Albino comunità viva - Novembre 2019

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - N. 9 / NOVEMBRE 2019


CALENDARIO APPUNTAMENTI

Novembre 23 24 Dom 25 Lun 26 Mar 27 Mer 28 Gio 29 Ven 30 Sab Sab

9.30 e 14.15 Catechesi Elementari 18.00 Cate 1a-2a Media

S. Clemente I 10.30 Celebrazione anniversari di matrimonio Festa del gruppo Scout Albino I° - “Cristo Re”

N.S. di Loreto

20.30 CET Serata di formazione per tutti i laici

S. Caterina d’Alessandria 20.30 Gruppi di ascolto della Parola nelle case 20.30 Incontro con genitori Cresima [Oratorio] 21.00 Rassegna film di qualità [CineTeatro] 20.30 Formazione biblica con padre Armellini [CineTeatro]

S. Apollinare 16.15 Laboratori d’Avvento per elem. e medie

20.30 Incontro con i genitori S. Giacomo d. Marca della Prima Comunione [Oratorio] 16.00 Adorazione eucaristica e S. Messa 20.30 CateTerzaMedia | 20.45 CateAdo

S. Saturnino

S. Andrea Ap.

1 2 Lun 3 Mar 4 Mer 5 Gio 6 Ven 7 Sab

Rito della Signatio per Prima Confessione 18.00 Cate 1a-2a Media Uscita ADO

INIZIO NUOVO ANNO LITURGICO “A”

1A di Avvento

S. Bibiana

Bondo Petello – Festa di Santa Barbara 15.00 Catechesi degli adulti [Santuario Pianto]

S. Barbara 16.15 Laboratori d’Avvento per elem. e medie 20.30 S. Messa per i bambini non nati [Guadalupe] 20.30 CateTerzaMedia | 20.45 CateAdo

S. Nicola

S. Ambrogio

BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elem. [S. Bartolomeo] | 7.30 Medie [Orat.] 20.30 Gruppi di ascolto della Parola nelle case

BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elem. [S. Bartolomeo] | 7.30 Medie [Orat.] 15.00 Catechesi degli adulti [Santuario Pianto] S. Damaso 20.30 Riti prebattesimali BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elem. [S. Bartolomeo] | 7.30 Medie [Orat.] 16.15 Laboratori d’Avvento per elem. e medie BVM di Guadalupe 18.00 Preghiera in attesa di Santa Lucia [S. Bart.] BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elem. | 7.30 Medie 19.30 Preghiera di comunità e “Zuppa del povero” [Oratorio] S. Lucia 20.30 CateTerzaMedia | 20.45 CateAdo 18.00 Cate 1a-2a Media Serata PreAdo #3 (AGDM)

S. Giovanni della Croce 15.00 S. Messa con la celebrazione dei Battesimi

S. Albina

BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elementari [S. Bartolomeo] 7.30 Medie [Oratorio]

S. Lazzaro

BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elementari [S. Bartolomeo] 7.30 Medie [Oratorio]

S. Malachia

Inizio celebrazioni feriali in San Bartolomeo 20.30 Tutte le sere preghiera di Avvento alla radio (94,7 FM) In settimana visita e comunione agli ammalati

S. Francesco Saverio

S. Crispina m.

BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elementari [S. Bartolomeo] 7.30 Medie [Oratorio]

3A di Avvento

Dicembre Dom

8 Dom 9 Lun 10 Mar 11 Mer 12 Gio 13 Ven 14 Sab 15 Dom 16 Lun 17 Mar 18 Mer 19 Gio 20 Ven 21 Sab 22 Dom 23 Lun 24 Mar

S. Juan Diego

Cristo Re

S. Corrado v.

GIORNATA DEL SEMINARIO 9.00 Catechesi delle famiglie 11.00 S. Messa a seguire pranzo condiviso Immacolata C. 16.00 Elevazione Musicale Corale Santa Cecilia

09.30 Open Day alla scuola dell’infanzia “San Giovanni Battista” [via Crespi 2] 20.30 Veglia alla Madre di Dio [S. Bartolomeo]

S. Anastasio I

S. Liberato

BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elem. [S. Bartolomeo] | 7.30 Medie [Orat.] 15.00 Catechesi degli adulti [Santuario Pianto] BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elem. [S. Bartolomeo] | 7.30 Medie [Orat.] 16.15 Laboratori d’Avvento per elem. e medie 20.30 S. Messa dello sportivo BUONGIORNO GESÙ 7.20 Elem. | 7.30 Medie 16.00 Adorazione eucaristica e S. Messa 20.30 CateTerzaMedia | 20.45 CateAdo Scuola di preghiera in Seminario

9.30 e 14.15 Catechesi Elementari 18.00 Cate 1a-2a Media S. Pietro Canisio Scuola S. Anna - S. Messa di Natale

4A di Avvento

18.00 S. Messa in Prepositurale a seguire auguri con i volontari [Oratorio]

GIORNATA PENITENZIALE 9.00 e 20.30 adulti S. Giovanni da Kety 14.30 elem. | 16.00 medie | 18.00 ado e giovani

S. Delfino

20.30 S. Messa di Natale con le famiglie 20.30 Fiaccolata [ritrovo chiesa di Sant’Anna] 23.00 Veglia e S. Messa di Natale di mezzanotte

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1 «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci” (Giovanni 6, 9) Quasi continuando la lettera della scorsa volta, voglio ripartire da questa immagine, quella conosciutissima di questo ragazzo, anche lui presente tra quelle migliaia di persone in riva al lago, alle pendici del monte; oggi diremmo a Tabga. Sarà arrivato lì con i suoi genitori, oppure come tanti bambini oggi sui barconi, che arrivano soli? Come mai Andrea si accorge di questo ragazzo con quei pani e pochi pesci? Ma … tutti gli adulti avevano esaurito le loro scorte di viveri? Dovevano tutti aver camminato non poco per fare il giro del lago e arrivare da Gesù. Eppure chissà che appetito gli sarà venuto, sapendo come i nostri preadolescenti siano senza fondo! Credo che si sarà sentito diventare grande a poter mettere a disposizione di Gesù quello che aveva; quel Gesù che certamente l’aveva affascinato, tanto da farlo sgattaiolare tra la folla e arrivare lì in prima fila. E magari, sorridendo avrà allungato la sua bisaccia. Non voglio pensarlo a casa questo ragazzo, che potremmo trovarlo spigoloso, magari scontroso e indisponente con i genitori, musone con porte anche sbattute; con un linguaggio un po’ così con i compagni. Eppure l’abbiamo conosciuto capace di entusiasmo, di uno slancio che non avresti pensato, generoso senza mezze misure. Abbiamo conosciuto un ragazzo bello. Come anche alcuni nostri ragazzi, anche tra quelli che si preparano alla Cresima; così contraddittori nei loro dubbi sull’esistenza di Dio e nei loro momenti di preghiera fervorosa; sentimentali e altre volte così sulle loro; generosi e invidiosi; appassionati e pettegoli. Capaci di un’armonia di contrasti che stupisce e lascia trasparire una loro bellezza disarmonica e dirompente; che a volte facciamo così fatica a vedere. Eppure sono capaci di questo. Così come quel ragazzo, che quel giorno, uscendo da casa, non avrà certamente immaginato che avventura gli sarebbe capitata e di come sarebbe stata determinante la sua presenza in quel luogo e soprattutto la sua disponibilità e generosità. Quello che è stato decisivo, credo, sia stato l’aver incontrato qualcuno che si è accorto di lui, del poco che aveva; forse anche i nostri ragazzi hanno bisogno di qualcuno che si accorga di loro, delle poche cose che hanno, più o meno contenti di quello che sono. Quel ragazzo è stato un dono per quella gente; il Signore aiuti anche noi a vedere le nostre ragazze e i nostri ragazzi come un dono che, come lui, portano qualcosa alla tavola della comunità. Lui che inconsapevolmente ha svolto un servizio prezioso persino a Gesù e indirettamente a migliaia di persone. Mi piace allora dirci come tante persone si trovino a svolgere un servizio prezioso, inconsapevolmente. Prezioso è il servizio dei nonni; ma i nonni lo sanno. I bambini, invece, che fanno rivivere i nonni, che infondono nuova vita nelle loro ossa un po’ decalcificate, che li fanno tornare un po’ bambini capaci di giocare, che li fanno alzare al mattino con la gioia nel cuore al pensiero di quello che li aspetta quel giorno, che non li fanno vergognare di fare versetti per farli divertire o che parlano con una vocetta per farsi imitare; i bambini non se ne rendono conto, ma fanno un servizio prezioso ai nonni; allungano loro la vita e li fanno sentire orgogliosi dei loro piccoli. Così pure, che servizio prezioso quello dei volontari; ma loro lo sanno. I nostri nonni, invece, quelli con l’alzheimer che devono dipendere in tutto e per tutto da tutti, quando riescono a sorridere, che gioia nel cuore di chi li sta imboccando o aiutando. Alcune nonne sono riuscite a conquistare il cuore anche di alcuni nostri ragazzi e ragazze che, in preparazione alla Cresima, salgono all’Infermeria per quel servizio prezioso dell’imboccarle. All’inizio qualcuno ci va con molto timore; qualcun altro (pochi) non ha il coraggio. Ma qualcuno chiede di continuare anche dopo. Un servizio prezioso inconsapevole. Da ultimo, ma ci sarebbe ancora ben altro, vorrei ringraziare quelle persone che incontrando qualcuno lungo la strada, anziché fermarsi a spettegolare o a lamentarsi di tutto e di tutti, gli rivolgono la parola “ciao, come stai”. E non si rendono conto di aprire un fiume di sfogo di fatiche o di sofferenze; e magari “strempiano” perché le cose vanno per le lunghe; e pensano “quanto mai!”. Eppure, senza volerlo e senza saperlo, hanno svolto un servizio prezioso inconsapevole. Rispose Gesù: «Fateli sedere». Gesù ci aiuti qualche volta a rallentare o a lasciarci rallentare da qualcuno. Anche da Lui, quando riusciamo a fermarci un momento per una preghiera, mentre abbiamo l’impressione di avere molte cose da fare o niente da dire. Ci offre la possibilità di un servizio prezioso inconsapevole, forse a qualche persona che in quel momento ha bisogno di un particolare aiuto. Stiamo per concludere un Anno Liturgico e, con il primo dicembre, iniziare il nuovo con quel tempo affascinante che è l’Avvento. Buon cammino incontro al Natale di Gesù vs. dongiuseppe

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VITA DELLA CHIESA

Sinodo dell’Amazzonia Dal Documento finale dei vescovi a Papa Francesco

[…] 5. «Cristo indica l’Amazzonia» (Paolo VI). Egli libera tutti dal peccato e dona la dignità dei Figli di Dio. L’ascolto dell’Amazzonia, nello spirito proprio del discepolo e alla luce della Parola di Dio e della Tradizione, ci porta a una profonda conversione dei nostri schemi e strutture a Cristo e al suo Vangelo. 9. La ricerca di vita in abbondanza dei popoli indigeni amazzonici si concretizza in quello che essi chiamano «buon vivere», e che si realizza pienamente nelle Beatitudini. Si tratta di vivere in armonia con se stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l’essere supremo, poiché c’è un’intercomunicazione tra tutto il cosmo, dove non ci sono né escludenti né esclusi, e dove possiamo forgiare un progetto di vita piena per tutti.

Il grido della terra e il grido dei poveri

10. L’Amazzonia oggi è tuttavia una bellezza ferita e deformata, un luogo di dolore e violenza. Gli attacchi alla natura hanno conseguenze per la vita dei popoli. Quest’unica crisi socio-ambientale si è riflessa nell’ascolto pre-sinodale che ha evidenziato le seguenti minacce alla vita: appropriazione e privatizzazione di beni naturali, come l’acqua stessa; concessioni legali di legname e l’ingresso di legname illegale; caccia e pesca predatoria; mega-progetti non sostenibili (progetti idroelettrici, concessioni forestali, disboscamento massiccio, monocolture, infrastrutture viarie, infrastrutture idriche, ferrovie, progetti minerari e petroliferi); inquinamento causato dall’industria estrattiva e dalle discariche urbane; e, soprattutto, il cambiamento climatico. Si tratta di minacce reali che producono gravi conseguenze sociali: malattie derivate dall’inquinamento, traffico di droga, gruppi armati illegali, alcolismo, violenza contro le donne, sfruttamento sessuale, traffico e tratta di esseri umani, vendita di organi, turismo sessuale, perdita della cultura originaria e dell’identità (lingua, pratiche spirituali e tradizioni), criminalizzazione e assassinio di leader e difensori del territorio. Dietro tutto questo ci sono gli interessi economici e politici dei settori dominanti, con la complicità di alcuni governatori e di alcune autorità indigene. Le vittime sono i soggetti più vulnerabili, i bambini, i giovani, le donne e la sorella madre terra. Chiamati a una conversione integrale 17. L’ascolto del grido della terra e del grido dei poveri e dei popoli dell’Amazzonia con cui camminiamo ci chiama a una vera conversione integrale, con una vita semplice e sobria, il tutto alimentato da una spiritualità mistica nello stile di San Francesco d’Assisi, esempio di conversione integrale vissuta con letizia e gioia cristiana (cfr. Laudato Sì 20-12). Una lettura orante della Parola di Dio ci aiuterà ad approfondire e a scoprire i gemiti dello Spirito e ci incoraggerà nel nostro impegno a prenderci cura della «casa comune».

