Albino comunità viva - novembre 2021

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - NOVEMBRE 2021


INFO UTILI RECAPITI Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 751 039 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 751 288 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 751 613 - www.piantoalbino.it Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 751 119 Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 751 482 - 035 02 919 01 Padri Dehoniani Tel. 035 758 711 Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 751 253 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 45 983 50

da coltivare Gratitudine virtù in questo anno pastorale

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Al santuario del Pianto ore 7.30 - 17.00

Al santuario della Guadalupe ore 9.00

Al santuario della Concezione ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

ore 8.30 - 17.00 Quando si celebra un funerale se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.30 Alla Guadalupe ore 8.00 Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

Amarcord

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 45 984 91 - 035 515 532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 81 735 75 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278 111 - 035 278 224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

www.oratorioalbino.it

Un corteo funebre nel gennaio 1933

Stampato in abbinamento editoriale con il n. 8/2021 di LAIF - In copertina: 24 ottobre, pellegrinaggio parrocchiale ad Almenno san Salvatore.


1 “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla” (Papa Francesco)

Giuseppe, ci rivediamo. La colpa, sai, è del nostro Papa che ha voluto dedicare a te tutto questo anno che, tra l’altro, si concluderà proprio tra un mese, l’8 dicembre. Per questo non voglio perdere l’occasione di vederci e parlarci; il tempo si fa breve. La volta scorsa ci eravamo lasciati con questo interrogativo che mi girava dentro: “Con quale stato d’animo si sarà svegliato Giuseppe dopo i sogni che si raccontano di lui?”. Devo però riconoscere che mi è rimasto un tarlo che rode dentro e faccio fatica a liberarmene: “Ma … dopo un mese, mezzo anno, non t’è mai passato dentro il dubbio di aver sbagliato?”. Sai quegli interrogativi: avrò fatto bene? Ho magari sbagliato? Forse era meglio … A noi queste cose ci prendono tutti e ci rovinano il vivere. Però hai ragione. Queste cose succedono quando si continua a guardare indietro. Noi continuiamo a farlo pur sapendo che la storia e le nostre storie non sono mai state maestre di vita. Gli errori abbiamo continuato a ripeterli sapendo che li avevamo già fatti e avevamo complicato le cose. È vero! È avanti che dobbiamo guardare. Noi oggi siamo troppo complicati; siamo capaci di portare nostro figlio di quarta elementare dallo psicologo perché fatica a fare i compiti e noi non riusciamo a farglieli fare. Le cose ai tuoi tempi, forse, erano più semplici: finito il sogno, arriva la svolta, l’esitazione finisce e … avanti. Se uno ha capito cosa deve fare, perché aspettare o perdere tempo facendo altro? Nella tua semplicità, probabilmente, ti sei sempre comportato così: appena capisci cosa devi fare, lo fai. In questo deve averti aiutato anche il tuo lavoro: quando uno del villaggio veniva per farti fare uno sgabello o un tavolo, si iniziava senza tanti preamboli; e bisognava farlo bene, altrimenti non si mangiava. Forse la citazione è un po’ fuori luogo, ma mi viene in mente che probabilmente anche tuo figlio, lavorando con te, deve aver imparato qualcosa di questo stile. Tant’è che l’ultima volta che mangiò con i suoi, a Giuda ebbe a dire: “Quello che vuoi fare, fallo al più presto”. Forse noi oggi abbiamo dimenticato una parola molto familiare ai nostri vecchi: Provvidenza. Deve essere uscita anche dal dizionario; non la si sente più. Deve essere una cosa da ingenui, perché chi ha studiato sa quanto importante sia programmare, progettare, prevedere, pianificare (forse si potrebbe dire meglio in inglese). E perdere la pace. La fiducia nella Provvidenza ha sempre fatto crescere l’accoglienza, cominciando dalla vita, alle persone, alle situazioni. È quello che hai fatto tu, Giuseppe, con Maria e con il bambino Gesù. Se tu avessi potuto programmare il tuo futuro, la tua vita, che scelte avresti fatto? Certamente un po’ di pensieri sul tuo futuro e su quello di Maria li avevi già fatti. Eppure ti sei fidato e sei stato aiutato a leggere gli avvenimenti in un altro modo. Quelli o quelle del villaggio, come avevano fatto con Maria, l’avranno fatto anche con te: non credo che abbiano condiviso le vostre scelte! Eppure vi siete fidati; magari con qualche tentennamento, ma siete andati avanti. Mi piacerebbe far parlare con te quei ragazzi che, dopo esser riusciti a decidersi per il matrimonio, passato qualche tempo si trovano a chiedersi: ma è stata la scelta giusta quella di prendere questa donna, o questo uomo? Non è che ho sbagliato? Sai, diventa sempre più difficile per noi leggere il combinarsi di alcune cose come una vocazione che va realizzandosi e che non sempre è dato a noi di costruirla o combinarla o programmarla. Parlane con Maria; qui dalle nostre parti la veneriamo molto, anche se abbiamo perso l’abitudine di dare il suo nome alle nostre figlie o come secondo nome ai nostri figli. Sarà una piccola cosa, però rallegra il cuore vedere alcune volte qualche mamma entrare nella chiesa vuota e andare ad inginocchiarsi davanti alla sua statua. Però non scherzano nemmeno quando si fermano davanti alla tua statua e ti accendono un lume; tu sai cosa hanno da dirti e da affidarti. Sanno ancora di chi fidarsi e a chi affidarsi! Stiamo entrando in quel periodo che insieme, tu e Maria, forse avete vissuto con un po’ di apprensione; era il tempo in cui si realizzava il progetto di Dio su voi e su tutti noi. Fa’ che anche noi non abbiamo a sprecarlo. Un’ultima cosa vorrei chiederti: non sempre le persone a voi vicine hanno saputo vedere in voi persone belle. È successo così anche a vostro figlio. Proprio per questo vorrei chiedervi che ci aiutiate in questo tempo a vedere il bello che ogni persona si porta dentro; e che, magari, nemmeno lei sa. Aiutateci a trovare il modo di aiutarle a farlo crescere. Tutti potremo arrivare al Natale di vostro figlio più contenti e un po’ meno “programmati” e omologati. Mi scuserai, ma noi, probabilmente, ci vedremo ancora la prossima volta. E a tutti voi, carissimi, buon inizio del cammino di Avvento e di questo nuovo Anno Liturgico vs. dongiuseppe

Novembre 2021


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VITA DELLA CHIESA

Alla luce del Vangelo, possiamo guardare a Maria come modello della fede.

Omelia di Papa Francesco al Santuario Nazionale slovacco (Šaštin) di mercoledì 15 settembre 2021 E riconosciamo tre caratteristiche della fede: il cammino, la profezia e la compassione. Anzitutto, la fede di Maria è una fede che si mette in cammino. La fanciulla di Nazaret, appena ricevuto l’annuncio dell’Angelo, «si mise in viaggio verso la montagna» (Lc 1,39), per andare a visitare e aiutare Elisabetta, sua cugina. Non ritenne un privilegio l’essere stata chiamata a diventare Madre del Salvatore; non perse la gioia semplice della sua umiltà per aver ricevuto la visita dell’Angelo; non rimase ferma a contemplare sé stessa, tra le quattro mura di casa sua. Al contrario, Ella ha vissuto quel dono ricevuto come missione da compiere; ha sentito l’esigenza di aprire la porta, uscire di casa; ha dato vita e corpo all’impazienza con cui Dio vuole raggiungere tutti gli uomini per salvarli con il suo amore. Per questo Maria si mette in cammino: alla comodità delle abitudini preferisce le incognite del viaggio, alla stabilità della casa la fatica della strada, alla sicurezza di una religiosità tranquilla il rischio di una fede che si mette in gioco, facendosi dono d’amore per l’altro. Anche il Vangelo di oggi ci fa vedere Maria in cammino: verso Gerusalemme dove, insieme a Giuseppe suo sposo, presenta Gesù nel Tempio. E tutta la sua vita sarà un cammino dietro al suo Figlio, come prima discepola, fino al Calvario, ai piedi della Croce. Sempre Maria cammina. Così, la Vergine è modello della fede: una fede che si mette in cammino, sempre animata da una devozione semplice e sincera, sempre in pellegrinaggio alla ricerca del Signore. E, camminando, voi vincete la tentazione di una fede statica, che si accontenta di qualche rito o vecchia tradizione, e invece uscite da voi stessi, portate nello zaino le gioie e i dolori, e fate della vita un pellegrinaggio d’amore verso Dio e i fratelli. Grazie per questa testimonianza! E per favore, restate in cammino, sempre. Non fermarsi! E vorrei anche aggiungere una cosa. Ho detto: “Non fermarsi”, ma quando la Chiesa si ferma, si ammala; quando i vescovi si fermano, ammalano la Chiesa; quando i preti si fermano, ammalano il popolo di Dio. Quella di Maria è anche una fede profetica. Con la sua stessa vita, la giovane fanciulla di Nazaret è profezia dell’opera di Dio nella storia, del suo agire misericordioso che rovescia le logiche del mondo, innalzando gli umili e abbassando i superbi (cfr Lc 1,52). Lei, rappresentante di tutti i “poveri di Jahweh”, che gridano a Dio e attendono la venuta del Messia, Maria è la Figlia di Sion annunciata dai profeti di Israele (cfr Sof 3,14-18), la Vergine che concepirà il Dio con noi, l’Emmanuele (cfr Is 7,14). Come Vergine Immacolata, Maria è icona della nostra vocazione: come Lei, siamo chiamati a essere santi e immacolati nell’amore (cfr Ef 1,4), diventando immagine di Cristo. La profezia di Israele culmina in Maria, perché Ella porta in grembo la Parola di Dio fattasi carne, Gesù. Egli realizza pienamente e definitivamente il disegno di Dio. Di Lui, Simeone dice alla Madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione» (Lc 2,34).

Non dimentichiamo questo: non si può ridurre la fede a zucchero che addolcisce la vita. Non si può. Gesù è segno di contraddizione. È venuto a portare la luce dove ci sono le tenebre, facendo uscire le tenebre allo scoperto e costringendole alla resa. Per questo le tenebre lottano sempre contro di Lui. Chi accoglie Cristo e si apre a Lui risorge; chi lo rifiuta si chiude nel buio e rovina sé stesso. Ai suoi discepoli Gesù disse di non essere venuto a portare pace, ma una spada (cfr Mt 10,34): infatti la sua Parola, come spada a doppio taglio, entra nella nostra vita e separa la luce dalle tenebre, chiedendoci di scegliere. Dice: “Scegli”. Davanti a Gesù non si può restare tiepidi, con “il piede in due scarpe”. No, non si può. Accoglierlo significa accettare che Egli sveli le mie contraddizioni, i miei idoli, le suggestioni del male; e che diventi per me risurrezione, Colui che sempre mi rialza, che mi prende per mano e mi fa ricominciare. Sempre mi rialza. E proprio di questi profeti ha bisogno oggi. Voi, Vescovi: profeti che vadano su questa strada. Non si tratta di essere ostili al mondo, ma di essere “segni di contraddizione” nel mondo. Cristiani che sanno mostrare, con la vita, la bellezza del Vangelo. Che sono tessitori di dialogo laddove le posizioni si irrigidiscono; che fanno risplendere la vita


VITA DELLA CHIESA

fraterna, laddove spesso nella società ci si divide e si è ostili; che diffondono il buon profumo dell’accoglienza e della solidarietà, laddove prevalgono spesso gli egoismi personali, gli egoismi collettivi; che proteggono e custodiscono la vita dove regnano logiche di morte. Maria, Madre del cammino, si mette in cammino; Maria, Madre della profezia; infine, Maria è la Madre della compassione. La sua fede è compassionevole. Colei che si è definita “la serva del Signore” (cfr Lc 1,38) e che, con premura materna, si è preoccupata di non far mancare il vino alle nozze di Cana (cfr Gv 2,1-12), ha condiviso con il Figlio la missione della salvezza, fino ai piedi della Croce. In quel momento, nel dolore straziante vissuto sul Calvario, Ella ha compreso la profezia di Simeone: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35). La sofferenza del Figlio morente, che prendeva su di sé i peccati e i patimenti dell’umanità, ha trafitto anche Lei. Gesù lacerato nella carne, Uomo dei dolori sfigurato dal male (cfr Is 53,3); Maria, lacerata nell’anima, Madre compassionevole che raccoglie le nostre lacrime e nello stesso tempo ci consola, indicandoci in Cristo la vittoria definitiva. E Maria Addolorata, sotto la croce, semplicemente rimane. Sta sotto la croce. Non scappa, non tenta di salvare sé stessa, non usa artifici umani e anestetizzanti spirituali per sfuggire al dolore. Questa è la prova della compassione: restare sotto la croce. Restare col volto segnato dalle lacrime, ma con la fede di chi sa che nel suo Figlio Dio trasforma il dolore e vince la morte. E anche noi, guardando la Vergine Madre Addolorata, ci apriamo a una fede che si fa compassione, che diventa condivisione di vita verso chi è ferito, chi soffre e chi è costretto a portare croci pesanti sulle spalle. Una fede che non rimane astratta, ma ci fa entrare nella carne e ci fa solidali con chi è nel bisogno. Questa fede, con lo stile di Dio, umilmente e senza clamori, solleva il dolore del mondo e irriga di salvezza i solchi della storia. Cari fratelli e sorelle, il Signore vi conservi sempre lo stupore, vi conservi la gratitudine per il dono della fede! E Maria Santissima vi ottenga la grazia che la vostra fede rimanga sempre in cammino, che abbia il respiro della profezia e che sia una fede ricca di compassione.

