FIAT LUX IV

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N.4

"PHOBIA"


DEDICHIAMO

(nel giorno della loro commemorazione) questo numero: alle vittime della Shoah agli Armeni trucidati nel 1916 alle vittime dei campi di concentramento cinesi a tutti coloro che, perseguitati per le loro idee, per la

Perchè l'umanità non ha ancora capito niente

loro nazionalità e per la loro religione, vivono nella paura.

Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi. -Primo Levi


“L'uomo

Arrivare

porta

ad

dentro

non

di

avere

più

le

sue

paura,

paure

questa

bambine

è

la

per

meta

tutta

ultima

la

vita.

dell'uomo.”

ITALO CALVINO

Fiat Lux – rivista letteraria Tutti i diritti riservati. Instagram:

@fiatlux_rivistaletteraria


PREFAZIONE Per

quanto

si

voglia

evitare

di

ammetterlo,

tutti

abbiamo

paura. In un certo senso è la paura (insieme a tanti altri sentimenti) che

ci

rende

quotidiano,

umani;

volenti

o

è

qualcosa

nolenti,

a

che

volte

permea

influendo

il

nelle

nostro nostre

azioni e nelle nostre scelte. Abbiamo paura di amare. Abbiamo paura di rimanere soli. Abbiamo paura di essere felici. Abbiamo paura di morire. La

paura

è

sempre

stata

trattata

in

molti

modi

diversi,

in

miriadi di sfaccettature, ed artisti più grandi di noi ne hanno tratto film, intessuto libri, modellato opere d'arte e noi, oggi, non

facciamo

altro

che

unirci

alla

fila

del

già

visto,

ma

lo

facciamo a modo: ogni

redattore

generico,

ha

come

scritto

si

non

sarebbe

della

tentati

paura di

nel

fare,

suo ma

senso ha

più

scelto,

complici esperienze personali, una fobia in particolare (da qui il nome del nuovo numero), Questo offrirvi

mese un

vi

offriamo

quarto

un

numero

ventaglio

di

ampio,

otto

vario,

fobie,

per

ricco

di

sperimentazione e personale come non mai. Detto ciò, non mi resta che augurarvi una buona lettura...

Non abbiate paura di splendere.

FIAT LUX: RIVISTA LETTERARIA Il fondatore e capo redattore


PROSA A CURA DI

Sara Paolella Pasquale Bruno


Prosa

SOCIOFOBIA LA PAURA DELLE SITUAZIONI SOCIALI "Il silenzioso terrore di vivere"

virginia fa fatica a respirare ogni volta che apre gli occhi e li apre ogni mattina quando il sole passa dalla finestra coperta a metà dalla tenda scura che lascia filtrare la luce della luna la notte perché virginia ha paura del buio ma ha paura anche del sordo silenzio che avvolge casa sua e le stanze dove sta virginia non parla ha paura di parlare non sa mai cosa dire e se dicesse la cosa sbagliata poi che succederebbe? Accadrebbe la fine del mondo la vita come la conosce finirebbe anche se virginia lo sa che sbagliare è naturale e accade costantemente per lei sbagliare è semplicemente la fine del mondo a volte quando sbaglia vorrebbe avvizzire seccare come fanno le foglie d’autunno avvolgersi su sé stessa e annullarsi fino a tornare polvere virginia se lo chiede ogni mattina quanti sbagli farà durante la giornata quante cose dovrà fare come le dovrà fare per evitare di sbagliare e ogni volta che ci prova qualcosa la sbaglia sempre perché virginia è stupida - ma stupida non è - e allora virginia la mattina non si alza ma si rigira nelle lenzuola bianche desiderando di scomparire guardando i merli che volano fuori la finestra e sognando di poter fuggire come loro di andare via senza dare fastidio a nessuno perché virginia non vuole mai dare fastidio eppure sente che con ogni suo respiro sta disturbando l’umanità intera ma poi all’umanità che importa di virginia? A nessuno importa di virginia forse nemmeno a lei «Virginia, non si fa così» Ha ragione Julian virginia se lo ripete sempre che non si fa così ma come si fa? Se solo le avessero dato un manuale su come vivere qualcuno dovrebbe scriverlo e allora virginia pensa che un giorno lo scriverà lei sì! un giorno scriverà ma in realtà ha ancora tante cose in sospeso da terminare come la storia di Clarissa che va a comprare i fiori, la storia della famiglia Ramsey in gita al faro e nella testa di virginia succedono così tante cose che a starle dietro viene il fiatone perché la testa di virginia è un groviglio intricato di idee che non si capiscono molto bene e nemmeno virginia capisce a volte