Nuovi cammini di conversione pastorale

20. Una Chiesa missionaria in uscita richiede da noi una conversione pastorale. Chiesa samaritana, misericordiosa, solidale 22. Vogliamo essere una Chiesa amazzonica samaritana, incarnata nel modo in cui il Figlio di Dio si è incarnato: «Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie» (Mt 8, 17b). Colui che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr. 2 Cor 8, 9), attraverso il suo Spirito, esorta i discepoli missionari di oggi a uscire incontro a tutti, specialmente ai popoli originari, ai poveri, agli esclusi dalla società e agli altri. Desideriamo anche una Chiesa maddalena, che si sente amata e riconciliata, che annuncia con gioia e convinzione Cristo crocifisso e risorto. Una Chiesa mariana che genera i bambini alla fede e li educa con affetto e pazienza, imparando anche dalle ricchezze dei popoli. Vogliamo essere una Chiesa serva, kerigmatica, educante, inculturata, inculturata in mezzo ai popoli che serviamo.

Nuovi cammini di conversione culturale

41. L’America Latina possiede un’immensa biodiversità e una grande diversità culturale. La nostra conversione deve essere anche culturale, per farci incontro all’altro, per imparare dall’altro. Essere presenti, rispettare e riconoscere i suoi valori, vivere e praticare l’inculturazione e l’interculturalità nel nostro annuncio della Buona Notizia. 48. La Chiesa promuove la salvezza integrale della persona umana, valorizzando la cultura dei popoli indigeni, parlando dei loro bisogni vitali, accompagnando i movimenti nelle loro lotte per i loro diritti. Il nostro servizio pastorale costituisce un servizio per la vita piena delle popolazioni indigene, che ci spinge ad annunciare la Buona Notizia del Regno di Dio e a denunciare situazioni di peccato, strutture di morte, violenza e ingiustizia, promuovendo il dialogo interculturale, interreligioso ed ecumenico (cfr. DAp 95). 51. Cristo con l’incarnazione non ha ritenuto un privilegio quello di essere come Dio e si è fatto uomo in una cultura concreta per identificarsi con tutta l’umanità. L’inculturazione è l’incarnazione del Vangelo nelle culture indigene («ciò che non si assume non è redento», Sant’Ireneo, cfr. Puebla


VITA DELLA CHIESA

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struzione in Amazzonia è l’estrattivismo predatorio che risponde alla logica dell’avidità, tipica del paradigma tecnocratico dominante (cfr. LS 101). Di fronte alla pressante situazione del pianeta e dell’Amazzonia, l’ecologia integrale non è un cammino in più che la Chiesa può scegliere per il futuro in questo territorio, è piuttosto l’unico cammino possibile, perché non c’è nessun’altra via praticabile per salvare la regione. La depredazione del territorio è accompagnata dallo spargimento di sangue innocente e dalla criminalizzazione dei difensori dell’Amazzonia. 71. Per contrastare questo fenomeno, che danneggia gravemente la vita, è necessario cercare modelli economici alternativi, più sostenibili, più amichevoli nei riguardi della natura, con un solido «fondamento spirituale». Per questo motivo, insieme ai popoli amazzonici, chiediamo che gli Stati smettano di considerare l’Amazzonia come una dispensa inesauribile (cfr. p. PM). 82. Proponiamo di definire il peccato ecologico come un’azione o un’omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente. È un peccato contro le generazioni future e si manifesta in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell’armonia dell’ambiente, trasgressioni contro i principi di interdipendenza e rottura delle reti di solidarietà tra le creature (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 340344) e contro la virtù della giustizia.

Nuovi cammini di conversione sinodale

400) e allo stesso tempo l’introduzione di queste culture nella vita della Chiesa.

Nuovi cammini di conversione ecologica

65. Il nostro pianeta è un dono di Dio, ma sappiamo anche che stiamo vivendo l’urgenza di agire di fronte a una crisi socioambientale senza precedenti. Abbiamo bisogno di una conversione ecologica per rispondere adeguatamente. Quindi, come Chiesa amazzonica, di fronte all’aggressione sempre maggiore contro il nostro bioma minacciato di scomparire con conseguenze tremende per il nostro pianeta, ci mettiamo in cammino ispirati dalla proposta dell’ecologia integrale. Riconosciamo le ferite causate dall’essere umano nel nostro territorio, vogliamo imparare dai nostri fratelli e sorelle dei popoli originari, in un dialogo di saperi, la sfida di dare risposte nuove cercando modelli di sviluppo giusto e solidale. Vogliamo prenderci cura della nostra «casa comune» in Amazzonia e proponiamo nuovi cammini per farlo.

Verso un’ecologia integrale a partire dall’enciclica Laudato si’

67. È urgente affrontare lo sfruttamento illimitato della «casa comune» e dei suoi abitanti. Una delle principali cause di di-

86. Per camminare uniti la Chiesa ha bisogno di una conversione sinodale, sinodalità del Popolo di Dio sotto la guida dello Spirito in Amazzonia. Con questo orizzonte di comunione e partecipazione cerchiamo nuovi cammini ecclesiali, soprattutto nella ministerialità e sacramentalità della Chiesa dal volto amazzonico. La vita consacrata, i laici, e tra loro le donne, sono i protagonisti di sempre, ma sempre nuovi, che ci chiamano a questa conversione. 87. «Sinodo» è una parola antica, venerata dalla Tradizione; indica il cammino che percorrono insieme i membri del popolo di Dio. La sinodalità è il modo di essere della Chiesa primitiva (cfr. At 15) e deve essere il nostro. «Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo» (1 Cor 12, 12). La sinodalità caratterizza anche la Chiesa del Vaticano II, intesa come Popolo di Dio, nell’eguaglianza e nella comune dignità di fronte alla diversità dei ministeri, carismi e servizi. 88. Per camminare insieme, la Chiesa oggi ha bisogno di una conversione all’esperienza sinodale. È necessario rafforzare una cultura del dialogo, dell’ascolto reciproco, del discernimento spirituale, del consenso e della comunione per trovare spazi e modalità di decisione comuni e rispondere alle sfide pastorali. In questo modo, la corresponsabilità nella vita della Chiesa sarà promossa in uno spirito di servizio. È urgente camminare, proporre e assumere le responsabilità per superare il clericalismo e le imposizioni arbitrarie. La sinodalità è una dimensione costitutiva della Chiesa. 99. La Chiesa in Amazzonia vuole «allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa» (EG 103). «Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Se la Chiesa perde le donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la sterilità» (Papa Francesco, Incontro con l’episcopato brasiliano, Rio de Janeiro, 27 luglio 2013). 116. Il Concilio Vaticano II ha aperto spazi per il pluralismo liturgico «per le legittime diversità e i legittimi adattamenti ai vari gruppi, regioni, popoli» (SC 38). In questo senso, la liturgia deve rispondere alla cultura perché sia fonte e culmine della vita cristiana (cfr. SC 10) e perché si senta legata alle sofferenze e alle gioie del popolo. Dobbiamo dare una risposta autenticamente cattolica alla richiesta delle comunità amazzoniche di adattare la liturgia valorizzando la visione del mondo, le tradizioni, i simboli e i riti originali che includono la dimensione trascendente, comunitaria ed ecologica.

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VITA DELLA CHIESA

Spunti dal Sinodo dell’Amazzonia Dice: “Gli attacchi alla natura hanno conseguenze dirette sulla vita dei popoli. Al Sinodo si è parlato dei mega progetti non ecosostenibili, di un estrattivismo predatorio, dell’inquinamento. Nell’aula non si è mai messa in discussione l’importanza della modernizzazione positiva, inclusiva. Però la Chiesa ha assunto con decisione la consapevolezza che la sua dottrina sociale ha a cuore la difesa del pianeta”.

“Dio ascolta la preghiera degli oppressi”. Il grido dei poveri, insieme a quello della terra, ci è giunto dall’Amazzonia. Dopo queste tre settimane non possiamo far finta di non averlo sentito. Le voci dei poveri, insieme a quelle di tanti dentro e fuori l’assemblea sinodale, pastori, giovani, scienziati, ci spingono a non rimanere indifferenti. Abbiamo sentito spesso la frase “più tardi è troppo tardi”: questa frase non può rimanere uno slogan. Papa Francesco all’Angelus di Domenica 27 ottobre I cardinali Pedro Barreto, Michael Czerny e Cláudio Hummes, a conclusione del Sinodo per l’Amazzonia, hanno fatto visita alla Basilica di San Francesco d’Assisi e si sono raccolti in preghiera sulla tomba del Santo. “Un bagno di “francescanità” - ha spiegato il cardinale Hummes -. Il Santo rappresenta una preziosa fonte di ispirazione non solo per la Chiesa, ma per tutto il mondo. Io sono un francescano e come tale per me il Santo rappresenta un padre. Il messaggio di San Francesco ci indica il cammino da percorrere per combattere la crisi ecologica e climatica”. “Stiamo assistendo ad una crisi culturale, è una specie di etnocidio ed ecocidio. Etnocidio nel senso che stiamo togliendo l’identità, la cultura, la lingua e la spiritualità ai popoli dell’Amazzonia. Ed ecocidio ha a che fare con la vita del territorio. Queste sono grandi questioni – ha concluso il Cardinale Hummes - che il Sinodo ha affrontato e ha cercato di proporre nuove strade da poter percorrere”. Il bilancio del Sinodo sull’Amazzonia può essere sintetizzato in una parola forte: conversione. Il documento finale struttura il suo asse portante proprio sui nuovi cammini di conversione ai quali è chiamata non solo la Chiesa panamazzonica ma anche quella universale: conversione integrale, pastorale, culturale, ecologica e sinodale.

Monsignor Eugenio Coter, vicario apostolico della diocesi boliviana di Pando, padre sinodale, spiega che la conversione invocata dal Sinodo esige “un cambio urgente di stile di vita profondo, che non si può più rimandare. Fa appello ad una società adulta che non ha compreso ancora l’importanza di modificare i propri modi errati di rapportarsi con la Creazione”. Card. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e Presidente della Commissione episcopale UE COMECE: Penso che dobbiamo cambiare il nostro stile di vita. Abbiamo una società dei consumi; qui da noi il valore di una persona è definito dalla sua prestazione economica. A questo punto dobbiamo cambiare modo di pensare e convertirci. L’Amazzonia è sfruttata anche da noi perché vogliamo mangiare carne a buon mercato. Abbiamo bisogno di uno stile di vita che permetta e richieda giustizia – che, per così dire, possa salvaguardare l’ambiente. Ciò esige una conversione anche in Europa. Padre Antonio Spadaro, gesuita, direttore della rivista ‘Civiltà Cattolica’ considera il Sinodo valido per tutta la Chiesa universale. Padre Spadaro vede nel documento finale il grido di dolore dei padri sinodali per una terra ferita, offesa, martoriata.

No all’oro nelle liturgie: per estrarlo si dà la morte Dei danni all’ambiente e alle popolazioni dell’Amazzonia provocate dalle industrie dell’estrazione mineraria, ha parlato, al Sinodo sull’Amazzonia, l’italiano padre Dario Bossi, superiore provinciale dei Missionari comboniani in Brasile, membri del Repam e della rete Iglesias y Minería, in Amazzonia da 15 anni. “Sarebbe un segno molto forte se la Chiesa riuscisse ad eliminare l’uso dell’oro nelle sue liturgie e sacramenti” dice rispondendo ad una domanda. I cercatori d’oro, denuncia il comboniano, “per l’equivalente di un anello d’oro spostano quintali di terra e inquinano i fiumi con mercurio e cianuro”. Dove P. Bossi risiede nella zona dove c’è la maggior miniera d’oro a cielo aperto con un processo di esportazione lungo 900 chilometri, che attraversa più di 100 comunità: “Una megainfrastruttura che attraversa la regione, e provoca disboscamento, inquinamento che genera malformazioni fetali a causa del mercurio”. “I fiumi sono inquinati, i pesci hanno percentuali anomale di mercurio, le persone di alcune comunità sono al 92 per cento contaminate da mercurio”. “Solo il 10% dell’oro - ha spiegato padre Bossi - viene usato per processi effettivamente utili, come l’impiego in medicina, il resto viene stoccato o usato per l’oreficeria”. I frutti di questo “modello estrattivista predatorio”, chiarisce, sono il disboscamento e l’inquinamento. Da qui la richiesta di rinunciare all’oro e ai diamanti.


