Albino comunità viva - Settembre 2019

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - N. 7 / SETTEMBRE 2019


CALENDARIO APPUNTAMENTI

Settembre 28 29 Dom 30 Lun Sab

u 9-12 e 15-18 - Iscrizione catechesi 21.00 - Elevazione musicale [Pianto]

S. Venceslao di Boemia GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO

26A Tempo Ordinario

S. Girolamo

In settimana visita e comunione agli ammalati u 15-18 - Iscrizione catechesi u 20.15 - Adorazione Eucaristica [Oratorio]

Ottobre

1 Mar 2 Mer 3 Gio 4 Ven 5 Sab 6 Dom 7 Lun 8 Mar 9 Mer 10 Gio 11 Ven 12 Sab

20.30 - Incontro genitori elementri e medie [Oratorio]

S. Teresa del Bambin Gesù 21.00 - Rassegna film di qualità [CineTeatro] FESTA DEI NONNI

20.30 - Incontro genitori catechesi 3a media Ss. Angeli Custodi [Oratorio]

S. Romana

20.30 - S. Messa per i bimbi non nati [Guadalupe] u 20.45 - Transito di San Francesco [Frati]

FESTA DI SAN FRANCESCO u 16.00 - Adorazione eucaristica e S. Messa 17.30 - Presentazione percorsi Ado [Oratorio] S. Francesco 21.00 - S. Messa solenne [Frati] 9.30-11.30 - Centro di Primo Ascolto Caritas In oratorio inizio catechesi: u 9.30 e 14.15 elem. - 18.00 1a e 2a media S. Faustina Kowalska 21.00 - Elevazione musicale [Frati] INIZIO DELL’ANNO PASTORALE 10.30 - Mandato agli operatori pastorali 20.00 - Cammino di preghiera “dalle case alla A 27 Tempo Ord. chiesa” e consegna della virtù dell’anno u 20.15 - Adorazione Eucaristica [Oratorio]

20.30 - Incontro genitori adolescenti [Oratorio] B.V.M. del Rosario 20.30 - S. Messa inizio anno CET [Altino] 21.00 - Rassegna film di qualità [CineTeatro]

u 20.00 - S. Messa alla Ripa e processione al S. Giov. Calabria Santuario della Madonna della Gamba A DESENZANO FESTA DELLA MADONNA DEL MIRACOLO DELLA GAMBA

S. Denis e C. mm.

28A Tempo Ordinario

u 15-18 - Adorazione eucaristica [Guadalupe]

MEMORIA DI S. GIOVANNI XXIII u 16.00 - Adorazione eucaristica e S. Messa [Chiesina Oratorio] S. Giovanni XXIII u 20.30 CateTerzaMedia - 20.45 CateAdo u 9,30 e 14.15 - Catechesi Elementari u 18.00 - Cate 1a-2a media [Oratorio] 21.00 - Elevazione musicale [San Bartolomeo]

u 20.15 - Adorazione Eucaristica [Oratorio]

S. Callisto I 21.00 - Rassegna film di qualità [CineTeatro]

S. Teresa d’Avila 20.30 - Riti prebattesimali

20.30 - Formazione biblica con padre Armellini [CineTeatro] S. Margherita M. Alacoque u 15-18 - Adorazione eucaristica [Guadalupe]

S. Ignazio di Antiochia u 16.00 - Adorazione eucaristica e S. Messa

20.30 - Veglia missionaria e consegna dei crocifissi [Duomo] S. Luca evangelista 9.30-11.30 - Centro di Primo Ascolto Caritas u 18.00 - Catechesi 1a e 2a media [Oratorio]

S. Pietro d’Alcantara 21.00 - Elevazione musicale [Prepositurale] GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE

15.00 - Castagnata [Oratorio] 29A Tempo Ord. 15.00 - Eucaristia con celebrazione Battesimi u 20.15 - Adorazione Eucaristica [Oratorio]

S. Orsola e cm. u 20.30 - Gruppi di ascolto nelle case 21.00 - Rassegna film di qualità [CineTeatro]

S. Giovanni Paolo II Papa 20.30 - Formazione biblica con padre Armellini [CineTeatro]

S. Giovanni da Capestrano u 15-18 - Adorazione eucaristica [Guadalupe]

S. Luigi Guanella u 16.00 - Adorazione eucaristica e S. Messa

S. Gaudenzio

S. Luciano

S. Daniele Comboni

S. Serafino

13 Dom 14 Lun 15 Mar 16 Mer 17 Gio 18 Ven 19 Sab 20 Dom 21 Lun 22 Mar 23 Mer 24 Gio 25 Ven 26 Sab 27 Dom 28 Lun 29 Mar

u 9,30 e 14.15 - Catechesi Elementari u 18.00 - Cate 1a-2a media [Oratorio] 21.00 - Elevazione musicale [S. Anna] Pellegrinaggio parrocchiale per l’inizio del nuovo Anno Pastorale

30A Tempo Ord. In settimana visita e comunione agli ammalati u 20.15 - Adorazione Eucaristica [Oratorio]

Ss. Simone e Giuda 21.00 - Rassegna film di qualità [CineTeatro]

S. Onorato

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1 “Coraggio, popolo tutto del paese, lavorate perché io sono con voi” (dal libro del profeta Aggeo 1,4b) In questi giorni, nella Messa feriale stiamo leggendo di un’esperienza che ha segnato la storia degli ebrei e che ha avuto del sensazionale, quasi come la liberazione dall’Egitto. Gli ebrei erano stati deportati in Babilonia per 70 anni, fin quando sorse il regno persiano. Allora, cosa impensabile, Ciro nel primo anno del suo regno emana un decreto dove dice che il Signore, Dio del cielo, lo ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme. Per questo rimanda a casa tutti gli ebrei con questo compito; e comanda che i vicini li aiutino con oro, argento, beni, bestiame e offerte volontarie, e ordina ai governatori di contribuire con tutto il legname necessario. Ma quelli che tornano, trovano forti ostacoli da parte delle popolazioni che si erano stabilite in questi territori, alla partenza dei deportati. Interverrà di nuovo Dario, successore di Ciro, per incoraggiare e sostenere ulteriormente i lavori di ricostruzione del tempio, ma anche della comunità degli Israeliti. È a questo punto che sopraggiunge questa frase, questo incoraggiamento da parte di Dio, attraverso il profeta Aggeo. L’ho fatta un po’ lunga, ma mi premeva contestualizzare questa citazione messa all’inizio, perché anche noi ci troviamo all’inizio di un nuovo Anno Pastorale. E credo che ci faccia bene questo incoraggiamento a riprendere con slancio una vita di comunità. Secondo gli studiosi, da sempre – ma ancor più oggi – c’è una diffusa voglia di comunità, un desiderio di relazione che fa parte della natura dell’uomo. Un desiderio di rafforzare il sentimento di appartenenza, quasi il bisogno di un “magnete” che attragga, che unisca, che faccia sentire bene. Si parla di creazione di un “luogo piacevole da abitare”. Zygmut Bauman, un sociologo e filosofo polacco morto a gennaio del 2017, scriveva: “La comunità incarna il tipo di mondo che purtroppo non possiamo avere, ma nel quale desidereremmo tanto vivere e che speriamo di poter un giorno riconquistare. La comunità è un luogo caldo, un posto intimo e confortevole. È come un tetto sotto cui ci ripariamo quando si scatena un temporale, un fuoco dinanzi al quale ci scaldiamo”. Sembra un’idea molto idealizzata di comunità, ma significativa di quanto faccia parte dei sogni delle persone. Uno che sognò in grande è stato certamente Adriano Olivetti, ingegnere, grande imprenditore innovatore, pensatore, ma anche intellettuale e politico (morto a febbraio del 1960). Qualcuno lo ricorderà ancora! A differenza di tanti imprenditori, sostenne un grande senso della comunità - azienda. Per questo ebbe contro gran parte dei detentori del potere economico e politico, quelli che vigilano sul mantenimento dell’ordine costituito e occupano un posto di rilievo nella vita sociale e culturale. Si era impegnato direttamente nelle iniziative che riteneva utili alla comunità, perché si basò su una concezione del lavoro che metteva al centro gli aspetti sociali in luogo del profitto. “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi fini semplicemente nell’indice dei profitti? O non vi è, al di là del ritmo apparente, qualcosa di più affascinante, una trama ideale, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”. Una vocazione nella vita di una fabbrica!!! Chi oggi avrebbe il coraggio di dire queste cose? Solo un uomo che credeva che la storia continua anche quando le idee camminano adagio. Significativi anche alcuni libri che scrisse: “Città dell’uomo”, “L’Ordine politico delle Comunità”, “Il cammino della Comunità” (Comunità sempre con la maiuscola); poi, per questo anno pastorale che abbiamo concluso, mi è purtroppo sfuggito “Noi sogniamo il silenzio”. Scusa l’apologia di un grande uomo semplice, che camminava vestito semplicemente, con il capo chino sempre assorto nei suoi sogni. Mi dirai che è un peccato desiderare segretamente persone un po’ così, nel costruire una comunità; una comunità che crea legami forti, attenta alle persone e alle loro situazioni, che cerca soluzioni più che moltiplicare difficoltà. Una Comunità che crea appartenenza, sentimenti di condivisione anche di una storia, di legami; che fa sentire le persone a loro agio, anzi, che offre la possibilità di dare il proprio contributo alla vita di Comunità; e in questo si possa trovare soddisfazione. Ora ti confesso: per quanto ho scritto, ho trovato la provocazione nel titolo di un articolo che trattava di storie e visioni della nuova economia: “Creare Comunità fortifica il legame fra aziende e clienti”. Era troppo bella la provocazione: scoprire quanto l’esperienza di Comunità, che da sempre la Chiesa propone e sostiene, faccia parte dell’aspirazione più profonda dell’uomo, anche nella sua vita sociale e persino economica. Possa essere anche il nostro sogno all’inizio dei questo nuovo Anno Pastorale. Tutti un po’ community manager (per una volta mi sono lasciato trascinare dall’inglese che non so). Buon cammino vs. dongiuseppe

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VITA DELLA CHIESA

La parrocchia missionaria

Dalla relazione del vescovo Francesco l’11 settembre La prospettiva: lavoriamo per il futuro della parrocchia, creando condizioni relazionali di prossimità, vicinanza, fraternità È un nostro preciso dovere immaginare il futuro delle nostre parrocchie, chiederci cosa il Signore si attende da noi in questa situazione, considerare la difficoltà dell’oggi come un’opportunità che ci permette di ripensare la nostra pastorale e preparare un futuro alla trasmissione della fede nella nostra terra. Non si tratta di avere chissà quali conoscenze o quali doti che ci facciano intravedere il futuro. Basta semplicemente avere fede nel Signore risorto che accompagna la sua Chiesa lungo la storia. Basta prenderci cura sul serio dei fratelli e delle sorelle che il Signore ci ha affidato. (Cataldo Naro) Un cambiamento d’epoca investe la figura della parrocchia e la pluralità delle sue forme, il ministero del presbitero e la ministerialità laicale. Da qui la necessità di avviare un percorso“sinodale”che coinvolga dall’inizio tutte le componenti della comunità cristiana attorno a queste questioni. La Parrocchia è una forma della comunità cristiana in cui si realizza la comunione dei diversi, una sorta di anti-Babele, figura del Regno. E’ la Parola, lo Spirito, l’Eucaristia che fa la comunità cristiana. Lo Spirito è novità irriducibile e inesauribile. La Parrocchia, come rappresentazione storica della comunità cristiana, attinge a questo Dono la sua “originalità”: per mantenerla deve continuamente discernere e ridisegnare, specie in epoche di cambiamento o addirittura in un cambiamento d’epoca, i tratti della sua fisionomia così che ne rivelino la sua “originale novità”. Proprio per questo, possiamo oggi immaginare diverse tipologie di Parrocchia, salvaguardando la sua connotazione“popolare”. Il primo passaggio a partire dal livello della “comunità eucaristica” è quello della celebrazione eucaristica domenicale. “Se un anello fondamentale per la comunicazione del vangelo è la comunità fedele al «giorno del Signore», la celebrazione eucaristica domenicale, al cui centro sta Cristo che è morto per tutti ed è diventato il Signore di tutta l’umanità, dovrà essere condotta a far crescere i fedeli, mediante l’ascolto della Parola e la comunione al corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle mura della chiesa con un animo apostolico, aperto alla condivisione e pronto a rendere ragione della speranza che abita i credenti. In tal modo la celebrazione eucaristica risulterà luogo veramente significativo dell’educazione missionaria della comunità cristiana”. (48) “È dunque l’Eucaristia della domenica che riunisce la comunità e le detta il cammino; e, d’altra parte, è il cammino della comunità che dà alla celebrazione domenicale il senso di un cammino del Vangelo nella storia e nel tempo degli uomini”. (Sinodo diocesano 2007) La seconda questione è quella della fede adulta e dunque dei percorsi formativi che abilitano al discernimento della vita in tutti i suoi aspetti e implicazioni. In questo senso le domande poste allora, mantengono la loro attualità anche nella nostra Diocesi. Che ne è stato del “progetto catechistico” e che ne è oggi? Vi sono ancora le condizioni

per un progetto complessivo? Quale ruolo vi assume la parrocchia? E le associazioni? In che termini avviene la formazione dei catechisti? La proposta di formazione di catechisti per gli adulti e la scelta preferenziale del metodo Biemmi che riscontri ha avuto? Se queste priorità investono la comunità eucaristica o, se vogliamo, in termini generici la comunità cristiana che vi si riconosce, quale considerazione e quali prospettive pastorali per i battezzati che non si riconoscono nella comunità? Il ventaglio delle risposte a questo interrogativo è molto ampio: la valorizzazione delle “soglie esistenziali” sulle quali possiamo incontrare tutti; la prossimità nelle terre di frontiera della vita; l’iniziazione cristiana dei ragazzi e degli adulti; le proposte di “primo annuncio” e di riscoperta della fede; la testimonianza e il dialogo nelle terre esistenziali da parte di laici credenti e convinti; il dialogo culturale; l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Alla luce di questo percorso emergono i lineamenti del volto missionario della parrocchia che prende sempre più la forma di una “Fraternità ospitale e prossima, generata dal Vangelo e dalla Grazia”. Il n.13 del documento CEI del 2004 “Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia” offre indicazioni essenziali in questa direzione. Si tratta di generare, alimentare e sviluppare relazioni nel segno della fraternità evangelica e quindi ali-


