PCM - Marzo 2014

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personal chef magazine N째 02/2014 - Marzo 2014

Scoprire, progettare, evolvere:

Fippc 2014 il mensile dei personal chef italiani


PCM - Personal Chef Magazine Periodico di cultura enogastronomica Organo Ufficiale Fippc Federazione Professional Personal Chef Direttore ed Editore Giorgio Trovato Direttore Responsabile Clara Mennella Redazione Stefania Erroi Direzione Commerciale e Marketing Gianluigi Pagano Grafica e impaginazione Stefano Raia Sede legale: Via Tito Schipa, 1/D - 73058 Tuglie (Lecce) e-mail: segreteriafippc@gmail.com sito internet: www.fippc.it Tutti i contenuti di Pcm, siano articoli, ricette o fotografie sono protetti da copyright ai sensi di legge e non possono essere riprodotti nemmeno in maniera parziale senza il consenso esplicito dell'autore.


In questo numero: Editoriale

pag. 2

La cucina della memoria e l’asparago che non c’è

pag. 30

Editoriale

pag. 3

Sono nata per fare il Personal Chef ma non lo sapevo

pag. 34

Chef on the road

pag. 4

In cucina con un Professional Personal Chef

pag. 36

Champagne 2014

pag. 6

...ma è trascorso solo un anno?

pag. 38

Non tutti masterchef

pag. 8

Il libro consigliato

pag. 39

Capita a volte di incontrare la fortuna... anche se è difficile da credere

pag. 11

Passato, presente e futuro de.co.

pag. 40

Catapultato in cucina

pag. 14

Il mio percorso, dall’informatica alla cucina

pag. 42

Un lunghissimo anno da Personal Chef

pag. 16

Impara l’arte... se hai le carte

pag. 44

La Calabria: un caleidoscopio di tradizioni

pag. 18

La mia scuola è stata il mondo

pag. 45

Rinascimento... che gusto!

pag. 20

Omaggio emiliano

pag. 46

Ravioli in tempo di carne

pag. 22

La vetrina: Novità dalle aziende

pag. 48

Un corso per scoprire una strada nuova

pag. 24

I corsi FIPPC

pag. 50

La cucina? Passione intramontabile

pag. 26

Correva l'anno 2014... e il mondo si riempiva di Chef

pag. 52

Messico e gusto

pag. 28

Fippc eventi: esperienze indimenticabili

pag. 54 1

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Editoriale di Clara Mennella

I tempi sono davvero difficili, la ricerca di un lavoro è davvero impresa ardua. Questo però non deve essere il motivo per arrendersi ad un lavoro qualunque, si deve sempre avere l'obiettivo di trovare, oltre ad una attività proficua, anche un impiego che ci dia la possibilità di realizzare i nostri desideri, inseguire la nostre passioni, mettere a frutto le nostre capacità. Sempre più spesso, per realizzare questo, la strada da percorrere può essere quella di un lavoro autonomo che, al lato pratico, presenta tante difficoltà organizzative e richiede alcune conoscenze pratiche e anche nozioni gestionali, per non correre il rischio di far male i conti oppure di non sapersi proporre in modo costruttivo "sul mercato". Ecco allora prendere importanza il valore di appartenere ad una squadra, la necessità di non sentirsi soli ma di avere dei riferimenti e delle linee guida che traccino il cammino. Ma quali sono la caratteristiche di una squadra vincente? Secondo il mio parere, fondamentalmente tre: innanzi tutto avere degli obiettivi comuni e condividere gli stessi valori, poi è importante riconoscere un leader, una figura di riferimento che abbia il carisma necessario per meritare la stima e il rispetto del gruppo ma che non sia lontano, che sia umile e raggiungibile. Altra cosa importante è la solidarietà, la disponibilità, l'amicizia e la collaborazione che devono avere fra di loro tutti i componenti della squadra, perchè trovare una mano tesa, una parola di sostegno o gioire delle conquiste dei compagni, è ciò che dà la vera forza e il vero significato al gruppo. Conoscere le vostre storie attraverso i vostri racconti mi ha insegnato alcune cose e mi ha dato la conferma che Fippc è sul giusto cammino per essere una squadra vera, sentita e sempre più forte. Tutti voi avete scritto ed affermato di avere, sotto forme diverse, un'unica vera passione per lo stesso lavoro, tutti quanti avete una forte simpatia, ammirazione e tanta fiducia nella guida di Giorgio Trovato, inoltre nessuno manca mai di spendere una parola di gioia nell'aver conosciuto le altre persone che condividono questa avventura, al punto che alcuni hanno intrecciato persino delle amicizie vere. In alcuni racconti mi avete anche commosso, ma soprattutto mi avete convinto che si, Fippc può essere sempre più una grande squadra; spero quella giusta per vincere il campionato personale di ognuno di voi!

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Editoriale di Giorgio Trovato

Da tempo oramai la cucina è l'elemento base di ogni palinsesto televisivo... eserciti di aspiranti novelli chef che piangono per esclusioni o che, in altri casi, scimmiottano tecniche e metodiche culinarie tramandate da generazioni. Scuole in cui spesso l’aspetto più importante si traduce nella possibilità di poter incontrare altra gente, un modo per trascorrere una serata insieme, lontani dai ritmi del lavoro. Ma tra circhi mediatici e cucine relazionali ci si dimentica della formazione. Ritengo che la cucina come espressione culturale dovrebbe essere erogata sempre al massimo indipendentemente dall'uso finale che ne faranno poi i destinatari. La Fippc ha deciso sin dall'inizio di puntare ad una formazione capace di generare un'esperienza in modo tale che questa esperienza possa poi essere trasferita al Cliente stesso. Il Cliente non si domanda più “che cosa vorrei poter assaggiare che ancora non ho mai assaggiato?", ma piuttosto “quali esperienze posso vivere che ancora non ho vissuto?". Saper generare esperienze ed aspettative richiede però alcune capacità. Intanto prevedere il tipo di esperienza che la potenziale clientela potrebbe gradire maggiormente e poi bisognerebbe riuscire a toccarne "i cinque sensi” non limitandosi solo a spiegare ciò che si propone, ma coinvolgendola in modo olistico. La qualità dovrà essere poi l’elemento principe in ogni passaggio. Chi vuole fornire qualità non può esimersi dall'approfondire ed aggiornare costantemente la propria formazione. "Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo." Abbiamo fatto nostra questa massima confuciana, ci piace l’idea di insegnare a “coltivare” conoscenze! I corsi Fippc visti quindi non come un obbligo ma semmai come una necessità, una volontà di migliorarsi per distinguersi dagli altri facendo la differenza. Buono studio a Tutti.

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Chef on the road di Alessandro Allocco

Gli Chef italiani sono ricchi di creatività, possono prendere la cucina della nonna destrutturarla e ricomporla in mille modi diversi tutti appetitosi, colorati e saporiti. Possono prendere un pasticciaccio brutto e trasformarlo in “brut e bun”, possono prendere il fast food americano e con le stesse regole trasformare il tutto in slow fast food (una contraddizione in termini che però funziona). Possono anche far proprio il concetto di “cibo da strada” tanto caro agli statunitensi e reinventarlo con regole italiane. E’ il caso del nuovo progetto della FIPPC (Federazione Italiana Professional Personale Chef) dal titolo “Personal Chef on street”. I nostri creativi del gusto hanno pensato di realizzare un corso di formazione aperto a tutti della durata di 170 ore (info e dettagli “Professional Personal Chef Academy” - segreteriafippc@gmail.com) che si occupi, in particolar modo dello street food, un’alternativa gourmet al vecchio paninaro a base di salsiccia, wurstel e crauti. Il corso sarà basato sulla rielaborazione di questi semplici piatti con l’utilizzo di prodotti de.co di qualità superiore nel pieno rispetto della stagionalità e del territorio. Il fine? Quello di offrire a costi popolari ottimi piatti in una “boutique del gusto” ambulante che, con l’ausilio di un apposito automezzo elettrico, potrà arrivare ovunque a prescindere da ZTL, dissuasori del traffico e zone cittadine coperte da vincoli particolari. Il corso ci insegnerà praticamente a gestire un locale su ruote “on the road” capace di variare la sua anima nell’arco della giornata mantenendo però invariata la QUALITA’ delle preparazioni. Come idea niente male questa fusione tra spirito imprenditoriale di stampo anglosassone e tradizione italiana, arte in movimento che si lascia contaminare da spiriti differenti creando una cucina crogiolo di profumi e sapori tra i più vari al mondo.

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Champagne 2014

di Andrea De Agostini

Il 2013 è stato sicuramente un anno difficile per tutti, anche lo Champagne ha registrato un lieve calo delle esportazioni che, analizzando le stime e non avendo ancora i dati ufficiali, hanno comunque superato i 300 milioni di bottiglie, con un volume d’affari che si attesta intorno ai 4,3 miliardi di euro. L’Italia occupa il sesto posto nella classifica dei mercati al di fuori del territorio francese, nel 2012 sono state spedite nel nostro paese 6 milioni e 245 mila bottiglie. Questo fantastico vino viene prodotto in una zona geografica, delimitata da una legge del 1927, situata a circa 150 chilometri da Parigi che occupa poco più di 34.000 ettari in un territorio relativamente esteso (da Reims alla Côte de Bar ci sono 180 km) e comprende 319 villaggi compresi in 5 distinte aree geografiche: - la Montagne de Reims, a sua volta suddivisa in Grande e Petit Montagne, patria indiscussa del Pinot Noir dove si producono Champagne rinomati per la loro potenza e struttura; - la Valle della Marna a maggioranza Pinot Meunier con vini mediamente più morbidi e fruttati; - la Côte de Blancs, dove domina lo Chardonnay, dà vita a Champagne pregiati, caratterizzati da vivacità e carattere, con aromi leggeri e delicati, simboli di finezza ed eleganza; - la Côte de Sèzanne dove si coltivano Chardonnay e Pinot Noir; - la Côte de Bar dove il vitigno principale è il Pino Noir e si producono vini di carattere, rotondi e dagli aromi complessi, più strutturati che eleganti. Le uve coltivate principalmente sono tre: Il Pinot Nero (a bacca rossa) conferisce forza del gusto e struttura al palato anche se risente in modo particolare degli andamenti climatici. Vinificato da solo o con il Pinot Meunier dà origine al “Blanc de Noirs”. Il Pinot Meunier (a bacca rossa) dona ai vini vivacità e freschezza, sensazioni fruttate che si sviluppano con rapidità grazie anche a una acidità contenuta; serve spesso ad equilibrare le cuvée composte da Chardonnay e Pinot Nero. Lo Chardonnay (a bacca bianca) che apporta naturale finezza, freschezza delicata e produce eleganza; generalmente se vinificato in purezza (Blanc de blancs) origina vini leggeri adatti come aperitivo o per iniziare un pasto.

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Tutte le fasi della coltivazione sono rigidamente e minuziosamente regolamentate dallo Statut Champenois, la vendemmia viene svolta esclusivamente a mano. Pressurage o Pigiatura è l'operazione che consiste nell'estrarre il succo dai chicchi, separandolo dalle materie solide dell'uva: raspi, bucce, vinaccioli per mezzo dei Pressoirs (torchi), che in Champagne sono abitualmente situati in locali appositi in mezzo ai vigneti; quelli tradizionali sono larghi e bassi e contengono 4000 chili di uva. Sia questi che quelli più moderni hanno la caratteristica di permettere pigiature rapide ma soffici, in modo da evitare l'estrazione del colore dalle uve nere. Lo Champagne è sottoposto a due fermentazioni: la prima (fermentazione alcolica) avviene in Cuves (grandi tini) di acciaio inossidabile e talvolta in fusti di legno; la seconda (presa di spuma) avviene in bottiglia. I vini ottenuti dopo la prima fermentazione vengono assemblati tra loro in modo da formare la cuvée. Per gli Champagne multivendemmia durante l'assemblaggio vengono impiegati i vins de réserve ovvero dei vini di annate antecedenti che vengono conservate in cantina e che concorrono all’elaborazione della cuvée. Normalmente viene utilizzata una miscela di tre annate ma le grandi Maison, che hanno la capacità di conservare diverse annate nelle loro cantine, possono utilizzare vins de réserve invecchiati anche 12 anni. Ai vini tranquilli, una volta assemblati nella cuvée, si aggiungono zuccheri e lieviti selezionati e una volta imbottigliati (tirage) si lasciano in posizione orizzontale (sur lattes) per molti mesi nelle cantine a temperatura costante di 10-11°C. È importante mantenere questa temperatura per far si che i lieviti svolgano al meglio la loro azione provocando una seconda fermentazione, trasformando lo zucchero in anidride carbonica ed alcool. La fase di creazione delle bollicine può variare da qualche settimana ad un massimo di 7/8 mesi ma normalmente dopo 3 mesi i lieviti sono morti. L’autolisi dei lieviti è il processo di autodistruzione enzimatica delle cellule dei lieviti, la finezza del perlage e la sua persistenza nel bicchiere dipendono dalla cura con la quale si segue questa seconda fermentazione e dalla durata dell'invecchiamento. Alla fine della presa di spuma la pressione interna raggiunge circa 6 atmosfere e la gradazione alcolica aumenta di circa un grado rispetto all'iniziale. Una volta conclusa la fase della presa di spuma si procede con il "remuage" ovvero l'operazione con la quale viene fatto scendere contro il tappo della bottiglia il deposito formatosi durante l’autolisi dei lieviti. Questa operazione può essere effettuata tramite l’utilizzo di speciali macchine automatiche (gyropalettes) o manualmente. Le bottiglie vengono periodicamente ruotate di un ottavo di giro ogni volta e progressivamente inclinate fino a quando, raggiunta la posizione quasi verticale, il sedimento viene concentrato a contatto della "bidule" sotto il tappo; a questo punto la bottiglia è pronta per il "dégorgement" o sboccatura. 7

