PCM - Gennaio 2014

Page 1

personal chef magazine N째 01/2014 Gennaio 2014

Buon 2014! il mensile dei personal chef italiani


PCM- Personal Chef Magazine Periodico di cultura enogastronomica Organo Ufficiale Fippc Federazione Professional Personal Chef Direttore ed Editore Giorgio Trovato Direttore Responsabile Clara Mennella Redazione Stefania Erroi Grafica e impaginazione Stefano Raia Sede legale: Via Tito Schipa, 1/D - 73058 Tuglie (Lecce) e-mail: segreteriafippc@gmail.com sito internet: www.fippc.it Tutti i contenuti di Pcm, siano articoli, ricette o fotografie sono protetti da copyright ai sensi di legge e non possono essere riprodotti nemmeno in maniera parziale senza il consenso esplicito dell'autore.


In questo numero: Editoriale

pag. 3

La cucina: passione e stile di vita!

pag. 32

Il gusto del tacco d’Italia

pag. 4

Memorie da Dublino

pag. 34

Competere con i ricordi

pag. 6

Additivi in cucina... questi sconosciuti

pag. 36

Salsa di fegatelli di Capponi di Bartolomeo Stefani

pag. 8

Il lato culturale dei corsi FIPPC

pag. 42

Cucina e Arte alleate in vista di Expo 2015

pag. 10

La mia cucina: da rifugio a realizzazione personale

pag. 44

Corsi FIPPC & Champagne

pag. 12

I corsi FIPPC

Sì, viaggiare!

pag. 14

Cosa succede a chi si approccia per la prima volta al mondo FIPPC

pag. 16

Nuova vita. Sul serio

pag. 18

Birra in cucina, l’arma in più del Personal Chef

pag. 22

L’aceto balsamico. Un antico prodotto sempre giovane

pag. 24

I sogni talvolta diventano realtà

pag. 28

Il libro consigliato

pag. 29

Uno chef italiano in Sudafrica

pag. 30

pag. 46

1

2


colt e ller ie www.afcoltellerie.com

UTENSILI da cucina WINE & BAR CUCINA ETNICA

coltelli da cucina Valigette e set cuoco strumenti per affilare

UTE NSILI DA PASTICCERIA INTAGLIO E DECORAZIONE GELATERIA

HOME DESIGN PENTOLE E TAVOLA TAKE OUT


Editoriale di Giorgio Trovato

Eccoci qui all'appuntamento con un nuovo anno. Il 2013 è stato sicuramente un anno intenso durante il quale passo dopo passo e, con l'impegno di tutti, la Fippc è cresciuta, iniziando un percorso per la completa attuazione di quello che è il nostro progetto comune. Si potrebbero scrivere tante cose ma emozioni, condivisioni, momenti speciali, quelli li viviamo tutte le volte in cui siamo insieme ed allora mi limito a ringraziarvi. Ringrazio Stefania Erroi per la caparbia presenza e per la capacità di risolvere le situazioni che quotidianamente vengono fuori. Ringrazio gli amici del Direttivo ed i Consiglieri che quando possono cercano di dare una mano; Gianluigi Pagano che mi fa fare il giro d'Italia mettendomi in contatto con importanti e interessanti realtà aziendali ed ancora Stefania, Clara Mennella e Stefano Raia per il PCM...il nostro Magazine. Ma sopratutto un grazie a voi che quotidianamente credete con il vostro lavoro nel progetto Fippc. Il 2014 sarà per tutti noi un anno ancora più impegnativo. Ci aspettano appuntamenti stimolanti e occasioni molto importanti a cui stiamo lavorando da tempo e il vostro contributo sarà ancora una volta prezioso e fondamentale. Ringraziandovi ancora per ogni sorriso, ogni caffè ed ogni sale minerale condiviso con me faccio avoi e ai vostri cari i miei migliori auguri di buon anno. Un Abbraccio forte.

3

2


Il gusto del tacco d’Italia di Anna Maria Chirone Arnò*

Pensando a me nel tempo, mai avrei potuto dire che sarei finita tra padelle, mestoli e coltelli, visto che ho studiato e ho iniziato la mia attività lavorativa fra numeri e contabilità, cose che ora sono per me tanto, tanto noiose e proprio insopportabili. Invece, nel lontano 1980, Cupido lanciò la sua freccia, incontrai mio marito, lasciai il lavoro per occuparmi della mia famiglia e, in contemporanea, nacque il mio interesse per la cucina… prima, più che mangiare, piluccavo. Mio marito è sempre stato un gourmet, aveva avuto una nonna bravissima ai fornelli, la sua mamma e le sue zie lo erano altrettanto, e proprio con la sua mamma ho iniziato a conoscere anche una cucina, direi più raffinata, rispetto a quella tipica salentina che si faceva nella mia famiglia. Passai così dai numeri ai fornelli e iniziai a sperimentare per mio marito ma anche per i miei amici che cominciarono a dirmi che ero tanto brava al punto che potevo pensare di avviare un piccolo locale. Qualcuno mi fece anche una proposta concreta ma non era quello che mi interessava, perché io ho anche le mie giornate “senza cucina”, mi sento “artista” e trovo l’ispirazione dagli ingredienti dei mercati o direttamente dai produttori locali. Quando ho scoperto il Web, ho conosciuto il mondo delle Scuole di Cucina e ho pensato che quella poteva essere la mia strada, ho avvertito quello che si chiama “il sacro fuoco dell’arte” e non mi sbagliavo! Avevo già i miei due figli quando ho iniziato a frequentare la Scuola di Cucina Cordon Bleu di Roma, facevo su e giù per seguire le lezioni settimanali, mancando da casa giusto il tempo di andare, seguire le lezioni e tornare. I miei amici pensavano che fossi matta! A me invece cresceva sempre di più la voglia di prendere questa strada: trasmettere una passione, perché ritengo che la cucina italiana faccia parte del nostro immenso patrimonio artistico, così come la Fontana di Trevi a Roma o la Basilica di San Marco a Venezia. Sono fermamente convinta di vivere nel più bel Paese del mondo, dove c’è uno splendido mix di arte, cultura, buon cibo e buon vino e, nonostante l’Unità, restiamo sempre un paese formato da tante meravigliose regioni, Provincie e Comuni, ognuna con la sua forte identità, anche enogastronomica. *Autrice del libro “Il gusto del tacco d’Italia” edito in italiano/inglese/tedesco. In versione americana “Salento Flavors”. Ha contribuito con le sue ricette ai nuovi libri della casa editrice “Il raggio verde” e “Dio come ti olio”. E’ titolare della rubrica “Salento a tavola” su www.leccesette.it. Info sulla sua scuola di cucina: www.ilgustodeltacco.it 4


Penso anche che le scuole di cucina italiane hanno il nobile compito di tramandare tutte le ricette tradizionali, che oggi si possono alleggerire, ma dalle stesse si può partire per creare nuove magiche combinazioni di gusto. Sempre di più mi convinco che riunire le persone intorno ad un tavolo, con dei piatti buoni da condividere, resta ed è un atto d’amore e nutre non solo il corpo, ma anche l’anima. Dopo un percorso formativo, nel 2004 sono entrata far parte di una scuola di cucina che aveva tante sedi in Italia, da allora è stato un crescendo di eventi, situazioni, circostanze favorevoli. Ma soprattutto tanti incontri, tante persone meravigliose che hanno imparato qualcosa da me, ma dalle quali ho imparato tanto anch’io. Ricevere le loro mail con le quali mi descrivono i loro successi… beh, non ha prezzo! Nelle mie lezioni di cucina affronto con gli allievi tantissimi argomenti, si parte da un ingrediente per arrivare a parlare di esperienze di vita e tutto viene così naturale, anche tra perfetti sconosciuti… la cucina è proprio un luogo magico! Anche la mia formazione è continua e non potrebbe essere diversamente perché la cucina è sempre in evoluzione, si adegua alla società. Promuovo per principio l’acquisto di prodotti a km0 e l’utilizzo prevalente dell’olio extra vergine di oliva… quello salentino naturalmente! Sono orgogliosa di aver dato una forte spinta a sostituire nelle ricette della mia scuola di cucina, laddove é possibile, il burro con l’olio extra vergine d’oliva. Pur amando e conoscendo tutta la cucina italiana, sono convinta che quella pugliese, e salentina nello specifico, sia quella più mediterranea, fatta di pasta fresca di sola farina integrale ed acqua, tanti tipi di pane, pesce, latticini freschi, tanti legumi ed una valanga di verdure, con i migliori olii e tanto buon vino ricco di antiossidanti. Ho avuto modo di fare lezione di cucina a persone provenienti da diverse parti del mondo, America, Inghilterra, Svezia, Olanda, Inghilterra, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Cina e tutti hanno apprezzato tanto la mia cucina, così mi è venuto naturale pensare di scrivere un libro di cucina salentina, quella tradizionale, in tante lingue per far conoscere la mia terra attraverso la cucina. Ho scoperto che del Sud d’Italia in genere, ed in particolare del Salento, poco si scrive e quindi poco si conosce, invece questa Terra merita tanto, perché ha un passato glorioso che ancora si respira nelle vie del meraviglioso centro storico di Lecce, un vero e proprio museo a cielo aperto. Allora, che dire? Vi aspetto nel mio Salento e… buona cucina salentina a tutti! 5

2


Competere con i ricordi di Andrea Coletta

Da diversi anni, durante la stagione estiva, lavoro nel Salento soprattutto in ristoranti d’albergo e mi sono imbattuto in ogni genere di cliente. I più difficili da accontentare sono le persone che nelle loro richieste si fanno guidare, oltre che dal gusto personale, anche dal ricordo e da un’ atmosfera che si era creata intorno a quella pietanza. Succede spesso quando si tratta di persone che tornano ogni anno a villeggiare in questi luoghi, oppure quando il cliente in questi luoghi ci è nato. Portano dentro di sé ricordi, emozioni, profumi e sapori che chiedono di poter ritrovare; il nostro compito diventa allora davvero difficile. Quando ci viene fatta la richiesta di un piatto specifico regionale, che oltretutto può avere varianti nella ricetta a seconda della zona, non ci resta che accettare la sfida e cercare di dare il meglio, uscire dalla cucina per parlare con i nostri clienti ed entrare in sintonia. Io personalmente cerco di conoscerli durante la prima cena per carpire le informazioni che mi saranno utili nelle cene successive, anche se da un po’ di tempo preferisco cucinare le pietanze della zona tutte in una serata dedicata, dove ricreo un’ atmosfera tipica del Salento, aiutandomi anche con la musica, la famosa "pizzica" e facendo in modo che il servizio sia elegante ma meno formale. Il risultato è in genere molto gradito, i vecchi ricordi vengono attenuati e i miei clienti ne porteranno a casa di nuovi, legati a questo momento e alla mia interpretazione dei piatti, tutte sensazioni che potranno ritrovare se avrò il piacere di vederli tornare nella stessa struttura. In ogni caso è inutile competere con dei ricordi, è molto meglio cercare di diventare un buon ricordo.