Prosa

Adrian glielo ha detto «smettila di fare così e fai la persona normale» ma come si fa a mettere ordine nella propria mente? Orientarsi nel labirinto che ha in testa è arduo e virginia ormai non ci prova nemmeno più a dare un senso ai suoi pensieri anche perché sa che non interessano a nessuno e lei non vuole infastidire il mondo con le sue stranezze vorrebbe solo zittire la voce dei suoi pensieri farla stare zitta farla stare zitta farla stare zitta PERCHÉ NON STA ZITTA virginia mangia e si tira leggermente i capelli lo fa spesso perché a volte il dolore la distrae dalla voce che ha nella testa che non sta mai zitta e che le dice tante cose che le fanno venir voglia sì le fanno venir voglia proprio di scomparire nella sua stanza sotto le coperte schiacciata dal peso del mondo al quale non importa di «Ciao Vanessa» virginia saluta la sorella perché se conversa e se si tiene impegnata la voce che le parla nella testa sembra affievolirsi almeno un po’ ma è solo un’impressione perché la «verrà qui oggi» voce non sta mai zitta e non le fa ascoltare il mondo come fa a stare in silenzio perché non sta in silenzio perché non sta «Virginia mi senti?» in silenzio come si spegne virginia ha una ciocca di capelli tra le mani e incontra gli occhi di Vanessa esterrefatti virginia si alza e corre fuori scappa corre a piedi nudi sull’erba e si ripara all’ombra del salice piangente almeno lui verserà qualche lacrima per virginia che stranamente non riesce più a piangere perché non piangi virginia? Se lo chiede sempre ma forse è perché ogni volta che sta per fare qualcosa il pianto le si blocca in gola sente il groppo di lacrime che le pesa addosso e non si toglie no virginia è schiacciata dal peso del mondo ogni giorno e come si fa a sopportare il peso del mondo forse nemmeno in quel manuale che vuole scrivere troverebbe la risposta però quando scrive virginia non la sente più la voce che ha in testa e allora si poggia con la schiena affaticata contro il tronco del suo amato salice e il mondo le sembra un po’ più leggero Ci sono momenti in cui virginia pensa di potercela fare di poter riuscire a fare tante cose tipo leggere le sue storie in pubblico senza paura non come quella volta in cui aveva deciso di leggerle ai suoi fratelli e la sera prima aveva cominciato a tremare ad annaspare a soffocare e l’aria non le arrivava ai polmoni come si fa come si fa come si respira virginia aveva dimenticato come respirare ma aveva imparato a morire schiacciata dal peso del mondo e la voce non faceva nulla per aiutarla O come quando voleva salutare Leonard e dargli un bacio ma virginia non vuole prendersi in giro perché sa di non essere un granché e allora gli gira la testa e non lo saluta e ora virginia non vuole più uscire di casa perché la casa è sicura anche se ha paura pure della propria stanza ma il mondo esterno è pericoloso e virginia si chiude in camera e non esce resta lì perché sa che sta sbagliando tutto non sa fare la sorella dovrebbe essere più gentile non sa fare l’amica ha così tante lettere alle quali dovrebbe rispondere povera virginia il mondo è facile ed intoccabile per lei e si tocca la testa continuando a tirarsi i capelli ma lei non sta mai zitta un giorno lo sa un giorno lo sa che la spegnerà deve solo capire come


Prosa

virginia quando si mette sotto al salice contempla sempre il fiume che passa lì vicino e chiude gli occhi e sa che un giorno quando troverà il coraggio di scomparire si lascerà trasportare dalla corrente proprio come la sua amata Ofelia tornerà nell’acqua farà proprio come le foglie d’autunno si poggerà sulla superficie del fiume e ritornerà polvere La vita è facile tutto è facile ed intoccabile perché virginia sa fare tutto e non può farlo la voce le dice di restare ferma immobile la paralizza la afferra non la lascia mai virginia non sa liberarsi ed è costretta a guardare il mondo da dentro una prigione invisibile che si è costruita da sola e che non riesce più a scavalcare virginia ha così tanta paura ma come si fa a non avere più paura di sé stessi e della voce che parla parla parla e le dice che non si fa così che sta sprecando la sua vita e che è inutile continuare a respirare che è inutile continuare a salutare Leonard che è inutile sorridere perché il suo sorriso non è aggraziato quanto quello di Vanessa che è inutile scrivere perché nessuno si ricorderà di lei e perché anche scrivendo la voce non si spegnerà mai e virginia guarda sempre il fiume chiude gli occhi e pensa ad Ofelia e vorrebbe dormire ma se dorme poi si sveglia e ricomincia dall’inizio perché

SARA PAOLELLA


ATHAZAGORAFOBIA PAURA DI ESSERE DIMENTICATI

"Un brindisi al deserto che sono" BUIO Cono di luce (Un uomo seduto ad un tavolino del bar si versa da bere)

Giovanni: Di solito quando una persona decide di bere, lo fa più o meno per quattro motivi principali: per mero piacere, per festeggiare una ricorrenza, per soffocare un malessere e, nel mio caso, per celebrare una partenza, la mia partenza. Potrei iniziare dicendo tante cose, oppure semplicemente non dico nulla: alzo il bicchiere verso l’alto, butto giù e me ne vado, così (si alza, beve, fa spallucce e riguarda il pubblico), ma sarebbe scortese nei vostri confronti che siete venuti qui apposta per ascoltare quello che ho da dire, quindi credo sia giusto che prima di congedarmi scambi almeno qualche parola con voi (si risiede).