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Con questo procedimento si elimina il deposito: le bottiglie, capovolte, vengono immerse in una soluzione refrigerante a meno 25°C, che congela circa 2 cm di vino. A questo punto la bottiglia viene stappata e la pressione interna espelle il ghiacciolo che incorpora le fecce. La bottiglia viene rabboccata (dosage) con la "liqueur d'expédition" e tappata definitivamente con classico tappo di sughero. Questa soluzione è composta da vino e percentuali di zucchero variabili in base alla tipologia dello Champagne che si vuole ottenere. I termini pas-dosé, nature o dosage zero indicano l'assenza di liqueur d'expédition. Le diverse tipologie dipendono dal dosaggio di zucchero grammi/litro: Extra Brut: 0/6 gr/l Brut: 6/12 g/l Extra Dry: 12/17 g/l Sec: 17/32 g/l Demi-sec: 32/50 g/l Doux: oltre 50 g/l I tappi sono di conglomerato ai quali vengono applicate dure rondelle di sughero vergine per garantire la migliore qualità e la tenuta alla pressione. Il sughero per i tappi di Champagne non deve essere né troppo duro né troppo morbido, per assicurare la perfetta tenuta nel tempo. La gabbietta (muselet) serve per trattenere il caratteristico tappo dei vini spumanti, tra il sughero e la gabbietta viene fissato un dischetto "plaque de muselet" che in Champagne porta quasi sempre i simboli o il marchio del produttore. Confezione, etichetta, capsula, collare costituiscono la confezione delle bottiglie di Champagne (“habillage”). A questo punto non resta che preparare un secchiello con del ghiaccio o mettere la bottiglia per qualche ora in frigo. 8


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Non tutti masterchef di Giorgio Trovato

Si è prossimi alla saturazione mediatica, probabilmente anche al picco della sopportabilità e fra non troppo tempo il fenomeno rientrerà nei ranghi. Non è possibile e, a volte, tollerabile, che i programmi di cucina abbiano occupato gli spazi dedicati ad argomenti più colti, di approfondimento e perfino al telegiornale. Si tratta in definitiva di una disciplina apparentemente abbordabile da chiunque e, alla fine, anche gradevole e spettacolare. A ciò si aggiungono i caratteri, le simpatie, i costumi, gli strumenti dei personaggi coinvolti e la formula è fatta. Il dibattito è ovviamente incentrato, da una parte, dai sostenitori di qualsiasi programma che abbia la cucina come focus e, dall’altra, da chi ritiene che questi programmi siano assolutamente inutili. Al dibattito è recentemente intervenuto anche Ciccio Sultano, lo stellato chef siciliano il quale ha avuto parole non propriamente di apprezzamento nei confronti di questi programmi, evidenziando come certi format televisivi siano utili a creare personaggi che sono tutt’altro che chef. Di certo la figura che ne viene fuori è differente da quella del professionista che quotidianamente cerca le migliori soluzioni per i propri clienti. Si, perché lo chef è tutt’altro. Si tratta di persone che impegnano gran parte del tempo per migliorarsi, per cercare le soluzioni nei vari aspetti del proprio lavoro, che si caricano del rispetto territoriale e delle tradizioni socio-culturali di una comunità. Prendiamo il format di un programma televisivo di successo come Masterchef. Più la programmazione va avanti e più sembra che questi concorrenti possano e debbano rappresentare la cucina italiana: non si può continuare a creare sogni e aspettative che nulla hanno a che fare con il mondo reale, con il mondo del lavoro. E, invece, ci si ritrova alla fine con soggetti senza l’adeguata preparazione, proiettati sotto i riflettori solo perché possono vantare la partecipazione al reality. Gente che scrive libri, dispensa consigli suggerendo cosa è meglio fare, cosa è “in o out”. Ma in base a quale preparazione? A quali studi? A quale conoscenza acquisita sul campo? Spesso molti programmi offrono una visione caricaturale del lavoro dello Chef, soprattutto perché scompare l’essenza della ricerca, dai sapori al piacere del mangiare, ma, soprattutto, la convivialità. Se si tratta di regalare allo spettatore qualche lampo di follia condito dalla giusta dose di curiosità può anche essere comprensibile; può essere molto simpatico vedere come un ingegnere trentenne trascor9

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ra le proprie giornate alla ricerca della spezia perfetta da combinare in modo eccellente, oppure come un grafico un po’ sopra le righe giochi con la sferificazione rendendo la cucina molecolare un po’ più accessibile a tutti. Non sarà Ferran Adrià, ma certo è che la passione si è vista tutta. E allora fin quando si tratta di mostrare la passione in tutti gli ambiti del nostro quotidiano va benissimo, ma se si vuole fare passare la cucina come un mero divertimento probabilmente si genera solo confusione. Per imparare a cucinare, farne una professione, occorre studiare; ci si applica quotidianamente, si fanno esperienze per il mondo, ma, soprattutto, si studiano le basi, in modo assiduo. Proprio per questo motivo e per sopperire alle carenze sempre più evidenti degli istituti alberghieri sono venute fuori negli ultimi anni alcune realtà che permettono al professionista di migliorare le proprie capacità. In primis l’Etoile, l’Istituto Superiore di Arte Culinaria di Rossano Boscolo che ha aperto la via a tutti quanti. Professionalità, ricerca delle migliori tecniche di presentazione, sviluppo e creazione di nuovi strumenti e accessori per la cucina. Successivamente l’Alma, che ha come Rettore il Maestro Gualtiero Marchesi, con corsi di specializzazione tenuti da molti chef stellati italiani. Andando più sullo specifico, la Personal Chef Academy della FIPPC, riservata a chi intende specializzarsi nella nuova figura del Professional Personal Chef. Corsi che vanno aldilà della sola preparazione, ma che offrono le basi anche per tutto ciò che riguarda marketing, comunicazione, tecniche di allestimento per eventi e molto altro ancora. Nel frattempo miriadi di libri invadono le librerie, da quelli firmati dalle conduttrici televisive del momento a quelli firmati dai maestri della cucina italiana. Ma, probabilmente, quello su cui soffermarci e riflettere dev’essere la comprensione dell’esatta valenza di questi elementi informativi. Lo studio, accurato e intransigente, è di fondamentale importanza, ma non può sostituire l’applicazione sul campo. La comprensione della figura dello chef e del proprio ambito operativo si realizzano solo attraverso esperienze dirette, preferibilmente a vari livelli e in ambienti culturali completamente differenti. La conoscenza delle basi e delle tecniche di trasformazione e di stoccaggio, da quelle tradizionali a quelle innovative, unite a una conoscenza profonda del territorio, può portare a reinterpretare e a fornire elaborazioni attente e rispettose di tutti gli elementi in causa: materiali, operatori che si occupano della trasformazione, utenti finali. Si pensi all’importanza del “food cost”: quante volte si è assistito a presunti professionisti con l’approccio da massaia, a cui va naturalmente il massimo rispetto, ma caratterizzati dall’ inesistenza degli elementi base: programmazione, valutazioni dei costi, prospetti di resa, tutela del consumatore. 10

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Anche per questo motivo la presenza di associazioni di categoria, come la Federazione Italiana Professional Personal Chef, risulta importante sia sotto l’aspetto formazione che sotto l’aspetto regolamentazione e tutela della figura stessa. Non ci si può improvvisare soprattutto dove la salute dell’utente finale è in gioco; non conoscere le tecniche di base, non essere a conoscenza di tutto ciò che riguarda un’attenta gestione e manipolazione delle materie prime rischia d’ingenerare confusione e mancanza di fiducia nell’utente finale. Questa è la preoccupazione vera della categoria che vorrebbe che fosse chiaro a tutti che un conto è un programma televisivo e un conto è il quotidiano. Chi, ad esempio, opera all’estero si rende conto di come in passato soggetti privi della professionalità necessaria abbia creato delle mostruosità gastronomiche diventate un must, ma che non hanno il benché minimo legame con le nostre tradizioni, con il nostro “terroir”. Bisogna, invece, evidenziare che esiste un percorso, più tortuoso forse, sicuramente più faticoso da intraprendere, ma lungo il quale assaporare colori, culture e profumi diversi. Questo non è un lavoro per tutti, ma dev’essere frutto di una scelta di vita. La voglia d’imparare sempre, di “rileggere” gli stessi ingredienti a distanza di anni, sono il lievito quotidiano di questo lavoro. Curiosità, caratteristica sempre più rara, eppure motore della vita, anche in cucina.

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Capita a volte di incontrare la fortuna... anche se è difficile da credere di Antonio Reddavide

Quando, circa un anno fa, decisi di dare un cambio netto alla mia vita lasciando un lavoro sicuro per dedicarmi alla cucina, mi augurai di avere, oltre al coraggio, anche un po’ di fortuna… e la fortuna incredibilmente arrivò, insieme alla notizia che in quel di Conversano ci sarebbe stato un corso della Federazione Italiana Professional Personal Chef. Carico di curiosità e speranze, anche se un po’ ignorante in materia, raggiungo la bella location, immersa nel verde e baciata dal primo sole di primavera. In poche ore mi resterà poca ignoranza, perché ascoltare Giorgio Trovato, presidente, uomo immagine e "maître à penser" sarà letteralmente illuminante. Trovato, coadiuvato dal bravissimo e simpaticissimo Chef Mimmo Piraino, in pochissimi giorni, mi ha fatto capire che lavorare in cucina ed essere un Personal Chef è una cosa bella, importante, addirittura di responsabilità. Musica per le mie orecchie, motivazioni incredibili, consapevolezza di essere nel posto giusto al momento giusto, con le persone giuste… fortunato, appunto. Sono giorni di scoperta: la filosofia del lavoro, le norme HCCP, la gestione del food cost e dell'attrezzatura migliore per affrontare un servizio, i rapporti con il nostro bene più prezioso ossia i clienti: nulla viene lasciato al caso, niente è da trascurare. Essere personal Chef è un lavoro di amore e psiche, ingegno e tecnica, piacere nel darsi e maniacale ricerca della perfezione nei dettagli, che rendono grandi le opere… Soul Kitchen, baby! Ma se innamorarsi di tanta bellezza è facile, costruire una storia d'amore richiede davvero tanto impegno, occorrono studio intensivo e formazione: la Fippc lo sa bene e ci convoca a Lecce per una settimana di apprendimento delle tecniche di cottura, dall'antipasto alla pasticceria, regalandoci anche un po' di storia della cucina Medievale, grazie al mantovano Chef Enzo Gola. La Fippc mi ha dato in pochissimo tempo le ali che volevo per spiccare il volo, adesso tocca a me irrobustirle. Anche partendo dalle cose più semplici, perché tutto si può impreziosire: un semplice aperitivo può diventare poesia, cantata nei dialetti dei prodotti De.Co., la gavetta nelle cucine di ristoranti e pub un'incubatrice di idee e di stimoli, una fucina di sfide e di traguardi da raggiungere e bruciare. Non ci credete? Allora non siete fortunati quanto me.