6



Salsa di fegatelli di Capponi di Bartolomeo Stefani di Enzo Gola

“Piglierai dodici fegatelli di capponi, fritti in butiro, pesti nel mortaro, aggiungendovi un’ottavo di polvere di garofani, un quarto di canella, tre oncie di zuccaro, nù poco di noce moscata. Stemperarai detta composizione con mezzo bichiere di malvasia, due oncie di succo di naranci, passandola per setaccio, dandole fuoco lento, perché non ha bisogno di molta cottura; la servirai sopra selvatici arosto.” Questa antica salsa veniva spalmata sopra gli arrosti. Nel caso della salsa di fegatelli, al contrario di quanto si crede, non fu la cucina gonzaghesca a influenzare la tradizione gastronomica dell’epoca, bensì fu la cucina povera a dilatarsi a un contesto aristocratico di straordinaria portata e vigore. Il cappone fu uno degli elementi più importanti in questo senso, e dal rinascimento ad oggi incarna significati e peculiarità gastronomiche di rilievo assoluto. Ciò anche attraverso le cosiddette “frattaglie”, oltre a zampe, colli, creste, ossia quelle parti considerate volgari, non sempre degne di essere presentate sulla mensa del Principe. Ci pensò lo Stefani a ridare lustro e dignità a questi piatti, definiti poveri, creando una corrente di pensiero che li portò a percorsi di grande piacevolezza.

8


Salsa di fegatelli di Capponi di Bartolomeo Stefani Ingredienti (per 4 persone): 300g di fegatini di cappone (o di pollo) 1 cipolla piccola una spruzzata di vino bianco secco mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva una costa di sedano

1 ciuffo di prezzemolo e basilico 2 cucchiai di pasta d’acciughe mezzo cucchiaio di concentrato di pomodoro una manciata di capperi crostini di pane abbrustoliti

Preparazione: Fare un battuto con la cipolla, sedano, prezzemolo e basilico, unire in una terrina i fegatini ben lavati e tagliati a tocchettini, versare l’olio e cuocere a fuoco lento per circa 20 minuti. Aggiungere una spruzzata di vino bianco e il concentrato di pomodoro diluito in una tazzina di acqua calda. Passare il tutto nel mixer e rimettere l’impasto nella terrina al fuoco per qualche minuto, unendo la pasta di acciughe e i capperi tritati finemente. Mescolare e spalmare sui crostini di pane abbrustolito e inumidito con brodo tiepido. Servire i crostini caldissimi. Variante: spolverizzare i crostini con parmigiano reggiano prima di servirli.

9

2


Cucina e Arte alleate in vista di Expo 2015 di Alessandro Allocco

Torino oggi è riconosciuta internazionalmente come la città che ha ospitato i giochi Olimpici del 2006, prima Capitale d’Italia, Capitale del Barocco Piemontese, Capitale italiana dello stile Liberty, Capitale dell’automobile italiana… e via di questo passo transitando per il cinema, i dolci, il buon cibo, i vini, la cultura, le scienze applicate, i parchi rivaleggiando con Milano per la movida e i locali innovativi, alternativi e alla moda. E’ certamente riconosciuta all’estero più che in Italia, come la Capitale dell’Arte Contemporanea; vocazione che si esprime attraverso una densa rete di attivissime gallerie, e una fiera mondiale (Artissima) che negli anni è diventata sempre più luogo di incontro per gli artisti noti e per tutti quelli che vogliono mettersi in luce nell’ambito dell’arte contemporanea. Festival culturali, fondazioni per la ricerca artistica, musei nazionali e di quartiere, collezioni di respiro internazionale, opere d’arte en plein air, ristoranti dal sapore Bohemien, completano il vitale quadro cittadino. In questo frizzante panorama, che pone Torino a livello di altre grandi città europee come Parigi o Berlino, luogo in cui si organizzano numerosi vernissage sia notturni che diurni contemporaneamente a rassegne e fiere, si muove la GSP Art Gallery che per tutto il 2014 e il 2015 collaborerà fattivamente con Expo Milano e il progetto fuori-fiera UnPoxExpo Nutrire il pianeta Energia per la vita. GSP Art Gallery ha capito come la reciproca valorizzazione e crescita di due settori, Food e Arte, nel dialogo e nella sinergia tra loro avrebbero potuto realizzare progetti di qualità per lo sviluppo di un settore ad alta potenzialità sia territoriale che di eccellenza turistica e imprenditoriale, creando crescita collettiva. Una nuova ed innovativa cultura dell’alimentazione in duplice veste: cibo per il corpo e cibo per gli occhi, per portare valore anche all'immagine internazionale. Per questo GSP Art Gallery, frutto del lavoro di tre professionisti di settore, che costantemente promuove in Italia e all’estero progetti meritevoli, prodotti editoriali di prestigio, artisti e opere di valore, ha studiato un plannig di eventi per il 2014/2015 che vedranno insieme artisti contemporanei (pittori, scultori, fotografi) e la Fippc che sarà presente con l’arte culinaria, la professionalità, lo statement e il vissuto dei Professional Personal Chef che faranno della loro cucina un pezzo d’arte contemporanea, parte importante di vernissages e finissages, quotato e riconosciuto allo stesso modo di un’opera pittorica o fotografica.

10


11

2


Corsi Fippc & Champagne di Andrea De Agostini*

Un’importante iniziativa si aggiunge alla florida attività della Fippc: nel 2014 partiranno i corsi di formazione “Professional Personal Chef & Champagne” da me condotti. Con la crescita della domanda di personale qualificato in grado di organizzare e gestire eventi di qualità sempre più alta, si è deciso di accrescere le competenze del Professional Personal Chef anche fuori dai confini nazionali; la scelta di un corso sullo Champagne è dettata dall’estrema versatilità del prodotto e dal richiamo del suo fascino irresistibile. L’approccio a questo straordinario vino avverrà in maniera graduale e affronterà la complessità del prodotto attraverso un approccio semplice: teoria e degustazione unite in un percorso sensoriale completato dalla ricerca, sviluppata da ogni singolo soggetto, del miglior abbinamento con i piatti. Alla fine del corso il Professional Personal Chef sarà in grado di proporre un evento Champagne con competenze tecniche specifiche in grado di soddisfare le diverse richieste del cliente. La parte teorica inizia con una breve introduzione storica seguita dalla spiegazione dei diversi processi di elaborazione dello Champagne passando attraverso l’analisi del terroir e della posizione geografica, dei diversi vitigni, delle tecniche di vinificazione e dell’assemblaggio champenois. Tutte le conoscenze acquisite permetteranno ai singoli partecipanti di sviluppare, attraverso la degustazione di diverse tipologie di Champagne, un proprio gusto che meglio si abbinerà alla propria competenza e conoscenza delle materie prime. L’Ordre des Coteaux de Champagne ha origini antichissime, che risalgono alla seconda metà del XVII secolo e il suo scopo principale è quello di celebrare i vini della Champagne nel loro insieme e in tutte le loro dive *Sommelier Professionista AIS, patron del Ristorante il Convito di Curina, vice presidente Associazione Culturale Enogastronomica Senese, docente presso l’Ecole du Champagne di Milano, Chevalier de l’Ordre des Coteaux de Champagne. 12


diversità per promuoverne la diffusione e accrescerne la notorietà a livello mondiale come simbolo di prestigio. L’Ordre des Coteaux de Champagne raggruppa circa 4.000 membri sparsi nel mondo, selezionati tra professionisti e appassionati del settore enogastronomico, della comunicazione, della politica e dello spettacolo grazie ai quali svolge un ruolo di comunicazione di primaria importanza in seno al Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (CIVC).

13

2


Si, viaggiare! di Andrea Anichini

Rientrato a casa dopo settanta giorni di grande, interessante e faticosa esperienza, in giro per gli Usa, ricordo di quando, seduto all'ingresso di un Hotel a Chicago, nevicava e vedo passare un camion con scritto Anichini Brothers Meats Ball. Fatta una ricerca su Google per scoprire una eventuale parentela, vengo invitato a conoscere questa famiglia formata da due fratelli e una sorella con i relativi figli che mi riservano una accoglienza incredibile raccontandomi la storia del bisnonno che, partito da Lucca nel 1925, una volta arrivato a Chicago si è messo a fare salsicce che la famiglia produce tutt'ora davvero molto buone! Inoltre importano e distribuiscono prodotti italiani che poi rivendono a ristoranti e pizzerie dello stato! Con grande orgoglio mi hanno regalato tre chili di salsicce che ho mangiate con i miei amici americani, facendo un figurone!! L'anno prossimo voglio organizzare delle cene insieme a loro. Naturalmente ho bevuto del vino rosso in abbinamento, stavolta di Napa Valley; ho visitato Napa e Sonoma, come potevo non farlo? E ho scoperto che assomigliano abbastanza alla toscana... abbastanza. Ho trovato anche qui tanto tanto amore per la vite, quell'amore sviscerato che è comune a tanti produttori di vino di tutto il mondo. Il mio vino preferito di quella zona rimane lo Zinfandel, (primitivo) fruttato, intenso, con sentori di legno quel tanto che basta e abbastanza tannico; si sposa benissimo con le salsicce e con il cibo saporito, come nella migliore trazione chiantigiana. Visitando una cantina, il personaggio che ci accoglie e ci fa degustare 4 vini in una bella sala di accoglienza, mi fa conoscere una storia incredibile. All'inizio dello scorso secolo alcune famiglie della Lombardia si sono trasferite a Napa Valley e, vedendo la tipologia del microclima, hanno piantato viti e iniziato a produrre e vendere vino. Ma la vita a volte gioca davvero dei brutti scherzi; negli anni venti, con l'avvento del proibizionismo, queste famiglie di immigrati così oneste e laboriose, sono diventate dei criminali! Non rimaneva loro altro che lasciare tutto, scappare dal loro sogno americano e ritornare in Italia! In seguito all'arresto per frode fiscale di Al Capone, il proibizionismo finì e lo stato stanziò delle agevolazioni a chi fosse tornato a coltivare quelle terre. Molti ripartirono per gli stati Uniti e.. meraviglia delle meraviglie! I contadini trovarono delle viti vecchie e malconce ma ancora vive e così ripartì la produzione di vino. 14


Il mio compagno di avventure in Usa è stato Maurizio, anche lui appassionato di moto come me, un giorno a San Diego mi convinse a noleggiare una Harley Davidson che, malgrado io conosca abbastanza bene le moto, non avevo mai guidato. Proseguimmo così il viaggio verso l'interno in sella. All'uscita di una curva stretta, nella valle di Escondido, leggiamo un cartello con le indicazioni: Cordiano Winery, wine tasting, pizza for lunch e decidiamo di deviare. Il titolare di questo locale che sforna pizze davvero buone da un forno a legna, ci racconta la storia del babbo emigrante dalla Calabria nel sud degli Usa. Dopo aver avviato con successo una catena di ristoranti e pizzerie, decise di vendere tutto dopo avere visitato Highland Valley che gli ricordava moltissimo il suo paese di origine, e di tornare al suo primo amore con tutta la famiglia. Pianta viti e inizia a produrre vino a Escondido in Califonia, raccogliendo ottimi frutti! Purtroppo a volte la vita gioca davvero dei brutti scherzi: cinque anni fa un incendio che viene dal fondo della valle distrusse metà dei loro vigneti ma fortunatamente non la loro casa! Per la famiglia è il momento di ricostruire e fortunatamente oggi sono ancora lì, a piantare viti, a produrre vino e a sfornare delle pizze squisite per i loro visitatori. Un'altra storia che abbiamo scoperto nel nostro viaggio è il perchè, in America, ci sono moltissimi italoamericani che portano il nome del loro paese di origine. Quando i primi emigranti venivano censiti a New York in West Island, non conoscendo una parola di inglese, alla domanda su quale fosse il loro cognome, rispondevano appunto con il nome del loro paese o città di origine! Questo viaggio ci ha fatto conoscere tante storie e tante sofferenze! Ma anche tanta gioia e amore per il cibo e per il vino che è nel dna di milioni di italiani emigrati in tutto il mondo. Mi sono reso conto che anch'io sono un emigrante, anche se part-time, e che sono mosso dallo stesso grande amore per il vino, l'olio extravergine di oliva e il cibo che, se viene trasmesso con professionalità e umiltà, può diventare un incredibile strumento di comunicazione. A proposito, appena rientrato sono andato a visitare un mercatino di produttori locali. Ho trovato dei pecorini a latte crudo di Radicondoli, con diversi tipi di caglio, di origine animale e vegetale... fantastici!