Mi chiamo Giovanni, ho cinquantaquattro anni e sono sterile. Mi chiamo Giovanni. È un nome ebraico. Significa Dio è misericordioso. Con me non lo è stato. Mi chiamo Giovanni, ma potete chiamarmi Nessuno. Mi chiamo Giovanni ed ho paura. Ho una paura fottuta. Perché quando morirò, non avrò lasciato niente di diverso in questo mondo se non un posto vuoto che non verrà riempito che dal nulla. Mi chiamo Giovanni e per trent’anni ho fatto il bibliotecario. Per trent’anni mi sono occupato di custodire la memoria, i pensieri, le vite e le parole di chi, prima di me, ha calpestato lo stesso suolo che sto calpestando io, di chi, per combattere la paura dell’oblio ha colmato la sua vita di gesta straordinarie, di chi per vincere il nulla ha prodotto dalle sue mani, plasmando il marmo e l’inchiostro, opere come non ne sono state mai viste. Mi chiamo Giovanni e per trent’anni ho protetto, ma non ho mai dato. Mi chiamo Giovanni e per cinquantaquattro anni non sono stato uomo, sono stato un animale. Perché come i gatti ed i merli non ho fatto altro che limitarmi a vivere: vivere una vita fine a sé stessa. Sono andato a dormire la sera, diciannovemilaseicentocinquantaquattro volte, con la consapevolezza di non aver fatto niente di buono o bello per il mondo, ma comunque ero soddisfatto, perché sazio di cibo e di bevande, come vanno a dormire i cani, sapendo che anche oggi hanno mangiato a sufficienza per vivere un altro giorno; ed ora mi rendo conto che mentre i i merli i gatti ed i cani chiuderanno gli occhi per l’ultima volta sapendo che i loro figli continueranno a sopravvivere per il mondo come hanno fatto loro, continuando la loro specie, in questa parodia dell’immortalità, l’unica, che è concessa agli esseri viventi, mi rendo conto che a me non è stato donato nemmeno questo lusso; e quel poco che potevo fare, dire ed insegnare affinché una nuova vita nata da me potesse, magari, riuscire a compiere ciò che per indolenza e stupidità non ho mai fatto mi è stato negato.


E se per cinquantaquattro anni non sono stato un uomo, ora mi rendo conto che non sarò nemmeno un animale perché quando verrà la mia ora, e mi volterò indietro per vedere cosa ho seminato dietro di me, ad accogliere il mio sguardo ci sarà solo il deserto, sterile come il mio seme e come lo è stata la mia vita. (si rialza dal tavolino e cammina lentamente verso la fine del palco) Quando morirò pochi piangeranno e per poco tempo lo faranno perché per loro io non ho significato nulla, ed il mondo, e la società non avvertirà la mia assenza, se non per poco, perché non sarò altro che una bocca in meno da sfamare. E lentamente ed inesorabilmente scivolerò nell'oblio da dove sono nato e dove inconsapevolmente ho vissuto per cinquantaquattro anni. Perché? Perché io sono Giovanni e domani sarò Nessuno. Perché sono Giovanni e Dio mi ha benedetto. Perché sono Giovanni e domani sarò dimenticato come tanti altri lo sono stati prima di me, e lo saranno dopo. Ed ora, se volete scusarmi io vado. Non ho voglia di aspettare l'inveitabile ed il mio cadavere non si getterà da solo da tetto. Alla salute! (beve tutto d’un fiato e si asciuga la bocca con la manica) Buona serata.

(esce) Buio

Pasquale Bruno


Poesia A cura di:

Tania Ferrara Giovanni Signorile Emmanuele Zottoli Alessia Pierno


Poesia

MONOFOBIA LA PAURA DI RESTARE SOLI

"INQUIETA SOLITUDINE" Sono un animale sociale eppure la folla mi divora. Le dita contano gli amici eppure nessuno mi conosce davvero… Chiudo la porta e mi nutro di te, vino inebriante di libertà, assenzio amaro di tormento. Le tue ruvide mani mi hanno scelta. È un incontro con me, anima incompresa, un filo spezzato da ricomporre, un giorno... Ho un mondo dentro bramoso di uscire ma chiuso in gabbia d’oro. Mia solitudine, sei tu la crosta del cuore.

Tania Ferrara


MNEMOFOBIA LA PAURA DEI RICORDARE

Poesia

"L'AMBIGUITA' DEL RICORDO"

Ed è tutto un tramonto: le foglie sparse sulla via, le voci che cigolano agli angoli delle strade; cade un sospiro ad ogni passo tra queste pinacoteche. Derivano note secche da quei giri d'arie consumate e si ricrea ogni orma cancellata tanto che il ritorno ci imprime la sua forma. Sperata è questa avventura ma tutto è vano, pure lo scatto di vita giunge solo da quello: dalla fatica di vivere due volte di risvegliare fiamme sopite. Ecco che via Roma si dilata e tornano cose antiche: Il dado d'amore, le chitarre, le tue nennie che conducono ai cimiteri. Non so più quali sono gli istanti veri, mi so come le plastiche in preda a raffiche bizzarre

Emmanuele Zottoli


FILOFOBIA

Poesia

LA PAURA DI INNAMORARSI

"VOGLIO VIVERE ANCORA" Quattro ali si combinano per dare il volo più primitivo del mondo: ogni mio battito è la cadenza della speranza volta a che in quest’unico giorno di vita anche una farfalla come me abbia il suo imporporato fiore e sia quello l’almo* nettare e sia profumo e poi che ,traversati infecondi campi, m’abbeveri d’esistenza.

Ma se tu più non fossi, rosso fiore, io non interromperei mai il librarmi ; così volteggiai, ma non nell’amore pei colori, non nel volo fu l’errore quanto nel creder primavera una sola manciata di petali che in un giorno di pioggia si sciogliéro* com’io mi sciolsi.

