagli e al contempo semplicità comunicativa, donano allo scatto una veste appetitosa ed invitante, capace di mostrare tutto il piacere che il cibo può offrire. Le tendenze della ”food photography” oggi sono molteplici: dalle immagini più pure dove la materia prima è protagonista assoluta al centro di bianchi luminosi, alle composizioni sovrabbondanti ricche di connotazioni d’ambiente, ma ciò che rimane fermo è l’obiettivo di valorizzare il “saper fare di un mestiere”, destando l’appetizing, la sensazione olfattiva e tattile del cibo creando il senso di una narrazione. La sfida per chi vuole far ritrarre il proprio lavoro è quella di scegliere uno stile fotografico affine alle sue invenzioni culinarie in modo da renderle uniche ed inedite. Chef e fotografo possono collaborare in sintonia creativa, attuando una ricerca mirata a realizzare la migliore versione possibile di una pietanza, per parlare di un cibo così come non lo si è mai visto prima e la combinazione di aree di competenza diverse offre un valore aggiunto all’opera compiuta, aprendo la strada ad un’avventura professionale che unisce due arti. Un piatto è una storia da raccontare e un invito a conoscere un mondo assaporandolo.

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DI ALESSANDRA ZARLOTTIN

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CRESCENDO TRA LE STELLE CON LO SGUARDO VERSO L’INFINITO di SIMONE CARTA

Fiorentino, classe 1993, amante del mondo gastronomico e di tutto ciò che ne orbita intorno. La mia avventura inizia nell’estate 2010 in un piccolo ristorante dove ho avuto la possibilità di muovere i primi passi tra forni, fuochi e coltelli ben affilati, una passione e un interesse ampliatisi durante gli ultimi anni di studio all’istituto alberghiero Aurelio Saffi di Firenze, tra teorie di base della cucina ed esperienze pratiche nei migliori ristoranti stellati e non della mia città. Se la scuola ha avuto il ruolo importante di avviarmi professionalmente e di ampliare le mie conoscenze, il Master di Cucina Italiana che ho avuto la fortuna e onore di frequentare nel 2013, ha avuto quello di far letteralmente esplodere in me la curiosità, aprendomi mente e prospettive verso nuovi orizzonti gastronomici di eccellenza. Una recente e proficua esperienza presso il ristorante “Ora d’aria” di Firenze, a fianco dello chef Marco Stabile e di tutta la sua brigata, mi ha dato lo stimolo per mettermi in gioco autonomamente Mi sono messo alla ricerca di chi mi potesse dare le necessarie indicazioni e guidare su questo nuovo percorso e ho incontrato la Federazione Italiana Professional Personal Chef, che si è posta come guida fornendomi tutte le nozioni utili attraverso un breve training di formazione e devo dire che, le esperienze dello Chef Giorgio Trovato e Stefania Erroi, hanno fatto da base per la costruzione del mio nuovo percorso professionale e di vita.

standard con quelli della Federazione in modo da sintonizzarmi al meglio, ma anche di comprendere in maniera più completa la professione. Multisensorialitá e personalizzazione nell’organizzazione di eventi culinari sono due aspetti su cui la Federazione richiede molta attenzione e certamente sono la base per ogni futura competenza come chef, coadiuvati da “savoir faire” e perizia nella manipolazione di ingredienti di eccellenza e-spressione unica del nostro territorio. L’esperienza con la Federazione, mi ha fatto scoprire il mio “foodstyle” e mi ha stimolato nella ricerca continua di prodotti di nicchia, qualitativamente eccellenti con un fine ben preciso, quello di valorizzare le materie prime adattandole al mio stile certamente unico. Non ultimo, lo studio di personalizzazione a trecentosessanta gradi dell’evento organizzato tenendo conto del completo soddisfacimento del cliente facendogli vivere un’esperienza unica e irripetibile. Certo sono cosciente che gli ingredienti fondamentali per svolgere al meglio questa attività sono l’impegno, lo studio, la dedizione totale e la professionalità e quindi non mi resta che rimboccarmi le maniche ed impegnarmi al massimo per condividere la passione per l’arte del manipolare il cibo, facendo sfociare la mia creatività in ottimi piatti da gustare. Parto da qui, con una giacca bianca, un set di coltelli ed un bagaglio pieno di sogni.