DIOCESI

mentata dal Vangelo e dalla Grazia, capaci di manifestare un’attenzione altrettanto evangelica nei confronti di coloro che sperimentano condizioni di povertà, fragilità, esclusione e nello stesso tempo capaci di una presenza “prossima” sulle “soglie, terre, periferie esistenziali” abitate da tutti. Molte persone si rivolgono alla parrocchia ogni volta che si trovano a vivere vicende personali, familiari e sociali importanti, che mettono in gioco il senso della vita e il valore dei legami fondamentali: la generazione e la nascita, la crescita e l’educazione, la formazione della coppia e della famiglia, la malattia e la morte. Questi passaggi costituiscono “luoghi” fondamentali dell’esperienza umana, nei quali ognuno può percepire più direttamente che la vita appella alla fede, alla dedizione e alla speranza; soprattutto in questi “luoghi” il Vangelo può trovare efficace accoglienza. (Sinodo, 21) La dimensione del dono ha la sorgente nell’Eucaristia, ma si rivela in una relazionalità fraterna. Il dono deve assumere visibilità in una relazione promossa e riconosciuta. La cura della relazione fraterna è inseparabile dalla cura della relazione con il Signore Gesù. La questione del “contesto” si pone come decisiva, non solo in termini negativi o problematici, ma anche in termini generativi e connotativi in rapporto alla figura di parrocchia e del ministero presbiterale. Abbiamo da tempo lasciato la stagione in

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cui la comunità cristiana a tutti i livelli creava il contesto, al punto da identificarsi con il contesto stesso. Si tratta di riconoscere che il contesto velocemente mutato condiziona decisamente la fisionomia della comunità cristiana. La via che proponiamo non è quella della “resistenza”, neppure quella della “resilienza”, ma quella della “assunzione” del contesto. Il contesto prende la forma delle “soglie, terre e periferie esistenziali”, che interpellano e disegnano la figura e la missione della parrocchia e del ministero. Si tratta della cura pastorale del credente e della proposta del Vangelo al non credente, al non battezzato, alla diversificata condizione di una moltitudine di battezzati. In che termini consideriamo le appartenenze diversificate e le non-appartenenze? Ad esempio: la “comunità eucaristica;” il volontariato parrocchiale; i battezzati assenti e/o non credenti, ostili; “infantili”; i non battezzati: stranieri e italiani. La parrocchia non è riconducibile solo alla “comunità eucaristica”, chiamata ad essere segno e testimonianza della “Fraternità ospitale e prossima, generata dal Vangelo e dalla Grazia” attraverso la cura e la testimonianza di reali relazioni fraterne: essa è appunto “ospitale e prossima” e dunque aperta e vicina alle condizioni più diverse di vita e di fede. Si tratta di definire le condizioni perché la parrocchia rappresenti questa figura di comunità cristiana. L’accoglienza è una di queste condizioni. Si tratta di promuovere uno stile comunitario, ma anche un ministero e delle strutture che lo esprimano. Si pone la questione dei tempi, delle strutture materiali, delle competenze e delle figure per il ministero dell’ascolto. Certamente entra nel novero di queste considerazione l’immagine della casa parrocchiale, delle chiese aperte, accoglienti e abitate; della segreteria parrocchiale e della figura dell’ “accueil”. Nell’orizzonte dell’accoglienza si collocano le grandi questioni del sacramento della confessione e della direzione spirituale. In termini più ampi, la dimensione dell’accoglienza investe le relazioni con cristiani e comunità cristiane ortodosse e protestanti e con fedeli e comunità religiose non cristiane. Un capitolo di assoluto rilievo è rappresentato dalla figura dell’Oratorio con le caratteristiche proprie della nostra tradizione e l’ampia accoglienza che le strutture parrocchiali accordano a molteplici soggetti sociali e culturali. È il superamento della figura di “Chiesa delle opere”, nella figura di “Chiesa delle relazioni”. La figura di parrocchia missionaria introduce in maniera molto significativa la questione delle “pluriformi” ministerialità laicali: la loro “definizione”, il loro riconoscimento, le loro caratteristiche (gratuità, temporalità). La carenza di laici disponibili, non dipende anche da dinamiche parrocchiali che non sembrano sufficientemente motivanti? Affido al presbiterio e a tutta la comunità cristiana questa riflessione, che si propone di arrivare ad alcune (poche) scelte “generative” capaci di alimentare speranza nelle nostre Parrocchie, nel concreto servizio dei presbiteri e nel cammino di tutta la Diocesi. I passaggi che ci attendono richiedono una scansione piuttosto contratta: entro dicembre le Fraternità e i Consigli pastorali parrocchiali sono chiamati a produrre le loro riflessioni a partire da questo testo. Nei mesi successivi, i Consigli e gli organismi diocesani lavoreranno sul materiale raccolto, per arrivare a giugno a individuare le scelte “generative” da condividere con tutte le parrocchie nel corso del Pellegrinaggio Pastorale. Grazie e Benedizione

+Francesco Beschi

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VITA DELLA CHIESA

Rimanere umani

L’ex parroco di Bondo Petello, don Adriano Peracchi, scrive a commento di un articolo di Daniele Rocchetti, pubblicato sul settimanale santalessandro.org Caro Daniele, vorrei reagire all’articolo che hai scritto perché pone questioni per me decisive. Parto da un interrogativo che mi pare una domanda di sostanza: vivere il Vangelo non consiste nel vedere Gesù Cristo nel povero? Il povero è la carne di Cristo. Lo dice ripetutamente Papa Francesco e lo dimostra con l’energia di scelte quotidiane; lo ha fatto a Lesbo quando per un bel momento rimase in piedi ad ascoltare un profugo che voleva esprimere tutto il dramma vissuto e subito. Lo dice quando si siede a mensa con i poveri e i profughi. Non lo dice con prudenza ma con la forza dello stupore e della verità riconosciuta.

Un primo ricordo: Papa Giovanni

Data la mia non giovane età mi viene spontaneo pensare al momento in cui apparve Roncalli alla loggia vaticana dopo la fumata bianca, con il nome di Papa Giovanni XIII, nel 1958. Delusione prima e poi sorpresa con ammirazione. Delusione perché il mio immaginario era intriso di un’immagine-Chiesa identificata in un Papa nobile, teologo di prima qualità riassunto nella figura bianca, alta, quasi diafana di Pacelli; mi sembrava impossibile che un bergamasco come Roncalli potesse essere il continuatore della Chiesa di Cristo. Invece due gesti semplici ma sorprendenti: si reca in visita nel reparto oncologico dell’Ospedale Bambin Gesù e accarezza i bambini ricoverati e va nelle carceri di Rebibbia dicendo ai carcerati che “…ho messo i miei occhi nei vostri occhi” come a dire “ho incontrato la vostra umanità, è come la mia”. La vera sorpresa con ammirazione fu quando, quasi in sordina, comunica che intende aprire un Concilio Ecumenico invitando tutti i Vescovi della Chiesa a incontrarsi; chi se lo aspettava tanto umile coraggio? Anche i Cardinali e buona parte della Curia romana rimasero spiazzati. Eppure questa ispirazione era nelle radici e nelle esperienze di Roncalli che proveniva da un lungo soggiorno in Oriente e poi a Parigi, in convivenza e relazione con persone e comunità che vivevano e interpretavano la fede in Cristo secondo tradizioni e culture diverse. L’idea del Concilio non era quindi un evento-spot, un promo pubblicitario, ma un profondo desiderio appassionato, condensato in una vita vissuta nelle relazioni più disparate, in obbedienza e pace.

Un secondo ricordo: i docenti del Seminario

Chi come il sottoscritto viveva quegli anni di Teologia in Seminario, ebbe la fortuna di incontrare insegnanti che già, allora, ci aiutavano a leggere e a interpretare il Vangelo non come un raccontino, ma a scoprire, anche nelle parabole, i tratti del regno di Dio come il sogno di un futuro più umano e più fraterno, come don Leone Algisi. Anche don Alberto Bellini, professore di dogmatica, che faceva parte della Commissione Ecumenismo con il Card. Bea. Ogni volta che rientrava a Bergamo, ci faceva gustare un modo più aperto di guardare il mondo: cadevano di giorno in giorno i pregiudizi sugli ebrei, i sospetti sul mondo protestante, ci apriva alla ricchezza di un cammino di fede in situazioni diverse da quello cattolico. Ci faceva conoscere i teologi proibiti come de Lubac, Schillebeecks, Hans Kung e tanti altri. Ci insegnava a leggere l’esperienza drammatica di Dietrich Bonhoeffer, con la consapevolezza di partecipare a costruire il Regno di Dio anche in carcere. Nel frattempo scoprii che tra i Vescovi, al Concilio, si muoveva la domanda di una

Chiesa povera. Ne era l’animatore Helder Camara, il Vescovo di Recife in Brasile, che si dava da fare per accrescere consapevolezza tra i Vescovi per una scelta di Chiesa povera tra i poveri. Anche Papa Francesco viene da un altro mondo, come Camara. Dom Helder Camara raccolse la disponibilità di 500 vescovi pronti a sottoscrivere un documento sul tema “ Chiesa dei poveri, povera tra i poveri”; egli stesso era con la sua Diocesi la testimonianza vivente di questa Chiesa. Quando incontrai, nel 1984, in Nicaragua, Mons. Casaldaliga, mi testimoniò che Don Helder si spostava nella sua diocesi solo a piedi o con mezzi pubblici perché non aveva episcopio.

La Chiesa da cui viene Papa Francesco

La storia della Chiesa, in particolare in America Latina, è ricca di testimonianze di coscienza della Chiesa dei poveri, come in El Salvador con il Vescovo Oscar Romero che puntualmente, domenica dopo domenica, nell’Omelia faceva i nomi e i cognomi di coloro che venivano rintracciati, da Marianella Garcia collaboratrice della sua Dioce-


LA CETATTENZIONI 3 5 Da ottobre anche ad Albino un centro di preghiera per persone separate, divorziate o che hanno formato una nuova unione.

si, nelle discariche o in sepolture di fortuna. Penso sia utile marcare queste testimonianze profetiche, sia religiose che laiche, perché sono i prodromi dello stile di Papa Francesco. Il Povero, carne di Cristo. Diceva Camara che bisogna “…vivere le due dimensioni della croce di Cristo: quella verticale verso Dio e quella orizzontale verso i fratelli, nella preghiera e nell’amore”. Credere nella incarnazione. Testimoniare la passione e morte di Cristo incontrando il profugo, quello che fugge dalla guerra, dalla miseria, dalla morte. Il Povero, il profugo, carne di Cristo. Uno stile di vita nella chiesa bel delineato nelle parole del documento conciliare Gaudium et spes: Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.

Buongiorno a tutti voi, sono Elisa, separata da 10 anni, da tre sono una consacrata laica e faccio parte del Gruppo “La Casa”. Con il Gruppo “La Casa” la diocesi di Bergamo già da molti anni si rivolge alle persone separate, divorziate o che hanno formato una nuova unione, offrendo loro l’opportunità di vari cammini di sostegno e crescita spirituale nella Chiesa. Sia mediante incontri personali, sia con incontri periodici di gruppo. A Bergamo, indicativamente il terzo giovedì di ogni mese alle 20.30 presso la Comunità del Paradiso, ci sono incontri di confronto e di formazione, che avvengono sempre in presenza di una guida spirituale (sacerdote o diacono permanente) e di alcuni collaboratori, che in questi anni hanno fatto un buon cammino di rielaborazione del loro vissuto di separazione, divorzio o nuova unione ed ora si mettono a disposizione per gli altri amici che arrivano al gruppo. Il gruppo “La Casa” anima centri di preghiera appositamente pensati per persone che hanno provato il dolore di una separazione o di un divorzio: si tratta di oasi di spiritualità in cui sperimentiamo come Dio consola ogni cuore e lo riscalda di amore infinito. Dio ci ama sempre tutti. Padre buono e misericordioso! Siamo felici di avvisare che dal prossimo mese di ottobre apriremo un nuovo centro di preghiera che si terrà presso il Convento dei Frati Cappuccini in Albino, aperto in particolare a chi nelle parrocchie di questa CET Valle Seriana sta vivendo la sofferenza per una separazione o ha bisogno di trovare luce per il proprio futuro. L’incontro di preghiera si terrà ogni primo mercoledì del mese dalle 20,30 alle 22,30. Troverete indicazioni più dettagliate sulla locandina e sui volantini presenti in ogni chiesa. Questo a grandi linee il “lavoro” che il Gruppo “La Casa” vuole offrire. Contiamo inoltre sul passaparola, per portare a conoscenza questo servizio di aiuto e sostegno, e per far capire che l’amore misericordioso di Dio mai esclude e a tutti apre le sue braccia!! Perché troppo spesso sentiamo frasi del tipo “sono separato divorziato e non vado più a Messa, non faccio più parte della Comunità”. Ricordiamoci: Dio, come buon padre, ci ama sempre e mai si dimentica di noi. Grazie

Il vero problema oggi è che come Chiesa rischiamo di disattendere un segno dei tempi provvidenziale per riprendere a vivere da umani. E per rimanere umani.

