Albino comunità viva - Giugno 2020

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - N. 4 / GIUGNO 2020


CALENDARIO APPUNTAMENTI

Giugno 1 2 Mar 3 Mer 4 Gio 5 Ven 6 Sab 7 Dom 8 Lun 9 Mar 10 Mer 11 Gio 12 Ven 13 Sab 14 Dom 15 Lun Lun

In settimana visita e comunione agli ammalati

S. Giustino m.

S. Aureliano

FESTA CIVILE DELLA REPUBBLICA

Ss. Marcellino e Pietro m.

S. Carlo L. e compagni m. 20.30 Messa per i bambi non nati [Guadalupe]

Memoria di Libio Milanese, esempio di servizio. 8.30 e 20.30 S. Messa al Cimitero 20.30 S. Messa a S. Rocco

S. Gregorio Barbarigo 20.30 S. Messa a S. Anna

S. Marina 20.30 S. Messa alla Concezione

S. Romualdo ab.

S. Quirino v.

S. Valeria m.

S. Ettore

12A Tempo Ordinario

S. Claudio 10.30 S. Messa chiusura anno catechistico 15.00 S. Messa con celebrazione dei Battesimi

SS. TRINITÀ

20.30 S. Messa alla Guadalupe

S. Tommaso Moro

Fine anno scolastico 2019-2020

8.30 e 20.30 S. Messa al Cimitero

Martiri di Nicodemia

S. Medardo

20.30 S. Messa a S. Rocco

Natività S. Giovanni B.

S. Efrem il Siro

S. Diana

20.30 S. Messa a S. Anna

S. Guglielmo abate

S. Barnaba Apostolo Giornate eucaristiche: SANTE QUARANTORE 20.30 S. Messa in prepositurale

20.30 S. Messa alla Concezione

S. Josè Maria Escrivá

S. Cirillo di Alessandria

S. Onofrio Giornate eucaristiche: SANTE QUARANTORE

S. Antonio di Padova Giornate eucaristiche: SANTE QUARANTORE 15.30 S. Messa con celebrazione dei Battesimi

CORPUS DOMINI

S. Amos profeta

16 17 Mer 18 Gio 19 Ven 20 Sab 21 Dom 22 Lun 23 Mar 24 Mer 25 Gio 26 Ven 27 Sab 28 Dom 29 Lun 30 Mar Mar

13A Tempo Ordinario In settimana visita e comunione agli ammalati 20.30 S. Messa alla Guadalupe

Ss. Pietro e Paolo App.

20.30 S. Messa alla Guadalupe

8.30 e 20.30 S. Messa al Cimitero

Ss. primi Martiri di Roma

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1 “Quel cielo di Lombardia, così bello quando è bello, così splendido, così in pace” (“Promessi Sposi” cap. 32)

Di questo nostro cielo parla il Manzoni, quando riferisce la credenza che attribuiva alla cometa, apparsa in quell’anno, la causa della peste. Il cielo che all’alba saluta Renzo in fuga da Milano. Anche allora la gente reclamava interventi urgenti da parte delle autorità. Anche allora il cardinal Borromeo, pur con alcune precauzioni, si cacciava senza alcun timore nel mezzo della pestilenza e alla fine ne uscì illeso, meravigliandosi egli stesso di ciò che può sembrare un miracolo. Anche allora la paura faceva vivere tutti nel sospetto reciproco e si cominciava a diffidare di tutti. E il nostro cielo sopra Albino, piccola porzione di quel cielo di Lombardia? Cosa sta vedendo? È un po’ come i giorni di Pasqua. Un cielo buio, anche con la luna piena di Pasqua, quello della notte del tradimento, del fallimento, dell’incomprensione; di quell’ultima notte di preghiera senza risposta, di amici (i tre preferiti) che anziché vegliare, dormono; del traditore, chiamato “amico”, della cattura, della grande fuga. Delle donne che stavano ad osservare da lontano, fragili, impaurite ma coraggiose; le uniche rimaste con lui, che non l’hanno rinnegato. Solo tra loro Gesù non ha avuto nemici. Un cielo che si fa buio anche quando è giorno; da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio. Una notte in pieno giorno che oscura la nudità di Gesù appeso alla croce, la morte, la derisione, i dadi, l’angoscia. La notte più buia; ma è dal buio che nasce la luce luminosa di un grande amore. Così ci rassicura che alle tenebre, ma anche al dolore, alle lacrime è fissato un limite; quando il male, le lacrime non ci lasciano vedere più niente, questo tempo, però, è limitato; la sofferenza potrà infierire sui giorni dell’uomo, ma il sole torna. E come sul Calvario, così anche nella nostra casa: il sole torna. In uno dei suoi splendidi scritti, don Tonino Bello scriveva: “Coraggio fratello inchiodato al letto del dolore, coraggio sorella sulla tua carrozzina amara, mancano pochi istanti alle tre del pomeriggio”. “Il primo giorno della settimana Maria di Magdala si recò al sepolcro il mattino, quando era ancora buio”. Quando Maria esce di casa il cielo è ancora buio, ma anche il suo cuore è buio. Quando le cose non si vedono ancora bene, ma le intuisce il cuore, Maria va, sola, senza paura, lei che è donna, mentre hanno paura gli uomini, che non si muovono. Ma perché va al sepolcro se non ha niente in mano? Già Nicodemo aveva portato in eccesso trenta chili di mirra e aloe; già, perché l’affetto, la riconoscenza, l’amore sono esagerati. Va come la sposa del Cantico dei Cantici “lungo la notte cerco l’amato del mio cuore”. Va a mani vuote, ma portando lacrime nel cuore. E in quel mattino di un giorno nuovo vediamo accorrere le persone che hanno fatto, più di altre, esperienza dell’amore di Gesù. Di un amore che, intuiscono, non può essere annullato dalla morte. Perché il tempo dell’amore è più lungo del tempo della morte. “E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Qualcun altro l’aveva tolta. Fuori è primavera, ma ora anche la luce del nuovo giorno entra nella tomba. E allora, cielo sopra Albino cosa stai vedendo? Qualcuno ha scoperto che la luce viene dall’alto. Magari senza accorgerci, stavamo vivendo troppo ripiegati su noi stessi; è bastato che qualcuno alzasse gli occhi e, tutti, ci siamo accorti dei vicini di cui non conoscevamo nemmeno il nome. Ci siamo trovati a guardare in alto e, probabilmente, abbiamo riscoperto Qualcuno che ci vuole bene, anche se a volte ci pare che non ci siano risposte alle nostre domande; e di Lui ce n’eravamo dimenticati. Pensavamo di aver perso la fede, e ci siamo trovati a pregare, anche in famiglia, con parole e preghiere più adatte alla famiglia. Hai scoperto i genitori che hanno imparato a benedire i loro bambini all’inizio del nuovo giorno, o prima di uscire da casa, con un piccolo segno di croce sulla fronte o anche solo con la mano sul capo “Il Signore ti benedica e ti protegga”. I genitori si sono scoperti sacerdoti nella loro casa. E così, cielo sopra Albino, hai scoperto che è cresciuto qualcosa di prezioso nel cuore di tanti: l’attenzione a situazioni di sofferenza o di bisogno e una grande generosità verso fratelli che nemmeno conoscono. Aiutaci ad accorgerci che stanno venendo le tre del pomeriggio; e anche se a volte c’è ancora qualche temporale, il sole torna sempre a splendere. Buona continuazione, carissimi, vs. dongiuseppe

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VITA DELLA CHIESA... Intervista a don Roberto Trussardi, direttore della Caritas, che nei giorni dell’emergenza ha dovuto moltiplicare l’impegno

Tanti preti morti, ma nessun povero è rimasto solo «Ci hanno aiutato in tanti anche gli egiziani e i carabinieri». «Hanno bussato famiglie mai viste». «E il vescovo è stato in prima linea» di Ettore Ongis su PrimaBergamo Don Roberto Trussardi è il direttore della Caritas dio­cesana: nei quarantacinque giorni dell’emergenza Covid ha dovuto moltiplicare l’im­ pegno per andare incontro ai bisogni di tanti bergamaschi. Non soltanto materiali. Con lui abbiamo voluto fare il punto sulla Chiesa di Ber­gamo in questi giorni terri­bili. «Abbiamo pagato un prez­zo altissimo: in un mese sono morti venticinque preti. Di media, in un anno ne muoio­no venti. Alcuni erano an­ziani e vivevano in case di riposo, altri combattevano in prima linea: chi dalla parte degli ultimi, come don Fausto Resmini; chi accanto alla loro gente come i parroci di Ur­gnano e Casnigo o vicepar­roci come don Gianbattista Milani, don Adriano di Ca­renno, e quello di Sforzatica morto a 56 anni. Nella set­timana più difficile, ogni gior­no arrivavano due o tre mes­saggini dalla Curia: “Affidia­mo a Cristo buon pastore l’anima del sacerdote...”. Una tragedia senza fine». Diversi preti non si sono comunque tirati indietro. «Tanti, che fortunatamente si sono ripresi, portavano an­cora la comunione ai malati nei primi giorni di marzo... forse in quelle occasioni è avvenuto il contagio». La Diocesi non ha mai smesso di prendersi cura dei bisognosi. «Caritas e Patronato hanno continuato a servire i più po­veri ... le docce, la mensa, ov­viamente rispettando le re­gole imposte dal governo. Nessuno è stato abbandona­to. E abbiamo dovuto incen­tivare i dormitori. Abbiamo dovuto affrontare una nuova realtà, non facile: un conto è farsi carico di un senzatetto a partire dalle 8 di sera, un altro ospitarlo per ventiquattro ore, giorno e notte». Quanti sono i senza fissa dimora che seguite? «Sessanta al Galgario, ven-ticinque alla Casa delle suore del Sacro Cuore, quattordici a Castagneta, sette al Zaretta, più sette donne al Palazzolo. Poi ci sono i duecentocin­quanta al Patronato e i ven­tinove al Patronato di Sori­sole. In tutto circa 450 per­sone». Echi paga? «Noi».