I Tweet di Papa Francesco al quarto incontro mondiale dei movimenti popolari

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A noi tutti, leader religiosi, di non usare mai il nome di Dio per fomentare guerre. Stiamo accanto ai popoli, ai lavoratori, agli umili e lottiamo insieme a loro affinché lo sviluppo umano integrale sia una realtà. Gettiamo ponti di amore. Ai governi e a tutti i politici, di lavorare per il bene comune. Non ascoltino soltanto le élite economiche e siano al servizio dei popoli che chiedono terra, casa, lavoro e una vita buona in armonia con tutta l’umanità e con il creato. Ai Paesi potenti di cessare le aggressioni, i blocchi e le sanzioni unilaterali contro qualsiasi Paese in qualsiasi parte della terra. I conflitti si devono risolvere in istanze multilaterali come le Nazioni Unite. Ai mezzi di comunicazione, di porre fine alla logica della post-verità, alla disinformazione, alla diffamazione, alla calunnia e a quell’attrazione malata per lo scandalo e il torbido; che cerchino di contribuire alla fraternità umana. Ai giganti delle telecomunicazioni, di liberalizzare l’accesso ai contenuti educativi e l’interscambio con i maestri attraverso internet, affinché i bambini poveri possano ricevere un’educazione in contesti di quarantena. Ai giganti della tecnologia di smettere di sfruttare la fragilità umana, le vulnerabilità delle persone, per ottenere guadagni. Ai fabbricanti e ai trafficanti di armi, di cessare totalmente la loro attività, che fomenta la violenza e la guerra, spesso nel quadro di giochi geopolitici il cui costo sono milioni di vite e di spostamenti. Alle grandi compagnie alimentari, di smettere d’imporre strutture monopolistiche di produzione e distribuzione che gonfiano i prezzi e finiscono col tenersi il pane dell’affamato. Alle grandi compagnie minerarie, petrolifere, forestali, immobiliari, agroalimentari, di smettere di distruggere la natura, di smettere d’inquinare, di smettere d’intossicare i popoli e gli alimenti. Ai gruppi finanziari e agli organismi internazionali di credito, di permettere ai Paesi poveri di garantire i bisogni primari della loro gente e di condonare quei debiti tante volte contratti contro gli interessi di quegli stessi popoli. Ai grandi laboratori, che liberalizzino i brevetti. Compiano un gesto di umanità e permettano che ogni essere umano abbia accesso al vaccino. Dobbiamo dare ai nostri modelli socio-economici un volto umano, perché tanti modelli lo hanno perso. Pensando a queste situazioni, voglio chiedere in nome di Dio: Lo Spirito ci chiede di metterci in ascolto delle domande, degli affanni, delle speranze di ogni Chiesa, di ogni Paese. E anche in ascolto del mondo, delle sfide e dei cambiamenti che ci mette davanti. Non insonorizziamo il cuore. Ascoltiamoci. 16 ottobre 2021

Settembre 2021


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VITA DELLA CHIESA

Magdeleine verso gli altari

Papa Francesco ha approvato il decreto sulle virtù eroiche della piccola sorella Magdeleine, religiosa che - ispirandosi alla spiritualità di Charles de Foucauld – diede vita nel 1939 alle Piccole Sorelle di Gesù, le suore della fraternità in ogni periferia del mondo. Mentre è appena stata annunciata la data della canonizzazione di Charles de Foucauld (il 15 maggio come per il Beato Palazzolo), la famiglia spirituale che si ispira al “fratello universale” vive oggi un’altra grande gioia: tra i decreti della Congregazione per le Cause dei santi approvati dal Papa di cui è stata data la notizia c’è anche quello sulle virtù eroiche di piccola sorella Magdeleine di Gesù – al secolo Magdeleine Hutin – la fondatrice della Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù. Con il riconoscimento delle virtù eroiche per la Chiesa diviene venerabile, la prima tappa verso la beatificazione. Nata a Parigi nel1898, si tratta di un’altra figura che ha avuto un’importanza grandissima nella spiritualità e nel ripensamento della vita religiosa durante la seconda metà del Novecento. Nel 1921 venne folgorata dalla scoperta della figura di Charles de Foucauld, leggendo la celebre biografia scritta su di lui dallo scrittore René Bazin. Desiderava anche lei una vita centrata su Gesù e vissuta come Gesù a Nazaret. Nel 1939 approda a Touggourt,

nel cuore del Sahara, dove in mezzo ai touareg dà vita alla Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù. Poco a poco piccola sorella Magdeleine capisce, però, che la vocazione di questo segno dello Spirito non è solo il Sahara e le sue popolazioni nomadi. Così nel 1946 la Fraternità si apre. Arriva a Kabul dove le Piccole sorelle vivranno per sessant’anni (fino al 2017) anche qui “afghane fra gli afghani”. Piccola sorella Magdeleine è stata la donna di ogni periferia del mondo. Diceva: «Non sono mai così vicina a Dio come quando mi trovo per strada». A Roma

quest’attenzione si è incarna nella condivisione della vita tra la gente delle borgate; ma anche nello stare tra i giostrai del Luna Park: tuttora al Parcolido di Ostia le Piccole sorelle hanno la loro roulotte. A Roma ha trovato sede anche la Fraternità generale delle Piccole sorelle alle Tre Fontane: proprio qui il 6 novembre 1989 madre Magdeleine morì all’età di 91 anni. «Prima di essere religiosa sii umana e cristiana in tutta la forza e la bellezza di questa parola», ha lasciato scritto alle sue suore. (da Mondo e missione)

NOTIZIA DELL’ULTIMA ORA

Festa grande per la Diocesi di Bergamo Dal Vaticano hanno comunicato che il B. Luigi Maria Palazzolo verrà canonizzato e ufficialmente proclamato Santo DOMENICA 15 MAGGIO 2022 La nostra Comunità parrocchiale si unisce alla gioia delle Suore delle Poverelle e ringrazia il Signore per questo nuovo Santo della nostra Terra Bergamasca.


EDUCAZIONE

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PENSANDO ALLA MORTE… A proposito della funzione catartica della morte, vale a dire della sua funzione di “filtro” utile a selezionare ciò che è davvero importante da ciò che non lo è, il Gesuita Álvaro Lobo Arranz, in un recente articolo apparso sulla Civiltà Cattolica (Quaderno 4097, 4 Marzo 20219) scrive: «Affacciarci sulla fine della nostra vita ci interpella su come vogliamo vivere, e ci fa distinguere meglio ciò che è profondo da ciò che è superficiale, ciò che conta da ciò che è accessorio. Ragionava così sant’Ignazio di Loyola, quando negli Esercizi spirituali invitava l’esercitante a contemplare il suo ultimo giorno di vita, e a chiedersi come avrebbe desiderato comportarsi. Il premio Nobel francese Albert Camus ha detto che «è quando scende la notte che si medita». Questo tempo di oscurità personale e comunitaria, nel quale abbiamo percepito con dolore i nostri limiti, va accompagnato con una riflessione capace di aiutarci a vivere assumendo maggiormente la prospettiva di Dio e a discernere che cosa è importante nella nostra vita e come vogliamo davvero trascorrerla». A volte, pensando alle morti di alcuni coetanei e a quelle dei miei cari, penso anche alla mia morte. La citazione di Álvaro Lobo Arranz relativa agli Esercizi di sant’Ignazio mi ha colpito; seguirò anch’io questa indicazione. Mi augurerei di poter vivere l’avvicinarsi della morte lucidamente, di poterla accogliere con serenità, come si dice in questi casi “circondato dall’affetto dei familiari”. Non mi piacerebbe morire da solo, in fretta, senza avere consapevolezza di me, in un luogo anonimo... Mi dispiacerebbe morire senza avere avuto il tempo di rendermene conto, di congedarmi dai miei e dalla vita, di fare le cose bene; se non come il convitato sazio di oraziana memoria, almeno come uno che “esce di scena” con discrezione ma con la consapevolezza di non aver vissuto invano. Non mi spaventa il dover soffrire, anche se forse lo dico ora che sto bene e che non aspetto di morire a momenti, non vedo avvicinarsi la morte a grandi

passi ma la percepisco ancora lontana. Mi piacerebbe potermi spegnere lentamente, conversando con mia moglie che mi assiste al capezzale, tenendomi la mano e benedicendomi sulla fronte; parlando di come ci siamo voluti bene, ricordandoci dei momenti felici che abbiamo trascorso insieme, dei figli e delle loro famiglie, delle gioie che il Buon Dio ci ha regalato. Ma anche, se ci fosse il tempo, parlare del senso della vita e della morte, della poesia e della bellezza di cui abbiamo potuto godere… Ma non possiamo sapere quando e in quali circostanze affronteremo il trapasso, né se la nostra sarà una “bella morte”, Dio solo lo sa. Vedremo. Sempre ammesso di avere la lucidità, la coscienza necessaria per rendercene conto. Per questo sant’Ignazio di Loyola, nei suoi Esercizi, raccomanda all’esercitante di contemplare il suo ultimo giorno di vita e di chiedersi come avrebbe desiderato comportarsi. Contemplando il mio ultimo giorno vorrei che ci fosse anche un po’ di tempo per un esame di coscienza, per chiedere perdono per il male che ho commesso, a volte senza volerlo, per morire in pace. Mi piacerebbe magari ascoltare della buona musica, quella che mi mette i brividi e mi commuove; ma mi ci vorrebbe del tempo in più per scegliere il brano giusto, regolare il volume, seguire le parole. E perché non leggere anche qualche ultimo verso, qualche ultima riga? Sarebbe bello andarsene dopo aver gustato ancora una volta qualche terzina della Commedia, o una pagina dei Promessi sposi; o magari anche della Bibbia e dei Vangeli… Insomma avrei bisogno di troppo tempo per fare tutte queste cose e temo che la morte, quando verrà, non sia disposta a lasciarmene molto. Tutte queste cose però posso continuare a farle adesso che sono ancora vivo, prima che sia troppo tardi. E allora…È proprio vero quello che dicevano gli antichi: si muore ogni giorno e vivere è prepararsi a morire. Enzo Noris

Novembre 2021


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ESPERIENZE EDUCATIVE

L’auto-educazione, il segreto di un Capo Scout “Ricordati che nel lasciare la scuola non hai ricevuto un’educazione completa per divenire uomo. Più che altro ti è stato indicato come imparare. Se vuoi riuscire nella vita, devi ora completare tu stesso la tua formazione.” Così scriveva Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo, in La strada verso il successo, scritto per i giovani Rover. Durante l’intero percorso formativo proposto dal metodo Scout il ragazzo è il protagonista della propria crescita e ne viene reso via via maggiormente responsabile. Questo riconoscimento del ruolo centrale del ragazzo all’interno della propria educazione prende appunto il nome di “autoeducazione”. Essa si sviluppa seguendo l’età evolutiva del ragazzo e le crescenti responsabilità che il ragazzo assume verso di sé e verso i suoi fratelli, ma prende forma tangibile nel metodo della Branca Rover, dove caratterizza ogni attività, cerimonia, relazione e decisione che il ragazzo vive all’interno del Clan. Qui il Capo Clan, con intenzionalità educativa, fornisce mezzi e occasioni di scelta in un clima di reciproca fiducia e di serena testimonianza volto ad evitare ogni imposizione esterna. Ma cosa significa auto-educazione? Di certo non si tratta di uno scivolone relativista per cui il ragazzo, abbandonato al proprio desiderio, debba semplicemente scegliere da sé ciò che più gli possa sembrare utile. Al contrario, l’auto-educazione prevede un costante sostegno da parte

del Capo e della Comunità dei coetanei, che portano il ragazzo ad una graduale consapevolezza di sé, dei suoi limiti, dei suoi talenti e delle sue debolezze, e lo spingono a lavorare da sé sulla propria crescita, decidendo dove poggiare il remo, quali onde cavalcare e quali invece evitare, non per il proprio piacere, ma per il bene di sé e della sua comunità (di Clan, familiare, civile…). I passaggi che aiutano il ragazzo a sviluppare la propria autoeducazione possono essere riassunti nei seguenti tre: - Percepire la necessità di crescita e formazione personale (con l’aiuto del Clan, ogni ragazzo deve capire che nessun bene si ottiene “aspettando”); - Prendersi tempo e quiete per capire di cosa si ha bisogno (momenti di silenzio e pausa dalle attività, utili a fare il punto sulla propria situazione, e successivamente sulla direzione che si vuole dare alla propria canoa);

- Impegno nel prendere e perseguire decisioni proprie (è necessario che il ragazzo sappia dare costanza e concretezza alle proprie decisioni, per poter osservare e gioire dei risultati ottenuti nella propria vita e in quella della sua Comunità). Il culmine di questo percorso si ha nel momento della Partenza, la cerimonia che conclude il cammino nei Rover. Lì il ragazzo decide di divenire un uomo pienamente responsabile di sé ed esempio per gli altri, ma non solo: un Uomo della Partenza sa riconoscere, dopo averla vissuta in Clan, l’importanza di una costante formazione, e lui per primo si muove per cercare nuove arricchenti fonti che per confermare e rendere ragione delle proprie scelte, poiché dice B.P. che “successo e fallimento dipendono in gran parte dai tuoi sforzi personali. Coloro che utilizzano ciò che hanno appreso per proseguire nella propria educazione sono coloro i quali vanno avanti.” Volpe Tranquilla


VITA PARROCCHIALE Alcune immagini del pellegrinaggio parrocchiale dello scorso 24 ottobre al alla chiesa di san Giorgio ad Almenno San Salvatore. Una bellissima giornata di sole ha accompagnato gli oltre sessanta nostri parrocchiani, giunti con ogni mezzo, anche a piedi e in bicicletta, per affidare al Signore il nuovo Anno Pastorale della nostra comunità.