Aprile 2019


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TESTIMONIANZA Trenta anni passati a salvare vite di naufraghi e a dirigere il piccolo poliambulatorio dell’isola

Bartolo e l’incubo che ritorna: «In quei sacchi c’erano i bambini» I racconti del “medico di Lampedusa”, oggi europarlamentare.

«Non è perché sono medico che non ho paura. Io ho paura quando devo aprire quei sacchi. Ne ho lì venti, cinquanta, cento, e solo nel momento in cui li apro scopro chi troverò dentro... La mia paura peggiore è che ci sia un bambino. Non sono numeri, sono persone, le vedo in faccia. Il bambino con i pantaloncini rossi mio malgrado l’ho guardato negli occhi, non lo avessi mai fatto, l’ho scosso, volevo si svegliasse, ed oggi è il mio incubo». È denso di umile umanità il racconto del dottor Pietro Bartolo, noto al mondo come ‘il medico di Lampedusa’. Il tendone bianco sulla riva del mare di Lerici (La Spezia) straripa di gente che è lì per sapere, anche per vedere (se lo sguardo regge le immagini proiettate): le parole non bastano, l’assuefazione ci ha anestetizzati, non piangiamo più come ai tempi della “strage di Lampedusa”, quando il 3 ottobre del 2013 il mare inghiottì a due passi dalla terraferma 368 viaggiatori, e allora servono le foto, i corpi, i segni delle sevizie, gli sguardi che implorano. “Lerici legge il mare”, rassegna di letteratura e cultura marinaresca promossa dalla Società Marittima di Mutuo Soccorso assieme al Comune, e curata da Bernardo Ratti, quest’anno ha consegnato a lui il premio per la “Solidarietà in mare”, e Bartolo – che oggi è europarlamentare perché «mi sono detto qua non cambia niente, ho provato come medico, ho scritto libri, ho fatto l’attore in “Fuocoammare”, ho girato le scuole e l’Europa, posso ancora provare con la politica, una politica di servizio, una politica come arte nobile » – Bartolo, dicevamo, condivide il premio con i ragazzi della Capitaneria di porto, i carabinieri, la polizia, i vigili del fuoco «che nei trent’anni in cui ho diretto il poliambulatorio di Lampedusa hanno rischiato la vita tutti i giorni per salvare i naufraghi».

Scuoiati vivi per renderli bianchi

Lampedusa è croce e delizia, bellissima e atroce. Per natura è a forma di zattera, si direbbe destinata. «Come arrivano i migranti dalla Libia lo sappiamo solo noi», continua Bartolo, «lì i neri non hanno lo status di esseri umani, le donne ancora meno. Se sono donne e nere potete immaginarlo», dice scorrendo le diapositive. È passato il tempo in cui si chiedeva se fosse il caso di mostrarle, ora lo ritiene un dovere. Così vediamo le lacrime di Nadir, 13 anni, nero, solo una gamba è bianca: il gioco osceno dei carcerieri libici che scuoiano i vivi per renderli chiari (il fratellino è tutto bianco. Ma lui è tra i morti). Vediamo le lacrime di Bartolo stesso, sceso nella stiva quel 3 ottobre del 2013 al buio, «camminavo su cuscini, non capivo. Poi ho acceso la pila e sono scappato fuori, stavo calpestando i 368 morti»: i più giovani e forti erano stati stivati là sotto senza oblò, nella ghiacciaia per il pesce, e quando avevano cercato di uscire per respirare la botola era stata bloccata da fuori. «Non avevano più polpastrelli né unghie, li avevano consumati prima di soffocare. Capii solo allora il pianto di quelli di sopra: erano i loro fratelli, le madri impotenti». Vediamo gli occhi profondi di una giovane madre sdraiata senza abiti sulla lettiga, magrissima, il seno vuoto, gli arti abbandonati come non le appartenessero, «ha

perso l’uso delle gambe perché dove era tenuta prigioniera non le ha potute muovere per sei mesi». Un lungo tempo in cui ad accudirla è stata la sua bambina, diventata sua madre a quattro anni. «Abbiamo dato dei biscotti a quella bimba, invece di mangiarli li ha sminuzzati e li ha messi nella bocca della mamma». Il peluche invece lo ha lasciato lì senza guardarlo, «non era più una bambina, cosa se ne faceva? Era stata anche lei violentata, come la madre» (che oggi sta meglio e comincia a camminare). Quante volte ha pensato di mollare e si è rivolto «a chi è sopra di me...», trovando sempre la forza di andare avanti «nelle tante cose belle che comunque accadono»

Nata due volte

Perché Bartolo resta anche una fonte dirompente di speranza, uno che non si arrende e sa che il bene contagia più del male. Così tra le foto passa anche quella di Pietro, che non è Bartolo ma un bimbo appena nato dopo il salvataggio, ancora a bordo, cui il medico ha legato l’ombelico con il laccio delle sue scarpe. «A quest’altro neonato lo ha legato sua madre strappandosi una lunga ciocca di capelli... Mi ero accorto che a quella ragazza si vedeva la pelle del cranio e pensavo fosse stata torturata, come al solito, invece non avendo le forbici non aveva esitato a strapparseli per il suo bambino. Sono persone straordinarie, non so quanti di noi...». E poi vediamo Kebrat, bella come un’attrice: «Nel gruppo di cadaveri ho sentito un battito nel cuore di una donna, impercettibile, pensavo di sbagliarmi. Ho fatto subito


MIGRANTI

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non solo raccontare ma vivere esperienze che ti cambiano la vita. A Lampedusa ho compreso come l’energia delle persone a volte si rivela più grande di loro: il rapporto tra i lampedusani e il loro mare è stupefacente. Così come è stato nel naufragio della Costa Concordia, in una notte d’inverno l’Isola del Giglio si è fatta madre di una cosa enorme... Il privilegio – ricorda allora Alessandro – non è di essere buoni, ma di compiere un dovere istituzionale». Perché in mare la solidarietà è legge, e le regole sono «un patrimonio che si è sedimentato, guai a perderlo». Il primo oltraggio «è stato confondere il soccorso, che è senza se e senza ma, e l’accoglienza». Il soccorso non ha vie di mezzo, è un interruttore, o è sì oppure è no, o rispondi o decidi di lasciar morire, «ma se oggi una legge ci dice che salvare l’uomo in mare è reato, che se lo fai ti sequestrano la barca e ti sanzionano, magari tiri dritto. È già successo, hanno chiamato aiuto, nessuno ha risposto. Per legge». Il medico e Kebrat, la donna “nata due volte”.

il massaggio cardiaco e l’ho inviata in elicottero all’ospedale di Palermo, ma aveva i polmoni pieni d’acqua, era un caso disperato, per quaranta giorni è rimasta in coma. Due anni fa me la sono trovata in aeroporto, veniva per ringraziare: era sposata, madre di due figli, una bella casa in Svezia, un lavoro. Non l’ho riconosciuta, io l’avevo vista morta...».

Lasciati affogare. Per legge

Con lui a Lerici c’è l’ammiraglio Vittorio Alessandro, 40 anni di carriera nelle Capitanerie di porto, comandante in varti porti, a lungo responsabile della comunicazione per la Guardia Costiera, un anno intero a Lampedusa. «Nella attuale tempesta di slogan urlati e punti esclamativi, ho potuto

Le antiche leggi del soccorso in mare

La spiegazione dell’ammiragiio è tecnica: una operazione di soccorso ha un inizio e una fine, «secondo la norma, è finita solo quando le persone raccolte in mare arrivano a terra. L’emergenza non prevede attese, ve la vedete un’ambulanza costretta a fermarsi per giorni con il malato a bordo, perché in ospedale si fanno riunioni per decidere il da farsi? Se rinunciamo ai codici del mare antichi di secoli, se una legge ci dice che chi è in mare può aspettare, perdiamo la nostra cultura, perdiamo noi stessi». Impressiona un paragone: sulla Costa Concordia c’erano 4.200 persone, «quanti giorni sarebbero stati necessari per portarli in salvo e chiudere l’operazione di soccorso, con i ritmi imposti oggi quando ad arrivare sono 30 o 40 migranti? Lo Stato è riuscito ad autosequestrarsi le navi, a fermare le proprie motovedette... Il ritorno alle regole è fondamentale, non per tornare necessariamente a come eravamo prima, non bisogna essere ideologici, credo si debbano trovare nuove soluzioni, che non possono essere solo italiane, devono essere europee e dell’Onu. Ma nel frattempo dobbiamo esserci!». È il motivo per cui il dottor Bartolo oggi siede in Europa, convinto che il trattato di Dublino sia «il nostro capestro. Sono stato uno dei più votati in Italia, mi hanno dato un mandato e non lo deluderò - promette -. Quando la riforma di Dublino sarà varata, tornerò a fare solo il medico». Si capisce che non vede l’ora. Il medico di Lampedusa. Lucia Bellaspiga Avvenire, martedì 10 settembre 2019

Diventiamo prossimo La Caritas Parrocchiale ripropone l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica. MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata mensilmente per il periodo indicato  Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20,45 alle 22  Con bonifico bancario tramite il Credito Bergamasco Agenzia di Albino Iban: IT 79 Z 05034 52480 000000010735 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO  Con libere offerte anche utilizzando la cassetta all’entrata della chiesa parrocchiale

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VITA DELLA CHIESA PREVENZIONE PER COMBATTERE ALCOOL E DROGHE

PERFEZIONE O FELICITÁ?

Rubrica a cura del Centro di Ascolto e Auto-Aiuto “Promozione Umana” di don Chino Pezzoli. Molti genitori sono eccessivamente esigenti verso i figli e chiedono successo nella scuola, nello sport e nella vita. Dimenticano però che la cosa più importante è far crescere adulti felici e motivati. È un’ambizione diffusa fra i genitori: sperare di far crescere figli perfetti, proiettati in un futuro di successo. Spesso però questo loro desiderio non coincide con i risultati ottenuti, e ancor meno con le aspettative dei figli. Non è detto che iscrivere i propri figli alla scuola migliore della città, a competizioni sportive, a corsi di specializzazione e vestirli da monegaschi, con una pettinatura da principe possa bastare a far di loro uomini e donne perfetti. E poi, i genitori sappiano che figli perfetti non esistono. Quelli felici sì.

I FIGLI NELLA TESTA DEI GENITORI

I figli perfetti ci sono, ma solo nella mente dei genitori. Quante volte davanti a un voto del figlio/a magari anche buono, gli chiedono: “Come mai 7 e non 8?”. Nella maggior parte dei casi questa domanda innesca un sentimento di inadeguatezza nei figli. I genitori troppo esigenti hanno spesso come risultato figli bulli, arroganti, che emarginano gli altri e in alcuni casi, usano la violenza per prevalere. Alcuni di essi restano eterni figli, la casa dei genitori è la nicchia dove

sono venerati, adorati, è facile capire da chi… i genitori che vogliono figli perfetti, fin da piccoli, li spingono a frequentare corsi di violino, di pianoforte, di danza classica. Devono studiare il cinese, che è la lingua del futuro, e magari l’idioma sanscrito, che è la lingua del passato. Devono crescere perfetti e i genitori sentirsi onorati del loro “prodotto” eccellente. Ne consegue che sono esigenti affinché primeggino a scuola, nel gruppo degli amici e persino nella scelta del partner.

SOSTITUIRE I FIGLI

I genitori che coltivano questa immagine idealizzata, ostacolano i percorsi mentali ed evolutivi dei figli. Purtroppo essi pensano di facilitare la vita dei figli sostituendoli perfino nelle scelte. Succede che per amore fermino la loro crescita. Scrive sul suo diario Valentina di diciassette anni: “Non ho mai fatto una scelta mia, nemmeno quella di uscire di casa con le mie amiche senza l’assenso dei miei genitori. Sono loro che hanno sempre pensato per me e ora mi trovo insicura. Ogni problema mi si presenta come insuperabile. Persino la notte devo lasciare la luce accesa: quante paure!”. Come mai i genitori non sanno che la cosa più importante che possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro?

STRESSATI DALLO STUDIO

Ottenere buoni risultati, essere i primi, fare bene a scuola per far felici i genitori e non soltanto…. Quanto pesa tutto questo sull’equilibrio psichico dei ragazzi? Molto, a guardare una ricerca Ocse su benessere scolastico secondo cui i ragazzi italiani sarebbero più ansiosi e meno soddisfatti della media europea. In particolare questa indagine dice che tra i quindicenni, il 56% è nervoso quando prepara un test e il 70% è ansioso durante l’esecuzione del test, anche se è preparato. La media europea scende rispettivamente al 37% e al 56%.


EDUCAZIONE Gli studenti italiani sono anche insoddisfatti: il punteggio sulla soddisfazione nella vita è infatti di 6,9 (su 10) contro la media europea di 7,3.

LE FAMIGLIE PERFETTE

Si sa che le famiglie perfette esistono solo nella pubblicità delle merendine. Allora ci permettiamo di dare un consiglio: i genitori aspirino alla felicità piuttosto che alla perfezione dei figli. Avere figli gioiosi, accoglienti, soddisfatti delle proprie scelte, con qualche regola da seguire ben precisa e motivata, fa di loro, comunque, persone felici e di successo. Se alcuni genitori invece, credono che i loro figli siano i migliori, non si lamentino poi se la solitudine, la tristezza e l’insoddisfazione infetteranno la loro mente e l’egoismo atrofizzerà il loro cuore. Dice una massima: “I figli perfetti non esistono, semmai ci sono quelli che raggiungono una buona maturità che significa essere contenti di ciò che si è”. Concludiamo con una domanda: “Esistono figli che sanno amare?”. La risposta ai genitori.

