FIAT LUX IX

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N.9

"KENGAH"


MIKHAIL SERGEEVICH GORBACHEV

“QUANDO LE GENERAZIONI FUTURE GIUDICHERANNO COLORO CHE SONO VENUTI PRIMA DI LORO SULLE QUESTIONI AMBIENTALI, POTRANNO ARRIVARE ALLA CONCLUSIONE CHE QUESTI 'NON SAPEVANO': ACCERTIAMOCI DI NON PASSARE ALLA STORIA COME LA GENERAZIONE CHE SAPEVA MA NON SI È PREOCCUPATA.” Fiat Lux – rivista letteraria ©Tutti i diritti riservati. Instagram: @fiatlux_rivistaletteraria Facebook: FiatLux_RivistaLetteraria


E C I D N I

15 19 32 43 51 54

Introduzione al numero: a cura del fondatore e caporedattore Pasquale Bruno P R O S A

A cura di: Sara Paolella Pasquale Bruno

7 10

P O E S I A

A cura di: Tania Ferrara Emmanuele Zottoli Alessia Pierno

C R I T I C A

L E T T E R A R I A

A cura di: Matteo Balsamo Maria della Rovere Laura Colosi

C R I T I C A

20 24 29

C I N E M A T O G R A F I C A

A cura di: Sara Picariello Alessandra De Varti Carlo Giuliano

C R I T I C A

16 17 18

33 37 40

D ' A R T E

A cura di: Eliana Pardo Cristina Colace

44 47

F O T O G R A F I A

A cura di: Carmine Faella Gabriele Maurizio

C U R I O S I T À

52 53

CONTENUTI

I E D

4 6

E D I T O R I A L E


editoriale fiat lux

Durante questo periodo di stop, complici Quarantena e Noia, mi sono reso conto per la prima volta in vent’anni di quanto fosse bello il balcone di casa mia. Non perché sia particolarmente lussureggiante o dotato di una qualsiasi veduta mozzafiato; semplicemente aveva assunto sempre di più, nella successione di quelle monotone giornate, le sembianze di una zattera dove poter fare liberamente naufragio durante le miti e sonnolenti ore pomeridiane, ed era per me un piacere gioire con una consapevolezza ed una attenzione mai davvero avuta (e data) del canto dei passerotti che litigano tra di loro per il posto sul ramo più alto (e che ora si posavano impunemente sui balconi delle case vicine, con una arroganza mai avuta e che solo la tranquillità può dare), di una coppia di cani randagi che gironzolavano liberi in una strada vuota e di un rumore che potrei senza dubbio definire piacevole. Durante questi mesi ci si è resi conto che il pianeta ha avuto il tempo di respirare, o per lo meno, di tirare sì e no un paio di sospiri affannati, affamato com’è d’aria: molte fabbriche e relativi scarichi sono state ferme, i viaggi su gomma e su rotaia drasticamente dimezzati, il traffico aereo e navale ridotto a pochi viaggi fondamentali e il minore inquinamento acustico, fattori che hanno permesso agli animali di riprendersi un po' di quello spazio a noi superfluo che gli avevamo sottratto (per citarne un caso solo, la ritrovata presenza dei delfini al golfo di Salerno), e sebbene i vantaggi di tutto ciò non ci erano di certo sfuggiti, come nel peggior circolo vizioso alla fine siamo ritornati al punto di partenza. Il punto è sempre lo stesso perché, finita la quarantena "dopo la quale saremmo diventate persone migliori", abbiamo assestato l'ennesimo cazzotto nello stomaco al pianeta (disastro ambientale in Siberia o la macchia nera di Castel Volturno sono solo due esempi).


Con l'unica differenza che, mentre nel periodo “pre-covid” la figura di Greta riusciva a sensibilizzare e mobilitare un organo stampa spesso troppo pigro (o poco interessato perché una notizia insufficientemente sensazionalistica non vende abbastanza) nei confronti di un problema già considerato incombente negli anni '60 (gli avvenimenti dell'inizio 2020, uno tra tutti il mostruoso incendio dell’Australia, hanno solo rafforzato un concetto già chiaro) durante la pandemia e soprattutto ora che vediamo essere trascorso più di un mese dall'inizio della graduale riapertura, l'essere umano non ha perso tempo, e si è riconquistato il titolo di "animale più pericoloso della Terra" a cui, evidentemente, teneva tantissimo. Questo mese il nono numero di Fiat Lux verterà, ma ormai credo l’abbiate abbondantemente capito, sull’ambiente, o meglio, sul rapporto uomo-ambiente dedicando questo numero a tutte le Kengah (come la gabbiana del romanzo del caro Luis Sepúlveda “storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” soffocata da una macchia di petrolio in alto mare) animali ed umane che hanno trovato la morte a causa dell’inquinamento, dell’ipocrisia e della superficialità dell’Homo Sapiens. Superficialità ed ipocrisia perché la Terra (come ha detto il grande Roberto Mercadini) non ha bisogno di essere salvata, e anche se fosse veramente in pericolo, noi non avremo in alcun modo il potere di farlo. Il nostro immenso atomo cosmico ha sopportato e sopporta ancora glaciazioni, impatti di meteoriti, sconvolgimenti geologici ed eruzioni solari (e noi); la Terra, guardiamo in faccia la realtà, non ha bisogno di essere salvata e dopo il nostro trapasso, continuerà a crescere e vivere placida così come ha fatto durante il lockdown. Quello che noi dobbiamo davvero salvaguardare sono quelle condizioni biologiche, climatiche, fisiche che (senza rientrare in ambiti che non mi competono, cosa difficile per molte altre persone) ci permettono di vivere e di condurre una esistenza tutto sommato agevole. Vi lascio alla lettura dei miei redattori, cogliendo l'occasione per presentarvi i nostri nuovi membri: Maria della Rovere e Laura Colosi che sono entrate a far parte della critica letteraria, Alessandra de Varti e Carlo Giuliano, nuovi redattori di Komorebi e Cristina Colace ed Eliana Pardo nella nuovissima rubrica sull'arte: "Duende". Non mi resta che augurarvi buona lettura e buon viaggio. Siate egoisti, salviamoci. Abbiate il coraggio di splendere.

Pasquale Bruno FONDATORE E CAPOREDATTORE


PROSA A CURA DI

Sara Paolella Pasquale Bruno


Prosa

VERDI COLLINE D'AMERICA di Sara Paolella

J

ohn amava il verde. Era sempre stato il suo colore preferito, fin da quando aveva 5 anni. Da bambino aveva delle coperte verdi, un paio di calzini verdi- che indossava spesso, come portafortuna- una macchinina giocattolo verde. Non sapeva esattamente come fosse cominciata questa passione per un semplice colore, ma probabilmente una parte della colpa andava a suo nonno, Fred. Fred era un uomo alto ed algido, dalla mascella delineata e contornata da una sottile barba bionda, che accennava appena da imbianchire sempre ben curata, così come i suoi capelli chiari e ben pettinati a sinistra. “Sii sempre presentabile” gli diceva. E infatti, la prima cosa che aveva fatto Fred dopo aver messo da parte un po’ di soldi, era stata comprarsi un vestito, che indossava ogni volta che andava al lavoro, anche se di lavoro Fred, faceva il barbiere. Qualcuno lo riterrebbe fortunato. Ma non Fred. Fred diceva che tutto quello che aveva avuto dalla vita, lo aveva avuto prendendoselo con forza e talento, meritandoselo. Era arrivato in America a sedici anni, pieno di voglia di darsi da fare e di rabbia giovanile, anche se spesso, durante la traversata a notte fonda, aveva fissato il mare nero e aveva chiuso gli occhi, concentrandosi e ripensando a Kallstadt, alla sua famiglia, e ai verdi prati punteggiati di rugiada di mattina. Quando arrivò in America però, si rese conto che anche qui c’era del verde. E forse, non gli sarebbe mancato quello di casa sua.

6


Prosa

“Il verde John, il verde. È tutto ciò di cui avrai mai bisogno” Così gli aveva detto suo nonno, e glielo aveva detto anche suo padre. Glielo avevano ripetuto così tante volte che quando scoprì l’esistenza di persone che dissentivano, non poteva crederci. “Ci state condannando tutti” dicevano. Eppure John, così come suo padre e suo nonno, e molti altri, sapeva che non c’era bisogno di molto per vivere felici. Bastava solo un po’ di verde. Ma ora, in una realtà così diversa da quella in cui era cresciuto, stavano tentando di strappargli via il suo mondo. Il mondo che suo nonno Fred gli aveva insegnato a conoscere ed apprezzare, il mondo nel quale non si doveva mai dare nulla per scontato perché costruito su un precario e delicato ecosistema, dal quale dipendevano tutti. Anche quelli che del verde, a quanto pare, avevano deciso di non volerne più sapere. Sapere che ci fossero persone talmente arroganti da credere di poter cambiare tutto all'improvviso, da un momento all’altro, era inconcepibile. Cosa credevano di fare? Di voler sconvolgere tutto quello che era stato costruito con cura, di voler andare ad intaccare gli ingranaggi della perfetta macchina che permetteva anche a loro di vivere? Tutti i loro comfort, parte della viziosa routine nella quale erano incastrati, e dalla quale non sarebbero mai riusciti ad uscire, dipendeva dal sistema che loro volevano distruggere. Protestare e pretendere un cambiamento, avrebbe portato inevitabilmente alla fine di ogni loro agio, ma a quanto pare erano troppo cocciuti per capirlo. Troppo speranzosi, un branco di illusi, incapaci di comprendere che il mondo e la vita non sono ai nostri piedi. La vita è sacrificio, ma il sacrificio ripaga. Erano sempre le parole di Fred, che seduto sul divano al suo solito posto, quello a sinistra, con il gomito poggiato fermamente sul bracciolo che ormai ne aveva preso la forma, tentava di accendere la sua pipa marroncina, mentre John stava tutto composto, con la schiena ben dritta, a fare i compiti, mordicchiando la sua matita verde ogni volta che qualche esercizio di algebra lo lasciava confuso. “Il meglio, o niente.” Questa era la massima di Fred, che si divertiva a cacciare cerchi perfetti di fumo, e a ripeterla sempre al nipote, affinché capisse cosa era veramente importante nella vita. John l’aveva capito, aveva fatto proprie le parole del nonno e chiudeva spesso gli occhi, ripensando alla sua voce fredda, ai consigli che gli ripeteva perennemente mentre si passava una mano tra i capelli e cacciava i suoi soliti cerchi di fumo, e ora che era cresciuto, sentiva di averlo finalmente reso fiero. O quasi. Ora non c’era luogo dove non si conoscesse il loro cognome, presente su molte targhe in varie città; non c’era luogo dove non gli portassero rispetto. O quasi.


Prosa

Non tutti erano sempre d’accordo con le parole di John, che ribolliva di rabbia, e si passava frustrato una mano tra i capelli biondissimi- aveva ovviamente ereditato il vizio da Fredogni volta che provavano a contraddirlo. Erano il solito branco di illusi, pieno di voglia di cambiare il mondo, ma incapaci di rinunciare ai loro comfort.

“Lei sta distruggendo l’essenziale per produrre il superfluo” leggeva in un tweet, mentre scuoteva il capo, ridendo e immaginando l’autrice del messaggio stesa sul suo divano, davanti alla TV, mentre con il suo iPhone digitava furiosa i 53 caratteri, facendo ticchettare le sue unghie ben smaltate contro lo schermo del suo cellulare. Continuò a scrollare nel suo feed, mentre si sistemava meglio sul suo sedile d’aereo, in attesa di atterrare a breve.

“Questo pianeta è stato insozzato, vilipeso, saccheggiato, derubricato ad immenso contenitore di scarti. Cosa sta facendo per cambiarlo? Se non facciamo l’impossibile, affronteremo l’impensabile.” John muoveva la gamba sinistra su e giù per scaricare la tensione, irritato da tanta saccenteria, desideroso di rispondere “Cosa stai facendo tu per cambiarlo?". Se le cose fossero state diverse avrebbe riposto, ma gli era stato riferito di esporsi il meno possibile per evitare altri scandali. Sarebbero stati la sua rovina. Sospirando, optò per il silenzio. Si mise una mano in tasca, calmandosi al tocco del ruvido tessuto del suo calzino verde, proprio quello che aveva da bambino, e che gli aveva sempre portato fortuna- non era mai riuscito a separarsene. Infastidito e stizzito da tanta ripugnante onnipotenza, da tutti questi giovani che si aspettavano che lui potesse fare qualcosa per cambiare il mondo, posò il telefono. Era sempre stato così. Avrebbero continuato così. Non sarebbero mai riusciti a cambiare. John, dopo essersi passato un’ultima volta le mani tra i capelli, guardò fuori dal finestrino, pensieroso. Pensò a Fred, domandandosi cosa avrebbe fatto al suo posto, quale tipica frase del suo repertorio gli avrebbe suggerito. Sarebbe stato d'accordo con le sue scelte? Cosa avrebbe pensato del mondo di oggi? Forse era un bene che Fred non fosse più lì, e per un attimo desiderò di poter scomparire con lui. Ma i suoi occhi poi si persero alla vista della sconfinata distesa che gli si parava davanti. Verdi colline d’America. L’unico verde del quale avrebbe mai avuto bisogno. Un verde brillante, vivo. Verde dollaro.