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VITA PARROCCHIALE

Bilancio economico chiesa di S. Anna Cari amici, rieccoci per presentare la relazione/bilancio circa l’impegno alla manutenzione ordinaria e utilizzo della chiesa di sant’Anna. Un impegno questo che ci ha lasciato in eredità Bruno - quasi sette anni fa - di mantenere in ordine e aperta ai fedeli e a tutti la chiesa per la quale si è volentieri e per tanti anni dedicato. Approfittando della posizione centrale in paese e della facile accessibilità dovuta anche alla mancanza di barriere architettoniche, la chiesa di sant’Anna vive la presenza di tante persone che ogni giorno la frequentano, per una preghiera, per un saluto. Altri momenti straordinari di utilizzo sono il “Cammino di preghiera per la comunità”, la processione della Domenica delle Palme, la veglia notturna nella notte tra il giovedì e il venerdì Santo, la processione dei Comunicandi, la veglia dei Cresimandi, alcuni concerti e mostre, alcuni banchetti di solidarietà, USCITE le visite guidate, la Santa Messa serale nei giovedì estivi e do- 10.06.2020 acquisto lumini elettrici € 20,00 menicale a conclusione delle uscite scout, le recenti “Giornate - 15.07.2020 fiori per festa Madonna del Carmine € 20,00 Fai d’autunno”... - 01.10.2020 per opere parrocchiali € 4.000,00 In questi ultimi due anni segnati dalla pandemia non tutte queste occasioni d’incontro sono state possibili, tuttavia sant’Anna - 01.10.2020 offerte nelle Ss. Messe estive (destinate a opere parrocchiali) € 475,00 è sembre rimasta aperta. All’esterno della chiesa, sul portale d’accesso rimasto sempre aperto, anzi spalancato, anche nei - 10.12.2020 acquisto lumini € 278,00 giorni più bui, come segno di speranza questa scritta ha ac- 10.09.2021 per opere parrocchiali € 4.000,00 compagnato quel tempo: «Passerà questo lungo e doloroso - 10.09.2021 offerte nelle Ss. Messe estive Venerdì Santo. Poi sarà Pasqua!». Sì, è passato quel tempo, (destinate a opere parrocchiali) € 550,00 ma il ricordo di quell’angoscia mista a impotenza, quel dolore Totale uscite € 9.343,00 per la scomparsa di tanti compagni di viaggio, quelle lacrime che si sono fatte preghiera, hanno lasciato un grande vuoto ENTRATE che in qualche forma si continua a cercare di colmare. Ricor- Somma disponibile al 30 settembre 2019 € 316,54 diamo con riconoscenza e nella preghera i volontari che il covid si è portato via: Nicoletto Santinelli, Angelo Fogaccia, - Offerte da accensione lumini e per libri, quadretti, crocifissi, corone rosario, icone, ecc. € 8.570,24 Mario Piazzini e Giambattista Carrara. - Estate 2020: offerte Messa in memoria di Ciarli (50) Da qualche anno ormai la chiesa ospita la camera ardente e Ss. Messe estive (475) € 525,00 di molti nostri cari defunti (17 nel periodo di cui alla presente comunicazione), un’opera di misericordia che è vicinanza e - Offerta per utilizzo chiesa per concerto € 50,00 accompagnamento nei dolorosi giorni del distacco. - Offerte NN € 119,00 Visto che attualmente la chiesa di sant’Anna e le sue pertinen- Estate 2021: offerte Messa in memoria di Ciarli (50) ze, necessitano della sola ordinaria manutenzione e tenuta in e Ss. Messe estive (550) € 600,00 ordine, noterete dal resoconto economico che stiamo conti- Natale 2021: offerte Presepio € 237,00 nuando, per quanto possibile, a sostenere anche altre neces- Natale 2021: offerta per utilizzo energia elettrica € 30,00 sità della parrocchia. - Offerte NN € 85,16 Un grazie alle persone che si prestano e collaborano con - Offerte libere in memoria di alcuni tra i defunti impegno e generosità al mantenimento della chiesa e al suo accolti nella chiesa di S. Anna € 1.400,00 utilizzo: per le pulizie, per i fiori, per il mantenimento in ordine Totale entrate € 11.932,94 degli altari, per chi lava e stira le tovaglie, a quanti offrono il loro aiuto nelle piccole e grandi occasioni e a chi apre e chiude A dedurre uscite € 9.343,00 la chiesa affinché resti aperta ogni giorno il più possibile, soli Somma disponibile al 30 settembre 2021 € 2.589,94 tamente dalle 7.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.00. Grazie a tutti


VITA PARROCCHIALE

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«I SALMI: per vivere con Dio le gioie e il pianto»

È iniziato il corso biblico con padre Fernando Armellini Il cuore dell’uomo, anche quello più distratto e superbo, quando incontra il dolore alza gli occhi al cielo, quasi sentendolo come la sua vera casa, esperienza che molti avranno sperimentato nel recente tempo di prova che abbiamo vissuto. Almeno 36 Salmi sono testi di supplica e molti sono composizioni miste con altri temi, e non manca la gioia. «I Salmi: per vivere con Dio le gioie e il pianto» è il titolo scelto quest’anno dal biblista Fernando Armellini, curatore e guida dell’annuale corso di cultura biblica che ha preso il via mercoledì 27 ottobre ad Albino. Il corso è aperto a tutti e in particolare alle realtà parrocchiali che operano nei territori della valle Seriana, quindi catechisti, operatori pastorali, educatori, ma anche chiunque voglia approfondire la conoscenza della Bibbia. Padre Fernando Armellini è un biblista di fama internazionale, esperto conoscitore dei Vangeli, degli Atti degli Apostoli e dei Salmi. Ha conseguito la licenza in Teologia alla Pontificia Università Urbaniana e in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico di Roma; ha perfezionato gli studi di storia, archeologia biblica e lingua ebraica all’Università di Gerusalemme; per alcuni anni è stato missionario in Mozambico. Attualmente insegna Sacra Scrittura ed è accreditato conferenziere in Italia e all’estero, nonché autore di commenti alle Sacre Scritture. Sono 10 gli incontri in programma, sempre di mercoledì dalle 20.30 alle 21.30, dal 27 ottobre 2021 al 9 febbraio 2022, come da calendario pubblicato in questa pagina. Nel completo rispetto delle regole anticovid, quest’anno il corso torna nel Nuovo CineTeatro di piazza San Giuliano, sua sede tradizionale.

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VITA PARROCCHIALE

Dal centro dell’Africa Ci scrive il più giovane… dei missionari albinesi Bujumbura (Burundi), 8 ottobre 2021 Sono al 50° anno del mio sacerdozio (vecchio scarpone quanto tempo è passato…); ecco alcuni ricordi di questi anni vissuti nel Regno di Cristo nella Missio ad gentes. Innanzitutto devo la mia vocazione al Signore e alla mia famiglia, alla parrocchia, all’oratorio e ai tanti sacerdoti che si sono susseguiti in parrocchia dalla mia infanzia. Avevo 15 anni, frequentavo la colonia estiva all’oratorio iniziata da don Pierino, curato dei giovani. Un giorno mi sono chiesto e ho chiesto al mio amico Luciano (Mologni, n.d.r.): «Cosa facciamo qui tutti i giorni uguali: strade, scuola, sport, perché non diventiamo missionari? Già il Signore mi attirava a Lui alla messa e alla visita al Santissimo. Luciano prese subito contatto con un Padre del PIME, io più timido aspettavo a dirlo ai miei genitori, finché la cosa esplose e fu don Pierino a farmi conoscere i Missionari Saveriani: egli era amico e vicino di casa a Colognola di P. Fasolini. Partii il 5 ottobre 1960 a 16 anni verso la casa delle vocazioni adulte a Nizza Monferrato (Asti); ero tra i più giovani, era l’inizio di un cammino che mi portava lontano. I primi missionari che incontrai come superiori erano padri reduci dalla Cina, espulsi dal regime di Mao, sempre pieni di ricordi di gioie e di dolori vissuti in quella amata Cina. Cominciarono i viaggi fra una comunità e l’altra nelle varie case d’Italia, fondate da mons. Conforti, vescovo di Parma, ora canonizzato grazie anche a due miracoli, uno in Burundi ed uno in Brasile. Le tappe: Piacenza, Nizza Monferrato per il noviziato e i primi voti, liceo Tavernerio; per teologia Parma; l’ordinazione sacerdotale a Parma il 26 settembre 1971, eravamo in 13 fratelli. Ricordo che negli anni di studi di liceo e teologia frequentavo alcune parrocchie per dare il catechismo ai ragazzi e per la presenza alla liturgia domenicale. Ordinato prete, passai i primi 7 anni nel nostro piccolo seminario di Alzano Lombardo come assistente e insegnante di religione, geografia etc. e poi con l’incarico di promotore della vocazione missionaria fra i ragazzi della diocesi di Bergamo con visite alle famiglie e ai campi estivi nelle vacanze. Venne il tempo di Parigi per lo studio della lingua e poi partenza per il Burundi con altri confratelli e sorelle missionarie dirette in Burundi o in Congo. Prima missione, dopo un periodo di studio della lingua e dei costumi del paese, fu a Buteza, missione ai confini col Congo e Ruanda sulle montagne a nord del Paese. Ricordo chilometri ed ore a piedi per raggiungere le cappelle succursali fra le montagne; qualcuno ci offriva birra di banane. Restavamo nei villaggi 3-4 giorni, amministrando battesimi, confessioni, facendo visite ai malati, istruzioni, ritiri; si dormiva in sacrestia e con un po’ di cibo portato dai cristiani o dai chierichetti che mi avevano accompagnato. Durante questo periodo di safari, un vecchio catechista, Barnaba, mi accompagnava su e giù per i sentieri per la visita ai malati; io viaggiavo con un po’ di acqua e con il Santissimo

Giovanni Carrara (al centro), capitano della squadra “Rondinelle”, voluta da don Pierino Corvo: Giovanni Carrara Albertì, Giuliano Baleri, Giovanni Carrara Bossi, Umberto Minelli, Pierino Azzola, Franco Birolini, Angelo Persico.

nello zaino. Qualche vecchietto, invece dell’Eucarestia, mi chiedeva se avessi portato il tabacco da fumare e masticare; imparai così che cosa era bene portare ai malati specie se vecchi (lo promettevo per la volta seguente). Dal 1980 all’87 ci fu un periodo difficile per la Chiesa in Burundi: cominciarono ad attuarsi leggi che impedivano gli incontri settimanali, bisognava rimuovere le croci dalle strade, dalle montagne, non suonare le campane; ci fu anche chi fu messo in prigione o espulso dal Paese. Nel 1987 ci fu un’espulsione quasi generale di missionari e religiosi stranieri; anch’io, con molti miei confratelli, fui costretto a partire. Ma pochi mesi dopo ebbi il glorioso dono di poter ripartire per le nuove missioni aperte in Cameroun. Fui in una nuova comunità alla periferia di Duala in quartieri di baracche a fianco dell’Oceano, caldo umido giorno e notte. Ma era bello: avevamo formato tante piccole Comunità ecclesiali di base nei vari quartieri. Là si pregava sulla Parola di Dio, si sceglievano gli incaricati dei poveri, malati, bisognosi vari. Io mi dilettai nel prendermi a capo della catechesi degli adulti che volevano ricevere il Battesimo e re-


ALTRI MONDI Padre Giovanni Carrara (a sinistra del presidente), l’8 settembre scorso, all’eucaristia del settimo anniversario del martirio delle suore missionarie saveriane, Olga, Lucia e Bernadetta.