15

2


Cosa succede a chi si approccia per la prima volta al mondo Fippc? di Francesca Maselli

Sono una ex dipendente di un Istituto Bancario e tutto pensavo fuorché di trovare la mia realizzazione personale, emotiva e professionale (mi auguro!) nell’ambito culinario. Dopo le mie dimissioni dal lavoro per esigenze familiari, scopro nei fornelli un nuovo inizio, il punto di partenza per mia voglia di mettermi alla prova. Fino ad allora vivevo la cucina, come luogo di conservazione ed espressione delle vecchie tradizioni familiari; attraverso il cibo, anche in quantità eccessiva, cercavo di trasferire affetto nelle persone care. La voglia di dare una svolta e di rimettermi in gioco mi ha portato, prima, a frequentare un Istituto Professionale serale e poi a brancolare per un paio di anni da un ristorante all’altro pur di imparare, ma queste esperienze mi hanno fatto comprendere quanto il mio “nuovo mondo” fosse, talvolta (spesso), fatto di improvvisazione e privo di emozioni. Il mio percorso di ricerca mi ha fatto approdare alla FIPPC in cerca di informazioni, dietro il consiglio di una mia amica, grazie Simona! Fin dal primo contatto telefonico avuto con Stefania Erroi, anche lei Professional Personal Chef, ho capito di essere arrivata finalmente nel posto giusto; ho trovato accoglienza, professionalità, disponibilità. In qualsiasi momento, per qualsiasi cosa, Stefania è sempre stata pronta a fugare ogni dubbio ed incertezza. Quanta pazienza, vero Stefy? La scelta di iscrivermi al primo corso disponibile ha dato inizio al mio percorso di Professional Personal Chef! Quando arrivo a Lentate sul Seveso nella bellissima azienda agricola “La Botanica” mi sento subito immersa in un’atmosfera meravigliosa; la struttura che ci ospiterà per una settimana, unisce gusto ed eleganza alla rassicurante semplicità delle tradizioni. Le mucche al pascolo, la quotidiana puntuale mungitura, il gelato artigianale, l’andirivieni di mezzi agricoli, il trascorrere del tempo scandito dai ritmi della campagna. In un’accogliente sala, in compagnia di un maestoso camino sempre acceso, è il momento delle presentazioni. Ci scopriamo un gruppo di sette persone diverse le une dalle altre, unite dalla voglia di mettersi in gioco, di confrontarsi, di imparare con umiltà e tanta passione. Ma affinché un insieme di musicisti diventi un’orchestra serve un valente direttore, così conosciamo lo Chef, una persona originale, unica, con un sincero e benauguran16


te sorriso che sarà da quel momento il nostro leader emotivo. Ci ha accompagnati nel suo vissuto, ci ha coinvolti nelle sue passioni e nei suoi retaggi culturali, piano piano ci ha insegnato come deve essere e cosa deve essere un Professional Personal Chef. Ha risvegliato i ricordi dei momenti più belli; il pane e la pasta fatti in casa, dalla mamma, dalla nonna e le riunioni per le feste natalizie. Quante emozioni! Questo è ciò che ogni Professional Personal Chef dovrebbe stimolare riproporre in casa di persone che hanno voglia di vivere una esperienza meravigliosa e unica! Cucinare per “nutrire” l’anima, tanto quanto il corpo! Riscopro che, come in musica, anche in cucina si può (si deve!) lavorare sul crescendo delle emozioni, generato nello specifico dalla fondamentale ricerca dei prodotti, dalla qualità degli stessi, dagli ottimali abbinamenti, dall’alchimia nell’utilizzo di aromi e spezie, dalla giusta quantità delle porzioni (aimè dovrò mettere in discussione parte degli insegnamenti della nonna). Spesso lo Chef Trovato ha sottolineato la fondamentale importanza del termine “Professional”, rimarcando come ognuno di noi sia un professionista, un’azienda(!), al servizio del proprio cliente rimanendo fedeli a noi stessi. Le sessioni teorico-pratiche, intervallate dalla giusta dose di divertimento e risate, dettano i tempi della settimana e in un batter di ciglia ci ritroviamo all’ultima giornata di corso, dove ci viene chiesto di dimostrare a noi stessi e ad un gruppo selezionato di clienti, quale sia stato il livello di coaching dello Chef e soprattutto a che punti siano maturate le nostre capacità. La preparazione della cena di gala è stata fatta con impegno e gioia, abbiamo concretamente dato significato e valore a quanto appreso e l’apprezzamento dimostrato dagli ospiti è stato il naturale e auspicato epilogo della serata, fatta di un ricercato percorso di sapori, un girotondo di gusti, un susseguirsi di stimoli. L’apoteosi della settimana! Ed ora, professionalmente consapevole, è arrivato il momento di mettere in atto gli insegnamenti ricevuti con la speranza di trasmettere passioni ed emozioni, come la Fippc mi ha insegnato, sempre conservando la mia individualità. Grazie Stefania, Grazie Chef! 17

2


Nuova vita. Sul serio di Giorgio Giorgetti

Vengo da un altro pianeta, lo ammetto. Fino a qualche settimana bazzicavo fra i giornalisti e ora, anche se vizio e pelo sono entrambi duri da perdersi, ho già un piede dentro alla cucina. E sto lavorando per portarvi presto anche l'altro. Perché è inutile girarci attorno: la mia vecchia passione, quella fatta di parole, notizie e redazioni, non mi nutre più. Sfamarmi fra i fornelli mi è quindi parsa la cosa più logica da tentare. Ma se è facile dire cuoco, esserlo per davvero non lo è. Per niente. Diciamola tutta: dal preparare pranzi e cene per parenti e amici all'aprire anche solo una modesta trattoria (già me la vedo: Chez Georges - come a casa tua, anzi peggio... 8 euro tutto compreso) c'è di mezzo un mare di antipasti, primi, secondi, dolci, carrelli di formaggi e bevande escluse. Più un contorno di stagione ricco di affitti, mutui, tasse e varie fiscalità. Allora ho pensato: se non puoi permetterti che i clienti vengano da te, vai tu da loro. Certo, detto così sembra una minaccia: ma, lo giuro, da grande non voglio fare né il sicario né dedicarmi al recupero crediti. Voglio diventare Personal Chef. Sul serio. E questa è la cosa importante. Infatti, da quando ho cominciato il corso della Federazione Italiana Professional Personal Chefs, più o meno tutti mi hanno rivolto la medesima domanda: ma che effetto fa cambiare prospettiva di lavoro a 52 anni, età in cui i cani vecchi raramente imparano giochi nuovi? Risposta: un effetto molto relativo. Almeno per me. Perché fare sul serio è sempre stata l'idea che mi ha guidato nelle cose importanti della vita. Gioco sul serio, se il gioco vale la candela. Così come volevo fare il giornalista sul se-rio e non per scherzo o tanto perché mi trovavo a passare di lì per caso. Oggi mi ritrovo a voler fare il Personal Chef sul serio. Ed è per questo che ho cercato e trovato una federa-zione che mi sostenesse e mi guidasse, fin dai primi passi, sulla strada principale. Gente che mi dicesse, insomma, che anche loro erano lì per fare sul serio. Per offrire una giusta impostazione di partenza, punti di riferimento, indicazioni precise, nomi a cui affida-re dubbi, domande, speranze. Così mi sono ritrovato immerso in sette giorni favolosamente folli e affaticanti, ma fra docenti e compagni da spalmare sul pane, tanto erano buoni. 18


Ora, io non m'illudo che una settimana di corso, per quanto intenso sia stato, mi possa aver trasformato in uno chef vero e proprio. Giorgio Trovato e Stefania Erroi saranno anche due magiche persone, ma la bacchetta fatata che converta la mia zucca vuota in un ricettario pieno zeppo di capolavori gastronomici ancora non ce l'hanno. E inoltre assomiglio davvero poco a Cenerentola... Hanno però avuto la capacità di bloccarmi, mentre giravo a vuoto come una trottola, e di indicarmi col dito e con l'esempio dove dovevo indirizzarmi. Mi hanno offerto un punto da guardare, uno specchio in cui cercare la mia immagine di domani e le istruzioni per lavora-re su quella di oggi, in previsione del domani. Mica male, insomma. Differenze nel trovarmi dall'altra parte della tavola, quella in cui si cucina e s'apparecchia, invece che in una redazione? Parecchie, è ovvio. Ma a chi servirebbe se mi mettessi ad elencarle tutte? Anche tra fare il giornalista e fare il neurochirurgo o l'idraulico o il panettie-re o l'impiegato ci sono un sacco di differenze. Perciò preferisco chiudere con un'altra nota. Così vi rivelo che ho impiegato anni per diventare giornalista. E non perché fossi partico-larmente tonto. Molta gente non l'immagina, ma essere un giornalista non significa soltanto scrivere. Anzi, sembrerà paradossale, ma è forse il compito meno significativo del me-stiere. Non per nulla si può essere giornalisti con la voce, con le immagini e con quant'altro riuscite a immaginare. Così è per lo chef, soprattutto se vuol essere un personal chef: saper cucinare per amici e parenti è una cosa, un'altra cosa è condurre un ristorante e un'altra ancora è tramutare il tempo trascorso a tavola in un'esperienza di vita, che coin-volga a tutto tondo i commensali. Quindi, so che per arrivarci devo rimboccarmi le maniche e lavorare sodo. I miei maestri né mi hanno illuso, né mi hanno fornito il geniale topolino di Ratatouille da nascondere dentro il berretto da cuoco. Mi hanno indicato una via da seguire, offrendomi il loro sostegno. Dicendomi: noi facciamo sul serio. Adesso tocca a te. Se vuoi, naturalmente, perché nessuno ti obbliga. Che è più di quanto qualcuno abbia mai fatto per me, mentre crescevo come giornalista. E dico sul serio. 19

2


REgala un personal chef per un pranzo o una cena

Tutta la professionalità dei nostri chef e l’alta cucina garantita FIPPC direttamente a casa tua per le tue occasioni speciali. Contattaci e scopri quello che abbiamo preparato per te e i tuoi ospiti!

informazioni e condizioni segreteriafippc@gmail.com

www.fippc.com


MA D

E IN

I cibi conservati con la tecnica del sottovuoto, una volta cucinati, non hanno nulla da invidiare ai cibi freschi proprio perché il vuoto ne mantiene invariate le caratteristiche organolettiche. La creazione del sottovuoto blocca il processo di ossidazione per cui le pietanze così conservate non perdono gusto, ma risultano più stuzzicanti. Il sottovuoto evita la proliferazione di quei piccoli parassiti che, normalmente, si formano nella pasta, nel riso, nelle farine o nella frutta secca. L'irrancidimento di grassi ed olii, la formazione delle muffe, anche nei cibi conservati sott'olio. Evita di dover ricorrere alla conservazione di insaccati in olio o in strutto, sottraendosi così ad una fastidiosa e senza dubbio noiosa incombenza, ossia la fase di pulitura.