In Caritas avete arruolato anche i preti giovani. «Non dovendo occuparsi degli oratori, che sono chiusi, comprese Pasqua e pasquet­ta, sono venuti ad aiutarci». E i volontari? «I centri di ascolto li ab­biamo dovuti chiudere e a gran parte dei volontari ab­biamo chiesto di stare a casa, perché molti sono sopra i 65 anni. Sono stati comunque vicini ai poveri con telefono, email e contatti continui. Noi in Caritas raccogliamo le ri­chieste ed escono i giovani, preti e volontari. Ora ci stan­no aiutando anche i carabi­nieri, e poi c’è la comunità egiziana bergamasca». La comunità egiziana? «Sì, ha raccolto molti ali­menti e ci ha detto: “Non vogliamo portarli alle fami­glie che non conosciamo, perché magari finiremmo per dare a chi ha già avuto e a non dare nulla a chi ha bisogno. Mettiamoci insieme. Una scelta intelligente, che già avevamo fatto con il Comune. In ogni caso, a Bergamo non muore nessu-


... NELLA DIOCESI

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mana ci regala tre­mila e seicento uova. Ci han­no regalato anche le uova Pe­rugina di cioccolato. Un sa­lumificio del Basso Sebino, che ha voluto restare ano­nimo, ha donato 50 chili di coppa, salame, pancetta. La Citterio ha regalato confezio­ni di prosciutto crudo... E a tutto questo va aggiunta la generosità di persone singo­le». Chi prepara i pacchi? «Un operatore della Caritas aiutato da quattro ospiti del Galgario. Non le dico come li pago ... va be’, gli do un pac­chetto di sigarette». Aiutate le famiglie berga­masche o le famiglie stra­niere? «In questo momento sia­mo circa a metà italiani e metà stranieri. Nell’ultima settimana abbiamo avuto duecento famiglie nuove che non erano mai venute in Ca­ritas, più italiane che stra­niere. Tanti però non osano chiamare, perché il bergama­sco prima di farsi aiutare ... si vergogna. Per toglierli dall’imbarazzo abbiamo isti­tuito un numero unico in Ca­ritas per dire: “telefona”. Ri­ceviamo talmente tanti -ali­menti che ce n’è per tutti i bisognosi. E se avanza qual­cosa lo diamo al Patronato e alle suore.di clausura perché abbiamo capito che in questo periodo facevano fatica. Il ve­scovo mi ha detto di avere un occhio di riguardo anche per loro».

Foto con il Vescovo e don Fausto Resmini scattata al “Posto caldo” in stazione a Bergamo. Tre giorni dopo, don Fausto e don Davide Rota sono stati ricoverati in gravi condizioni.

no di fame». Sicuro? «Sicurissimo. La generosità dei bergamaschi è im-pres-sio-nan-te! Ci sono aziende che hanno donato vagonate di cibo». Faccia i nomi delle azien­de? «Se ne dico alcune e ne lascio fuori altre son dolori». La dica tutte? «A ricordarsele, sono tal­mente tante... Ci provo: la Maina ha regalato a Caritas Lombardia 20 mila colombe e ne abbiamo portate 2500 a Berga·mo; la Lactis offre il lat­te ogni settimana, Bonduelle la verdura, il mercato Orto­frutticolo ha messo insieme i produttori e oggi arriverà un camion pieno: un camion, non un camioncino». Continui. «Un’azienda di Mapello ogni setti-

Il vescovo sembra avere ritrovato una bella ener­gia. «È tornato alla predicazio­ne a braccio, semplice e pra­tico, ed è piaciuto alla gente. I suoi interventi su Bergamo TV hanno fatto ascolti molto alti. Altrettanto attivo, pre­sente e incisivo è stato nelle richieste concrete. In uno dei primi giorni in cui ero in qua­rantena mi ha telefonato per dirmi che “in carcere serve sapone liquido, se hai qual­cosa mandaglielo”. Sabato ha fatto una preghiera con gli affetti da Covid fuori dal Bes Hotel, i malati erano alle fi­nestre: due interventi mera­ vigliosi di cinque minuti». E i parroci? «Si sono ingegnati a inventare tutte le Messe o preghie­re possibili su Instagram o YouTube, è stato un modo per stare vicini alla loro gente. Certo, da parte nostra un po’ di smarrimento lo abbiamo avvertito, perché tutto è suc­cesso nella Quaresima, uno dei tempi forti della vita cri­stiana. E per un prete, ce­lebrare la Messa e il triduo pasquale senza gente è una fatica. L’eucaristia è il fondamento della nostra vita sa­cerdotale. Adesso si sta pen­sando ai Cre: si faranno? Nel modo classico no di certo. Sacramenti, cresime e comu­nioni, sono stati rimandati a ottobre o novembre». A Pradalunga quando il parroco è tornato dall’ospedale hanno suo­nato le campane a festa? «Don Angelo è un bravo prete e la gente gli vuole be­ne. Pur avendo 48 anni e un fisico forte ha rischiato la vita, è stato a lungo in terapia in­tensiva». La Diocesi ha messo sul tavolo altri cinque milio­ni. «È il fondo “Ri-comincia­mo insieme”. L’avevamo già introdotto nel 2009, quando c’era la crisi economica. Vo­gliamo aiutare il mondo della formazione e della scuola, le famiglie per il pagamento de­gli affitti, i piccoli artigiani e i commercianti. Più della metà dei soldi sono di Caritas e Diakonia, poi ci sono le tre mensilità richieste dal vesco­vo ai sacerdoti». Cioè i preti versano il loro stipendio? «Sì, tre mesi, lo ha chiesto il Vescovo».

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VITA DELLA CHIESA UN LIBRO

La zingara martire

La zingara Emilia Fernandez Rodrìguez, martire per la fede, è stata riconosciuta beata dalla Chiesa il 25 marzo 2017. L’editrice Velar di Gorle ha appena pubblicato, in collaborazione con la fondazione Migrantes, un libretto, “Beata Emilia Fernandez Rodrìguez - la zingara martire” ben documentato e illustrato, di padre Massimiliano Taroni su di lei (50 pp, 4€). Non sa né leggere né scrivere ed è una gitana: con lei, il popolo zingaro ha la sua seconda beata, la prima donna, dopo Ceferino Gimenez Malla, elevato agli onori degli altari nel 1997. Emilia Fernández Rodríguez nasce il 13 aprile 1914 nella cittadina di Tíjola (diocesi di Almería, in Spagna), in una famiglia gitana che si guadagna da vivere onestamente, costruendo canestri; per questo, in un certo senso, potrebbe entrare nel martirologio romano come “Emilia la canestraia”. Non ha tempo per andare a scuola, in compenso si addestra fin da bambina nell’arte dell’intreccio, diventandone abilissima. Un lavoro, in ogni caso, che non le permette di arricchirsi, ragion per cui le sue condizioni economiche sono davvero più che modeste, al limite della povertà. Battezzata nello stesso giorno della nascita, frequenta regolarmente la chiesa, tuttavia si sposa secondo il costume gitano: una scelta quasi obbligata, per la verità, visto che la chiesa parrocchiale è chiusa da parecchi mesi per evitare profanazioni, nel delicato clima che la Spagna vive nel periodo 1936/1939, con tante persecuzioni contro la Chiesa e una miriade di martiri. Il matrimonio è celebrato tra febbraio e marzo 1938, alla soglia dei suoi 24 anni e i festeggiamenti si protraggono tra balli e canti per una settimana intera, secondo il costume della sua gente. La luna di miele è però improvvisamente interrotta dalla cartolina precetto, con la quale il suo giovane sposo Juan Cortés Cortés viene arruolato nella guardia repubblicana. Dinamica ed intraprendente, ma soprattutto innamorata, Emilia si reca allora in municipio, per chiedere ingenuamente al sindaco, in nome del recente matrimonio e del suo desiderio di non separarsi così presto dal marito, la dispensa dall’arruolamento, per combattere per di più una guerra civile da cui il popolo gitano si sente completamente estraneo. Scontata la risposta negativa del sindaco, che semplicemente le ricorda come la diserzione sia punita con l’arresto, che scatterà dal 21 giugno, in caso di mancata presentazione all’ufficio reclutamento. Il che avviene puntualmente per Juan, che, non presentatosi nel giorno stabilito, viene rinchiuso nel carcere “El Ingenio”; anche Emilia è arrestata, per istigazione alla diserzione e favoreggiamento della latitanza, e portata nel carcere femminile di “Gachas Colorás” per scontare una condanna di sei anni, malgrado sia in evidente stato di gravidanza. In cella fa vita comune con un gruppo di donne di Azione Cattolica, ricevendo quel conforto e quel sostegno necessaria sopportare, nel-

le sue condizioni, la carcerazione e la lontananza del marito. È in particolare una certa Dolores del Olmo a prendersi maternamente cura di lei, mentre Emilia, a sua volta, resta affascinata dalla loro delicatezza e dalla loro premura. Attratta dal loro modo di pregare, è soprattutto incuriosita dalla recita comunitaria del rosario, finora a lei sconosciuto. Tanta è la pazienza delle sue improvvisate catechiste e, insieme, la sua innata intelligenza, da riuscire in fretta ad imparare quelle strane parole latine, al punto che il rosario diventa il suo inseparabile compagno di cella. E lo recita con un fervore e una devozione tali da insospettire i suoi stessi carcerieri, che la sottopongono a torture ed interrogatori senza fine per scoprire da chi lo abbia imparato. La giovane zingarella, se pur prostrata, non si lascia sfuggire neanche una parola e non rivela il nome delle sue catechiste, neanche quando viene messa in cella di isolamento, che poi è un bugigattolo in cui a malapena una persona può stare sdraiata. Qui, in completa solitudine, sulla semplice stuoia che le fa da materasso, Emilia partorisce una bimba il