Don Chino e il suo collaboratore don Mario hanno celebrato nella nostra Prepositurale Domenica 22 settembre alle 10.30. Fuori dalla chiesa i giovani delle comunità hanno presentato i prodotti del loro lavoro.

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MARITI E MOGLI, PADRI E MADRI, NONNI E NONNE MA SEMPRE FIGLI... Da giovani, quando si è intenti a perorare la causa della nostra vita (per dirla con Giovanni Pascoli), cerchiamo in tutti i modi di differenziarci dai nostri genitori e di prendere le distanze da loro. Non si ascolta volentieri chi ci ricorda, magari ingenuamente o pensando di farci un complimento, che siamo tutti nostro padre o nostra madre; o peggio chi ci riconosce e ci saluta non con il nostro nome ma con una versione più moderna e prosaica del famoso patronimico: “Ma tu, non sei il figlio di...?”. Poi, crescendo -o per meglio dire, invecchiando- ci si accorge che alcuni tratti della nostra personalità, alcuni aspetti del nostro carattere, in effetti, non sono molto diversi da quelli “ereditati” dai nostri genitori... Certo, vanno evitati facili determinismi: noi non siamo i nostri genitori. Insieme all’ereditarietà occorre tener conto dell’ambiente e dell’educazione, oltre che delle esperienze che abbiamo vissuto, delle scelte che abbiamo fatto. L’interazione di questi elementi dà vita a combinazioni inedite e non facilmente prevedibili, per fortuna. Ciò non toglie che qualcosa di loro ce lo ritroviamo addosso, anzi dentro: un certo modo di guardare la vita, di affrontare gli imprevisti, di minimizzare o ingigantire le situazioni problematiche, il senso dell’umorismo, una dose più o meno scarsa di ironia, la propensione a spendere o a risparmiare, la generosità e l’altruismo, la prontezza nell’andare in aiuto del prossimo o la diffidenza verso gli altri, il senso del dovere nell’adempiere la professione, l’emotività o la razionalità, l’ottimismo o il pessimismo, eccetera. Questa scoperta, che spesso facciamo con l’aiuto di chi ci conosce bene e ci vuole bene, inizialmente lascia un po’ perplessi; ci fa provare sensazioni diverse e contraddittorie. Da una parte ci sentiamo orgogliosi di assomigliare un poco a chi ci ha generato, questo specialmente per quanto riguarda le qualità che consideriamo positive; dall’altra rimaniamo sorpresi o forse delusi... Poi, a conti fatti tra pregi e difetti, sentiamo affiorare un senso di gratitudine, come se -nonostante tutto- prevalesse in noi la riconoscenza verso chi ci ha dato la vita e che magari non c’è più; pensando tra l’altro al fatto che a loro volta sono stati generati ed educati dai loro genitori, nei confronti dei quali probabilmente hanno provato sentimenti analoghi. Più che l’immagine della ruota -che mia nonna buonanima, riferendosi all’avvicendarsi delle generazioni, usava sempre- o a quella della catena, che lega una generazione ad un’altra ma con un’immagine tristemente “carceraria”, mi viene in mente quella della staffetta: ad ogni frazione i concorrenti si preparano a passare e a ricevere il testimone. A differenza della staffetta sportiva in quella vera, quella della vita, siamo però sicuri che tutti taglieremo il traguardo, anzi i traguardi, traguardi che con il passare del tempo si spostano sempre più avanti; ognuno taglierà il suo traguardo e ognuno, a suo modo, da vincitore. Enzo Noris

CENTRO DI ASCOLTO E AUTO-AIUTO “PROMOZIONE UMANA” di don Chino Pezzoli Via Donatori di Sangue, 13 Fiorano al Serio - Tel. 035 712913 Cell. 3388658461 (Michele) centrodiascoltofiorano@virgilio.it Facebook @centrodiascoltofiorano INCONTRI GENITORI mercoledì dalle 20.30 alle 22.30

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EDUCAZIONE - SCUOLA

Perde chi boccia

Nella scuola dell’obbligo, la bocciatura è una sconfitta di chi insegna SBAGLIARE SENZA LA PAURA DI RIPETERE L’ANNO È UN DIRITTO DI CHI IMPARA

Le bocciature scolastiche sono state sempre molto numerose in Italia, pur avendo un calo negli ultimi anni. Anche i bambini della scuola primaria a volte vengono bocciati: sono ancora un migliaio all’anno. Una volta andava peggio. Finire bocciati da piccoli era piuttosto facile e bastava solo un cattivo comportamento con un brutto voto in condotta per trovarsi nella lista dei ripetenti, ossia di quelli che l’anno successivo non seguivano il loro gruppo classe ma restavano in quello precedente. Una forma di crudeltà tipica della scuola di una volta, più efficace nel giudicare che nel promuovere ottimismo, autostima e fiducia nelle possibilità degli studenti. Era la scuola dove fino al 1977 si trovavano le “classi differenziali” dove si confinavano gli alunni difficili o con qualche ritardo cognitivo, piuttosto che aiutarli e integrarli nelle classi comuni, come succede fortunatamente oggi. La pedagogia moderna ha sempre criticato le bocciature nella scuola primaria e più in generale nella scuola dell’obbligo. Tutti gli alunni devono avere la possibilità di andare a scuola e di poter sbagliare liberamente, solo così possono imparare. Nessun alunno deve avere ancora paura della bocciatura. Crea solo mortificazioni. E se proprio ti capita di venir bocciato, ricordati che la scuola non può bocciare davvero la tua voglia di crescere, di vivere e di farcela comunque. Speriamo intanto che al più presto nella scuola elementare le bocciature vengano definitivamente abolite. Meglio, molto meglio la scuola che sa valutare i progressi piuttosto che giudicare unicamente gli errori. Tutti dovrebbero essere contenti di andare a scuola. Daniele Novara Pedagogista Avvenire - Popotus

Lettera di un insegnante al quotidiano Avvenire

Gentile direttore, sono un docente di scuola secondaria di primo grado. Quella che una volta si chiamava “Scuola media”, che secondo me ormai ha poco senso di esistere così com’è, ma questo è un altro discorso. La riflessione del pedagogista Daniele Novara punta il dito sul sistema scuola e sui docenti. Che bocciano (perché la decisione è dei docenti) attuando una «forma di crudeltà», essendo «più efficaci nel giudicare che nel promuovere». Cito ancora: La bocciatura, come la intende il dottor Novara è (forse) di quelle relative agli anni 70. Oggi la bocciatura è spesso concertata con la famiglia, specie nella scuola primaria, ove altrimenti non sarebbe possibile. E ci si pongono, da parte dei docenti stessi, tantissimi interrogativi sull’opportunità educativa di un simile atto amministrativo. È altrettanto vero che alcuni alunni fermati, hanno trovato la loro dimensione, cambiando ambiente scolastico (semplicemente in una classe diversa...), e l’«anno perso» lo hanno abbondantemente recuperato, molto più di quanto sarebbero riusciti a fare se non fossero stati fermati […] Sono anche educatore scout, quindi non credo di essere uno di quelli che non «cerca il 5% di buono in ogni ragazzo». Trovo che la frase conclusiva di quell’articolo «tutti dovrebbero essere contenti di andare a scuola» sia sibillinamente fuorviante. Spesso chi non è contento non lo è per la bocciatura, ma da molto prima. Spesso la famiglia non propone una idea positiva di cultura e di scuola, per cui, qualsiasi forma di richiesta, anche la più stimolante, viene vista come coercizione e boicottata Andrea Cittadini Bellini

La replica del pedagogista

Il problema che lei pone, gentile professor Cittadini, è serio e io, su invito del direttore, dialogo volentieri con lei. Molto raramente – vorrei poter dire “mai” – un insegnante boccia per il gusto sadico di punire ma, al contrario, per un senso di responsabilità verso l’alunno stesso e verso la società. Fatto salvo questo, e il lavoro coscienzioso di tanti insegnanti, io metto in discussione l’istituto della bocciatura in quanto tale. Perché si tratta di una pratica inerziale che non ha fondamento pedagogico, come la campanella, i compiti a casa, l’intervallo al banco o la lezione frontale. Lo spiego – spero bene – nel libro “Cambiare la scuola si può” (Rizzoli): per creare una scuola nuova, in cui gli insegnanti sappiano analizzare gli errori senza punire, stimolare i ragazzi a fare progressi tirando fuori le loro risorse, offrire percorsi di apprendimento a partire dai livelli di partenza di ciascun alunno e valutare i progressi non le mancanze, occorre liberarsi di tutte le pratiche coercitive, che non hanno ragioni scientifiche. È vero, come lei spiega, che nella scuola primaria la bocciatura è «concertata con la famiglia», ma nella primaria non si dovrebbe proprio bocciare! Gli effetti della bocciatura su bambini e preadolescenti, secondo la mia esperienza in consulenza, sono sempre depressivi, mortificanti e non riabilitativi, soprattutto se il ragazzino rimane nella stessa scuola. Un bambino o un ragazzino delle medie hanno fragilità di cui insegnanti, genitori ed educatori devono tenere conto: per costruire una vera comunità di apprendimento, bocciare non serve. Daniele Novara


ESPERIENZE EDUCATIVE - SCOUT

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SCOUT - Qualcuno ci precede Settembre è da sempre il mese che ci ricorda due cose: la fine dell’estate e la ripartenza verso tutte le attività che ci accompagnano durante “l’inizio” del nuovo anno. Anche noi scout, dopo esserci lasciati alle spalle tutti i campi e le route estive, siamo pronti ad iniziare nuovamente tutte le attività. Ripartire non è mai facile: la pausa dalle attività da un lato ci permette di riposare, ma dall’altro ci fa perdere il ritmo che ci consente di mantenerci pronti per fare sempre del nostro meglio. Per questo motivo la prima attività dell’anno non è con i nostri ragazzi. È un’attività tutta per noi, il cui obiettivo è permetterci di

portare al massimo la carica delle nostre batterie. Quell’attività che ci fa riscoprire quanto sia bello donare un po’ di sé stessi anche agli altri. Questo è quello che è accaduto sabato 14 e domenica 15 settembre: i capi del gruppo scout di Albino si sono ritrovati con i capi scout del distretto Nord-Ovest ad Alessandria, nei pressi dell’eremo di Betania. Tutti insieme, alla scoperta del tema dell’anno: “Qualcuno ci precede”. Così, durante l’uscita, ci siamo soffermati sul fatto che Qualcuno ha camminato prima di noi sui nostri sentieri, che Qualcuno ha aperto la via per noi, che Qualcuno ha fissato un esempio da imitare. E quel Qualcuno è

proprio Gesù. Un sentiero non proprio facile da seguire in modo incondizionato ma un modo di vivere mostrato da colui che vuole per noi una vita di gioia, di amore, di un amore gioioso, radicale e incondizionato, nonostante tutto. Durante l’uscita abbiamo avuto modo di incontrare il vescovo di Alessandria mons. Guido Gallese, che ci ha guidato durante il sabato pomeriggio, i profeti del passato, che abbiamo riscoperto durante la veglia serale, e tutti i capi dei gruppi vicini, con cui abbiamo condiviso il nostro essere capi scout nel seguire la via tracciata da chi ci precede.

Orso Laborioso

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VITA PARROCCHIALE

I volti delle persone. Le risposte della comunità. Pubblichiamo gli appelli - in sei punti - che giungono dal Centro di Primo Ascolto e Coinvolgimento della parrocchia di Albino che ha sede piazza San Giuliano.