Padre Giovanni, con il prevosto don Antonio Milesi, alla sua prima Messa ad Albino, il 3 ottobre 1971.

golare la loro vita; mi preoccupavo anche della formazione dei catechisti, fornendo loro anche libri: Bibbia, Vangeli, commentari, catechismi, etc. Nel 1993 vengo richiamato in Italia per alternarmi nelle nostre comunità di animazione missionaria-vocazionale nelle giornate missionarie. Fui a Taranto, 4 anni, 3 ancora ad Alzano Lombardo. Nel frattempo in Burundi avevano ucciso tre missionari saveriani. Nel 2000 potei ritornare in Burundi: il governo era cambiato e i partiti politici avevano lasciato il posto ad altri (comunque vince sempre il più forte e ha sempre ragione).

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Nel 2005 decidemmo di aprire alle vocazioni missionarie locali; io fui nel primo gruppo di 3 padri incaricati di ciò. Da allora vari giovani sono partiti verso noviziati di teologia in Burundi e in altre parti del mondo. Ora mi trovo nella Casa Regionale, luogo di incontro dei Saveriani di Burundi e Congo, luogo di accoglienza per missionari che partono o arrivano e anche luogo di iniziazione per i nuovi missionari che arrivano. Mi trovo attualmente con 2 confratelli, uno indonesiano, uno congolese. Collaboro con la nostra casa di formazione filosofica, per la direzione spirituale; aiuto nella pastorale della nostra parrocchia il sabato e la domenica per messe, confessioni e ritiri. In questa comunità si è anche avuta la prova del martirio di tre suore saveriane nel 2014. Ora nella mia prima celebrazione di 50 anni di sacerdozio, nella mia giovinezza…, 77 anni, ringrazio il Signore di tutto il bene che mi ha voluto, chiedo perdono delle mie debolezze e chiedo aiuto e preghiere per me e per chi vive con me, in questa terra amata dal Signore. Vostro Giovanni

Diventiamo prossimo Continua l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata

mensilmente per il periodo indicato

 Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità

in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite il nuovo IBAN attivo dal 22 febbraio 2021

IBAN: IT20 L0538 75248 00000 4260 6856 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO

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ORATORIO

Il teatro dell’oratorio Una fotografia inedita permette di ricordare una delle tantissime rappresentazioni teatrali dell’oratorio di Albino, la cui tradizione di teatro educativo, aspetta di essere rinverdita dopo la pausa in atto. L’opera teatrale rappresentata l’8 dicembre 1951, giorno in cui tradizionalmente, prima della recita, il direttore dell’oratorio don Domenico Gianati faceva il punto con la comunità parrocchiale sulla vita dell’oratorio (e sarà l’8 dicembre del 1958, come ricorda la lapide in piazza S. Giuliano, in cui dedicherà il nostro oratorio a Giovanni XXIII, avendo nel papa, già dopo pochi mesi, colto quell’ispirazione evangelica che ora è visibile in Papa Francesco), non è delle più im-

portanti nella storia della Filodrammatica don Cristoforo Rossi, il primo direttore che sviluppò il teatro oratoriano. Tuttavia l’opera è ben documentata, oltre che da questa fotografia, nel volume Ludendo docet, frutto del lunghissimo, appassionato e competente lavoro storico di Graziella Dolli Cuminetti. Il volume citato tratta della rappresentazione teatrale dell’8 dicembre 1951 in due pagine, la 329 e la 373. La prima fa una recensione dell’opera, la seconda, contenuta nella “teatografia” dei testi teatrali rappresentati dal 1918 al 1958, elenca gli attori di quella rappresentazione. Non tutti gli elencati sono presenti in questa fotografia, ma quelli ritratti sono figure importanti della filodrammatica dell’oratorio: da sinistra in piedi Francesco Minelli, Valoncini, non identificato, Zaccaria Facci, Ernesto Noris, Giuseppe Buttinoni, Mario Benedetti, Carlo Benedetti, Franco Benedetti, dietro, Camillo Nespoli, in ginocchio, Piero Birolini, Umberto Ceruti, Aurelio Acerbis, Ilario Moroni.

Il gruppo Talìa nella sua ultima rappresentazione prima della pandemia


NON SOLO MEMORIA

AIUTI IN BOSNIA - L’APPELLO DI TINO

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Il Covid non ha sconfitto il grande cuore e la generosità

La copertina del volume Ludendo docet, frutto del lunghissimo, appassionato e competente lavoro storico di Graziella Dolli Cuminetti.

Dell’importanza di alcuni dei citati nella storia della filodrammatica dell’oratorio di Albino dà ampiamente conto il volume Ludendo docet, appunto “Divertendo insegna” (scritta che, fino al dopoguerra, campeggiava sopra il proscenio del teatro realizzato da don Cristoforo Rossi). Le figure minori di giovani presenti in questa e in altre occasioni testimoniano l’importanza data al teatro nel progetto educativo dell’oratorio. Per quanto riguarda il testo teatrale rappresentato l’8 dicembrre 1951 Graziella Dolli Cuminetti così scrive: «Fu scelta l’opera di Primo Piovesan, Santità, rievocazione della figura del papa Pio X che era stato beatificato proprio il 3 giugno 1951. Ad Albino ne fu protagonista il Facci “che ha saputo ed ha avuto modo, grazie alla varietà degli episodi, di offrire al pubblico, completo e approfondito il temperamento ed i tratti umili e comprensivi ma fermi e risoluti, di Pio X”». Si ricordi che questo amplissimo libro (nelle 25 pagine dell’indice dei nomi sono indicati tantissimi albinesi nella loro gioventù) è ancora disponibile all’acquisto presso la biblioteca civica.

Anche il nostro gruppo di aiuti, non si è mai fermato, un progetto che sta particolarmente a cuore dell’associazione alle quale faccio parte è: “voglio restare in famiglia: aiutami a non andare in orfanotrofio”. Questo progetto riguarda i bambini e i ragazzi che vivono in famiglia, ma che a causa delle condizioni di povertà e degrado della famiglia stessa, rischiano di essere inseriti in orfanotrofio. Si sa che l’amore e il cuore dei genitori non ha uguali. Pertanto il progetto vuole creare dei veri rapporti di sostegno, sia economico che psicologico ed affettivo. In tal modo aiutiamo la famiglia nelle primarie necessità. Così i bambini possono ricevere il calore e l’amore dell’ambiente famigliare, invece che essere catapultati in un orfanotrofio, dove purtroppo tanti bimbi vivono in situazioni piuttosto disperate, perchè le persone che li gestiscono, nonostante i numerosi sforzi, sono aiutati solo dai volontari delle varie associazioni, come la nostra. Il Covid ci ha messo del suo e non potendo andare personalmente in Bosnia, siamo riusciti a garantire gli aiuti alimentari e di altri generi di prima necessità, attraverso l’aiuto di volontari Bosniaci che ci hanno aiutato con i loro camion. Per fortuna ora riparte la carovana della solidarietà. Tanti sono i viaggi che ho fatto, ultimamente anche con mia figlia Simona e la sua famiglia e nella mia esperienza ho ricevuto molto di più di quello che ho effettivamente donato. Il sorriso di un bimbo, il viso disteso di un ammalato, di un anziano, ha un valore che va al di là di tutto e dona una felicità immensa, che non si può comprare. L’associazione Fabio-vita nel mondo onlus, organizza da una decina d’anni un soggiorno-vacanza estivo di 15 giorni al mare a Cavi di Lavagna, in provincia di Genova, per circa 40 bambini residenti in uno degli orfanotrofi della Bosnia con i quali l’associazione collabora. Gli obiettivi che ci prefiggiamo si traducono nella possibilità di far soggiornare, divertendosi questi bimbi al mare, beneficiando cosi del sole e del mare stesso, di effettuare visite sanitarie specialistiche per i bimbi che ne hanno bisogno, di effettuare uno screening pediatrico completo. Da due anni a questa parte, a causa del Covid, non abbiamo potuto portare i bimbi al mare, ma abbiamo fatto visitare e curare i bimbi più ammalati, sempre a nostre spese (in quanto la Bosnia non fa parte della Comunità Europea e le costosissime cure sono a pagamento), presso l’Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova, dove c’è fra l’altro sempre qualche brava persona, che ci aiuta. Per esempio, poco tempo fa, un bambino con gravi problemi al cuore, è stato operato da un professore del Gaslini, che capendo le problematiche finanziarie del nostro gruppo, lo ha operato gratuitamente e ci ha detto queste parole: “voi occupatevi del bambino quando sarà uscito, in ospedale penso tutto io”. Se non è amore è provvidenza... scegliete voi. L’aiuto della cara Mamma del cielo, la Madonna di Medjugorje, non ci abbandona mai, ci prende per mano e ci aiuta a camminare insieme ai più poveri, ai più ammalati, ai più bisognosi e ci ricambia con la vera felicià, la serenità del cuore. Io parto il 10 novembre, se mi vuoi aiutare… Grazie e un abbraccio

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ORATORIO

Castagnata 2021 Finalmente domenica 17 ottobre siamo tornati a vivere insieme un attesissimo appuntamento dell’autunno: la castagnata in oratorio. Ci siamo goduti una splendida giornata di sole e di caldarroste allietata anche dalla presenza e dai brani del Complesso Bandistico di Albino e così ne è venuto fuori un bellissimo pomeriggio di festa in oratorio. In più la coincidenza con la giornata del FAI ha permesso anche ai tanti visitatori di sgranocchiare le nostre caldarroste tra un’opera del Moroni e l’altra. Di nuovo “grazie” a tutti i volontari e a tutti noi: anche in questa occasione abbiamo sperimentato l’oratorio come casa della comunità!

Adolescenti 2021-2022 Lunedì 11 ottobre, festa di san Giovanni XXIII, ci siamo trovati con gli adolescenti per presentare il cammino di quest’anno: cateAdo, volontariato, sabAdo e le prime idee per il campo invernale. A regalarci il colore è Eduardo Kobra con il suo David multicolor realizzato nella Cava Venedretta a Carrara. Nel prossimo numero un primo racconto di questa partenza 2021-2022.


ORATORIO

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Maestro dove abiti?

Catechesi dell’iniziazione cristiana 2021-2022 La domanda è di una disarmante semplicità. È bella nel suo essere diretta al punto. Tre parole incancellabili. Le primissime balbettate agli esordi di quella storia di sequela. E come tutte le partenze sono stampate nel cuore della loro vita. “Erano le tre del pomeriggio e passarono il pomeriggio con lui. Ma poi -non so se già da quel pomeriggio, ma sempre più nello scorrere dei giorni- capirono che quel loro Rabbi aveva anche un’altra dimora. Perché sì, è importante dove abiti fisicamente, ma è anche importante dove abiti con il cuore. E non sempre le cose coincidono. Dove abitava col cuore quel loro maestro?” [Angelo Casati] Forse l’esperienza del cristiano (e dell’uomo quindi) è proprio quella di entrare sempre più nel senso di questo abitare a partire

dalla propria casa (noi che di case ne abitiamo tante: quella di origine, la nostra attuale, la chiesa, l’oratorio, il campo da calcio o la palestra, il luogo di lavoro, la scuola, la montagna… solo per dire le prime che vengono in mente). E insieme a quella dell’abitare fisicamente ci sostiene sempre anche quella del luogo dove abita il cuore. Il Signore Gesù questa cosa la sa benissimo. “Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” riporta Matteo nel suo Vangelo (Mt 6). Il Maestro lo dice dopo aver consegnato ai suoi quella preghiera enorme che è il Padre Nostro. Che se la pronunci al rallentatore (e non la macini tra i denti) ogni volta ti riporta a quella dimensione di figlio che è poi la tua posizione nella vita: un figlio, una figlia, che cerca dove porre la propria vicenda perché la vita sia piena di gioia. Quella pagina che sta all’inizio del

Vangelo di Giovanni alla domanda sulla dimora fa seguire alcuni piccoli squarci che dicono tanto della vicenda del credente: il fatto che i discepoli siano due e che di uno non conosciamo il nome diventa quasi un invito a metterci il proprio di nome. E così il Vangelo fin dall’inizio ti colloca lì su una strada e in una casa, dentro una vicenda di vita che offre la possibilità di una breve sosta di incontro tra volti. Per comprendere, per amare, per ascoltare, occorre fermarsi. Per incontrare e lasciarsi incontrare occorre fermarsi. Mi piace pensare la catechesi un po’ così: ci si incontra sulla strada della vita, si cammina insieme, ci viene offerta la possibilità di sostare insieme attorno alla Parola e al volto del Maestro insieme ad alcuni amici che mettono a disposizione la propria passione per il Signore, dentro una casa aperta perché ci si possa fermare insieme. “Andarono e videro” è detto. E poi partirono. Che sia così anche questo nuovo anno di catechesi appena iniziato. E che possa permetterci di incontrarci e di farci incontrare, carichi del desiderio di esplorare sempre più quella domanda così semplice e fanciulla: “Maestro dove abiti?”. Buon cammino!