DI PASQUALE BRUNO

C'ERA UNA VOLTA UN'ARAGOSTA


L’avere un figlio è sempre dipinto come la gioia più grande del mondo; e spesso e volentieri chi lo dice non ne ha mai avuti. Al massimo potrà aver giocato un’oretta con il nipotino per poi schizofrenicamente restituirlo alla sorella dicendo “voleva la mamma”, mentendo spudoratamente. Essere genitori è difficile, stressante, sporco: ci sono oggetti persi, scritte sui muri, pannolini puliti, pannolini sporchi, le grida di giorno, i pianti di notte con le relative ore di sonno perse che non rivedrai mai più (ma questi sono dettagli) e potrei continuare all’infinito il tutto per confutare la credenza che “avere un figlio è la gioia più grande del mondo”. Ora intendiamoci, con ciò non voglio affermare che avere figli è una cosa “brutta”, e se c’è una cosa di cui non mi pentirò mai è di aver adottato Asha (Asha, per chi non lo sapesse, è mia figlia ed al momento ha sette anni o “così”, come dice lei, mostrando le manine a chi glielo chiede. Ha un debole per le Mentos, quelle là con il pacchetto colorato, non alla menta, però non tutte, solo quelle all’anguria, tanto che ogni volta che le compriamo un pacchetto mangia solo quelle per poi cedermi gli scarti, ma tanto non mi interessa visto che fortunatamente piacciono anche a me); quello che dico è solo di essere obiettivi: avere un figlio NON è la cosa più bella del mondo perché tutti possono avere figli, non è che ci voglia molto, basta anche solo una donna o un uomo affascinante o abbastanza gradevole, un posto abbastanza comodo dove appoggiarsi, due capriole, nove mesi ed il gioco è fatto, poi quel figlio potresti anche non volerlo, ma questi sono dettagli; Secondo me la gioia più grande del mondo è crescerlo, un figlio: portarlo fuori, preparargli da mangiare pur sapendo che probabilmente metà del cibo finirà per terra e l’altra sulla tovaglia, aiutarlo nei compiti, insegnargli quello che sai e imparare da lui quello che non pensavi di poter imparare, augurandoti che possa un giorno diventare una persona migliore di quella che sei stata tu e che quando un giorno dovrà ricordarsi di te lo faccia con un sorriso; Inoltre un figlio ti obbliga a stare sempre al passo, ed evitare di impaludarsi nella noia (e questa di sicuro è una cosa bella) perché ad esempio è proprio grazie ad Asha se ho imparato a fare le torte fatte in casa, ad esempio ad ogni compleanno le faccio una torta sempre diversa, sempre più particolare; Io, e sarò sincero, prima che arrivasse lei era già tanto se riuscivo a riscaldare nel forno i tortini al cuore caldo che compri al bancone surgelati senza che diventino asciutti dentro e diversamente abbrustoliti fuori ed ora per me è sempre una gioia quando inizia a saltellare su e giù per casa quando scopre che dentro la torta che le ho preparato non c’è il giallo della crema o il marrone del cioccolato, ma un meraviglioso arcobaleno oppure una cascata di Smarties quando viene tagliata una fetta.


Un’altra cosa che ho imparato, è inventare storie. Non sono mai stato particolarmente brillante con le parole, ma si sa, la necessità aguzza l’ingegno e con la pratica e i giusti maestri (questa è stata un’occasione per rispolverare quei libri mai aperti che comprai da ragazzo) si può fare tutto e poi, onestamente, se c’è una cosa che non so ancora fare è dire di no a quegli occhioni nocciola (e con il tempo ho capito anche che una storia non si nega a nessuno, soprattutto ad un bambino; pazzo chi lo fa). Come nei peggiori film americani la storia gliela racconto ogni sera, prima di andare a dormire, dopo che si è accoccolata nel suo lettino, avvolta in un vecchio plaid verde che adora, e mai prima che mi chieda: “Mi racconti una storia?” “Non stasera cucciola, papà è molto stanco” le do un bacio sulla fronte, spengo la luce sulla testa del letto e socchiudo la porta “Buonanotte…” sussurra lei, sprofondando tra le coperte. “Però è vero che una storia non si rifiuta a nessuno!” Ricompaio spalancando la porta, con il mio solito libro sotto il braccio “Mi posso sedere vicino a te?” Rido, e ride anche lei mentre mi fa posto, gli occhioni nocciola brillano nel buio. “Cucciola, accendi la lampada per favore? Non riesco a leggere” lei tende la manina e accende il pulsante, poi ci mettiamo comodi ed inizio a sfogliare le pagine bianche; lei non dice nulla, perché già sa che sebbene le storie le invento io in realtà provengono tutte da quel libro dalle pagine bianche che ognuno di noi ha e scrive con inchiostro invisibile durante le proprie giornate: perché tutti noi siamo portatori sani di storie, quelle vere però, non favole inventate (e poi perché avere un libro in mano fa più scena, ma questo non glielo dico, perderebbe di magia). Giro la pagina, punto il dito ad inizio foglio ed inizio:

“C’era una volta…o ci sarà una volta o c’è oggi, dipende da che punto guardi (solletico Asha, che ride) una piccola aragosta che era diversa, anzi, meglio ancora, era speciale, anzi, diventa speciale (perché ricordati, le sussurro, che nessuno nasce perfetto, ma tutti quanti cresciamo e diventiamo speciali, ognuno a modo suo, ma solo se ci impegniamo) ma di questo ne parleremo dopo, ora ti posso solo dire che era molto, molto coraggiosa. Questa piccola aragosta si chiamava…si chiamava…Greta! La piccola Greta era andata con la sua famiglia a fare un pic-nic che è, ovviamente, una cosa che le aragoste fanno spesso; dopo aver mangiato i panini che avevano preparato a casa decisero di andare tutti insieme a fare una passeggiata nella foresta di alghe che circondava il ranch dei cavallucci marini, a vedere se riuscivano a trovare qualche anemone visto che era periodo periodo e aveva evidentemente piovuto, visto che l’acqua era piuttosto umida (cerco di rimanere serio come lo deve essere chi racconta una favola, però ogni tanto, concedetemelo, una risata scappa) e perché i suoi genitori avevano una gran voglia di risotto con gli anemoni. Mentre rovistavano per il bosco d’alghe riempiendo i cestini di corallo portati da casa però Greta iniziò ad avere una stranissima sensazione, infatti vedeva che gli alberi di alghe intorno a loro mentre camminavano all’indietro, come ogni aragosta che si rispetti, raccogliendo anemoni. “Papà” disse la piccola Greta “ho un brutto presentimento”


“non è niente” le risposero i genitori “forse sono i cetrioli di mare che si sono messi sullo stomaco, l’avevo detto al fruttivendolo che non mi sembravano freschi” Anche se la piccola Greta non era convinta decise di lasciar correre, forse erano davvero i cetrioli… La ricerca continuava, ed era tanto tanto tanto fruttuosa; La piccola aragosta si era allontanata un po' tutta presa dalla caccia e quando si girò per avvisare i suoi genitori del gigantesco anemone porcino che aveva trovato le si gelò il sangue nelle vene: stavano andando verso un burrone!!! (“e loro non lo sapevano perché camminano all’indietro” “brava la mia cucciolotta” “e Greta? Che cosa fa??” “Piano tesoro, ora ti spiego… dov’ero rimasto….ah sì”) La piccola aragosta iniziò a chiamarli ma erano troppo lontani e non riuscivano a sentirla e allora fece l’unica cosa che poteva fare: iniziò a correre più veloce che poteva per cercare di raggiungerli ma non ci riusciva perché la foresta era piena di sassi, tronchi, rami e Greta, che come tutte le aragoste cammina all’indietro non faceva altro che sbattere ed inciampare (“aveva tanta paura?” “moltissima Asha, veramente tanta”) ed allora fece l’unica cosa che poteva fare, anche se andava contro la sua natura, ma non c’era alternativa: doveva camminare non all’indietro, ma in avanti! Solo così poteva vedere bene la strada e salvare i suoi genitori. Però era molto difficile e lei non ci aveva mai provato… “ho passato una vita a camminare all’indietro, come si fa a farlo avanti?” pensava la piccola aragosta, ma pensava anche che non c’era tempo, doveva salvare mamma e papà, quindi si fece forza, strinse le chele e, giratasi iniziò a fare dei piccoli passetti, prima piccoli, poi sempre più veloci, correva come un fulmine! Perché ora che vedeva dove metteva le zampette non aveva più nessuna paura “Mamma! Papà! Fermatevi, c’è un burrone!” I suoi genitori la guardarono, stupiti di vedere la figlia fare una cosa così strana come camminare avanti e si fermarono, non tanto perché glielo aveva chiesto la figlia, quanto perché erano veramente sconcertati da quella stranezza. “Pfiu, per un pelo” “Che cosa Greta? E perché cammini in questo modo così strano, non sei scomoda?” “Forse questa camminata è scomoda mamma, ma camminando così sono riuscita a raggiungervi in tempo perché altrimenti cadevate in un burrone, giratevi!” I genitori di Greta si girarono e si accorsero del pericolo scampato, allora abbracciarono la figlia e la portarono in trionfo a casa, preparandole come premio una grandissimo piatto di risotto agli anemoni. E vissero tutti felici e contenti”. “Ora, prima che la dico io, riesci a capire la morale della favola?” dissi chiudendo il libro bianco; “Mmm…” Asha, che fino ad ora mi aveva ascoltato così attentamente chiuse i suoi occhioni nocciola e si portò un dito sul mento, arricciando il labbro, in una versione bambina del “Pensatore” di Auguste Rodin “Forse che se vogliamo sopravvivere dobbiamo vedere avanti, quindi cercare di essere…” arricciò la fronte, nello sforzo di trovare una parola che non conosceva ancora “Lungimiranti?” sugerii io “Siii! Lun-gi-mi-ran-ti, dobbiamo essere lungimiranti, perché se non lo siamo rischiamo di cadere nel burrone, ma ho una domanda” “Dimmi, piccola” “Perché i genitori di Greta non si sono girati? Così potevano vedere se camminavano o no verso il burrone! Non erano lun-gi-mi-ranti?”


“Purtroppo no tesoro” posai il libro sul comodino e l’abbracciai “Vedi, purtroppo camminare in avanti è molto difficile, molto scomodo, perché non siamo tanto abituati. La maggior parte di noi preferisce ignorare dove stiamo andando preferendo guardare indietro, perché tanto il futuro non è un problema loro, e poi, ma questo te lo dico in confidenza eh, mantieni il segreto” aggiunsi, pizzicandole il nasino “per noi persone grandi è difficilissimo cambiare, soprattutto se per tanto tempo hai camminato indietro, perché è molto difficile togliersi una cattiva abitudine come questa. La morale è questa: noi dobbiamo essere sempre lungimiranti, e guardare avanti, come ha fatto la piccola Greta, solo così riusciamo ad evitare gli ostacoli e a salvare le persone a cui vogliamo bene e per farlo dobbiamo avere la forza di cambiare, anche se è difficile; ed ora a dormire, che è tardi, spegni la luce e sotto le lenzuola” le rimbocco le coperte e la bacio la fronte “’Notte stellina” “dove vai domani?” “Che c’è, siamo in vena di chiacchiere stasera?” le rispondo sorridendo “vado in spiaggia, perché delle persone che camminano all’indietro hanno buttato un sacco di cartacce per terra, ed ora riposa” prima di andarmene le do un altro bacio sulla fronte “buonanotte” “buonanotte papà” Socchiudo la porta, ma prima di andare a dormire le do un’ultima occhiata mentre dorme. Ogni fine settimana, quando non lavoro, con un gruppo di amici andiamo in giro per la città, o per i boschi e le spiagge a raccogliere e gettare i rifiuti lasciati dalle “aragoste”; non perché così mi senta un eroe, ma perché è uno dei pochi modi che ho per lasciare alla mia piccola Asha una casa migliore di quella che ho trovato, e che temo di lasciarle. A pensarci bene, la gioia più grande del mondo non è avere figli o stargli accanto nella crescita (che rimane però una cosa bellissima) ma sforzarci di cambiare, adottando un’andatura scomoda se necessario, ma farlo con la consapevolezza di lasciare un futuro concreto ai nostri bambini che devono pagare per la nostra superficialità, di lasciare qualcosa di puro alla mia Asha.


Poesia A cura di:

Tania Ferrara Emmanuele Zottoli Alessia Pierno


Ritornava

Poesia

Ritornava un’allodola in volo una freccia l’uccise… invano attendono la cena …i suoi piccolini Ritornava un’elefantessa col grembo di vita un frutto l’uccise… La dolce madre non ha più la sua creatura … La creatura non ha più la dolce madre… Ritornava il tursìope dall’acque fatali… un nero come il nulla l’uccise… le mute ondate coprono il cadavere. Non vedrà mai più un’alba di perla… La sentenza cala sul chiacchiericcio mattutino: “L’uomo è superiore perché ha l’anima” No. L’anima non ci appartiene… TANIA FERRARA Robert Doisneau, Bacio davanti all’hotel De Ville, 1959


In risposta a "versicoli quasi ecologici" di Giorgio Caproni

Poesia

Giorgio c'è poco da fare, l'uomo sa essere troppo poco e sa troppo bene dimenticare. Il lamantino che per te cantava adesso è un eco lontano che si spegne tra le onde, all'alba. Il pesce e il fiume hanno ormai l'ombra nera dell'economia e non c'è per loro alcuna magica liturgia se non le stesse mani che li esiliano poco a poco. Dopo ci sarà il funerale dell'erba e dell'acqua, un lutto roboante di silenzio. L’ incenso industriale sarà allora per i campi e le foreste lasceranno il loro passo. Abbiamo solo un giro d'orologio per aggiustare il guasto mentre il paese vasto si va sempre più stringendo. La Terra ci sopravvivrà,ne sono certo, ma forse senza di noi -e Lei piangerebbea darle il tormento.