LITURGIA

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La presentazione dei doni Offertorio dell’eucaristia

Il don è molto perplesso: nella messa che segna l’inizio l’anno pastorale (e già questo lo confonde: esiste forse un periodo dell’anno in cui non c’è pastorale? si chiede…) le catechiste sono molto attive per fare in modo che i ragazzini si sentano coinvolti. E lui si sente travolto, timido com’è, da tutti questi bambini che fanno di tutto… forse troppo! Trema all’idea di quello che vedrà arrivare all’offertorio: dalle scarpe allo zainetto, dai cartelloni al libretto di catechesi, corredati dalla dotta e dettagliata spiegazione del significato di quelli che vengono chiamati simboli. A volte è arrivata anche una pagnotta bella grande e lui non sapeva dove metterla e cosa farne. Il don è troppo buono per provare ad opporsi, e poi non sa come difendersi: teme di perdere le sue amate catechiste, se osa contraddirle sulle loro iniziative. E così, suo malgrado, diventa connivente con quelle scelte che nascono da buona volontà, ma anche da profonda ignoranza. Dopo la liturgia della parola inizia la liturgia eucaristica. Abbiamo visto che questo tipo di suddivisione può generare una sorta di confusione: si rischia di separare una parte dall’altra, mentre è l’intera celebrazione che mostra il mistero di Cristo morto e risorto. Questa parte della liturgia si apre con la presentazione dei doni. Il rito nasce prima di tutto da un’esigenza pratica: preparare l’altare per il sacrificio eucaristico; successivamente si è arricchito di significati simbolici, indicando l’ingresso di Gesù nel mondo e il suo offrirsi per la salvezza dell’umanità. Nel Messale (PNMR) troviamo scritto: «Terminata la liturgia della Parola i ministri preparano sull’altare il corporale, il purificatoio, il calice e il messale…». La norma rituale nomina corporale, purificatoio, calice e messale che sono strumenti: non hanno nessuna rilevanza simbolica. Non vengono quindi portati in processione. Da questo capiamo che

non si porta il calice nella processione della presentazione dei doni, perché il calice non è un simbolo come il pane e il vino: è solo uno strumento. Si portano nella processione offertoriale il pane, il vino (insieme all’acqua) e le offerte per i poveri. Tutto ruota attorno al pane e al vino che sono il punto focale dell’azione liturgica. Infatti, il Messale precisa: «All’inizio della liturgia eucaristica si portano all’altare i doni, che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo». Questa frase sgombera il campo da ogni equivoco: zainetti, scarpe, libri, anche la pagnotta o l’uva, non sono i doni che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo. Nella preparazione dei doni, vengono portati all’altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani per trasformarli nel sacramento della sua Pasqua. È certo «opportuno che i fedeli esprimano la loro partecipazione per mezzo dell’offerta, portando il pane e il vino per la celebrazione dell’eucaristia, o altri doni per le necessità della Chiesa e dei poveri». Questo significa che l’atto dell’offerta, nel quale il primo ad offrirsi è Cristo, necessita della nostra partecipazione, e questa ha bisogno di diventare palpabile, «portando il pane e il vino e altri doni». Per questo è triste vedere le oblate (così si chiamano il pane e il vino) già sull’altare fin dall’inizio della celebrazione, perché viene messa in ombra la nostra partecipazione al mistero celebrato. Gli altri doni non sono simboli di vario genere, ma quello che viene offerto per i poveri. Anticamente, dopo il

pane e il vino, venivano portati all’altare tutti i doni concreti che poi la Chiesa utilizzava per i poveri: frutta, verdura, sacchi di farina, animali, stoffe e così via (per questo alla fine della presentazione dei doni, il celebrante si lavava le mani, prima di toccare le oblate). Nella liturgia entrano a pieno titolo tutti i gesti della carità per quel corpo di Cristo che sono i poveri. Il fatto che qualcuno materialmente porti questi doni, racconta tutta la nostra partecipazione, non perché “tutti fanno qualcosa”, ma perché chi agisce lo fa sempre a nome della Chiesa, dell’assemblea. Anche se materialmente non porto nulla, non per questo non sto partecipando attivamente a questo rito. Mi unisco con quello che vivo all’offerta di Cristo. Faccio entrare in lui le mie fatiche, le mie gioie, le mie preoccupazioni. Colui che è offerto, immolato e glorificato è Cristo per mezzo dell’offerta della sua stessa vita e noi entriamo in questa dinamica di offerta. Dietro a quell’orribile morte, Gesù Cristo consegna sé stesso al Padre in obbedienza: questo è il significato del sacrificio e dell’offerta. È l’amore che c’è dietro a quelle piaghe che ci salva, non le piaghe in sé stesse. E questo è l’amore della Trinità, quell’amore che il Padre dall’eternità riversa nel Figlio, e il Figlio restituisce, per mezzo dello Spirito, al Padre. Quell’amore per il quale la Trinità non può accettare di essere separata dall’uomo: Dio non accetta la nostra separazione! Con la presentazione dei doni, unendoci a questa offerta, noi mettiamo la nostra vita dentro l’amore di Dio e diventiamo capaci di amare. Tutto quello che può oscurare o mettere in ombra questo grande mistero va evitato. Questo non è il momento dei nostri simboletti, della nostra catechesi, dei nostri cartelloni, degli scarponi, delle pagnotte o della festa: è l’offerta di Gesù Cristo in tutta la sua drammatica e salvifica realtà. Elide Siviero www.settimananews.it

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VITA DELLA CHIESA

il “Patto delle catacombe”

Rinnovato da un gruppo di padri sinodali Seguendo le orme di alcuni padri conciliari nel 1965, un gruppo di partecipanti al Sinodo sull’Amazzonia si è recato nelle Catacombe di Domitilla per ribadire l’opzione preferenziale per i poveri. La Chiesa rinnova, nello stesso luogo e con il medesimo spirito, il forte impegno sottoscritto il 16 novembre del 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II. È quello il giorno in cui quarantadue padri conciliari celebrano l’Eucaristia nelle Catacombe di Domitilla per chiedere a Dio la grazia di “essere fedeli allo spirito di Gesù” al servizio dei poveri. Viene firmato il documento “Patto per una Chiesa serva e povera”: l’impegno assunto è quello di mettere i poveri al centro del ministero pastorale. Al testo, denominato anche “Patto delle Catacombe”, hanno aderito oltre 500 padri conciliari. Dopo 54 anni, l’eredità dei padri conciliari è stata raccolta da un gruppo di partecipanti al Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica. È stato rinnovato lo spirito di quella giornata vissuta nel 1965 nelle Catacombe di Domitilla. Il cardinale Claudio Hummes, relatore generale al Sinodo per l’Amazzonia, ha presieduto la Santa Messa nello stesso luogo, il più grande ed il più antico cimitero sotterraneo di Roma. E proprio nelle Catacombe di Domitilla, stabilendo un forte legame con il documento firmato nel 1965, è stato sottoscritto dal gruppo di padri sinodali e da diversi laici che hanno partecipato alla celebrazione un documento intitolato: “Patto delle catacombe per la casa comune. Per una Chiesa dal volto amazzonico, povera e serva, profetica e samaritana”. Nell’omelia, il cardinale Hummes ha sottolineato:” Il Sinodo è un frutto del Concilio Vaticano II. Si cercano nuove vie per svolgere la missione di proclamare la Parola. I grandi mali del mondo, ha poi sottolineato, sono dovuti al denaro che alimenta corruzione, conflitti, menzogne “. Nel documento firmato, i partecipanti al Sinodo sull’Amazzonia ricordano che condividono la gioia di vivere in mezzo a numerose popolazioni indigene, ad abitanti delle rive dei fiumi, a migranti e a comunità delle periferie. Con loro, hanno sperimentato “la forza del Vangelo che opera nei più piccoli”. “L’incontro con questi popoli - si legge nel documento - ci interpella e ci invita ad una vita più semplice di condivisione e gratuità”. I firmatari del documento si impegnano a “rinnovare l’opzione preferenziale per i poveri”, ad abbandonare “ogni tipo di mentalità e di atteggiamento coloniale”, ad annunciare “la novità liberatrice del Vangelo di Gesù Cristo”. Altri impegni indicati nel “Patto delle catacombe per la casa comune” sono quelli di “camminare ecumenicamente con altre comunità cristiane” e di “assumere davanti all’ondata del consumismo uno stile di vita gioiosamente sobrio”. I padri firmatari si impegnano anche a riconoscere “i ministeri ecclesiali già esistenti nelle comunità” e a cercare “nuovi percorsi di azione pastorale”. La giornata odierna è dunque legata a quella del 16 novembre del 1965 e al “Patto delle catacombe”, che contiene un’esortazione rivolta ai “fratelli nell’episcopato” per condurre una “vita di povertà”, per essere una Chiesa “serva e povera”, conforme allo spirito proposto da Papa Giovanni XXIII. I firmatari si impegnano inoltre a mettere i poveri al centro del loro ministero pastorale. L’impegno è anche quello di condividere, “nella carità pastorale”, la vita con i fratelli in Cristo perché il “ministero costituisca un vero servizio”. A firmare il “Patto” furono 42 prelati e tra coloro che collaborarono alla stesura si se-

Firma del “Patto delle Catacombe per la casa comune”

gnala la presenza di dom Helder Câmara (1909-1999), l’arcivescovo di Olinda e Recife, servo di Dio, scomparso vent’anni fa a 90 anni. Câmara - del quale si è conclusa la fase diocesana della causa di beatificazione - ha lasciato una traccia pastorale profonda sapendo coniugare il Vangelo e le lotta per la giustizia e percorrendo sempre la strada della pacificazione. Il suo insegnamento risalta nel “Patto delle Catacombe” dal quale, come detto, ha tratto ispirazione quella corrente di pensiero teologico sviluppatasi con la riunione del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) di Medellín del 1968. Due mesi prima della firma del “Patto per una Chiesa serva e povera”, Papa Paolo VI si era recato nelle Catacombe di Domitilla e aveva affermato: “Qui il cristianesimo

Il card. Hummes mostra la “reliquia” della stola di mons. Câmara, domenica 20 ottobre, per la firma del nuovo Patto delle catacombe


AMBIENTEIN BREVE7 Un libro

“Prima gli ultimi”

affondò le sue radici nella povertà, nell’ostracismo dei poteri costituiti, nella sofferenza d’ingiuste e sanguinose persecuzioni; qui la Chiesa fu spoglia d’ogni umano potere, fu povera, fu umile, fu pia, fu oppressa, fu eroica. Qui il primato dello spirito, di cui ci parla il Vangelo, ebbe la sua oscura, quasi misteriosa, ma invitta affermazione, la sua testimonianza incomparabile, il suo martirio”. L’impegno assunto dai padri conciliari nel 1965 è stato anche uno dei primi auspici espressi da Papa Francesco subito dopo l’elezione al soglio di Pietro. È il 16 marzo del 2013: ricevendo i rappresentanti dei media, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre afferma: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. In una lettera inviata nel 2016 a don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, il Pontefice invoca un ritorno alle radici: “In un mondo lacerato dalla logica del profitto che produce nuove povertà e genera la cultura dello scarto, non desisto dall’invocare la grazia di una Chiesa povera e per i poveri. Non è un programma liberale, ma un programma radicale perché significa un ritorno alle radici. Il riandare alle origini non è ripiegamento sul passato ma è forza per un inizio coraggioso rivolto al domani. È la rivoluzione della tenerezza e dell’amore”. Amedeo Lomonaco e Silvonei Protz Vaticannews

In un momento in cui si chiudono i porti, si alzano muri, soffiano venti di razzismo, c’è anche chi apre le porte di casa per accogliere chi scappa da guerre e povertà. Nel libro si raccontano le storie di chi, dinanzi a uno dei più grandi drammi del nostro tempo, quello delle migrazioni, ha scelto di non girarsi dall’altra parte, ma di accogliere, dare una mano a chi chiede aiuto. Sono storie di coppie che hanno adottato bambini di pochi mesi arrivati in barca da soli perché le loro mamme sono morte in mare; di bambini abbandonati da giovani donne violentate; di tutori volontari che hanno fatto di tutto per assicurare un futuro ad alcuni ragazzi e di persone che ospitano rifugiati o sostengono giovani migranti sino a portarli a traguardi impensabili. Sono storie di eroi silenziosi e sconosciuti che nel dare affetto e solidarietà agli altri hanno scoperto che donando si riceve più di quello che si dà. (Ed. San Paolo, novembre 2019, € 16)

Attenti ai social Oggi ciascun utente di reti digitali ha una sua propria fonte di informazioni, la sua fonte di notizie, anche se sono soprattutto fake news (notizie false). Il fatto non è importante, importa la versione del fatto. E non si diffonde per informare, ma per ferire, con offese e minacce, qualche opinione contraria. Questo colpisce fortemente, perché la psicologia insegna che ci colpiscono più le offese ricevute che gli elogi. E l’emozione predomina sulla ragione. Non vogliamo convincere, vogliamo vincere. La verità è quello che affermiamo. (traduzione da Frei Betto, su domtotal.com, 12 novembre 2019)