C’è una crisalide che or sfarfalla, or si colora, or va ve’* i luoghi per cui un’arida terra ha sol una stilla umida e sia quella per un fior vita a sufficienza. Oh, ecco una rosa, ecco una goccia !

Che bella la natura: nessuno vuol morire.

Giovanni Signorile

*Almo in vocabolario Treccani : [alĕre «nutrire»], letter. – Che alimenta, che dà e mantiene la vita. *Sciogliéro : forma arcaica del passato remoto, in terza persona plurale del verbo sciogliere. Il più usuale “sciolsero” sarebbe sostituito qui dalla arcaicizzante forma “scioglierono”, ma ancora, con un espediente letterario che trova spesso applicazione in autori italiani illustri (Carlo Michaelstaedter tanto per citarne uno avvezzo a questa tecnica), c’è una sorta di elisione senza apostrofo che porta al nostro “sciogliéro”, con particolare attenzione all’accento. *Ve’ : “verso”, qui usato per indicare il volo della farfalla appena nata verso, appunto, campi inesplorati.


CLINOFOBIA

PAURA DI ADDORMENTARSI E DI DISTACCARSI DALLA REALTA'

"IO HO SONNO MA..." Buia e sola grava la notte e, stretta, avvolge ciò che le' preme. Lenta cala e plasma, fondente, le ombre, le voci, la mente. Zitta, bisbiglia alle gelide calcagna, risale i pois e il profumo di lavanda. Un torpore, un motivo come di ninna nanna mi sembra dire "Dormi", mi suggerisce "Scappa".

Poesia


Mentre guardo immobile, negli occhi, queste mura, bianche come la mia notte, queste gote, la paura, parlami, Morfeo. Cerco risposte, la mia cura. Dove vado chiusi gli occhi, in che meandri, in che altri mondi? Dov'è che fugge il mio pensiero mentre, immobile, su e giÚ muovo il ventre, il volto serio?

Poesia


Tic la lancetta toc il mio cuore.

Poesia

Si scandiscono i pensieri, Io ho sonno ma, dottore, se poi non riaprissi gli occhi? Intanto passano le ore. E se invece li riaprissi sarĂ diverso? SarĂ uguale?

io ho sonno ma, dottore, faccio fatica a respirare.

ALESSIA PIERNO


C R I T I C A

A

L E T T E R A R I A

C U R A

D I :

Matteo Balsamo

CON IL CUORE DEI GIGANTI Il titolo di questa rubrica è ispirato alla celebre citazione di Bernard de Chartes: “…come nani sulle spalle dei giganti” Il nostro sarà un tentativo di salire sulle spalle dei colossi del passato e da spiriti di bassa statura con il loro aiuto guardare al presente e al futuro con occhio critico e curioso. In questo spazio, verranno trattati un autore e un’opera letteraria in linea con il tema mensile della rivista. Non verranno date solo note tecniche o mere nozioni sullo stile ma fornirà un ponte di lancio al nostro pensiero per poi addentrarsi nelle profondità: tentare di interpretali ed offrire poi uno spunto di riflessione.


XENOFOBIA:

LA PAURA DEL DIVERSO "CANZONI

CONTRO

LA

PAURA"

Viviamo in un’epoca strana, ragazzi miei.

Questa paura è diventata a tal punto

Un’epoca “globalizzata”, crogiuolo di lingue,

generalizzata da risultare indiscriminata, per

culture, religioni, tradizioni diverse, eppure non

“l’uomo nero”. Ci importa, quindi, di fare le

metabolizzate. La colpa di certo non è solo la

dovute distinzioni tra uomo colto, assassino,

nostra (integrazione presuppone una volontà da ambo le parti), ma è come se tutto questo multiculturalismo avesse prodotto l’effetto inverso, diventando controproducente. E così, mentre dovremmo respirare la bellezza delle diseguaglianze e delle varietà, ci ritroviamo a fare i conti con le differenze e le distanze, tra noi e loro. Noi: belli, sani, intelligenti. Loro: brutti, cattivi e sporchi. Noi: onesti e lavoratori. Loro: criminali e scansafatiche. Chi ha letto fin qui penserà che voglio parlare degli immigrati di colore “clandestini” sui barconi, giusto? Fate bene attenzione: io non ne ho parlato fin qui. Ecco centrato il punto. Abbiamo dato un volto alla nostra paura, ed è una maschera perfettamente aderente, talmente rifinita da non poter capire se è di pelle o di plastica.

spia, persona onesta, indigente, opportunista o sognatore? No. Ci importa fare le opportune distinzioni tra una donna dell’Est che lavora, guadagnando onestamente e che con cio’ che guadagna si prende cura della propria famiglia e una donna finita ai margini della strada? No. “Sono tutti uguali, questi stranieri”. E a chi dice che la xenofobia non esiste, che è lontana da lui/lei, consiglierei di leggere attentamente il testo di questa canzone (ne pubblicherò solo alcuni estratti) e di ascoltare la voce del cantautore Dario Brunori. Il brano s’intitola, per l’appunto, “L’uomo nero”.