Illustrazione di Ana Aragão (architetto e artista portoghese)


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VITA PARROCCHIALE VITA DI GIOVANNI ACERBIS

Falegname di paese Nato il 7 novembre 1890 e morto l’1 giugno 1970 è vissuto quasi 80 anni. Il salmo 89 dice: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica e delusione”. Eppure Giovanni Acerbis non appariva nel fisico e nel temperamento dei più forti, tanto che nel paese di Albino lo chiamavano Gioanì. Nato a metà di quella che oggi è via Matteotti, frequentò solo due anni di scuole elementari site nell’edificio di piazza S. Giuliano e presto diede una mano a realizzare zoccoli, la calzatura comune di allora. Divenne un povero falegname autodidatta; il suo primo lavoro autonomo, raccontava, fu una cosiddetta “moscarola”, un contenitore per formaggi e salumi, in assenza di frigoriferi, aerato con una rete a difesa delle mosche; il secondo la finestra di una casa. Anche il suo matrimonio con Maria Magoni, nel 1919, disse il figlio, mons. Elia, a L’Eco di Bergamo del 28 settembre 2014, “aveva destato un po’ di stupore e disappunto per la diversa estrazione sociale delle due famiglie: Maria proveniva da una famiglia benestante mentre Giovanni era operaio di modeste origini”. Potè aprire una nuova bottega e abitò in una casa, che era stata del suocero, proprietario di una macelleria, di un ristorante e un albergo al centro del paese. Nella famiglia di Maria e Giovanni, qui era chiamato Gioan, nacquero i suoi figli che sopravvissero; un Elia e una Eliana morirono presto: nel 1921 Vittoria Ferdinanda, nel 1923 Antonia, chiamata Antonietta, nel 1925 Teresa Luigia, nel 1929 Elia, nel 1933 Aurelio, nel 1937 Angela chiamata Lina. Il lavoro del Gioanì diede loro da vivere, anche grazie alla moglie Maria che teneva i conti che Giovanni non si decideva mai a fare, intento solo a far bene il suo lavoro; lei faceva anche negozio di tessuti. Giovanni in una fase iniziale non aveva molte macchine; le andò costruendo con l’aiuto, per le parti meccaniche, del fabbro orologiaio Giovanni Casari, suo

Giovanni Acerbis alla destra di alcuni suoi operai e di familiari, fra cui, in primo piano la moglie Maria Magoni.

vicino di casa: sega circolare, cavatrice, sega a nastro, pialla a filo e spessore, scorniciatrice, affilatrice, tornio, traforo, tutte mosse da un solo motore che muoveva un solo albero, largo quanto tutto il locale; vi si poteva collegare, sempre con cinghie e ruote fisse o mobili, anche un piccolo mulino per macinare frumento, granoturco o riso per la cucina della moglie. Le figlie, presto impararono lavori femminili come quelli a maglia, ricami, anche in Svizzera. Il primo figlio maschio, Elia, potè continuare negli studi, il secondo, Aurelio, dopo le medie fu avviato al lavoro del padre. I falegnami ad Albino, dopo la Grande Guerra, erano diversi, con differenti specializzazioni, ancora zoccolai, altri carradori, altri falegnami tuttofare per l’arredamento delle case: credenze, tavoli, sedie, finestre, porte; in paese anche casse da morto. In documenti dell’archivio comunale, nel 1931 Giovanni Acerbis è registrato senza dipendenti; altri falegnami sono Luigi Acerbis, Modesto Carrara, Luigi Carrara, Nino Facchinetti, Pietro Selvinelli, Luigi Dentella, Battista e Giovanni

Pulcini, intagliatori, come Emilio Carrara; zoccolai: Luigi Nespoli, il Bigio Galì, sagrista, che fu modello per Libio Milanese, Battista Cortinovis, Pietro Birolini, Leone Carrara. Dopo l’avvento del fascismo, Giovanni, che non aveva la tessera del partito, iscritto all’Azione Cattolica, associazione che aveva soppiantato le congregazioni, con la quale il papa Pio XI cercava di salvare uomini, donne, giovani, dal totalitarismo fascista, perse tutte le commesse comunali; lavorò per riparazioni in parrocchia, ai Cappuccini, al convento di S. Anna, non alla Scuola apostolica dei “Preti francesi”. Giovanni ricordava con autostima quella volta che andò alla Casa del fascio a liberare suo figlio Elia che era stato ristretto per non aver partecipato al sabato fascista. Al piantone di turno, un albinese ben conosciuto ovviamente, disse “Mio figlio lo comando io” ed Elia non ebbe mai la divisa dei Balilla, con cui il regime cominciava a irregimentare la gioventù. Questo difficile rapporto con il fascismo, nel 1941, non impedì a Giovanni Acer-


STORIE bis di accettare, unico fra i falegnami albinesi, un’iniziativa scolastica volta a far apprendere il mestiere di falegname agli alunni delle classi quinte delle scuole elementari, che erano state spostate, all’inizio degli anni ‘20 nel piazzale antistante la sua casa, prima mons. Camillo Carrara, poi dal 1939 piazza Moroni, con tanto di statua del pittore al centro, anche se con fisionomie inventate. Dopo le 33 lezioni di un maestro falegname, che quasi non parlava e non minacciava a bacchetta, il direttore didattico Alfredo Cesaroni scrisse che gli alunni si erano “molto interessati al lavoro”; fra questi Stefano Vedovati, futuro falegname di Albino. Il corso, sempre in un’aula dotata di un banco da falegname e alcune attrezzature, si ripetè nel 1942. Non nel 1943: dopo l’8 settembre, durante la guerra mondiale, in Italia si lottava per la liberazione dal nazifascismo. Nel 1943 in famiglia si espresse la prima vocazione religiosa: una figlia, Vittoria Ferdinanda, entrò nel noviziato di Ranica delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, le suore del convento di Sant’Anna ad Albino, e divenne suor Giovanna. In una sua memoria relativa all’ottobre 1944, mons. Elia Acerbis scrive: “In quanto a papà e mamma sentivo di poter contare sul loro libero e tacito sostegno, nutrito di fiducia (anche se non privo di periodiche ‘romanzine’ causate dalle mie negligenze e omissioni colpevoli): del resto la bottega da falegname di mio padre-artigiano, aiutato allora da due o tre giovani operai, era il punto di appoggio per la plausibilità dell’avventura. In quella bottega avevo cominciato a muovermi a mio agio, nell’uso dei principali attrezzi e utensili manuali (proibito l’uso delle macchine elettriche, peraltro molto antiquate, alle quali ebbi accesso solo quando raggiunsi i quattordici anni). Cominciavo ad intuire che c’è una differenza quantitativa tra il lavoro dei muratori che inalzano muri in pietra di un edificio, ai quali si chiede la precisione del centimetro, e il lavoro del falegname, al quale si chiedeva la precisione del millimetro: altrimenti un cassetto non scorre nella sua sede e uno sportello non chiude quando non combacia con l’altro. Questo era più o meno il livello di esattezza ordinario, praticabile

con le attrezzature di una falegnameria di provincia negli anni ‘40”. Quando durante la seconda guerra mondiale il prevosto don Pietro Gamba sistemò la chiesa prepositurale, affidando al pittore Emilio Nembrini la realizzazione di affreschi sulla volta, uno con la significativa scritta “Caritas Cristi urget nos” e con la rappresentazione di un ferito di guerra, affidò, fra tutti i falegnami di Albino, a Giovanni Acerbis il costruire una cornice che salvaguardasse lo Stendardo della Visitazione, opera di Giovan Battista Moroni; don Gamba voleva conservarlo al meglio. Era un lavoro da poco per un falegname provetto, che utilizzò legno di castagno e le sue macchine elettriche: sega circolare e scorniciatrice; la levigò e lucidò nel suo laboratorio; qui distese e fissò la tela, con l’aiuto del figlio Aurelio.

Don Gamba poi fece fissare il quadro, dotato di cerniere, per poterlo contemplare in tutte e due le facciate, nel vano che era il suo confessionale in sagrestia (la cornice - come le cerniere - è sopravvissuta anche al restauro dello Stendardo nel 2021, pur assumendo un colore che la fa pensare essere di legno di noce). Nel dopoguerra, la ricostruzione dell’Italia dà tanto lavoro: nelle nuove zone residenziali di Albino come la via Duca d’Aosta gli operai costruiscono le loro case, Giovanni le arreda di porte, finestre e mobili; tornano le commesse pubbliche, anche per le casse da morto. È coadiuvato dal figlio Aurelio, dopo due anni di apprendistato dal vicino Evaristo Baleri,

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con orario dalle 7 alle 12, dalle 13 alle 19, dalle 20 alle 22. La moglie Maria Magoni amministra la bottega e la casa. Il figlio Elia continua i suoi studi in architettura. Si organizzano corsi serali per giovani lavoratori nella chiesa di S. Bartolomeo, allora proprietà dell’Ente Comunale Assistenza: in fondo alla chiesa corsi, pratici, di falegnameria con Giovanni Acerbis e verso l’altare corsi per meccanici attrezzisti con Salvo Moretti. Elia al Politecnico di Milano conosce i primi figli spirituali italiani dell’oggi san Josemaria Escrivà, apostolo della santità dei laici, e nel 1951, con Armen Manoukian, della facoltà di ingegneria, inizia ad aderire alla proposta di pienezza cristiana dell’Opus Dei; per tre anni è a Napoli. Nella stessa Opera entra anche la sorella Teresa. Giovanni, a poco a poco, lasciò la sua falegnameria al figlio Aurelio. Nel 1965 i coniugi Giovanni e Maria incontrarono di persona mons. Escrivà a Roma. Il futuro santo disse che sarebbe venuto a casa loro, ad Albino, promessa non mantenuta, ma nel 1972 Elia realizzò il più grande desiderio di sua madre: avere un figlio sacerdote. Maria morì il 18 giugno 1975, anche lei a quasi 80 anni, e i figli ricevettero una lettera di condoglianze dal successore di mons. Escrivà (morto il 26 giugno), mons. Alvaro del Portillo (proclamato beato nel 2014). Giovanni era già morto l’1 giugno 1970, al termine di una vita vissuta come il falegname di Nazareth, nel nascondimento, un falegname di paese, non certo uno di città, in cerca di fama. Delle sue parole si ricorda solo un proverbio che invitava un giovane a tacere e non criticare: “A fabricà ’n piassa ghe chi la öl volta, chi la öl bassa”. A lui si attagliano le parole di papa Francesco all’Angelus di domenica 19 settembre 2021: “Il valore di una persona non dipende dal ruolo che ricopre, dal successo che ha, dal lavoro che svolge, dai soldi in banca; no, la grandezza e la riuscita, agli occhi di Dio, hanno un metro diverso: si misurano sul servizio. Non su quello che si ha, ma su quello che si dà”. Ricordano le parole scritte sulla tomba di Libio Milanese: “Se uno tra voi vuol essere grande sia vostro servo. Mc.”.