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EDUCAZIONE PREVENZIONE PER COMBATTERE ALCOOL E DROGHE

Don Chino Pezzoli

LIGHT O MENO, È SEMPRE DROGA Rubrica a cura del Centro di Ascolto e Auto-Aiuto “Promozione Umana” di don Chino Pezzoli. della quantità effettivamente assunta”. Ci sono altri pareri scientifici. Durante il congresso dell’Associazione mondiale degli psichiatri, diversi ricercatori hanno dimostrato la correlazione tra l’uso di Marijuana e le malattie mentali. Prendendo in esame 1200 persone affette da schizofrenia, si è scoperto che coloro che abusano di cannabis dall’adolescenza (prima dei 18 anni) tendono a sviluppare la malattia 10 anni prima degli altri. L’uso della cannabis durante la pubertà è uno dei fattori di rischio per la schizofrenia. Il THC ha un tempo di permanenza elevato nel sangue che iperstimola i recettori coinvolti nei processi di apprendimento, della memoria, dell’attività motoria, della coordinazione, riducendo la loro funzione sui neuroni e compromettendo i mitocondri necessari a dare energia alle cellule. In un cervello in via di sviluppo può provocare danni permanenti. IL PARERE DI SILVIO GARATTINI Intervistato sul pronunciamento del CSS, il professore ha dichiarato: “Anche se a bassa concentrazione, il THC è rischioso per la salute degli individui specie se giovanissimi. Come possiamo promuovere tra i giovani corretti stili di vita e fare campagne contro il consumo di droga, alcool e persino sigarette, se poi diciamo che in forma “leggera”, in piccole quantità, non fanno , male?”. Riguardo all’uso terapeutico, Garattini ha spiegato che “si tratta di un argomento completamente diverso. È chiaro che se vi sono benefici per i malati, che la scienza potrà documentare in modo puntuale e preciso, sarà giusto impiegare questa sostanza per

alleviare il dolore o addirittura curarli. Ciò che emerge, tuttavia, è che siamo ancora lontani sia dal capire se questi benefici effettivamente esistano, sia dalla certezza che i farmaci a base di cannabis vengano confezionati in modo corretto e omogeneo su tutto il territorio. Servono studi e ancora tanta ricerca”. La scienza è chiara e seria, invece qualcuno sta lavorando in modo poco chiaro. Il business è importante e gli interessi enormi. La droga da sempre è il modo più veloce di fare soldi e questo, sempre di più, sembra accadere oggi sulla pelle dei nostri ragazzi.

Prof. Silvio Garattini

Mentre la scienza dice parole chiare sulla cannabis cosiddetta “leggera” e chiede maggiori indagini su quella terapeutica, i media sembrano lanciati verso la liberalizzazione, in nome del principio “della tua vita fai quello che vuoi”. L’Italia è la terza nazione in Europa per il consumo di cannabis, dopo la Francia e la Danimarca, e quarta per quello della cocaina. Questo è il quadro emerso dal rapporto dell’Agenzia Europea delle Droghe, in cui la cannabis si conferma come la sostanza illecita più consumata a livello europeo con 24 milioni di utilizzatori adulti. Tra i giovani, invece, gli italiani sono secondi (dietro la Francia). Si parla del business della cannabis light, cioè “leggera”. Abbiamo assistito all’apertura di centinaia di negozi (anche nelle tabaccherie), con gli scaffali pieni di torte, bustine di tisane, barrette energetiche. Tutto rigorosamente a base di canapa a bassa concentrazione di principio attivo THC (tra lo 0,2 e lo 0,6 per cento, per l’esattezza). A renderla liberamente coltivabile ha pensato una legge: la 242 del dicembre 2016. Non capiamo il modello di lotta alle dipendenze di chi chiede la liberalizzazione di questi prodotti. Da un lato si riconosce la pericolosità della droga, dall’altro si strizza l’occhio al consumatore secondo il motto “della tua vita fai quello che vuoi”. I NO DEL CSS. È però arrivato il parere del Consiglio Superiore della Sanità, secondo cui la cannabis leggera è dannosa. Il Consiglio “ritiene che il THC anche a basse concentrazioni non è trascurabile e che il suo consumo “avviene al di fuori di ogni monitoraggio e controllo

CENTRO DI ASCOLTO E AUTO-AIUTO “PROMOZIONE UMANA” di don Chino Pezzoli Via Donatori di Sangue 13 Fiorano al Serio - Tel. 035 712913 Cell. 3388658461 (Michele) centrodiascoltofiorano@virgilio.it Facebook @centrodiascoltofiorano INCONTRI GENITORI mercoledì dalle 20.30 alle 22.30


EDUCAZIONE

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JACOPO DA LENTINI, LA SUA DONNA E IL PARADISO Dopo la lettura, la parafrasi e la spiegazione di un sonetto di Jacopo da Lentini, intitolato “Io m’aggio posto in core a Dio servire”, uno studente rimane colpito dal passo in cui il poeta si giustifica per aver detto che non vorrebbe andare in Paradiso senza la sua donna; ma suscita in lui ancora più stupore che Jacopo da Lentini si senta in dovere di giustificarsi, di prevenire una eventuale obiezione: non vorrei però andare in Paradiso con la mia donna per fare peccato ma per godere di una beatitudine completa e non solo a metà… Lo studente obietta: “Ma come è possibile pensare che in Paradiso si possa peccare con la donna amata? Non saremo forse “puri spiriti”? In effetti la questione è intrigante: come saremo nell’aldilà e, lo speriamo, nel Paradiso? Come sarà il nostro corpo glorioso? Come sarà possibile godere di una beatitudine eterna e definitiva senza il corpo e senza l’amore? L’amore tra un uomo e una donna non è forse l’esperienza più alta e gratificante che noi umani possiamo vivere su questa terra? E non è, nel linguaggio della Bibbia, proprio l’amore uomo-donna che diviene simbolo, segno (sacramento) dell’amore di Dio? Forse la vera questione sta nella difficoltà di concepire il Paradiso e la vita eterna superando le categorie teologiche tradizionali che oggi suonano così goffe e imbarazzanti a noi moderni. Certo, per i medievali forse era tutto più semplice:

dopo la morte, mentre il corpo si consumava nella terra, l’anima rendeva conto del suo operato in un primo grado di giudizio, quello particolare o personale; per lei, a seconda della gravità dei suoi peccati e del suo pentimento, ci poteva essere l’Inferno oppure il Purgatorio, dove si sarebbe purificata da ogni residuo di male commesso in vita (a meno che, per aver raggiunto un alto grado di santità non fosse ammessa direttamente in Paradiso!). Poi, con la fine del mondo, si celebrava un secondo grado di giudizio, quello universale: l’anima e il corpo si ricongiungevano per udire la sentenza definitiva; dopo di che salivano al Paradiso, se beati, o scendevano all’Inferno se dannati. Il Purgatorio, a questo punto, cessava di esistere perché aveva esaurito la sua funzione. Questa modalità di concepire e di descrivere le realtà ultime, cioè l’escatologia, è durata nei secoli e in buona sostanza dura ancora oggi nell’immaginario collettivo. Ma è indubbio che presenta numerose, e ripeto, imbarazzanti, difficoltà. Anzitutto, come non riconoscere che questo modo di descrivere le realtà ultime non è presente nei Vangeli, se non per discreti cenni da parte di Gesù e tutti da interpretare correttamente? Non è il nostro Dio, o meglio, non è il Dio che Gesù di Nazareth è venuto a rivelarci, il Dio dei viventi e non dei morti, il Dio “amante della vita”? Come è possibile concepire ancora oggi l’essere uma-

no in maniera dualistica, costituito da anima e corpo, di cui la prima sarebbe immortale e il secondo corruttibile? E ancora, come si può parlare di Inferno, Purgatorio e Paradiso come di luoghi? E perché trasferire nell’eschaton, cioè nell’aldilà, ciò che invece, nel bene e nel male, qualifica il nostro vivere qui ed ora, la nostra esistenza terrena? Come intendere l’espressione “vita eterna” così da non equivocarne il senso, per tenerne aperta la tensione tra il tempo e l’eterno? Non è forse più aderente al messaggio evangelico concepire la novità del Dio di Gesù come colui che ci ha reso possibile vivere da risorti qui, adesso; cioè vivere -amando come lui ha amato- una vita piena e abbondante (Gv 10, 10)? Allora la grande domanda non è tanto cosa ci sarà dopo la morte, dove andremo a finire, come sarà la risurrezione, ma come possiamo vivere da risorti oggi, su questa terra. «Il “cielo” […] non è un luogo senza storia, “dove” si giunge; l’esistenza del “cielo” si fonda sul fatto che Gesù Cristo quale Dio è uomo e ha dato all’essere umano un posto nell’essere stesso di Dio. L’uomo è in cielo quando e nella misura in cui è con Cristo e trova quindi il luogo del suo essere uomo nell’essere di Dio. Per cui il cielo è primariamente una realtà personale» (Joseph Ratzinger, Escatologia. Morte e vita eterna, Cittadella, 2013). Enzo Noris

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ESPERIENZE EDUCATIVE

Lo Scout è cortese e cavalleresco La legge scout è composta da 10 punti. Essi sono: 1. Lo Scout considera suo onore il meritare fiducia; 2. Lo Scout è leale; 3. Lo Scout è sempre pronto a servire il prossimo; 4. Lo Scout è amico di tutti e fratello di ogni altro Scout; 5. Lo Scout è cortese e cavalleresco; 6. Lo Scout vede nella natura l’opera di Dio, ama le piante e gli animali; 7. Lo Scout obbedisce prontamente; 8. Lo Scout sorride e canta anche nelle difficoltà; 9. Lo Scout è laborioso ed economo; 10. Lo Scout è puro di pensieri, di parole ed azioni. Oggi voglio spendere due parole su quello che è il quinto punto della nostra legge, o meglio, userò le parole che Baden Powell (il nostro fondatore) usa con noi: Nei tempi antichi i cavalieri erano i veri Scouts e le loro regole erano molto simili alla Legge scout che noi abbiamo ora. I cavalieri consideravano il proprio onore come il loro più sacro bene. Non avrebbero mai compiuto un’azione disonorante, come dire una menzogna o rubare. Sarebbero piuttosto morti. Erano sempre pronti a combattere ed a morire per difendere il loro Re, la loro religione ed il loro onore. Ogni cavaliere aveva un piccolo seguito, composto da uno scudiero e da alcuni uomini d’arme, proprio come il nostro Caposquadriglia ha il suo vice e quattro o cinque scout. La pattuglia di un cavaliere era solidale con lui nel bello come nel brutto tempo, e tutti condividevano l’ideale del capo, cioè: il loro onore era sacro. Erano leali verso Dio, il Re e la Patria. Erano specialmente cortesi e gentili verso tutte le donne, i bambini e le persone deboli.

Erano pronti ad aiutare chiunque. Erano generosi nell’elemosina a chi ne avesse bisogno, e risparmiavano denaro a questo scopo. Erano esercitati nell’uso delle armi per poter difendere la Religione e la Patria dai loro nemici. Si preoccupavano di tenersi sempre forti, attivi e in buona salute, per poter adempiere bene a tutti questi doveri. Voi Scouts, non potrete far di meglio che seguire l’esempio dei cavalieri. Un punto importantissimo per loro era quello di compiere ogni giorno una Buona Azione verso qualcuno, e questa è anche una delle nostre regole. Quando vi alzate al mattino ricordatevi che avete una Buona Azione da compiere a vantaggio di qualcuno durante la giornata. Fatevi un nodo al fazzoletto per ricordarvene. Se mai vi capitasse di aver dimenticato un giorno la Buona Azione, il giorno successivo ne dovrete fare due. Pensate che nella promessa scout vi siete impegnati sul vostro onore a compierla. Guardatevi bene, però, dal pensare che gli Scout debbano fare una sola Buona Azione al giorno. Una è il loro dovere, ma se saranno cinquanta, tanto meglio. Una Buona Azione può anche essere minima. È una Buona Azione anche il mettere un soldino nella cassetta dei poveri, o aiutare una vecchia donna ad attraversare la strada, o far posto a sedere a qualcuno, o dare da bere a un cavallo assetato, o togliere una buccia di banana dal marciapiede. Ma una deve essere compiuta ogni giorno, e dà valore soltanto se non avete accettato in cambio una ricompensa. BP - Scoutismo per ragazzi


VITA PARROCCHIALE

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Alcune immagini del pellegrinaggio parrocchiale dello scorso 27 ottobre al Santuario di San Patrizio di Colzate. Una bellissima giornata di sole ha accompagnato i circa centocinquanta nostri parrocchiani, giunti con ogni mezzo, anche a piedi e in bicicletta, per affidare al Signore il nuovo Anno Pastorale della nostra comunitĂ .

Foto di Marco Carrara


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TESTIMONIANZA

SULLE ANDE

Un’esperienza col Mato Grosso Che cos’è l’OMG?