a) Quali le fragilità incontrate

Già da tempo, nelle analisi di fine anno sui problemi affrontati dal nostro Centro, si erano rilevate alcune fragilità, che inducevano tutte le altre, e che, in alcuni soggetti, si erano cronicizzate tanto da indurli in una situazione di apatia, di totale mancanza di energie e di stimoli a cercare una qualsiasi via d’uscita. I nostri tentativi di coinvolgerli minimamente in un progetto in cui fossero attivamente interessati, falliva. Purtroppo, in queste situazioni, la povertà economica aveva indotto anche un’apatia psicologica unita a quella filosofia della vita per cui si pensa esclusivamente ad uscire in un modo qualsiasi dalla difficoltà dell’oggi e non si riesce a progettare un benché minimo percorso per affrontare costruttivamente anche una sola delle proprie difficoltà. Superata la difficoltà dell’oggi, dopo qualche giorno o settimana, si ripiomba nella stessa identica situazione, con maggior sofferenza, inclinando anche verso forme di rassegnazione (ineluttabilità – depressione?) o di rabbia (rivolta e accusa?). Sono queste le situazioni di “grave povertà cronicizzata” in cui si sono trovate le persone senza lavoro da troppo tempo, che sopravvivono solo grazie ad interventi assistenziali e lavoretti “in nero”, che non ricercano più nessun’altra soluzione, anzi con insistenza e talvolta anche con aggressività, non richiedono altro se non un intervento economico tampone. Tale situazione ha messo in crisi anche le famiglie ed alcune si sono disgregate: qualche uomo è partito forse in cerca di lavoro lasciando sola la moglie con i figli. Sono situazioni nelle quali permane culturalmente la convinzione che siano le donne a dover provvedere ai figli, mentre l’uomo, se non ha reddito, si sente “fatalmente” esonerato da tale responsabilità. Per alcuni poi il lavoro è solo la “scusa” per rompere una tensione insostenibile: chi non è andato lontano, ha trovato un lavoro “in nero” e si è costruito un’altra famiglia. Emerge quindi come primaria fragilità la mancanza del lavoro, di un’occupazione che non dia solo una retribuzione che consenta di provvedere ai bisogni propri e famigliari, ma che permetta anche all’individuo di ritrovare la propria dignità. E questo non per ridurre le spese dell’assistenza, ma innanzitutto per ragioni di giustizia (e di attuazione della Costituzione: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”). Il lavoro è un diritto-dovere e chi lavora onestamente contribuisce alla crescita economica e alla sicurezza della nazione. Qualche palliativo si è realizzato in questi ultimi anni, con l’introduzione, prima, del Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) e del Reddito di Inclusione (REI), ed ora col Reddito di cittadinanza (RDC), ma queste forme di contrasto alla povertà sono insufficienti senza la realizzazione dei pur previsti «progetti personalizzati di attivazione sociale e lavorativa», di cui attendiamo i risultati, auspicando che riescano veramente a realizzare quello che il progetto prevede, cioè l’attivazione sociale e lavorativa, e non si riducano ad un’altra forma assistenziale. Contigua alla prima è la fragilità di donne sole (e con minori): alcune rassegnate a vivere dell’assistenza che potrebbe-dovrebbe essere garantita da quella che appare loro come una società opulenta, altre che disordinatamente si arrabattano per so-

pravvivere e con piccoli sotterfugi cercano di rinnovare “permessi ….”. È questa una fragilità in molti casi aggravata da condizioni di cui si hanno intuizioni senza possibilità di accertamenti, ma che necessitano di continua attenzione (“donne a rischio”). Difficile appare anche la situazione dei minori, tutelati parzialmente per la salute e la scolarizzazione, ma la cui crescita, tra tensioni e situazioni famigliari difficili, evidenzia problematicità soprattutto nel periodo adolescenziale. Altro problema, anche per chi un lavoro ce l’ha, è quello della casa il cui affitto di mercato non è sostenibile con certi redditi (ed alla casa sono collegate le varie bollette per energia, gas, …). Ad Albino ci sono alcuni dimoranti senza residenza e forsanche qualcuno senza fissa dimora, ma soprattutto si hanno sfratti e famiglie che faticano a trovar casa. Ci sono le case ALER, ma la disponibilità è insufficiente, l’iter burocratico lungo, le graduatorie inevitabilmente difficili da scalare. Ci risulta ci siano anche diverse abitazioni vuote ed un certo numero di case che richiedono interventi strutturali per essere messe a norma e divenire abitabili. Ma tali alloggi sono accessibili solo a prezzi di mercato, difficilmente sostenibili da famiglie coinvolte da


VITA PARROCCHIALE

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re le proprie risorse e capacità lavorative ed al sostegno economico per la frequenza di corsi di formazione professionale, sia per i giovani che per riqualificare i disoccupati -, abbiamo sempre indirizzato ai centri specifici per il lavoro. Negli anni scorsi, abbiamo anche cercato di attivare temporanee attività lavorative con l’utilizzo dei voucher (ora non più possibili). E in anni più lontani riuscivamo anche a mettere in relazione badanti e/o colf con i richiedenti tali servizi. Per quanto riguarda la casa abbiamo cercato di aiutare chi ne era privo con rare (perché difficili da reperire) indicazioni di abitazioni economiche e con il sostegno per le prime spese (deposito cauzionale, allacciamenti, …) quando se ne era individuata una. L’ospitalità nella Casa della Carità - che era una struttura per l’accoglienza temporanea, in particolare di donne sole con minori, accolte su richiesta e segnalazione del CST in base ad una convenzione vigente da anni per le necessità dei comuni dell’ambito territoriale – si è praticamente esaurita nell’ultimo anno e si stanno valutando diverse modalità di accoglienza (Ora è in atto una temporanea accoglienza diurna di una coppia – la donna è al settimo mese di gravidanza – nel cui alloggio, con regolare contratto d’affitto e relativi pagamenti, è stata tolta l’acqua … ).

c) Quali relazioni con la comunità cristiana

La comunità cristiana sostiene il CPAC con contributi economici erogati dalla Parrocchia e con offerte da parte di alcuni cittadini. Per i molti impegni che coinvolgono la Parrocchia e il CPAC il confronto sulle diverse problematiche è però occasionale ed avviene solo in relazione all’emergenza di problemi particolari ed in situazioni di urgenza. Quanto alla comunità dei cattolici albinesi si ha la sensazione di una deresponsabilizzata delega al gruppo, al quale non si fa mancare però il sostegno economico. anni nella crisi economica, con precarietà e disoccupazione croniche e, soprattutto, sono difficilmente locate a immigrati. Nella situazione attuale restano, dunque, insoluti i due bisogni prevalenti: il lavoro e la casa. Se non si risolvono questi, ogni forma di intervento finisce per ridursi a mero rimedio temporaneo, che a lungo andare può indurre anche ad una scelta di sussistenza per coloro che finiscono per sopravvivere solo grazie all’assistenza della Caritas e di altre associazione di volontariato o delle Istituzioni. È necessaria, quindi, una mediazione sociale per interventi equi e rispettosi dei diritti delle persone. Tra i quali diritti il principale è il lavoro e, non ultimo, quello della casa e della residenza. E la fragilità della ricerca del lavoro e di una abitazione emerge ora anche tra gli immigrati in attesa di risposte alle richieste e ai ricorsi per i permessi di soggiorno, che si trovano nel nostro territorio, molti anche già discretamente integrati, ma che le cooperative varie dovranno dismettere se non saranno modificati gli ultimi decreti in vigore.

b) Quali buone prassi

In rapporto alla richiesta di lavoro - oltre al sempre attento ascolto e aiuto ad individua-

d) Quali le relazioni con l’ente locale

Le relazioni con l’Ente locale sono per lo più limitate a contatti con l’assistente sociale per verificare se le persone ricevano aiuti dal Comune e per risolvere quei problemi (bisogni) che l’Amministrazione non riesce ad affrontare.

e) Quali i frutti del nostro lavoro

Al di là delle cronicità che ci angustiano, qualche risultato l’abbiamo raggiunto, ma nella maggior parte dei casi, ne veniamo a conoscenza in maniera indiretta. Sono diminuiti i richiedenti aiuto, il numero delle persone che si rivolgono al CPAC, dunque qualcuno ha risolto i suoi problemi anche per il nostro aiuto, ma ben raramente ce lo fa sapere. Ma chi continua a contattarci lo fa prevalentemente con richieste insistenti di denaro e non accetta di essere coinvolto nella ricerca di una diversa modalità di superamento delle proprie difficoltà. In rari casi, qualcuno, pur di fronte a nessuna soluzione individuata, ringrazia dell’ascolto e della comprensione che lo fa continuare con più serenità il proprio percorso difficile. Al momento attuale le persone, alle quali non siamo in grado di trovare un lavoro o una casa, sembrano richiedere esclusivamente un’assistenza in termini economici e per le difficoltà immediate.

f) Quali le nostre criticità

Al di là della situazione del nostro territorio, della generalizzata carenza di opportunità di lavoro non qualificato e della mancanza di abitazioni ad equo canone, vi è anche una criticità del nostro gruppo di volontari. Non c’è nessuno che abbia ampia conoscenza del mondo del lavoro e competenza in materia che possa con maggior certezza di risultati positivi, coinvolgere e orientare le persone. In questa situazione si finisce per porre in atto esclusivamente interventi assistenziali, pur sempre necessari, ma mai risolutori delle difficoltà che vengono semplicemente rimandate alla prossima scadenza o emergenza. Continuiamo però a privilegiare quegli interventi pur assistenziali che inducano anche una pur parziale e limitata formazione.

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CAMPO MEDIE


ORATORIO

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Ti sembra normale

Campo Medie | estate duemiladiciannove | Ponte di Legno Non sono pazzo, la mia realtà è solo differente dalla tua.

A volte è solo questione di punti di vista: quasi sempre lo è. A volte, una cosa ti sembra così normale che proprio non riesci a pensare che possa andare diversamente. In fin dei conti, la normalità è un’idea che ci è spontaneo associare al nostro mondo, alla nostra vita, al nostro modo solito di affrontare le cose. Alla normalità dei nostri orizzonti si contrappone la normalità del mondo degli altri: quasi sempre diverso dal nostro, così difficile da accettare a volte, così strano e capace di mettere in discussione le nostre rocciose certezze. Il mondo degli altri è sempre un mondo diverso dal nostro: ne sa qualcosa Alice, protagonista del romanzo che la descrive mentre è alla scoperta del Paese delle meraviglie. È un’avventura, la sua, che la porta a scoprire come la diversità non sia un pericolo, ma un’autentica meraviglia. Sulle orme di Alice ci siamo incamminati, per vivere la settimana del campo estivo con i ragazzi delle medie a Ponte di Legno. La sua storia, i suoi numerosi e buffi incontri, le pazzie che ha conosciuto sono stati la cornice del nostro campo, che si è sviluppato appunto intorno al tema della diversità, del rispetto e dell’accoglienza. Accanto ai momenti di riflessione, abbiamo con-

templato le bellezze delle montagne del Parco dello Stelvio, salendo un giorno al rifugio Bozzi, situato a 2470 metri d’altitudine e circondato dai resti delle trincee della Prima Guerra mondiale, e un altro al rifugio Valmalza, situato a 1990 metri di altitudine. Non possiamo tralasciare nemmeno i momenti di gioco in compagnia, che hanno caratterizzato alcuni pomeriggi e alcune serata: dai giochi in scatola ai grandi giochi organizzati a Ponte di Legno, il divertimento non è mancato, ma ha permesso di stare insieme con gioia e semplicità. Giorni semplici e divertenti, profondi e gioiosi: tutto questo è stata la vacanza a Ponte di Legno, cercando di condividere le nostre giornate, per scoprire che l’altro non è un pericolo ma un mondo di meraviglie. E tutto questo accade grazie ai ragazzi, agli educatori, alle cuoche e a tutti coloro che sono saliti a trovarci. Sulle orme di Alice, che il Paese delle meraviglie l’ha visitato davvero. Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero. “Che strada devo prendere?” chiese. La risposta fu una domanda: “Dove vuoi andare?” “Non lo so”, rispose Alice. “Allora, - disse lo Stregatto - non ha importanza”.

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CAMPO ADOLESCENTI

VISTO DA VICINO

Taranto - Quartiere Tamburi | 31 luglio - 6 agosto Tante cose viste da lontano restano a distanza di sicurezza. I contorni poco definiti, le notizie racimolate e poco sicure… “si dice che…”. Poi un giorno provi a chiedere una mano alla Caritas di Bergamo e a vedere se nei progetti “GiovaniXilMondo” c’è qualcosa che possa tenere insieme una vacanza con gli ado e un’esperienza di servizio. Qualcosa che ti porti vicino e dentro ad una realtà. Che obblighi a vedere da vicino te come stai in un luogo che non ti è abituale, in un’autogestione totale e in un’esperienza che ti pone di fronte ad alcune povertà che interpellano. Che ti imponga a vedere da vicino gli altri: quelli albinesi che già conosci e quelli tarantini sconosciuti che diventeranno compagni di viaggio per una settimana. Che ti porti a vedere da vicino un mondo che si presenta come Ilva, inquinamento, malattie, sud, periferia, Tamburi, mare. All’inizio tante le aspettative, i dubbi e le paure. Qui riportiamo gli stralci del nostro diario di viaggio: Ho trovato a tratti utopica l’idea di poter cambiare alcune cose di quel territorio, ma ho apprezzato il modo di “sognare” di Padre Nicola. [@Carlotta] Questa esperienza mi ha fatto crescere e mi ha fatto sentire più ricca nonostante i miei 15 anni. [@Lisa] Sono stato contento di aver conosciuto e approfondito la realtà dell’Ilva e delle conseguenze che ha portato sulla popolazione di Taranto; anche se abbiamo avuto solo l’opportunità di ascoltare argomentazioni durante la visita che, ovviamente è stata costruita sulle novità e sui lati positivi dell’ azienda. [@Davide] ... è stata una vacanza fantastica un luogo che passa dai paradisi delle spiagge alla decadenza della città ma dopotutto l’accoglienza da parte di Taranto si fa sentire in qualunque momento. [@Michele] ... se per il viaggio della vita desideriamo un pizzico di felicità dobbiamo viaggiare leggeri e permettere a coloro che incrociano il nostro percorso di arricchirci con i loro insegnamenti. [@Asia] Quella fatta a Taranto è un’esperienza che fa riflettere, non la tipica vacanza rilassante in riva al mare, ma una proposta educativa che alla fine può e vuole lasciare qualcosa a chi l’ha vissuta. Mi è piaciuta davvero tanto e sicuramente è da ripetere. Abbiamo fatto i conti con tanti cambi di programma, capendo che l’importante non è organizzare minuto per minuto la giornata ma vivere quotidianamente di quello che ci veniva offerto. [@Nicolò] L’incontro con Taranto è significato per noi una condivisione di tempi e spazi con Padre Nicola (da 40 anni nella parrocchia di Gesù Divino Lavoratore del quartiere Tamburi) e un entrare in punta di piedi a vedere da vicino i suoi progetti legati alla cura delle storie delle persone rispetto al lavoro, alla salute e al recupero. Soprattutto è stato un bagno di accoglienza con i volontari della parrocchia e insieme un vedere da vicino Taranto e il mare splendido, con una puntata a Matera. Quando la dimensione del servizio ti permette di abitare un luogo non tanto come turista ma come amico intravedi che è nell’incontro che si spalancano le domande più grandi sul senso, sul come, sulla

vita e sulla morte, su Dio. Nella speranza che anche questa esperienza contribuisca a farci appassionare alla cura del mestiere del vivere e diventare uomini e donne. dA


FESTA DELL’ORATORIO

Grazie!