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ARTE E STORIA Per capire il ‘500 e non solo

Le alterne vicende del prete Marco Moroni, coetaneo del pittore Giovan Battista Anche Marco Moroni era nato nei primi anni del 1520, in un clan diverso da quello dei “Mori”, i Moroni “Bursetti”, come ci documenta Giampiero Tiraboschi nell’ultimo capitolo della sua biografia Giovan Battista Moroni l’uomo e l’artista, «imprenditori dediti principalmente alla follatura e alla rifinitura dei pannilana» e alla «mercatura». «La pestilenza del 1529 che aveva colpito duramente il nostro territorio era stata fatale per i numerosi Bursetti: Marco era rimasto orfano e i suoi tutori il 12 agosto 1530 nominano procuratore del minore suo zio pre’ Simone». «Marco è avviato agli studi nella città di Brescia, dove risiede in collegio nello stesso periodo in cui Giovan Battista Moroni è a bottega dal pittore Moretto; è probabile che fra i due adolescenti, quasi coetanei, vi siano stati contatti, consolidati poi negli anni della loro maturità. Durante un periodo di vacanza Marco frequenta ad Albino la scuola di pre’ Sebastiano Gavasio da Poscante maestro di grammatica. Pre’ Sebastiano manifesta idee sospette di luteranesimo, ne discute con altri sacerdoti e le insegna ai suoi allievi»; ad esempio non crede all’esistenza del purgatorio, perché non appare nelle Scritture. «Pre’ Simone è vicino al nipote mentre intraprende la carriera ecclesiastica, lo orienta e lo sostiene durante gli studi, gli assicura una rendita economica». Marco diviene segretario del cardinale Giovanni Michele Saraceno. «È possibile che Marco abbia incontrato a Trento il pittore quando il Saraceno ha presenziato al Concilio come fiduciario della Curia Romana». «Marco mette a frutto la sua posizione presso la Curia Romana per ottenere la collazione di alcuni benefici ecclesiastici, che gli garantiscono una rendita economica». «Nel 1557 attraverso lo zio pre’ Simone prende possesso del chiericato della chiesa arcipresbiterale di Clusone». Allo stesso modo diventa in seguito titolare di altri benefici, compresa la Cappellania di San Bartolomeo di Albino a lui ceduta dallo zio. Fra i tanti incarichi ecclesiastici Marco «è vicario visitatore dei monasteri femminili della diocesi di Bergamo». «Nel 1575 è uno dei convisitatori del cardinale Carlo Borromeo», anche al monastero di S. Anna ad Albino. «Marco Moroni, benché inserito nell’azione di riforma conciliare, mantiene secondo una diffusa tradizione locale il possesso di più benefici ecclesiastici, che rafforzano la sua condizione economica: risulta infatti il più ricco e compensato, dopo il Vescovo, tra i membri del clero della diocesi. Questo non sfugge al cardinale Borromeo che gli intima di rinunciare alla funzione di parroco porzionario di Sant’Alessandro in colonna e di risiedere a Clusone sede del suo chiericato, secondo i decreti conciliari». «Due anni dopo la visita del cardinale Borromeo giungono lettere a Roma che accusano di monache di Santa Grata di maleficio. Si apre un

processo vescovile. Nel frattempo il giudice della fede avvia una serie di cause per negazione del purgatorio, che nel 1581 coinvolgono anche Marco Moroni». «Il canonico Marco è messo in carcere, torturato, sospeso a divinis e relegato ad Albino nella casa della cappellania di San Bartolomeo». (La tortura prevista all’epoca era il “tratto di corda”, con il condannato legato per i piedi e i polsi dietro alla schiena; la riforma cattolica aveva un’«egemonia corazzata di coercizione»). «Nei verbali della visita pastorale alla parrocchia di Albino dell’anno 1583 è scritto che il canonico Marco Moroni vive nella casa della Misericordia di Albino in completo isolamento»; un testimone dichiara che «messer Marco Morone prete e canonico sta qui nelle case di S. Bartolomeo ed io non l’ho mai veduto fuori dessa casa, ne meno io sono andato a visitarlo perché credevo non si potesse andar». «Ottenuta la riabilitazione, riprende il suo posto nel consiglio capitolare con la seduta del cinque luglio 1588». «Il 28 aprile 1592 il canonico Marco, a letto ammalato ma sano di mente, fa redigere il suo testamento»: «lascia la Misericordia di Albino erede dei beni stabili da lui acquisiti». Muore verso la fine del 1601 o all’inizio del 1602. Lascia una consistente biblioteca di quasi 1300 volumi. L’inventario di questa, redatto dopo la sua morte, è custodito in duplice copia nell’archivio della parrocchia di Albino nella serie Misericordia 5.2-5.3. Rodolfo Vittori, in un saggio per


ARTE “Quaderni di Archivio bergamasco”, 2012, così descrive i libri più strettamente religiosi: «Alla base del prevalente orientamento in senso teologico-esegetico stanno sei Breviari, vari Offici divini, una dozzina di testi biblici nelle tre lingue antiche e nei più diversi formati, di cui tre latine e due in ebraico, una costituita da quel piccolo capolavoro tipografico confezionato a Parigi in sette tomi tra 1544-46 dal tipografo e biblista Robert Estienne, vicino alle idee riformate, e l’altra in quatro, forse proveniente da Basilea. Il settore delle Sacre Scritture si completava con due edizioni del Nuovo Testamento greco provenienti da Basilea e Parigi e due versioni latine, una delle quali tutt’oggi esistente costituita dall’edizione curata dal benedettino Isidoro Clario (Venezia, P. Schoeffer, 1541), il quale mise mano ad una correzione della Vulgata sulla base dei testi originali antichi, che attirò l’attenzione di alcuni censori ecclesiastici. Chiarissimo appare l’intento non solo di poter accedere al senso autentico della parola divina ricavandolo direttamente dai testi editi nelle loro lingue originali, ma anche di poterli collazionare reciprocamente». Per quanto riguarda i testi dei Padri della Chiesa, Vittori così commenta: «Facciamo notare che quasi tutte queste edizioni erano stampate nei maggiori centri editoriali tra Parigi, Lione e Basilea, segno che, dopo la metà del ‘500, chiunque, laico od ecclesiastico, volesse intraprendere studi approfonditi in ambito patristico o classico-umanistico, doveva necessariamente far ricorso alle stampe straniere, e soprattutto a quelle di Basilea, ove molti dei suoi stampatori e dei loro collaboratori editoriali risultavano condannati nell’Indice romano del 1559». Marco Moroni, pur di soddisfare i suoi interessi intellettuali, «era disposto a spendere cifre ragguardevoli, nonché rischiare un intervento inquisitoriale». Non avendo lasciato scritti suoi, è

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Giovan Battista Moroni, ritratto di Marco Moroni (particolare), Firenze, Galleria di Palazzo Pitti.

difficile definire l’evolversi della fede in Marco Moroni. Un indizio può dare la scelta testamentaria per la Misericordia di Albino, sodalizio che dispensava aiuti, specie in natura, ai poveri del paese e che aveva visto all’opera. Sulla casa della Misericordia, nel 1570, il pittore Giovan Battista aveva dipinto un affresco con in alto l’iscrizione “Beati misericordes” (Beati i misericordiosi) e ai lati “Quod uni ex minimis meis fecistis mihi fecisti” (Quello che avete fatto ad uno dei miei più piccoli, l’avete fatto a me), dal Vangelo di Matteo, cap. 25. Si potrebbe pensare che lo stesso Marco, o un presbitero che officiava le messe per i lasciti della Misericordia, sia stato a dettare al pittore le frasi del Vangelo in latino, considerato il fatto che allora (oggi dopo il Concilio Vaticano II, a tutti i fedeli, preti o laici che siano è richiesto il contrario), non era permesso ai laici possedere la Bibbia e men che meno leggerla in italiano, come ha ricordato nella sua lezione del 3 settembre in prepositurale mons. Tarcisio Tironi. Ma Marco o altro prete poteva aver dato consigli al pittore su come rappresentare secondo le Scritture, nei suoi dipinti, particolari biblici. Uno o l’altro poteva aver suggerito di rappresentare Maria nella Visitazione con i capelli rossi, del colore di quelli di Davide (1 Samuele 16, 12) da cui discendeva Gesù, quella Maria, come Davide, scelta da Dio fra gli umili, piccoli, deboli per imprese grandi nella storia, l’uno abbattere il gigante Golia, l’altra per essere la madre del Figlio di Dio. Non per nulla il Vangelo di Luca pone sulla bocca di Maria, nella Visitazione ad Elisabetta, il Cantico del Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. […] Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre». I capelli di Maria, nello Stendardo della Visitazione, sono rossi, come nei dipinti di Cranach il vecchio, ritrattista di Lutero, così come quelli del Cristo trionfante della Trinità del Moroni o quello del Cristo portacroce espiante, due diverse espressioni di fede in periodi diversi della storia personale del Moroni e dello stesso 500.

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IL PENSIERO DEI GIOVANI

Una nuova dipendenza per i giovani e non, quella da internet. «L’argomento che ho deciso di trattare in questa mia tesi di Laurea Triennale è: le dipendenze. Si tratta di un tema che rappresenta, per me, fonte di interesse già dai tempi della scuola media quando, in classe, erano state organizzate lezioni con vari esperti (psicologo, assistente sociale, educatore…). Lo scopo di queste era di fornire una panoramica generale relativa alle dipendenze da sostanza, sottolineando, in modo particolare e a scopo preventivo, gli effetti negativi e le conseguenze sia fisiche che psicologiche ad esse associate. La parte più interessante di questi incontri, secondo me, consisteva nell’ascolto diretto e in presenza dell’esperienza di vita, il più delle volte tormentata e complicata, di individui, spesso molto giovani e provati, con un passato da tossicodipendenti. Queste persone, dopo un lungo e travagliato percorso e grazie all’aiuto e al sostegno di figure competenti, sono riuscite ad uscire dal tunnel della dipendenza e, di conseguenza, sentivano forte il bisogno di condividere il loro vissuto allo scopo di evitare a noi giovani studenti commettessimo i loro stessi errori. Nel tempo questo interesse è rimasto vivo in me e mi ha permesso di scoprire che esistono anche altri tipi di dipendenze: quelle comportamentali (new addictions). Si tratta di dipendenze molto meno conosciute e più difficilmente individuabili, che spesso vengono sottovalutate. Purtroppo, però, anche i loro effetti possono essere devastanti sia dal punto fisico che, soprattutto, psicologico. Questo tipo di dipendenze, il cui oggetto è ‘socialmente accettato’ in quanto rappresenta un elemento di vita quotidiana (Internet, lavoro, sesso, shopping…) ci permette di capire come qualsiasi comportamento, portato all’eccesso, può sfociare in una patologia. Per quanto riguarda la struttura, la mia tesi si compone di un primo capitolo in cui viene introdotto l’argomento delle dipendenze in modo generale, vengono proposte alcune definizioni e sottolineate le differenze tra le varie tipologie delle stesse. In seguito, viene presentato un approfondimento relativo alle dipendenze da sostanza e alle loro caratteristiche. Il secondo capitolo è totalmente incentrato sulle dipendenze di tipo comportamentale. In esso vengono esposte le principali tipologie di new addictions: dipendenza da gioco d’azzardo, da Internet, da shopping, dal lavoro, dal cibo e dal sesso. Ognuna di queste viene definita ed approfondita. Il terzo capitolo, che, secondo me, rappresenta la parte più attuale del lavoro, prende in considerazione l’evoluzione dei comportamenti di dipendenza in relazione al periodo odierno, caratterizzato dalla pandemia di COVID-19. Nella prima parte viene esposto come le dipendenze, in generale, hanno subito dei cambiamenti derivanti dalla pandemia con focus su quelle da sostanza. Nelle parti successive, analizzo come le new addictions, descritte ed approfondite all’interno del secondo capitolo, si sono evolute in relazione alla pandemia di COVID-19 e alle conseguenze che questa ha portato».

DIPENDENZA DA INTERNET

«Per analizzare il fenomeno della dipendenza da Internet e, più in generale, dalla tecnologia, è possibile partire prendendo in considerazione il libro Dipendenza da Internet. Adolescenti e adulti, scritto da Perrella e Caviglia nel 2014. In particolare, Internet evoca una realtà infinita ed indefinita: quando si naviga in esso è come se si rimanesse sospesi in una dimensione elettronica infinita e in continua evoluzione, che noi stessi possiamo contribuire ad espandere. Anche per Internet, quindi, così come accade per ogni innovazione tecnologica, accanto

all’entusiasmo associato alle sue enormi potenzialità, è importante interrogarsi circa i rischi che sono connessi al suo uso e, soprattutto, al suo abuso. Come tutti gli altri strumenti di telecomunicazione, infatti, anche la rete non è esente da questi utilizzi problematici (o, appunto, abusi) che, negli ultimi anni, hanno contribuito a definire, nel campo della salute mentale, una forma patologica di dipendenza, definita Internet Addiction Disorder (IAD), anche detta Pathological Internet Use (PIU) o Internet Related Psychopathology (IRP). Si tratta di una forma di dipendenza comportamentale che risulta essere sempre più frequente tra giovani e adolescenti, i quali, oggi, hanno la possibilità di accedere in maniera estremamente facile alla rete, con un numero elevato di dispositivi diversi e, non sempre, con gli adeguati controlli. Sono proprio loro, quindi, a risultare i più propensi a sviluppare questo problema. Mazalin e Moore, infatti, osservando alcuni casi di abuso di Internet, hanno delineato il prototipo di ‘computer-dipendente’: adolescente maschio con poca o nessuna vita sociale e con poca o nessuna fiducia in sé stesso e bassa autostima, con problemi di identità personale e alti livelli di ansia sociale. Il computer viene utilizzato come un amico elettronico che supplisce l’assenza di relazioni reali, permette di socializzare e la rete viene usata come rifugio per contrastare la depressione, l’isolamento sociale e altri deficit di tipo psichico o fisico. I principali campanelli d’allarme per quanto riguarda i giovani sono: stanchezza eccessiva, problemi scolastici, diminuzione di interesse per gli hobby (al di fuori del computer), isolamento dagli amici reali, disobbedienza e