L’Operazione Mato Grosso (OMG) è un movimento di volontariato che opera in America Latina (Perù, Brasile, Ecuador, Bolivia) e in Italia. L’OMG è nata alla fine degli anni ‘60 in Val Formazza, dove un gruppo di giovani, guidato da Padre Ugo De Censi (1924-2018), decise di dedicare un’estate (1967) a costruire una scuola in Brasile, nello stato del Mato Grosso. Al rientro in Italia, i giovani iniziarono ad organizzarsi in gruppi per proseguire l’attività di volontariato. I gruppi di ragazzi presenti in Italia svolgono, nel tempo libero, vari lavori e attività i cui ricavati sono completamente destinati al sostentamento delle missioni legate all’OMG presenti in America Latina. I membri del gruppo vengono inoltre invitati a svolgere un periodo di volontariato nelle missioni. I missionari svolgono i più svariati servizi: organizzano l’“Oratorio delle Ande”, assistono i ragazzi dei “Taller” (scuolefamiglia di artigianato, gestite da volontari dell’OMG), affiancano i locali nei lavori agricoli e di manovalanza, prestano servizio in infermerie e nell’ospedale di Chacas (la parrocchia dove Padre Ugo si trasferì stabilmente), lavorano nelle cooperative di artigiani locali; tutto nel segno della gratuità. Paralleli ai gruppi dei giovani, vi sono in Italia alcuni gruppi di adulti che seguono diverse attività: la costruzione e la gestione dei rifugi dell’OMG, i mercatini dell’usato, l’organizzazione di mostre di mobili prodotti dalla Cooperativa “Artesanos Don Bosco” (legata all’OMG); anche i ricavati di queste attività vengono destinati al sostegno delle missioni in America Latina.

La mia esperienza in Perù

La mia esperienza inizia dove un’altra esperienza si conclude. Quando mio fratello Jacopo è rientrato dal Perù dopo due anni come volontario dell’Operazione Mato Grosso (OMG) a Llamellin, una parrocchia sperduta sulla Sierra, ho iniziato a sentire una profonda curiosità nei confronti di quel mondo lontano. Così ho chiesto a mio fratello se c’era l’opportunità di trascorrere l’estate in Perù spendendo un po’ di tempo per qualcuno che avesse bisogno. Conoscendo il mio amore per la montagna ed il silenzio, Jacopo mi ha consigliato di propormi per dare una mano nella gestione dei rifugi dell’OMG sulle Ande. I rifugi andini in Perù sono stati costruiti negli anni ’90 dai ragazzi dell’OMG e sono interamente gestiti da volontari che decidono di regalare parte del loro tempo. L’intero ricavato è utilizzato per aiutare le persone povere che vivono sulle Ande. Qualche mese dopo, organizzata un poco la mia estate, contattai Padre Bube, il responsabile della gestione dei “Refugios Andinos” in Perù e parroco di Shilla, località sulla Cordillera Blanca, e fissavo le date del mio viaggio. Il 20 giungo al mattino presi l’aereo per Lima, insieme a molti altri ragazzi dell’OMG che partivano per un’esperienza di volontariato di sei mesi. Atterrati a Lima, subito ci recammo a Jangas; lì fummo assegnati alle varie missioni. Rimasi a Shilla una decina di giorni per acclimatarmi (il paese si trova sopra i 3000 metri slm). Qui ebbi modo di conoscere i volontari della parrocchia e di vedere come vivono molte persone sulle Ande (nella Cordillera Blanca, la zona montuosa più ospitale per via della maggior presenza di acqua). I Peruviani sulle Ande e sulla Sierra vivono ancora di agricoltura, seguendo i ritmi naturali nell’alternarsi di stagione secca e stagione delle piogge. I contadini poveri, i “campesinos”, coltivano mais, patate e quel poco che riesce a crescere sopra i tremila metri. La tecnologia e lo stile di vita del nostro continente si stanno diffondendo rapidamente anche in Perù; molti campesinos lasciano i paesi delle montagne per cercare fortu-

na nelle città della costa. Questo è il primo passo che conduce molti di loro nelle baraccopoli, dove vivono in condizioni miserabili, alla ricerca costante di un lavoro e di una fortuna che mai riusciranno a raggiungere. Il primo giorno di luglio salii al “Refugio Ishinca”. Questo rifugio si trova oltre i 4000 metri slm ed ospita per lo più da andinisti (la versione andina dell’alpinista), scalatori che aspirano a salire una delle vette innevate (i “nevados”) circostanti, anche se non mancano gli appassionati di trekking, che in quella regione sono necessariamente lunghi e sovente impegnativi. Le scalate più gettonate che partono dal Rifugio Ishinca superano tutte i 5400 mslm: Urus, Ishinca, Tocllaraju (che raggiunge i seimila metri); i più esperti possono ambire a tentare il Ranrapalca, mentre le condizioni climatiche di quest’anno rendevano inaccessibile la cima del Palcaraju. L’occhio attento nota subito, ammirando gli imponenti nevados, l’evidente ritiro dei ghiacci che negli ultimi anni ha scoperto morene sempre più distese e spesso pericolose. Più a valle, a causa dell’innalzamento delle temperature, le popolazioni locali si troveranno ben presto a dover fare i conti con condizioni climatiche molto cambiate e con i conseguenti stravolgimenti dei ritmi dell’agricoltura.


VITA PARROCCHIALE ORATORIO

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Appuntamenti

I campi invernali proposti dal nostro oratorio...

La mia routine per un mese è stata regolare: la gestione di un rifugio impegna molto (c’è sempre da fare) ed è per molti versi diversa da come spesso la dipinge chi la vede dalla città. L’unico mezzo di contatto con la valle è la radio, con cui si fanno gli ordini di cibarie e si comunicano le prenotazioni e le emergenze. La mia permanenza all’Ishinca mi ha però permesso di fare incontri molto belli, di parlare con persone speciali e di conoscere alcuni volontari e Ángel, il cuoco del rifugio, che ha condiviso con me tutta l’esperienza della gestione. Il primo giorno di agosto scesi dal rifugio di ritorno a Shilla, dove mi fermai per circa una settimana, dando una mano come potevo nei piccoli lavori sempre incombenti nella gestione della Parrocchia. La mia ultima settimana in Perù è trascorsa tra lunghi, lenti viaggi e brevi, intensi incontri. Ho avuto modo di visitare Chacas, ho potuto vedere Llamellin, dove mio fratello ha vissuto per due anni. Dopo pochi giorni dalla mia visita a Llamellin terminò il mio soggiorno. Trascorsi il mio ultimo giorno sulle Ande con i ragazzi dell’Oratorio di Shilla presso una stalla, in una località che fronteggia il massiccio del Huascaran, il nevado più alto del Perù: un ricordo bellissimo che porto sempre con me. Elia Manara

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VITA PARROCCHIALE

Caritas Parrocchiale di Albino Rendiconto economico anno 2018

Diventiamo prossimo La Caritas Parrocchiale ripropone l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica. MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata mensilmente per il periodo indicato  Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20,45 alle 22  Con bonifico bancario tramite il Credito Bergamasco Agenzia di Albino Iban: IT06 JO3111 5248 0000 0000 77181 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO  Con libere offerte anche utilizzando la cassetta all’entrata della chiesa parrocchiale


ALTRI MONDI

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Dalle missioni delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù

Bangui

Shengjin

“... la foto è di bambini orfani che accogliamo a Bangui e che stanno sempre con noi fino a quando possono avere una sistemazione che permetta loro di vivere una vita più serena e più facile: sono 50 gli orfani e più di 600 gli alunni della scuola materna ed elementare... ci tengono vive e giovani!!!!” Suor Mariangela Piazza

Suor Fernanda, in primo piano in un gruppo di lavoro del Capitolo delle suore della Provincia italiana nel febbraio 2018 (a destra in alto suor Annalena Stella, già ad Albino ed ora a Cremona, a sinistra suor Marta Fasoli, prima consigliera della superiora provinciale) e, nell’altra foto suor Rosa Cassinari nella parrocchiale di Shengjin in Albania, con i giovani nella Domenica delle palme.

Suor Mariangela è in Centro Africa da quasi 50 anni, dopo aver vissuto, lei nata a San Lazzaro di Bassano, i pochi anni da suora in Italia ad Albino, nel convento e nella scuola di via S. Anna. I primi vent’anni di missione in Africa, nel nord della Repubblica Centro Africana, con file interminabili di bambini e ragazzi/e della catechesi, forse più di 2000, con i poveri, i malati, i moribondi che l’hanno evangelizzata. Ora la guerra impedisce la presenza nel nord del Paese e ha distrutte le case delle suore.

Suor Mariangela ora a Bangui, la capitale, si occupa della formazione delle future sorelle africane, non direttamente, ma vivendo e lavorando con loro. A Bangui, alla fine di novembre 2015, suor Mariangela ha avuto la gioia di accogliere Papa Francesco nel suo viaggio in cui là ha aperto la Porta Santa dell’anno giubilare e non potrà mai dimenticare le parole che le ha detto quando lo ha incontrato personalmente: il senso missionario della vita le fa respirare a pieni polmoni la vita.

Le suore, con suor suor Antonella Ruggeri, due volte albinese, anche alla scuola dell’infanzia, con suor Fernanda, suor Assunta e suor Rosa, sono le coordinatrici della comunità parrocchiale sia per la catechesi con percorsi di iniziazione cristiana e accompagnamento delle famiglie nei sacramenti, sia nella pastorale giovanile, con aggregazione e servizio, sia nell’animazione con attività ludico-animative per favorire la socializzazione dei bambini e dei ragazzi, sia con tanti progetti di sostegno a persone, giovani o anziane della comunità. L’inaugurazione della chiesa parrocchiale di Shengjin, avvenuta nel giugno 2017, è stata l’occasione per dare un nuovo impulso all’attività pastorale delle suore, presenti in questa comunità da oltre vent’anni. Per questo non è mancato il sostegno del Centro missionario della diocesi di Bergamo (diretto prima da don Boffi e ora da don Massimo Rizzi). Ad integrare il servizio si sono aggiunti nel recente passato i laici fidei donum Silvana e Fiorenzo, bergamaschi. Continua inoltre la gestione della scuola materna con oltre 100 bambini, anche diversamente abili o orfani di fatto. Anche questi aspettano chi condivida con loro.

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ALTRI MONDI - UN LIBRO

In viaggio verso Allah Mi ha colpito particolarmente, in questi giorni, la notizia del piccolo Alvin, un bimbo di 11 anni, rapito dalla madre nel 2014 e portato in Siria dove è cresciuto tra le fila dell’Isis a cui la donna si era unita, ed ora ritornato in Italia per abbracciare il padre e le sorelle maggiori. Dopo la caduta dell’Isis e la morte della madre di origine albanese, il bimbo viveva nell’area “orfani” di Al Hol, campo profughi nel nord est della Siria (sotto il controllo dei curdi) che ospita oltre 70 mila persone, in gran parte compagne e figli di combattenti jihadisti morti o in prigione. Là il ragazzino è stato individuato a luglio, dopo complesse ricerche dello Scip (direzione centrale della polizia criminale) e del Ros dei carabinieri, e riconosciuto grazie ad una foto e ad un dettaglio fisico dal padre Afrim. ll padre, più volte in questi anni, è partito da Barzago (Lecco) per cercarlo e, a settembre, era riuscito anche a parlarci, ma non a portarlo via dal campo perché mancava una “richiesta di ricongiungimento”; finalmente il bambino, nei primi giorni di novembre, è stato prelevato da Al Hol con un’operazione non priva di rischi. Alvin, anche se non parla quasi più italiano, “ricorderebbe le sue origini” e “l’esistenza di due sorelle”. La Croce Rossa internazionale parla di 28mila bambini di oltre 60 paesi, piccoli senza colpe, trascinati da padri e madri nell’inferno siriano: sono i figli dell’Isis che, dopo il disfacimento dello Stato Islamico, vivono nei campi profughi dove sono detenuti i combattenti sopravvissuti e le loro mogli. L’undicenne albanese nato a Lecco era uno di loro, non l’unico purtroppo. Che il futuro di quei bambini, di tutti e 28mila, sia un grande problema da affrontare per le democrazie occidentali, rimane una certezza, una pesante certezza. Anche io ho conosciuto un ragazzo, un adolescente, che è partito alla volta dell’Isis, anche se per sua volontà e non per seguire un familiare, trovando la morte. Nella modalità in cui è avvenuta, questa è stata un’esperienza segnante, un difficile ricordo da dimenticare, una partenza difficile da metabolizzare. Monsef, così si chiamava questo piccolo guerriero, era un ragazzo ospite della comunità KAIROS, struttura sita in provincia di Milano, fondata e gestita da don Claudio Burgio, che si occupa dell’accoglienza di minori in situazione di difficoltà e di carcere minorile alle spalle. Il giovane è sempre stato un ragazzo problematico, a detta di Don Burgio: aveva una situazione famigliare estremamente instabile e faceva uso di stupefacenti. Nonostante ciò, si pensava fosse perfettamente integrato nella comunità, ma quella che sembrava un’integrazione oramai avvenuta, era in realtà solo una parvenza di integrazione, un’integrazione a metà. Infatti Monsef, circa cinque anni fa, aveva deciso e programmato, all’insaputa di tutti, di partire dall’Italia per arruolarsi tra le frange estremiste dei jihadisti siriani insieme ad un “amico”, avvisando il suo amico Don semplicemente attraverso un messaggio telefonico… “Ciao Burgio. stammi bene e prega Allah che ti dia la retta via e ci guida verso di sé nella sua luce inshallah il paradiso…”. Tutte le persone come me che lo hanno conosciuto hanno espresso, a tal proposito, tutto il rammarico e lo sdegno per non essere riusciti ad intercettare in tempo i segnali del progetto di ragazzo, i primi sintomi di una radicalizzazione pericolosa. Don Claudio ha scritto un libro (IN VIAGGIO VERSO ALLAH, LETTERA DI UN PRETE A MONSEF, GIOVANE COMBATTENTE SIRIANO), anche se non subito poiché, come ha dichiarato lui stesso, per metabolizzare un’esperienza del genere serve tempo infatti la “professione di educatore”, che ciascuno di noi ha nei confronti delle nuove generazioni, viene messa a dura prova. Da questo libro traspare in modo chiaro la personalità di Monsef, la sua voglia di vivere, il suo bisogno di aprirsi una strada, la dimensione personale e la sua esperienza

di vita che hanno giocato un ruolo decisivo nel processo di radicalizzazione. Anche nelle nostre realtà quotidiane, spesso vediamo esperienze di rifiuto, di emarginazione e di assenza di strutture familiari ben radicate che generano, soprattutto nei più giovani, convincimenti e persuasioni subdole che conducono al desiderio di una vita da sogno, fatta di denaro, sfarzi, stabi-