«PREGATE NOVITÀ COSÌ» EDITORIALE5

Un libro sulla preghiera sintesi del Vangelo Sulla preghiera paradigma di ogni preghiera per i cristiani, il Padre nostro, il cardinale Gianfranco Ravasi, nella sua qualità di biblista, ha segnalato su Domenica de Il Sole 24 ore del 3 maggio, il libro di un più giovane biblista, Matteo Crimella, presbitero della Chiesa ambrosiana. Il libro intitolato appunto “Padre nostro” è edito dalle edizioni San Paolo, al costo di 14 €. È un commento alle due versioni della preghiera del Padre Nostro, le due che si trovano nei vangeli di Matteo e di Luca; sono due commenti separati, utili a evidenziale la visione dei rispettivi evangelisti, i quali, pur facendo ammirare la multiforme ricchezza dell’annuncio di Gesù, comunque trovano punti unificanti. Gesù nel Padre Nostro manifesta il suo modo di rivolgersi a Dio e di vivere. Da notare che nel libro, “le discussioni filologiche e le note sono ridotte all’osso, onde evitare tecnicismi accessibili unicamente agli addetti ai lavori”, ovvero gli esegeti dei testi biblici, a cui una nota rimanda. 13 gennaio 1939. È ancora Dolores a riuscire a battezzare la piccola di nascosto, dandole il nome di Ángeles, mentre per la mamma le cose non si mettono bene: una copiosa emorragia, contro la quale a nulla serve un tardivo e breve ricovero in ospedale, la porta alla morte dodici giorni dopo il parto. Il suo cadavere è sepolto in una delle tante fosse comuni di quel periodo, ma il peggior torto è fatto nei confronti della sua piccola creatura, che non viene affidata ai parenti, ma portata in istituto e, come “proprietà dello Stato”, data in adozione, senza che a tutt’oggi si sappia che fine abbia fatto. Gianpiero Pettiti

Una curiosità da notare, come accennato anche dal card. Ravasi: in entrambi i Vangeli la traduzione della penultima invocazione del Padre Nostro, che fino ad ora è suonata con “Non indurci in tentazione”, come nel testo latino, come se fosse Dio a tentare al male, e presto nella liturgia della Chiesa italiana sarà “Non abbandonarci alla tentazione”, è letteralmente “Non introdurci alla prova”. Scoprire quanto questa traduzione, in italiano corrente “non metterci alla prova”, sia più adeguata, in entrambi i vangeli, ad esprimere un’invocazione al Padre nel momento in cui la nostra fede è messa alla “prova”, lo lasciamo al lettore del libro.

Il libretto è reperibile anche rivolgendosi a P. Luigi M. Peraboni, piazza Carrobiolo 8, 20900 Monza. Il precursore della pastorale dei rom e sinti della diocesi di Milano, don Mario Riboldi, dopo 66 anni di vita con loro, a 91 anni, è ricoverato in una casa di preti anziani a Varese. Gli è succeduto un giovane, don Marco.

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EDUCAZIONE PREVENZIONE PER COMBATTERE ALCOOL E DROGHE

Don Chino Pezzoli

LO SBALLO COME “STILE” DI DIVERTIMENTO Rubrica a cura del Centro di Ascolto e Auto-Aiuto “Promozione Umana” di don Chino Pezzoli. Educhiamo i nostri giovani e giovanissimi a dire di no allo sballo, alla perdita di controllo che risulta la causa di disturbi mentali, di tante disgrazie e violenze. In occasione del fine settimana o delle feste infrasettimanali, aumentano le aggressioni, le violenze, gli incidenti stradali, i feriti, i morti. Occorre maggiore informazione da parte dei media e più controllo nei luoghi pubblici, se vogliamo fermare questa strage assurda che sgomenta e tiene in ansia molte famiglie. Ma soprattutto i giovani vanno educati a vivere i momenti di divertimento senza la smania di alterare la loro mente con l’uso di droghe o di alcool. La salute fisica e psichica è un valore grande per tutti. Non si capisce come mai giovani e giovanissimi la devono danneggiare con una vita disordinata e in nome di un divertimento che si riduce a stati euforici e incontrollati. Vogliamo, per favore, insistere maggiormente sui danni mentali e sociali che procura un divertimento orgiastico e disordinato? Lo sballo può dare luogo a gravi scompensi psichici, determinare alterazioni cerebrali irreversibili e danni sociali gravi. La mente turbata dall’alcool, dalla droga, dai rumori, dall’insonnia, può perdere l’autocontrollo, accusare in sé scompensi psichici permanenti e causare incidenti stradali mor-

tali. Ogni anno risalgono a circa 7000 i morti sulla strada e, metà di questi, sono causati in stato di sballo. L’educazione a conservare ed avere cura dell’equilibrio psichico, non va disattesa per il bene di tutti. Non si insisterà mai abbastanza perché i giovani e giovanissimi vengano abituati a riflettere sul valore dell’autocontrollo e dell’equilibrio per la vita, la qualità e la durata della stessa. Sembra di trovarci spesso di fronte a giovani che apprezzano tutto, meno che la salute mentale e l’equilibrio che ne deriva nei comportamenti e nelle azioni. Nessuno possiede la ricetta giusta per curare lo sballo giovanile che determina violenze, aggressioni, maleducazione ed altro. Noi adulti dobbiamo impegnarci di più nel proporre ai giovani divertimenti intelligenti in cui imparino a stare insieme, a dialogare, ad essere contenti. Dobbiamo inoltre bandire dall’educazione quel permissivismo dilagante che pubblicizza l’eccessivo consumo di emozioni attraverso discoteche, stadi, musica, droghe, alcool e censurare quei disonesti informatori che presentano la perdita dell’autocontrollo come supporto al divertimento, alla comunicazione, alla fusione nel gruppo.

Basta con le bugie che vogliono far credere che, tutto sommato, le droghe non sono tutte uguali e che gli adolescenti e i giovani devono imparare a sceglierle e usarle bene attraverso il controllo dell’abuso per non farsi eccessivamente male. Tali affermazioni sono demenziali e vanno censurate, confutate con i fatti. Nessuno è in grado di controllare l’abuso delle droghe quando ne fa uso. Dire a un giovane di usare pure le droghe con parsimonia e l’alcool a volontà per divertirsi, significa autorizzarlo a sballare, a perdere il controllo, a danneggiare se stesso e gli altri. Cristo consiglia “i commercianti” del tutto lecito di mettersi una macina da mulino al collo e sprofondare in mare….. Purtroppo questi vigliacchi, la macina da mulino l’attaccano al collo di tanti giovani e giovanissimi.

CENTRO DI ASCOLTO E AUTO-AIUTO “PROMOZIONE UMANA” di don Chino Pezzoli

Via Donatori di Sangue 13 Fiorano al Serio - Tel. 035 712913 Cell. 3388658461 (Michele) centrodiascoltofiorano@virgilio.it Facebook @centrodiascoltofiorano INCONTRI GENITORI mercoledì dalle 20.30 alle 22.30


EDUCAZIONE

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CHALLENGE DEI ROVER 2020

Una sfida a distanza per valorizzare le nostre relazioni in famiglia “Viviamo questo nostro Challenge, mettiamoci alla prova, sfidiamoci; e mettiamo le mani anche in quegli aspetti della nostra vita che non siamo così felici di andare a sbirciare.” Questo è stato l’appello lanciato ormai oltre un mese fa dal nostro Commissario Nazionale, Lorenzo. Un appello arrivato quando, come tutti i gruppi scout, anche il nostro ha dovuto rinunciare ad una versione più “classica” di Challenge; quella in cui i rover (ragazzi di 16-21 anni) partono, cartina alla mano, verso una serie di prove tecniche, fisiche, di stile tipicamente Scout, da cui ciascuno ha l’opportunità di tornare vittorioso nella propria sfida e anche più alto di una manciata di centimetri. Una rinuncia sofferta, sicuramente, che si aggiunge in coda a tutte le attività che si sono dovute sospendere per far fronte all’emergenza, ma una rinuncia che appare pure così piccola di fronte ai veri drammi che abbiamo vissuto e conosciuto. Eppure, ci ripetiamo spesso noi scout, “non esiste buono o cattivo tempo”. Questa frase sembra priva di senso e forse anche un po’ bugiarda, fino a quando non ci scopriamo a cantare a squarciagola, cercando di superare il rumore della pioggia sulla tesa del cap-

pello. Perché, in effetti, quando la notte è più buia il cuore ha più bisogno di camminare e di cantare; e noi, a quel punto, abbiamo il dovere di partire… e di ascoltare. Questo è lo spirito che ha animato gli scout di Albino, insieme a quelli di tutta l’Italia Nord-Ovest. Dalle Alpi al Mare, dalla Liguria alle Orobie, ci siamo messi in gioco organizzando attività a distanza, per una settimana, dal 24 aprile al 3 maggio. Crediamo che i nostri Rover si siano davvero lasciati sfidare, volendo andare oltre la pioggia, oltre il buio, oltre lo scoglio di questa situazione, ad interrogarsi circa il seme del nostro essere “relazione”. Ma come si può sfruttare e vivere appieno questo momento, come si può parlare di relazioni, quando ci sembra che tutto ciò che ci rimane della nostra Comunità sia drammaticamente legato ad un computer o ad un telefono? È stato necessario scavare, fino ad arrivare al cuore di ogni Comunità, alla Famiglia. Perché è questo il luogo che viviamo per la maggior parte del nostro tempo. È vero sempre, ma lo è ancora di più adesso. Le relazioni più autentiche che stiamo vivendo sono quelle nelle nostre case. Ma è sciocco pensare che stare tanto tempo insieme voglia dire automaticamente vivere relazioni profonde; la prossimità non è necessariamente intimità e l’Amore deve essere la chiave.