Critica

“ H A I N O T A T O C H E G L I A R G O M E N T I S O N O S E M P R E P I Ù O M E N O Q U E L L I R U B A N O , S P O R C A N O , P U Z Z A N O E A L L O R A O L I O D I R I C I N O E M A N G A N E L L I . H A I N O T A T O C H E P A R L A A N C O R A D I R A Z Z A P U R A , D I R A Z Z A A R I A N A M A P O I S P E S S O È U N P O ' M E N O O R T O D O S S O Q U A N D O S I T R A T T A D I U N A P U T T A N A . E D H A I N O T A T O C H E L ' U O M O N E R O S I A N N I D A A N C H E N E L M I O C E R V E L L O Q U A N D O P I U T T O S T O C H E A P R I R E L A P O R T A L A C H I U D O A C H I A V E C O L C H I A V I S T E L L O Q U A N D O H O T E M U T O P E R L A M I A V I T A S E D U T O S U U N A U T O B U S D I M I L A N O S O L O P E R C H É U N R A G A Z Z I N O A R A B O S I È M E S S O A P R E G A R E L E G G E N D O I L C O R A N O . ”

Credo che questi versi siano i più significativi. Mi focalizzerei più su quel “chiudere la porta col chiavistello”, che è esattamente ciò che il terrore incondizionato per l’altro porta a fare. Un po’ come Don Abbondio (tra l’altro Brunori ha scritto anche una canzone su questo personaggio presente, sotto varie forme, nella nostra società). Al di là degli aggettivi soliti che gli si dedicano con tanta premura (pavido, codardo, vile, sospettoso) credo che molto spesso si tralasci il più importante: egoista. Don Abbondio pensa sempre e unicamente (non solo primariamente) al proprio orticello, e fa di tutto affinché nessuno glielo tocchi, a costo anche di fuggire in una stanza e mettersi ad urlare (infelice esito del tentativo di “matrimonio a sorpresa” di Renzo e Lucia). Ha sempre paura che qualcuno possa ledergli l’identità, il patrimonio, la tranquillità, e dunque si schiera col più forte, essendo costretto a farlo. Ha inizialmente timore dell’Innominato, che ha fama di grande criminale; ma è cambiato, e criminale non vuole esserlo più. Eppure la paura del curato continua a vivere, ancorandosi a cio’ che dell’Innominato si è sempre detto. Lo stesso vale per noi: ci fidiamo di quel che sentiamo in giro, talvolta, senza toccare con mano ogni specifica situazione. Abbiamo diffidenza nei confronti dei Rom, perché sono “ladri”; siamo poco socievoli nei confronti dei musulmani (Brunori ne parla nel suo testo, come avete potuto leggere) perché, non si sa mai, “possono essere integralisti”. L’apice della xenofobia, poi, è raggiunto da coloro che cercano di annientare il “diverso”, solo perché diverso da loro (e, purtroppo, ancora numerosi sono i casi), oppure solamente per sentire il brivido del potere della vita sulla morte, come drammaticamente accade ne “Lo straniero” di Albert Camus. Sapete perché ho parlato al plurale? Benché certo che molti lettori non provino queste sensazioni, ho deciso di mettermi anche io “dalla parte del torto”, per provare a capire dove l’ingranaggio della socievolezza si inceppa. Ebbene, la rotella malfunzionante ha un nome: pregiudizio.


“E

TU,

TU

CHE

CHE

FOSSE

CHE

QUESTA

NON

SI

TU E

TU

TUTTA

ACQUA

TRAGICA

SAREBBE

PIÙ

CREDEVI

NEL

CHE

NEI

PENSAVI

SORRISI

CHE

DI

PENSAVI

SAREBBE INVECE

NO

E

INVECE

NO…”

MISERA

STORIA

RIPETUTA PROGRESSO

MANDELA CHE

ARRIVATA

E

PASSATA

DOPO

UNA

L'INVERNO

PRIMAVERA

L’inverno è ancora qui, più rigido che mai. Una canzone non basta, lo dice lo stesso Dario. Per quanto potremo lottare per l’eguaglianza, forse davvero eguali non lo saremo mai, perché in fondo non lo vogliamo, se continuiamo a ragionare esclusivamente coi “secondo me”. Dovremmo sforzarci di capire la diversità, anche non condividendola, e provare a pensare che, è vero, ci saranno pure delinquenti sui barconi, in mezzo alle strade e nei nostri paesi, ma allo stesso modo possono esserci tante brave persone, con un nome, un cognome e forse un’aspirazione, proprio come noi. Non ci riusciremo tutti, lo so, ma se già qualcuno si farà qualche domanda, intimamente, sarà un grande passo. Forse, così facendo, nasceranno nuove, bellissime canzoni contro la paura, che aspettano solo di essere ascoltate.