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Emergenza Bolivia

lità, proponendo un modello di uomo/donna di successo, appetibile, desiderabile. È questo che attrae molti giovani, spingendoli, come nel caso di Monsef, a partire perchè il desiderio di riscatto e la sete di vita generano un’ingannevole prospettiva di un futuro migliore . Ho faticato molto nel comprendere perché le parole scritte da Monsef, nel messaggio telefonico di addio, appaiono a don Claudio come parole di speranza. Forse perchè da una storia sbagliata può nascere una storia di salvezza?

«Scrivo per renderti partecipe di quello che sa succedendo in Bolivia in queste settimane dove, come sai, Patronato San Vincenzo è presente con la “Città dei Bambini”. Dopo la rinuncia del presidente Evo Morales alla carica, ci sono stati saccheggi e incendi nelle strutture pubbliche. La situazione politica è molto confusa. Il 20 Ottobre ci sono state le elezioni presidenziali e da quel momento ogni giorno è stato un giorno di proteste e di sommosse popolari. La popolazione ha iniziato a mettere a ferro e fuoco le città generando il caos più totale. Le forze dell’ordine, compreso l’esercito sono scese in strada per cercare di ripristinare una situazione di calma e di pace, ma non è semplice. Al di là della politica, la nostra preoccupazione riguarda soprattutto la nostra Missione presso la Città dei bambini: i ragazzi e le educatrici per fortuna stanno bene. Si avverte però un clima molto teso: non si va a scuola da tre settimane, molti dei nostri dipendenti non hanno potuto raggiungere il proprio posto di lavoro per l’impossibilità di muoversi. I costi dei prodotti di prima necessità sono aumentati. Sono state sospese le attività formative, ricreative, sportive dei ragazzi per mancanza del personale. Prego quotidianamente perché questo periodo complicato per il paese e per la nostra Missione passi in fretta. Chiedo anche a voi di sostenerci con le vostre preghiere. Se hai a cuore i nostri bambini puoi anche sostenerci con una donazione. Grazie di cuore per ciò che potrai fare». Don Davide Rota

Scrive don Claudio: «[...] In questi anni ho riflettuto molto sul tuo ultimo messaggio che conservo come un dono prezioso. Mi è tornata in mente la poesia di Emiky Dickinson... una parola muore/appena è detta/ dice qualcuno/Io dico che comincia appena a vivere quel giorno… Quanto a te Monsef e alla tua fragile umanità, mi inchino come ad un fratello. se anche il mondo ti ricorderà come uno spregevole criminale, io continuerò a desiderare di abbracciarti come fa il padre che aspetta il ritorno a casa del figlio lontano (Lc 15,11-32). E se il nostro incontro non sarà dato in questo mondo, accoglierò il tuo invito: “Ci vedremo in paradiso. Inshallah”». Silvia Bergamelli

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SOCIETÀ

È più comodo reprimere che educare “Come ho sottolineato altre volte, la situazione nelle carceri continua a riflettere la nostra realtà sociale e una conseguenza del nostro egoismo e indifferenza sintetizzati in una cultura dello scarto”. Lo ha sottolineato Papa Francesco ricevendo in udienza i partecipanti all’Incontro internazionale per i Responsabili regionali e nazionali della Pastorale Penitenziaria, promosso dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Per il Papa la società “cerca con l’isolamento e la prigionia di coloro che agiscono contro le norme sociali, la soluzione definitiva ai problemi della vita della comunità”. E questo giustificherebbe le grandi spese per “reprimere i trasgressori invece di cercare veramente di promuovere lo sviluppo integrale delle persone che riducono le circostanze che favoriscono la realizzazione di azioni illegali”. Non di rado i luoghi di detenzione falliscono nell’obiettivo di promuovere i processi di reinserimento, senza dubbio perché non dispongono di risorse sufficienti che permettano di affrontare i problemi sociali, psicologici e familiari sperimentati dalle persone detenute, e anche per il frequente sovrappopolamento delle carceri che le trasforma in veri luoghi di spersonalizzazione. Al contrario, un vero reinserimento sociale inizia garantendo opportunità di sviluppo, educazione, lavoro dignitoso, accesso alla salute, come pure generando spazi pubblici di partecipazione civica. Quindi, dice il Papa, l’impegno oggi deve essere quello di “offrire il giusto aiuto e le risorse per vivere una vita dignitosa” perché purtroppo “ci siamo abituati a rifiutare piuttosto che considerare gli sforzi che la persona fa per corrispondere all’amore di Dio nella sua vita. Molte volte quando lascia la prigione, la persona si trova di fronte a un mondo che gli è estraneo e che non lo riconosce come degno di fiducia, anche escludendolo dalla possibilità di lavorare per ottenere un sostentamento dignitoso”. La domanda per i cristiani è chiara per il Papa: “Se questi fratelli e sorelle hanno già scontato la pena per le infrazioni, perché una nuova punizione sociale è messa sulle loro spalle con il rifiuto e l’indifferenza?”

Dolci Sogni Liberi a Bergamo e Nembro Il Laboratorio “DolciSogniLiberi’, gestito dalla cooperativa Calimero di Albino, in collaborazione con l’associazione Carcere e Territorio, da alcuni anni gestisce la produzione di dolci con detenuti del carcere di Bergamo. È una di un centinaio di attività in alternativa al carcere di via Gleno, che reclude più di 500 detenuti: con il lavoro dà nuova dignità e ne riduce decisamente la recidiva. DolciSogniLiberi produde anche panettoni, e panini per le mense scolastiche a Bergamo e Nembro. Qui, in via Locatelli 7 A, esattamente un anno fa è stato aperto un bar caffetteria con annesso laboratorio, gestito dalla cooperativa Calimero con la Chimera sempre di Albino. Il convegno è stato una occasione perché ogni comunità ecclesiale assuma “la propria strada per presentare la misericordia del Padre a tutti questi fratelli e fare risuonare una chiamata permanente affinché ogni uomo e società cerchi di agire con fermezza e decisione a favore della pace e la giustizia”. Il Papa ha ringraziato l’impegno di tutti coloro che sono impegnati in questo servizio: “L’amore di Dio che li sostiene e li incoraggia al servizio dei più deboli, rafforza e

aumenta questo ministero di speranza che svolgono ogni giorno tra gli imprigionati”. Il Papa poi aggiunge due immagini, non c’è una pena umana se non c’è un orizzonte dice, e per questo non ci devono essere carceri senza finestra. Anche un pena perpetua che è discutibile deve avere un orizzonte. Poi aggiunge la immagine delle madri dei detenuti a Buenos Aires che andavano a trovare i figli e non avevano vergogna di andarli a trovare. E la Chiesa deve imparare lo stesso atteggiamento. Infine un pensiero alle famiglie che “vengono assistite pastoralmente e le accompagnano durante questo periodo di grande prova, affinché il Signore possa benedire tutti”. Angela Ambrogetti (ACI Stampa)

Panettoni e dolci dalla pasticceria del carcere di Padova ad Albino Materie prime ricercate, lunga lievitazione naturale, lavorazione manuale e passione per la vita in un impasto soffice e profumato dal gusto equilibrato: è questo il segreto dei prodotti della Pasticceria Giotto, che dal 2005 coinvolge persone, specialmente giovani, della Casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova. La qualità dei prodotti che propone sul mercato nazionale ed estero e il lavoro come possibilità di tornare a una vita fatta di dignità rappresentano la strada che la cooperativa sociale Giotto intende percorrere per il suo futuro e per quello dei reclusi: una tensione all’eccellenza coniu-


CONTROLUTTO LO SPRECO DI CIBO23 19 gata ad un progetto sociale che riempie anche il cuore. Ogni giorno i maestri pasticceri insegnano, a 25 allievi detenuti, i gesti, i tempi e l’etica che favoriscono un cammino di cambiamento e diventano una possibilità reale per il futuro. Il lavoro restituisce dignità e senso del vivere valorizzando l’impegno del singolo come segreto del lavoro di squadra. Il segreto dei panettoni di Giotto? La lavorazione complessiva di 72 ore in un impasto dal gusto soffice e profumato, con una ricetta tramandata da un vecchio artigiano. Anche papa Benedetto XVI e papa Francesco li hanno gustati. I biscotti sono di otto tipi: zaleti, baci di dama, cantucci, nocciole, cioccolotti, basi di gondola, bolle di neve, cappuccini; anch’essi artigianali, friabili, croccanti, intensi o delicati. Le focacce veneziane: tipico dolce veneto di origini povere, l’impasto di pane che ogni giorno si faceva in casa, arricchito con uova, burro e zucchero, e lavorato per 72 ore, come i panettoni e le colombe pasquali, ma dal costo più basso. E non parliamo delle praline di cioccolato, della torta sbrisolona, con farina di mais e frutta secca.Ogni giorno i nostri maestri pasticceri Fra i punti di vendita dei dolci di Giotto in tutta Italia, quasi un centinaio (www.idolcidigiotto.it), c’è la Enoteca Wimpi in via Mazzini 15 ad Albino. Da sette anni i prodotti della Pasticceria Giotto, che addolciscono anche il cuore di chi li lavora e di chi li gusta, sono disponibili ad Albino nel negozio dell’attento Mauro Attilio Maggi, che ha saputo rispondere a un appello.

Proposte di buone prassi per il diritto al cibo e il contrasto allo spreco alimentare in Valle Seriana Sono il frutto del progetto “Cum pane”, realizzato in alcuni Comuni della Media e Bassa Val Seriana, animato dalla cooperativa Il cantiere di Albino. Il progetto, finanziato dal Bando Volontariato 2018, è stato attivo a partire da marzo 2018 fino a ottobre 2019 e ha coinvolto i Comuni di Albino, Gandino, Ranica e Nembro. Riportiamo qui una sintesi delle “buone azioni” che si sono sperimentate e che si ripropongono per garantire il diritto al cibo a tutti e per contrastare lo spreco degli alimenti. Le esperienze fatte hanno insegnato qualcosa, che si vuol far conoscere e riproporre, per rispondere all’insicurezza alimentare di individui e famiglie, in aumento anche in Paesi, come il nostro, ricchi di beni, ma poveri di relazioni. GARANTIRE IL DIRITTO AL CIBO Si tratta di fare rete, di costruire un sistema integrato di aiuti che vede la collaborazione di amministrazioni, volontariato, parrocchie ed enti diversi, in modo che non si corra il rischio di aiutare da più parti alcune famiglie, rischiando di escluderne altre. LOTTA ALLO SPRECO ALIMENTARE È possibile il recupero delle eccedenze nei supermercati e nella piccola distribuzione: riguarda per lo più alimenti cosiddetti “freschi”, la cui data di scadenza è ravvicinata e che pertanto vanno consumati velocemente. Si possono anche recuperare le eccedenze nelle mense scolastiche per ridistribuirle, attraverso un’iniziativa che si chiama “Mangio senza avanzo” che viene costruita in collaborazione con le scuole, i genitori degli alunni, il comune e l’Azienda sociosanitaria. COSTRUZIONE DI LEGAMI SOCIALI E DI PARTECIPAZIONE L’offerta solo del cibo, senza un’offerta di relazione, non è sufficiente. Ci riconosciamo dentro la nostra umanità, uomini e donne, ricchi o poveri, perché abbiamo capacità di condivisione. Condividere il pane, ci rende “compagni” e consente di intrecciare legami di fiducia e prossimità, di ricreare comunità. Si è voluto contrastare il sentimento di vergogna e lo stigma che accompagna le persone in una situazione di insicurezza alimentare, costruendo legami comunitari capaci di inclusione, di accoglienza, di vicinanza. All’interno di questo orizzonte di senso, il progetto “Cum pane” ha sperimentato diverse azioni che possono essere replicate e diffuse, che abbinano il tema della sussistenza alimentare alla costruzione di legami e di contesti inclusivi: - Le “cene solidali”, che si possono realizzare ad esempio dentro gli oratori; sono cene “aperte” a cui invitare famiglie/persone in difficoltà economica. - “L’orto sociale” è un’altra delle esperienze possibili, dove l’autoproduzione del cibo può essere veicolo di legami solidali e di vicinanza; oltre a permettere un miglior accesso al cibo. - La creazione di “luoghi aperti” dove fare comunità: per promuovere l’inclusione e combattere la povertà: c’è bisogno di “fare luogo” contro la minaccia dell’isolamento. Per questo abbiamo bisogno di luoghi, che sono cosa ben diversa dagli spazi: luoghi generativi di comunità e contribuire alla sua crescita, spazi di solidarietà e di scambio. SENSIBILIZZAZIONE NELLE SCUOLE Le possibili azioni di sensibilizzazione, sono rivolte alle giovani generazioni, con l’intento di educare bambini e ragazzi e di coinvolgere conseguentemente le famiglie. Si possono coinvolgere sul tema dello spreco alimentare a cui può seguire una raccolta alimentare da destinare alle realtà del territorio che si occupano delle famiglie in difficoltà economica grave (parrocchie, comuni, Caritas, S. Vincenzo…). Il documento completo è disponibile sul sito www.ilcantiere.org/coesione-sociale/cum-pane