Orved Cooking System

www.orved.it - orved@orved.it

ITA

LY


Birra in cucina, l’arma in più del Personal Chef di Gianluca Renoldi

Il mio amore per la birra, bevanda dalle tradizioni antichissime e dal florido presente, nasce all’età di 18 anni attraverso la lettura di un articolo di giornale che conteneva, per la prima volta, informazioni sui processi produttivi, seppur in maniera approssimativa. Mi si aprì un mondo nuovo, fatto di acqua, orzo, luppolo, e maturai, insieme ad un amico, grande appassionato di questa bevanda, l’idea di cimentarmi nella produzione di birra. Nacque così una sfrenata passione! Inutile dire che, come spesso accade, i primi tentativi furono un parziale fallimento, anche a causa dell’utilizzo di malti preparati. Da allora, seppur continuando a produrre quantitativi irrisori, ci siamo abbondantemente specializzati attraverso la lettura di dispense e ad alcuni corsi universitari frequentati di straforo. Abbiamo notevolmente migliorato la qualità del nostro prodotto fino a cimentarci in diversi stili. La mia esperienza mi ha insegnato che l’immaginario dettato dai media ci permette di conoscere solo un’infinitesimale parte di tutte le tipologie e di tutti i birrifici che costellano un orizzonte vastissimo. Per un professionista del nostro settore può essere un valore aggiunto conoscere differenze e sfumature di queste produzioni, al fine di indovinare il corretto accostamento al piatto e anche di arricchire ed aromatizzare le nostre pietanze. Esattamente come per un vino, tra i vari generi di birra intercorrono tali differenze che ne giustificano nome, colore ed utilizzo differente. Possiamo infatti sfumare una Blanche o una Ale delicata e profumata in una ricetta di pesce oppure una Weizen corposa o una rossa strutturata in una ricetta di carni delicate o ancora una Trappista fortemente maltata con maiale o selvaggina. Con le birre possiamo realizzare anche delle riduzioni al fine di eliminare il Co2 e l’alcool e 22


concentrare così l’acidità che le caratterizza. Questo tipo di procedimento è ideale con un buon arrosto di maiale alla Stout e cioccolato. Utilizzando inizialmente la birra per marinare la carne e, successivamente, per allungarne la salsa. Con una piccola parte di essa ancora integra e attorno ai 4° possiamo deglassare e staccare così il fondo proteico dalla teglia o dalla padella. a Essere dei Personal chef ci consente di avvicinarci alla birra con l’intento di caratterizzare maggiormente la nostra cucina e fornire un’alternativa al cliente negli accostamenti tra pietanza e bevanda. E' quindi importante formarci in modo tale da essere in grado di discernere un ottimo prodotto da uno scadente, ricordando che le birre di qualità, possono essere prodotte sia a livello industriale che in micro birrifici. In un momento storico in cui esiste persino la tendenza ad associare ad ogni piatto la giusta acqua minerale, è per noi necessario trovare nelle nostre cantine lo spazio per ospitare, al fianco dei grandi vini, birre di qualità.

23

2


L’ACETO BALSAMICO Un antico prodotto sempre giovane di Gianluigi Pagano

L’Aceto Balsamico Modenese, re della tavola, è una delizia gastronomica della quale troviamo riferimenti antichissimi, anche se non è facile stabilirne una data di nascita. Quel che è certo è che i Romani usavano il mosto cotto, materia prima dell’aceto balsamico, come il principale dolcificante (l’altro, il miele, era più caro e di più difficile reperibilità), non essendo ancora in uso lo zucchero da barbabietola, per il quale bisognerà aspettare fino al XVII sec. Ancor oggi in molte regioni d’Italia troviamo il tradizionale vin cotto o sapa o saba, che altro non è che mosto d’uva, più o meno cotto, in modo da dar vita ad uno sciroppo dolce o una specie di marmellata, che è appunto derivato dall’uso dei Romani. Ora è abbastanza facile pensare che casualmente in questo mosto si sia sviluppato un processo di acetificazione e che così si sia sviluppato il primo embrione di aceto balsamico. Quando sia avvenuta tale fortunata circostanza non è facile da definirsi, ma probabilmente in tempi assai antichi, se già Columella (I sec. d.C.) nel ”De Re Rustica” dice: "per quanto il mosto cotto sia fatto con diligenza, può diventare aceto, come il vino" (Quid etiam diligenter factum defrutum sicut vinum solet acescere). Questo miracolo naturale fu subito apprezzato e si cercò di perfezionare il prodotto invecchiandolo in botte e mettendo a punto una precisa tecnica produttiva. L’episodio che segna la vera entrata nella storia dell’Aceto “Balsamico” (anche se allora non si usava questo termine) è però quello riferito dal monaco benedettino Donizone: nell’anno 1046 il re Enrico III di Franconia (poi divenuto Imperatore), trovandosi a Piacenza, chiese in dono al Marchese Bonifacio (padre della famosissima Contessa Matilde) il celebre aceto che “aveva udito colà (a Canossa) farsi perfettissimo”. Il Marchese “ordinò di fabbricare immediatamente una botticella, due buoi, un giogo ed un carro d’argento e, posto tutto su un carro trainato da due buoi vivi, il fè condurre dinanzi all’Imperatore, il quale ne rimase altamente ammirato e sorpreso” e lo preferì a doni di altri feudatari, consistenti in centinaia di cavalli con relativi finimenti. Questo testimonia la fama ed il valore di quell’aceto, evidentemente diverso da tutti gli altri. Tuttavia fu solo alla corte degli Estensi, quando essi, dovendo lasciare Ferrara (1597) si stabilirono a Modena come Duchi ,che la fama dell’Aceto Balsamico ebbe la sua consacrazione: Lucrezia Borgia lo assumeva per riprendersi dai dolori del parto, mentre Francesco IV duca di Modena ne portava con sé un paio di ampolle per lenire i fastidi dell’ulcera. Il gusto agro-dolce fu tipico della nostra cucina fino a tutto il Rinascimento quando, grazie all’influenza di Cateri24


na de’ Medici, si trasmise alla cucina francese, mentre da noi si affermò piuttosto il gusto salato. Perciò per molti anni questo delizioso prodotto non fu apprezzato e conosciuto salvo nel territorio di Modena e Reggio, in cui continuò ad essere trasmesso da una generazione all’altra in tutte le famiglie abbastanza agiate. a Solo negli ultimi anni, grazie anche all’influenza di ritorno della cucina francese, sta ritornando anche da noi il gusto dell’agrodolce. In questo contesto naturalmente l’Aceto Balsamico ha celebrato il suo trionfo, uscendo trionfalmente dai suoi territori tradizionali estensi. Un trionfo anche eccessivo a dire il vero perché si trovano i prodotti più diversi accomunati sotto il nome di Aceto Balsamico. Allora cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Innanzi tutto bisogna distinguere quello tradizionale (DOP) da quello non tradizionale (IGP). All’interno del primo, poi vanno distinti i due DOP: quello Tradizionale di Modena e quello Tradizionale di Reggio Emilia. Le caratteristiche, ad onor del vero, sono pressoché uguali, se si esclude un maggior numero di tipi di legno usato per le botti reggiane, e particolarmente la presenza a Reggio del legno di ginepro, che renderebbe l’aroma dell’aceto più pungente. Ma si tratta di sfumature sottili, colte solo dagli assaggiatori esperti. L’unica vera differenza fra le due DOP è nella gradazione della distinzione di qualità (quello che si chiama, un po’ impropriamente, invecchiamento) due sole per Modena e tre per Reggio. Ad ogni modo il processo di produzione è il medesimo e prevede l’invecchiamento di mosto cotto per anni (non meno di 12) nelle preziose botticelle custodite nelle acetaie modenesi e reggiane, secondo il metodo codificato nel 1860 dall’avvocato Francesco Gazzotti, simile al metodo Solera usato per il Porto. Il mosto, viene fatto bollire lentamente, fino ad ottenere una concentrazione dal 30 al 70%. In seguito viene posto in botte e travasato annualmente in botticelle via via più piccole, con successivi “rincalzi”, cioè, una volta prelevato dall’ultima botticella una parte dell’aceto che contiene, questa viene nuovamente riempita, prendendo aceto dalla botte più grande e così via, fino a riempire la maggiore con il nuovo mosto cotto. Il processo si chiarisce meglio con questa immagine:

25

2


La batteria nell’esempio è quella più comune nel modenese, ma i legni che costituiscono le botti, come detto, possono essere anche diversi. Però, così come non si potrebbe andare in Ferrari a fare la spesa, e non solo per questioni economiche ma anche per motivi pratici, così in cucina non è sempre preferibile l’uso del “tradizionale”. Intanto perché un’esile scaloppina al Balsamico costerebbe come una succulenta fiorentina, poi anche per ragioni di gusto. D’altra parte la parola stessa ”balsamico” allude ad un uso quasi medicinale ed infatti nella tradizione modenese, accanto ad un raro e prezioso uso gastronomico di questa leccornia, era previsto un uso terapeutico, come ricostituente, stomatico, antiemetico. Ma per sopperire alle esigenze gastronomiche quotidiane esiste da sempre una diversa tipologia di Aceto Balsamico: quello ottenuto con una percentuale di mosto cotto unito ad aceto di vino, che è la ricetta dell’IGP Aceto Balsamico di Modena. Abbiamo detto che esiste da sempre, perché fin dal tempo dei Romani vigeva l’abitudine di temperare l’asprezza dell’aceto o del vino (che per la verità erano poco diversi, a quei tempi!) con la sapa, ricavata dal mosto cotto, di cui ci parla già Virgilio. Dell’esistenza di questo aceto, ben diverso da quello tradizionale, ma ugualmente custodito con rispetto, abbiamo testimonianze diverse, tra cui la documentazione degli aceti presenti nel 1840 nell’Acetaia Estense di Modena, che elenca quattro qualità: il “Balsamico”, il “Semibalsamico”, il “Fino” e il “Comune”. Quindi fin da quei tempi era prevista una maggiore o minore aggiunta di aceto di vino all’aceto ottenuto dal mosto cotto; come d’altra parte testimonia anche un documento del 1839, a firma del conte Giorgio Gallesio, il quale in un suo scritto testimonia e codifica l’uso di mescolare l’aceto di vino con mosto cotto. Questi tipi di aceto, nelle loro diverse gradazioni di acidità, si prestano ad usi alimentari quotidiani, dal condire la verdura od anche sul pesce in cui un po’ di agro è più gradito, salvo l’uso nelle grandi occasioni e quando un perfetto equilibrio fra sapore agro e dolce è richiesto, dell’Aceto Balsamico Tradizionale, classico su scaglie di Parmigiano o anche fragole o gelato di crema, ma veramente prezioso per mille composizioni di alta gastronomia.