EMMANUELE ZOTTOLI


LIQUIDITA'

Poesia

Che differenza c’è tra un uomo ed un torrente? Raschiamo la vita nella colluvie, trascinati dalla corrente. Ristagniamo incontenuti pur essendo interstiziali. Questo perché siamo liquidi affluenti tributari. È una polvere sottile che divide il gene e il mare; lontano un chip di silicio risuona tra le bare. Di chi non ce l’ha fatta, di chi, cuore animale, nel rispetto dell’abbiente non si è saputo rispettare.

Immagine tratta da: Adobe Spark

ALESSIA PIERNO'


C R I T I C A

A

L E T T E R A R I A

C U R A

D I :

Matteo Balsamo Maria della Rovere Laura Colosi

CON IL CUORE DEI GIGANTI Il titolo di questa rubrica è ispirato alla celebre citazione di Bernard de Chartes: “…come nani sulle spalle dei giganti” Il nostro sarà un tentativo di salire sulle spalle dei colossi del passato e da spiriti di bassa statura con il loro aiuto guardare al presente e al futuro con occhio critico e curioso. In questo spazio, verranno trattati un autore e un’opera letteraria in linea con il tema mensile della rivista. Non verranno date solo note tecniche o mere nozioni sullo stile ma fornirà un ponte di lancio al nostro pensiero per poi addentrarsi nelle profondità: tentare di interpretali ed offrire poi uno spunto di riflessione.


Critica

CAMMINANDO VERSO LA FOCE DI MATTEO BALSAMO Una meta prestabilita

fiume in piena dei mille

non vuol dire un

impegni. Dobbiamo

itinerario noto. Spesso,

essere in grado di

infatti, viaggiando è

ascoltarne il suono,

possibile cogliere sapori,

prima che tutto venga

odori e colori che non si

travolto dalla baraonda

credeva potessero

frenetica del tempo e

esistere in quella tipica

del guadagno.

e peculiare sfumatura;

Ritagliarci, insomma, uno

scorci verdi brillanti di

spazio che non è

luce che si credevano

convenzionale, e

immaginari e antiche

osservare la crescita

voci dimenticate dal

delle piante, toccarne la

tempo. Tutto è negli

terra, e innaffiarle,

occhi di chi guarda. In

convinti e fiduciosi che

un mondo consumistico

un giorno cresceranno e

che propina

daranno i loro frutti

costantemente divani,

migliori. Un viaggio

abbonamenti televisivi,

dell’anima annotato

ristorazione a basso

giorno dopo giorno su un

costo e prezzi imbattibili

block-notes, come

al supermercato, a volte

quello che conduce lo

il colore tenue del cielo

scrittore Gianni Celati,

di primo mattino fa

in “Verso la foce”.

svanire le distanze tra

Quattro racconti di

ciò che siamo e ciò che

osservazione, ambientati

ci illudiamo di essere. Il

nel 1983, ‘84 e ‘86, in cui

silenzio della natura,

sono lampanti il

popolato solo dal

degrado e l’incuria in cui

cinguettio vivace degli

è stata abbandonata la

uccelli, ci sprona a

campagna della valle

credere che la vita sia

padana; la genuinità

ciò che sembra sempre

asfaltata dal

sfuggirci a causa del

“progresso” e


Critica

"Piante di camomilla crescono a caso in un fosso pieno di macerie"

dall’omologazione

uno di questi. Ascolta le voci

dettata dal mercato, che

rauche delle vecchie di paese,

desidera “villette geometrili”

e fissa le loro rughe che

identiche in tutto e per tutto e

assomigliano a cortecce brune

dimentica chiese e mura

di ulivi secolari; aiuta un

antiche, che “si vanno a vedere

bambino di nove anni ad

con la moglie e i figli, sì, tanto

annaffiare i suoi piccoli fiori;

per mostrare che ci si interessa

conosce, strada facendo,

a qualcosa, e allora bisogna

benzinai, baristi, contadini,

sempre fotografare e dire che è

studenti, anziani e bambini che

interessante”. Eppure, a chi sa

con i loro racconti

ascoltare, quelle mura rivelano il

accompagnano il suo viaggio

loro passato. Ma il mondo non

“verso la foce” del Po. La

ha più tempo per queste cose, e

distesa della pianura combatte

pochi esploratori oramai

pervicacemente contro

mettono nello zaino pane,

nebulosa di gas depressivo e

formaggio e curiosità. Gianni è

soffocante nella zona di Modena, “laggiù, dove i quattrini hanno fatto intorno a sé terra bruciata”. L’inquinamento troneggia sui verdi campi: "Laggiù l’acqua del ruscello è stagnante e rossastra, la mota sulla riva tutta crepata per la siccità di molti mesi, e il polline lanoso dei pioppi s’è posato dovunque, anche su un grumo di catrame. Piante di camomilla crescono a caso in un fosso pieno di macerie, dove un copertone sventrato segna il limite di qualcosa che non so." È il periodo del disastro di

Černobyl', dove l’uomo si rende conto degli effetti delle suenscellerate decisioni che hanno avvelenato la terra e contaminato la bontà dei raccolti. Il Po, dotato di una antica saggezza e perizia nel rimodellare fin dal quaternario il suo corso, impazzisce a causa degli interventi sconsiderati dell’uomo moderno. Tuttavia, in


Critica

uno stradone pieno di villette tutte uguali su entrambi i lati, dove i tigli sono stati scapitozzati per evitare che gli umani starnutissero, sopraggiunge con una folata di vento una quantità enorme di pollini dai pioppeti della zona: "Gli automobilisti hanno dovuto mettere all’opera i tergicristalli, e tutte le insegne pubblicitarie sono diventate invisibili per dieci secondi. Dieci secondi di masse opache, dove tutto passava via già da adesso, sparita anche quest’immagine del mondo che ci portiamo negli occhi." Leggendo questo passo non può non venirmi in mente la scena di quel meraviglioso film “La tigre e la neve” di Roberto Benigni, nella quale la coprotagonista di nome Vittoria (Nicoletta Braschi) aveva promesso ad Attilio (Roberto Benigni) di sposarlo solo se avesse visto una tigre sotto la neve (evento remoto e praticamente impossibile). Eppure, dopo varie vicissitudini e il coma di lei in Iraq durante la Seconda guerra del Golfo, Vittoria, tornata in Italia sana e salva, mentre è al volante scorge una tigre scappata da un zoo sopra un manto bianco di pollini. Tutto il resto del mondo diviene invisibile, sembra suggerire questa scena, se abbiamo fiducia di ciò che in apparenza può

Issue 27 | 234

sembrare impossibile. Può sembrare di certo impossibile


Critica

cambiare le cose: la società dei consumi di

godere, rispettosi della sua identità. Solo allora, dunque, potremo assaporare

certo non la arresteremo,

veramente il gusto

ma potremmo cambiare il nostro modo di

"Se potessi andrei a guardarli uno a uno quei canali, mi sembrano così favolosi. Le ere mitiche sono là, nel paesaggio, nelle strade e canali che attraversano i territori" non

pensare e di porci nei confronti dell’ambiente, considerandolo

come una risorsa da sfruttare avidamente, ma come un bene comune di cui

delle prugne coltivate per fini non commerciali; annusarela fragranza delle rose di giardino;

degustare il sapore corposo di un buon vino “fatto anche con l’uva”. D’altronde, dobbiamo solo ritrovare il “fanciullino che è in noi”.


Critica

IL MERIGGIO DEL NUOVO MONDO DI MARIA DELLA ROVERE Il 9 Marzo 2020 le vite di

respiratorio. Una

ognuno sul suolo della

situazione di tale

nostra amata patria,

portata ben spiega

l'Italia, sono state

l'emergenza sanitaria

improvvisamente sospese

verificatasi nel nostro

da quella che potremmo

Paese che dunque ha

definire l'abituale

condotto

socialità che s'opera nella

obbligatoriamente

condivisione di spazi

ognuno di noi a

comuni e pubblici

sospendere le proprie

e dalla frizzante

attività lavorative o

mondanità del nostro

di studio (quantomeno in

secolo, nonché attività

buona parte) ed a

produttive, di servizio

disporre di numerose ore

pubblico e manifatturiere

in cui adoperarsi in altre

hanno pure subìto un

attività, sia ricreative

moderato arresto o un

che riflessive. È proprio

forte rallentamento a

ad una riflessione

seconda dello specifico

derivata a sua volta dal

settore interessato. Ciò è

momento ricreativo

accaduto per l'ormai

quale la lettura poetica

ampiamente discussa

che desidero condurre

pandemia da Sars-CoV-2

l'attenzione del lettore.

comunemente

Ebbene tale periodo di

denominata Covid19 che

sospensione che

ha portato ad una

abbiamo imparato a

necessaria restrizione di

definire quarantena

talune libertà individuali e

epidemica o in maniera

sociali onde evitare il

maggiormente

diffondersi del contagio e

internazionale lockdown,

l'aumento del numero dei

pare essersi concluso nel

decessi per insufficienza

giorno 3 Giugno 2020 a

polmonare e conseguente

seguito di tre mesi di

collasso del sistema

quasi totale isolamento


Critica

domestico, che per alcuni è

improvvisamente ci siamo

stato motivo e fonte di ingente

accorti che l'aria che ci

stress e pressione psichica e per

penetrava i polmoni era più

"improvvisamente ci siamo accorti che l'aria che ci penetrava i polmoni era più sana e meglio ossigenata"

altri invece momento di

sana e meglio ossigenata e che

ritrovato raccoglimento

i mari come i fiumi e le lagune

interiore. Cosicché gettando

uno sguardo, in questo lasso di tempo, oltre il nostro piccolo

rilucevano di un'acqua più limpida e pura ed i suoni che si potevano percepire d'intorno

focolare domestico e

erano tornati ad essere, dopo

volgendoci al di là del nostro

anni di umana frenesia, quelli

perimetro personale, dove

siamo stati confinati, abbiamo avuto modo di notare città

naturali. Per molti è stata occasione di scoperta, soprattutto per i più piccoli,

insolitamente silenti e quiete,

venuti al mondo già in una Terra

quasi eteree nella loro forma

disgraziatamente antropizzata.

che pareva trascendere la

Poco per volta il mondo naturale

realtà delle cose;

ha voluto riavvicinarsi e tenderci la mano mostrandosi e meravigliando i nostri occhi già increduli con la propria leggiadra bellezza. Qualcosa di umano e di naturale pareva allora fondersi nei nostri assolati pomeriggi primaverili, cosicché versi più adatti del Meriggio di Gabriele d'Annunzio non si potrebbero trovare per esprimere il panismo dell'uomo, che dovrebbe sempre accompagnare il nostro cammino. In questa lirica, inserita in Alcyone, nel III libro delle Laudi, è il Vate stesso a fondersi ed a mescolarsi non solo con un luogo bensì con il tempo stesso del momento oblioso narrato, nella massima ed assoluta trasposizione di quella poetica panistica che ha contraddistinto la mano intellettuale del Maestro.


Critica

MERIGGIO A mezzo il giorno

di corrente, non ruga

il mio palato, è come

sul Mare etrusco

d’aura. La fuga

il cavo della mia mano

pallido verdicante

delle due rive

ove il tatto s’affina.

come il dissepolto

si chiude come in un cerchio

bronzo dagli ipogei, grava

di canne, che circonscrive

E la mia forza supina

la bonaccia. Non bava

l’oblio silente; e le canne

si stampa nell’arena,

di vento intorno

non han susurri. Piu foschi

diffondesi nel mare;

alita. Non trema canna

i boschi di San Rossore

e il fiume è la mia vena,

su la solitaria

fan di sé cupa chiostra;

il monte è la mia fronte,

spiaggia aspra di rusco,

ma i più lontani, verso

la selva è la mia pube,

di ginepri arsi. Non suona

il Gombo, verso il Serchio,

la nube è il mio sudore.

voce, se ascolto.

son quasi azzurri.

E io sono nel fiore

Riga di vele in panna

Dormono i Monti Pisani

della stiancia, nella scaglia

verso Livorno

coperti da inerti

della pina, nella bacca

biancica. Pel chiaro

cumuli di vapore.

del ginepro:

silenzio il Capo Corvo

Bonaccia, calura,

io sono nel fuco,

l’isola del Faro

per ovunque silenzio.

nella paglia marina,

scorgo; e più lontane,

L’Estate si matura

in ogni cosa esigua,

forme d’aria nell’aria,

sul mio capo come un pomo

in ogni cosa immane,

l’isole del tuo sdegno,

che promesso mi sia,

nella sabbia contigua,

o padre Dante,

che cogliere io debba

nelle vette lontane.

la Capraia e la Gorgóna.

con la mia mano,

Arduo, riluco.

Marmorea corona

che suggere io debba

E non ho più nome.

di minaccevoli punte,

con le mie labbra solo.

E l’alpi e l’isole e i golfi

le grandi Alpi Apuane

Perduta è ogni traccia

e i capi e i fari e i boschi

regnano il regno amaro,

dell’uomo. Voce non suona,

e le foci ch’io nomai

dal loro orgoglio assunte.

se ascolto. Ogni duolo

non han più l’usato nome

La foce è come salso

umano m’abbandona.

che suona in labbra umane.

stagno. Del marin colore,

Non ho più nome.