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Catapultato in cucina di Antonluca Iasi

Nella vita facevo tutt’altro ma la passione per la cucina, cominciata in maniera semplice, spontanea, apprezzando i piaceri della tavola, del buon cibo e del buon vino, mi ha letteralmente catapultato in un mondo nuovo, tutto da esplorare. Un mondo fatto di sapori e profumi accattivanti, di esperienze sensoriali complesse, di percorsi di ricerca e sperimentazione sempre più stimolanti. Un mondo fatto di studi e sacrificio in cui non vi è spazio per approssimazione e improvvisazione. Un mondo in cui il merito è ancora un valore riconosciuto e l’impegno e la determinazione fanno la differenza. Credo che l’origine di questa mia passione sia nella mia stessa vita, nelle mie radici, nei luoghi in cui sono nato. Il mio paese sorge a pochi km di distanza da Gallipoli dove, nell’area del porto, si può essere storditi dall’odore deciso del pesce freschissimo appena pescato e si può assistere ad un’asta dove sono contesi gamberoni rossi, scorfani, pescatrici, polpi, triglie e tantissimo pesce azzurro. Inoltre sono cresciuto in una famiglia matriarcale salentina in cui le donne, nonna, madre e due sorelle, sono il fulcro e il cuore dell’esistenza quotidiana della casa. Sono loro che scandiscono l’organizzazione della vita domestica, lo scorrere delle giornate, del tempo. Ricordo i risvegli domenicali addolciti dal profumo di ragù proveniente dalla cucina, ricordo le mani indaffarate a impastare lasagne e tagliatelle e i tipici e tradizionali “minchiarieddhi” e orecchiette. Qui nell’entroterra le ricette proprie dell’antica tradizione contadina sono realtà quotidiana viva e presente, come l’aroma della carne alla brace che pervade ogni strada del paese, quando qualcuno prepara “mboiacate” e salsiccia arrosto. La verdura, base di molti piatti, viene coltivata, raccolta e venduta nel rispetto reale della politica a km 0 e della propria stagionalità; viene trasformata con l’aggiunta di pochi ingredienti poveri, legumi e carne, in modo autentico e personalizzato da ogni famiglia che col tempo sviluppa e tramanda interessanti varianti dei piatti più conosciuti. Ma non dimentichiamo che il Salento è anche tanto, tanto pesce, per comprendere e assaporare appieno l’intera gamma di sapori che la mia terra offre non si può fare a meno di considerare la presenza del mare che si riflette nei molti piatti di pesce che impreziosiscono il panorama della nostra cucina. Alla fine della scorsa estate decido di dedicare parte del mio tempo ad un corso base di cucina, con lo scopo di arricchire 14


e consolidare le conoscenze e le tecniche che possedevo fino a quel momento. Il corso, organizzato da Anna Maria, si è svolto in perfetto equilibrio fra tradizione locale e approccio internazionale e mi ha permesso di apprendere le basi della cucina. Il mio entusiasmo, la smania di imparare e il mio spirito creativo mi hanno spinto, in seguito, ad iscrivermi al corso “intermediate” di Fippc a Lentate sul Seveso (MB), a poche decine di chilometri da Milano; un corso full-immersion, dall’approccio attento, personalizzato e professionale, tenuto dallo Chef Giorgio Trovato. La sua figura carismatica, la sua consapevolezza e preparazione, il suo metodo di insegnamento, mi hanno catturato immediatamente dandomi la consapevolezza di trovarmi esattamente nel posto giusto. Alla fondamentale parte teorica e tecnica, è seguito il momento di mettersi alla prova e sperimentare quanto appreso: pane, focacce, finger food, antipasti, primi, secondi piatti e dolci, preparati secondo tradizione ma anche con innovazione e creatività. È proprio da qui, da questi insegnamenti e con questo spirito, con un occhio sempre attento alla tradizione, cercando di personalizzarla e reinventarla in maniera sostenibile, che intendo contribuire alla crescita del mio incantato territorio e delle risorse che offre.

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Un lunghissimo anno da Personal Chef di Arianna Zocca

Scrivere di questo anno come Personal Chef, membro della Fippc, non sarà semplice perché sono tante le cose avvenute e le esperienze vissute. Un anno così intenso da sembrare in verità un periodo molto più lungo. Questo percorso è iniziato un po’ per gioco, con la partecipazione al Corso in Umbria, mossa sicuramente da quella passione per il cucinare, creare e reinterpretare i piatti, tipico di chi non sta ai fornelli solo per sopravvivere. Volevo intraprendere un percorso che, fin da piccola, mi aveva stregata e trasformare la propensione alla realizzazione e invenzione di certi piatti da una forma di condivisione con parenti e amici ad un lavoro; imparare a stupire, non solo con la bontà del risultato, ma anche con gli abbinamenti giusti e con l’impiattamento creativo. Ho sempre pensato che cucinare fosse in un certo senso catartico e che portare questa forma di libero sfogo della fantasia, in cucine ogni volta diverse, fosse la vera sfida. In fondo mettersi in gioco serve a comprendere i propri limiti e a provare a migliorarli! Per la verità, uscita dal corso, nonostante avessi imparato parecchio e mi sentissi più forte, non avevo nessun aiuto tangibile per cominciare veramente a propormi come Personal Chef, così ho dovuto usare tutto il mio coraggio e tentare di propormi laddove si intravvedevano delle opportunità di lavoro. Passo dopo passo ho maturato la convinzione che il Personal Chef è proprio uno Chef che “personalizza” le esigenze del cliente. In base all’evento e al tipo di invitati bisogna quindi relazionarsi con chi ci sta di fronte, capirlo, coglierne i desideri e costruire empatia, ancor prima di saper cucinare ad un certo livello. Grazie al mio entusiasmo e al know-how acquisito durante il Corso di formazione, mi sono conquistata la fiducia di alcuni Enti privati, così ho iniziato una bella collaborazione che pian piano ha fatto salire le mie quotazioni, mi ha permesso di propormi e, malgrado qualche tentativo andato in fumo, tante sono state le soddisfazioni! La formazione in Federazione mi ha messo poi in contatto con altri miei colleghi e mi ha insegnato il valore di essere una squadra; la mia collega Roberta Cannavale, che ha fatto il corso con me è una partner ideale, con la quale condivido spesso nuove sfide e vicendevole aiuto. 16


I miei cari hanno sempre creduto in me, specie mio marito e la voglia di non deluderli è ogni giorno più forte. Ho compreso che in questo mestiere non si può fallire una prova, perché il passaparola è fondamentale e quello negativo potrebbe fare molti danni all’immagine che tanto faticosamente ci si è costruiti. Di contro chi parla di noi in maniera positiva perché ci ha testato “sul campo”, potrebbe aprire invece tante nuove porte. Ogni volta che affronto una serata o un evento, mi sento forte della divisa e la indosso orgogliosa, come una corazza, quasi fosse un indumento magico; l’appartenenza alla nostra Federazione da un’allure alla figura che rappresentiamo e per quanto mi riguarda posso dire che, ogni qualvolta ne ho la possibilità, cerco di renderle onore, spiegando e pubblicizzando ciò che rappresento. Sono sicura che la Federazione ci può far crescere e rappresentare sempre al meglio, che nutra grandi aspettative dai suoi iscritti, e noi, singoli Personal Chef vediamo in essa un faro e una guida. Dopo tante avventure, spero se ne presentino ancora molte in futuro, l’importante è sapersi reinventare ogni volta e trovare la grinta per affrontare ogni sfida rimettendosi in gioco. In cucina non si finisce mai di imparare... la ricetta migliore ha tra i suoi ingredienti sicuramente una buona dose di curiosità e una di umiltà.

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La Calabria: un caleidoscopio di tradizioni di Simona Cairo e Andrea Greco

Mi chiedono spesso di parlare della cucina della mia terra, la Calabria, ed ogni volta che cerco di raccontarla mi perdo dietro le innumerevoli tradizioni che caratterizzano questa variopinta regione. Molte delle tradizioni gastronomiche di questa terra sono nate dalla necessità di superare i lunghi periodi di carestia e povertà e sono state influenzate dalle numerose dominazioni e dalle malattie endemiche, come la malaria, che hanno flagellato le popolazioni costiere, costrette quindi a migrare sulle montagne. Ad esempio, dagli Arabi abbiamo ereditato l’usanza delle conserve, che ancora oggi sono un po’ il tratto caratteristico della regione. I Greci ci hanno tramandato i “laganon”, ovvero delle larghe tagliatelle e i “makaria” da cui molto probabilmente derivano i maccheroni, i fusilli, le lagane e gli schiaffettoni. La Calabria è stata capace di fondere in un’unica cultura le più svariate influenze e di adottare come propri alcuni dei prodotti che sono poi diventati il simbolo della sua cucina: ad esempio la melanzana ma, soprattutto, il peperoncino. Un capitolo a parte meriterebbe la famosa Cipolla di Tropea, altro orgoglio regionale con delle caratteristiche uniche e inconfondibili. La Calabria inoltre può vantare anche una propria cultura casearia antica, i cui formaggi sono conosciuti ovunque: come non citare ad esempio il Caciocavallo Silano, o il pecorino crotonese, la ricotta salata o affumicata, il Butirro e la Giuncata. Ricoprono un ruolo fondamentale anche i celebri agrumi che questa regione ci offre, quali: il cedro (per liquori, estratti, creme, confetture, yogurt, dolci, gelati e sorbetti), il bergamotto (per i profumi ma anche in cucina) e la clementina, caratterizzata dall’assenza di semi, ricca di vitamine, aromatica e molto dolce, si può gustare fresca o essere trasformata in canditi, marmellata, succhi, sorbetti, dolci e liquori; senza dimenticare la liquirizia dalla quale vengono prodotti caramelle, confetti e torroncini, oltre ad essere utilizzata come vera e propria spezia in cucina e addirittura come medicina naturale grazie alle sue proprietà benefiche. Tradizionalmente, il maiale è sempre stato il re della tavola ed è ancora viva l’usanza di riunire famiglia e amici in occasione della sua macellazione. Il consumo di maiale, sia fresco che stagionato, è tutt’ora grande: capocolli, prosciutti, soppressa18


te, salsicce sono cibi molto amati dai calabresi. Infine ma non ultimo, un altro grande orgoglio della nostra terra, in particolare dell’altopiano silano, è la patata, protagonista di tanti piatti come la “pasta e patate ara tieddra”, piatto tradizionale cosentino. Questo piatto prende il nome dal particolare tegame in rame stagnato, la tieddra, che un tempo veniva usato dalle contadine del cosentino per preparare questa gustosissima pasta. La cottura veniva fatta nei forni comuni per il pane, una volta spenti; la tieddra, che conteneva tutti gli ingredienti, a crudo della ricetta e cioè pasta, sugo di pomodoro, patate, sedano, cipolla, origano, veniva messa nel forno, con le braci ancora calde anche sul coperchio. Oggi la tieddra di rame è stata sostituita dalla più moderna teglia in teflon, e il forno è quello casalingo, per il resto la preparazione è rimasta immutata.

Pasta e patate “ara tieddra” Ingredienti (per 4 persone): 250 gr di pasta corta 4 patate della Sila IGP 300 gr di pelati una costa di sedano una grossa cipolla bianca un peperoncino

150-200 gr di Caciocavallo Silano DOP tagliato a cubetti 70 gr di Pecorino Crotonese DOP grattugiato una generosa manciata di origano secco 50 gr di mollica di pane grattugiata Olio evo, sale e pepe q.b.

Preparazione: Mettere a bollire l’acqua per la pasta e, in un tegame a parte, possibilmente in rame stagnato, far soffriggere una cipolla insieme al sedano e al peperoncino con un filo d’olio. Quando la cipolla sarà appassita, aggiungere le patate precedentemente tagliate a rondelle o a cubetti, a seconda del proprio gusto, insieme ai pomodori pelati e far rosolare a fuoco basso. Buttare la pasta nell’acqua bollente salata e cuocerla per 3 minuti, quindi scolarla lasciando attaccata un po’ di acqua di cottura e versarla nel tegame. A questo punto si può aggiungere il caciocavallo tagliato a cubetti, il pecorino e la mollica grattugiati, l’origano, una spolverata di pepe e mettere il tegame in forno preriscaldato a 200°C per ultimare la cottura e per ottenere una bella gratinatura in superficie. Buon Appetito! 19

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Rinascimento... che gusto! di Alessandro Allocco