“SECONDO

ME,

IO

MONDO

VEDO

IL

SECONDO SOLO

ME SECONDO

ME SECONDO

ME,

DESCRIVO

IL

SECONDO

ME

CHISSÀ VISTO

SECONDO

MONDO

COM'È

ME

SOLO

INVECE

IL

MONDO

DA

TE” -

DARIO

BRUNORI,

SECONDO

MATTEO BALSAMO

ME


⽊漏れ⽇

KOMOREBI

CRITICA CINEMATOGRAFICA

A CURA DI: SARA PICARIELLO

Komorebi è la parola giapponese usata per indicare la luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi. Le parole giapponesi sono estremamente affascinanti, questo perché i kanji, ideogrammicondensatori di significato, sono utilizzati per esprimere concetti complessi che non potrebbero essere espressi con le parole del nostro alfabeto. In particolare l’aver creato una parola appositamente per rendere lo spettacolare effetto visivo della luce tra gli alberi, mi ha da sempre trasmesso qualcosa di poetico e di magico. Pronunciando una semplice parola siamo lì, tra quegli alberi attraverso cui il sole cerca di penetrare, rompendosi in fasci di luce. Un effetto visivo per me simile alla luce dei proiettori, che girando lo sguardo durante la proiezione di un film, vedo uscire dalle piccole finestre poste in alto nella sala, una somiglianza forse lontana ma dettata dalla stessa sensazione di quiete che mi trasmette il trovarmi tra la natura o in una scura sala di un cinema. Cosa sarà quindi Komorebi? Definirla una rubrica cinematografica forse è un po’azzardato, mi piacerebbe più definirla come la piccola finestra di una sala dalla quale proietterò un film, scelto da me, visto di recente, ma anche più datato, che consiglio di vedere (se non lo avete ancora fatto). Lo analizzerò, commenterò fornendo una chiave di lettura personale e delle curiosità a riguardo. Detto questo buona lettura!


CRITICA CINEMATOGRAFICA

ATELOFOBIA:

LA PAURA DI ESSERE IMPERFETTI

"Frank e la paura di non essere abbastanza" Da bambina avevo paura del buio, degli insetti, quelli grandi che all’improvviso saltano, come le cavallette, e di una strana bambola dalla faccia arcigna e i capelli rosa che mia cugina aveva nella sua stanza. Paure normali per una bambina, nate da una visione soggettiva della realtà circostante, in cui gli oggetti e le varie situazioni potevano assumere forme e suoni che nessun altro era in grado di percepire. La paura è un’emozione naturale e, secondo gli studiosi, necessaria, soprattutto nei bambini, perché agisce come monito contro qualcosa di minaccioso e ha permesso all’uomo di progredire tenendo lontani i pericoli o affrontandoli. Crescendo le paure diventano più subdole, generandosi non solo da una visione della realtà esterna, ma soprattutto dall’idea che ognuno ha di sé molto spesso in relazione con quella degli altri. Oggi io ho paura dei miei limiti che mi portano a sbagliare, del giudizio su me stessa che l’errore genera e del non riconoscere nello specchio la persona che vorrei essere. Capita a tutti di sentirsi, in certe situazioni, inadeguati, quando, però, questa sensazione prende il sopravvento su tutte le altre positive che ci spingono a migliorare, allora si tramuta in ansia che paralizza e accelera i battiti cardiaci. Si parla di atelofobia. Dal greco ατελής, atelès, "imperfetto, incompleto" e φόβος, phóbos, "paura", l’atelofobia è la paura di non essere abbastanza capaci, di essere imperfetti o di sbagliare, un disturbo d’ansia caratterizzato da un costante senso di inadeguatezza, che può sfociare in un perfezionismo irrazionale, cioè la spinta ossessiva oltre i propri limiti per il raggiungimento della perfezione, ma anche nell’inazione, per evitare possibili fallimenti. Se ci pensiamo bene è una paura che affligge molti. In una società in cui viene imposto ad una donna di essere “bellissima” e come canone di bellezza una perfezione ottenuta grazie a filtri o ritocchi vari, è molto probabile che una giovane ragazza senta il peso di non poter raggiungere quello standard; in una società in cui vengono esposti continuamente nella vetrina virtuale grandi sorrisi per festeggiare i successi ottenuti o lo scorrere agiato della vita, è probabile che fallire diventi difficile da sopportare; in una società in cui l’errore viene tracciato con il rosso per marcare la differenza e la gravità rispetto a ciò che è “giusto”, è probabile che uno sbaglio si trasformi in un demone da cui fuggire; in una società in cui ci sono degli schemi a cui attenersi, è probabile che la diversità venga ritenuta un limite.


Critica

Frank di Lenny Abrahamson, presentato al Sundunce Film Fastival del 2014, è una commedia musicale indipendente. Film atipico, quasi surreale, parabola di una carriera artistica in cui genio e follia si scontrano e, in particolare, rappresentazione della fragilità umana e della presa di coscienza dei propri limiti. Protagonista è Jon (Domhnall Gleeson), un giovane aspirante cantautore, costretto a svolgere un noioso e poco gratificante lavoro d’ufficio ma che nel tempo libero o durante il tragitto dal lavoro verso casa trae ispirazione dalle immagini della vita quotidiana, come il cappotto rosso di una passante, per scrivere canzoni e aggiornare la propria pagina social. Non riesce però a trovare una strada compositiva, forse perché manca di vero talento e originalità.