Non ho più nome né sorte

per mezzo alle capanne,

E sento che il mio volto

tra gli uomini; ma il mio nome

per entro alle reti

s’indora dell’oro

è Meriggio. In tutto io vivo

che pendono dalla croce

meridiano,

tacito come la Morte.

degli staggi, si tace.

e che la mia bionda

Come il bronzo sepolcrale

barba riluce

pallida verdica in pace

come la paglia marina;

quella che sorridea.

sento che il lido rigato

Quasi letèa,

con sì delicato

obliviosa, eguale,

lavoro dall’onda

segno non mostra

e dal vento è come

E la mia vita è divina.


A

seguito

di

questi

versi

dell'intercalare potente e dalle

immagini

poeta,

meravigliosamente,

magnifiche,

l'uomo,

non

è

nostro futuro. Così vivere

solo

il

divinamente, senz'altra voce se

il

non con la voce della nostra

monte, il lido o la scaglia della

Terra sublime, se non nella

pina,

le

forza inestinguibile e

in

nell'ardore che essa c'inspira

ma

egli

medesime

cose

un

tempo

concesso

è

tutte

all'unisono

universalmente

all'Eterno,

in

un

come in un sortilegio incredibile. Ed è in tal maniera

meriggio, appunto, infinito.

e solo in tal maniera che ogni

L'immagine viene colta in una

duolo, ogni male ci può

singola

abbandonare, ogni crepa dello

Mezzo

e il

particolare giorno",

simbolica,

il

in

ora

"A

quest'ora

Sole

giunge

spirito si sana, ogni male del corpo c'abbandona poiché

all'apice del suo percorso

non abbiamo più un umano

conducendo

corpo ma una coscienza

ad

una

figurata

maturazione la stessa stagione

superiore. Ma oggi cosa è

a mo' d'un frutto succoso

rimasto del Meriggio? Quali

e

questa

sono le nostre ore riarse e

splendida lirica, che d'Annunzio

limpide in cui dar luogo al

nella

miracolo del panismo? Ebbene

dolciastro.

È

fusione

in

magnifica

del

panismo ci mostra il connubio

non appena la tanto attesa

perfetto che dovrebbe regnare

fase due, il normale ritorno alla

fra uomo e natura sicché nei

normalità, il periodo di

nostri

convivenza epidemica ha

pomeriggi

sarebbe

ora

più quanto mai necessario e

desiderabile

empirico

fondersi

abbraccio

ridato il via ad attività

in

un

sensoriale

consumistiche ed individuali, i nostri mari e prima ancora i

e spirituale con quanto di più

nostri fiumi sono stati

ancestrale e naturale ci resta.

nuovamente insudiciati

In questi versi superbi ed

da liquami inquinanti che

evocatori

percepiamo

quasi,

risultano essere fortemente

durante la lettura, il sole estivo

dannosi per la fauna e la flora

ad indorarci ed a intiepidirci la

acquatica e litoranea, d'altra

pelle

parte l'impronta ecologica non

in

l'odore

un

divino

salmastro

bacio

delle

e

onde

è ricaduta solamente sulla

marine che s'infrangono sui lidi,

biosfera fluviale e marina, ma

riempirci

anche a livello dell'atmosfera,

il

petto

e

l'animo.

Divenire poco per volta parte

l'improvvisa ripresa delle

della

attività umane ha subito fatto

grandezza

naturale,

essere il fuco e l'arena marina

notare un aumento dell'indice

non è forse questo in destino

di densità atmosferica con

dell'uomo

conseguente diminuzione della

propria

saggio?

via

spirito

e

nella

qualche

la

Trovare pace

comunione

cosa

di

la

dello con

tacitamente

corretta ossigenazione e del corretto equilibrio gassoso; gli eleganti e superbi fenicotteri e

superiore, vivere in ogni forma

le timide cerbiatte dai grandi

ed

occhi languidi, non più

in

ogni

suono,

questo

l'insegnamento del Vate per il

è

popolano le "nostre" strade ed

Critica


i "nostri" parchi cittadini e le

stessa di quello che ogni

volpi sono tornate a fuggire

umano senziente dovrebbe

terrorizzate e confuse dal

comprendere per mutare

ruggito e dai fari delle nostre

questo tragico secolo.

auto lanciate in corsa

- A voi il grande e trionfante

sull'asfalto che nero e cupo

Meriggio, a voi la scelta

fende le colline. È bastato

d'esserlo.

Critica

qualche mese per ricondurre la natura a noi ma è bastato ancor meno, qualche giorno, per riaffermare l'uomo come un essere spregevolmente insano e deleterio per il proprio stesso mondo. In conclusione intendo invitare tutti i gentili lettori a porgere la mente a questa riflessione - un mondo martoriato non accetterà ancora lungamente le oppressioni imposte da una propria singola specie senza distruggerla o condurla all'autoannientamento, la salvezza dipende unicamente da noi, da ciò che scegliamo di fare quotidianamente, da ciò che scegliamo di mangiare, da ciò che scegliamo di acquistare. Abbiamo sempre il potere di fare una scelta ed ora possiamo scegliere se investire quella volpe che corre davanti la nostra auto o rallentare ed aspettare che si metta in salvo, e poi fermarci nella notte e respirare profondamente guardando il cielo nella consapevolezza che salvando quella singola vita abbiamo salvato il mondo intero per un altro singolo giorno. Essere eroi significa essere in grado di scegliere senza lodi ma come atto dovuto. Oggi ognuno di noi è chiamato a questa scelta. Il panismo non è solo una suggestione poetica meravigliosa bensì l'essenza

"Essere eroi significa essere in grado di scegliere senza lodi ma come atto dovuto"


Critica

IL PIANETA IRRITABILE: LA BUONA E LA CATTIVA MERDA DI LAURA COLOSI Il Pianeta irritabile viene

nota: in una grotta vi è una

pubblicato nel 1978, tre anni

scimmia seduta sopra un

dopo che l’autore, Paolo

elefante sotto il quale c’è

Volponi (1924-1994), era stato

un’oca e dalla mano della

costretto a lasciare l’incarico

scimmia pende una catena

di consulente presso il celebre

alla quale è legato un nano

marchio automobilistico Fiat a

rannicchiato su un lato. I

causa della sua adesione al

personaggi principali sono

Partito Comunista Italiano.

dunque tre animali e un

Sono gli anni della Guerra

uomo, o meglio il

Fredda e il romanzo, in un

rappresentante dell’uomo

futuro distopico 2293, porta

al suo livello più infimo (un

alle estreme conseguenze la

nano dal volto deturpato e

minaccia del conflitto nucleare

privo di cultura) e che nel

che incombeva al tempo.

corso del racconto arriverà

Nell’immaginazione narrativa

persino a perdere gli ultimi

nel 2000 sono esplose le

residui della sua umanità in

testate nucleari e i due partiti

un processo progressivo di

Liberals e Ulp (chiare maschere

animalizzazione. La

di Stati Uniti e Unione

narrazione delle vicende

Sovietica) si sono annientati

dei quattro, che si

completamente e dopo

mettono in viaggio alla

catastrofi naturali, tentativi di

ricerca di una terra

controllo sociale e repressione

promessa dove realizzare il

poliziesca la macchina

sogno di un’utopia

tecnologica si è fermata, le

collettiva, procede a sbalzi

fabbriche sono inattive e

al punto che il lettore

l’ultima riserva di petrolio giace

spesso si chiede il perché a

inutilizzata. In questo scenario

un episodio segua un altro.

catastrofico si innesta la storia

Il Mondo è presentato

dei quattro protagonisti, ex

come un mondo stremato,

membri di un circo e ora novelli

irritato, a pezzi come uno

cavalieri dell’apocalisse, i quali

specchio frantumato da un

vengono presentati al lettore in

sasso, sopra e sotto si

un fermo immagine degno di

confondono, il paesaggio è


Critica

di natura metamorfica delirante

distopico infatti ci dice cose

(montagne che crollano

importanti del nostro mondo e

improvvisamente, il moltiplicarsi di

come ogni romanzo apocalittico

nuove lune, laghi che

che si rispetti, pur in chiave

scompaiano e appaiono come se

iperbolica e fantastica, è

nulla fosse) e la scrittura di

simbolo del “non ancora” che

carattere lirico ed espressionistico

incombe se continueremo ad

cerca di rendere visualizzabili

agire in modo sconsiderato e

eventi convulsi e indistinguibili.

che si contrappone al “non più”

Ci troviamo dunque di fronte a un

tipico delle testimonianze scritte

Futuro raccontato in termini

del reale che invitano a non

apparentemente favolistici ma in

commettere gli stessi errori del

cui in realtà vi è la proiezione

passato. Certo non è facile

del presente contemporaneo

superare gli orrori della storia, il

dell’autore e in una certa misura

vero ha un più di durezza per

anche del nostro. Questo mondo

il fatto di essere accaduto, ma il fantastico prendendo spunto dal contingente (vedi ad esempio le bellissime pagine sulle catene di montaggio che trattano il tema della alienazione e della ripetitività e ricordano Tempi Moderni di Chaplin) riesce a innescare una polemica nei confronti delle emergenze in atto nel reale. Volponi si scaglia animatamente contro quello che possiamo definire “Ipercapitalismo”, artificiosa ragione del potere dove tutto è innaturale, ma lo fa non nei termini di una tiratura retorica a base di carità, misericordia, fede e coraggio ciecamente antimodernista e antiscientifica quanto piuttosto in chiave critica e allo stesso tempo parenetica. Attraverso le parole del nano Zuppa, in un’accesa disputa verbale che questi ha nel finale con il governatore nemico Moneta, rappresentate massimo del capitalismo descritto come


Critica l’uomo che ha snaturato e

Chiara è la posizione anti

lasciato l’uomo e lo stronzo più

antropocentrica di tali testi

stupido e scemo cagato da

che si scagliano contro le

sgherri e gendarmi, l’autore

magnifiche sorti e progressive

distingue due tipi di artificiale,

per dirla alla Leopardi, il quale

un

artificiale positivo che

tra l’altro proprio tale tema

consiste nella Ricerca e nella

dell’estinzione umana in

Scienza dato che queste

chiave polemica tratta nel

prevedono un ritorno al

Dialogo di un folletto e uno

naturale vicino anche alla

gnomo appartenente alle

buona merda utile come

Operette Morali, dove i due

concime e un

artificiale

protagonisti discorrono sullo

negativo stronzo tesaurizzato

sterminio della razza umana

di una circolazione forzata.

per autodistruzione tramite

In questo romanzo il sogno

guerre, navigazioni, omicidi,

dell’utopia, dell’agognato

ozio e libri (nessun interesse

ritorno alla Natura coincide

umano è risparmiato) e di

con la disumanizzazione, quindi

quanto la Natura non ne senta

con l’assenza del dato umano.

minimamente la mancanza.

Del resto in numerose pagine

Facile è incorrere nell’errore di

della letteratura mondiale

banalizzare tali opere a futile

distopica e non solo l’uomo è

critica di una situazione che

presentato come l’inquilino più

non possiamo cambiare non

fastidioso, vero e proprio

comprendendo che ciò che di

parassita della Terra che, in

queste è importante non è

seguito alla sua estinzione,

tanto la loro capacità di

conduce un’esistenza migliore

previsione profetica (vedi

e riesce a riprendere possesso

Dissipatio H.G.) quanto il

del territorio. Abbiamo avuto

loro carattere provocatorio, il

un piccolo assaggio di ciò

loro essere “proiezione

durante i mesi di quarantena in

appassionata dell’oggi”

cui ad esempio, per citare uno

che deve fungere da stimolo

dei numerosi casi avvenuti, a

per modificare il disastro

Villetta Barrea, piccolo paesino

annunciato. È di certo più

dell’Abruzzo, alcuni cervi sono

facile che tutto vada male

stati avvistati passeggiare

piuttosto che bene e che

indisturbati in centro. Tale

quindi le profezie negative

episodio di cronaca mi ha

si compiano, rassegnarci al

riportato alla mente un passo

presente e non fare nulla per

di un altro romanzo distopico

cambiarlo. Questo sentimento

da me letto, Dissipatio Hg, in

di amara accettazione è

cui il protagonista, rimasto

proprio della convinzione di

l’ultimo uomo al mondo, vede

vivere di un periodo

due camosci, scesi a valle dai

eccezionale di crisi: è un luogo

monti, sfilare in mezzo ai binari

comune parlare della propria

indisturbati, cosa mai

situazione storica come

accaduta a suo dire a memoria

eccezionalmente terribile,

d’uomo.

definire la crisi che viviamo

come la più preminente, tormentosa ed interessante di tutti i tempi ma la verità è che l’ansia escatologica è provata dall’uomo sin dall’antichità. La Fine non è che un limite da noi inventato per rendere il tempo finito e comprensibile, una costruzione di carattere fittizio per dare un senso di ordine ed armonia ad un contingente caotico. Ciò non toglie che ci siano problematiche evidenti e che la stessa letteratura abbia il compito di denuncia di queste. Chiuso il libro sta a noi cambiare il presente attuando un ritorno al naturale non di natura romantica e antimoderna chiaramente irrealizzabile che si fonda su una laudactio temporis acti illusoria, ma piuttosto, prendendo spunto dal modello volponiano, pur innovandolo, adattare tramite la Scienza e la Ricerca l’umano al naturale.

"Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita sulla terra" - Hans Jonas


⽊漏れ⽇

KOMOREBI

CRITICA CINEMATOGRAFICA

A CURA DI: SARA PICARIELLO ALESSANDRA DE VARTI CARLO GIULIANO

Komorebi è la parola giapponese usata per indicare la luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi. Le parole giapponesi sono estremamente affascinanti, questo perché i kanji, ideogrammicondensatori di significato, sono utilizzati per esprimere concetti complessi che non potrebbero essere espressi con le parole del nostro alfabeto. In particolare l’aver creato una parola appositamente per rendere lo spettacolare effetto visivo della luce tra gli alberi, mi ha da sempre trasmesso qualcosa di poetico e di magico. Pronunciando una semplice parola siamo lì, tra quegli alberi attraverso cui il sole cerca di penetrare, rompendosi in fasci di luce. Un effetto visivo per me simile alla luce dei proiettori, che girando lo sguardo durante la proiezione di un film, vedo uscire dalle piccole finestre poste in alto nella sala, una somiglianza forse lontana ma dettata dalla stessa sensazione di quiete che mi trasmette il trovarmi tra la natura o in una scura sala di un cinema. Cosa sarà quindi Komorebi? Definirla una rubrica cinematografica forse è un po’azzardato, mi piacerebbe più definirla come la piccola finestra di una sala dalla quale proietterò un film, scelto da me, visto di recente, ma anche più datato, che consiglio di vedere (se non lo avete ancora fatto). Lo analizzerò, commenterò fornendo una chiave di lettura personale e delle curiosità a riguardo. Detto questo buona lettura!


Critica

Zabriskie Point: I due volti dell'America DI SARA PICARIELLO

La

Death

Valley,

desertica

un’area

Nel

tra

la

morte

Nevada,

uno

situata

California

e

il

cuore

spicca

singolarità,

dei luoghi più caldi e aridi al

una

mondo,

nascosta

è,

perfetto

in

realtà,

equilibrio

un

naturale

tra due concetti antitetici: la

chilometri, di

fiori

persino

desertica convivono

selvatici, oasi,

e

lunga distese cactus,

nulla

ha

impedito a vari animali, come coyote, scoiattoli, montagne

rettili,

corvi,

pecore rocciose,

di

delle creare

un proprio habitat per vivere.

realtà,

luna

sud-ovest paesaggio

dell’antico

dai lago

Creek,

prosciugato. visione

Point,

formatosi

Furnace

depressione

sua

della

un

‘alieno’

elevate

la

Zabriskie

americano,

della

la

nel

sedimenti

e

valle

per

faccia

vita e la morte. Infatti, con le temperature

della

di

Fu

immobile

sempre

proprio

questa

rispetto

ad più

ora

e

la

Con

la

"L’avventura" , "La notte" e "L’eclissi" ) il regista (

ferrarese velo

aveva

del

perdersi spazi

negli

della

prima

solitudine

silenziosa,

esistenziale

movimentata

e

anni

realizzare

il

americano: del 1970.

suo

secondo

film

"Zabriskie Point"

temi

interiore,

’60,

Michelangelo per

dei

e

suoi per

come il

la

disagio

l’alienazione

della società industriale degli

rumorosa, a fornire al regista Antonioni,

per

affrontando

volta

il

interminati

mente

personaggi, la

squarciato

neorealismo

sconfinata

un’America

trilogia

dell’incomunicabilità

registi

l’idea

sua

mai

del

trattati

dai

dopoguerra.

Per

ciò

utilizzò

uno

stile totalmente rivoluzionario e

ipnotico,

detti

quello

momenti

inquadrature indagatrici cogliere

i

dei

fisse sui

tormenti

che nascondono.

così

‘stagnanti’:

volti, e

i

e per disagi


21

Critica

Giunto

in

America

negli

anni

’70,

Antonioni

dovette

È tra queste voci che emerge quella di Mark, una voce

necessariamente “fare i conti” con le grandi produzioni, in

fuori

pieno

rivoluzionario

fermento,

sentimenti

urlati

e a

con

l’emergere

squarciagola,

il

di

un

cinema

cinema

delle

dei

grandi

dal

Mark

è,

coro,

stonata.

Mark tutto

è

un

e

più

di

infatti,

un

individualista,

contestatore,

contesta

la

un

rivoluzione.

preferisce

l’azione

passioni e dei grandi eroi. Il decennio americano fu per

all’inazione,

questo

combattere contro un sistema opprimente, ma di certo

motivo

nell’amalgamare intimista,

ai

il il

nuovi

più suo

sperimentale. stile,

stilemi

dalla

La

difficoltà

profonda

statunitensi,

lo

indagine

portò

ad

una

non

vuole

ascoltare

e

sarebbe

morire le

di

disposto

noia,

proposte

a

morire

standosene

altrui.

Mark

pur

seduto

non

si

di

ad

lascia

ricerca ancora più profonda delle inquietudini umane e ad

ingabbiare da schemi già stabiliti, vuole seguire ogni

un cinema più silenzioso, riflessivo ed aperto a svariate

suo

interpretazioni.

libero di rischiare la vita, pur di non conformarsi alla

passione

società.

"Blow-Up", "Zabriskie Point",

Nei suoi tre film americani (

Professione: reporter")

"

la

società

americana

verso

di

Morte.

anni.

Una

società

ogni

questo

sensazione,

“gioco”

con

la

egli

vuole

sorte

il

essere

giovane

rivoluzionario riesce a rubare un elicottero e a dirigersi

spicca in tutte le sue sfumature quegli

In

ed

la

distesa

In

infinita

questo

folle

di

sabbia

volo

è

della

Valle

contenuta

della

tutta

la

capitalistica e alienante, in preda alle rivolte giovanili, una

dirompenza del suo personaggio: un ragazzo che per

società che cercava di impossessarsi sempre di più degli

di fuggire da un’umanità troppo legata alla realtà, ha

spazi della natura, per adattarli ai propri bisogni o alle

deciso di librarsi in volo, alzarsi da terra ed osservare lo

proprie vanità, distruggendo così il suo vero volto. Ma era

scorrere di una vita che non lo rappresenta.

anche una società ricca di stimoli provenienti dai giovani, dalla musica rock, dall’uso delle droghe, dalla moda e da stili di vita lontani dall’Italia. Se da un lato, Antonioni fu estraneo a tutto ciò, dall’altro ne fu totalmente attratto. Lo stesso vale per i suoi personaggi: nonostante cerchino di fuggire

da

una

realtà

nella

quale

non

si

riconoscono,

inevitabilmente ne fanno parte e ne incarnano i valori e le caratteristiche. È da questa condizione che scaturisce la loro alienazione e la loro solitudine interiore.

Insuccesso per il pubblico americano,

"Zabriskie Point"

fu,

invece, il più apprezzato dalla critica italiana, non solo per il coraggioso sperimentalismo e la suggestiva fotografia, ma soprattutto per quella commistione tra critica sociale e profonda analisi dei sentimenti umani.

Siamo

nella

Los

Angeles

degli

anni

’70,

le

automobili

sfrecciano su larghe strade e tra edifici sempre più alti in costruzione, la musica dei Pink Floyd a tutto volume, ai finestrini pubblicitari,

sfilano

nervosamente

slogan

promozionali,

enormi insegne

cartelloni

delle

grandi

multinazionali, profili squadrati e fumanti delle industrie e rappresentazioni

grottesche

di

allegri

animali

che

adornano l’esterno dei mattatoi. Caoticamente, gli studenti affollano le aule universitarie, scalpitando per far sentire la propria voce contro una guerra che miete giovani vittime in Vietnam e contro un sistema per il quale il colore della pelle è ancora un segno distintivo dei diritti che spettano ai cittadini.


22

Critica

un’altra

Anche

Daria

realtà, quella patinata e apparentemente perfetta delle ditte

realtà.

Un

In

questa

Los

appaltatrici.

Angeles

In

questi

stabiliscono

esigenze

capitalistiche in

oasi

anni

uffici

eleganti,

trasformare

degli

quali e,

’70,

ogni

giorno

spazi

quali

artificiali

della

parti e

emerge

uomini,

natura

del

case

anche,

adattare

deserto

di

potenti

lusso

ed alle

è

inevitabilmente

impegno

lavorativo,

risospinta infatti,

le

verso

la

impone

di

recarsi nella villa del suo capo, un’idilliaca costruzione in mezzo al deserto, in cui troverà donne di plastica

californiano, per

famiglie

facoltose. Proprio in uno di questi uffici, per pagarsi gli studi,

intente al fare il bagno in piscina e uomini, che in giacca

e

cravatta,

deliberano

sul

modo

in

cui

a

“riempire” il vuoto del deserto. Ed eccolo di nuovo, il

questo mondo, non si riconosce in questi asettici luoghi privi di

volto dell’altra America, quella artificiale, che l’uomo

colore,

ha contaminato, in cui la natura è messa da parte o

lavora

Daria.

ma

La

a

giovane

differenza

ragazza,

di

come

Mark

Mark,

cerca

di

è

estranea

adattarsi,

salvo

concedersi delle sporadiche visite nel deserto per meditare.

del tutto sostituita, è l’America che Mark ha cercato di eludere e che Daria immagina implodere. L’enorme villa, simbolo della società capitalistica, agli occhi di Daria, rigati dalle lacrime, appare in preda ad una terribile esplosione: tutto prende fuoco infrangendosi nell’aria contro il cielo azzurro, in quella che forse, è una

delle

scene

più

belle

della

storia

del

cinema,

ripresa per la maniacale precisione di Antonioni da ben 17 diverse angolazioni, e musicata dai Pink Floyd con un arrangiamento originale. Utopisticamente, o quasi profeticamente, Antonioni immagina che questa società e tutto ciò che rappresenta, per effetto della natura, o a causa dell’uomo, finisca per disintegrarsi e

I destini di Mark e Daria, così distanti, ma in un certo senso vicini,

si

incontrano/scontrano

nello

Zabriskie

Point,

nel

cuore della Valle della Morte. Qui, tra sabbia e polvere, i due giovani parlano, giocano, si inseguono e si innamorano. Lo scheletro, di quel lago prosciugato da secoli, ritrova la vita e il vuoto delle sue sinuose dune accoglie questo folle amore e si riempie di esso. Iconica è la scena dell’atto sessuale in cui, i corpi dei due amanti si confondono con la sabbia, diventano un tutt’uno con la natura e si moltiplicano all’infinito. Emergono dalla stessa sabbia altri corpi e in questo

amplesso

collettivo,

in

questo

trionfo

panico

dei

sensi, la Valle della Morte si trasforma in un Eden, dove un moderno

Adamo

e

una

moderna

Eva

possono

vivere

al

riparo dalla realtà, lontani da ogni costrizione.

L’arido

deserto

inesplorata,

è

non

il

volto

inquinata,

della quella

vera su

America,

cui

l’uomo

quella non

ha

ancora fatto gravare tutto il suo peso distruttivo, ed è solo qui,

in

questa

forma

originaria

di

America

che

può

svilupparsi un amore libero e primordiale.

Dopo l’atto di passione, Mark decide di sfidare per l’ultima volta

la

vita,

vuole

dimostrare

di

poter

riconsegnare

l’elicottero e fuggire. Ma nell’altra America, quella in cui l’uomo

detiene

il

potere

e

spadroneggia

violentemente,

Mark capirà a sue spese quanto questa folle fuga gli sia costata.

far posto a qualcosa di nuovo, lì dove, invece, la forza propulsiva della rivoluzione e di tutti i suoi valori aveva fallito.


Critica

Non

è

facile

apprezzare

"Zabriskie Point" , d’amore una

è

più

umana

solo

un

un

sulla

film

in

in

la

per

metafora

società,

film

cui

pretesto

ampia

e

un

come

La telecamera, indagatrice, segue, senza

storia

alcuna

innestare

sull’esistenza

cui

gli

attori

non

intromissione,

ragazzi

americani,

l’occhio

umano

Questo

all’apparenza

travati

in

Angeles, vuoti

e

regista

un

film

la

e

alla

da

in

alla

potenza

queste

strade

dialoghi

funzionale,

o

delle

dell’estetica.

Ma

caratteristiche

nel

dell’uomo

i

le

suggestione

sperimentalismo bravura

cui

trama

subalterna,

per

di

Antonioni

rendere

alienato

che

la

vuota

negli

anni

di

Los

riesce

realtà

privo

riproduce

il

che

a

“pittorico”,

coesione

mondo

artefatto

immagini

quel senso di vacuità dell’agire umano e

la

sua

condizione del

boom

di

rivoluzionaria, cambiare

le

vagare

in

avere la possibilità di fuggire, riproduce

l’inconsistenza

a

interna,

tutto

lo

costretto

vedere.

del

emerge

è

due

sembrano

proprio

l’uomo

di

di

cose

cui

è

e

non

andamento

sono dei professionisti, ma semplici ragazzi dal

l’avventura

cogliendo

che basi

un’azione

non

di

senza

riuscirà

un’intera

a

società,

ormai del tutto soggiogata dal denaro e dalla

violenza.

Forse

solo

economico. Zabriskie Point, infatti, procede

l’immaginazione è concessa all’uomo per

quasi

poter

per

accostamento

successione, sequenza

dai

della

studenteschi,

alle

veloci città

di e

e

riprese

quadri

caotici dei più

rilassate della Valle della Morte.

in

piani

collettivi calme

e

eludere

andamento, pieno

però,

del

ci

realtà. conduce

deserto,

incontaminata, breve

la

momento,

dove, il

Questo anche

nella seppur

vuoto

nel

natura per

un

dell’esistenza

sembra riempirsi e ritrovare concretezza.