Nulla rivela tanto delle abitudini di vita e dell’ambiente culturale di un’epoca quanto le sue consuetudini alimentari. Gli usi gastronomici italiani, però, sono sempre stati del tutto particolari rispetto a quelli del resto d’Europa. Questa convinzione prende posto all’interno dei miei pensieri soprattutto dopo le chiacchierate con Giorgio Trovato. Mi fa capire e condivido, che nell’ampia varietà di vivande che già dal medioevo confluiva sulle tavole dei cavalieri nei loro castelli o in quelle dei conventi, nelle case della gente comune o nelle taverne tanto nei giorni normali, quanto in occasioni particolari, esisteva una creatività del tutto “sui generis” che si rafforzava e traeva nutrimento dalla contaminazione culturale e che portava massaie e osti del tempo a confezionare prelibate pietanze utilizzando il meglio di ciò che le dominazioni straniere potevano offrire. Mi spiego meglio: prodotti alimentari non in uso nel nostro paese, venivano importati (fin dal tempo dei romani con i datteri, ad esempio) e sapientemente utilizzati per dare vitalità, consistenza e sapore alle pietanze. E’ questo l’argomento principale del libro “Erbe, Orto e Cucina”, il verde gusto medievale del giardino edito da Guaraldi che ha focalizzato specifico interesse sui prodotti della terra come viatico per l’uomo concludendo con un parallelismo tra il passato e la necessità per il presente di dedicarsi al settore primario. Una sezione specifica di questo libro tratta di ricette che possono essere effettivamente realizzate, con indicazioni quantitative aggiornate alle attuali consuetudini gastronomiche e, soprattutto, con ingredienti citati di sicura reperibilità. È poi sorprendente come molte ricette risultino ampiamente corrispondere a quanto raccomandato dalla moderna dietetica. Chi vuole dunque deliziare i propri ospiti con l’opulenza di un banchetto medievale, potrà trovare una preziosa fonte d’ispirazione proprio nelle ricette descritte in questo libro. Ma non solo. FIPPC sta promuovendo un corso di cucina rinascimentale, il periodo immediatamente successivo ai secoli bui che certamente è stato uno dei punti più alti dell’arte, della tavola e della cucina elaborata italiana. Apparati grandiosi e messinscene senza eguali, utilizzo di professionisti addetti al servizio di tavola, collaborazioni fantasiose con noti artisti e artigiani per la progettazione degli allestimenti, portano la cucina italiana ai massimi livelli di raffinatezza e prestigio per tutto il ‘500. La cucina rinascimentale non fu retaggio del Medioevo. Si ritagliò un suo spazio autonomo distinguendosi da quel passato 20


soprattutto per la straordinaria ricchezza di ingredienti usati e di metodi di preparazione portando la tecnica culinaria, nella preparazione dei cibi ad evolversi divenendo più diversificata e matura. Sarà possibile così rivivere, con tutti i sensi, e in particolare con gusto e olfatto, lo spirito rinascimentale, giungendo a capire (ancor più che attraverso i libri di storia) quali fossero le reali condizioni di vita dei nostri progenitori di allora, un viaggio nel tempo fatto di sapori e particolari suggestivi alla riscoperta delle nostre origini europee. Vivere per alcuni tratti usi e costumi delle grandi case rinascimentali del tempo: Gonzaga, Medici e Sforza, non potrà che lasciare nelle menti dei partecipanti la magica percezione di quest'epoca di splendore e magnificenza.

Rausa

Forniture Alberghiere nel Salento www.rausasrl.it 21

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Ravioli in tempo di carne di Enzo Gola

La ricetta di questo mese è tratta dal “Libro de arte coquinaria” di Mastro Martino nato a Como che Lavorò a Roma attorno al 1450 come cuoco del Patriarca di Acquileia. Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, si ispirò all’opera di cui sopra, per la stesura de “Il piacere onesto e la buona salute” pubblicato a Roma nel 1474.

RAVIOLI IN TEMPO DI CARNE Per farne dece menestre: togli mezza libra di caso vecchio, et un pocho d’altro caso grasso et una libra di ventrescha di porco grassa ovvero una tettha di vitella, et cocila allesse tanto che sia ben disfatta. Dapoi battila bene et togli di buone herbe ben battute, et pepe, garofali, et zenzevero; et giongendovi il petto di un cappone pesto sarebe bono migliori. Et tutte queste cose distemperarle insieme. Dapoi fare la pasta ben sottile, et liga questa materia ne la pasta como vuole essere. Et questi ravioli non siano maiori d’una mezza castagna, et ponili a cocere in brodo di cappone, o di carne bona, facto giallo di zafferano quando bolle. Et lassali bollire per spazio di doi paternostri. Dapoi fanna menestre, et et mettili di sopra caso grattato, et spezie dolci mescolate inseme. Et simili raffioli si possono fare di petto di fasani et starne et altre volatile. A Mantova, terra che mi diede i natali i ravioli in tempo di carne li chiamiamo “Agnolini o anolini”.

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Ravioli in tempo di carne Ingredienti (per 4 persone): 200 gr di manzo 100 gr di pancetta di maiale 1 salamella mantovana (o salsiccia è conciata solo con sale e pepe nero e un odore d’aglio) 1 petto di pollo 2 durelli di pollo

50 gr di burro 2 uova una costa di sedano, una carota, una cipolla e pane grattugiato q.b., noce moscata, sale e pepe, formaggio grana grattugiato q.b. vino bianco q.b.

Preparazione: Tagliare a tocchetti la carne, il petto di pollo, i durelli e la pancetta, unendo la salamella e le verdure tagliati in pezzi grossi e far rosolare il tutto in una casseruola con il burro. Cuocere a fuoco lentissimo, versare il vino bianco ed eventualmente qualche cucchiaio di brodo. Terminare la cottura, passare tutto al tritacarne senza le verdure, unire le uova battute, il formaggio grattugiato e il pane grattugiato utilizzato per raccogliere il fondo di cottura delle carni. Aggiustare di sale e pepe e aggiungere un sospetto di noce moscata. Lasciare riposare l’impasto coperto da un canovaccio umido, quindi preparare la sfoglia e tagliarla in quadrati piccoli di circa 3 cm per lato. Depositare in ogni quadrato una piccola pallina d’impasto e richiuderlo a triangolo girandolo all’interno attorno al dito indice. Lasciare riposare gli anolini per qualche ora, quindi cuocerli in brodo di cappone (o gallina nostrana allevata a terra) e manzo. Servirli caldi in una zuppiera con formaggio grana grattugiato a parte.

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Un corso per scoprire una strada nuova di Federica De Prezzo

Ho incontrato Stefania Erroi casualmente ad un evento, quando neanche avrei immaginato di partecipare al corso di Professional Personal Chef, quasi nascosta dietro i mille colori del buffet. Lei era l’artefice di quelle gustose e invitanti leccornie per gli ospiti della serata e, quello che da subito mi ha colpito - a parte la presentazione che vi assicuro avrebbe colpito chiunque - è stata la sua spiegazione dei singoli piatti, un vero e proprio viaggio sensoriale ed emozionale. Ho appreso con quanto impegno e cura era stata preparata ogni pietanza, con quanta sapienza era stato ricercato ogni ingrediente che, unito agli altri, risultava perfetto. Da quella sera ho capito che anche io avrei voluto essere la protagonista di tutta quella poesia e ho deciso che sarei stata in grado di offrire quelle emozioni che provavo da bambina andando al luna park. Dopo un po’ di ricerche, e grazie proprio a Stefania, ho individuato il corso che mi avrebbe consentito di tentare quella strada… volevo diventare Professional Personal Chef! All’inizio non capivo perché veniva usato l’anglicismo che giudicavo con sufficienza “Corso di Professional Personal Chef”. Da italiana doc avrei preferito un semplice “Corso per cuoco”! Poi ho scoperto che questa esperienza era studiata per coinvolgere tutti i sensi; un vero e proprio percorso di educazione al gusto prima ancora che di “mise en scene” di ricette e tecniche di cucina. Da subito sono stata colpita dal carisma e dalla professionalità di Giorgio Trovato, uomo, prima ancora che Chef, di grande intelligenza e umiltà e dal notevole spessore umano. Ho apprezzato la sua preparazione, la sua voglia di insegnare “davvero” qualcosa, la sua gioia nel trasferire a noi il suo sapere. Grazie a lui ho imparato che la tradizione bisogna conoscerla ma a che a volte è necessario anche sperimentare; ho scoperto il rispetto per la stagionalità delle materie prime e a scegliere la qualità migliore; ho capito che sono i dettagli a fare la differenza e soprattutto che la passione è alla base di questo mestiere, ma che ha bisogno dello studio, della tecnica e della dedizione, insomma ho allargato i miei orizzonti. Frequentare il corso per una settimana in modalità full immersion è stata un’emozione continua, un viaggio tra i sapori, i profumi e i colori della cucina nell’accezione più ampia del termine. 24


Viene anche insegnato che il Professional Personal Chef è un imprenditore e per questo deve essere in grado di districarsi tra costi, guadagni e preventivi; deve saper curare le pubbliche relazioni, essere autonomo, deciso e altamente professionale; deve proporre soluzioni alternative, rassicurare e coccolare il cliente restando flessibile e animato da forte spirito di adattamento. Intraprendere questo percorso, per me, non ha significato solo diventare Personal Chef ma soprattutto abbracciare la filosofia (e la famiglia) Fippc all’interno della quale la generosità è importante e si manifesta nella voglia di educare, di trasmettere conoscenza, non solo ai corsisti ma anche ai clienti, che possono assistere alla preparazione dei piatti facendo tesoro, in questo modo, di preziose e personalizzate mini-lezioni di cucina. Quella che parte da qui è, dunque, una sorta di rivoluzione culturale nell’approccio al cibo, al gusto e all’arte della cucina. Una rivoluzione a cui vorrei riuscire a dare, d’ora in avanti, il mio piccolo contributo.

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Personal Chef

CADEMY

Diventa anche tu un

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La cucina? Passione intramontabile. di Fiorella Mellone

La prima volta che mi avvicinai alla cucina è stato durante la mia infanzia aiutando mia madre nella preparazione per il pranzo; ricordo come fosse ieri la felicità che provavo nell’aiutarla, inizialmente con delle piccole incombenze poi con lavori sempre più di responsabilità, fino ad arrivare all'intera preparazione del pasto. Mi tornano in mente l’ansia e la paura di sbagliare, superate dal senso di sfida che scattò al pensiero di fare bene e rendere mia madre felice e soddisfatta di me... fu lei a trasmettermi la passione e a farmi scoprire un mondo che considero magico. Il mondo della ristorazione mi ha sempre attratto, infatti nel 2011 ho frequentato un corso di formazione per “Tecnico della Ristorazione” della durata di 200 ore più lo stage formativo finale, ed ho conseguito il diploma. Nei tre mesi di stage, da Maggio a Luglio, ho imparato veramente tanto; si poteva scegliere se lavorare nella cucina del ristorante oppure in sala e naturalmente scelsi subito la cucina. Durante quel periodo, il caldo e la stanchezza si facevano sentire, è vero, ma piano piano entusiasmo e soddisfazione presero il sopravvento.

“La Cucina non è ciò che mangiamo. O meglio non è solo questo. E’ l’ elaborazione di materie prime secondo tecniche sviluppate nei secoli. E’ l’ambizione del buono e del bello convergenti in un solo ed unico piatto” Heinz Beck

Il corso mi ha cambiato davvero la vita; fra i docenti della parte teorica, ho avuto la fortuna di avere Stefania Erroi che, con le sue lezioni sulle tradizioni e le ricette classiche salentine, mi ha insegnato moltissime cose. Puntuale nel rispondere alle domande e con un travolgente entusiasmo, ha avuto anche il merito di avermi fatto conoscere la Fippc e il Presidente Giorgio Trovato, persona coinvolgente, comunicativa e competente.

Ho frequentato il Corso per entrare in Fippc, è stato molto emozionante e la settimana è volata via fin troppo velocemente. Indimenticabile la preparazione della Cena di Gala di Beneficenza nella cornice del magnifico Hilton Garden Inn! Una bellissima esperienza quella di lavorare tutti insieme in brigata anche se è stato faticoso preparare tutto fin dal mattino, senza fermarsi mai un momento ma... la consegna dei Diplomi insieme alla vestizione con la bellissima giacca-divisa della Federazione, cancellò all'istante ogni traccia di stanchezza! Quella sera ho potuto assistere alla realizzazione di un sogno ed ancora adesso ogni volta che indosso quella divisa provo orgoglio e felicità. Sono fiera di essere una Personal Chef della Federazione Italiana Professional Personal Chef perché ho conosciuto persone veramente meravigliose che mi hanno aiutato a capire che bisogna assecondare le proprie passioni per essere veramente felici. 26


MA D

E IN

I cibi conservati con la tecnica del sottovuoto, una volta cucinati, non hanno nulla da invidiare ai cibi freschi proprio perché il vuoto ne mantiene invariate le caratteristiche organolettiche. La creazione del sottovuoto blocca il processo di ossidazione per cui le pietanze così conservate non perdono gusto, ma risultano più stuzzicanti. Il sottovuoto evita la proliferazione di quei piccoli parassiti che, normalmente, si formano nella pasta, nel riso, nelle farine o nella frutta secca. L'irrancidimento di grassi ed olii, la formazione delle muffe, anche nei cibi conservati sott'olio. Evita di dover ricorrere alla conservazione di insaccati in olio o in strutto, sottraendosi così ad una fastidiosa e senza dubbio noiosa incombenza, ossia la fase di pulitura.