Giunti al termine di questa nuova edizione della festa ci sembra più che doveroso spendere due parole anche qui per dirci grazie! Quest’anno abbiamo deciso di provare a fare due cose: la prima è stata aggiungere 4 giorni di festa a giugno per inaugurare la stagione estiva e dedicare uno spazio ai ragazzi e agli adolescenti come cerniera tra la scuola e il Cre; la seconda ha visto spostare la nostra tradizionale festa di fine agosto in avanti di una settimana per non sovrapporci a quella di Comenduno che ruota attorno a sant’Alessandro (26 agosto) loro patrono. Il grazie viene per la bella e calorosa partecipazione. Il grazie va a tutti i volontari che in diversi modi e tempi sono riusciti a dedicare il loro prezioso servizio a questa festa che rappresenta un’occasione per ritrovarci e riprendere il cammino del nuovo anno. Ci sarà più avanti l’occasione per dirci anche com’è andata a livello economico ma ci sembra importante fin da ora ringraziare chi è stato in cucina, alle griglie, in pizzeria, allo sparecchio e smistamento, al service, ai bar, allo zucchero filato, ai gonfiabili, alla tombola e alla lotteria, alla pesca di beneficienza, alle casse, alle pulizie, alla palestrina d’arrampicata, agli impianti, alla vendita dei biglietti. Un grazie particolare anche a tutti gli sponsor. Intanto ci salutiamo, ricordando la frase che ha accompagnato questa festa, col desiderio che diventi ogni giorno più vera, come continuiamo a fare da 135 anni a questa parte: per educare un figlio ci vuole un villaggio! Sempre devi avere in mente Itaca - raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare. Itaca / Constantino Kavafis

I numeri vincenti della sottoscrizione a premi 1. CROCIERA NEL MEDITERRANEO C 570 1 settimana per 2 persone nel marzo 2020 (escluse festività) 2. MOUNTAIN BIKE

A 020

3. OROLOGIO DA UOMO Guess collection

B 871

4. WEEK-END per 2 persone in una capitale europea

C 485

5. 2 ingressi per QC TERME

C 033

6. BUONO PIZZA per 4 persone da Vecchi Ricordi da Gimbo

B 158

7. COFANETTO EMOZIONE 3 “Stacchiamo 3 giorni”

D 090

8. CESTO PRODOTTI ALIMENTARI

C 881

9. COFANETTO EMOZIONE 3 “Soggiorno di charme”

F 506

10. BUONO CINEMA per 4 persone presso il Nuovo Cineteatro di Albino

C 503

Per ritirare i premi, presentare il biglietto vincente in Oratorio, entro il 31 ottobre 2019.

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NUOVI CAMMINI

Romano saluta don Valentino in partenza per Roma Don Valentino

Nella mattina di Domenica 1° settembre la città di Romano di Lombardia ha salutato don Valentino Ferrari, per cinque anni parroco e guida spirituale della comunità romanese, in partenza per Roma. Tante le persone che sul sagrato della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta hanno aspettato don Valentino, dopo la celebrazione della funzione religiosa, per rivolgergli un ultimo saluto prima della sua partenza.

Il saluto finale

«Grazie per essere stato guida, riferimento ma anche occasione di accoglienza. – alcune delle parole del sindaco Sebastian Nicoli al saluto di domenica – Personalmente la ringrazio per come ha saputo essere presente, realmente presente, nelle nostre Fondazioni cittadine. Presente e vicino anche così ai nostri figli più piccoli e ai nostri anziani. Don Valentino, prima di lasciarla

andare a Roma, nella parrocchia di S. Giustino che ci regalò don Alberto Mascheretti trent’anni fa, in un simbolico “scambio di doni” a distanza di tempo, la voglio ringraziare anche per l’esempio che ci ha dato con il suo senso di servizio. L’obbedienza, l’umiltà, il silenzio e saper fare un passo in-

dietro per un Bene che si sa più grande di sé…ecco…credo che sia ciò che conserveremo nel cuore di questa Comunità pensando a Lei, caro don Valentino. E questi, specialmente ai giorni nostri, sono insegnamenti rari. Grazie».

RECAPITO DI ZONA

di Mazzoleni, Acerbis & C. s.a.s. ALBINO (BG) - viale Aldo Moro 2/p - Tel. 035.75.25.59 - Fax 035.77.57.839 - info@centroservizicasasnc.it

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I NOSTRI SACERDOTI La comunità di Gandosso ha accolto il nuovo parroco, don

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Michele Chioda

«Egli entrò per rimanere con loro»

«Egli entrò per rimanere con loro». Questa frase, offerta dalla liturgia della Parola nel brano di Vangelo proprio il giorno in cui si è reso disponibile a diventare il nuovo parroco di Gandosso descrive l’azione che compie Gesù, dopo la richiesta dei due discepoli diretti ad Emmaus di fermarsi con loro. Una citazione presente nella lettera di presentazione pubblicata sul sito parrocchiale: “Sembrava scritto in quella frase, scrive don Michele, l’invito che il Signore mi stava rivolgendo: imparare a ‘rimanere’ con la comunità con cui ero chiamato a camminare. Ed è con questo spirito che mi presento: un fratello prete che chiede ospitalità ai vostri cuori per rimanere in cammino insieme al Signore e cercare di costruire il suo regno di amore. Vorrei entrare nella vostra comunità per rimanere ossia per stare in mezzo a voi, condividere con voi il dono della Parola che ‘fa ardere il cuore’, spezzare insieme il pane della vita che

‘apre gli occhi’ alla speranza e imparare insieme a narrare quanto il Signore opera dentro la nostra vita”. Don Michele Chioda, originario di Albino, consacrato sacerdote a 29 anni, ha svolto il ministero come vicario parrocchiale prima ad Alzano Maggiore, poi a Sarnico e Redona città. Ha trascorso poi una decina di anni fuori diocesi a servizio della Chiesa di Roma nella parrocchia della Trafigurazione, poi nella comunità terremotata dell’Aquila e, infine, nell’incontro con i fratelli delle carceri. Nel periodo romano si è laureato in psicologia all’Università La Sapienza. Quando don Giuseppe Locatelli, prevosto di Albino, nella funzione di delegato vescovile, termina la lettura del decreto con il quale il vescovo Francesco Beschi nomina don Michele Chioda parroco della chiesa Annunciazione della beata Vergine Maria di Gandosso, l’applauso dei fedeli si leva forte. Questa l’affettuosa

accoglienza riservata a don Michele, che nel corso della celebrazione eucaristica presieduta dal responsabile della fraternità sacerdotale della zona, don Alessandro Gipponi, ha fatto il suo ingresso. Ad accogliere il parroco, oltre ai suoi nuovi concittadini e i parenti, i rappresentanti delle comunità di Albino, Alzano Maggiore, Sarnico e Redona, paesi nel quali il neo parroco ha esercitato la sua attività pastorale. “Arrivo in questa comunità delle quale in questi giorni ho potuto apprezzare la profonda generosità e le potenzialità di bene, ha detto il nuovo parroco al termine della celebrazione, con la consapevolezza che opererò non su un terreno fresco, ma dove altri hanno lavorato, quindi ringrazio chi mi ha preceduto. Vengo da fratello nella fede e mi pongo al vostro fianco per essere testimone fedele dell’amore del Signore, del Vangelo e della bella notizia di Gesù”. Mario Dometti L’Eco di Bergamo, 7-9 settembre

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ALTRI MONDI - BURUNDI “L’intolleranza politica minaccia la convivenza pacifica” denunciano i Vescovi del Burundi

Bujumbura - “Siamo preoccupati per il progressivo incremento dell’intolleranza politica che, in diverse parti del Paese, provoca scontri e persino vittime” afferma il comunicato dell’Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale del Burundi, che si è tenuta a Gitega. Le tensioni politiche che da anni agitano il Paese hanno costretto oltre 374.000 burundesi a rifugiarsi nei Paesi limitrofi: Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Rwanda e soprattutto Tanzania, dove i rifugiati burundesi sono oltre 192.000, accolti in campi spesso privi di adeguate condizioni di sicurezza e di assistenza umanitaria. Una situazione denunciata dai Vescovi che affermano: “abbiamo appreso con dolore dell’insicurezza che grava sui nostri compatrioti in alcuni campi profughi in Tanzania”. Tra gli altri problemi all’attenzione dei Vescovi, vi sono “la recrudescenza della malaria in diverse parti del Burundi, così come alcuni fenomeni sociali come i furti nei campi o nelle famiglie, il banditismo armato, i numerosi casi di accuse di stregoneria che a volte portano all’assassinio dei presunti colpevoli, così come al traffico di ragazze in certe aree”. Per quanto riguarda la vita del Paese, i Vescovi hanno dibattuto a lungo sull’attuale situazione socio-politica in relazione alle elezioni del 2020. Hanno cercato in particolare di discernere quale dovrebbe essere il contributo della Chiesa alla luce della la sua missione, in modo che queste elezioni si svolgano in pace e promuovano la causa della democrazia. L.M. - Agenzia Fides

Notizie da padre Giovanni

Bujumbura 15 agosto Io sto bene, lo spero di tutti voi. In città, nelle periferie e nelle zone più malsane, c’è anche il colera, dovute ad acque infette e poca igiene. Molti sono i morti di malaria, per un’epidemia causata sia dal caldo, ma anche dalla scarsa nutrizione e dalla resistenza ai medicinali, che talvolta non sono di prima qualità e allora si ricade e diventa più difficile la cura. Saluti a tutti. Vs. Giovanni

I farmaci killer

Curarsi in Africa a volte vuol dire giocare alla roulette russa. Un colpo ti salva, l’altro ti ammazza. L’altro è una medicina contraffatta. Un medicinale su 10 nei paesi a basso o medio reddito è alterato, falsificato. E l’Africa subsahariana è l’area dove le fake drugs sono più diffuse: il 42% dei casi rilevati a livello globale. Lo dice l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che recentemente ha lanciato nuovi allarmi sulla circolazione di farmaci contraffatti o che non rispettano gli standard qualitativi stabiliti dalle norme internazionali. È falso, ad esempio, un terzo dei medicinali venduti per combattere la malaria. Secondo gli studi della Scuola di igiene e medicina tropicale di Londra almeno 158mila morti all’anno nei paesi subsahariani sono da attribuire a farmaci fittizi. E sta notevolmente aumentando anche la circolazione di medicinali contraffatti per curare forme di cancro, disturbi cronici, come l’ipertensione, o semplici antidolorifici.

Sono 3 le categorie illecite stabilite dall’Oms: i farmaci deliberatamente fraudolenti, quelli che non rispondono agli standard internazionali e quelli non registrati neanche nel sistema nazionale. Possono contenere dosi sbagliate, agenti dannosi o nessun agente, palliativi insomma. Sempre secondo l’Oms, 2 miliardi di persone al mondo non hanno alcun accesso alle cure mediche, neanche quelle di base. Di contro, nel corso degli anni la spesa mondiale per cure e farmaci è aumentata vertiginosamente e ha raggiunto la somma di 1,1 trilioni di dollari. In Africa, nel 2013, corrispondeva a quasi 21 miliardi e, secondo le stime, salirà da 40 a 65 miliardi di dollari entro il 2020. Questo giro impetuoso di prodotti ha anche aperto la strada a un mercato parallelo, quello, appunto, della contraffazione. Tali prodotti provengono soprattutto da Cina e India, ma anche dalla Turchia e dagli Emirati Arabi Uniti. Non è difficile trovarli sulle bancarelle dei mercali locali, ma spesso anche nelle farmacie autorizzate che, a volte sono ignare di quanto stanno acquistando e a volte ne sono complici. In questo mercato in espansione


ALTRI MONDI - BOLIVIA19 ORATORIO Una farmacia ambulante a Cotonou, Benin.

si inseriscono anche criminali alla ricerca del facile guadagno. Del resto, come hanno analizzato gli esperti, realizzare le “copie” dei farmaci non è molto complicato. Per gli antimalarici, ad esempio, basta della farina e un po’ di gesso per trarre in inganno. Antonella Sinopoli - Nigrizia

Messaggio dei vescovi per le elezioni

“Apprezziamo il fatto che molti dei nostri concittadini abbiano compreso che le elezioni siano l’unico modo per ottenere un’alternanza al potere” affermano i vescovi del Burundi nel messaggio letto nelle Messe di domenica 22 settembre. “Benché vi siano diverse cose che apprezziamo, non possiamo passare sotto silenzio alcune questioni che preoccupano e inquietano gran parte dei burundesi” afferma il messaggio. In primo luogo le violenze contro gli appartenenti a certi partiti politici. “In alcune regioni sono commessi atti criminali a sfondo politico, compresi omicidi. Nella maggior parte dei casi le vittime sono coloro che hanno opinioni diverse da quelle del governo”. Vaticannews, 23 settembre

Mons. Coter (vescovo bergamasco) sugli incendi nell’Amazzonia boliviana: «speculazioni e irresponsabile decreto che ha invitato a bruciare sterpaglie per far posto ad allevamenti». La deforestazione e la siccità. Ma anche gli incendi dolosi, le speculazioni, la miopia dei coloni e un “folle” decreto del Governo Morales. Queste la cause del terribile incendio divampato nella zona occidentale del Paese, tra i dipartimenti di Santa Cruz e del Beni. 470mila ettari di foresta andati distrutti. L’accusa arriva da mons. Eugenio Coter, vescovo del vicariato apostolico di Pando e referente per la Rete panamazzonica (Repam) della Bolivia. “Le autorità – dice all’agenzia Sir – hanno arrestato 5-6 persone, ma è evidente che così poche persone non possono provocare tutto ciò”. Un grave danno è provocato anche da piccoli roghi accesi da privati, a causa, spiega il vescovo, “di un irresponsabile decreto del Governo. La Bolivia ha appena firmato un contratto con la Cina per venderle 10 milioni di mucche. Una cosa spropositata, dato che attualmente in Bolivia vengono allevati 11 milioni di capi, ed erano tre milioni all’arrivo al governo di Morales. Perciò, è stato proprio il Governo a invitare la gente dei dipartimenti di Santa Cruz e Beni a disboscare le sterpaglie, ad aprire nuovi spazi per l’allevamento! Va detto che non siamo nelle Alpi, qui per sfamare una o due mucche ci vuole un ettaro! Una cosa irresponsabile. Oltre a tutto, il terreno sotto la foresta è di tipo addirittura sahariano. E’ tutt’altro che fertile e togliendo spazio alla foresta otterremo in pochi anni di sfruttamento solo una sterile savana. Lo dico sempre, Morales ha un atteggiamento da colono. Si arriva, si sfrutta a fondo e si va da un’altra parte. E così cambiamenti climatici, speculatori e coloni hanno provocato l’enorme danno a cui stiamo assistendo oggi. Stiamo parlando del rogo più grande, ma ce ne sono stati altri anche nel nord del Paese, vicino a Riberalta, dove vivo io”. Una situazione fuori controllo: “50 famiglie hanno perso tutto, moltissimi animali, mucche, caimani, scimmie, sono stati trovati calcificati. Nell’ultima settimana sono stati contati 428 fuochi nella zona tra Santa Cruz e il Beni. Ci sono circa 300 chilometri tra Santa Rosa de la Roca e Roboré, passando per San Ignacio de Velasco e San Miguel de Velasco”.