La svolta nella sua vita giunge per caso, quando assiste al tentato suicidio di un uomo che, di lì a poco, scopre essere il tastierista di una band indie rock dal nome impronunciabile, Soronprfbs. Ingaggiato come sostituto per un concerto fa la conoscenza degli altri stravaganti membri della band: il carismatico frontman Frank (Michael Fassbender), la violenta suonatrice di theremin Clara (Maggie Gyllenhaal), il chitarrista francese Baraqhe (Francois Civil), la batterista Nana (Carla Azar) e Don (Scot McNairy) del quale solo alla fine del film verrà svelato il ruolo nella band. Anche se il concerto non prende la piega desiderata, Jon riesce a diventare il nuovo tastierista e decide di seguire la band nel ritiro in Irlanda per la realizzazione dell’album. Il ritiro dura più del previsto, per un anno intero Jon ha la possibilità di migliorare come artista e soprattutto conoscere realmente i suoi compagni. La personalità che più lo affascina è quella di Frank tanto da diventare una sorta di guru per Jon. Frank è un artista, uno di quelli che secondo Jon potrebbero cambiare la storia della musica. È, infatti, alla ricerca continua di suoni originali, tratti dalla natura o dagli oggetti della vita quotidiana da adattare ai toni cupi della sua voce. C’è però una cosa che non vi ho detto riguardo il bizzarro artista, forse quella che più di tutte incuriosisce Jon: Frank indossa una grande maschera di cartapesta, dai grandi occhi inespressivi ed un sorriso ingenuo che non toglie mai, nemmeno per mangiare (si nutre infatti di di cibo in polvere da bere con una cannuccia) o per fare la doccia. Nessun membro della band conosce il suo vero volto.


Critica

Il personaggio di Frank, interpretato da uno strabiliante Michael Fassbender, il quale riesce ad esprimere tutte la sua stravaganza e ad emozionarci indossando per la quasi totale durata del film una maschera, è liberamente ispirato a tre artisti: Frank Sidebottom, alter ego del musicista e comico britannico Chris Sievey, e i cantautori Daniel Johnston e Captain Beefheart

Questa singolare caratteristica del frontman e la scoperta del suo passato in un centro psichiatrico, alimentano in Jon non solo l’idea che per essere un grande artista bisogna aver vissuto esperienze traumatiche, ma soprattutto che lui, avendo trascorso un’esistenza tranquilla, non potrà mai essere come Frank. La presa di coscienza della differenza rispetto a Frank lo spingano alla ricerca della fama, sfruttando proprio la genialità e la bizzarria del compagno. Inizia a pubblicare sulle proprie pagine social video di prove della band e delle strampalate idee di Frank per perfezionare i suoni. Le visualizzazioni aumentano esponenzialmente, tanto che la band riceve l’invito a partecipare ad un festival in Taxas. È a questo punto che il film abbandona la vena “comica” per assumere delle tinte più cupe con cui rappresentare la degenerazione dei personaggi, che vediamo perdere sempre di più il contatto con la realtà, fino ad arrivare alla bellissima e risolutiva scena finale. I ruoli si ribaltano, Jon da protagonista diventa una sorta di antagonista. Il suo voler fare successo a tutti costi causerà la disgregazione dell’armonia tra i membri della band che, invece, non sono pronti ad affrontare un pubblico assetato non di buona musica, ma solo di ciò che è strano e fa spettacolo. A pagarne le conseguenze sarà Frank, il più fragile del gruppo, nonostante le apparenze lo volessero l’anima portante. Frank vuole realmente arrivare e lasciare un segno nel cuore di qualcuno, vuole comunicare la sua arte. Ma sono poche le persone che oggi ascoltano cosa hai da dire, la maggior parte vedrà solo la grande testa finta che indossi. Se a questo aggiungiamo il fatto che la musica creata da questa singolare band non è adatta al mercato musicale perché poco rispetta le sue leggi, allora il pubblico non sembrerà più disposto ad ascoltare, ma solo a criticare.


Critica

Rimasto solo con Jon in questa corsa verso il successo, avendo voltato le spalle al resto della band, e pressato dall’ansia di non essere adatto per quel pubblico, Frank ha un crollo nervoso. È nella fuga di Frank, durante la quale perde la maschera, il momento di svolta del film. Una fuga generata da quel senso di inadeguatezza rispetto ad una situazione in cui tutto sembra essere sbagliato. Frank indossa la maschera non per creare un personaggio, ma perché è quella maschera a renderlo Frank, a fare da scudo per le sue emozioni e da camera per le sue idee. Egli non ha nessun passato tormentato che lo ha reso un artista, come credeva Jon, ma è un artista perché il suo talento è innato ed è espressione di tutta la sua genialità. Frank ha una malattia mentale, ma riesce a scrivere e comporre canzoni nonostante la malattia, non a causa di essa. Il film di Lenny Abrahamson, comico ma anche drammatico e a tratti assurdo riesce a toccare tantissimi temi, anche molto delicati, senza mai risultare pesante e senza mai assumere un tono paternalistico, anzi lascia allo spettatore la libertà di poter capire cosa ha da dire. Tema principale è, sicuramente, la difficoltà del poter conciliare la carriera artistica con una malattia mentale. Il disturbo ossessivo ha rallentato la carriera di Frank, che forse, non riuscirà mai ad essere una grande star, ma non è stato un freno per il suo talento e la sua genialità. Abrahamson ha voluto anche indagare il difficile incontro con un pubblico non sempre è pronto a capirti e a guardare al di là del personaggio, un pubblico spaventoso per chi ritiene di non essere all’altezza delle sue aspettative. C’è anche una riflessione sull’arte, quella vera, che non sempre nasce dalla sofferenza o dalla voglia di essere famosi a tutti costi, ma che nasce dal semplice bisogno impellente di lasciar uscire le idee. È per me anche un film sul coraggio, quello di riuscire a non colpevolizzare sé stessi e di accettarsi senza la pretesa di essere perfetti. Nota positiva è la colonna sonora, un insieme di brani inediti realizzati da Stephen Rennicks, con performance vocali degli attori Michael Fassbender e Domhnall Gleeson. “I Love You All” la canzone finale cantata da Frank, ormai senza più la maschera, per chiedere scusa ai suoi amici, diviene quasi un inno all’amore verso le proprie imperfezioni e i propri limiti, perché solo riconoscendoli e imparando ad amarli potremmo dire di essere riusciti a sconfiggere la paura. In futuro vorrei non avere più paura dei miei limiti, vorrei non colpevolizzare più me stessa per gli errori che commetto e vorrei vedere nello specchio la persona che ho sempre desiderato essere