NUOVE DIPENDENZE

ribellione. Nonostante siano gli adolescenti i più soggetti a sviluppare IAD, attualmente sono in crescita i casi in cui individui adulti si trovano a dover affrontare lo stesso tipo di problema». «Riprendendo nuovamente il libro sopracitato di Perrella e Caviglia, da esso possono essere estrapolate altre utili informazioni necessarie per comprendere meglio il disturbo. Essi, partendo da uno studio italiano del 1996, delineano tre fasi che sono alla base del percorso virtuale che trasforma progressivamente l’‘utente di Internet’ in un vero e proprio ‘Rete-dipendente’. • Prima fase: attenzione ossessiva o ideo-affettiva a temi e strumenti inerenti all’uso della Rete; può portare a sviluppare comportamenti come controllo ripetuto della posta elettronica durante la giornata, ricerca di programmi e strumenti di comunicazione particolari, prolungati periodi trascorsi in chat… • Seconda fase: del ‘guardone’ o lurker, considerata lo stadio embrionale della dipendenza vera e propria. In questa vi è l’effettivo passaggio all’area della tossicofilia, caratterizzata dall’aumento del tempo trascorso online (anche durante il lavoro o la notte) con un crescente senso di malessere, di agitazione, di mancanza di qualcosa o di basso livello di attivazione quando si è scollegati (analoga all’astinenza). • Terza fase: passaggio alla tossicomania, zona in cui la rete-dipendenza diviene a tutti gli effetti una patologia. Questa è caratterizzata dalla presenza di collegamenti prolungati che possono

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arrivare a danneggiare diverse aree di vita dell’individuo (lavorativa, relazionale, scolastica…) e dalla insorgenza di problemi legati a scarso profitto, assenteismo, isolamento sociale. Quest’ultima porta ad un aumento della probabilità di sviluppare comportamenti cronici associati all’abuso di Internet e, al contempo, diminuisce le possibilità legate al ritorno alla condizione iniziale (non patologica). Analizzando le motivazioni che spingono gli individui ad usare eccessivamente Internet, portando poi all’aumento del rischio che questo si trasformi in abuso, quella che risulta maggiormente significativa è legata al compensare le difficoltà relazionali della vita reale, ricercando in rete amicizie e relazioni sentimentali, una via sociale più veloce e lontana dalle insicurezze che, invece, sono presenti nella realtà quotidiana. Internet, infatti, sembra eliminare le costanti di spazio e tempo, consentendo attività comunicative forti e interazioni prolungate, promuovendo un forte senso di appartenenza e comunità». «Per quanto riguarda l’aspetto della comorbilità, alcune ricerche, tra cui quella di Cantelami (La mente in Internet) pubblicata nel 2000, hanno evidenziato la compresenza di IAD e disturbi dell’umore, dell’ansia, del controllo degli impulsi, della personalità e problemi di autostima. Vanno poi anche considerati problemi correlati al sonno, alla stanchezza oculare, all’irregolarità dell’alimentazione, allo sviluppo della sindrome del tunnel carpale, al mal di schiena e di testa». Analizzando le ricerche condotte da Young, emergono diverse sottocategorie della dipendenza da Internet: gioco d’azzardo online, cyber sesso, materiale pornografico, relazione erotica, relazioni online, legami amicali e affettivi stretti tramite chat, giochi di ruolo, eccessive informazioni, ricerca estenuante di notizie, passando da un sito all’altro, giochi online e videogiochi. «Continuando questa parte legata alla dipendenza da Internet e, più in generale, dalla tecnologia, è interessante prendere in considerazione l’articolo Social Networking Sites and Addiction: Ten Lessons Learned di Kuss e Griffiths del 2017 presente su PubMed, allo scopo di comprendere meglio uno degli aspetti della rete che, al giorno d’oggi, risulta essere tra i più presenti nella vita della maggior parte delle persone, giovani e no: i Social Networks (SN). L’articolo si propone di spiegare che cosa siano e quali siano le principali funzioni dei ‘social’, comprendendo anche cosa li differenzia dal resto del ‘navigare in rete’, per poi fornire dieci utili lezioni che possono aiutare individui meno esperti in una loro migliore comprensione. La svolta significativa, però, è avvenuta nel 2004 con la creazione di Facebook da parte di Mark Zuckerberg. Questo sito ha ottenuto un successo sempre maggiore e, nel 2016, è stato utilizzato dal 22,9% della popolazione mondiale. Negli ultimi dieci anni sono nati anche altri social networks che si sono affiancati e, talvolta, sostituiti a Facebook. Tra i principali vi sono Instagram, Whatsapp, Reddit, e, recentemente, TikTok. Il numero di utenti dei social cresce esponenzialmente, tanto che nel 2016 il totale delle persone che, in tutto il mondo, ne facevano utilizzo regolarmente era di 2,34 miliardi; ad oggi il numero è ancora più grande ed in continuo aumento». «È sempre più comune, fra gli individui che fanno utilizzo eccessivo dei social network, lo sviluppo della ‘necessità di essere online’, che può trasformarsi in un utilizzo compulsivo degli stessi e, nei casi più estremi, può dar vita a sintomi e comportamenti simili a quelli della dipendenza da sostanze». «Turkle sostiene che l’eccessiva dipendenza dalla tecnologia ha portato ad un impoverimento delle abilità sociali, rendendo gli individui incapaci di impegnarsi in conversazioni significative: secondo lei tali abilità vengono sacrificate per una connessione costante che porta allo sviluppo dell’attenzione a breve termine e alla conseguente riduzione della capacità di trattenere le informazioni. Gli individui posso essere quindi descritti come ‘alone together’ (soli assieme), sempre connessi mediante la tecnologia ma, di fatto, isolati. Conclusione: anche le dipendenze non da sostanze, ma comportamentali sono «pericolose se sottovalutate». Daniele Acerbis (Estratti della tesi di laurea triennale in Scienze psicologiche, Università degli studi di Bergamo)

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TERZA ETÀ L’età da inventare Per alcuni è rassegnato passaggio verso anni di decadimento fisico, inoperosità forzata e solitudine. Per altri una lontana minaccia da sfuggire con l’aiuto di pratiche salutistiche e attività appaganti. Comunque la si viva, la vecchiaia spesso fa paura o porta con sé la malinconia del tramonto. Eppure è diventata un tempo importante dell’esistenza, ben più lungo di quanto era fino a pochi decenni fa, e si presenta, in mancanza di modelli, come un’età da inventare. Vincenzo Paglia, che da anni studia e si occupa delle esperienze e dei bisogni delle persone anziane, propone in queste pagine una visione penetrante e innovativa della vecchiaia. Un periodo libero dalla tirannia della produttività e disponibile per edificare legami, momenti di ascolto delle proprie domande e di quelle degli altri. Anni scanditi non più dal calendario degli impegni ma dal tempo degli affetti, della riflessione, del contributo offerto alla comunità. I vecchi insegnano la bellezza di trasmettere e prendersi cura della vita e quando, col corpo indebolito e la mente confusa, diventano faticosi e difficili da amare, ci ricordano che la fragilità è una condizione comune a tutti e l’autosufficienza una sciocca illusione. Questa consapevolezza della dipendenza come radicale bisogno umano è il grande dono della vecchiaia alle generazioni più giovani. Ed è, al tempo stesso, l’orizzonte spirituale che permette di dare senso al ciclo della vita, di proiettare le proprie speranze nel futuro di cui si sono gettati i semi e, infine, di sentire la vecchiaia stessa come un compimento, una destinazione verso l’Eterno.

La vita non è da buttare, quella dei vecchi non finirà in un ospizio celeste Personalmente ho dei desideri per «la vita del mondo che verrà», di cui parla il credo cristiano. Mi emoziona l’idea di percepire Dio all’opera nella creazione dei mondi, nel dono delle vite, nel riscatto degli avvilimenti, nel risarcimento delle ingiustizie. Certo è vero che con la morte

siamo subito al cospetto di Dio: e che la nostra posizione, nella sua vita, si definisce una volta per tutte. Ma è pur sempre la posizione di un vivente, non di un sasso. La vita che si è accesa qui, per ognuno di noi, è un’iniziazione: non c’è dubbio. E la vita eterna promessa non è

semplicemente una faccenda di durata interminabile. La vita vive. La vita è fatta per vivere. La vita è fatta per allargarsi, espandersi, arricchirsi. I bambini avranno la loro maturazione: crescerà la loro capacità di godere l’ospitalità di Dio. Perché per Dio nessun bambino viene al mondo per niente. E nessun vecchietto si congeda da questa vita per finire in un ospizio celeste, dove si deve accontentare di vivere di quello che ha vissuto, senza problemi di dolori e di autosufficienza. L’attesa della risurrezione sarà creativa, evidentemente: non si tratta semplicemente di una trasformazione chimica o fisica. Come fa Dio a trarre un tesoro di vita, dal poco che gli offriamo? Mi emoziona pensare di partecipare a questo spettacolo.


NUOVE OPPORTUNITÀ

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L’età da inventare

Il bel libro di monsignor Vincenzo Paglia L’età da inventare. La vecchiaia fra memoria ed eternità (Piemme, pagine 240, euro 17,50) rimescola le carte della vecchiaia, prendendo spunto dalla odierna evidenza della longevità come fenomeno di massa. Il paradosso messo a fuoco dal libro è appunto questo: come mai la condizione antropologica della vecchiaia, che proprio ora appare con tutta evidenza come un’età normale della vita, sempre più è consegnata alla clinica della sopravvivenza e sempre meno accolta nell’etica della convivenza? Non deve sorprendere l’invito di Vincenzo Paglia, a intraprendere il compito di ‘inventare’ la dimensione antropologica della vecchiaia, quale componente ‘vitale’ dell’intera comunità umana. Una questione di giustizia, di riconoscenza, di responsabilità, di amore. Certamente. Ma anche un pungolo a porre rimedio ad una distorta comprensione della vita come semplice durata che si consuma. Incominciata dal niente, e destinata al niente. La vita è iniziazione ad una infinità di beni che non si consumano affatto: sono beni di ini-

ziazione che non siamo in grado di trattenere con le nostre forze: ma che dobbiamo difendere con tutte le nostre forze. Nella vita umana non ci sono esuberi: né rami secchi che è meglio tagliare di nostra iniziativa, per migliorare la produzione e il profitto. Possiamo e dobbiamo invece restituire agli anziani l’onore della testimonianza della dignità della vita. Questa dignità è violata quando alziamo la mano su di essa, non quando essa stessa

non ha più la forza di sollevare la mano. E molto gli anziani, restituiti a questo onore - quello di insostituibile rappresentanza dell’umano vissuto fino in fondo - possono portare alla lieta fiducia dei bambini e dei giovani che sono disposti a non abitare la terra invano. Perché, appunto, la cosa non finisce qui: e il bello deve venire. Pierangelo Sequeri Avvenire - 19 ottobre 2021

I nostri nipoti potranno avere una vecchiaia come la nostra? Mi chiedo se i nostri nipoti potranno avere una vecchiaia come la nostra, salute permettendo, visto che inizieranno a lavorare e sposarsi sempre più tardi. Ai nostri tempi finito il militare eravamo uomini con un obbiettivo, ora tutto sembra a loro precario, che non ci sia un obbiettivo e forse nemmeno la speranza, sembra tutto sospeso. Per quanto riguarda i vecchi di oggi non sono da buttare: hanno ancora tanto da fare. E quando il Signore ci chiamerà abbiamo la speranza della fede. A. Cam

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UN INCONTRO

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Si fa presto a dire immigrati 1. LO ZAINETTO Avete mai guardato dentro lo zainetto di una di quelle persone che per poco chiedono di ramazzare la strada fuori casa? Io sì. Più o meno il contenuto è quello che tutti noi dovremmo avere pronto, in caso di emergenza. Allerta rossa della protezione civile: popolazione pronta all’evacuazione. Due scatolette per mangiare. Una di verdure, l’altra di frutta. Una bottiglietta di acqua. Un paio di calzini di scorta. Un rotolo di carta igienica. Uno spazzolino per i denti. Il necessario per la sopravvivenza. Tutto il resto ce l’ha addosso. Ho guardato con il suo consenso. Ho appoggiato nella tasca interna la busta, con il compenso per il lavoro svolto. Più qualcos’altro da mangiare. Di questa persona so quasi nulla. Comunichiamo in inglese. A cadenza regolare, suona il campanello. Ramazza. Dove necessario, estirpa. Raccoglie. Insacca. Ripone gli attrezzi. Ringrazia. Torna sui suoi passi. Esce di scena. Unico punto d’incontro tra due realtà parallele.