"Forse solo l’immaginazione è concessa all’uomo per poter eludere la realtà."


Critica

The interview E altri film che ho visto solo perchè amo James Franco

PRESSO ME STESSA

IL SALE DELLA TERRA

Questa

storia

potrebbe

iniziare

da

una

macchina

fotografica, ma in realtà inizia con una foto. Poco meno di trent’anni

fa,

Wim

Wenders,

all’apice

della

sua

carriera,

entra in una galleria d’arte, resta affascinato dai lavori di un

fotografo

brasiliano

a

lui

sconosciuto

e

decide

di

acquistare alcune delle sue stampe: quelle foto recano la firma di Sebastião Salgado. Vent’anni dopo, nel 2014, Wim Wenders presenta al Festival di Cannes “Il sale della terra”, un documentario sulla vita e sulla carriera di Sebastião Salgado, il fotografo che aveva fatto conoscere al mondo i volti

degli

indios

dell’America

latina,

quelli

dell’Africa

vessata dalla siccità, quelli degli ultimi lavoratori manuali in un mondo che soccombeva alla meccanizzazione e, infine,

Di Alessandra De Varti

il volto più pulito e autentico della Terra. Non è certo la prima volta che Wenders si confronta con una narrazione documentaristica, cinepresa

è

ma

avere

un’esperienza

un

fotografo

differente:

un

davanti regista

alla e

un

fotografo stanno entrambi dietro a un obiettivo, entrambi sono abituati ad osservare più che ad essere osservati, a mostrarsi attraverso la scelta di un’inquadratura o di un soggetto. Salgado è sfuggente, non posa per la macchina da presa, è spesso di spalle, si rivolge al regista come ad un amico, a cui racconta i luoghi in cui è cresciuto, le persone che ha conosciuto durante i suoi viaggi, le bellezze e l’orrore di cui è stato testimone, si sofferma a guardare i paesaggi che lo circondano, invitando lo spettatore a fare lo stesso, perché la meraviglia sta nel mondo ritratto, non nell’artista.


Critica

Il

film

è

caratterizzato

un

Ancora, la narrazione si sdoppia

forte dualismo, a partire dalle

fra due mondi: uno in bianco e

voci

nero, che Salgado ci racconta in

narranti.

Sebastião

Da

da

un

Salgado,

lato,

il

nostro

prima

persona,

in

piano,

pubblico

negli

protagonista, che ci racconta in

guardando

prima persona la sua storia, il

occhi, con un realismo che quasi

suo

di

rompe la quarta parete, e uno a

fotografie,

colori, in cui Salgado abbandona

lavoro,

alcune

delle

dall’altro che

i

Wim

rende

ascolto,

retroscena sue

Wenders,

possibile

curioso

il

come

il

primo

colui

il ruolo di narratore per entrare

nostro

nella scena, si cala nel lavoro da

noi

di

fotografo,

alla

ricerca

giusta

al

trova

instaura un contatto, un rapporto,

altre

con i soggetti delle sue foto. Il

fotografo,

davanti. due

Si

voci

che

si

aggiungono a

raccontare

di

a

quella

Wenders,

suo

figlio

maggiore.

mentre

punto di vista dello spettatore va

Salgado: quella di suo padre e di

inquadratura,

della

scoprire chi sia l’uomo, oltre che

coincidere

con

che

quello

non

ci

presentando

al

ma cerca di costruire insieme a

in

un

continuum

generazionale,

in

un’impeccabile

bilancia

narrativa.

noi

l’immagine

vecchio

sta

Sebastião si trova precisamente centro

un

di

di

conosce appena.

un

amico,

uomo

che

"gli uomini e la natura, che, così come sarebbe auspicabile per il nostro mondo, si intrecciano, andando a costituire un unico organismo compatto"


Critica

Wenders

abbandona

le

inquadrature

o

quando

riprendere

deve

nei

ricercatezze

movimenti

di

Salgado

nelle

macchina

a

lavoro,

ci

mostra con schiettezza cosa significa essere nel backstage

di

un

fotografo:

c’è

silenzio,

c’è

Salgado visto da lontano, perché non possiamo invadere la sua inquadratura, intento a catturare in

un’immagine

di

cui

siamo

totalmente

all’oscuro. Non sappiamo come un albero o un uomo si presentino dietro al suo obiettivo, dal suo

punto

di

vista,

restiamo

qualche

passo

indietro, ad osservare un’artista che realizza un disegno

invisibile

ai

apparentemente

nostri

occhi.

essere

Il

diviso

film

può

in

due

macrosezioni tematiche: gli uomini e la natura,

La "Kengah" di Salgado

che, così come sarebbe auspicabile per il nostro mondo, si intrecciano, andando a costituire un unico organismo compatto. Salgado dipinge con poche e decise pennellate i popoli con cui viene a

contatto,

con

una

narrazione

dal

carattere

erodoteo e dal marcato interesse antropologico, senza

mai

scadere

nel

“mito

del

buon

selvaggio”.

consequenziale, accompagnato da un sistema rispondenze

interne

nel

montaggio:

immaginate il simbolo dello yin e dello yang, una parte

che

rappresenta

rappresenta

la

natura;

l’uomo c’è

e

una

una

che

componente

umana nella parte dedicata alla natura e una naturale nella parte dedicata all’uomo, è così che Wenders tenta di far dialogare due mondi apparentemente abbatte

questo

distinti. muro

Salgado,

impalpabile

fra

invece, uomo

e

natura, superando ogni tipo di dualismo- lui, che con

il

contrasto

fra

il

bianco

e

il

nero

ci

ha

raccontato il mondo- in “Genesis”, la sua opus maius,

quella

che

lui

stesso

definisce

“una

lettera d’amore alla Terra”. Al termine dei suoi viaggi per il progetto fotografico “Exodus”, che aveva posto davanti al suo obiettivo la violenza inaudita del genocidio, Salgado è ammalato, ha quella

che

Carlos

“un’indigestione dopo,

suo

nella

terra

spettacolo

ha visto, in passato, ettari di alberi ricoprire le montagne fino a dove lo sguardo può estendersi. Per Juliano, figlio maggiore di Salgado, quella terra non è mai stata diversa e viene da chiedersi

Il passaggio fra le unità tematiche è fluido e

di

E’ una tragedia che si manifesta solo davanti agli occhi di chi

di

padre

Ruiz realtà”.

si

natia

Zafón Non

ammala,

e

desolante:

ad la

definirebbe molto

Salgado

aspettarlo Mata

tempo si

reca

c’è

uno

Atlântica,

la

foresta atlantica, è arida e spoglia sotto il sole cocente del Brasile.

quale

immagine

del

mondo

consegneremo

alle

generazioni future. Lélia Wanick, la compagna di una vita di Salgado, Terra”,

decide

la

dunque

riforestazione

di

dar

vita

artificiale

al

progetto

della

Mata

“Instituto

Atlântica,

in

modo da creare un nuovo ecosistema quanto più simile a quello

precedente.

Nella

rinascita

della

natura,

l’anima

di

Sebastião ritrova la pace, la bellezza, una ragione di vita nel poter ricostruire ciò che era stato distrutto. “Genesis” non vuole scuotere le coscienze con l’orrore degli oceani neri di petrolio,

non

attraverso

un

vuole

portare

valore

altro

universale:

dolore,

la

parla

bellezza

di

al

ciò

cuore che

è

incontaminato, foreste, mari, animali e uomini che continuano ancora oggi a vivere come all’alba dei tempi. Qui, l’uomo si riscopre

veramente

natura

e

prendersi

cura

dell’ambiente

diventa un modo di riparare ai torti fatti agli uomini dagli uomini,

in

un

l’identificazione circondano.

vertiginoso totale

salto

con

tutti

mentale gli

che

esseri

ci

permette

viventi

che

ci


Critica

Settin’ the woods on fire OVVERO: LE CRONACHE DEL DOPOBOMBA DI HAYAO MIYAZAKI

di Carlo Giuliano

Questo

è

l’anno

dei

miracoli:

Ma

un

altro

miracolo

Craxi mangia coi tentacoli, muore

cinematografico proveniente dalla

Berlinguer

terra del Sol Levante andava ad

e

Maradona

è

al

Napoli”.

arricchire

quell’immaginario

postnucleare che di lì a due anni,

Cantava

così

Pisciottu,

il

in

rapper

arte

Maurizio

Salmo,

in

i

fornito

natali a

e

che

George

il

Disastro

avrebbe

Černobyl'

di

avuto

pane

del

per

i

"Nausicaä della Valle del Vento", l’esordiente

titolo

Hayao Miyazaki firma il suo primo

aveva

Orwell

1986,

il

già

riferimento all’anno che gli aveva dato

con

suoi denti. Con

per il suo grande capolavoro

grande

distopico. Quello sfavorevole anno

considerando un

di Nostro Signore, 1984. La Guerra

Fredda giungeva alle sue battute

leggendario Studio Ghibli, fondato

finali, e con essa era arrivato agli

proprio

sgoccioli

successo ottenuti con

anche

il

terrore

per

un

nonché

eventuale inverno nucleare che gli

che

ultimi

inserita,

falsi

riuscivano

allarmi ancora

del a

NORAD

fomentare,

influenzando la cultura di massa di un’intera generazione.

lungometraggio

non

"Lupin III"

l’atto

grazie

a

di

ai

caso

honoris

Collezione Ghibli.

non

del ’79

nascita

ricavi

del

e

Nausicaä

al –

sarebbe

stata

causa,

nella


"Ai più piccoli, ancora in erba, parrà una favola come molte altre raccontate dallo Studio Ghibli" Scene tratte da "Nausicaä della Valle del Vento"

Tratto sulla

dall’omonimo

Animage

dal

manga

1982,

il

di

film

Miyazaki segna

un

pubblicato debutto

che

già nei suoi sfarzosi titoli di testa incarna premesse da epica nipponica, impegnata e seria. Una ‘cronaca del dopobomba’ potenziale piuttosto unico

a

forse

di

dai

una

guerra

pregressi

vivere

atomica

influenzata,

con

sulla

i

che

nucleare

storici

propria

del

Nagasaki.

Perfettamente

abitudini

cinematografiche

Nausicaä

assume

gli

del

in

fra

e

URSS,

giapponese,

su

linea

rischio

USA

effetti

’45

di

duplice

dal

popolo

pelle

bombardamenti

una

più

dell’arma

Hiroshima

con

le

future

Miyazaki, valenza,

e

anche

veicolando

diverse livelli di lettura a seconda dell’età anagrafica dello una

spettatore.

favola

Ghibli: cruda,

come

dolce, fonte

causati,

nel

superficie, tematiche vive

avanzare

e

quanto dal

estende

a

inghiottendo giganteschi cammino.

minaccia

mondo

Soldati

Se

i

macchia

insetti

e

le

tutto Impero

incombente

il

lento

le

il

ciò

dai

Sette

automi

la

terrorizzato usare

il

dall’idea

Soldato

distruggere

la

condividono

incombe

inesorabile

un

che

si

cancro, e

i sul

suoi suo

superpotenza

rispondere

foresta

grazie

cade

nella

principessa

risvegliato.

in

di

questi non

piano

Pejite, e

ora

possano

tanto che

imporre

per anzi

il

loro

Nausicaä

procinto

di

selva,

convincendoli

si

del

trova

Vento,

costretta

la a

che

non

solo

la

sua

distruzione causerebbe la diffusione delle spore

e

degli

pianeta,

alla

affatto

agli

resa

essere

Valle

convertire gli invasori alle sue teorie sulla

ma

insetti che

velenosa

tale

dal

scorie nucleari.

ora

per

pacifica

alla

e

che

Invincibile

ma

acquifere

nucleare

Regno

tolmechiani

foresta

armamenti dell’ultimo Soldato Invincibile sopravvissuto guerra

dei

nave tolmechiana che trasporta il Soldato

velenosa

Tolmechia,

con

lungimirante

giurato

desertificato

incontra

intende

cui

più

controllo sull’intero pianeta. Ma quando la

velenose

che

bruciando

in

non

nemico

hanno

ma

come

spore

totalitaria,

rivelano

minaccia

foresta

di

Per opporsi a questo progetto si fa avanti

sopravvissuti

d’olio sue

la

giganteschi

nuova

umani:

sotto

termonucleare

panorama

una

e

avrebbe

equipaggiati

pochi al

si

Studio

matura

prima

lampo

ed

gigantesca

con

anni

Invincibili,

adattarsi

una

attuali

parrà

postapocalittico

mille

dall’uomo

L’ottuso

militarizzata

mai

guerra

insediamenti di

tratti

Ma

all’apocalisse,

sugli

dallo

"La città incantata" .

atomici. ad

a

incubi

erba,

ne

una

creati

imparato

però

dai

in

raccontate

eppure

pochi

devastato

Fuoco,

armamenti

altre

ancora

come

affiorate

biologici

seguito

non

2001,

combattuta

piccoli,

molte

infinite

di

più

fiabesca,

di

Nausicaä,

Giorni

Ai

infuriati

anzi di

la

per

terreno

sottostanti,

per

foresta stessa, e

tutto

il

non

è

quanto

dalle

falde

inquinate

dalle


Critica

E che addirittura, cosa più importante, la sua espansione

Nella pellicola dell’84 insomma, convergono ricchezze,

abbia come obiettivo una vera e propria bonifica delle

contenutistiche

zone

donando al prodotto di Miyazaki le tipiche sembianze

desertiche,

processo

virtuoso

restituisca aria

in

ad

che,

ossigeno

cambio

alto

in

di

tasso

di

radioattività.

similmente

cambio

veleno,

di

alla

anidride

rendendo

Un

metamorfico

Lem nel 1961 con "

così

ben

fra

le

più

disparate,

epiche

carbonica,

proprio nulla. Già solo il tentativo di incasellare il film

la

immaginato

formali,

fotosintesi,

selva

un

ecosistema vivo e quasi pensante, non lontano da quel Mare

e

da

ł

Stanis aw

Solaris".

in

di

un

un

tipico

singolo

film

che

genere

però

di

tipico

non

cinematografico

ha

fallisce

miseramente. Gli inseguimenti aerei che coinvolgono le astronavi tolmechiane non hanno nulla da invidiare alla

migliore

suspance

fantascientifica,

ma

devono

Alla luce di questo, il rapporto con la natura appare

anche molto alla passione di Miyazaki per la Storia

senz’altro

un

dell’Aviazione. Già lo Studio Ghibli traeva il suo nome,

preoccupazioni

fra le altre cose, da un modello di aeromobile italiano

come

ecologismo

il

tema

anticipatore

principale, rispetto

introducendo

alle

d’Anni

che oggi attanagliano il mondo più che mai. Senza

dimenticare

prettamente

poi

quella

femminista

del

passione

regista

reiterata

giapponese

e di

’30,

1992 con I

soggetto

poi

largamente

affrontato

nel

"Porco Rosso".

combattimenti

terrestri

fra

i

ribelli

della

Valle

del

affidare spesso il ruolo di protagonisti a figure femminili

Vento e l’esercito di corazzati, invece, ricordano tanto

forti e decise, il cui carisma – che si ritrovi nell’eroina

le migliori scene di guerra di trincea, ma anticipano

come

anche il più recente "

anche

nell’antagonista,

come

qui

vuole

il

caso

dell’Imperatrice Kushana – fa sfigurare la più accentuata

e

inettitudine

scenografico

maschile.