Orved Cooking System

www.orved.it - orved@orved.it

ITA

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Messico e Gusto di Gianluca Renoldi

La vita di un cuoco è spesso più frenetica del traffico nell’ora di punta a Bangkok e dopo il delirante periodo Natalizio nasce regolarmente in me il desiderio di partire per luoghi sconosciuti. Fortunatamente anche quest’anno sono riuscito a realizzare questo mio desiderio ed ho deciso di rendervi partecipi della mia esperienza culinaria in Messico. Non vedevo l’ora di gustarne i piatti tipici ed i frutti esotici tanto che preventivamente ho deciso di partire con una valigia di soli 11 kg di peso con l’idea di tornare a casa strapieno di sapori tropicali. Una volta atterrati io e Laura, la mia ragazza, abbiamo subito deciso di dedicarci alla ricerca un ristorantino tipico. Senza particolare successo, vista l’ora tarda, abbiamo preso un piatto di tacos attorno alla mezzanotte. A dirla tutta io l’ho ordinato mentre Laura mi guardava inorridita fino al momento in cui non ci hanno servito una piastra bollente di carne di manzo piccante e maiale con un contorno di crema di fagioli e rapanelli. A parte, immancabili come sempre, i soliti nachos abbinati ad una crema (guacamole) e due salse di jalapeno e habanero. Laura a quel punto non ha saputo resistere…

“Il mondo è un libro e coloro che non viaggiano ne vedono solo una pagina.” S. Agostino

Il menù di questa prima serata credo sia fortemente esemplificativo di quella che è la cultura culinaria messicana. Essa infatti esattamente come un piatto di tacos nasce dall’ incontro tra gli alimenti utilizzati dai conquistadores spagnoli e gli alimenti della civiltà azteca. E’ così che la carne di manzo, il maiale, l’aglio e le cipolle incontrano mais, peperoncini e fagioli endemici del territorio; si usa servire a parte il guacamole, piatto figlio delle esperienze di conquista degli spagnoli prima di sbarcare in Messico, nel quale l’utilizzo di avocado e pomodoro la fa da padrone.

Il giorno seguente alle sette di mattina siamo partiti alla volta di Chichén Itzà, antico sito archeologico situato a nord della penisola dello Yucatan. A bordo del pullman la guida ci disse che il pranzo dell’escursione si sarebbe svolto a metà strada tra Cancun e Chichén Itzà e che le pietanze sarebbero state riso, iguane, cervi e gli immancabili peperoncini jalapeno. Confesso di avere una vera e propria predisposizione ad assaggiare cose che non conosco e, fin da piccolo, provavo gusto nel vedere la faccia dei miei genitori quando al ristorante ordinavo il piatto più strano o esotico che avessero in carta, per questo motivo, quando ho appreso che la guida ci aveva ingannati e che, al posto di iguana e cervo, c’erano manzo e pollo ci sono rimasto male. Durante la vacanza i guacamole ed il piatti messicani a base di tortillas di mais si susseguirono fino all’ultimo giorno in cui 28


abbiamo avuto occasione di assaggiare due piatti eccezionali in un piccolo ristorante di pesce al di fuori della zona più turistica di Cancun. Abbiamo gustato una zuppa di mare freschissima e fortemente speziata in cui il chily creava una sinergia perfetta con il pesce il polpo ed i gamberi. Il secondo piatto della serata è stato un cheviche di gamberi e pesce di mare ai quali sonio stati aggiunti pomodoro, avocado, cipolla, coriandolo e il lime in abbondanza che, come nel nostro carpaccio, ne determina la cottura attraverso l’azione dell’acido citrico. Ho apprezzato molto i sapori che contraddistinguono la cucina messicana che nel 2010 è diventata Patrimonio Dell’ Umanità UNESCO. Da tre anni in italia coltivo peperoncini per un totale di una trentina di varietà e lì, nonostante ci fosse l’oceano Atlantico a dividerci, mi sentivo un po’ a casa.

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LA CUCINA DELLA MEMORIA E L'ASPARAGO CHE NON C'È di Giorgio Giorgetti

La sai quella degli animali da cortile che, se nessuno li mangiasse, nessuno neppure li alleverebbe e quindi scomparirebbero del tutto non solo dal cortile, ma anche dalla faccia della Terra? I vegetariani convinti dicono che sarebbe meglio così: piuttosto che finire al mattatoio, meglio non esistere del tutto. E magari avranno anche ragione, fermo restando che bisognerebbe sentire il parere del cappone di Morozzo, della gallina padovana, della cinta senese, dell'agnello di Zeri e così via. Magari, vivere qualche mese è meglio che niente del tutto... chi può dirlo? Ma non è questo il punto. Il punto è che, se nessuno usa più una cosa, questa sparisce: una tragica eventualità che, nella storia, sarà capitata chissà quante volte. E non soltanto agli animali, ai formaggi o alle verdure. Un po' a tutto: conosci qualcuno che parla latino? Io no. A un certo punto la gente ha cominciato a parlare in altro modo e il latino, da lingua viva che era, s'è ritrovato morto e sepolto. Queste storielle non te le butto a caso. Volevo arrivare qui: scomparire perché nessuno più li consumava è stato il destino di moltissimi alimentari locali. Ma come è successo davvero? Di chi è stata la responsabilità? Forse non c'erano più contadini che coltivavano quegli ortaggi o pastori che facevano quel formaggio? Forse la gente non li voleva più? Forse nessuno ne parlava più? O magari perché era più la spesa che il guadagno? Sì, un po' tutte queste cose assieme. Ma non solo. In queste vicende c'è infatti una chiave di lettura inaspettata, che getta una luce nitida su una verità lapalissiana, ma poco sottolineata. Quindi mettiti comodo, perché voglio raccontarti una storia vera. E sottolineare una piccola morale. C'era una volta l'asparago di Cantello. Sembrava davvero una favola, sedici anni fa, quando giunsi, per viverci, in questo paesello della provincia di Varese, circa 3.000 anime sparse fra due frazioni e un piccolo centro, a un passo dal confine svizzero. Cercando di capire se, anche in quelle contrade, ci fosse qualche prodotto locale buonissimo e raro, venni a sapere che Cantello, da oltre 60 anni, viveva nella leggenda di un misterioso asparago, buonissimo fra i più buoni, che però nessuno aveva mai visto. Né tanto meno assaggiato. Me ne parlò per prima mia moglie, ch'era del posto. Fin da piccola era stata cullata dalla fiabesca bontà di quest'ortaggio locale ma, ammetteva, non ne aveva mai mangiato uno e neppure visto. Sua madre mi confermò la leggenda, raccontandomi che molti anni prima si trovavano ancora asparagi coltivati nelle altrettanto mitiche spargere e che, forse, ne aveva 30


anche mangiati. Il forse rimbalzava anche tra le parole della nonna, lasciandomi piuttosto sperduto in mezzo alla nebbia della storia. Ma l'asparago di Cantello era qualcosa di reale oppure l'Araba Fenice del Varesotto (che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa)? Boh, non riuscivo a capirlo. Di certo sapevo questo: che da oltre 60 anni si teneva, fra aprile e maggio, la grande Fiera dell'Asparago, con tanto di cucine campestri e gente che arrivava persino da Milano e dalla Svizzera. Bello, bello... ma, la cosa strana, era che durante la fiera, fra bancarelle che vendevano ogni ben di dio, non si vedeva esposto un asparago che fosse uno. Ciò nonostante, le grandi cucine con menù tutto asparagi che fumavano sotto le gigantesche tensostrutture in mezzo ai campi, lavoravano a pieno regime. Non basta: all'inizio del paese, un grosso ristorante del luogo aveva da secoli collocato un cartello pubblicitario che nientemeno recitava: LA MECCA DEGLI ASPARAGI! Mi armai di coraggio e, un giorno di primavera inoltrata, mi recai deciso dall'ortolano del paese, da cui non avevo mai comprato neppure una carota. «Vorrei un mazzo di asparagi di Cantello» dissi. «Buona fortuna» mi rispose l'ortolano. «In che senso?» «Nel senso che io gli asparagi di Cantello non li ho mai visti da che ho questo negozio». «E quelli che si mangiano durante la Fiera?» proseguii. «Boh» fece lui. «Di Cantello non sono di sicuro». «E il ristorante La Madonnina?». «Ah, sì, loro li comprano in Liguria... ma non ad Albenga. Non so dove». «Ma allora, a Cantello, gli asparagi ci sono oppure no?». «Qualcuno li avrà anche. Magari chi se li coltiva nell'orto. Ma in giro sarà un secolo che non se ne vede uno. Giurin giuretta, croce su cuore». Ora, sono sicuro che vorrai sapere come finisce la storia e se io, frugando frugando, alla fine sono riuscito a trovare il benedetto asparago. Te lo racconto fra un istante. Prima, però, voglio dirti questo: hai capito che cosa stava succedendo? Dell'asparago di Cantello non si vedeva ombra da decenni, ma tutti pensavano che ancora esistesse. Per quale motivo? Perché nessuno aveva mai smesso di cucinarlo. Anche se non c'era. Perché i ristoranti del paesino, in stagione, spolveravano i loro bei menù tutto asparagi e rendevano 31

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Cappuccino di asparagi di Cantello con spuma di formaggella di capra Valli del Luinese Ingredienti (per 2 persone): Per la crema di asparagi 100 gr di asparagi cotti in acqua 10 gr di olio extravergine d'oliva acqua di cottura degli asparagi q.b.

Per la spuma di formaggio 100 gr di formaggella di capra Valli del Luinese 250 gr di panna fresca

Preparazione: La crema di asparagi Pulisci molto bene gli asparagi, aiutandoti con un pelapatate: l'asparago di Cantello, infatti, può essere mangiato tutto - dalla punta al fondo del gambo - se si asporta completamente la parte dura della scorza. Cuoci gli asparagi in acqua non salata, scolali e tagliali a pezzetti. Mettili in un frullatore con l'olio e un po' dell'acqua di cottura, se servisse per rendere più fluida la crema. Frulla fino a ottenere un composto ben omogeneo. Conserva al caldo, magari a bagnomaria. La spuma di formaggio Scalda a fuoco moderato la panna, finché non raggiunge gli 80 °C. A questo punto, aggiungi il formaggio tagliato a piccoli pezzi e mescola fino a quando non è del tutto sciolto. Aiutati passando il tutto al frullatore e passando la crema ottenuta al colino cinese. Metti la crema in un sifone da 500 ml e monta una carica di gas per panna montata. Tieni il sifone al caldo, magari a bagnomaria, fino al momento di servire. Servizio In una tazza da cappuccino cola la crema di asparagi, aggiungi un filo d'olio extravergine d'oliva crudo e sifona la crema di formaggio. Completa la presentazione con granella di cioccolato fondente (anche speziato, se ti piace) e polvere di cacao amaro. Puoi accompagnare con pan brioche caldo appena tostato. Ricetta dello chef Stefano Rano del ristorante Al Vecchio Faggio di Cuasso al Monte (VA) Foto di Fulvio Cavadini - dal libro Asparagi di Cantello (Edizioni PHC)

felici tutti i visitatori. Dirai che, messa così, sembra un po' una truffa... Mah, truffa forse è una parola un po' pesante. Diciamo che si giocava sull'equivoco. Ma non è questo che conta. Ciò che questa storia dimostra è che la cucina è la prima depositaria dei ricordi di un territorio, capace di compiere la magia e di resuscitare persino ciò che è morto e sepolto. Una cosa sparisce anche dalla mente se nessuno più la usa, ma non si cancellerà mai del tutto finché qualcuno la cucina e qualcun altro la mangia! Vuoi sapere come è andata a finire? Che un giorno un coltivatore più lungimirante di altri ha pensato: ma se tutta questa gente viene qui a mangiare asparagi che, in realtà, non sono di Cantello, quanta ne verrebbe se gli asparagi, a Cantello, si 32


coltivassero sul serio? E così, oggi, l'asparago è tornato per davvero e, fra aprile e maggio, tutti i ristoranti del Varesotto lo propongono e la gente fa un sacco e una sporta di chilometri pur di assaggiarlo. Sarebbe mai successo, se i cuochi non avessero mantenuto vivo questo ricordo per anni e anni, anche quando di vivo non c'era proprio più nulla? Io non lo credo. Credo che, presto o tardi, nessuno avrebbe mai più sentito parlare di quest'ortaggio. Oggi invece è vivo e vegeto. Grazie alla cucina, capace di inventare suggestioni anche dal nulla o quasi. E, a proposito di suggestioni, ho scelto di inaugurare proprio con questa piccola ma verissima storiella la mia nuova rubrica. Qui, di volta in volta, parlerò della cucina come tappa fondamentale nella salvaguardia delle identità locali. Perché oggi, se molti cibi esistono ancora o rivivono una nuova primavera, lo si deve al lavoro di cuochi e chef che non hanno mai smesso di credere, di cucinare, di servire. E, a volte, persino di illudere.