Tante nozioni e consigli. spiegate in modo chiaro, esaustivo e semplice, mi hanno permesso non solo di tarare i miei

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DI SIMONE CARTA

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PERSONAL CHEF: UN PROFESSIONISTA E UN IMPRENDITORE INSIEME di ARIANNA ZOCCA

Quando ho deciso che la mia passione per la cucina andava disciplinata ed imbrigliata in qualcosa di professionalmente fattivo, la prima domanda che mi sono fatta è stata: “perché diventare Personal Chef e non più semplicemente Chef “? Beh motivi diversi, ma principalmente due: il primo è che essere Chef può essere sia una libera professione che un lavoro dipendente, mentre quella del Personal Chef può essere solo una professione. Sei tu: non hai a disposizione la tua cucina, non hai la routine del solito ambiente, sei solo e ogni volta ti trovi davanti ad una sfida diversa, un luogo nuovo. Il secondo motivo è che aggiungere alla professionalità la capacità di adattarsi ad una struttura non tua e spesso ad un’ attrezzatura non all’altezza è un valore aggiunto che mi affascina. “Scusa Arianna, ma i miei fornelli non funzionano bene... non ho il Minipimer“; quante volte il cliente si giustifica con me preoccupato, ma è lì che il Personal Chef si distingue dallo Chef tradizionale: “Non c’è problema, con queste attrezzature studiamo un menù adatto e vedrai...la tua cucina è all’altezza dell’evento così come i fornelli e tutto il resto”. Che soddisfazione nel poter dare una risposta così! Gli inizi sono stati difficili, finisci il corso e ti chiedi come promuoverti. La prima cosa che ho imparato è che nella nostra professione la visibilità mediatica e internet sono strumenti di relativa e limitata utilità.

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Il nostro bacino di potenziali clienti è territoriale e a poco vale un mega sito internet che avendo una visibilità mondiale di fatto, spara a raffica su tutto sperando di cogliere ogni tanto anche il bersaglio. Se dal sito susciti l’interesse di un grande cliente di Sidney o di Auckland a poco è valso lo sforzo... dovrai rispondergli di no.

ci vuole anche una buona preparazione culturale; un inglese fluente può fare la differenza. Nell’ultimo anno un diparti-

La zona dunque è il territorio che vi circonda. E qui ci vuole un po’ di sociologia e un po’ di marketing, niente di trascendentale, solo buon senso.“In che area agisco?” si deve chiedere il Personal Chef.” Urbana o rurale? Grande o piccola città? Turistica o stanziale?” Furono queste le domande che iniziai a pormi ai miei inizi. Il passaparola era la mia unica risorsa e, per di più è testimone parlante e spietato: risponde alle leggi del libero mercato, se lasci il cliente soddisfatto il tuo bacino pian piano si allarga, ma se sbagli hai chiuso. Per questo, senza tante supposizioni, ho capito che stavo avendo successo quando la mia base di clientela ha iniziato ad allargarsi e costantemente. Il passaparola, il motore di tutto. La soddisfazione più grande? Un nuovo cliente che ti chiama e ti dice: “ Ero tra gli invitati di quel particolare evento… era tutto perfetto… potrebbe curarmi una cena?” E’ lì che capisci che professionalmente stai crescendo. Per cui, passaparola, un po’ di sociologia, un pizzico di analisi di mercato e molto, molto buonsenso. Inoltre non bisogna trascurare che nella nostra professione

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mento con sede a Roma di un’importante università americana ed un ambasciata mi hanno scelta anche per questo. Talvolta la lingua conta quasi come il palato ! Ma ci vuole anche umiltà, gli errori si fanno e i fallimenti ci devono aiutare a migliorare. Tanto per non restare sul vago: due mesi fa circa, il primo cliente insoddisfatto della mia carriera. Si trattava di un’azienda. Niente panico. Mi sono fatta spiegare quali erano secondo loro le criticità e ne farò tesoro. Il cliente ci paga; il cliente ha tutto il diritto di criticarci. Di nuovo è il libero mercato e a me va bene così.