2. LA VLORA «Vengo dall’Albania». Chiedo. Se con quella nave svanita sotto un formicaio di persone. «Sì. Ero su quella nave. Poco tempo fa è stato l’anniversario dell’arrivo a Bari. L’hanno fatta vedere in televisione. La mia piccolina mi ha detto che gli fa pena. Sapere che ero là sopra. A Durazzo. Quando sono salito su quella nave, scappavo dal co-

munismo e dalla dittatura. Quando sono salito su quella nave tutti mi dicevano che era pericoloso. Quando sono salito su quella nave, c’era ancora il carico. Noi eravamo così tanti che il fondo si sfondò. Il viaggio durò diciotto ore. Il doppio». Rimugino. A che punto cominciò a imbarcare acqua? «Sono stato in un campo profughi. Abbiamo fatto lo sciopero della fame. Per protesta. Per lavorare. Ci hanno caricati sui pullman. Ci hanno portato al nord. Quando ho visto Città Alta. Dall’autostrada. Dal finestrino. Era bellissima. Ero felice di essere finito lì. Poi il pullman ha tirato diritto, verso le montagne. Ero meno felice. Fino ad Albino. Oggi sono felice. Il comune ci faceva dormire al campo Falco. Il geometra del comune ci chiese che cosa sapevamo fare. Eravamo 12. In due stanze. Coi letti a castello. Io preferivo stare solo. Così ho spostato il letto in un’altra stanza. Qualcuno chiamò il vigile. Che vide anche la stufetta. Dove mi preparavo qualcosa da mangiare. Il vigile chiuse un occhio. Ma continuò a tenermi sott’occhio. Lavoravo in una piccolissima impresa di costruzioni. Passata di

padre in figlio. Dopo un po’, mi hanno trovato due stanze con gabinetto. In una casa, nella via principale del paese». Osservo. L’indice che disegna nell’aria una serie di archi. Un gesto, familiare. «La sera, dopo il lavoro, la doccia la facevo sempre al campo Falco. Poi ho fatto venire mia moglie dall’Albania. Lei scaldava l’acqua e faceva il bagno nella tinozza. Ho sempre lavorato in quella piccola impresa. Sono brave persone». So. Hanno una beata in famiglia. «Ora abito nella parte alta del paese. In un condominio rosa. Con quattro appartamenti». Ricordo. Racconti dei gradini delle scale di quella casa. «Ho tre figli. La prima è avvocato. Il secondo informatico. La terza è alle superiori. Mia moglie si è sempre data da fare. È il perno della famiglia». Due luoghi punto d’incontro tra realtà parallele. Match Point. La pallina è sempre caduta dalla parte giusta della rete. Quella dell’accoglienza. Del rispetto. Campo perfetto per l’onestà. Nerussia Gogch

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI DALLE ACLI NAZIONALI Lavoriamo per il domani. Nuove prospettive per i giovani. A Catania l’Agorà dei Giovani delle Acli

Si è svolta a Catania dal 15 al 17 ottobre l’Agorà Dei Giovani delle Acli, l’annuale appuntamento di formazione che quest’anno era intitolato Lavoriamo per il domani. Nuove prospettive per il futuro. “Oggi il tema del lavoro è la sfida principale sui cui l’Italia e l’Europa decidono del proprio futuro. – Ha dichiarato il coordinatore nazionale dei Giovani delle Acli, Simone Romagnoli – Troppo spesso però i giovani sono stati estromessi dal dibattito, come se il lavoro non fosse un aspetto fondamentale della nostra vita. L’agorà di quest’anno nasce proprio con l’intento di rimettere il lavoro al centro del dibattito l’impatto sociale e rigenerativo che esercita sulla comunità, l’impatto che esercita ancora sull’identità della persona e sul suo potenziale di contribuire a cambiare la realtà. I Giovani delle Acli, facendo seguito ai propri principi fondativi, sentono la responsabilità di formare, informare e dialogare, con lo scopo di analizzare lo scenario attuale per meglio prepararsi a quello che ci si presenterà nei prossimi anni”.

Acli: legge su parità salariale primo tassello, ora cambio di passo su smart working

“Con il PNRR abbiamo una grandissima occasione e dobbiamo saperla cogliere per trasformare lo smartworking in un’opportunità in grado di favorire una migliorare conciliazione tra famiglia e lavoro ed evitare che si trasformi in un’altra ghettizzazione per la donna”. Così Chiara Volpato, Responsabile del Coordinamento Donne Acli, ha concluso il convegno “Donne, lavoro e pandemia” nel corso del quale è stata illustrata la ricerca dell’Istituto Toniolo da parte della docente Paola Profeta e della giornalista Tiziana Ferrario. Hanno sottolineato come la pandemia abbia aggravato una situazione che era già molto difficile e che vede l’Italia agli ultimi posti nell’occupazione femminile e in una serie di altre voci, come la percentuale di laureate in materie STEM e la disparità salariale. “Bene la legge approvata alla Camera sulla disparità salariale ma non facciamo che diventi un ulteriore aggravio per l’azienda ma un vero strumento affinché si riduca il gender gap tra le lavoratrici e i lavoratori del nostro paese” ha dichiarato il Presidente nazionale delle Acli Emiliano Manfredonia che ha parlato della “necessità di ripartire equamente i carichi del lavoro di cura tra uomini e donne, altrimenti diventa vano ogni tipo di lavoro agile”. Il professore Alessandro Rosina, nel suo intervento, ha messo in guardia sul rischio che “lo smartworking possa diventare un’altra misura che viene usata in maniera distorta, come è già

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira” successo con il part-time dopo la grande crisi del 2008 quando le aziende se ne sono servite principalmente per abbassare il costo del lavoro”.

No a tutti i fascismi

L’intollerabile aggressione di stampo fascista alla sede nazionale della CGIL deve essere condannata con forza da ogni sincero democratico nel nostro Paese, e sanzioni adeguate andranno applicate a persone ed organizzazioni responsabili dello scempio che si è visto per le vie di Roma il 9 ottobre. Su questo punto non sono ammissibili distinguo di sorta, né riguardo alla condanna della violenza né riguardo alla sua matrice che è ben nota e addirittura rivendicata dai responsabili.

Green pass

Il reiterarsi di manifestazioni e proteste contro il green pass, la campagna vaccinale e le misure governative per arginare la pandemia ci dicono che c’è un disagio sociale diffuso, palpabile. Nella piazza del 9 ottobre, insieme ai fascisti, c’erano altre persone che fasciste non sono e, accanto all’esasperazione per lo stravolgimento della loro vita determinato dalle misure di contenimento della pandemia (misure che peraltro sono in via di attenuazione proprio grazie ai vaccini) va considerata indubbiamente anche la paura riguardo al futuro loro e dei loro figli in un contesto in cui uno dei probabili rischi è che i vantaggi della ripresa vadano a beneficio dei soliti noti ed una volta di più il prezzo maggiore della ristrutturazione del sistema economico venga pagato da un ceto medio impoverito e fragile, con conseguenze dannose per la pacifica vita democratica. Non è un caso che il decennio successivo alla crisi economica abbia fatto riscontrare una serie di exploit di forze politiche di matrice populista e sovranista, che con le loro teorie e visioni semplicistiche, la loro pretesa di distinguere fra un popolo buono ed una c.d. “elite” cattiva, il richiamo a tradizioni obliate e a pulsioni di tipo xenofobo, l’uso strumentale del messaggio religioso, hanno di fatto creato l’humus naturale per il rifiuto di ogni forma di complessità, sia in campo politico, che culturale, che scientifico. Le forme di protesta, sempre più violente, come accaduto a Washington lo scorso gennaio e a Roma in questi ultimi giorni, ci ricordano che occorre operare per ricucire il tessuto nazionale. La crisi pandemica ha lasciato una pesante eredità economica e occupazionale, che però tende ad aggravare lacerazioni preesistenti e diseguaglianze storiche della nostra società. Dobbiamo lavorare in profondità per sanare queste ferite e per far sì che non si inveri quanto scritto da papa Francesco in Evangelii Gaudium: la diseguaglianza crea insicurezza e l’insicurezza crea violenza.


ASSOCIAZIONISMO

Come ACLI abbiamo rilevato nel nostro recente dibattito congressuale che il normale svolgimento della democrazia rappresentativa è ora sotto il duplice attacco del populismo, che vuole rimodellarla in nome della c.d. democrazia “diretta” e priva di intermediazioni, e della tecnocrazia, che si sostituisce alla volontà popolare in quanto riduce la politica alla pura e semplice applicazione di regole efficientistiche. È quindi questo il momento di una grande fase di unità nazionale che, al di là delle legittime e doverose distinzioni fra le diverse forze politiche, si ponga da qui al 2023 degli obiettivi ambiziosi, in primo luogo sotto il profilo sociale, sapendo che l’occasione ricostruttiva data dal PNRR non può essere sprecata, e quindi ripensando attentamente a questioni sul tappeto da troppo tempo, come la ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza e di prestazione, il ripensamento complessivo del sistema della Sanità territoriale (che è questione, lo abbiamo dolorosamente visto, di rilevanza nazionale), la riduzione degli squilibri territoriali e della sperequazione nella dotazione delle risorse, il rafforzamento della portata redistributiva del sistema nazionale di imposte e trasferimenti, nel miglioramento del sistema dell’istruzione pubblica e nel contrasto alla povertà educativa. Il patto sociale in democrazia non si nutre soltanto della possibilità di poter eleggere i propri rappresentanti e governanti o di poter esprimere liberamente la propria opinione, ma anche e soprattutto della promessa implicita di un miglioramento della propria condizione sociale e del mantenimento degli strumenti di welfare che siamo abituati a considerare come parte integrante di un progetto di cittadinanza democratica inclusiva così come del resto coerentemente indica lo sviluppo della Dottrina sociale della Chiesa dalla Pacem in terris in poi.

LA TRAGEDIA

I rifugiati e i migranti che arrivano dalla Libia hanno alle spalle un vissuto drammatico. Le cicatrici, gli stupri, gli aborti, i disabili sui barconi. Sbarcano tante donne, vittime di violenza

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sessuale nei centri di detenzione in Libia e molte volte ne rimangono incinte. Affrontano con profonda sofferenza la gravidanza. Per loro parlarne non è facile. Anche gli uomini, soprattutto ragazzi molto giovani, mostrano sui loro corpi i segni evidenti del passaggio nei centri di detenzione, Cresce continuamente il numero di minorenni non accompagnati e di donne vittime della tratta. Per non parlare dei naufragi. Di fronte a questo dramma, che ormai dura da molti anni, gli organismi internazionali, ONU e UE, fanno poco o niente per risolvere il problema. Se ne parla, se ne parla, ma in concreto si fa ben poco. Servirebbero operazioni di soccorso concertate almeno a livello di Unione Europea, con la distribuzione di queste persone nei vari Stati che la compongono e invece trionfa l’egoismo e, in pratica, lasciano solo a noi il compito di risolvere la tragica faccenda. Fino a quando?

UMANITÀ I primi ad arrivare al terminal dell’aeroporto di Fiumicino a Roma sono loro. Quattordici bambini e ragazzi, fra i 6 e i 20 anni, sulle sedie a rotelle. A parlare sono i loro occhi che esplorano con curiosità la grande sala illuminata, l’approdo della salvezza. Stringono le mani alle missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, le loro mamme adottive che nell’ultimo ventennio hanno accudito e raccolto dalla strada i bimbi a Kabul perché disabili. Ai bambini senza nessuno è legato anche il padre barnabita Giovanni Scalese, a capo della piccola comunità cattolica in Afghanistan. Padre Scalese è stato per otto anni il parroco dell’unica chiesa cattolica in quel Paese, quella dentro l’ambasciata italiana. Dice :”Non potevamo lasciarli lì”. A chi gli chiede se ha provato paura risponde: ”Paura no, preoccupazione si, tanta”. Un’azione umanitaria come questa merita sicuramente di essere conosciuta. Per le Acli albinesi Gi.Bi.

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CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


ANAGRAFE PARROCCHIALE

Anniversari

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Da agosto a ottobre... ... sono rinati nel Battesimo - Tommaso Cortinovis - Luca Piccoli - Gabriele Rossini - Emma Cottini - Lia Carlessi - Amelia Morosi - Tommaso Mistri - Lea Bessi

Giuseppe Carrara

4° anniversario L’amore che ci hai donato resterà vivo nei nostri cuori

... si sono uniti in Matrimonio

Carillo Gnecchi

10° anniversario 2011 - 2021

Dieci anni sono volati come il vento ma il tuo ricordo è perenne

Per la pubblicazione in questa pagina delle fotografie dei propri cari defunti, rivolgersi alla portineria dell’oratorio.

- Fabrizio Cirelli e Valeria Birolini - Diego Grugnaletti e Anna Zanga - Damiano Benedetti e Veronica Azzola

... sono tornati alla casa del Padre - Felice Mutti - Rosa Spinelli - Giovanna Alberti - Giancarlo Gusmaroli - Egidio D’Onofrio - Bruno Caldara - Domenico Mologni - Paolo Cannistraro - Ettore Valle - Elisabetta Signori - Giuseppe Vedovati - Margherita Spangher - Pietro Carrara - Ernesto Breda

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Mettere in fuga la morte Tu sei venuto tra noi per mettere in fuga la morte per snidare e uccidere la morte. Anche a Te la morte fa male per questo sei amico di ognuno segnato dal male e ogni male Tu vuoi condividere. David Maria Turoldo


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