Con questi presupposti 168 ragazzi con i loro capi si sono confrontati divisi in clan, composti da rover di diverse province, su 11 tematiche legate alla famiglia. Oltre ai momenti di riflessione, i rover sono stati messi alla prova da una serie di enigmi e hanno vissuto in streaming la S. Messa celebrata dal nostro don Andrea; il tutto con il supporto di un sito internet creato per l’occasione. Soprattutto i rover si sono impegnati autonomamente a realizzare una serie di video che esprimessero le proprie riflessioni adottando diverse tecniche scout, quali le ombre cinesi, il coro, le scenette, i canoni... Questi cortometraggi montati e uniti ad alcune testimonianze di vocazioni familiari, tra cui quella degli albinesi Francesca e Fabio, hanno costituito il video condiviso nella veglia finale. È stata occasione di Servizio per alcuni, di Formazione per altri, di Sacrificio e di Crescita magari: ebbene, nulla di tutto questo era scontato ed è stato frutto della Scelta di ciascuno. Ci siamo quindi lasciati con l’augurio a riscoprire il senso e la bellezza dell’essere-per-l’altro, in modo da farsi trovare pronti quando la normalità tornerà a proiettarci in un mondo che ha decisamente bisogno anche di noi, come figli e fratelli in Cristo. Volpe Tranquilla e Tasso Riflessivo

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TESTIMONIANZA

NEI GIORNI DEL CORONAVIRUS «Quella stupida e micidiale fiducia che non ci fosse peste». Alessandro Manzoni, Promessi sposi, XXXI, r. 204 Il fine settimana precedente il tanto atteso ponte di carnevale, sabato 22 e domenica 23 febbraio, quando finalmente speravamo di prenderci una breve vacanza dalla scuola e dagli impegni, ci siamo ritrovati tutti quanti in una situazione inimmaginabile. Sapevamo di questo famigerato Coronavirus dalle notizie che ci arrivavano dalla Cina. Mai però ci saremmo immaginati che esplodesse con tanta letale rapidità, mai ci saremmo immaginati di dover vivere in un isolamento forzato: scuole chiuse, negozi chiusi, fabbriche chiuse, tutti a casa. Di entrare in un tunnel di cui non scorgiamo ancora la fine… Durante i primi giorni di allarme la maggior parte di noi non sembrava aver preso molto sul serio la raccomandazione di evitare ogni contatto per contenere il contagio. La voglia di normalità, la primavera incipiente, il desiderio di trasformare in una breve vacanza la sospensione delle attività didattiche, serpeggiava, tra giovani e meno giovani… Poi la situazione è peggiorata sempre di più e le restrizioni si sono fatte più severe. In questo contesto, da alcuni definito apocalittico, da altri surreale, la gente, come succede in questi casi, ha risposto alle direttive in modo responsabile; solo alcuni, ma non so dire quanti, hanno dato il peggio di loro stessi: assalto ai supermercati, fuga precipitosa sui treni che portavano verso sud, aperitivi e festini nei bar della movida, discese sugli sci con tanto di assembramento agli impianti di risalita, pic nic all’aria aperta, nei parchi, gite sulla spiaggia, rave party… Certo, è una situazione che non avevamo mai vissuto, forse solo i più anziani durante la guerra, quando c’era il coprifuoco, ma allora il nemico era visibile ed identificabile. Impressionante l’urlo delle ambulanze che sfrecciano con una frequenza tale da non promettere niente di buono. Gli ospedali al collasso, il personale medico che si immola in turni massacranti rischiando il contagio, decine e decine di morti, centinaia, migliaia. Addirittura scarseggiano le bare e alcuni morti vengono trasferiti in altre province su camion militari per la cremazione. La gente un po’ alla volta si è resa conto. La situazione è molto grave, anzi gravissima, e non è possibile intravedere un termine, fissare una data -anche approssimativa- per un ritorno alla normalità. Durante i primi giorni di reclusione, aprivo l’agenda (strumento indispensabile nella normalità ed ora un oggetto praticamente inutile) e cercavo di tenere conto degli impegni saltati, degli appuntamenti e delle scadenze da rinviare… Poi però è subentrata una preoccupazione più cupa, angosciante, per le condizioni di salute di molti, amici, parenti, conoscenti, vici-

ni di casa, noi compresi. Le notizie dei morti accompagnano i telegiornali come veri e propri bollettini di guerra, le pagine del quotidiano locale dedicate ai necrologi sono quasi una dozzina al giorno. Ancora più triste apprendere della morte di persone care, di tanti che, morendo in questa situazione di emergenza, non hanno potuto dare l’ultimo saluto ai loro familiari e saranno funerati senza alcuna cerimonia ma solo con una benedizione. Prima sembrava che i morti fossero quasi esclusivamente anziani, ottantenni ed oltre, con condizioni di salute precarie e già compromesse. Poi però hanno cominciato a morire anche gli adulti e i giovani, anche coloro che fino al giorno prima stavano bene. Segno che il virus non fa distinzioni di persone ma colpisce indiscriminatamente; chiunque può essere contagiato e, a sua volta, contagiare. Durante gli ultimi giorni di febbraio e i primi di marzo, insieme alla Preside e ai colleghi ci siamo organizzati per tenere con le classi delle lezioni a distanza. È stato bello veder salire alla ribalta i colleghi più giovani ed esperti in queste tecnologie, ricercati, interpellati da tutti per consigli, suggerimenti, soluzioni tecniche. È, e sarà, il loro momento di gloria. Io mi sono sentito improvvisamente obsoleto, superato; non perché non volessi imparare qualcosa di nuovo -per un insegnante sarebbe un tragico paradosso- o perché non avessi nulla da dire, anzi, ma per la modalità così mediata, un po’ asettica, distante, di interagire con gli studenti davanti ad uno schermo. Poi


EDUCAZIONE

anch’io ho imparato a familiarizzare con le lezioni online. Gli studenti da parte loro, abituati a questo genere di strumenti, hanno vissuto tutto ciò con naturalezza ed anche con serietà; forse per loro è una specie di gioco oppure è un’occasione, diventata improvvisamente preziosa specialmente per i maturandi, di rimanere in contatto, di ascoltare la voce dei loro insegnanti, di riscoprire l’importanza della scuola nelle loro giornate di quarantena. Quando anch’io ho cominciato a star male -e la cosa è durata per due settimane abbondanti- ho dovuto interrompere le videolezioni: la febbre insistente, una tosse fastidiosa che ti impedisce di parlare senza continue e penose interruzioni… Allora, quando sei malato, tutte le priorità saltano, non ti interessa più nulla, diventi cinico e insensibile, ripiegato su te stesso. Fai perfino fatica ad accorgerti di chi ti sta vicino e ti accudisce con amore e discrezione. Quello che mi colpisce in questi giorni è che le raccomandazioni ad essere positivi, lucidi, ad avere speranza, su di me sembrano avere un

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effetto piuttosto scarso. Anche la preghiera sembra un’attività inutile, la mia fede, l’amore per gli altri rischiano di affievolirsi e di lasciare il posto ad un pessimismo malinconico, rassegnato. La tentazione sarebbe quella di lasciarsi andare. Molti amici, parenti, colleghi mi raggiungono con i loro messaggi di incoraggiamento; la cosa mi fa piacere, è un bel segno; mi è di conforto, soprattutto nei giorni in cui mi sembrava di aver perso la voglia di guarire e nulla mi dava più interesse, neppure la lettura, ed a volte mi ritrovavo da solo, di nascosto per la vergogna, a piangere. Mi è sembrato di aver toccato il fondo della mia più disarmante vulnerabilità, di una fragilità che non conoscevo… Solo rare volte in passato avevo dovuto fare appello alla mia forza d’animo, per dar prova di carattere e superare delle prove che, a differenza di questa, erano circoscritte, visibili, affrontabili. Ma allora stavo bene, ero in salute e mi sentivo forte, sapevo che ce l’avrei fatta. Ora invece il “nemico” da affrontare è subdolo, pervasivo, minaccioso, come la peste che vaga nelle tenebre, per dirla con le parole del Salmo 90. Hai la sensazione terribile che non ci si possa difendere più di tanto e che “uno sarà preso, l’altro lasciato”. In questi giorni, ho attraversato dei momenti nei quali ho dubitato. E non serviva a molto ricordare a me stesso che non ero -come tanti meno fortunati di me- in fin di vita, in una corsia d’ospedale, da solo, lontano dai miei cari… Le bimbe del piano di sopra mi hanno strappato provvidenzialmente da questi pensieri negativi: corrono, saltano e giocano rumorosamente; la più grandicella mi ha fatto avere due letterine colorate con gli acquerelli: in una c’è un arcobaleno e nell’altra il ritratto di una bimba, forse un suo autoritratto. Sul retro le scritte: «Forza, Enzo! Andrà tutto bene. Se serve qualcosa ci siamo» e il numero di cellulare di mamma e papà. Enzo Noris

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI DONNE ACLI: più attenzione all’occupazione femminile

Cosa ne sarà del lavoro delle donne dopo questa emergenza? La situazione che stiamo vivendo non ha precedenti anche perché il nostro paese, prima della crisi, era già penultimo in Europa per tasso di occupazione femminile – ha dichiarato la Responsabile del Coordinamento Donne delle Acli, Agnese Ranghelli – e i segnali da parte del nostro Governo riguardo le donne non sono incoraggianti: nella fase 2 molte competenze e professionalità del mondo femminile non sono state coinvolte, nonostante nei fatti la presenza delle donne in prima linea nella battaglia contro il virus sia cospicua e importante, a partire dall’ambito sanitario. La richiesta di un maggior coinvolgimento è rafforzata dai dati: infatti, anche dagli ultimi dati pubblicati dal Word Economic Forum, risulta che il coinvolgimento delle donne potrebbe migliorare la competitività economica. Quest’ultima può essere accresciuta conseguendo un migliore equilibrio tra i generi nei posti di responsabilità e solo le economie che riusciranno a impiegare tutti i loro talenti riusciranno poi a riprendersi e a prosperare.Le fasi da affrontare per uscire dall’emergenza saranno ancora tantissime, perciò auspichiamo che ci sia una inversione di rotta perché non abbiamo bisogno di uomini soli al comando ma di persone, donne e uomini, che sappiamo lavorare per ricostruire e migliorare la comunità. Tutti sono chiamati a concorrere alla rinascita del Paese e del lavoro! In tutte le culture il lavoro è la base del sistema economico e nella nostra Costituzione è anche a fondamento della Repubblica e del suo progresso, che riguarda donne e uomini.