Dobbiamo inoltre capire che noi siamo delle piccole imprese perché a nostra volta diamo lavoro ad altri fornitori. Un Sous Chef che ci aiuta, un cameriere per un evento, un fioraio che ci allestisce un centrotavola. Ho imparato a tenermi stretti i migliori e a tagliare subito con coloro che non si sono dimostrati all’altezza. Sono ormai tre anni, ma sono volati.

sma e ti mette in condizioni di misurarti, con te stesso e gli altri. Anche se devo dire che la Federazione non è stata solo formazione, è stata ed è anche appartenenza, orgoglio, condivisione e talvolta incoraggiamento. Portare sul petto il logo della tua associazione di categoria è qualcosa che non solo ti qualifica, ma ti completa ed inoltre ti responsabilizza.

Ripensando a tutto il mio percorso però trovo il grande filo conduttore della mia crescita: la formazione, quella che mi ha dato la Federazione . “Imbrigliare” come ho scritto all’inizio, canalizzare l’entusiasmo attraverso un formatore che ti pla-

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PROFESSIONAL PERSONAL CHEF: AMBASCIATORE DI ECCELLENZE ENOGASTRONOMICHE L’esempio calabrese di SIMONA CAIRO - ANDREA GRECO

La Calabria non è certamente famosa in Italia per essere una forza industriale che possa competere nel mercato internazionale dal punto di vista quantitativo, però la sua peculiarità sta nella qualità dei numerosi prodotti che questa terra regala. Esistono diverse realtà imprenditoriali che con coraggio lottano contro una realtà sicuramente difficile rispetto ad altri territori italiani ed esteri. Ciononostante queste aziende possono contare sulla ricchezza della Calabria, regione caratterizzata da condizioni climatiche ideali, da una grande biodiversità e da terreni incontaminati e generosi che garantiscono un alto livello qualitativo dei prodotti agricoli; si pensi all’area del Savuto, della Valle del Crati, del Pollino e della Sibaritide. Lo sviluppo agroalimentare ha di fatto protetto il patrimonio storico e culturale della Calabria; patrimonio che abbiamo rischiato di perdere a causa del boom economico degli anni ’60 e da un malinteso senso della modernità. Il nuovo stile di vita che si andava diffondendo in quegli anni ha portato i calabresi ad abbandonare la loro tradizione agroalimentare perché vista, a torto, come qualcosa di povero, fuori moda e dannoso. Per fortuna, oggi stiamo assistendo ad una contro-

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tendenza grazie ad un’attenzione ulteriore verso il mondo gastronomico, ma anche alla nascita di numerosi consorzi a tutela delle eccellenze agroalimentari locali, tra i quali il consorzio del bergamotto di Reggio Calabria, dell’olio Bruzio, dell’olio di Lamezia, dell’olio dell’alto crotonese, della cipolla rossa di Tropea, del caciocavallo Silano, delle clementine di Calabria, dei salumi di Calabria, del limone di Rocca Imperiale della patata della Sila, del fico di Cosenza, della liquirizia di Calabria e dei vini. In alcuni casi, questi consorzi hanno contribuito a far conoscere la Calabria agli stessi calabresi. La continuità di questo progetto dipende molto dalla capacità di coinvolgere i cittadini, obiettivo che noi in qualità di Professional Personal Chef abbiamo preso a cuore e ne abbiamo fatto la nostra principale mission. Il Personal Chef ha un ruolo privilegiato rispetto a consorzi e istituzioni perché egli stesso fa parte della comunità e ha, quindi, una maggiore responsabilità nel valorizzare e diffondere il variegato patrimonio enogastronomico calabrese che merita di essere riscoperto, contribuendo a recuperare l’identità di un territorio e rendendone il più possibile autentiche le peculiarità.

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