26


L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è sicuramente uno dei prodotti più antichi e naturali. Il periodo di invecchiamento trascorso in botte determina la qualità dell’aceto: da un minimo di 12 anni fino a 25 anni ed anche oltre per il prodotto extravecchio. Solo dopo aver superato le analisi chimico fisiche ed il panel test della Commissione di Esperti Degustatori, viene imbottigliato nella bottiglietta progettata da Giugiaro da 100 ml, di forma sferica con base rettangolare, inserita nel disciplinare di produzione DOP (Denominazione di Origine Protetta). Ogni bottiglia è contrassegnata da un sigillo di garanzia a serie numerata. L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, grazie ai sui aromi dolci e delicati, può essere abbinato dall’antipasto alla frutta. Per informazioni ed acquisti: paganoprom@hotmail.com


I sogni talvolta diventano realtà di Loriana Anna Notaro

Eccomi qua, Personal Chef da un mese, scelta frutto di tanta passione e dedizione. Avevo solo 7 anni infatti quando mi sono cimentata con la mia prima pizza. Mi chiamo Loriana, ho 31 anni e, nel 2012 dopo aver preso parte ad un corso di “Pasticciere delle tradizioni” conseguendo l’attestato e lavorando successivamente in una pasticceria, ho sentito che quella non era la mia unica aspirazione; il mio reale sogno era quello di diventare uno Chef e grazie all'incontro con persone professionalmente molto qualificate e allo stesso tempo umanamente molto umili, questo sogno si sta trasformando in realtà. Cos’è cambiato rispetto a prima? Ho molto più stima e fiducia in me stessa. Non è facile convivere con il mondo che ti rema spesso contro e che non crede in quello che fai, ma io ho deciso che mi impegnerò con e senza risorse. La FIPPC è la mia seconda famiglia e circondarsi di persone che ti ricordano: “Ce la puoi fare!” per me è vitale, è tutto quello che mi è venuto a mancare finora. Condividere queste sensazioni con gli altri compagni è poi un’avventura che cambia la vita, è un’emozione che solo vivendola ci si rende conto di quanto sia importante, soprattutto perché la Federazione non ci coccola solo durante la durata del corso, ma anche dopo. Devo però aggiungere che, se adesso mi trovo qui, lo devo, quasi ed esclusivamente a mio marito, che ha da sempre creduto nelle mie capacità. Mi sprona in continuazione a sperimentare e noto con piacere che oltre a darmi soddisfazione, ha un attento palato. Con lui ho imparato ad apprezzare il fatto che in un piatto ogni ingrediente sia legato ad un altro da una storia, che ogni piatto ha qualcosa da comunicare e raccontare e che solo attraverso la conoscenza e la riflessione lo si può comprendere. Un piatto deve saper trasmettere emozioni oltre ad essere bello da vedere. Il cibo infatti "parla" e solo seguendo un percorso di formazione corretta unita a passione, dedizione ed esperienza possiamo ascoltarne la voce e assorbirne l’ essenza. La FIPPC per me è stato questo. 28


Il libro consigliato a cura di Clara Mennella

Tipografia Tommasi

Terre di Toscana: La valle del Serchio La valle del Serchio, in Toscana, è un territorio unico per collocazione geografica, storia, tradizioni e natura. Negli ultimi anni sta vivendo una stagione di vera e propria riscoperta e questo libro rivela tutti i segreti e le informazioni utili per conoscerla meglio. Il volume, con le sue 200 pagine rappresenta, da un lato, un manuale storico e naturalistico e, dall’altro, una guida turistica che si caratterizza per essere la prima pubblicazione che non si limita a far conoscere i singoli borghi con le loro peculiarità ma fornisce una visione globale e unitaria delle bellezze che la valle offre. Il racconto di un museo a cielo aperto con i suoi borghi, le sue chiese, i suoi palazzi storici, la descrizione minuziosa di un paesaggio magico che nel corso del tempo ha stregato artisti di ogni genere. Tra le tante storie raccolte nel libro, anche un capitolo dedicato a Il Ciocco Tenuta e Parco, il grande complesso turistico fondato alla fine degli anni ‘60, con il racconto inedito della famiglia Marcucci, a partire dall'emigrazione negli Stati Uniti agli albori del ‘900 di Luigi (padre di Guelfo, fondatore del resort), che a Chicago costruì con i familiari una vera e propria impresa nel settore della panificazione. Il Ciocco Tenuta e Parco è infatti la struttura più rappresentativa di questo territorio al punto che ha “sposato” la mission di questo libro rendendolo un progetto multimediale curato da Alessandro Stefani sul sito (www.ciocco.it) "Il lavoro è durato circa due anni” - spiega Alessandro Stefani - “e abbiamo documentato la valle attraverso tutte le stagioni. Il nostro obiettivo è stato quello di raccontare la poesia di una terra che è riuscita a conservare la sua originalità senza perdere lo slancio per l'innovazione. Una sfida complicata ma che nella valle del Serchio può essere vinta".

TITOLO:

Terre di Toscana: La valle del Serchio AUTORE:

testi di Gilberto Bedini immagini del fotografo Alessandro Puccinelli EDITORE:

Publicato e stampato nella storica Tipografia Tommasi IN VENDITA SU AMAZON:

in italiano www.amazon.it/dp/B00AXWMVX4

e inglese www.amazon.it/dp/8896527120

29

2


Uno chef italiano in Sudafrica di Claudio Uccello

Mi chiamo Claudio Uccello e sono un Executive Chef Italiano con una lunga esperienza Internazionale. Dall’ottobre del 2009 mi trovo in Sudafrica e sono Operation Managers del miglior ristorante di Pretoria, il Fumo Restaurant, del quale ho realizzato il progettato e gestito l’avviamento fino a trasformarlo in un ristoranteboutique che è diventato in pochi mesi una delle gemme della capitale, frequentato da personalità, ministri, consoli e ambasciatori. La regione nella quale lavoro si chiama Gauteng e qui la cucina e la gastronomia italiane non sono conosciute come in altri paesi in via di sviluppo, inoltre la professione dello chef non é rispettata allo stesso modo di quanto avviene nei paesi occidentali. In Sudafrica tutti i lavori piú semplici sono riservati ai nativi africani che, con salari molto piú bassi dei colleghi europei, fanno del loro meglio per imparare una professione e la mia passione è iniziata proprio con loro. L’ereditá dell’Apartheid qui é ancora sentita, così come le differenze razziali e per me essere alla guida di un team di 30 persone di colore è stata una vera sfida; ho dovuto conquistare la loro fiducia, trasferendo nozioni e tecniche che li hanno resi più preparati. C’é voluto un anno di lunghe discussioni e molto sudore per arrivare al team affiatato di oggi, dove tutti lavorano per un obiettivo comune: offrire ai nostri clienti il vero Made in Italy. I risultati parlano da sé, siamo il ristorante numero uno della cittá e abbiamo tra gli ospiti celebritá, ministri, ambasciatori e stelle dello sport. Nel 2012 ci è stato assegnato il Marchio Ospitalità Italiana, dopo che avevamo applicato tutti criteri per riceverlo, inclusa la Vera Pizza Napoletana con forno a legna, inoltre l’Ambasciatore Italiano mi ha nominato Chef dell’ Ambasciata Italiana in Sudafrica. Quando ripenso ai primi tempi, ricordo che nulla è stato semplice ma oggi, dopo tre anni in questo meraviglioso paese con mia moglie e mio figlio, non potrei fare a meno di questa gente e di questa terra. Grazie a loro ho raggiunto il successo personale e Fumo Restaurant è arrivato ai vertici delle eccellenze del paese. 30


31

2


La cucina: passione e stile di vita! di Antonio De Carlo

Sin dalla quinta elementare ho iniziato a provare una forte passione per l’Arte della cucina osservando mio padre che si dilettava ai fornelli creando dei piatti estremamente semplici ma allo stesso tempo molto gustosi. Avevo le idee chiare già a quell’età: il mio sogno era quello di diventare in futuro un cuoco. Perché cuoco e non Chef? Cuoco perché ancora ero un ragazzino di quinta elementare e non ero a conoscenza di una figura più autorevole ovvero lo Chef. Capii anni dopo, crescendo e maturando le mie conoscenze nel campo della cucina, che lo Chef è un uomo di grandi conoscenze culinarie ed enogastronomiche, cosi iniziai a desiderare di diventare non più un cuoco, ma un grande Chef. Finite le scuole medie mi sono iscritto all’Istituto Professionale Alberghiero di Otranto ed ho cominciato quindi ad inseguire realmente il mio sogno. Con la scuola ho acquisito alcune delle basi del mestiere ma le vere e proprie conoscenze ho cominciato ad apprenderle da solo, con varie ricerche e con la prima esperienza lavorativa avvenuta quest’estate durante la quale ho lavorato in una cucina vera, vicino a Chef professionisti che mi hanno seguito e insegnato molto. Il mio incontro con la “Federazione Italiana Professional Personal Chef“ è stato del tutto casuale. Lo scorso mese di Aprile partecipai a due gare di cucina di livello dilettantistico dove Fippc svolgeva la giuria. Vinsi entrambe le gare ed alcuni mesi dopo venni contattato per assistere a uno degli incontri del loro corso, inutile dire che accettai la proposta con entusiasmo. Nei giorni seguenti ricontattai la Federazione per sapere se fosse possibile per me frequentare il corso e mi dissero che dovevano valutare la situazione a causa della mia minore età. Arrivò in seguito la conferma che potevo partecipare in veste di Allievo. Grazie alle lezioni, il mio bagaglio culturale si è incrementato notevolmente, ogni giorno ho appreso nuove e interessanti basi e conoscenze del mestiere. Il mio cammino da Personal Chef, però, deve ancora concludersi perché sono solo un Allievo. Il mio futuro? Continuare su questa strada e impegnarmi sempre più per arrivare ad alti livelli. 32


*

Fonte Euromonitor International Limited, volume di vendita al dettaglio in unità robot da cucina marchio KitchenAid per il 2012.