TESSERAMENTO 2020

Fino al 30 novembre 2020 è possibile diventare soci ACLI acquisendo la relativa tessera presso gli uffici del Patronato in piazza Giorgio La Pira (passaggio pedonale da via Mazzini).QUOTE 2020: socio sostenitore € 20 la differenza rima-

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

ne ai circoli come sostegno delle attività; tessera ordinaria € 18; tessera famiglia € 15 se almeno un componente del nucleo famigliare (coniuge/figli) ha già una tessera Acli; tessere giovani € 10 (under 32 ovvero nati dal 1988 in avanti).

PROGETTO

Quello della cooperativa “Controluce” è un progetto ambizioso. Con “Mani in pasta”, volontari, medici e pazienti non vogliono solamente sperimentare l’inserimento lavorativo di persone affette da disabilità psichica all’interno di un pastificio. In programma c’è anche il lancio di un marchio etico che non trascuri il consumo critico e il sostegno sociale ai soggetti svantaggiati. Il primo passo è compiuto. A San Cataldo, nell’entroterra di Caltanisetta, ha aperto “InSemola”, un laboratorio di pasta fresca dove 15 disabili psichici avranno la possibilità a gruppi di cinque e per nove mesi continuativi, di impastare a fianco di due “tutor- chef”, confezionando e vendendo al pubblico i loro prodotti. In tal modo il volontariato in Sicilia si sostituisce allo Stato, che ha lasciato scoperto di servizi socio-sanitari specifici un vasto territorio. Il pastificio artigianale ha aperto i battenti grazie al sostegno di “Fondazione con il Sud” e rappresenta ciò per cui molti psichiatri hanno lottato tutta la vita : la liberazione dei pazienti con gravi patologie. “Mani in pasta” coinvolge naturalmente anche le famiglie degli utenti, che seguono il progetto con grande partecipazione, poiché vedono in questa sperimentazione un aiuto e un sostegno socio-assistenziale ai loro gravi problemi.

ANTI SPRECO

Molti cibi si possono consumare anche parecchi giorni dopo la data di scadenza indicata sulla confezione. E il pane che rimane invenduto, a fine giornata può essere recuperato con il congelamento. Sono alcune delle indicazioni che la Fondazione Banco Alimentare e la Caritas hanno raccolto in un manuale destinato a supermercati, negozianti, ristoratori e volontari su come evitare che

il cibo in avanzo vada sprecato garantendone, al contempo, anche la sicurezza e la corretta conservazione. Ogni giorno vengono buttati in pattumiera tonnellate di alimenti che se fossero recuperati aiuterebbero ad alleviare la povertà alimentare di molte famiglie italiane. La speranza è riuscire ad evitare che finisca nei cassonetti una montagna di cibo da distribuire ai bisognosi. E il manuale distribuito serve proprio a questo scopo.

COMUNITÀ EDUCANTE

Un buon formaggio, prodotto da persone che hanno fatto del male. E’ con questa presentazione che è stato regalato a Papa Francesco “il formaggio del perdono”. Una squisitezza confezionata dai carcerati coinvolti nel progetto CEC, una sigla che sta per Comunità educante con carcerati, messo a punto dalla comunità Giovanni XXIII. È la più bella dimostrazione che anche chi ha commesso una brutta azione può riflettere, pentirsi e dedicarsi alla bontà ! Segnali come questo vanno divulgati, perché mettono in evidenza il fatto che anche chi sbaglia, magari anche gravemente, può rendersi conto degli errori compiuti e riabilitarsi.

RINASCITA

Questa toccante e sincera partecipazione per un assurdo delitto è talmente profonda da sembrare una poesia. Ed è di uno scrittore russo, Eugeny Evtujkenko, in memoria di Martin Luter King, il martire della non violenza: “Era un negro, ma con un’anima pura come neve bianca. Venne ucciso da un bianco con un’anima nera. Quando ricevetti la notizia quella stessa pallottola colpì anche me. Quella pallottola lo uccise ma da quella pallottola io sono rinato. E sono rinato negro”. Sono parole che denotano un sentimento e un dolore talmente profondi che sarebbe difficile descriverne il valore, se non partecipandovi attraverso la condivisione. Per le Acli Albinesi Gi.Bi.


VITA IN PARROCCHIA

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Non possiamo non comunicare

Note a margine dei mezzi di comunicazione nella nostra Parrocchia Il tempo del COVID ha obbligato a prendere in considerazione in modo più approfondito anche tutto l’ambito della comunicazione e questo non poteva non poteva non riguardare anche il nostro comunicare all’interno della Parrocchia. Potendo solo incontrarci attraverso i mezzi di comunicazione (radio, sito internet, pagine social, canale YouTube) abbiamo deciso di interpellarci nei giorni subito dopo Pasqua. Condividiamo qui i dati che questa piccola inchiesta parrocchiale ci ha restituito. Innanzitutto occorre dire “grazie” ai tantissimi (106) che hanno risposto contribuendo a orientare poi alcune scelte che stiamo portando avanti. Questo ci sta permettendo di avere un po’ di più il polso di se e quanto siano utili e conosciuti i vari canali di comunicazione. Unica piccola nota riguarda la Radio che è l’unico canale di cui non abbiamo strumenti che ci dicano quanti siano sintonizzati, per cui oltre a questi dati vanno aggiunte circa una ventina di telefonate a riguardo dell’orario delle messe per chi le ha sempre seguite sui 94,7 FM.

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ORATORIO

Manca la sveglia che suona la mattina.

Manca il lavoro. Manca lo sport. Mancano le passeggiate. Mancano i locali affollati. Mancheranno i cari che ogni giorno ci lasciano.

B

analmente possiamo ragionare su ciò che è superfluo nel nostro quotidiano e ciò che invece ci caratterizza e ci fa sentire vivi, quale è la nostra vera missione? Quale causa sentiamo più nostra? Dove ci sentiamo davvero a casa?

Vivo questo tempo strano, sospeso, buio.

Affranto il cuore per tante persone che soffrono ...amici, parenti, ... Eppure il cuore è capace di incantarsi, emozionarsi, nel vederci uniti intorno a un tavolo pregando insieme! Una semplice, piccola preghiera. Forse è l’inerzia a farci “stare”, più uniti. Un’obbligata convivenza. Ma qui siamo e ritroviamo, nonostante tutto, la bellezza e la semplicità di guardarci. Guardo i nostri figli senza limite del tempo. Torno a tessere la relazione, ritrovo momenti perduti. Imparo a ritirarmi, ci sono spazi da abitare e spazi da lasciare abitare. Scavando in questo dolore posso trovare tesori.

Da qualche anno la prima cosa che leggo quan-

do entro in oratorio è “BENVENUTO A CASA”, per alcuni può essere una semplice scritta, ma non per me. Con il passare degli anni, l’oratorio si è trasformato davvero in una casa, in cui il piacere di svolgere tante attività diverse si è sommato al nascere di nuove amicizie e rapporti ormai consolidati. Quindi mentirei se dicessi che questa emergenza sanitaria non ha portato scompiglio in questo equilibrio. Perciò il ritrovarmi all’improvviso fermo e immobile, sospeso in un tempo di attesa e incertezze, mi ha fatto riflettere. Ho preso maggiore consapevolezza di quanto pesi positivamente nella mia quotidianità, il mettermi in gioco e a servizio per gli atri, di come sia una piacevole valvola di sfogo dagli impegni lavorativi e non.

1482-273=1209. 1209 può essere il numero simbolo della mia quarantena. È il risultato di una sottrazione molto semplice. Chilometri percorsi a febbraio – chilometri percorsi a marzo= 1482-273=1209. 1209 chilometri di differenza tra un mese e l’altro. Dal 9 marzo la mia macchina è parcheggiata sempre lì a pochi metri da un pino. Se si viaggia per 1209 chilometri si può raggiungere Tropea in Calabria, si può percorrere tutta la Costa Azzurra, si può raggiungere Budapest e proseguire anche oltre oppure ci si può spingere fino alle coste bagnate dal Mare del Nord”.

V

orrei scrivere anche qui che in questa quarantena sto imparando qualcosa, ma questa distanza dalla vita di tutti i giorni mi ha colto impreparata.

I

n questi giorni, molti si sono chiesto cosa faranno una volta finita la quarantena. Ce lo chiediamo perché il rischio è quello di rimanere spiazzati fuori dalla porta e trovarsi impreparati. “Dove vado?”, “Perché ho sceso le scale in fretta e furia?”, “E adesso?”, “Come sarà la nostra vita?”.

È

morto il papà di quella che è stata la mia migliore amica per diversi anni. Davanti a una notizia così, però, non potevo rimanere ferma. Suo padre è morto e lei ha venticinque anni come me. Cosa si immagina a venticinque anni con il proprio papà? La festa per la laurea, la prima cena offerta da te con il tuo vero primo lavoro, la passeggiata fino all’altare e poi lo immagini vederlo prendersi cura dei suoi nipotini. Quello che immagino io per mio papà, lo immaginava lei per il suo.

Siamo assai lontani,

ma i cuori son sempre vicini, il corona ci rende un po’ strani, ma noi rimaniamo bambini. Non possiamo abbracciarci e baciarci, non possiamo andare a scuola, ma possiamo telefonarci perché l’amore è sopra ogni cosa.


ORATORIO ALTRI MONDI23 13

Il virus nei “Paesi di missione” BURUNDI (17-23 maggio)

Il governo di un Paese africano, che ha un sistema sanitario fragilissimo, ha preso pochissime misure per contrastare il virus; si è votato per le elezioni presidenziali ed espulso i 4 esperti dell’Organizzazione mondiale della Sanità. La popolazione si mostra fatalista davanti alla pandemia. Continua la partecipazione ai sacramenti, così alle confessioni da p. Giovanni Carrara si presentano anche 50 persone.