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Sono nata per fare il Personal Chef ma non lo sapevo di Maria Cristina Daraio

Il cibo è molte cose: uno scambio affettivo tra mamma e figlio, una gratificazione quando si vivono stati emozionali negativi, un modo per identificarsi come persona e come popolo, un rito ed uno strumento di lavoro… tuttavia l’ultimo della lista non esclude i precedenti. Fin da bambina sono stata sempre affascinata dall’ambiente “cucina”, dagli aromi, dal mettere le manine in pasta, era bello stare vicina alla mamma attraverso la preparazione di manicaretti semplici ed economici ma realizzati come se fossimo alla corte di un re. Trasformare alcuni alimenti “proletari” con grande impegno li portava ad avere una più degna collocazione sociale; "cicuredde , zancuni, mugnoli", rape e altre verdure in foglia, diventavano timballi gustosi, frittelle sfiziose e primi da far invidia al miglior ristorante. Di domenica era indimenticabile l’odore del pan di spagna (cotto nel forno a gas) farcito con la crema pasticcera e la copertura realizzata con gli albumi (quelli avanzati per fare la crema pasticciera) montati con lo zucchero e la decorazione fatta con i rebbi della forchetta e per completare cioccolato grattugiato. Io all’età di 12 anni ho avuto una ribellione adolescenziale culinaria e ho provato a fare il tiramisù, le crepes, i bignè… insomma mentre i miei coetanei si ribellavano per tornare tardi a casa o per andare in discoteca io lottavo per farmi acquistare alimenti come il mascarpone (sconosciuto alla mia famiglia del sud) oppure strumenti come il padellino “crepiera”oppure lo sbattitore elettrico come pure il sac à poche in lino con le varie bocchette ecc. Non ho mai pensato però di fare la cuoca, ho frequentato senza grande entusiasmo l’università ed ho fatto lavori saltuari di rappresentanza. Quelle che erano le mie emozioni le trasmettevo in cucina ma soprattutto nei dolci, mia grande passione. Sperimentavo e ancora sperimentavo, decoravo con passione le torte per i compleanni della mia unica figlia, ma anche per i miei nipoti e uscivano dalla mia umile maestria personaggi di Walt Disney piuttosto che fiori,tutti in pasta di mandorle realizzata in casa (non c’era ancora la pasta di zucchero o almeno io non la conoscevo). 34


Ho avuto la fortuna di avere un grande fan, mio marito, il quale quando gli ho proposto di farmi fare dei corsi per approfondire le mie conoscenze mi ha sempre invogliato e sostenuto, diventavo così sempre più brava e molti amici mi chiedevano di cucinare per loro, così ho iniziato a frequentare dei corsi che sono stati anche un modo per conoscere tante persone e ognuno di loro mi ha trasmesso un’emozione; di alcuni non ricordo nemmeno il nome ma di altri rimane indelebile nel mio cuore il calore umano e la professionalità, inscindibili tra di loro. Conoscere Stefania e lo chef è stata proprio un’esperienza di questo tipo, l’incontro è avvenuto durante il corso a Lentate, in Lombardia. Sono arrivata di domenica e in albergo ho conosciuto Francesca e Paolo, due colleghi pronti come me per affrontare una settimana intensa di cucina. I primi due giorni le lezioni sono state teoriche, ma nel momento in cui lo Chef ha messo il cappello e si è tolto i numerosi bracciali ho capito che si faceva sul serio. La qualità più importante di Giorgio, quella da cui io sono rimasta affascinata, è stata la sua umiltà: anziché salire in cattedra si mette a disposizione con pazienza e con l’esempio realizzando piatti sempre semplici ma originali e di gran classe, spiegati in maniera egregia (io li ho rifatti tutti), dal pane alla pasta ai dolci, della sua creatività potrei scriverne per giorni... Le parole non riescono ad esprimere fino in fondo l'esperienza che ho vissuto, il corso a Lentate è stato un vero percorso pratico e teorico. Tutti gli altri colleghi, con i quali ho socializzato erano davvero bravi e divertenti, avevamo in comune la stessa passione per la cucina, ognuno con una propria personalità. Ora grazie allo chef e a Stefania, sento di avere ricevuto gli insegnamenti di base che, uniti alla grande passione, mi serviranno per crescere nella professione di Personal Chef.

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In cucina con un Professional Personal Chef di Monica Donati

Vi è mai capitato di osservare un Personal Chef all'opera? Ma certo che si, voi lo fate di mestiere! Io invece faccio tutt'altro lavoro. Ho visto Chef all'opera nelle loro cucine, in altre strutture, ma in una casa privata mai. L'occasione si è presentata questo fine settimana quando un amico Chef ha effettuato un servizio poco lontano da dove abito e mi ha chiesto di accompagnarlo. Partenza nel pomeriggio, con l'auto piena zeppa di viveri e attrezzatura, arrivo in casa del cliente, scarico tutto il materiale e... start, si inizia. Una volta sistemato e organizzato razionalmente tutto il materiale (ho appreso che tecnicamente si chiama "preparazione della linea") comincia la fase di esecuzione vera e propria del menù concordato. Si parte dalla pulizia e dal lavaggio delle verdure passando poi alla lavorazione della carne o del pesce fino alla preparazione del dolce. In questo caso la cena verteva sul pesce. Lo chef ha messo quindi in preparazione dei finger food, vellutate di verdura con pesce, del cous cous condito in vario modo, risotto al profumo di mare, pesce in crosta e... chicca finale il dolce: tortino al cioccolato gianduia cuore caldo. In questa cucina sconosciuta lo Chef si è mosso come se ci fosse sempre stato e i piatti si sono materializzati sotto le sue mani mentre i sacchetti della spesa con le materie prime sono spariti come per magia uno ad uno davanti ai miei occhi sorpresi. Mi sembra quasi impossibile che nello spazio di una cucina si possa organizzare e preparare un menù da alta ristorazione così vario e complesso. Eppure, all'orario stabilito per la cena, tutto è ormai pronto e in cucina si è diffuso un profumo delizioso. Nel tempo intercorso tra l'arrivo e l'inizio della cena, lo Chef ha preparato tutto come se si sviluppasse, davanti agli occhi miei e dei padroni di casa, la scenografia di un balletto. I piatti hanno preso forma l'uno dopo l'altro colorando il tavolo sul quale venivano man mano appoggiati e, come in una pièce teatrale i cui protagonisti erano i sensi, si è alzato il sipario dando il via allo spettacolo: "Signori, la cena è servita!". 36


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... ma è trascorso solo un anno? di Roberta Cannavale

Essere Personal Chef non vuol dire solo saper cucinare, è molto di più, e questo l'ho capito seguendo il corso poco più di un anno fa, ma a me sembra una vita tanti sono stati gli eventi, le esperienze e le emozioni di questi ultimi 12 mesi. Io facevo la Personal Chef già da qualche anno, ma non mi sentivo "Professional"; entrare a far parte di Fippc mi ha insegnato che è fondamentale saper intrattenere buone relazioni, essere creativi, riuscire ad evocare ricordi con i sapori e i piatti di una volta, oppure emozionare ed incuriosire con piatti innovativi, ed è importante anche saper fare bene i conti. Il Personal Chef deve individuare il Food Style del cliente per produrre un menù corrispondente ai suoi gusti ed alle sue esigenze, deve avere una certa capacità di adattamento e, per completare il profilo professionale, deve avere la capacità di trovare le soluzioni più giuste e rapide in situazioni difficili. Giorgio Trovato, durante le lezioni, ci ha raccontato le sue esperienze di lavoro svolte in situazioni critiche, dove le strutture non erano attrezzate; situazioni complicate nelle quali è capitato anche a me di trovarmi... gli insegnamenti di Giorgio sono così diventati preziosi, soprattutto mi sono ricordata che mantenere la calma e non farsi prendere dallo sconforto sono le armi migliori! Quando finisce un evento c’è sempre un momento per i bilanci: arrivano i complimenti e naturalmente anche qualche critica che và tenuta in conto e deve essere usata per migliorare, ma la più grande soddisfazione rimane sempre quella di avercela fatta! Seguire il corso e far parte di Fippc mi ha permesso di conoscere tanti altri Personal Chef, con molti di loro purtroppo il contatto è solo virtuale tramite i social network, con qualcun altro si riesce ad avere anche un contatto più reale ed essere non solo colleghi, ma anche amici. Penso che nella vita qualsiasi cosa si faccia bisogna farla al meglio, senza improvvisare. La professionalità per me è importante, ma un'altra cosa importante è non sentirsi mai arrivati, c'è sempre da imparare... come diceva il grande Eduardo "Gli esami non finiscono mai". 38


Il libro consigliato di Clara Mennella

Gribaudo

I Magnifici 100

Piatti golosi, completi e colorati per mangiare sano Non è davvero il solito libro di ricette; tutte le cento proposte promesse dal titolo sono piatti unici, quindi moderni e al passo con i tempi, un prodotto dinamico, accattivante e anche easy adatto alla cucina di tutti i giorni ma in grado di offrire spunti anche per le occasioni importanti. Sono piatti studiati con grande cura e criterio, ognuno di essi contiene in maniera equilibrata tutti i nutrienti necessari per sentirsi bene, godere del cibo e rimanere in salute. Claudia Biondini ha riversato in questo libro un percorso personale non esclusivamente culinario; una Laurea in Lettere moderne iniziata a Milano e completata a Berlino, poi in giro per il mondo DG DVVRUELUH FRORUL XVL FRVWXPL WUDGL]LRQL H VDSRUL PD IDFHQGR WXWWœDOWUR Un periodo di lavoro a Buenos Aires nella produzione pubblicitaria internazionale e tanta voglia di esprimere il suo bagaglio interiore attraverso una innata creatività .

TITOLO:

I Magnifici 100 Piatti golori, completi e colorati per mangiare sano AUTORE:

Claudia Biondini Rientrata nella sua Milano sono tornati prepotentemente alla memoria i momenti vissuti di vita familiare, accanto alla mamma e soprattutto alle adorate nonne, cosĂŹ Claudia ha trovato il filo

EDITORE:

conduttore della sua vita e con questo ha cominciato a tessere la sua professione che è definiti-

Gribaudo - IF - Idee editoriali Feltrinelli

vamente quella di realizzare cose buone per se e per gli altri e di avere sempre il naso da qualche parte: in cucina, al mercato, al supermercato, nelle botteghe.

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La capacità in cucina è stata affinata collaborando con alcuni ristoranti e chef ma la via scelta da

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Claudia è quella del banqueting dove può occuparsi di tutto in prima persona: organizzazione, selezione delle materie prime, allestimento in sala; inoltre Corsi di Cucina dedicati e di Showcooking tematici, su tutto il territorio nazionale, sia per le aziende, sia per eventi e anche attività di Chef prêt-à -porter per cene a domicilio per privati. Le 100 ricette sono state elaborate con il supporto di Alice Re Dionigi, quotata dietista, perchÊ &ODXGLD JLRYDQH FUHDWLYD H YXOFDQLFD QRQ YXROH ODVFLDUH FRPXQTXH QXOOD DOOœLPSURYYLVD]LRQH 39

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Passato, presente e futuro de.co. di Roberto De Donno

Globalizzazione e tradizione, sono questi i termini che ogni giorno cerco di conciliare. E’ possibile in questo mondo sempre più globale e omologato riscoprire e valorizzare le tradizioni locali? La riscoperta e la valorizzazione delle tradizioni di ogni singola località può rappresentare un passo importante per la storia, per gli usi ed i costumi di un territorio. La tipicità di un territorio dipende dalla sua capacità di trasmettere i caratteri identitari del posto, caratteri che rappresentano il fattore di attrazione del luogo. I prodotti agroalimentari, enogastronomici e artigianali rappresentano il biglietto da visita di un territorio. Il marketing del territorio è uno strumento indispensabile per la salvaguardia e protezione prodotti locali. Si pone come mezzo di promozione e di stimolo allo sviluppo locale. Ecco quindi che la Denominazione Comunale (De.Co.), nata grazie allo straordinario intuito di Gino Veronelli, è uno strumento di tutela delle specificità locali e di conservazione del prodotto locale. Le De.Co. rispondono ai bisogni di una comunità urbana che si vuole misurare con il proprio patrimonio, la propria identità, i propri sogni, è un qualcosa non solo di culturale o artistico, bensì un importante incentivo per lo sviluppo della città e del suo tessuto imprenditoriale e sociale. Le Amministrazioni comunali hanno un ruolo centrale in questo, con le De.Co. si riappropriano della propria storia, promuovendone la crescita del proprio territorio e valorizzando i carismi del territorio ed incentivare l’imprenditorialità. I comuni italiani attraverso le De.Co. si confermano città attive, senza barriere, città aperte e capaci di modificare i propri orizzonti proponendone dei nuovi. Le De.Co. evocano suggestioni antiche e nuove, suscitano passioni e curiosità, stimolano conoscenza ed appartenenza. La De.Co. ha la capacità di rafforzare l’immagine del luogo e aumentare la percezione positiva nei confronti della cittadinanza e del turismo. Il marketing territoriale attraverso le De.Co. ha il ruolo di difendere il patrimonio agroalimentare, enogastronomico ed artigianale di una comunità e fare di questo un elemento di identità e di posizionamento nello scenario competitivo globale. 40


Per me la De.Co. è qualcosa che va oltre il prodotto in sé! La De.Co. è viva, è un concentrato di piaceri, tramanda e nello stesso tempo custodisce un prezioso “segreto”. La Denominazione Comunale è un dono, è una memoria del passato, è un viaggio, una sfida con noi stessi. Dobbiamo fare delle De.Co. il nostro futuro! Dobbiamo capire, ed insegnare a capire come si riconosce un prodotto De.Co., sono punti importanti che serviranno a riscoprire la tradizione, a conquistare la fiducia dei cittadini. Dobbiamo pensare anche alle nuove generazioni alla responsabilità che abbiamo nel tramandare non solo la storia rurale del nostro territorio, ma anche gli antichi mestieri, le vecchie manualità dell’artigianato, la cucina povera ma genuina di un tempo, riti antichi rimasti ormai nelle mani di pochi anziani; questa è la risposta alle necessità di preservare le identità locali quali ricchezze insostituibili. Ed ecco che grazie alla Federazione Italiana Professional Personal Chef, nel rispetto delle tradizioni, si va ad unire l’autenticità e l’innovazione, la cucina povera e la cucina moderna, senza assolutamente andare ad intaccare la storia di ogni singolo piatto o prodotto. Bisogna valorizzare l’autenticità, la genuinità e la specialità delle De.Co.