P I Ù L O U S I , P I Ù D I V E N TA B E L L O . Un design inconfondibile e prestazioni professionali per un robot da cucina amato ed apprezzato anche dai grandi chef. Grazie a 18 accessori opzionali, si rende indispensabile in cucina: mescola, impasta, trita, affetta, macina... Ecco perché è il robot da cucina più venduto al mondo.* Scopri tutte le sue potenzialità ai mini-corsi KitchenAid. Info e date su www.KitchenAid.it

www.kitchenaid.it


Memorie da Dublino di Monica Donati

Vi ricordate l'eruzione del vulcano islandese, dal nome impronunciabile, qualche anno fa? Questo fatto di cronaca provocò anche il prolungamento forzato di una mini vacanza che mi ero concessa a Dublino, approfittando dell'ospitalità di un amico Chef. Giunta all’aeroporto, utilizzo le quattro parole d'inglese che conosco per prendere un taxi e sostenere una pseudo-conversazione col tassista che, saputa la mia provenienza, mi fa capire che ha visitato Bologna e ne apprezza la cucina. Arrivata in centro città, entro nel ristorante e mi accorgo che è una piccola “bomboniera” ben curata e arredata con gusto. Lo staff mi accoglie nella cucina che si trova dietro il bancone del bar ed è grande come un francobollo! Eppure, un sapiente gioco di incastri, fa in modo che trovi spazio tutto l'occorrente per preparare una moltitudine di piatti. Le mie giornate a Dublino avevano inizio con una colazione in tarda mattinata, consumata insieme ai ragazzi della “brigata” che poi andavano al lavoro fino a notte fonda perché i dublinesi mangiano a tutte le ore del giorno e della notte, ma soprattutto bevono! Quindi andavo alla scoperta della città armata di guide turistiche, riviste di viaggi e libri. Un giorno i notiziari diffusero la notizia del vulcano islandese che si era risvegliato e spandeva nell'aria una nube di polvere giallastra che oscurava il cielo, sulle prime diedi poco peso alla cosa, l'Islanda era lontana e, in quei giorni, il cielo d'Irlanda era terso e luminoso. In seguito si seppe della chiusura degli aeroporti del nord Europa e a seguire anche di quelli più a sud… insomma, voli cancellati e nessuna possibilità di rientro. PANICO! Le mie vacanze di lì a pochi giorni sarebbero finite e io dovevo rientrare al lavoro, così cominciai a frequentare assiduamente l'internet point più vicino ma dall'Italia non arrivavano notizie rassicuranti, gli aeroporti venivano chiusi ora dopo ora e da Dublino non si riusciva a partire. Anche l’idea di rientrare noleggiando un'automobile era impossibile, a causa dei i costi elevati e per la penuria di mezzi a disposizione. Rassegnata al prolungamento forzato della mia permanenza, mi organizzai per riempire le giornate; oltre a girare per la città mi rendevo utile al ristorante, facevo le commissioni dell'ultimo minuto al supermercato e aiutavo in cucina per le piccole cose. Quando finalmente l’allarme trasporti rientrò, riuscii a prendere un aereo per Roma, le mie vacanze forzate erano finite ma rimarranno per sempre indimenticabili! 34


Irish Stew Ingredienti (per 4 persone): 900 g di agnello per stufato (se possibile braciole di cosciotto) 450 g di cipolle, pelate e tritate 5 cucchiai di prezzemolo fresco tritato 1 cucchiaio di timo fresco tritato sale e pepe appena macinato

900 g di patate pelate (metà a pasta compatta e metà farinose) 375 ml d’acqua prezzemolo fresco per la guarnitura temperatura del forno: 150 gradi

Si tratta di una delle preparazioni irlandesi più famose, un piatto attraverso il quale portare a casa tutti i profumi e i sapori di questa magica terra! Una ricetta semplice ma davvero gustosa per immaginare di essere ancora in Irlanda! Preparazione: Eliminare il grasso in eccesso dalle estremità delle braciole: non disossare per non perdere il sapore. Posizionare uno strato di cipolle sul fondo di una casseruola o di una teglia da forno, larga e pesante. Mettere la carne sulle cipolle e spolverare con un’abbondante quantità di prezzemolo e una quantità minore di timo, poi condire con sale e pepe nero. Sistemare il resto delle cipolle e le patate (tagliate solo se grandi), condire ciascuno strato e coprire con gli aromi. Aggiungere metà acqua, portare a ebollizione e coprire. Lasciare cuocere a fuoco lento per 2 ore e mezza, 3 ore. Quando è pronto lo stufato deve essere umido ma non deve “galleggiare” nel liquido. Aggiungere acqua durante la cottura se lo stufato sembra troppo asciutto. Le patate farinose si scioglieranno nello stufato rendendolo più denso mentre le patate a pasta compatta faranno da condimento. A piacere si possono aggiungere le carote nella cottura per rendere più ricco lo stufato. Servire guarnito con abbondante prezzemolo tritato.

9 35

2


Additivi in cucina... questi sconosciuti di Giorgio Trovato

Uno dei temi più dibattuti ormai da un po’ di tempo, in particolar modo in alcuni contesti culturali, è l’uso di additivi e altre “amenità” considerate da laboratorio chimico in cucina. Sono molte le realtà associative che hanno deciso di prendere una posizione chiara in tal senso: la Federazione Nazionale Personal Chef nel proprio decalogo sancisce quelli che sono i principi operativi ai quali attenersi nello svolgimento dell’attività. Prima di tutto è molto importante capire che anche in questo contesto gli estremismi non portano mai a una crescita, ma spesso soltanto a una posizione egoistica di protezionismo. Con questa premessa è necessario capire che abbiamo degli obblighi non solo etici da tenere sempre in evidenza: il nostro lavoro ci deve mettere nella condizione di aver sempre il massimo rispetto per gli ospiti. Si tratta di soggetti che stanno affidando alla nostra interpretazione, al nostro lavoro, momenti particolarmente importanti, momenti nei quali abbiamo l’obbligo di ricercare il meglio, in termini d’ingredienti, di tecnica esecutiva e quindi di risultato finale. Non si può pensare di subordinare il buono al bello a tutti i costi, né al tentativo di voler stupire ad ogni costo. Molti si ricorderanno della polemica tra due grossi nomi del circuito gourmet mondiale: Ferran Adrià e Santi Santamaria. Santamaria ha sempre sostenuto che l’uso di “supporti” da laboratorio chimico aveva permesso allo Chef Adrià di mutare la cucina in un oggetto hi-tech: da una parte il sostenitore dei sapori della tradizione e dall’altra il guru della cucina “chimico/innovativa”. Nel libro “La cocina al desnudo” Santamaria evidenzia come “la cucina spettacolo”, fatta di prodotti e additivi commerciali aveva trasformato la bellezza della cucina in una sorta di “circo mediatico”. Grandissimo difensore della cucina mediterranea, invitava la gente a limitare l’impiego dei cibi in scatola, meno prodotti da supermercato e “a tornare a sbucciare cipolle”, denunciando “le voluttuosità dei consumi legati ad alimenti”. A suo dire quando si parla di cucina della tradizione non bisogna far l’errore di confonderla con quanto di più semplice possa esserci, quanto, semmai, di soffermarsi sul fatto che tali ricette sono il frutto dell’evoluzione che procede da generazioni. ADDITIVI IN CUCINA Gli additivi in cucina sono sostanze tranquillamente impiegate nell’industria alimentare e normate a livello europeo come qualsiasi sostanza normalmente usata non consumata come elemento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dall’avere valore nutritivo, e che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, 36


trattamento, imballaggio, trasporto ed immagazzinamento degli alimenti stessi. Come noto, gli additivi alimentari sono utilizzati da secoli: praticamente da quando l’uomo imparò a immagazzinare i raccolti per l’anno successivo e a utilizzare la salatura e l’affumicamento per conservare la carne e il pesce. Gli Egizi impiegavano coloranti e aromi per rendere più appetitosi certi alimenti e i Romani usavano il salnitro, le spezie e i coloranti per conservare e migliorare l’aspetto dei cibi. I cuochi hanno comunemente impiegato il bicarbonato di sodio per far lievitare i prodotti da forno, gli addensanti per salse e sughi e i coloranti, la cocciniglia per esempio, per trasformare materie prime di qualità in cibi sicuri, sani e gustosi. Gli additivi alimentari rivestono un ruolo importante nella complessa catena della moderna produzione alimentare. La gamma e la scelta di alimenti non è mai stata così ampia, in termini di disponibilità nei supermercati, nei negozi di alimentari specializzati e nella ristorazione. Se, da una parte, una percentuale sempre minore della popolazione è impegnata nel settore primario, dall’altra, i consumatori richiedono maggiore varietà e scelta, maggior facilità e praticità di preparazione e standard di sicurezza e igiene più elevati, il tutto a prezzi accessibili. Prendiamo come esempio la lecitina, E322, in vendita al supermercato e presente nella linea Texturas di Ferran Adrià, oggetto di un recente scandalo televisivo legato alla cucina molecolare dello Chef Massimo Bottura, che appunto utilizzava la lecitina. Da un punto di vista normativo è previsto che si possa usare la lecitina per ottenere “arie e schiume”, dal momento che la lecitina non ha una dose massima consentita. Nell’elenco delle sostanze finite sotto il torchio televisivo in questi mesi impiegate e commercializzate dai ristoratori non solo nella linea Texturas: l’alginato (E401, nome Texturas Algin) e il cloruro di calcio (E509, nome Texturas Calcic) usati per le sferificazioni, l’Agar agar (E406, nome Texturas Agar) o la metilcellulosa (E461, nome Texturas Metil). Uno degli esempi più noti di additivi è rappresentato dalla colla di pesce un addensante la cui funzione è di aumentare appunto la viscosità di un liquido fino a fargli assumere una consistenza “gelatinosa” in modo tale che, eliminato il contenitore, il contenuto mantenga la forma e non scivoli. La panna cotta ne è un classico esempio: altro non è che un composto di panna, latte e zucchero al quale viene aggiunta la colla di pesce o un altro addensante per fargli assumere una consistenza gelatinosa. Certamente la colla di pesce non ci spaventa, ma, se iniziamo a parlare di Agar-Agar qualcuno potrebbe storcere il naso e abbinare tale composto alla chimica. Proviamo a entrare un po’ più nel dettaglio: la colla di pesce è 37

2


un prodotto originario della Russia. Viene ricavata dalla vescica natatoria dello storione e cartilagine di pesce. Prevalentemente oggi troviamo in commercio gelatine ottenute da cotenna di maiale, ossa e cartilagine bovina. L’Agar-Agar invece è, in pratica, l’equivalente vegetariano della colla di pesce si ottiene da alghe rosse ma andiamo per ordine partendo da quelli più “complicati” a quelli più semplici. Tra i prodotti del Kit Sferificacion che sono utilizzati per portare a termine tutte le preparazioni sferiche: caviale, ravioli, globi, gnocchi, biglie, minisferici, ecc. vi è Gluco, composto da gluconolattato di calcio, una miscela di due sali di calcio (gluconato e lattato), un prodotto usato per la tecnica di sferificazione inversa e che non apporta alcun sapore al piatto che si prepara. Il prodotto si presenta in polvere. È solubile a freddo. Si deve aggiungere Gluco prima degli altri prodotti in polvere. Gli ingredienti sono gluconolattato di calcio. Un altro prodotto usato nel settore alimentare per la preparazione di alcuni formaggi è Calcic, il reagente caratterizzato da un notevole apporto di calcio e dalla grande facilità di dissoluzione nell’acqua. Ciò lo rende uno degli ingredienti essenziali per la sferificazione. Il prodotto si presenta in granuli. Ha una grande capacità di assorbimento dell’umidità. Sferica a contatto con Algin. Un prodotto diverso, a base di citrato sodico, Citras è, invece, ottenuto a partire da agrumi. Possiede la proprietà di ridurre l’acidità degli alimenti, pertanto il suo impiego rende possibile la realizzazione di preparazioni sferiche con ingredienti dotati di elevata acidità. Si scioglie facilmente ed agisce istantaneamente. Si presenta in polvere raffinata. È molto solubile in acqua. Nella categoria vi è ancora Algin che si estrae da diversi tipi di alghe brune che crescono in regioni con acque fredde di tutto il mondo. È un elemento indispensabile per la sferificazione. Si presenta in polvere raffinata. Gelifica in presenza di Calcic. È solubile a freddo mediante vigorosa agitazione. Nella famiglia della “Gelificacion”, vi è Gellan che permette di realizzare gelatine fredde e calde dalle più diverse consistenze: solide, elastiche, rigide, frammentabili, morbide. Gellan permette di ottenere gelatine molto solide e di taglio netto. Dato che sopporta temperature di 70°C è usato per la preparazione di gelatine calde. Si presenta in polvere raffinata. Perde la capacità gelificante in soluzioni fortemente saline. Gli ingredienti sono Gellan in polvere raffinata. 38