PERÙ (14 maggio)

L’America latina sta subendo gli effetti di una decisa impennata della pandemia da coronavirus. Brasile, Perù e Messico sono i Paesi più colpiti. L’arcivescovo di Lima, Mattasoglio: “Stiamo forse vivendo la situazione più grave degli ultimi due secoli, a parte le guerre mondiali”. P. Taddeo Pasini non è in formissima, anche perché per il virus non può spostarsi a Lima per i controlli sanitari, ma continua la sua missione vicino ai poveri.

E

questo tempo che pare immobile cosa ci sta consegnando? Questo sentirci in maniera più forte, come comunità, come case vicine, come custodi delle sofferenze degli altri. Questo inventarci un tempo scarico da un affannato rincorrersi di cose da fare che abbiamo continuato a riconoscere e protestare come disumano. Questo sentire la mancanza di quella persona, di quell’abbraccio, di quel bacio. Questo percepire e pensare la vita come un dono prezioso, fragile: siamo creta, neve, albero, carne, sangue, vita. Ricordati di ricordare. Questione di cuore. Questione di cuore nel tempo.

BOLIVIA (18 maggio)

In Bolivia, sono stati superati i 4mila casi, ufficiali, non reali, di contagio, in buona parte concentrati nel dipartimento di Santa Cruz de la Sierra. La Pastorale sociale Caritas ha presentato un progetto di amnistia per le carceri, luoghi altamente vulnerabili; prodotti alimentari e igienici sono stati portati nelle carceri, ad esempio di Cochabamba. Alla Ciudad dei ragazzi con don Gian Luca continua la chiusura delle scuole, sostituite da attività di animazione.

ALBANIA (21 maggio)

Le misure molte restrittive adottate dal governo albanese in questi mesi per la pandemia “covid19”, hanno fatto sì che, attualmente il contagio sia stato contenuto; coscienti dell’impossibilità di far fronte in strutture sanitarie adeguate, e di non avere a disposizione le apparecchiature mediche e i medicinali necessari. Si stanno gradualmente aprendo quasi tutte le attività lavorative e si pensa di aprire scuole materne e nidi per tutta l’estate. La comunità religiosa di Shengjin, con suor Antonella Ruggeri, sta ancora accogliendo una famiglia in difficoltà, una mamma con quattro bambini, segue inoltre altre famiglie restate a Shengjin dopo l’ondata del terremoto, portando loro generi alimentari di prima necessità. Continua a segnalare alla Caritas Diocesana albanese e alla Croce Rossa famiglie in difficoltà che hanno perso il lavoro per l’epidemia; segue anche le situazioni di alcune famiglie da sempre in povertà che si rivolgono alla comunità.

ERITREA (16 maggio)

terra dei cappuccini albinesi mons. Camillo e p. Rufino Carrara in specie la diocesi di Keren e Asmara. Il ministero della salute aveva dettato linee guida per interrompere la trasmissione del virus, che ufficialmente ha colpito 39 persone, tutte ufficialmente guarite. Dal 2 aprile, il governo eritreo aveva ordinato un lockdown nazionale della durata di 21 giorni: era stata disposta la chiusura delle scuole e di tutte le attività non indispensabili, l’arresto dei trasporti pubblici e dei voli commerciali. Da ricordare che, nell’estate dell’anno scorso, il governo ha sequestrato i 29 centri sanitari cattolici.

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SOLIDARIETÀ

C’è bisogno, oggi più di ieri, di solidarietà Sono molte le famiglie che, in tempo di pandemia, si sono ritrovate ad affrontare un’emergenza più grande, perché se è vero che stiamo tutti navigando nella tempesta, l’imbarcazione sulla quale la affrontiamo non è la stessa per tutti: c’è chi è riuscito a mantenere il lavoro e chi è in cassa integrazione o lo ha perso, c’è chi ha una famiglia allargata che lo aiuta, ma c’è anche chi è solo… Chi faceva già fatica ad affrontare la quotidianità e ad avere il pane quotidiano, ora è ancora più in difficoltà. Per questo i volontari di “Legami di pane”, insieme all’Amministrazione comunale di Albino e alla Protezione civile, hanno deciso di riprendere l’attività: c’è bisogno più che mai che i legami non si interrompano e che la solidarietà si faccia concreta. Scrivono i volontari: «Nel mese di aprile abbiamo riaperto gradualmente il lavoro di raccolta e distribuzione di alimenti a famiglie in difficoltà e bisognose di relazioni solidali, lavoro di cui la comunità può andare fiera. L’organizzazione delle attività, in aprile, è stata improvvisata in funzione delle varie disponibilità dei volontari.

Alcuni numeri... Il 3 aprile sono stati preparati e distribuiti 95 pacchi di alimenti (pasta, riso, tonno, zucchero, ecc.), molti di più di quelli precovid. Dal 6 aprile è ripreso il ritiro degli alimenti freschi in scadenza dal Gigante: quanto raccolto è stato inserito in 53 pacchi di solo fresco in varie distribuzioni. Il 15 aprile si è proceduto al ritiro di alimenti a Muggiò (Milano) - per l’Associazione Mamme del Mondo - e sono stati preparati e distribuiti 35 pacchi. La Protezione civile si è impegnata nella distribuzione a domicilio di tutti i pacchi. Complessivamente in aprile sono stati distribuiti 125 pacchi rispetto agli 80 mensili mediamente distribuiti pre covid-19. Un aumento del 50% fa risultare evidente che la pandemia ha segnato pesantemente sulle famiglie albinesi. Sono state ricevute gratuitamente - da un nuovo allevamento di Nembro, “Le selvagge”, che ringraziamo - e inserite nei pacchi anche circa 1.000 uova di gallina.

Dall’inizio di maggio è ripresa l’organizzazione normale pre-covid, con il pacco completo (secco + fresco), per evitare il doppio giro come avvenuto in aprile. È tornato in vigore il programma originale dei turni dei 12 autisti e delle destinazioni (Albino, Desenzano-Bondo, Comenduno, Valle, per il fresco e i pacchi), una dozzina di viaggi al mese per coppie di autisti, partendo dal deposito in piazza San Giuliano. La novità introdotta è l’impegno aggiuntivo di consegnare a domicilio i pacchi, muniti di mascherine e guanti, al lunedì e il venerdì mattina: questo permette di alleggerire la Protezione civile impegnata su altri fronti. Ricordiamo che chi è in difficoltà economica e avesse bisogno di questi pacchi alimentari si può rivolgere all’Assistente sociale del comune di Albino. È il Comune che poi ci comunica a chi vanno consegnati. Informiamo inoltre che la raccolta indumenti usati con sede in piazza San Giuliano è sospesa».

Diventiamo prossimo La Caritas Parrocchiale ripropone l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica. MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata mensilmente per il periodo indicato  Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite

Nuovo Iban: IT06 JO3111 5248 0000 0000 77181 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO

 Con libere offerte anche utilizzando la cassetta all’entrata della chiesa parrocchiale


RICORDO

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Tina, la mamma del Santuario 5 luglio 1927. La storia di Caterina Verzeroli o, per meglio dire, della Tina, come la conoscevano tutti, parte proprio da lì. Rimasta orfana di mamma all’età di sette anni, trascorre l’infanzia tra orfanotrofi e affido a famiglie. Il papà infatti, lavoratore, non riesce ad occuparsi di lei. All’età di quattordici anni, quando ormai è grandicella, torna a casa per prendersi cura proprio del padre e dei suoi cinque fratelli maschi e diviene, essendo l’unica donna in famiglia, il punto di riferimento per tutti. Durante la Seconda guerra mondiale conosce il marito Luigi Moioli, anche lui noto più come Gino che non con il suo vero nome, e tra il 1948 e il 1963 diventa mamma di tre bambini: Alessandro, Lisetta ed Antonio. Ma la storia della Tina come sagrista del Santuario della Madonna del Pianto inizia negli anni Ottanta. Infatti, nel 1987 il suo caro amico don Antonio Pezzoli, allora cappellano proprio di quel Santuario, chiede a lei, donna, quasi per scherzo, di prendersene cura per alcuni anni; e quegli anni, con il tempo, sono diventati trenta. Di quel Santuario ha fatto la sua ragione di vita, la sua casa. Grande lavoratrice e grande donna di fede, ha dedicato la sua intera vita alla famiglia ed al Santuario, donandosi ad essi in tutto e per tutto. Lì, ha visto sposarsi due dei suoi figli. Quel Santuario, del Pianto, è stato ciò che l’ha aiutata a stare in piedi quando un brutto male le ha portato via prima il suo Gino e poi la figlia Lisetta, a cui era molto legata. Lì, è dove sono cresciuti i suoi nipoti e pronipoti. Lì, è dove ha conosciuto tantissime persone che, negli anni, hanno imparato a volerle bene, come lei ne voleva a ciascuno di loro. Grazie a quel Santuario ad Albino la conoscevano proprio tutti. E quando incontrava qualcuno che non conosceva, lei salutava lo stesso, salutava tutti, con la sua manina, un po’ come la regina Elisabetta! Salutava chi incontrava per le strade del paese oppure, se sapeva che qualcuno sarebbe passato, si metteva sull’uscio pronta a sventolare la mano. Al Santuario teneva più che al suo appartamento perché lo considerava davvero la sua casa. Una casa che ha sempre brillato, che faceva brillare sia con la fede che aveva nel cuore sia per quante volte lustrava pavimento e banchi con straccio e cera. Mai una piega in una tovaglia, mai un alone sul marmo, mai un fiore appassito, mai qualcosa fuori posto. Ci teneva. Un Santuario che ha visto passare altri cappellani, dal 1999 al 2012, don Giuseppe Rizzi, tanti parroci e tanti curati, tra i quali don Gian Luca, che le era particolarmente legato e, quando tornava ad Albino, il Santuario era il primo luogo in cui andava, per salutarla. Ad ogni festa della Madonna, che fosse maggio o settembre, dava il meglio di sé. In campo a tutte le ore del giorno per rendere maestosa e scintillante quella Casa da festeggiare. Ne usciva stremata, ma felice, anche se puntualmente diceva