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SOCIETÀ

L’indice di natalità in 15 anni, ad Albino, si è dimezzato. Il calo demografico con relativi annessi e connessi è sotto gli occhi di tutti, e tutti, sia i sociologi, sia i comuni mortali, si possono facilmente rendere conto del fatto che se calano le nascite e la durata media della vita delle persone aumenta, nel giro di pochi anni avremo una società sempre più sbilanciata, fatta prevalentemente non di giovani creativi, ma di vecchi inattivi e (involontariamente) di peso.

Possibili soluzioni

Ci sarebbe a disposizione, a dire il vero, la riserva degli stranieri, ma, non essendo pensabile che svedesi e tedeschi si rendano disponibili a venire incontro alla nostra diminuzione di forza lavoro, bisognerebbe perciò far ricorso agli extracomunitari, ma tanta parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche caccerebbe via volentieri anche quelli che ci sono, perché non si vuole che il nostro popolo sia contaminato culturalmente e diventi un popolo… imbastardito.

Più generosità, più responsabilità

Con buona pace di tutti, la principale via per risolvere il calo demografico è quella ovvia di tornare ad essere un popolo gioiosamente fecondo. La Chiesa promuove le coppie che, come Dio, sono amanti della vita e son quindi aperte a una genitorialità generosa e nello stesso tempo responsabile. Ma poi, certo, anche se tutti si “convertissero” senza pregiudizi a tale atteggiamento, rimarrebbe indispensabile che chi governa e amministra si impegni in una seria politica di sostegno alla famiglia. (don Giacomo Panfilo - santalessandro.org)

Più cani che bambini Nel comune di Albino i bambini da 0 a 6 anni sono 943, da 7 a 11 anni sono 888, i cani, fra registrati e non, sono fra i 2000 e 3000...

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FUTURO

Indicatori demografici

Principali indici demografici calcolati sulla popolazione residente ad ALBINO

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percentuale tra la fascia di popolazione che sta per andare in pensione (60-64 anni) e quella che sta per entrare nel mondo del lavoro (15-19 anni). La popolazione attiva è tanto più giovane quanto più l’indicatore è minore di 100. Ad esempio, ad Albino nel 2019 l’indice di ricambio è 118,8 e significa che la popolazione in età lavorativa è abbastanza anziana.

INDICE DI STRUTTURA DELLA POPOLAZIONE ATTIVA

Rappresenta il grado di invecchiamento della popolazione in età lavorativa. È il rapporto percentuale tra la parte di popolazione in età lavorativa più anziana (40-64 anni) e quella più giovane (15-39 anni).

CARICO DI FIGLI PER DONNA FECONDA

È il rapporto percentuale tra il numero dei bambini fino a 4 anni ed il numero di donne in età feconda (15-49 anni). Stima il carico dei figli in età prescolare per le mamme lavoratrici.

INDICE DI NATALITÀ

Rappresenta il numero medio di nascite in un anno ogni mille abitanti.

Glossario INDICE DI VECCHIAIA

Rappresenta il grado di invecchiamento di una popolazione. È il rapporto percentuale tra il numero degli ultrassessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni. Ad esempio, nel 2019 l’indice di vecchiaia per il comune di Albino dice che ci sono 168,4 anziani ogni 100 giovani.

INDICE DI DIPENDENZA STRUTTURALE

Rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva (0-14 anni e 65 anni ed oltre) su quella attiva (15-64 anni). Ad esempio, teoricamente, ad Albino nel 2019 ci sono 56,6 individui a carico, ogni 100 che lavorano.

INDICE DI RICAMBIO DELLA POPOLAZIONE ATTIVA Rappresenta il rapporto

INDICE DI MORTALITÀ

Rappresenta il numero medio di decessi in un anno ogni mille abitanti.

ETÀ MEDIA

È la media delle età di una popolazione, calcolata come il rapporto tra la somma delle età di tutti gli individui e il numero della popolazione residente. Da non confondere con l’aspettativa di vita di una popolazione. Fonte: tuttitalia.it

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DATE SIGNIFICATIVE ALPINI

L’altare dimenticato Lo scorso mese di luglio, dopo 104 anni passati nell’oblio, è stata ritrovata la grande lastra di granito, adibita ad altare, dove gli allora avversari austriaci celebrarono una Messa a ricordo degli alpini del battaglione Morbegno, caduti nella prima battaglia della Guerra Bianca. È necessario ritornare al 23 maggio 1915, giorno precedente lo scoppio delle ostilità, quando i comandi militari italiani ordinarono al piccolo reparto di alpini che presidiava il Passo del Monticello, oggi Passo Paradiso, di abbandonare la posizione perché ritenuta di difficile mantenimento. Di tale decisione approfittarono gli austriaci per occupare tutto il territorio circostante e dominare sull’intera Sella del Tonale e sulla strada che da Ponte di Legno sale alle prime linee italiane, dislocate a ridosso del passo. Nasceva quindi immediata, dopo il frettoloso abbandono, la necessità di rioccupare il Passo del Monticello e la Conca Presena, diventate una spina nel fianco per le nostre difese sull’importante valico del Tonale. L’azione, stabilita per il 9 giugno 1915, veniva affidata al battaglione Morbegno del 5º Alpini che doveva procedere ad un audace attacco aggirante, anziché un prevedibile assalto diretto portato dal Tonale. Gli alpini dalle nappine bianche partirono da Ponte di Legno (1.258 m) alle ore 12 dell’8 giugno 1915, risalirono la Valle Narcanello, il ghiacciaio del Pisgana fino al Passo omonimo (2.935 m). Discesero quindi in Conca Mandrone (2.661 m) e risalirono il Passo Maroccaro (2.975 m), compiendo così un dislivello di quasi duemila metri e giungendovi alle ore 7 del giorno successivo con un ritardo di circa tre ore sulla tabella di marcia. La salita, che occupò tutta la notte, si rivelò faticosissima e resa ancor più difficile dalle pessime condizioni della neve, dalla pioggia e dalla tormenta che durò per otto ore sulle complessive diciannove di cammino prima di giungere ai posti di combattimento. Le fasi successive sono narrate in un passaggio del diario del capitano Angelo Gatti, all’epoca in forza al Comando della 1ª Armata: “La neve era diventata tenera causa l’acqua della notte mentre che per solito in quella vedretta è sempre dura; l’avanzata fu quindi faticosa: (i soldati erano con la neve fino alle anche. Pure continuavano andare avanti, sperando che la nebbia, che allora si era levata, li portasse fin sotto il nemico non visti). La 44ª compagnia verso le 7,30 raggiunse quota 2.646 e qui si diradò la nebbia: erano allora ancora in mezzo alla neve, legati in tutti i modi. Fu questo l’origine dell’insuccesso. La sorpresa c’era stata: erano a 200 metri dal nemico, se la nebbia avesse

durato ancora venti minuti tutto andava bene”. Diverse furono le cause che portarono al fallimento di questa azione che segnò il battesimo della Guerra Bianca: la grande fatica sostenuta nella marcia di avvicinamento, la divisa grigioverde che consentì agli osservatori del Forte austriaco di Saccarana, al di là del Passo del Tonale, di scorgerli per tempo e dare l’allarme, il mancato apporto dell’artiglieria italiana e l’effetto sorpresa mancato negli ultimi metri prima dell’attacco. Al termine della battaglia rimasero sul campo 18 soldati caduti e 21 dispersi, quasi tutti feriti gravi e Caduti non identificati. Persero la vita anche 4 ufficiali: il capitano Villani e i sottotenenti Arrigoni di Trescore Balneario, Petterino e Pompele.


STORIA

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A sinistra, la Messa degli austriaci ieri; oggi, nello stesso luogo, celebrata da don Antonio Leoncelli.

Dopo lunghe ricerche sono stati identificati 21 caduti di quel giorno, in larga parte alpini dei distretti di Como e Lecco, tradizionali zone di reclutamento del Morbegno. A ricordo del sacrificio di così tante vite umane, con grande senso cavalleresco e profonda fede, segno di una fratellanza che nemmeno le armi potevano violare, gli austriaci celebrarono una Messa immortalata in alcune suggestive immagini. Di quella funzione religiosa il Museo della Guerra Bianca di Temù conserva tre riproduzioni fotografiche e proprio attraverso queste immagini, girando in largo e in lungo le pietraie a monte del Passo Paradiso, poco discosta dal sentiero che conduce al Passo del Ca-

stellaccio, lo scorso mese di luglio ho ritrovato la grande lastra di granito utilizzata come altare per la cerimonia. Con grande emozione ho potuto constatare che dopo oltre cent’anni nulla era cambiato! Su quelle stesse pietre e su quell’altare ritrovato, lo scorso 9 agosto il Museo della Guerra Bianca, di cui sono Presidente, ha organizzato una commovente manifestazione per ricordare quel lontano evento. Don Antonio Leoncelli ha celebrato la Messa, accompagnata dai cori Vallecamonica e La Pineta diretti dal Maestro Francesco Gheza. Intervallati da canzoni sulla Grande Guerra, l’attore Luciano Bertoli ha letto le commoventi testimonianze di alcuni soldati camuni. Erano presenti il vessillo della Sezione di Como e i gagliardetti dei Gruppi di Saronno, Valmadrera e Passirano, insieme al Labaro del Nastro Azzurro Sezione di Lecco a rappresentare i numerosi decorati di quel 9 giugno 1915. L’altare ritrovato, a oltre cent’anni dall’evento, è oggi muta testimonianza di quei tragici eventi e monito perché tutti si impegnino nella custodia della pace. Per non dimenticare. Walter Belotti Presidente del Museo della Guerra Bianca (L’Alpino - ottobre 2019)

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI

PROSPETTIVE PER IL FUTURO L’incontro a Bergamo con il presidente Sergio Mattarella