Kappa è, invece, un prodotto naturale che si ricava da certi tipi di alghe rosse. Agisce come gelificante e dà gelatine di consistenza solida e frammentabile. Il prodotto si presenta in polvere raffinata. Si deve mescolare a freddo e alzare il bollore. In ambiente acido perde parzialmente la sua capacità gelificante. Gli ingredienti sono Carragenato Kappa in polvere. Nella categoria vi è anche Metil, un prodotto gelificante che si estrae dalla cellulosa dei vegetali. Gelifica al contatto col calore, mentre a freddo agisce come addensante. Si deve mescolare a freddo agitando con forza e lasciare in frigo fino a che non raggiunga la temperatura di 4°C. Dopodiché è necessario riscaldare fino a 40°60°C affinché avvenga la gelificazione. Inoltre, in questo gruppo vi è Iota, un gelificante proveniente dalle alghe rosse che si trovano sulle coste dell’Atlantico del Nord e nei mari delle Filippine e Indonesia. Permette di ottenere una gelatina di una consistenza elastica e malleabile. Si presenta sotto forma di polvere raffinata. Si deve sciogliere a freddo e poi portare a circa 80°C finché non avviene la gelificazione. In caso di rottura, il gel può essere ricomposto dopo un periodo di riposo. Nella famiglia di Emulsificacion vi è Glice che permette di ottenere consistenze arieggiate e leggere. Glice si ottiene a partire dalla glicerina e dagli acidi grassi. È un prodotto di elevata stabilità come emulsionante. È affine all’olio, quindi dobbiamo discioglierlo prima con l’elemento grasso e dopo aggiungerlo gradualmente all’elemento acquoso. È insolubile in ambiente acquoso. Si discioglie in olio riscaldato fino a 60° C. L’integrazione della miscela di olio e Glice nell’ambiente acquoso si deve realizzare lentamente. Gli ingredienti sono monogliceride in scaglie. La Lecite è, invece, un emulsionante vegetale a base di lecitina di soia, ideale per la preparazione di consistenze ariose. Presenta inoltre una sorprendente capacità di legare salse impossibili. Si presenta in polvere raffinata. È solubile a freddo. Risulta essere facilmente solubile in mezzo acquoso ma perde funzionalità nei mezzi grassi. È da utilizzare in preparazioni alimentari, uso limitato (dose massima consigliata 30 g/L). Gli ingredienti sono lecitina di soia non geneticamente modificata. Nella stessa famiglia vi è Sucro, un emulsionante derivato dal saccarosio e formato dal sucroestere. È molto utilizzato in Giappone per la sua stabilità come emulsionante. Possiede proprietà areanti. Insolubile in ambiente grasso. Si stempera in ambiente acquoso senza necessità di esporlo al calore. Aggiungere lentamente al grasso. 39 37

2


Invece Fizzy, un prodotto effervescente che si può consumare direttamente o sciolto in acqua, bagnarlo nel cioccolato o nel caramello, o triturarlo fino ad ottenere polvere e mescolarlo con altri elementi, come frutta o sorbetti. Fizzy ha un sapore neutro con un tocco di agrumi, che permette di combinarlo con una quantità di sapori. Si presenta in chicco allungato. Si deve conservare in luogo fresco ed asciutto per evitare che assorba umidità. Gli ingredienti sono zucchero, bicarbonato di sodio, acido citrico, glucosio, aroma naturale. Nella famiglia degli “Espesantes” che permettono di rendere più dense, zuppe, salse, creme, ecc. aggiungendo una quantità minima di prodotto e conservando il sapore originale della preparazione, vi è Xantana. Questa sostanza si ottiene a partire dalla fermentazione dell’amido di mais. È una gomma con potere addensante e sospensore (mantiene elementi in sospensione in un liquido, senza che precipitino). È solubile a caldo e a freddo. Anche riscaldandola a 50°C non perde le sue proprietà addensanti. Si deve agitare lentamente e lasciare che si idrati da sola. Gli ingredienti sono Gomma Xantana in polvere. Tra gli altri additivi normalmente utilizzati in cucina: E 100 curcumina: colorante giallo estratto dalla radice della curcuma, base essenziale del curry; E 120 cocciniglia: colorante rossoricavato da un insetto, utilizzato nell’alchermes, per la tradizionale zuppa inglese; E 140 clorofilla: colorante verde estratto dalle piante, usato anche in medicina, per le sue proprietà. E 150a caramello: colorante di colore scuro, usato sia in cucina che nell’industria salumiera, per conferire il colore tipico dell’arrosto. E 175 oro: colorante fatto con oro in polvere, il metallo che tutti conosciamo e che rese famoso il risotto alla milanese di Gualtiero Marchesi. E 322 lecitina: emulsionante, presente particolarmente nella soia e nel tuorlo d’uovo, indispensabile nel cioccolato. E 406 agar agar: gelatificante, addensante, stabilizzante, si utilizza da molti anni in oriente e conosciuto ai più, per le caramelle di gelatina, ricoperte di zucchero. E 407 carragenina: come sopra, ma anche emulsionante. E 410 farina di carrube: Come sopra. E 440 pectina: Addensante, gelatificante, indispensabile nelle gelatine al cucchiaio. E 441 gelatina: ricavata dal collagene animale. E 621 glutammato monosodico: esaltatore di sapidità. 40


Ribadisco il concetto iniziale: occorre capire a livello della ristorazione che il buono non deve essere subordinato al bello, ma comprendere che la sicurezza per i nostri clienti è il focus sul quale concentrarsi e, non è detto che alcuni prodotti nel rispetto dei quantitativi previsti non possano aiutarci proprio in questa direzione.

41 37

2


Il lato culturale dei corsi FIPPC di Elisa Negro

Vivo e lavoro a Taranto dove, da circa 3 anni, ho aperto una Associazione culturale che si impegna nel promuovere la tradizione culinaria pugliese, attraverso corsi ed eventi che organizzo presso tutte quelle attività disposte ad ospitarmi e a sostenere il mio impegno. Sono arrivata a svolgere questo lavoro per una serie di fortunate coincidenze, collaborando sempre con persone molto preparate che mi hanno trasmesso la loro passione per una cucina sana, genuina ma anche d'effetto. Provengo da studi classico archeologici che mi hanno sempre indotta a domandarmi il perché di un piatto, a ricercarne le origini e a recuperarne di desueti, per promuoverli, compiendo una forma di archeologia in cucina. Malgrado mi impegnassi nel documentarmi, sentivo di non essere soddisfatta, mi mancava la formazione per svolgere al meglio questo lavoro di promozione e recupero. Ho deciso così di seguire il corso da Professional Personal Chef. All'inizio ero scettica e critica, poi ho incominciato a vivere questa nuova esperienza con una visione diversa. Ero li per imparare, essere allieva invece che docente, non considerare solo l'aspetto esteriore delle cose ma la sostanza. In sette giorni ho così migliorato la mia preparazione non solo dal punto di vista didattico, per tutta la quantità di nozioni che ci sono state trasmesse e che io quotidianamente impiego nella mia attività, ma soprattutto come docente di corsi mi è servito per migliorare il mio approccio con gli allievi. Ho imparato l'importanza di essere sempre disponibili e cordiali, di informarsi, perché i Personal Chef non vendono ricette ma trasmettono cultura, la cultura del mangiare bene e sano che in una terra come la Puglia è d’obbligo. Chi sceglie questo lavoro crea poi anche una rete di fornitori che dovrebbero essere sicuri e testati (io i miei fornitori li avevo già prima del corso ma ero inconsapevole del ruolo che stavo svolgendo promuovendoli attraverso il mio lavoro). 42


Durante il corso ho scoperto anche le DE.CO. (Denominazioni Comunali) e ne sono stata sorpresa e favorevolmente colpita perché stavo dando , senza rendermi conto, valore a realtà poco conosciute sul mio territorio rafforzando il convincimento che comunque stavo operando nel giusto. Sono fermamente convinta che dare voce a tutte queste piccole realtà serva a far sì che non si perda totalmente l'identità di un paese a vocazione agricola in nome di una globalizzazione che ha portato ad un appiattimento della produzione rischiando di cancellare quella che è la caratteristica principe della nostra cultura culinaria: la varietà. Io dico spesso durante i corsi che la cucina italiana a livello di creatività teme sicuramente pochi confronti. Concludo dicendo che per me il corso seguito a Lecce è stato sicuramente un percorso verso una maggiore consapevolezza del mio ruolo, mi ha trasferito l’importanza dell’aspetto salutistico dell’alimentazione che va sempre privilegiato e mi ha ricordato che il proprio Paese si ama anche tutelando e promuovendo tutte le varietà di prodotti che ci offre.