che si sarebbe potuto fare di meglio; tutti sapevano che meglio di così era praticamente impossibile. In quel Santuario ha avuto l’onore di poter distribuire, durante le eucaristie, la Comunione; senza incarichi e cerimonie ufficiali, semplicemente, come era lei, prendendo tra le mani il corpo di Cristo e porgendolo ai fedeli. È stata una donna che non ha avuto una vita facile, ma da quella vita ha raccolto una forza disarmante, una forza che l’ha portata a 92 anni a riuscire a fare cose straordinarie e che le ha permesso di essere un punto di riferimento per la sua famiglia e per la sua comunità. Negli anni, svolgendo questo servizio, è rimasta particolarmente legata a Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II. Ha sempre avuto estrema devozione per i Pontefici, tant’è che nel 2010 le è stato fatto il regalo più grande: poter incontrare il Papa di persona. E così in Marzo si è presa gli unici due giorni di ferie dei suoi trent’anni di servizio proprio per andare a Roma da Papa Benedetto XVI, di cui si vantava essere coetanea. Era emozionata ed anche un pochino intimorita, le sembrava strano che una come lei potesse essere lì, pensava di non essere all’altezza; la sua umiltà e la sua dedizione sono state ciò che più l’ha caratterizzata. Si emozionava quando lo raccontava, quasi con le lacrime agli occhi, incredula, felice e riconoscente di quel regalo. Avrebbe tanto voluto far visita anche a Papa Giovanni a Sotto il Monte, ma lasciava a fatica quel Santuario perché “e se poi viene qualcuno che ha bisogno?”. Non è mai riuscita ad andarci. Ha servito in quella Casa fino al giorno prima del suo ricovero in ospedale. Il Signore l’ha voluta con sé solo una settimana dopo, il 7 marzo, forse non trovava nessuno per pulire la cappellina del Paradiso. Lei che, per la fede e la dedizione al servizio che le era stato affidato, quel Paradiso l’ha conquistato di sicuro.

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RICORDO

Giappone e ritorno

il viaggio di una lettera di Mario Piazzini a suo cugino padre Giuseppe. Le attuali riflessioni di entrambi. Padre Giuseppe Piazzini, missionario del Pime, è in Giappone dal lontano 1964; dopo una vita trascorsa tra i bambini degli asili oggi vive, come ha scritto la rivista Mondo e missione, “spendendo le sue giornate al servizio dei pazienti del più grande ospedale cattolico del Kyushu, l’isola più a Sud del Giappone. “Classe 1936, bergamasco di Pradalunga in Val Seriana, dal 2015 padre Giuseppe è infatti il cappellano del Saint Mary’s Hospital a Kurume, un vero e proprio policlinico nato dall’intui­zione di un grande medico giapponese. «Il dottor Yozo Ide era venuto da Nagasaki nel Kyushu con una fede grande e principi cristiani saldi – racconta padre Piazzini -. Erano ancora gli anni in cui c’era molta povertà qui e ha capito subito che doveva fare qualcosa: così, con due o tre altre persone, ha dato vita a questo ospedale. È partito dalla pediatria, poi è cresciuto tutto il resto. Anch’io, quarant’anni fa da Tosu dove ero parroco, ho cominciato a portare qui i miei cristiani quando avevano qualche problema. E anno dopo anno quest’opera è cresciuta. Oggi in questo ospedale lavorano 2.400 persone, i posti letto sono un migliaio, con una media di circa 800 degenti»”. Mario Piazzini era in corrispondenza con il cugino padre Giuseppe. Questi, dopo la morte di Mario, ha rispedito ai figli e ai familiari quella che può essere l’ultima sua lettera inviata in Giappone che può costituire un suo testamento spirituale. Che cosa vuol dire vivere da missionario tra pazienti che sono quasi tutti non cristiani? «Ogni settimana cerco di incontrarne almeno la metà per portare un saluto, un incoraggiamento – scrive padre Giuseppe -. Non faccio prediche o altro: vedono la croce, sanno che sono il prete di questo ospedale. Quando passo congiungono le mani e mi rivolgo il saluto augurale onegaishimasu, onegaishimasu. Io dico solo: “Stasera durante la Messa mi ricorderò di te” e loro non finiscono mai di ringraziarmi. Più che essere io a incoraggiare loro, sono loro a incoraggiare me perché vedo come si danno da fare per ristabilirsi. E anche i genitori, i parenti, i familiari sono contenti

di vedermi». «Ai medici e alle infermiere ripeto sempre: l’ospedale non siete solo voi, l’ammalato è il centro; solo partendo da lui si risolvono i problemi – continua padre Piazzini -. Chi è ricoverato qui avverte di essere in un ambiente cristiano. Molti ci dicono: “Quest’ospedale è grande”. Ma ci vuole una fede grande perché sia sempre così. In Giappone ogni mattina si ripete ad alta voce il rinen (letteralmente “principio”, “filosofia”, ndr) cioè la finalità di ogni istituzione. Quando tocca a me farlo per questo ospedale dico che il nostro è stare vicino ai piccoli, prendersi cura di ogni ammalato, come ci insegna Gesù. E allora qualche medico mi dice: “Questo rinen è stupendo, ma metterlo in pratica non è facile…”». Padre Piazzini oggi ha una ragione in più per richiamare a questa missione: la malattia l’ha sperimentata sulla sua pelle anche lui. «Sì, sono stato ricoverato in vari ospedali – ricorda -, quando dico che l’am-


RICORDORICORDO17 malato deve essere messo al centro penso anche a questo. A una ragazza che ha da poco cominciato a lavorare qui dentro e mi chiedeva consigli ho detto: “Alla fine della giornata fai un esame di coscienza: quanto tempo hai speso davanti al computer che ti porti dietro nel carrellino e quanto tempo hai guardato in faccia davvero gli ammalati?”. Immaginate uno che sta 24 ore incollato a un letto, certe volte è completamente solo. È successo anche a me: aprivo gli occhi, vedevo solo il soffitto bianco, mi sentivo prigioniero. Quando di notte non riesci a dormire, vorresti che anche solo la pila dell’infermiera che passa nelle corsie ti sfiorasse. Per i cristiani però quel soffitto bianco è trasparente, si è una cosa sola con Dio». Sulla sua salute adesso scher­za: «Sono molto leggero – riassume la situazione -. Prima ero 94 chilogrammi, adesso ne peso 66; mi hanno tolto lo stomaco completamente per far sì che il cancro non girasse e non toccasse il sistema linfatico. Devo stare attento a mangiare, perché a volte proprio non ti viene voglia e invece devi mangiare. Così nelle mie visite da cappellano quando vedo qualche ammalato che al mattino riesce a mangiare il tofu gli dico subito “bravo!”». È in questi incontri il volto più quotidiano di una presenza missionaria in un ospedale: «La cosa che ti scuote di più è andare nei reparti dei malati terminali – confessa -. Cominci un bel dialogo con una persona e poi, dopo qualche giorno, entri e trovi il letto vuoto. Non è la prima volta che mi succede, ma resta sempre una sofferenza. Però c’è anche la gioia accanto a quelli che vengono dimessi dall’ospedale e quando ti incontrano è tutto un inchino dietro l’altro». Ancora adesso in ospedale tocca con mano i frutti della presenza educativa della Chiesa in Giappone. «Quando vedono la croce tanti pazienti mi dicono subito con orgoglio: “Sono uscito dall’asilo cattolico, mission school” – racconta –. Sì, in Giappone per noi Chiesa cattolica è sempre la stessa storia: ci descrivono come il piccolo gregge, l’ha detto anche il Papa. Ma l’importante non sono i numeri o la classifica. L’importan­te è agire e far agire da cristiani. Una delle mie attività preferite è tenere i contatti con le coppie che ho sposato: ho cominciato quando ero in parrocchia a Fuchu, ho inserito i dati nel computer, ogni mese mando una lettera a quelli che festeggiano l’anniversario di matrimonio. Sono più o meno 400 coppie, per me è un lavoro vero e proprio. Ma loro rispondono». Una Messa funebre in ricordo di Mario Piazzini sarà celebrata in Prepositurale sabato 27 giugno alle 10.

Giambattista Carrara

Abbiamo chiesto a Pierino Persico un ricordo del cugino Giamba, morto lo scorso 30 marzo. Nelle sue parole il ritratto di un uomo buono e generoso, impegnato attivamente, ma in umiltà, nella e per la sua comunità: «Giambattista ci ha lasciati. Non posso lasciarlo andar via dimenticato, senza nemmeno un applauso al suo funerale: un uomo grande in tutti i sensi, in statura e nel cuore, ma insieme piccolo e modesto, attento ai cambiamenti e alle attività del Comune e della società, senza correre dietro alle sirene del momento. Ha lavorato con passione tutta la vita in Comune, come elettricista, era come se fosse suo, soffrendo nel vedere taluni colleghi che tiravano a campare, ma anche per gli errori dell’amministrazione per motivi di bilancio o miopia. Per l’oratorio, la parrocchia, la scuola materna, sempre dietro le quinte, tuttofare a qualsiasi ora. La casa sempre aperta e la sua Anna aggiungeva dei posti a tavola; i suoi nipoti gli facevano brillare gli occhi. Dalla banda era stato appena premiato per i 50 anni di presenza: oltre ad essere musicante, gestiva l’organizzazione (Il flicorno baritono o euphonium è stato per tutti questi anni suo compagno di viaggio nel Complesso bandistico di Albino, ndr). Gli sci unico svago, ma con impegno gareggiando con gli Old Star. Ciao Giamba, speriamo di rivederci».