Quello

voluto

dal

demiurgo

Miyazaki, fra velleità ecologiche e società matriarcali, è però un mondo in cui un nuovo scenario si impone in modo

tanto

onnipresente

post-nucleare

che

quanto

circonda

desolante.

Nausicaä

è

Il

fallout

certamente

originale, non risentendo dei canoni scenografici cui il Cinema di genere ci ha abituato: alla desolazione della wasteland

desertificata

gigantesche

foreste,

alle

aggiunge specie

dalle

rigogliose

e

mutazioni

più

menomanti sostituisce evolute colonie di insetti.

inquadrature.

Fury"

Per

e

(2014) di David Ayer in ritmi

non

parlare

costumistico

di

dell’immaginario

Miyazaki,

che

fra

astronavi ipertecnologiche e soldataglie protette da corazze

medievali

ha

tanto

il

sapore

della

distopia

steampunk. Dal punto di vista tecnico, la mano ancora pastellata

di

Miyazaki

dona

alla

Valle

del

Vento

un’aura vintage ma del tutto riuscita. Il regista rifiuta lo schizzo

leggero

caratterizzato,

e

più

errante di Howl"

ricco

di

avanti, (2004),

sfumature in

film

che

come

preferendo

l’avrebbe

"Il castello

un

tratto

più

grossolano e una tavolozza meno variegata ma ben più saturata. L’effetto è un collage fumettistico dalle tonalità

forti

e

omogenee,

accostate

secondo

giustapposizioni cromatiche spesso complementari. Le eleganti inquadrature hanno un tale impatto da far quasi

dimenticare

di

trovarsi

in

presenza

di

un

film

d’animazione, che anzi si trasforma nell’occasione per ricorrere a movimenti di macchina (di una cinepresa però

inesistente)

ottenere

i

normalmente

quali

contemporaneo,

si a

impossibili

ricorrerebbe, massicce

nel

quanto

per

Cinema storpianti

intrusioni di CGI. Il prodotto d’animazione invece – e Miyazaki lo ricorda con una maestria senza pari a tutti coloro avessero avuto l’istinto di svalutarne la serietà – riesce

a

destreggiarsi

perfettamente

fra

realismo

e

finzione, fra inquadratura possibile ed effetto speciale computerizzato,

mantenendo

una

linearità

mai

spezzata dal salto fra i due livelli. A coronare il tutto, una

colonna

sonora

incalzante

e

perfettamente

azzeccata, le cui melodie ricordano un miscuglio fra manga stagionato e sigla televisiva da blaxploitation alla Isaac Hayes.


CRITICA D'ARTE

A CURA DI

Eliana Pardo Cristina Colace

Che cos’è il "Duende"? È un folletto, una voce nuova, un vento mentale. Nella mitologia spagnola, indica uno spiritello che, secondo la leggenda, si impossessa di alcuni artisti, ma non si manifesta allo stesso modo in tutti. Federico Garcìa Lorca parla di un fluido inafferrabile, che arriva direttamente all’osservatore, qualcosa di demoniaco, di dionisiaco ed inspiegabilmente magnetico. “Potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega”, così lo definì Johann Wolfgang von Goethe, avendo intravisto quel sacro fuoco ardere nelle corde del violino di Niccolò Paganini. Insomma, il Duende, nella sua inafferrabile ed intraducibile definizione, ci ha ispirato per il titolo di questa rubrica. Non pretendiamo di “diagnosticarlo”, piuttosto di lasciarvelo intravedere nelle opere di cui racconteremo tra queste pagine, cosicché ognuno possa coniare la sua personalissima definizione. D’altronde, come scriveva Federico Garcìa Lorca: “Per cercare il duende non c’è mappa né esercizio. Si sa solo che brucia il sangue come un tropico di vetri, che estenua, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili, che si appoggia al dolore umano inconsolabile, che fa sì che Goya, maestro dei grigi, degli argenti e dei rosa della miglior pittura inglese, dipinga con le ginocchia e i pugni con orribili neri bitume.”

EL DUENDE


Critica

Frutti del Mare di Eliana Pardo

R ieccoci. Per le strade siamo di nuovo tutti

a giugno sono normali. Concorderete però con

meravigliosamente liberi e raggianti. Qualcuno è

me che l’arrivo del caldo e dell’estate riesce

già abbronzato, tanti stanno provando a farlo tra

indubbiamente a sconvolgerci, portando con sé

i vari impegni e altri, come me, non hanno ancora

sia quella strana leggerezza sulle spalle, che

imparato a spalmare correttamente la crema

quella instancabile voglia di scappare e lasciare

solare. Troppa, troppo poca? I giorni di

tutto alla rinfusa... Ebbene, voglio parlarvi proprio

quarantena non mi sono parsi abbastanza per

di questo oggi. Di quelle cose un po’ così, lasciate

poter imparare, ma suppongo mi perdonerete, o

e abbandonate sottosopra.Cosa intendo? Non vi

almeno lo spero. Vi concedo di essere indignati

resta che continuare…

con me per qualche secondo, dai. Dopotutto, forse sbaglio già soltanto pensando di metterla,

Ovviamente, il mio racconto comincia con un

la crema. Del resto in città non c’è ancora così

ironico ma iconico dipinto. Concedetevi quindi

caldo, ed effettivamente il mare è così fresco che

qualche secondo soltanto per osservarlo.

la mia pelle non ha proprio nulla da temere. Sì, dai, forse mi avete convinta. Trentacinque gradi


Critica

"Per quest’opera ho anche utilizzato una cornice trovata per caso per strada, tutta scartocciata, brutta, proprio per evidenziare molto di più il senso dei rifiuti che ormai fanno parte della nostra vita quotidiana".

Frutti di mare, il suo titolo.Solo uno dei tanti ed esemplari dipinti di Graziana Minoia, pittrice e artigiana nata e vissuta nella splendida città di Monopoli. All’artista barese sono stati conferiti numerosi e prestigiosi premi, non solo per la sua estrema bravura e la sua indiscutibile tecnica artistica, ma soprattutto per i sani e rilevanti messaggi racchiusi nelle sue opere. Questo quadro che sto proponendovi garantì a Graziana la vittoria alla Prima Mostra Internazionale di Pastello nell’Ottobre 2017, aggiudicandole inoltre una gratificante menzione di merito. Adesso, però, non mi resta che raccontarvelo. Siete ancora lì?

-Graziana Minoia Ci appare immediatamente davanti agli occhi il nostro solito e tanto agognato primo piatto estivo, servito con cura dalla nostra pittrice grazie all’utilizzo di luminosi e vivaci pastelli morbidi, adoperati con estrema cura e delicatezza in ogni elemento che compone il dipinto. O meglio, il piatto. Ciò che risalta al primo sguardo, però, è senza dubbio il colore avvolgente e ambrato degli spaghetti che, sinuosamente, circondano e s’intrecciano alle cozze, tra le vongole, o più in generale, con i frutti di mare. Il corretto utilizzo del pastello morbido, in tale dipinto, riesce armoniosamente a coinvolgere il resto dei colori, più scuri, decentrando dunque la visuale dell’osservatore da una zona più definita ad una scena d'insieme del quadro proposto. Ed è proprio in quell’istante che ci accorgiamo che qualcosa non va. E la sadica ironia della pittrice viene finalmente fuori.

Altri frutti di mare, infatti, spiccano su quel piatto bianco così dettagliato e sfumato. In plastica, in silicone, altri ancora in metallo e chissà cos’altro ancora mi sfugge, ma di certo, è ben evidente che non sono elementi comunemente commestibili. La questione, adesso, penso sia abbastanza chiara. È un quadro che, oltre a rappresentare l’animo e il pensiero dell’artista, narra strategicamente la condizione che oggi, purtroppo, le nostre acque vivono. Un tema in apparenza delicato ma che, in modo audace, viene lanciato con un’unica immagine nitida e che non tollera equivoci. I nostri fondali, le nostre spiagge, le nostre sponde, le nostre scogliere o, ancora, i nostri promontori… talmente incantevoli, vulnerabili anche, da trarci in inganno.

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Critica O forse, più semplicemente, siamo noi ad essere troppo superficiali, così vacui da lasciarci ingannare. Ci illudiamo che la bellezza sia eterna, tramandando talvolta che le specie animali sostino in eterno lì, provando a tollerare le nostre azioni assorte e, magari, ad accettarle di tanto in tanto. Ma chi si mette dalla loro parte? Non pensate che qualcuno di più o meno insolito, tra quelle acque, stia realmente patendo questo continuo e spericolato cambiamento? Sono queste le domande della nostra artista, ma non dobbiamo necessariamente rispondere, tranquilli. Vorrei ricordarvi però che, sostanzialmente, siamo anche noi frutti di mare. O meglio, frutti del mare.

Ci siamo evoluti da cellule acquatiche, da pro-procarioti, in un momento in cui l’atmosfera terrestre era abiotica e in cui tutto ancora taceva. E adesso nient’altro che chiasso. Sotto e dentro l’acqua, la terra. In ogni luogo. Quei pezzi di plastica presenti nel piatto di spaghetti della pittrice Minoia, non concernono semplicemente la vasta tematica dell’inquinamento del mare, bensì lega a sé qualsiasi problematica che esso può recare; dall’alimentazione alla nostra stessa esistenza. Quella microplastica che lasciamo alla rinfusa è un piccolo-grande rifiuto. Rifiutiamo indirettamente ciò dal quale tutto è nato e di tutto quel resto che, probabilmente, o quasi sicuramente, per colpa nostra non sarà mai. Eppure, continuiamo a chiamarla bellezza. Qualcuno direbbe banalmente che siamo ciò che mangiamo, ma a questo punto, penso proprio che qualche pesce avrebbe parecchio da ribadire, aggiungendo per di più che, per quanto assurdo possa sembrare, anche loro hanno dei sentimenti. E voglio credere che sia per davvero così. Altrimenti chissà. Chissà cos’altro ancora avremmo potuto combinare.

In conclusione, potremmo dire che siamo ciò che distruggiamo, senza neanche impegnarci più di tanto. E mi unisco anch’io a questo vasto gruppo, dai. Dopotutto, non ho ancora imparato a mettere la crema solare. E poi, questi trentacinque gradi a giugno, non mi sembrano più così tanto normali.


Critica

‘Boschi Verticali’ in città orizzontali di Cristina Colace L’essere umano è l’unico

Così abbiamo rinunciato agli

animale che non è in grado di

incontri, alle città, alle strade, alle

adattarsi all’ambiente esterno

piazze, alle metropolitane, alle

che lo circonda. Non essendo

stazioni, alle scuole, ai luoghi di

in grado di adattare se stesso, l’uomo plasma

lavoro, per proteggere noi stessi, i nostri cari, gli altri.

l’intorno, assecondando istinti,

Siamo stati allontanati dal nostro

bisogni ed esigenze. La storia

stesso habitat, perché è proprio lì

della civiltà, dai primordi alla

che ci siamo scoperti più

modernità, ha sempre rispettato questa lineare legge non scritta. Questo 2020, il ventesimo anno del nuovo millennio, ha mischiato le carte da gioco, contrapponendo all’essere umano una minaccia talmente subdola da essere

vulnerabili. Durante i mesi di lockdown, ho riflettuto sul fatto che la pandemia avesse assunto sempre più i tratti di una punizione biblica: una sorta di contrappasso dantesco, nell’era dell’Antropocene, del dominio incontrastato dell’artificiale. La pandemia ci ha costretto a ridefinire i confini di un mondo globalizzato che ne era

invisibile.

ormai formalmente privo, portandoli

Il COVID-19, nel suo

a coincidere con le quattro mura di

inarrestabile diffondersi, ha

una stanza, di una casa. Ha trasfor-

costretto i Sapiens, per la

mato le capitali, le metropoli e le

prima volta dopo secoli, a adattarsi, imprimendo un trauma nella memoria collettiva dell’uomo contemporaneo.

megalopoli, in città fantasma. La frenesia, la fretta delle nostre ventiquattr’ore, d’improvviso, è stata spodestata dal silenzio. Ci siamo riscoperti fragili. Soli, pur essendo costantemente connessi gli uni con glialtri, intorno al mondo.