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Il mio percorso, dall’informatica alla cucina di Stefano Pasotti

Sono Stefano, un responsabile informatico di 36 anni e, se ci rifletto bene, la mia passione per la cucina esiste fin da quando ero molto piccolo e guardavo mia nonna preparare la torta per la domenica. Giocavo con gli avanzi e lei mi lasciava sperimentare al punto che qualche volta abbiamo anche cotto i miei esperimenti ma sorvolo sul gusto e sul risultato finale… Credo comunque che aver avuto delle nonne ed una mamma molto brave in cucina sia stata per me una grande fortuna. Ho imparato fin da piccolo ad assaggiare qualsiasi cosa e a conoscere i piatti della nostra tradizione bresciana. Nel corso della mia vita la passione per la cucina ha avuto poi alcuni corsi e ricorsi; ho dovuto innanzitutto imparare a cucinare per me stesso nel periodo della scuola e, in seguito, sono stato animato da diverse passioni tra cui quella per il vino ed i distillati. Ma la vera e propria esplosione è avvenuta quando sono andato a vivere da solo perché da quel momento è stata un’escalation: ho cominciato con le prime cene per gli amici, durante le quali preparavo piatti base come fagioli e salsiccia o la carbonara, poi ho iniziato a sperimentare cose nuove e via via che sentivo questa mia passione crescere, ho letto libri su libri di cucina, ho visto programmi televisivi e soprattutto ho frequentato alcuni corsi e molti ristoranti e trattorie della nostra bella Italia… oltre al piacere di cucinare, adoro anche mangiare. Ho iniziato ad avere un sogno, che era quello di riuscire ad aprire un locale mio, piccolino con massimo 40 coperti, in stile rustico ma, visti i tempi, ho evitato di fare un salto nel vuoto rinunciando a questa avventura troppo impegnativa anche economicamente per un principiante. L’estate scorsa sono venuto a conoscenza del fatto che esiste una federazione chiamata Fippc che offre la preparazione necessaria per diventare professional personal chef, l’unica che fornisce le indicazioni e il supporto giusti per accedere in modo serio alla professione. Ho scoperto che avrei avuto la possibilità di coltivare la mia passione con un investimento esiguo, cercando gradualmente di tramutarla in un lavoro, senza lasciare il mio impiego attuale. Mi sono così iscritto al primo corso Fippc in Lombardia ed eccomi qui, un Professional Personal Chef, pienamente consapevole di avere ancora molto da imparare, e questo per me è certamente un grandissimo stimolo. Un doveroso e grandissimo ringraziamento va a Giorgio Trovato, Chef e grande persona ed un grazie anche a Stefania, che mi ha supportato e sopportato in tutte le mie richieste durante gli splendidi giorni passati insieme. 42


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Impara l’arte… se hai le carte. di Raffaele Mariani

Sono stato allenato fin da piccolo a sentire e riconoscere i sapori, nella mia famiglia c’era l’abitudine di mangiare bene. Le mie nonne, una barese e l’altra tarantina, cucinavano insieme alla mia mamma durante le feste comandate e durante le vacanze estive; un formidabile trio che dava luogo a pranzi luculliani nei quali, queste due cucine simili e differenti si fondevano, con grande gioia di amici e parenti che partecipavano ai nostri ricchi e interminabili banchetti. Da ragazzino la voglia di conoscere sapori e odori della natura faceva si che il mio divertimento più grande fosse quello di passeggiare in bicicletta e strappare "al volo" ogni tipo di foglie ed erbe, da annusare e anche assaggiare. Da adulto, ho fatto i conti con la gastronomia tramite la mia compagna che, prima mi ha chiesto di aiutarla in cucina, poi mi ha coinvolto nella partecipazione ad alcuni corsi, anche di ottimo livello, nella mia regione; esperienze che mi hanno fatto capire di avere una naturale predisposizione. La vera svolta è avvenuta però con l’iscrizione al corso Fippc durante il quale ho avuto la fortuna di conoscere l’eccezionale Chef e Presidente Giorgio Trovato e Domenico Piraino che con tanta pazienza, umiltà, grandissima professionalità e simpatia, mi hanno trasmesso l'arte di cucinare e i suoi segreti, facendomi capire che le basi di conoscenza sono importanti ma che conta tantissimo la propria creatività, sensibilità, intuizione ed il gusto personale. E’ stato davvero un corso di altissimo livello culturale e umano. A distanza di tre mesi dal primo, ho partecipato anche al secondo step del mio corso di formazione e a quello interessantissimo di cucina antica. I risultati non si sono fatti attendere, infatti dopo pochi mesi ho partecipato ad un cooking show con Davide Mengacci e mi sono posizionato al 4° posto su 200 partecipanti, con un risotto di mia invenzione al mango, cardamomo e cannella, che è stato molto apprezzato dalla giuria di chef e docenti di cucina. Attualmente svolgo un altro lavoro e l’attività di Personal Chef è un’opportunità che penso potrò riservarmi in futuro… nella vita non si può mai sapere cosa ci riserverà il domani.

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La mia scuola è stata il mondo di Mara Coletti

Sono veneta di San Vito di Cadore e animata da una grande passione per la cucina che per me è fatta di sapori, odori e colori, sono diventata Personal Chef professionista Fippc da tre anni, anche se in realtà è da molto più tempo che cucino a domicilio. La mia principale caratteristica è sicuramente essere curiosa, sia in ambito professionale che in generale; ho deciso quindi di andare in giro per il mondo alla ricerca di prodotti e per conoscere da vicino altre realtà, cercando di apprendere il più possibile, sfidando la fatica e a volte anche me stessa. Con questo bagaglio di conoscenze sono approdata in Fippc, carica di aspettative e desiderosa di perfezionare la mia professionalità. Si è rivelata una scelta vincente, ho incontrato persone fantastiche con la mia stessa passione, ed ho trovato serietà e complicità. Vorrei regalare a tutti gli amici una mia ricetta in esclusiva che ho elaborato lavorando presso un ristorante delle mie zone.

Canederli di zucca profumati alla cannella Ingredienti (per 4 persone): 250 gr zucca gialla 500 gr pane raffermo a cubetti una cipolla 2 uova intere prezzemolo q.b.

parmigiano reggiano q.b. sale e pepe

Preparazione: Cuocere la zucca nel forno fino a quando si è ammorbidita metterla in una bull con il pane le uova il sale il pepe il parmigiano e mescolare fino a quando il pane si è ammorbidito. Mentre lasciate che il pane assorba la zucca, in un pentolino mettete la cipolla tritata con un filo d’olio e fatela appassire, poi mettetela insieme all’impasto con il prezzemolo tritato, amalgamate tutto e lasciate riposare. Trascorsa un’ora prendete il composto e fate delle palle un pò grandi come delle palline da ping-pong, e buttatele nell’acqua bollente per circa 3 minuti. Scolate e servitele su un piatto con il parmigiano sia sotto che sopra, versate del burro chiarificato bollente. Intorno al piatto spolverate con la cannella. 45


FIPPC e il Consorzio Produttori ANTICHE ACETAIE di Giorgio Trovato

L'aceto balsamico è diventato oramai, nella cucina d'autore come in quella casalinga, uno degli elementi capaci di dare quel tocco in più per rendere ogni pietanza speciale. Ottenuto unicamente nella provincia di Modena da mosto d'uva cotto, L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è sicuramente uno dei prodotti più antichi e naturali e ottiene dalla fermentazione del mosto Il periodo di invecchiamento trascorso in botte determina la qualità ed il prezzo dell’aceto: si va da un minimo di 12 anni fino a 25 anni ed anche oltre per il prodotto extravecchio. Solo dopo aver superato le analisi chimico fisiche ed il panel test della Commissione di Esperti Degustatori, viene imbottigliato nella bottiglietta progettata da Giugiaro da 100 ml, di forma sferica con base rettangolare, inserita nel disciplinare di produzione DOP (Denominazione di Origine Protetta). Ogni bottiglia è quindi contrassegnata da un sigillo di garanzia a serie numerata.

Pasta all'uovo, aceto balsamico tradizionale di Modena 25 anni riserva, culatello e parmigiano Vacche rosse Ingredienti (per 4 persone) Per la pasta all’uovo: 500 gr di Farina di Farro 15 Tuorli d’uovo 15 gr Olio extravergine d’oliva Bruzio DOP

Per il ripieno: 200 gr di Panna 200 gr di Parmigiano Reggiano “Vacche Rosse”, 36 mesi Sale e Pepe

Per la guarnizione: 100 gr di Culatello a julienne Aceto Balsamico tradizionale consorzio di Modena, 25 anni

Preparazione: Scaldare la panna, aggiungere il parmigiano. Far riposare in frigo. Impastare la farina di farro con i tuorli d'uovo e l'olio. Far riposare la pasta per 30/40 minuti e poi stendere finemente. Ricavare dei dischi dal diametro di 6 cm. e farcire i tortelli con l'aiuto della stessa sac à poche. Preparare una salsa al parmigiano riscaldando 100 ml di panna alla quale verranno aggiunti 2 cucchiai da tavola di parmigiano; una volta pronta la salsa se ne utilizzerà una cucchiaiata sul piatto da servizio e su di un lato verranno poste delle gocce di aceto riserva 25 anni del Consorzio balsamico di Modena. 46


L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è sicuramente uno dei prodotti più antichi e naturali. Il periodo di invecchiamento trascorso in botte determina la qualità dell’aceto: da un minimo di 12 anni fino a 25 anni ed anche oltre per il prodotto extravecchio. Solo dopo aver superato le analisi chimico fisiche ed il panel test della Commissione di Esperti Degustatori, viene imbottigliato nella bottiglietta progettata da Giugiaro da 100 ml, di forma sferica con base rettangolare, inserita nel disciplinare di produzione DOP (Denominazione di Origine Protetta). Ogni bottiglia è contrassegnata da un sigillo di garanzia a serie numerata. L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, grazie ai sui aromi dolci e delicati, può essere abbinato dall’antipasto alla frutta. Per informazioni ed acquisti: paganoprom@hotmail.com

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La Vetrina: Novità dalle aziende La Società Agricola Trevi “Il Frantoio” i cui oliveti si estendono nei comuni di Trevi, Foligno e Campello sul Clitunnio nel cuore dell’Umbria, è un’azienda fondata negli anni ’60 con un percorso di crescita e rinnovamento continuo. Dal 1992 propone la linea Flaminio, un’accurata selezione dei più apprezzati prodotti agroalimentari tipici dell’Umbria e dell’Italia riservata alle migliori enoteche, wine bar, gastronomie e all’alta ristorazione. Composta dai quattro ingredienti principali della tavola italiana – olio, pasta, legumi e aceto – la linea Flaminio è prodotta secondo rigidi standard qualitativi e si distingue per il gusto e per la passione con cui viene realizzata. Prodotto di punta l’Olio Flaminio D.O.P. Umbria, un olio Evo tipico per il suo sapore intenso la cui filiera, dall’oliveto fino alla bottiglia, viene controllata e certificata con il sistema di Rintracciabilità UNAPROL UNI EN ISO 22005:08. Attraverso il numero identificativo, posto su ogni bottiglia, è possibile ricevere, con un sms, tutte le informazioni dal luogo di produzione fino alle analisi chimiche.