Forniture Alberghiere nel Salento www.rausasrl.it 43

2


La mia cucina: da rifugio a realizzazione professionale di Paolo Cancedda

Fin da quando ero ragazzino mi è sempre piaciuto osservare i procedimenti seguiti da mia nonna materna e da mia madre nella preparazione dei loro piatti. Così, un po' per curiosità, un po' per necessità ma di più per passione, mi sono sentito attratto e affascinato dalla cucina dove, anche con poco ed i giusti e corretti procedimenti, si possono creare dei piatti delle volte a dir poco spettacolari. Nella mia vita di tutti i giorni fatta di impegni, vita frenetica, e numeri (mi occupo di paghe e contributi in uno studio di consulenza del lavoro) la cucina è il mio rifugio, è l'espressione di quello che sento e che cerco di trasmettere a chi gusta i miei piatti, in primis a mia moglie e ai miei figli. Negli ultimi anni, dopo vari corsi di cucina, da quello base ad uno più approfondito, un corso base di pasticceria ed uno sulla pizza, è nato in me il desiderio di realizzare qualcosa di mio, che mi appartenesse. Inizialmente avevo pensato ad un ristorante a Km0 ma, dopo aver pianificato quasi tutto, vi ho rinunciato a causa dei costi elevati. Ho iniziato così a guardarmi attorno, mi sono chiesto se non fosse possibile svolgere l'attività di ristorazione in proprio come chef a domicilio ed è proprio per evitare il Fai da Te che ho iniziato la ricerca di un'associazione in Italia che regolasse il settore. E' così che ho scoperto la FIPPC e devo dire con sincerità che mi sono sentito fortunato e onorato di essere stato ammesso al corso che si è svolto a Lentate sul Seveso. Durante la settimana sono stati affrontati tutti gli aspetti che caratterizzano la figura del Professional Personal Chef FIPPC, alternando lezioni di teoria a lezioni tecnico-pratiche in cucina. Il momento più esaltante lo abbiamo vissuto durante la preparazione della Cena di Gala di Sabato 23 dove noi corsisti abbiamo lavorato, non singolarmente ma all'unisono come una vera brigata di cucina, per la buona riuscita della serata. Abbiamo iniziato la preparazione fin dalle 10:30 del mattino svolgendo i vari compiti che lo Chef Trovato ci 44


affidava di volta in volta, dal pulire il sedano a tagliare a fettine sottili limone e arancia da sabbiare, lavoro che è poi stato assegnato direttamente a me insieme alla preparazione dei pomodori per il Gazpacho . Nel pomeriggio abbiamo avviato la preparazione del pane e della pasta fresca e, visto che durante il corso in settimana avevo avuto qualche piccola difficoltà nel dare la forma al pane e nel preparare l'impasto della pasta fresca (il peggior critico di me stesso sono proprio io) speravo di non essere chiamato a fare ne l'uno ne l'altro. Invece mi son ritrovato a fare due tipi di pane e dare una mano di rinforzo nel preparare la pasta fresca e, così, provando e riprovando, ho vinto le mie insicurezze. Fatta sigillare la carne per l'arrosto altri di noi si sono occupati di preparare i finger food, dalla terrina di carne al cous cous, un grande lavoro svolto sotto l'occhio attento dello Chef che ci consigliava e dirigeva. Col passare delle ore si avvicinava anche l'ora in cui sarebbero arrivati i commensali e dentro di me si è creata un po' di ansia, forse per la voglia di fare bene e bella figura. Fino alla fine della cena è stato un susseguirsi rapido di ulteriori preparazioni ed impiattamenti, e in questa fase lo Chef a turno ci ha dato anche la possibilità di coordinare la brigata. Così non un solo piatto è uscito da quella cucina imperfetto e tutto è stato pienamente apprezzato dagli ospiti in sala. La cucina in fondo come diciamo sempre tra noi è passione, preparazione, precisione, non si può improvvisare. Questo corso mi è anche servito per dare più valore al lavoro da Personal Chef che sto intraprendendo, in fondo ci vuole tanta umiltà e preparazione per entrare in una casa e servire le persone a tavola creando per loro non solo dei piatti da gustare ma anche e soprattutto un evento da ricordare. Oggi posso dire che, se i miei piatti prima erano buoni e anche gradevoli da guardare, oggi hanno quell'effetto in più, il vero tocco “FIPPC Style".

45

2


I corsi FIPPC di Stefania Erroi

Cari ex Corsisti (ormai Associati), innanzitutto vi stringo in un abbraccio e vi auguro buon anno. Nei vostri articoli avete espresso le vostre impressioni su noi e i nostri Corsi, avete trasmesso in modo magnifico le sensazioni e tutto quello che avete vissuto attraverso di noi, ci avete emozionato e divertito con il vostro entusiasmo e spirito fresco. Allora in modo molto sintetico io approfitto di questa pagina per ringraziarvi tutti quanti, uno per uno. Grazie di cuore ragazzi!!!! I corsi rappresentano per noi, che siamo apparentemente dall'altra parte, uno scambio essenziale per trovare l'entusiasmo che ci spinge ad andare avanti nonostante le difficoltà. Noi non "diamo" soltanto, non "offriamo" e basta ma "prendiamo" da voi molto più di quello che possiate immaginare. Ogni corso termina per noi con un arricchimento umano e professionale di cui vi siamo grati. Concludo i miei auguri con una frase di Lucio Anneo Seneca che riesce a descrivere molto bene e in poche righe quello che cerco di trasmettervi in questo momento a proposito di rapporto tra insegnanti e allievi: “c'è un vantaggio reciproco, perché gli uomini, mentre insegnano, imparano”. Ecco perché chi insegna, secondo me, deve essere ancora più assetato di conoscenza di chi apprende perché, alla fine, è quella "sete" che cerchiamo di trasferirvi visto che di imparare non si finisce davvero mai... E siccome è necessario proseguire nel percorso di conoscenza, concludo con l'elenco dei nuovissimi corsi che saranno organizzati nel 2014, insieme a quelli Intermediate e vi auguro buon lavoro!!! 46


Tecniche di abbinamento allo champagne I - II - III livello

Tecniche di abbinamento al vino I - II - III livello

Tecniche di cottura e stoccaggio cottura al cuore - cottura sottovuoto - uso dell'abbattitore

Buffet di prestigio, Aperitivi e Finger Food

Primi piatti creativi

Secondi piatti creativi

Cucina vegetariana

Dessert al piatto

Panificazione

47

2


Un po’ di storia DE.CO. di Roberto De Donno

Prima di andare a vedere nello specifico cosa sono le Denominazioni Comunali e il loro ruolo come strumento di marketing territoriale è necessario partire dall’uomo-giornalista che ha ideato le De.Co., ovvero Luigi Veronelli, meglio conosciuto con il nome di Gino. L’appiattimento culturale, così come la sempre più insistente dipendenza umana da modalità di vita fast life, ha condotto Gino Veronelli ad inserire nel dibattito nazionale lo strumento delle De.Co. per la tutela di quelli che lui amava definire “giacimenti gastronomici” d’Italia, facenti parte di un patrimonio storico e civile che affonda le sue radici nella stessa antichità umana. Nel 1998, attraverso articoli ed editoriali pubblicati su quotidiani e riviste nazionali e la partecipazione in diversi convegni ed incontri organizzati in varie città italiane, Gino Veronelli ha lanciato la proposta dell’istituzione della Denominazione Comunale quale mezzo di salvaguardia delle produzioni territoriali ma, soprattutto, come strumento concesso all’uomo per iniziare a «patteggiare con la terra»: “Riprendiamo a vivere, senza violenza alcuna, con la sola accettazione di concetti elementari e proprio per ciò indiscutibili. L’uomo ha solo dalla terra ciascuna delle reali possibilità. Averne rispetto, chiederle di darci l’acqua, il pane, l’olio d’oliva e il vino, quant’altro è necessario per una vita serena, è l’unica via”. Da tali premesse egli inizia la sua interlocuzione con amministratori, studiosi e imprenditori aprendo, al contempo, un lungo confronto con l’ANCI. Ancora una volta punto di riferimento della sua attività è la sua stessa impostazione ideale, imbevuta di quella matrice ideologica che l’ha accompagnato per tutta la sua vita: la “filosofia della terra”. Una concezione integra e radicale che per decenni ha portato avanti con passione e impegno civile sulle pagine di “Ex Vinis/Veronelli EV”, “Il Corriere della Sera”, “Class” e “Carta/Cantieri sociali”, apparendo sempre autentico e immediato come lo spirito della sua “creatura”, la Denominazione Comunale. a

Tuttavia, l’idea della certificazione De.Co. risale al suo primo libro I vini d’Italia, datato 1959, nel quale ancor giovane auspicava l’istituzione di una denominazione di origine per i vini gestita direttamente dai Comuni, in quanto soggetti direttamente preposti a controllare che il vino fosse realmente prodotto nel territorio indicato in etichetta. All’epoca però tale iniziativa non ebbe seguito poiché era già in itinere la prima legislazione sulle denominazioni di origine, quella che quattro anni dopo regolamenterà in Italia la Denominazione di Origine 48


Controllata (DOC). Ma qualche decennio più tardi, nel pieno del fenomeno della globalizzazione, Veronelli rilancia con forza l’idea delle Denominazioni Comunali, dandole uno spirito ed una passione civile ben più vigorosa di quella precedente. Così alle soglie del nuovo millennio ridà attualità alla sua idea, innescando un dibattito fecondo tra scrittori, gastronomi e politici nazionali. Egli è convinto che l’unica strada per la sopravvivenza dell’intera umanità e per le varie specie vegetali e animali sia quella di rifiutare un’alimentazione di tipo industriale proveniente da un sistema governato e controllato dalle multinazionali: un sistema per così dire interamente “globalizzato” che, supportato dai mass-media «fa consumare le stesse cose in ogni angolo del mondo, inventa prodotti alimentari con manipolazioni genetiche, insabbia i processi che gli sono mossi con la potenza del suo denaro». Poiché al contrario, «qualunque persona che rinunci ad una scelta ragionata, giorno via giorno, luogo via luogo, dei propri cibi e delle proprie bevande, condizionato da ciò che viene imposto dai mezzi di comunicazione di massa, rinuncia alla propria libertà». Da queste spinte ideali si struttura il movimento delle De.Co., la cui linea di pensiero innesca un forte fermento ed una battaglia culturale che parte dalle comunità locali, spesso richiamate dallo stesso Veronelli in nome della difesa delle proprie tradizioni, dei propri saperi e della propria storia. Egli osserva che «in tutta Italia e soprattutto al Sud ci troviamo di fronte alla possibilità di individuare prodotti locali privilegiati che, una volta conosciuti, porteranno alla creazione e alla conferma di medie e piccole imprese locali, con la necessaria assunzione di manodopera specializzata e non, attualmente disoccupata o impiegata nelle industrie del Nord». L’applicazione delle Denominazioni Comunali avrà delle conseguenze reali in termini economici e sociali, ossia «si assisterà - in Italia - ad uno straordinario aumento dell’occupazione, nei luoghi di nascita e di residenza, e tutto quello che verrà proposto col marchio della denominazione dei luoghi, quanto meglio determinati, costituirà un vero e proprio baluardo - vincente - contro le proposte delle colossali industrie alimentari». Questo nuovo percorso dovrà essere perciò intrapreso «non solo chez nous, bensì nel mondo intero e soprattutto nelle terre più difficili. L’uomo vive da sempre anche nelle zone estreme - tropici, ghiacciai polari - e continuerà a viverci, solo che gli s’insegnino tutti gli apporti concessi dalle tecniche e dalle comodità moderne. Vedremo, con gioia moltiplicata dallo stupore, realizzarsi le possibilità di lavoro ed interrompersi la tragica necessità di sradicarsi dal proprio suolo e di emigrare». Una concezione che va oltre l’intento locale e nazionale, la sua idea di “sensibilità planetaria” affiora sempre spingendo il suo pensiero e la sua intensità intellettuale verso una dimensione forse utopica ma fortemente radicata e ancorata ad una visione reale e oggettiva della realtà. L’istituzione della Denominazione Comunale trova dunque la sua genesi nella considerazione che la tutela delle più importanti e significative realtà locali ha la finalità di valorizzare non solo la storia del territorio, ma anche il suo tessuto economico e produttivo, sì da rilanciarlo sotto il profilo economico e sociale. 49

2


personal chef magazine il mensile dei personal chef italiani


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.