SARA PICARIELLO


CURIOSITA'


VICTOR HUGO SI DICE CHE IL CELEBRE AUTORE SOFFRISSE DI EROTOMANIA, CIOÈ DI UN INSAZIABILE APPETITO SESSUALE. STANDO AI COMMENTI DI AMICI E PARENTI, HUGO COSTRINSE LA GIOVANE MOGLIE ADELE FOUCHER A NOVE INCONTRI AMOROSI. “UN VERO SUPPLIZIO” COSÌ LO DESCRISSE LA DONNA CHE GIUNTA ALLA QUINTA GRAVIDANZA RIFIUTÒ DEFINITIVAMENTE LE ATTENZIONI DEL FOCOSO MARITO. LA CASTITÀ CONIUGALE FU PRESTO COMPENSATA DALLO SCRITTORE DAL GRANDE NUMERO DI AMANTI CHE HA COLLEZIONATO.


CURIOSITA'

Agatha Christie è la scrittrice inglese più tradotta, seconda solo a Shakespeare. Ciò che non tutti sanno è che non fu lei a scrivere le sue

opere.

Almeno

materialmente.

La

non

scrittrice,

infatti, soffriva di disgrafia,

un

disturbo

dell’apprendimento rendeva

la

illeggibile

che

sua

calligrafia

e

che

la

costringeva a dettare

i

suoi

romanzi

a

qualcuno che li mettesse per

SI RACCONTA CHE

Dante Alighieri avesse una memoria eccezionale. A tal proposito c’è un aneddoto molto interessante : un uomo si avvicinò a Dante mentre quest’ultimo passeggiava per piazza della signoria. L’uomo chiese al sommo quale fosse l’alimento più buono del mondo e il poeta rispose: ”L’ovo”. Un anno dopo lo stesso uomo rincontrò Dante e gli chiese con quale condimento, il fiorentino rispose :”Col sale” E noi che invece a malapena ricordiamo la password dell’email.

iscritto per lei.


SAPEVATE CHE...

Giosuè Carducci era un amante del cibo e del buon vino. Pensate che la sua collaborazione alla "Cronaca Bizantina", rivista a carattere letterario-sociale-artistico fondata nel 1881 a Roma, veniva pagata direttamente con barili di Vernaccia, un ottimo vino bianco.


CURIOSITA'

ED ORA DOVE SCRIVO?

La parola libro deriva da «liber»: «Il più interno dei tre strati, ne quali si dive la corteccia

degli

alberi

(scorza, alburno, libro), sul quale, e principalmente su quello del papyrus egiziano, un

solevano

scrivere

i

nostri antichi: dal quale uso è poi venuta la voce Libro nel significato di qualsiasi materia contenente scritto».

SHAKSP...SHAKESPE... SHAXBE... Nessuno sa come si scriva correttamente Shakespeare. Secondo le fonti del tempo ci sono oltre 80 modi diversi di scrivere Shakespeare, da “Shappere” a “Shaxberd”. In nessuna della sei firme che si conservano fino ad oggi possiamo ritrovare il cognome scritto così come lo conosciamo noi. Infatti si firmò “Shakespe”, “Shakspe”, “Shakspere”,“Shakespear” “Willm Shakp,” “Willm Shakspere” e “William Shakspeare”.


ELENA ZAHAROVA È UNA RAGAZZA DI BROOKLYN CHE, NELL’OTTOBRE DELLO SCORSO ANNO, REGALÒ A NEW YORK, AI SUOI PARCHI AUTUNNALI, CARATTERIZZATI DA DISTESE COLORATE DI FOGLIE IN DIVERSE SFUMATURE, E AI FORTUNATI CHE SI IMBATTERONO NELLA SUA IDEA, UN TOCCO DI MAGIA DA AGGIUNGERE IN PIÙ ALL’ATMOSFERA GIÀ SUGGESTIVA DI LUOGHI COME CENTRAL PARK: CON CIRCA 86 ELEMENTI, DECISE DI DISSEMINARE IN VARI SPAZI DEI PARCHI DELLE FOGLIE SU CUI EBBE CURA DI APPORTARE POESIE PER RICORDARE AI PASSANTI LA BELLEZZA DELLE PICCOLE COSE E DONARE UN MOMENTO DI RIFLESSIONE CON LA LETTURA. QUI ALLEGATE ALCUNE IMMAGINI. DAVVERO NOTEVOLE !


TUTTI E

IL

MODO

PAURA GRAZIE

È

MIGLIORE CAPIRE

PER

PASSARE ABBI

ABBIAMO

IL

CON

CURA

GRAZIE PER LA LETTURA

DI

PER

CHE

TEMPO NOI.

PAURA. SUPERARE

NON

CHE

SI

HAI

ALLA

SPLENDERE

È

LA

SOLI.

DECISO

PROSSIMA! NEL

BUIO

DI


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