Da un’antica e nobile famiglia siciliana, da un secolare contatto con la nostra terra e dall’amore per la propria isola nasce Trimarchi di Villa Marchese il riferimento unico per gli amanti del vero gourmet “Made in Sicily”. Riscopriamo insieme le originarie materie prime siciliane sapientemente lavorate con solo olio extra vergine d’oliva di qualità superiore: le antiche fragranze del verde pistacchio di Bronte e della bianca mandorla di Avola nei pesti e nelle creme dolci, la primordiale salinità del rosso pomodoro ciliegino di Pachino nei sottoli e nei patè, la vivacità ed i profumi dell’arancia rossa delle pendici dell’Etna, l’essenza della zagara dei limoni di Siracusa nelle marmellate. Lasciatevi incantare dai colori vivaci della natura, abbandonatevi agli antichi odori e ai sapori di una cultura millenaria che ritrovano armonia e tradizione nei prodotti Trimarchi di Villa Marchese… semplicemente Sicilia Gourmet!

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a cura della Redazione Riso Buono viene prodotto nella tenuta di Casalbeltrame (NO) di proprietà della famiglia Luigi Guidobono Cavalchini. Il Riso Buono Carnaroli Gran Riserva è un riso che viene fatto invecchiare un anno da grezzo. Questo permette di di aumentare il suo volume originale creando una minore dispersione di amido e minerali nella cottura. I chicchi del Carnaroli Gran Riserva non si attaccano durante la cottura e la mantengono meglio evitando di scuocere. Il Riso Artemide nasce dall'incrocio tra il riso Venere (a granello medio e pericarpo nero) ed un riso di tipo Indica (a granello lungo e stretto e pericarpo bianco). E' un riso integrale, aromatico, di colore nero. Ha un aroma intenso e gradevole e una bella forma allungata. Ha un contenuto molto alto di ferro e di silicio, molto importante per le sue proprietà antiossidanti. Il riso Artemide è ottimo cucinato con i formaggi e le verdure. www.risobuono.it - info: risobuono@ics-comunicazione.it

100 candeline per l’azienda Giacinto Callipo Conserve Alimentari SpA La Giacinto Callipo Conserve Alimentari SpA, azienda leader nella produzione di tonno e conserve ittiche di qualità nel 2013, ha raggiunto un prestigioso traguardo: i suoi primi 100 anni di attività. Fondata nel 1913 a Pizzo da Giacinto Callipo, oggi è guidata dal Cavaliere del Lavoro Filippo Callipo (che rappresenta la quarta generazione della famiglia) e ha il suo vero punto di forza nella lavorazione del tonno, effettuata completamente in Italia a partire dal pesce intero. Callipo Group è un gruppo societario di sei aziende che occupano complessivamente oltre 300 addetti. Lo stabilimento dell’azienda è a Maierato (VV), si estende su una superficie di circa 34.000 metri quadrati, 9.000 dei quali coperti, e offre un’immagine di modernità ed efficienza per l’avanzata tecnologia degli impianti e delle attrezzature. Infatti le tradizioni sono centenarie ma l’azienda guarda avanti, anche in materia di e-commerce con il recente lancio del sito http://shop.callipo.com

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Personal Chef

CADEMY

I corsi FIPPC di Stefania Erroi

E anche il 2014 ci vede al centro dell'offerta formativa in chiave professionalizzante. Resta infatti la Formazione il perno centrale attorno a cui ruota il "Pensiero Fippc". Non solo formazione in termini professionali e con arricchimenti che toccano argomenti come "strategia comunicativa e marketing", ma soprattutto preparazione a quella che è la richiesta di mercato nazionale e internazionale che ricerca aspetti più profondi, come l'adesione ad un codice deontologico (che tracci le regole comportamentali e gli aspetti etici di questa professione fortemente rappresentativa nel nostro Paese) e l'unione sotto l'egida di un obiettivo comune che è quello di diffondere la nostra cucina nel mondo affermando con forza e orgoglio che tradizione, ricerca e rispetto assoluto delle materie prime, garantite e selezionate, sono i punti di partenza per fare e fare bene. Diversi i Corsi in partenza e diverse le specificità: Corso Intermediate Fippc (24 - 30 marzo 2014) per diventare Personal Chef Professionista ed entrare a far parte della Fippc; Corso Professionale di Pasticceria per la Ristorazione (20 - 23 marzo 2014);

Corso di Cucina Rinascimentale;

Corso sulla Pizza e gli impasti gluten free;

Corso sulle tecniche di cottura sottovuoto e a bassa temperatura;

Corso sul mondo dello Champagne: studio degli abbinamenti e corretta degustazione.

Questa solo una parte della nostra offerta Corsi. Per ricevere informazioni puntuali e dettagliate su queste proposte e altre ancora vi basterà scrivere a: segreteriafippc@gmail.com

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Primo piano su:

Corso Fippc Academy: Pasticceria da Ristorazione In qualsiasi ambito lavorativo ci si confronti è oramai idea comune che bisogna dedicare grandissima attenzione al momento del dessert perché è rappresentata proprio dal dolce l'emozione e il ricordo ultimo che il cliente porta con sé andando via. Questo corso è stato pensato per chi desidera arricchire la propria proposta con dolci freschi, attraenti dal punto di vista visivo e “fatti in casa”, ma allo stesso tempo che siano di semplice e rapida esecuzione oltre che leggeri e bilanciati dal punto di vista calorico e della leggerezza. Partendo dalle basi della pasticceria classica, ci soffermeremo sulla realizzazione di: * Pre-dessert * Dolce in mono porzione * Dessert al piatto, caldi e freddi, di vario tipo (bavaresi, mousse, tartellette con ripieni vari, meringhette, sfogliatine, tortine ecc...) * Piccola pasticceria per il post cena, in abbinamento a caffè e distillati * Dolci al cucchiaio * Dolci classici e nuove interpretazioni Il corso è rivolto a tutti coloro che operano nel settore della ristorazione a vari livelli, del Banqueting e Catering, della pasticceria e della gastronomia in generale. Data: Dal 20 al 23 marzo 2014 Per info: segreteriafippc@gmail.com

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Correva l'anno 2014... e il mondo si riempiva di Chef di Paolo Fogliatti

La tv ci bombarda di programmi condotti da un variopinto arcobaleno di colleghi che ci propongono piatti di ogni genere (preferisco non emettere giudizi al riguardo) e così i clienti si presentano nei ristoranti molte volte con menù già pronti per un eventuale banchetto da organizzare. Per non parlare di Internet in cui si trova di tutto e di più. Così a volte mi chiedo cosa concretamente possa fare per salvaguardare la mia professione. Sono uno Chef come tanti, meno bravo di alcuni, più bravo di altri. La mia posizione me la sono guadagnata “sul campo”, dopo anni di lavoro in grandi cucine e solo dopo che il mio chef di allora decise che ero pronto a fare questo passo. Adesso ho 50 anni, lavoro in una cucina di un ristorante da 250 coperti di media al giorno, sono a capo di una brigata di 7 cuochi fissi più extra all’occorrenza e, sinceramente, il fatto che il mio mestiere si stia così inflazionando mi irrita parecchio. Qualche mese fa ho pensato di cercare in rete l’eventuale esistenza di un’associazione che si occupasse, in maniera possibilmente seria, di radunare professionisti in grado di organizzare eventi in casa delle persone ed è così che sono finito sulla home page della FIPPC. Ho letto con attenzione quello che mi interessava e ho inviato una mail chiedendo in che modo avrei potuto farne parte anch’io. Dopo pochi giorni sono stato contattato e mi è stato proposto di partecipare ad un corso che si sarebbe tenuto a Lentate sul Seveso. Ho quindi deciso di iscrivermi, ovviamente con il dovuto scetticismo che mi caratterizza, scoprendo però già dopo il primo giorno che la mia scelta si era invece rivelata giusta. Il nostro “Prof.” Chef Giorgio e la super collaboratrice Stefania si sono dimostrati competenti, preparati e sopratutto con le idee molto chiare. Quello che che mi ha colpito di più è che il loro pensiero si trovava perfettamente in linea con il mio, soprattutto nel ribadire più volte il concetto secondo il quale un professionista non si deve svalutare perché nel nostro caso la cucina non è un gioco ma una professione e il nostro lavoro, svolto sempre al meglio delle nostre possibilità tanto da tradursi in "arte", non potrà che avere un giusto costo; ovviamente ripeto trattandosi di professionisti e non di amatori o dilettanti allo sbaraglio. Ho finalmente trovato attraverso la Federazione lo stimolo che cercavo e ho deciso che questa sarà la prossima strada che percorrerò grazie a queste due splendide persone che ho conosciuto in maniera direi quasi casuale. Sono felice di essere anch’io un Professional Personal Chef Fippc.

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IL RAME STAGNATO, DOVE REGNA LA NOBILTÀ DEL FUOCO

Il Rame Baldassare Agnelli è particolarmente indicato per le cotture più lunghe ed accurate, per le lavorazioni anche pasticciere a temperature precise, e per gli appassionati che sanno“muovere” le pentole fra i fornelli, governando a dovere calore e colpi di fiamma. Le pentole in rame si tramandano di generazione in generazione; la patina del tempo le rende più che mai affascinanti. Frutto di una grande maestria artigiana, la gamma è disponibile sia in rame liscio, la lavorazione più attuale, dal moderno design, che in rame martellato, la lavorazione più classica, dal fascino antico.

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Fippc eventi: esperienze indimenticabili di Giusy Rotelli

Nello scorso articolo vi ho parlato un po' di me per farvi conoscere chi é Giusy e cosa significa per me far parte della Fippc, come ha aperto la mia mente e come ha migliorato la mia professione da foodblogger e l’ approccio con la cucina. Ora vorrei raccontarvi di un'altro importante aspetto, quello degli "Eventi" vissuti con la Federazione Italiana Professional Personal Chef. Da quando sono Associata Fippc sono stata presente a due grandi manifestazioni, durante lo scorso anno, che ci hanno resi protagonisti: la prima si é svolta a Gallipoli, la seconda, nel mese di ottobre a Bologna in occasione dell'Evento "Patata in Bo" presso il palazzo Re Enzo, dove abbiamo realizzato tantissime tipologie di finger, dal salato al dolce, tutte a base di patata da far degustare a Stampa e Autorità nella serata inaugurale. L'evento di Gallipoli é stato effettuato invece in occasione dei Campionati Mondiali di Offshore. Adrenalina a 1000, grande felicità nel ritrovare gli amici di corso e nel conoscere nuovi colleghi. Eravamo li tutti insieme da mattina a notte inoltrata: una cucina mobile situata sul porto di Gallipoli ed una decina di Personal Chef Fippc che si alternavano tra pranzo e cena. Dieci giorni in cui si è accumulata esperienza in modo intenso, preparando piatti che spaziavano dal cous cous di pesce alla frisa salentina con sughetto di calamari in umido... tanti calamari a cui si sono aggiunti seppie, gamberi e tanto altro pesce freschissimo rielaborato in tante gustose e originali ricette. Personalmente la pulizia del pesce non è mai stata il mio forte perché non é semplice come sembra ma in quell'occasione il nostro Presidente Giorgio Trovato ci ha spiegato le corrette tecniche e le modalità per raggiungere un risultato ottimale. I rumori dei coltelli sui taglieri sembravano sinfonie e ogni tanto da quel suono a ritmo cadenzato, qualcuno intonava pezzi di qualche brano, perchè il lavoro é anche armonia e si lavora meglio quando il clima é rilassato e piacevole. Dopo un'intera mattinata di preparazioni ecco che si arrivava al servizio serale. La soddisfazione avvicinandosi ai tavoli e incontrando i sorrisi dei commensali sui loro volti era tanta e quei sorrisi riuscivano a cancellare di colpo la fatica dell' intera giornata. Ore 2:00, finita la giornata lavorativa, un abbraccio collettivo, una pacca sulla spalla per la serata riuscita e tutti a riposare perchè il mattino dopo calamari, polipi, seppie e gamberi erano lì pronti ad aspettarci per una nuova ricetta. Un po' mi mancano quelle giornate ma poi mi ricordo che la Fippc è sempre in movimento, che non si ferma mai e che quindi... quindi... quindi è in partenza Cibus a Parma: amici si parte!!!

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Millefoglie di pesca al sentore di caffè Ingredienti (per 2 persone): 2 pesche noci liquore Grand Marnier zucchero di canna alla vaniglia

Per la mousse: 140g di formaggio spalmabile 3 cucchiai di zucchero semolato 2 cucchiai di crema alle nocciole polvere di caffè

Preparazione: Tagliare delle fettine di pesca sottili e metterle in una placca foderata con carta forno. Mettere sulle pesche una spruzzata di liquore e lo zucchero di canna ed infornare a forno ventilato a 120°per 10 minuti circa. Spegnere il forno e tirare fuori la teglia. In una ciotola mescolare con una frusta il formaggio, lo zucchero e la crema alle nocciole. Mettere tutto in una sacca da pasticceria con beccuccio a stella e procedere all'impiattamento. Alternare le sfoglie di pesca alla nostra crema ed alla fine spolverare con polvere di caffè. Frutta, caffè, crema alla nocciola... un dolce strepitoso adatto in diverse situazioni e perfetto per la colazione.

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personal chef magazine il mensile dei personal chef italiani


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