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ALTRI MONDI - BRASILE

Padre Taddeo Pasini da Albino alle baraccopoli del Perù: «Ho sempre potuto contare sul sostegno dei bergamaschi» «La messe è molta ma gli operai sono pochi». Con queste parole, nel Vangelo di Luca, Gesù alludeva al non facile compito, affidato a settantadue suoi discepoli, di evangelizzare le genti. Nella stessa accezione, nel 2016, Papa Francesco fece di quella frase lo slogan per la giornata mondiale delle missioni, ribadendo come l’impegno primario di ogni credente consista nell’annunziare con la propria vita e con la parola il regno di Dio. D’altronde, la messe è molta perché nel mondo ci sono oltre 7 miliardi e mezzo di persone e tutte hanno il diritto di conoscere l’amore del Signore, manifestato nella morte e resurrezione di Gesù Cristo. Ma la messe è anche molta perché in ogni angolo del globo altrettanti sono i problemi, le ingiustizie, le sfide, i bisogni e le ricchezze. E che la messe sia molta, l’ha sperimentato nei suoi quasi quarant’anni di servizio in Sudamerica l’instancabile missionario bergamasco Taddeo Pasini. Originario di Gromo ma cresciuto a Bondo Petello di Albino, è stato ordinato sacerdote a Roma nel marzo 1982 e poi inviato in Perù, per la prima volta, nell’ottobre di quello stesso anno. «Più della metà della mia vita l’ho trascorsa in missione – racconta il padre monfortano, rientrato da poco in Italia per degli accertamenti clinici -. 34 anni in Perù e 3 in Brasile. Sempre in realtà periferiche e tra persone molto povere. In comunità e parrocchie estremamente popolate: dai 30 mila abitanti di Huanuco, alle porte dell’Amazzonia, fino ai 150 mila di Huaycan, baraccopoli nei pressi di Lima, passando per i 120 mila di San Paolo del Brasile». Tante problematiche. Molta messe appunto. Ma la certezza di non essere mai lasciati soli. «Grazie alla Provvidenza del Signore, che ha agito e agisce tramite la generosa solidarietà degli amici, siamo riusciti a portare a termine tanti progetti. In campo religioso ma anche nel terreno della promozione umana: una cattedrale, tante chiese e case di comunità, un centro medico, spazi di gioco e asili ma anche adozioni a distanza, containers e casette per le famiglie povere». E nella realizzazione di tutto ciò un contributo importante è arrivato da Bergamo. «Davanti ad un progetto serio – spiega padre Taddeo – i bergamaschi hanno fatto sempre sentire il loro appoggio. Chi con offerte e contributi di natura economica, chi spendendosi in prima linea in Sudamerica a fianco degli operatori locali. Dal 1996 ad oggi, quasi ogni anno, ho potuto contare sull’aiuto di lavoratori volontari, in gruppi di 15-20 per volta, provenienti principalmente dalla Val Seriana, ma anche da Lonato (Brescia), Marmirolo (Mantova), Fosse, Roveré e Sommacampagna (Verona). Sono state sempre e comunque esperienze positive perché fatte di incontri e di accoglienza con la componente locale, utilizzando il linguaggio dell’amore e del servizio. Il lavoro dei volontari ha dato credibilità alle nostre belle prediche domenicali riguardo alla carità cristiana. Ad esempio, grazie all’impegno dei muratori seriani, tra cui anche mio fratello piastrellista, siamo riusciti ad erigere una cattedrale a Huaycan, alle porte di Lima. Oppure a Huanuco, capitale dell’omonimo dipartimento sulle Ande peruviane, abbiamo aperto una struttura su due piani, di circa 1.000 metri quadrati, dedicata alla

memoria di Angelo Longhi, un muratore di Tribulina volontario nelle mie missioni. Qui vengono accolte in orario diurno persone di ogni età, ma soprattutto bambini e giovani, disabili fisici ma anche con ritardi mentali, per svolgere attività ricreative, lavorative, culturali e religiose». Questo perché nell’ottica di padre Taddeo l’impegno missionario deve essere tanto spirituale quanto sociale. Ovviamente negli anni la situazione economica del Perù, ora apprezzata meta turistica, è migliorata. Ma patrimoni Unesco come Machu Picchu e le linee di Nazca rimangono comunque solo un lato di una nazione che ha il 21 per cento della popolazione sotto la soglia della povertà. Ecco perché Taddeo e compagni in Sudamerica cercano in primo luogo di rispondere ai bisogni fondamentali delle persone. Dalla salute al nutrimento fino all’istruzione e all’alloggio, istituendo mense popolari, cliniche, scuole e casette per le famiglie povere. «Il Perù si divide in tre aree geografiche principali, nelle quali ho avuto modo di operare – chiarisce il missionario bergamasco -. La costa, la sierra andina e la selva amazzonica. Ognuna di esse forma un ecosistema a sé stante, con diverse dinamiche e problematiche. Lungo la fascia costiera si trovano i principali insediamenti urbani, tra cui Lima. Questi costituiscono un forte richiamo per la popolazione delle aree interne che, alla ricerca di condizioni di vita migliori, si sposta verso le città invadendo abusivamente territori alle porte


ASSOCIAZIONISMO

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Elevazioni musicali Dal 28 settembre al 26 ottobre la XVII edizione della rassegna concertistica a scopo benefico

Con l’autunno tornano le “Elevazioni musicali”, rassegna rodata e ormai un classico albinese. Promossa dalla Parrocchia di San Giuliano e dai Frati Cappuccini di Albino, vede il suo compiersi soprattutto grazie all’intraprendenza organizzativa del suo direttore artistico, il cavalier Gianluigi Carrara. Come ogni anno, l’iniziativa unisce tre aspetti: la possibilità di ascoltare dal vivo, gratuitamente e vicino a casa, buona musica di qualità; la ri-conoscenza di illustri personaggi legati al nostro territorio e non solo di cui si celebra il ricordo di un loro significativo anniversario; la solidarietà verso situazioni di bisogno, che si manifesta attraverso atti di generosità. SABATO 28 SETTEMBRE - Santuario Madonna del Pianto di esse. Così accade a Huaycan, insediamento appena fuori Lima: si tratta di una tipica barriada di periferia, alla cui nascita ho assistito di persona. Era il 15 luglio del 1984 e una folla di 2000 disperati, organizzatisi in precedenza, ha occupato questo territorio brullo. Ho subito portato loro riso e altri viveri, assieme al conforto spirituale. Col passare del tempo, la comunità è cresciuta e ora Huaycan conta 150 mila abitanti. Qui prestiamo principalmente assistenza agli abitanti, con particolare attenzione a bambini e malati. Sulle Ande e nella selva amazzonica, invece, la situazione è diversa: sono aree scarsamente popolate, difficilmente raggiungibili e ancora abbastanza incontaminate. Le popolazioni locali riescono a vivere di una economia rurale di sussistenza, ma sono a tutti gli effetti tagliate fuori dal mondo. Il nostro compito quindi consiste nel costruire scuole, ospedali e altre strutture di vitale importanza. Luoghi che diventano anche punto di riferimento per tutta la comunità, altrimenti isolata». Insomma, in Perù ad oggi tanto è stato fatto, tanto ancora da fare. Adesso padre Taddeo si trova a Bergamo per un periodo forzato di cure. La prospettiva è quella di ritornare almeno per qualche anno ancora in Sudamerica. Pronto a ripartire, salute permettendo. Perché, d’altronde, la messe è molta. Davide Amato www.santalessandro.org

DUO VIOLONCELLO E CONTRABBASSO Camilla Patria & Tommaso Fiorini Commemorazione del centenario dell’Incoronazione della Madonna del Pianto SABATO 5 OTTOBRE - Chiesa dei Frati Cappuccini

TRIO NORDICO Marco Lorenzi & Øyvind Svendsen & Massimo Vincenzo D’Aleo Commemorazione del 50° della morte di padre Giuseppe Moioli SABATO 12 OTTOBRE - Chiesa di San Bartolomeo

DUO CHITARRA E CANTO Chiara Guglielmi & Massimo Agostinelli Commemorazione del 90° anniversario della fondazione del Gruppo Alpini di Albino SABATO 19 OTTOBRE - Chiesa Prepositurale di San Giuliano

FISARMONICA E ORGANO Gianni Fassetta e Donato Giupponi Commemorazione del 150° anniversario della fondazione dell’Istituto don Luigi Palazzolo SABATO 26 OTTOBRE - Coro della chiesa di Sant’ Anna

VIOLINO SOLISTA Roberto Arnoldi Commemorazione del 110° anniversario della nascita di Giovanni Palatucci Medaglia d’Oro al merito civile

INIZIO CONCERTI ORE 21 ingresso libero

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

ATTUALITÀ

Il rapporto di una delle più autorevoli “Organizzazioni Non Governative” mondiali, la britannica Oxfam, squarcia il velo su quello che tutti sanno ma che spesso si tace : le disuguaglianze nella distribuzione del reddito fra ricchi e poveri. Basterebbe un dato: l’1% della popolazione del nostro pianeta possiede ill 42% della ricchezza netta. Ha dell’incredibile, ma purtroppo è la realtà. La ruota della ricchezza continua a girare a senso unico. Una concentrazione di enormi fortune nelle mani di pochi, a scapito di molti. Succede così che, in un pianeta sempre più diseguale, e anche per questo sempre più segnato dal fenomeno delle migrazioni, il taglio di servizi essenziali come la sanità generi la morte di 10mila persone al giorno, per la mancanza di cure di cui avrebbero bisogno. Sembrerebbe una cosa assurda ma è così. Non potrebbe essere altrimenti se teniamo conto che nell’Africa subsahariana si vive con una media di 1,90 dollari al giorno, mentre 3,4 miliardi di persone (quasi metà dell’umanità) faticano ad affrancarsi dalla povertà estrema e vivono con meno di 5,5 dollari al giorno. Il rapporto Oxfam dice ancora che se ci fosse un aumento delle tasse patrimoniali di uno 0,5% ai miliardari (un’inezia per loro) se ne ricaverebbe un gettito superiore a quanto serve per mandare a scuola tutti i262 milioni di bambini che non vi hanno ancora accesso e fornire assistenza sanitaria necessaria per salvare la vita a 3,3 milioni di persone. Questo a base mondiale. Ma potremmo dire qualcosa anche solo per quanto riguarda il nostro Paese. Il 20% più ricco degli italiani detiene il 72% della ricchezza nazionale, contro il 60% più povero deve accontentarsi appena del 12,4%. Anche da noi la sperequazione dei beni, come si vede, è grande.

CAMBIAMENTO

Vogliamo citare il punto principale delle dichiarazioni fatte dal Presidente Nazionale delle Acli Roberto Rossini prima che fosse costituito il nuovo Governo, perché desideriamo venga conosciuta la posizione del nostro Movimento. Rossini ha detto: “Con questa crisi si è aperta l’opportunità di uscire da alcune dinamiche negative e di cambiare scenario. Bisogna dare concretezza alla voglia di futuro del Paese. Spero che l’opportunità venga colta dal futuro Governo e che si lavori a fondo sulle reali necessità dell’Italia, ripartendo da lavoro, scuola, giovani e famiglia, oltre che cambiare visione sul tema dell’accoglienza”.

IO ACCOLGO - Campagna di sensibilizzazione

La campagna nasce su iniziativa di diverse organizzazioni della società civile, tra cui le ACLI, per dare una risposta forte e unitaria alle politiche sempre più restrittive adottate dal Governo GialloVerde e dal Parlamento italiano nei confronti dei richiedenti asilo e dei migranti, che producono conseguenze negative sull’intera società italiana. Tutti coloro che condividono i valori dell’accoglienza e della solidarietà sono invitati a visitare il sito http://ioaccolgo.it, compilare il semplice modulo di adesione come singoli/e cittadini/e o come organizzazioni/enti/Circoli. È ora di scegliere da che parte stare. Partecipa a #IoAccolgo per dire no all’odio e all’esclusione e sì all’accoglienza, alla solidarietà e all’uguaglianza. Le Acli Provinciali di Bergamo aderiscono alla campagna #IoAccolgo e sostengono le iniziative che a livello locale si realizzeranno da parte di Circoli, Associazioni, Enti. Ad agosto si è costituito il Comitato Provinciale Bergamasco che vede la partecipazione dei referenti locali degli Enti Promotori per il coordinamento e la socializzazione delle iniziative territoriali di singoli e Associazioni che aderiscono alla campagna.