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato recentemente ospite a Bergamo di un’iniziativa congiunta di Molte Fedi sotto lo stesso cielo e Bergamo Scienza. Di seguito il saluto del professor Daniele Rocchetti, presidente delle ACLI di Bergamo e Coordinatore di “Molte Fedi Sotto lo stesso cielo”. «Signor Presidente, è con orgoglio che le porgo il saluto a nome delle ACLI di Bergamo che dodici anni fa hanno voluto dare vita a “Molte Fedi sotto lo stesso cielo”. Glielo porgo anche a nome del generoso mondo solidale bergamasco. Che in mille modi, con cooperative e associazioni, ma pure attraverso una fitta produzione culturale, fatta di rassegne e festival, di cinema e teatro, ha cura di reti e di legami e regge, attraverso l’impalcatura della prossimità, la nostra comunità bergamasca che sta cambiando profondamente il suo profilo. Salendo verso questo Auditorium, avrà visto le Mura che circondano Bergamo Alta: sei chilometri di tracciato, 100 aperture per bocche di fuoco, 2 polveriere. Costruite dai veneziani nel 1561 raccontano di un tempo in cui bisognava difendersi e proteggersi dagli attacchi dei nemici. In realtà la storia dice che non sono servite perché la città non subì più assedi. Ora le quattro porte di accesso sono aperte: attraversate da strade che portano a luoghi di aggregazione, a piazze dove incontrarsi, mescolarsi e fare festa. È la Bergamo di oggi. Senza che ce ne rendessimo conto, negli anni recenti il nostro territorio è cambiato in modo irreversibile. Donne e uomini di origine straniera sono venuti ad abitare da noi. Donne e uomini in carne ed ossa, volti con un nome, ciascuno con il suo carico di storia e di memoria, di fede e di tradizione. Donne e uomini che prima erano immigrati e ora, a pieno a titolo, sono cittadini. I nuovi cittadini italiani con cui costruire pazientemente terre di mezzo e rifare il patto che ci lega insieme e dà senso alla nostra convivenza. Molte Fedi è nata dalla consapevolezza che le trasformazioni inedite ed epocali che stiamo vivendo non possono essere affrontate sotto il segno del rancore e del risentimento. Certo, non è un cambio facile, è da ingenui crederlo. Sbaglia chi crede

che non vi siano problemi, sbaglia chi crede che siano solo problemi. Occorre guardare alla città sempre più plurale con coraggio e responsabilità. Con Molte Fedi abbiamo voluto dire alla nostra gente che la strada obbligata, nonostante chi strumentalizza e alimenta l’inevitabile paura che un processo del genere suscita, è quella della convivialità delle differenze. Che bisogna, riconoscendo le diversità di ciascuno, sentirsi comunità. Che vuol dire condividere visioni, direzioni, diritti e doveri. Che significa pensarsi dentro un futuro comune, da costruire insieme. Che ci sono valori che hanno lo spazio del “noi”, più grande del perimetro degli egoismi e dei tornaconti personali. La risposta dei bergamaschi, e tra questi moltissimi giovani – una parte dei quali vede oggi in sala – è stata di grande conforto. A dispetto di una narrazione corrente abbiamo trovato nella nostra terra molti segni di speranza. Abbiamo incontrato costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Donne e uomini, ragazze e ragazzi che tenacemente cercano di custodire l’impegno a “restare umani”. Anche e soprattutto di fronte all’imbarbarimento dei costumi, dei discorsi, dei pensieri, delle azioni che sviliscono e sbeffeggiano quelli che un tempo erano considerati i valori e i principi della casa comune europea e della vicenda cristiana che per secoli ha fatto corpo con il nostro Paese. Perché lo sappiamo: molto deve fare l’Europa, molto deve fare il nostro Paese, molto deve fare la politica. Molto però deve fare anche ognuno di noi. Noi delle ACLI di Bergamo ci stiamo provando, seminando pensiero e speranza. Resistendo alle derive disumane. Martin Luther King amava ripetere di “non avere paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti”. Non vorremmo dimenticarlo, in tempi come questi. Grazie Presidente Mattarella per ricordarci spesso il contributo che ciascuno di noi può e deve dare per un’Italia più solidale e inclusiva».


ASSOCIAZIONISMO INSEGNAMENTO

È successo a Parigi. Quando le porte dell’autobus si sono aperte, Francois ha azionato le ruote della sua carrozzella per montare a bordo. Ma nessuno dei passeggeri si è spostato per dargli spazio. Chi ha brontolato, chi ha girato lo sguardo altrove. Francois ha detto al fratello: “Pazienza, prenderemo il prossimo”. E lì è successo l’imprevisto. L’autista ha gridato: “Capolinea, scendere tutti”. E appena tutti sono scesi ha fatto salire Francois. Il gesto è sembrato enorme anche a lui e ha subito chiesto all’autista se la sua sensibilità dipendesse dall’avere qualche portatore di handicap in famiglia. L’autista ha risposto che non conosceva nessuno che girasse in carrozzella, ma che un giorno potrebbe capitare a tutti di doverlo fare. Che cosa emoziona in questa storia, Secondo noi più che la vendetta contro i passeggeri egoisti è stato il rifiuto della rassegnazione da parte dell’autista. Non ha scrollato le spalle davanti ad un’ingiustizia, ma ha agito con umanità. Da quando Francois ha reso pubblica la vicenda l’autista è l’uomo più ricercato di Parigi. Lo vogliono le tv per intervistarlo e il sindaco per premiarlo. Ma lui preferisce rimanere anonimo. Certi gesti acquistano più forza quando a compierli è un cuore senza volto.

CORAGGIO

Succede a Urgnano. Da operaio è diventato imprenditore, dando vita ad un’azienda fallita presso cui lavorava da 25 anni, così da conservare il posto di lavoro ad oltre una decina di persone. La B&B, questa l’azienda dalle cui ceneri è nata la 3B Meccanica, era una storica realtà produttiva della zona e dava lavoro ad una ventina di persone, tutte del posto. Ferruccio Bonacina e la moglie Claudia Zini allora si mettono in gioco , affittano il ramo d’azienda e danno vita nella scorsa estate alla nuova società, anche grazie al finanziamento di una banca locale e all’assicurazione da parte dei principali clienti della continuità di commesse. Ovviamente non mancano tentennamenti e preoccupazioni. Ma loro trovano il coraggio di tentare l’avventura. Riassumono 14 ex dipendenti della B&B, cioè tutte quelle persone che non erano riu-

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scite a trovare nuova occupazione dopo il fallimento della vecchia ditta. “Non ci sentiamo degli eroi. Lo abbiamo fatto perché ce lo sentivamo, perché avevamo a cuore il futuro dei nostri figli e dei nostri colleghi”. Forse non sono eroi : sicuramente sono due persone coraggiose. Nelle difficoltà di questi tempi, è una storia di speranza. E non c’è che da augurarsi la piena riuscita di una tale coraggiosa impresa. Ed è probabile che ciò si avveri, perché i risultati del 2018 sono stati positivi.

LA STORIA

“Luisa vive... se l’aiutiamo”. Gli studenti dell’Università di Bologna hanno lanciato una campagna per raccogliere fondi, con l’obiettivo di permettere una cura sperimentale negli Stati Uniti (che sta dando buoni risultati) alla loro professoressa di Statistica, malata di cancro. È questa l’unica speranza, perché purtroppo la malattia è troppo avanzata. Enorme la cifra necessaria: 500mila euro! Nonostante ciò è partita una mobilitazione dal basso, che in poco meno di due mesi ne ha già raccolti 200mila. La strada è ancora lunga, ma le iniziative per raccogliere fondi si moltiplicano . Una profonda fede sta sostenendo la professoressa in questa dura prova. “Io credo in Dio e so che Lui non ci abbandona mai, nemmeno in momenti difficili come questi”. Non sappiamo quanti dei suoi studenti arriveranno alla laurea, otterranno un trenta e lode in Statistica, avranno successo negli studi e sul lavoro. Di certo sappiamo, comunque vada a finire questa toccante storia, che l’insegnamento che hanno ricevuto dalla professoressa non verrà mai da loro dimenticato.

RAGAZZI SPERICOLATI

Si può solo piangere leggendo quanto succede sulle strade, soprattutto nei fine settimana. Sono sempre giovani e sono sempre giovani che hanno voluto divertirsi alla loro maniera. Quanti sono gli weekend che passano senza dover contare le giovani vittime di incidenti stradali? Pochi. I disastri veramente drammatici sono dovuti principalmente a persone che guidano in condizioni anomale, dovute all’eccesso di alcol e droga. E l’auto in quei casi è già un esplosivo. Cosa fare? Non possiamo lasciare solo alle forze dell’ordine il problema, perché è ormai chiaro che la sola repressione serve a poco. Anche qui si tratta di educare, di fare buon uso dei mezzi che abbiamo a disposizione. Non ultimo il buon esempio. Si, perché troppe volte ci sono anche persone adulte che, con i figli a bordo, pigiano in modo eccessivo sull’acceleratore. Non rendendosi conto di essere loro stesse vittime di comportamenti negativi, che sicuramente influiscono sui figli stessi.

TRASFORMAZIONE

In principio era uno dei tanti beni in mano ai potenti clan di Lamezia Terme. Ora è un Ostello della carità che accoglie al piano terra un area ad uso sociale con tre stanze e sedici posto letto, una cucina in comune attrezzata con tutto il necessario, un ripostiglio e un refettorio con venti posti, tre bagni tra cui uno utilizzabile dai disabili. Il piano superiore è invece dedicato ad un progetto di accoglienza diffusa per i cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. Attualmente sono sei, ma l’obiettivo è fare salire il numero a diciotto. All’esterno un’ampia area verde con alberi da frutto, piante di ulivo, un piccolo orto e un ampio cortile. Oltre a quattro fabbricati da trasformare in depositi ed eventuali laboratori per le attività che verranno. Lo ha realizzato due anni fa la Caritas diocesana di Lamezia, con l’intento di farlo diventare presto anche un punto di riferimento, un luogo d’incontro, animazione e aggregazione, un’area di condivisione per esperienze di volontariato.

GESTO UMANITARIO

È tarda sera e l’autobus corre veloce verso il capolinea di piazza Zama, a Roma. Fermata dopo fermata l’autobus si svuota. Solo una ragazza non si muove : dorme su un sedile dell’ultima fila, con vicino uno zaino. L’autista si avvicina, sveglia dolce-

Novembre 2019


CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


ASSOCIAZIONISMO

ANAGRAFE PARROCCHIALE

mente la ragazza e le dice, indicando l’autobus parcheggiato : “Parte quello davanti”. Evidentemente ha capito che la ragazza, italiana, vuole passare la notte sugli autobus. Non ha un tetto e almeno qui non fa freddo e tra capolinea e capolinea può anche dormire un po’. Non le chiede il biglietto, non le chiede di scendere. Ha compreso in un attimo una storia di emarginazione. La ragazza capisce che non viene cacciata, che può riprendere il suo sonno notturno sotto un tetto viaggiante. Scende in silenzio, si nasconde tra due auto per poi salire sull’altro autobus. Anche questa è la vita dei senza dimora, vita dura, dove la strada è tutto, che a qualcuno dà fastidio e che invece muove altri a solidarietà. Per chi non ha un tetto, basta un autista che non sa cos’è la cattiveria, perchè comprensivo e umano.

FORZA D’ANIMO

Scrittore, giornalista e poeta italiano, Nino Salvaneschi (1886-1968) a 37 anni divenne completamente cieco in seguito ad una grave malattia per la quale si era dovuto sottoporre a lunghe degenze ospedaliere. In questa parentesi forzata della sua vita, a seguito della lettura de “L’imitazione di Cristo”, prese peso il suo pensiero religioso che lo portò ad una completa devozione alla chiesa Cattolica. Molti i suoi scritti che lo resero famoso. In un suo saggio c’è questo profondo pensiero che denota l’accettazione della sua non facile condizione: “Non stancarti mio vecchio cuore e ritorna a cantare alla vita. Tutto passa e tutto cambia. Soltanto la speranza immortale vegli sulla nostra fatica quotidiana e ogni sera offra una promessa per il domani”. Non deve essere stato facile vivere in una condizione come la sua. Solo un animo forte e sensibile può portare in sé una tale accettazione. Per le Acli Albinesi Gi.Bi.

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Anniversari

Giuseppe Carrara

2° anniversario L’amore che ci hai donato resterà vivo nei nostri cuori

Defunta

Angelo Foini

7° anniversario Il suo ricordo di uomo semplice e onesto rimanga vivo nel rimpianto della sua famiglia e di quanti lo conobbero e l’amarono

Rosetta Carrara in Signori

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Opere parrocchiali ... il tuo aiuto è importante

È possibile fare offerte - anche deducibili fiscalmente nella dichiarazione dei redditi in misura del 19% - a sostegno dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza per i beni Architettonici. Innanzitutto possiamo dire con riconoscenza di aver estinto il debito relativo al Santuario della Madonna del Pianto. Invece segnaliamo il debito residuo dei lavori effettuati al campanile, agli affreschi nella sacristia della Prepositurale, alla chiesa della Concezione e ai tetti dell’Oratorio fin’ora sistemati (250.400 €) e per il tetto del CineTeatro, cantiere in fase di allestimento. Per le aziende è possibile detrarre totalmente la cifra devoluta. Grazie per quello che riuscirai a fare PER DONAZIONI - Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano: IBAN IT91 R050 3452 480000000000340 Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.


RECAPITI

INFO UTILI

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Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 75.10.39 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 75.12.88 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 75.16.13 - www.piantoalbino.it Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 75.11.19 Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 75.14.82 - 035 02.919.01 Padri Dehoniani Tel. 035 75.87.11 Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 75.12.53 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto Tel. 035 75.52.33 aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 4598350

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

Per i battesimi come da calendario alle ore 10.30 o alle 15.00

Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Al santuario del Pianto ore 7.30 - 17.00

Al santuario della Guadalupe

ore 8.30 - 17.00

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.15

ore 9.00

Alla Guadalupe ore 8.00

Al santuario della Concezione

Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 4598491 - 035 515532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 8173575 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278111 - 035 278224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

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Il SERVIZIO... virtù da coltivare in questo anno pastorale

Stampato in abbinamento editoriale con il n. 9/2019 di LAIF - In copertina: Pellegrinaggio parrocchiale a San Patrizio (foto di Marco Carrara).

Novembre 2019


Tempo di attesa Se sai quant’è bello ciò che aspetti, è bella anche la sua attesa. (Rancore, rapper)


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