"Il Bosco Verticale è un progetto meraviglioso! Espressione del bisogno umano di contatto con la natura. I grattacieli boscosi sono un vivido esempio di simbiosi tra architettura e natura." -Highrise Award 2014


Critica

Il panorama intellettuale mondiale, ora, nel momento cruciale e delicato del passaggio dalla quarantena più restrittiva al graduale riprendere delle attività, si interroga su come si evolverà il nostro vivere e, soprattutto, su come riscrivere le regole post-pandemiche delle nostre comunità. In questo nuovo luogo delle parole che è Duende, che inauguro scrivendo questo articolo, voglio raccontarvi di un’opera famosissima, che, negli ultimi anni, ha infiammato e ravvivato il dibattito sull’ormai inscindibile binomio architettura-sostenibilità.

L’opera a cui mi riferisco è il grattacielo più bello del mondo.

Insignito dell’Highrise Award nel 2014 e del Best Tall Building Worldwide by Council on Tall Buildings and Urban Habitat (CTBUH) dall’Illinois Institute of Technology di Chicago nel 2015, è un progetto tutto italiano.

Si tratta del ‘Bosco Verticale’, la suggestiva coppia di torri residenziali edificate nel quartiere di Porta Nuova, a Milano, su progetto dell’architetto milanese Stefano Boeri. Ho scelto di scrivere di questo perché considerato uno dei tasselli fondamentali del mosaico dell’architettura contemporanea, nello specifico della bioarchitettura. In primis, però, l’ho scelto con il cuore, da italiana: in questi mesi la Lombardia è stata protagonista delle tristemente note vicende di cronaca legate al Coronavirus. Vorrei ricordare a chi sta leggendo queste pagine che l’Italia è un paese meraviglioso, indissolubilmente legato al passato, ma che sa guardare al futuro. Un futuro dai contorni sfumati ed incerti, che tuttavia aveva già scelto una direzione ben precisa nel periodo pre-pandemia…


Critica

Il ‘Bosco Verticale’ è formato da due torri alte 80 e 112 m, che ospitano nel complesso 800 alberi: 480 alberi di prima e seconda grandezza, 300 dalle dimensioni più ridotte, 15.000 piante perenni e/o tappezzanti e 5.000 arbusti. La vegetazione disposta verticalmente sulle torri equivale a quella di 30.000 mq orizzontali di bosco e sottobosco, concentrata su 3.000 mq di superficie urbana. Le cifre sono impressionanti. Questo particolare rivestimento vegetale, al contrario delle facciate in vetro o pietra, non riflette né amplifica i raggi solari, ma li filtra. Questo rende estremamente piacevole la luce indiretta ed il microclima degli spazi interni, in cui l’umidità risulta regolata e controllata dal continuo scambio di ossigeno e CO2 prodotti dalla fotosintesi clorofilliana. L’idea del ‘Bosco Verticale’ è assolutamente innovativa: vuole essere “una casa per alberi che ospita anche umani e volatili”, citando Boeri. Ciascuna torre è caratterizzata dalla presenza di balconi (uno spazio architettonico che abbiamo imparato a conoscere ed utilizzare in questa

quarantena) fortemente aggettanti, protesi verso l’esterno per circa tre metri, funzionali a ospitare le grandi vasche perimetrali per la piantagione degli alberi più grandi. La finitura in gres porcellanato (le lastre di colore scuro distinguibili in facciata) riprende il colore bruno tipico della corteccia, evocando poeticamente l’immagine di una coppia di alberi da abitare. L’aspetto del Bosco, inoltre, cambia forma e cromie al variare delle stagioni, a seconda del ritmo del ciclo vitale di ciascuna specie vegetale. La componente più singolare dell’abitare il Bosco Verticale è senza dubbio costituita dai “Flying Gardeners”, una squadra specializzata di arboricoltori-scalatori che, una volta all’anno, si cala dal tetto per la potatura e la verifica della salute delle piante. Il prototipo di Porta Nuova è diventato un caso internazionale, replicato in altre città ad alto tasso d’inquinamento: “l’insieme di queste soluzioni supera il concetto, ancora sostanzialmente antropocentrico e tecnicista, di “sostenibilità” nella direzione di una nuova diversità biologica”, si legge sul sito web di Stefano Boeri Architects. Il progettista è stato oggetto di feroci critiche, poiché l’articolazione del sistema rende il cantiere enormemente complesso, al punto che è necessaria una movimentazione di mezzi tale che il dispendio energetico per la costruzione delle torri non viene equilibrato dal poco impatto ambientale del progetto concluso. Nonostante ciò, a pochi anni dalla sua costruzione, è diventato un importante elemento della rete ecologica della città di Milano, nonché un vero e proprio landmark, dando vita a un habitat colonizzato da numerose specie di animali (tra cui circa 1.600 esemplari di uccelli e farfalle).


Critica

"Il Bosco Verticale è un esempio unico nell'utilizzo del verde in altezza e in proporzione. La "facciata vivente" dell'edificio, che incorpora numerosi alberi e oltre 90 specie di piante, svolge il ruolo di interfaccia attiva per l'ambiente circostante. Ciò che rende l'idea eccezionale è l'azione delle piante, che agiscono come estensione della copertura esterna dell'edificio".

La tecnologia del rivestimento vegetale non è affatto sconosciuta agli esperti del settore. L’ideatore della tipologia dei suggestivi ‘giardini verticali’, infatti, è il biologo francese Patrick Blanc. Nel 1986, a Parigi, Blanc realizzò per la prima volta un “muro vegetale”: quella pionieristica installazione “green” segnò l’inizio di una nuova era della contemporaneità. L’urbanizzazione sfrenata lasciò il posto ad una crescente avversione per il cemento, cui si sostituì il canone estetico della nuova bioarchitettura: pareti verdi, tetti-giardino, abbandonando il freddo grigio del calcestruzzo per virare sempre più sui toni del “verde”. Per salvare le nostre città dalla asfissiante presenza dello smog, certamente non sarà sufficiente trasformarle in selve di grattacieli come il ‘Bosco Verticale’. Le future generazioni dovranno abituarsi all’idea che lo sviluppo non verrà costruito in vetro e acciaio,

-Illinois Institute of Technology

quanto piuttosto in celle fotovoltaiche e pannelli prefabbricati. Il connubio architettura-vegetazione farà parte di questo scenario? La questione si complica.

Integrare le piantagioni nelle nostre città e nelle nostre costruzioni, creando un nuovo habitat ibridato? Lasciare che la vegetazione non venga “coltivata”, piuttosto assecondi la sua naturalità nella più totale libertà? La città resterà il luogo antropico per eccellenza e la Natura sarà libera di esprimersi al di là dalle mura? La Natura entrerà a far parte dei luoghi dell’abitare non solo come “regolatrice” e mitigatrice dell’inquinamento, quanto piuttosto come una coinquilina con cui dividere il pianeta?

Purtroppo, il ‘Bosco Verticale’ non risponde a queste e a molte altre domande sul futuro dell’architettura green. Eppure, dalla cima di quella coppia di torri rigogliose, avvolte dalla vegetazione lianosa come antiche rovine precolombiane, chi di noi non reagirebbe ispirando a pieni polmoni?

Patrick Blanc, Oasis d'Aboukir, Parigi


P U N T O

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Carmine Faiella Gabriele Maurizio

D I F U G A

FOTOGRAFIA


Help

Me!

di Carmine Faiella

I rami sembrano mani rivolte al cielo in segno d'aiuto. La natura cerca di farci capire

che ha bisogno d'aiuto ma noi facciamo esattamente il contrario.


Sky is

Over

di Gabriele Maurizio


CuriositĂ


LO SAPEVATE CHE... Gianni Celati è stato un grande

amico

Calvino, ammiratore

di

oltre della

Italo che sua

produzione letteraria.

La competizione che si venne a creare fra USA e URSS con le imprese emblematiche di Jurij Gagarin e Neil Armstrong non fu l’unico esempio di ‘corsa allo spazio’ negli Anni ’60. Avviata difatti la produzione di "2001: Odissea nello spazio", Stanley Kubrick si impegnò a chiuderla in tempi record nonostante la sua leggendaria maniacalità – una scena di pochi minuti nel successivo "Full Metal Jacket" avrebbe richiesto tre mesi per essere girata – per paura che le sue profezie potessero diventare obsolete dopo l’Allunaggio, avvenuto l’anno successivo, nel 1969. Per tutta risposta la concorrenza sovietica rispose nel 1972 con "Solaris" di Andrej Tarkovskij, tratto dall’omonimo romanzo di uno dei più grandi scrittori di fantascienza d’oltre-cortina: Stanisław Lem.


Paul Cézanne, pittore francese del XIX secolo, odiava essere toccato. Una carezza, una pacca sulla spalla … qualsiasi persona lo sfiorasse creava indubbiamente in lui una profonda angoscia e uno strano senso di smarrimento, talvolta incontenibile. Un giorno, mentre stava passeggiando sull’orlo di un burrone, inciampò sui suoi piedi, rischiando di gettarsi oltre i margini del precipizio; fortunatamente, però, il suo amico Emile Bernard riuscì a salvarlo in tempo. Per tutta risposta, dopo essersi rimesso in piedi, il pittore scappò via furioso come non mai, gridando a perdifiato: «Nessuno può toccarmi!»

CURIOSITÀ Oltre ai ben più noti e diffusi grattacieli, esistono anche i gratta-terra. Si tratta di edifici che non si estendono verso il cielo, ma, come suggerisce il nome, verso la terra. Il più famoso è un progetto di BNKR Arquitectura, che dovrebbe nascere sotto la piazza centrale di Città del Messico: gli architetti messicani hanno ideato un edificio si estende nel sottosuolo per circa 300 metri (ben 65 piani), racchiuso in una lastra di vetro trasparente. La sua struttura assomiglia a una piramide rovesciata.


Per la realizzazione della colonna sonora del suo secondo film americano, Michelangelo Antonioni desiderava qualcosa che potesse colpire i giovani degli anni ’70. Per questo motivo furono contattare varie band come i Rolling Stones e i Doors, che però rifiutarono. Dopo aver ascoltato “Ummagumma” dei Pink Floyd, il regista si innamorò totalmente di questa band emergente, tanto da affidarle la realizzazione dell’intera colonna sonora. I quattro musicisti si misero subito all’opera, producendo molte tracce, ma nonostante gli sforzi, Antonioni non fu soddisfatto, e delle otto canzoni presentate ne scelse solo tre. Ciò che il regista non sapeva è che proprio dalle bozze delle tracce scartate nascerà pochi anni dopo uno degli album più famosi della storia della musica: The Dark Side of the Moon.

Nel docu-film “Il sale della terra”, Sebastião Salgado racconta di un gorilla a cui ha scattato una foto che sembrava riconoscere il proprio riflesso nell’obiettivo della macchina fotografica. Tuttavia, diversi studi zoologici hanno smentito questa ipotesi, poiché i gorilla non sarebbero in grado di riconoscere la loro immagine riflessa.

Se siete contro i poteri forti e cercate di lottare contro l’ordine segreto mondiale che ci manipola e ci controlla tutti,allora la prima mossa da effettuare è bruciare i libri di letteratura . Infatti moltissimi scrittori italiani erano affliati alla massoneria tra cui: Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo, Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Gabriele D'Annunzio, De Amicis, Collodi, Quasimodo, Casanova, Boito, Capuana, Settembrini e anche il noto Mameli, autore del nostro inno nazionale. Insomma il grande occhio conquista tutto, anche l’arte


Nel 1874, ad 11 anni, giunge al Convitto Cicognini di Prato, qui verrà insistentemente deriso per il peculiare accento abruzzese e per la carnagione abbronzata. Egli infatti fin da bambino amava trascorrere le proprie giornate all'aria aperta fra pastori e contadini in luoghi dalla serenità bucolica. Nonostante ciò Gabriele d'Annunzio dopo la pubblicazione della prima opera di prosa "Il Piacere" verrà investito dalla notorietà che non lo abbandonerà mai più. Oggi è universalmente riconosciuto come l'uomo dotato di maggiore padronanza linguistica e culturale del suo secolo in Italia nonché fra i maggiori intellettuali europei di tutto il Novecento.

CURIOSITÀ Paolo Volponi ebbe come maestro e compagno di vita fin dalla metà degli anni cinquanta Pier Paolo Pasolini. Di questa lunga e persino complice amicizia, troncata nel '75 dall’assassinio del poeta friulano, sono chiara testimonianza le ottantuno lettere che sono state rese note al grande pubblico da Polistampa in “Scrivo a te come guardandomi allo specchio” a cura di Daniele Fioretti.


SIAMO CHE

TUTTI

CI

PIACCIA

BASTIAMO CURA

A

NOI

COME

CASA: GRANDE NON

PARTE O

È

UN

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TUTTO, NOI

STESSI,

PUOI

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DI

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NOSTRA

PIÙ

EREDITÀ

TEMERE

DI

SPLENDERE

GRAZIE PER LA LETTURA


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