CONVEGNO NAZIONALE

Dal 12 al 14 settembre, a Bologna, si è svolto il più importante incontro nazionale di Studi del nostro Movimento. La 52a edizione ha avuto per tema la mobilità sociale, Lo scopo del convegno è stato quello di dibattere e discutere argomenti riguardanti la società, che poi possono essere vagliati ed eventualmente fatti propri dal Governo e dal Parlamento. Le proposte concrete scaturite riguardano soprattutto il contrasto alla povertà, l’educazione e la formazione, l’ambiente, la previdenza, il lavoro e il fisco. A causa dei “tempi” di pubblicazione del Bollettino non siamo in grado di entrare nel dettaglio. Lo faremo con il prossimo numero di ottobre.

RISO AMARO

Si può ridere di un uomo che muore scavalcando un passaggio a livello mentre arriva il treno? Che sia suicidio o imprudenza resta il fatto che quell’uomo, un ragazzo di vent’anni, non c’è più. Alcuni suoi coetanei hanno commentato quanto era accaduto sotto i loro occhi con sogghigni, risate a scena aperta e battute quali: “A-ha, che cretino”. È purtroppo quanto accaduto a Castelfiorentino, in provincia di Firenze. D’estate ci siamo quasi abituati a leggere la notizia dell’infartuato da spiaggia su cui viene deposto un asciugamano pietoso, mentre intorno alla vittima ognuno va avanti per i propri fatti. Lì siamo ancora nel vasto campo dell’indifferenza umana. Le risate dedicate al cadavere di Castelfiorentino segnalano invece uno scatto ulteriore e ci proiettano sull’ultima frontiera del cinismo. Il che evidentemente dimostra che la stupidità umana certe volte non ha limiti.

AFRICA

Roberto Rossini, presidente delle Acli nazionali, durante un recente viaggio in Mozambico, nell’ambito del progetto “AcliAfrica”, ha “dato il via” al neonata ente di formazione professionale Enaip Mozambico, che insegna la meccanica e la falegnameria a


ASSOCIAZIONISMO mille ragazzi del luogo. Olio di palma, banane, sim card e cover dei cellulari, gli uni accanto alle altre sulle C’è chi dice “aiutiamoli a casa loro”, in cerca di uno slogan, poi ignora il problema. Ma c’è anche chi non lo dice, ma lo fa. “Il Mozambico è un Paese giovane, fatto di giovani dice Rossini - ma la speranza di vita media è di 40 anni, perché la mortalità infantile è al 50%”.

UN CASO UMANO

Neculai Negrii, sessantenne rumeno da quindici anni dorme su una panchina nella piazzetta antistante la chiesa di San Giorgio Albanese, paesino italo libanese dell’entroterra cosentina. Il paese è piccolo e tutti conoscono quest’uomo che sopravvive accanto a loro mangiando quel che capita. Un giorno ha battuto per caso la testa sulla panchina diventata la sua casa, perdendo un po’ di sangue. Un incidente che gli ha cambiato la vita. I carabinieri della stazione cittadina hanno notato le tracce ematiche, temendo fosse stato malmenato. E non si sono limitati ad archiviare il caso, ma si son dati da fare per cercare di individuare un familiare che potesse prenderne cura. Comparando le impronte digitali del sessantenne con quelle del Consolato romeno, sono riusciti a dargli un nome. I diplomatici, indagando, sono risaliti ai suoi congiunti in Romania, individuando un figlio 26enne felicissimo di riabbracciare il papà che non vedeva nè sentiva da dieci anni. Il giovane ha pagato pure le spese di viaggio necessarie per riportare il genitore a casa.

DONAZIONE

Una villa nel centro di Firenze da destinare ad anziani, disabili, senza fissa dimora e profughi. Sarà possibile grazie alla donazione che la Casa generalizia dell’Istituto Piccola Compagnia di Maria ha fatto a favore della Comunità di Sant’Egidio. Fondata nel 1927 fu casa di cura per poveri, ammalati e sofferenti, Durante la seconda guerra mondiale fece parte della rete costituita dagli Istituti religiosi per proteggere e soccorrere le persone perseguitate dal regime , particolarmente nel periodo dell’occupazione tedesca. Al tempo dell’alluvione di Firenze nel 1966 divenne rifugio per gli sfollati. Le suore lasciarono la città nel 1991

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e ora sono presenti solo a Roma. La villa rimase di loro proprietà. Nel corso degli anni non sono mancate dichiarazioni d’interesse e offerte d’acquisto, ma le suore, considerata la missione del proprio istituto, non la vendettero. Ora la decisione del Capitolo che, dietro invito della superiora generale dell’ordine, ha approvato la decisione di donare la villa appunto alla Comunità di Sant’Egidio. Donazione che si è concretizzata con la stipula a Roma dell’atto di donazione. Alla domanda del perché proprio a Sant’Egidio, la madre superiora ha risposto in modo sintetico ed efficace :”Sant’Egidio è un’eccellenza italiana che soltanto l’Italia può produrre”.

SOLITUDINE

Stava seduto nella sala d’attesa del pronto soccorso di Moncalieri. Il capo chino, l’aspetto del clochard, pareva dormisse. Si è seduto, senza domandare niente. Il parente di un malato ad un certo punto si è avvicinato e ha visto che l’uomo era morto. Da diverse ore. Morto solo, in silenzio, dentro un ospedale. Al pronto soccorso se sono in dieci, dieci solitudini s’allineano una accanto all’altra. Perché? Perché oggi ci si osserva diffidenti, di sfuggita, ciascuno chino sul suo cellulare, chiuso nei propri pensieri, lo sguardo sul muro, con la fretta di essere visitati. Gli altri sono solo persone che ti contendono il posto. Siamo cambiati, qualcosa ci ha cambiati. Qualcosa che ci fa pensare che gli altri non ci riguardino, con cui non parliamo, e di cui nemmeno ci accorgiamo. E allora non ci stupisce troppo che quel pover’uomo a Moncalieri sia morto e nessuno se ne sia accorto.

UNA LEZIONE

Certe volte la stupidità non ha limiti. Un giovane spagnolo ha dato da mangiare un panino imbottito ad un “senza tetto”. Quel povero uomo, affamato, lo ha addentato subito, accorgendosi solo troppo tardi che al posto della farcitura alla crema c’era un ripieno di dentifricio. Tutto filmato e subito pubblicato sul canale You Tube del giovane . Qualcuno lo ha denunciato e un tribunale di Barcellona lo ha processato e condannato a 15 mesi di carcere e a 20.000 euro da versare al mendicante. La galera non l’ha fatta perché incensurato, ma i 20.000 euro li ha dovuti sborsare. Ma la condanna più pesante è probabilmente l’obbligo per cinque anni di chiudere il canale che porta il suo nome. E al giorno d’oggi, per un giovane, se non sei sui social non esisti. Pena dura, per la quale noi diciamo, con un po’ di cattiveria: Ben gli sta. Perché certe bravate sono inqualificabili.

RICONOSCIMENTO

“Il cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto”. Non ne abbiamo mai dubitato, ma se a dirlo è stato un filosofo tanto autorevole come Benedetto Croce, che proprio grande credente non lo è mai stato, c’è da crederci. E fa veramente piacere l’aver letto fra i suoi prestigiosi scritti un giudizio tanto chiaro, deciso e pienamente condivisibile. Per le Acli Albinesi Gi.Bi.

Settembre 2019


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Opere parrocchiali ... il tuo aiuto è importante

È possibile fare offerte - anche deducibili fiscalmente nella dichiarazione dei redditi in misura del 19% - a sostegno dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza per i beni Architettonici. Innanzitutto possiamo dire con riconoscenza di aver estinto il debito relativo al Santuario della Madonna del Pianto. Invece segnaliamo il debito residuo dei lavori effettuati al campanile, agli affreschi nella sacristia della Prepositurale, alla chiesa della Concezione e ai tetti dell’Oratorio fin’ora sistemati (250.400 €) e per il tetto del CineTeatro, cantiere in fase di allestimento. Per le aziende è possibile detrarre totalmente la cifra devoluta. Grazie per quello che riuscirai a fare PER DONAZIONI - Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano: IBAN IT91 R050 3452 480000000000340 Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.


VOLONTARIATO

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Studio e lavoro per i detenuti

La direttrice Mazzotta: «Servono rinforzi, porte aperte». Sono 511 i carcerati, 300 con pena definitiva a cui proporre attività. Insegnanti, mediatori, tecnici, o semplicemente persone che abbiano sviluppato competenze nelle relazioni umane. Sono le figure (professionali e non) che il carcere di Bergamo sta cercando per dare una nuova spinta all’attività di volontariato alla casa circondariale di via Gleno. L’appello è arrivato direttamente dalla direttrice del carcere, Teresa Mazzotta, nel corso di un incontro sul tema della giustizia organizzato all’oratorio della Celadina, a cui ha partecipato anche don Virgilio Balducchi, storico cappellano del penitenziario cittadino.La presenza di volontari si va assottigliando – ha ammesso la direttrice del carcere –. Quelli che ci sono stanno diventando anziani, oppure hanno impegni familiari più pressanti o ancora sono legati a progetti a tempo determinato». Oggi quelli «fissi» sono appena 30-35, ma ne servirebbero molti di più. «Più persone entrano in carcere, meglio è – ha aggiunto Mazzotta –. Abbiamo bisogno di due categorie: quelli che possano dare un sostegno morale alle persone che sono all’interno, penso soprattutto ai giovani tra i 18-25 anni, a chi entra in carcere per la prima volta e a chi è stato allontanato dalla propria famiglia e poi c’è chi può contribuire, con le proprie competenze, a trasmettere cultura e formazione». Il carcere ha stretto collaborazioni con istituti superiori e università, in particolare con l’istituto alberghiero («Perché il territorio lombardo chiede in particolare questo tipo di professionalità», ha rivelato Mazzotta), ma non tutti gli indirizzi sono coperti. «C’è chi, entrando, ha sospeso percorsi di studio tecnico-commerciale o professionale – ha detto ancora la direttrice – che potrebbero essere accompagnati da insegnanti esterni per arrivare poi a sostenere gli esami da privatisti». Insomma chi ha competenze, ma basta anche una semplice vocazione al volontariato, può bussare alle porte del carcere, attraverso un’associazione

oppure anche come privato cittadino; all’amministrazione penitenziaria il compito di vagliare le proposte e di inserire forze nuove tra le fila sempre più scarne dei volontari che operano all’interno della struttura. Una buona notizia arriva invece dal mondo del lavoro: sui 511 detenuti del carcere di via Gleno, oltre 300 sono quelli che stanno scontando una pena definitiva: tutte persone che avrebbero bisogno di studiare o di lavorare. L’amministrazione penitenziaria riesce a provvedere a un’ottantina di loro; per gli altri servono accordi con enti esterni (amministrazioni pubbliche, cooperative, aziende). «Negli ultimi mesi – ha concluso Mazzotta – grazie anche alle attività di informazione che abbiamo promosso all’esterno del carcere, 8-9 aziende si sono fatte avanti, offrendo opportunità di lavoro. In particolare, stiamo vagliando alcune attività di formazione legate all’istituto alberghiero e ai settori dell’assemblaggio e della robotica. C’è qualcuno che si è addirittura proposto di investire all’interno della casa circondariale per creare piccoli laboratori e professionalizzare queste persone, per poi assumerle una volta che avranno espiato la loro pena» Sergio Cotti L’eco di Bergamo

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Febbraio 2018


CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


INFO UTILI

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RECAPITI UTILI Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 75.10.39 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 75.12.88 oratorioalbino@gmail.com

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 75.14.82 - 035 02.919.01

Per i battesimi come da calendario alle ore 10.30 o alle 15.00

Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

Padri Dehoniani Tel. 035 75.87.11

ore 7.30 - 17.00

Santuario del Pianto 035 75.16.13 - www.piantoalbino.it Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 75.11.19

Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 75.12.53 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto Tel. 035 75.52.33 aperto al mercoledì (ogni 15 giorni) dalle ore 20.30 alle 22.00 e al sabato dalle ore 9.30 alle 11.30

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Al santuario del Pianto Al santuario della Guadalupe

ore 8.30 - 17.00

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.15

ore 9.00

Alla Guadalupe ore 8.00

Al santuario della Concezione

Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 4598350 Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 4598491 - 035 515532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 8173575 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278111 - 035 278224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

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DALL’ANAGRAFE PARROCCHIALE

Anniversario

Liliana Carrara

7° anniversario Conforti il nostro dolore il ricordo della sua vita vissuta rettamente con semplicità

Stampato in abbinamento editoriale con il n. 7/2019 di LAIF - In copertina: La statua di San Francesco che accoglie i fedeli allla chiesa dei Cappuccini di Albino.

Settembre 2019


Davanti al crocifisso di San Damiano Alto e glorioso Dio illumina il cuore mio Dammi fede retta speranza certa carità perfetta Dammi umiltà profonda dammi senno e cognoscimento che io possa sempre servire con gioia i tuoi comandamenti Rapisca ti prego Signore l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose perché io muoia per amor tuo come tu moristi per amor dell’amor mio (San Francesco d’Assisi)


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