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SALUTE

A CASA È MEGLIO Testimonianze di vicinanza alle persone anziane da parte di operatori di Bergamo sanità

La Comunità di Sant’Egidio, il 9 aprile in piena emergenza Covid-19, ha lanciato un appello urgente al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al ministro della Salute, Roberto Speranza, e ai Presidenti delle Regioni per sollecitare un’attenzione ai diritti delle persone anziane che vivono in Casa di Riposo e al domicilio. «Le persone anziane non sono cittadini di serie B: hanno diritto come tutti ad essere assistiti al meglio ed ottenere il ricovero in terapia intensiva se necessario. È inaccettabile l’idea di una divisione per categorie di malati di questa emergenza sanitaria. E non si può accettare, rassegnati – o peggio – indifferenti, una strage silenziosa che si sarebbe potuta e dovuta evitare. Negli anni passati, a causa di un eccessivo ricorso all’istituzionalizzazione l’assistenza domiciliare ha corso il rischio di venire un po’ trascurata o, quanto meno, messa in secondo piano. Assistenza domiciliare che, oltre a offrire condizioni di vita più dignitose, e allungare le aspettative di vita, può anche contribuire in modo determinante alla riduzione dei contagi e degli sprechi economici nel mondo della sanità». Tra le realtà impegnate nelle cure domiciliari vi è Bergamo Sanità, cooperativa sociale presieduta da Stefano Ghilardi che ha sede operativa a Nembro (dove c’è anche il Centro Medico Polispecialistico) ed è attiva – anche ad Albino – in molti servizi socio-sanitari; citando un po’ di sigle li ricordiamo: l’ADI Assistenza Domiciliare Integrata, UCP-DOM Cure Palliative Malati Oncologici, SAD Servizio Assistenza Domiciliare, RSA Aperta interventi socio-sanitari, educativi ed assistenziali al domicilio dei malati di demenza. Nella cooperativa lavorano anche nostri concittadini albinesi. Presentiamo alcune testimonianze di operatori delle cure domiciliari che – in questa emergenza covid-19 – sono rimasti al fianco delle famiglie con anziani che, al proprio domicilio, avevano bisogno (forse ancor più) di sostegno e vicinanza.

Giancarlo Magoni

Medico Geriatra, Direttore Sanitario “All’inizio dell’emergenza ci recavamo dai pazienti che il 112 non riusciva a visitare. Ci chiamavano i parenti ed i Medici di Base. Un grande numero delle persone assistite al domicilio ha avuto sintomi Covid-19 correlabili: febbre, tosse e dispnea i più frequenti anche tra loro associati nel 30% delle situazioni. Bergamo Sanità disponeva di una certa scorta di protezioni individuali; questo ha consentito di dotare il personale di DPI sufficienti per proseguirei servizi. Nonostante ciò circa il 20% dei nostri operatori domiciliari è stato esposto all’infezione - fortunatamente non in maniera grave - ed ha dovuto stare in quarantena. Abbiamo così provveduto ad una intensa campagna di acquisizione di DPI mirati,

fornendo gli operatori di un Kit DPI più completo e adeguato alle indicazioni delle linee guida provinciali in materia. Infatti alla luce della situazione sanitaria della provincia di Bergamo non era praticabile una differenziazione netta tra servizi rivolti a casi covid-19 e servizi rivolti ad altra tipologia di utenza”.

Alice Zanoli

Psicologa, RSA Aperta “Da fine febbraio erogare servizi a domicilio è diventato sempre più difficile, la propria casa è diventata ancora di più un luogo da proteggere da contaminazioni esterne, lasciando entrare solo chi è strettamente necessario, ad esempio le figure socio-sanitarie. Mi è dispiaciuto molto, non poter stare vicino ai miei pazienti. Ora con la FASE-2 anche nei servizi si sta programmando la ripresa dei nostri interventi psico-sociali ed educativi (stimolazione cognitiva, sostegno ai familiari). Due volte a settimana continuo a vedere a domicilio una mia paziente, vive da sola, da più di un mese non vede le due figlie, le


ASSISTENZA DOMICILIARE tempo del coronavirus vuol dire anche questo: avere privilegi che in realtà sono pesanti fardelli. Le persone si annoiano nelle case mentre io, che posso uscire e girare liberamente, darei qualunque cosa per potermi fermare. Sappiamo tutti che adesso non possiamo farlo, non è il momento per noi sanitari di tirare il freno a mano e respirare. Andremo avanti fino a quando sarà necessario... poi, alla fine di tutto, forse ci permetteremo di versare qualche lacrima e curare anche le nostre ferite”.

Aura Avadani Infermiera, ADI

due sorelle e i nipoti. Io sono l’unica persona che va in casa, ovviamente con tutte le precauzioni del caso. La malattia di Alzheimer è ancora alle fasi iniziali quindi la signora è ancora autonoma e non ha problemi a passare le giornate da sola, ma quando vado nei due pomeriggi concordati, do una piccola svolta alla sua giornata, perché la signora si veste, pulisce casa, e quando abbiamo finito il nostro lavoro, arriva il momento più bello della giornata per lei: quando ci sono io può finalmente fare la moka da 3 “perché fa il caffè più buono”, dice”.

Federica Brignoli Infermiera, ADI

“È stato strano gironzolare in macchina per le vie deserte del paese. I vigili mi fermano ma non leggono nemmeno il permesso di circolazione che gli mostro, loro si soffermano sul mio tutone idrorepellente e sul materiale sanitario che ho in macchina. Mi guardano, sorridono mesti e dicono «vada signorina, lei ha del lavoro da fare». Essere infermieri ADI al

“In questo periodo di cure domiciliari ai tempi del COVID-19 ho capito quanto è importante essere umani nel nostro lavoro. Ho fatto cose che non avrei mai pensato di fare e che non rientrano nelle strette “competenze” di un Infermiera: dal fare la spesa al preparare un thè caldo, dal dar da mangiare agli animali da compagnia al piangere insieme ai figli per la perdita dei genitori, da insegnare ad usare Whatsapp a rendermi disponibile per ricercare una Badante. Ho potuto anche capire che spesso ciò che è importante per noi professionisti (tempo dedicato alla somministrazione dei farmaci, le telefonate costanti con il Medico, il praticare una flebo, ..) ) non è quello che i familiari dei nostri assistiti metterebbero al primo posto. Una signora che si prendeva cura del marito anziano mi ha detto “grazie per aver lavato mio marito, per non averlo lasciato morire sporco”. Cose semplici, umane”.

Bruno Cantini Project Manager

“L’emergenza COVID-19 ci ha fatto toccare con mano come la domiciliarità sia preziosa e fragile. I percorsi di cura domiciliare, dipendono da differenti istituzioni (i Comuni per il sociale, l’ATS per la sanità) e sono erogati “per pezzi” da una pluralità di Enti (comuni, fondazioni, cooperative, associazioni). E non sempre in maniera fluida e integrata. Inoltre, nella maggior parte delle situazioni, la permanenza a casa di una persona anziana è resa possibile grazie alla presenza di una badante ed all’impegno diretto dei familiari caregivers (coloro che si prendono cura al di fuori di un contesto professionale e a titolo gratuito, ndr). Si tratta di persone che dedicano molte ore della giornata al prendersi cura e, quindi, esposte all’affaticamento fisico e psicologico oltre che, in alcuni casi, all’isolamento. Persone che hanno bisogno – e diritto – di ricevere ascolto ed attenzione e di poter continuare a vivere un proprio percorso di realizzazione umana (negli affetti, nel lavoro, nelle passioni)”. Per ulteriori approfondimenti e informazioni è possibile consultare il sito www.bergamosanita.it o chiamare il n. 035.521838. (foto di FotoQuaranta)

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SALUTE

Rsa... strutture da superare? di Luciano Moia - Avvenire (venerdì 17 e sabato 18 aprile 2020)

Troppe vittime nelle Rsa a causa del coronavirus? Quanti avrebbero potuto cavarsela se le residenze avessero adottato procedure diverse per l’accoglienza e la protezione di ospiti e personale? E se, soprattutto, struttura e impostazione di questi istituti fossero state diverse, meno generaliste e più agili, meno uniformi e più specifiche, cioè davvero modellate sulle esigenze dei diversi bisogni di cura e di assistenza? Non esistono risposte certe ma solo valutazioni più o meno approfondite. «Le case di riposo “generiche” non andavano bene neppure prima della pandemia – ha osservato l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Ponticia Accademia per la vita. (e su www.quotidianosanità.it la Comunità di Sant’Egidio rileva che «tali strutture, pensate per offrire una vita protetta a persone fragili, si sono rivelate contesti che hanno favorito la diffusione dell’epidemia tra le persone da proteggere come pure tra il personale dedicato alla loro all’assistenza»; «luoghi pensati nella maggior parte dei casi per avere almeno due persone per stanza difficilmente possono rapidamente riconvertirsi in strutture che garantiscano un’efficace isolamento in caso di necessità»; «la tempestiva chiusura agli esterni di queste strutture (avvenuta in molti casi già alla fine di febbraio) non ha avuto alcun effetto positivo, anzi ha aumentato la sofferenza di molti anziani (si pensi a quelli con compromissione cognitiva)». continua mons. Paglia: «Dobbiamo lavorare per valorizzare le convivenze tra anziani, il co-housing e le esperienze di piccole case-famiglia, così come si dovrà sostenere le famiglie perché siano aiutate a mantenere a casa i nostri nonni e i nostri genitori». Ma è davvero possibile? «Teoricamente sì – risponde Virginio Marchesi, docente in Cattolica dello sviluppo di “modelli di intervento e contesti sociali”. […] Oggi succede che ogni regione consideri “residenze sanitarie assistite” realtà un po’ o anche molto diverse l’una dall’altra. «Oggi nelle Rsa – osserva Marchesi – abbiamo anziani con bisogni molto diversificati. Da lievi fragilità che potrebbero essere assistite in altro modo a persone con funzioni vitali gravemente compromesse, che necessitano per esempio di respirazione artificiale o di alimentazione tramite peg a persone con gravi demenze in fase avanzata o terminale. Evidente che queste persone abbiano bisogno di assistenza specialistica, con competenze adeguate. Ora, qual è il numero di presenze più opportuno per assistere al meglio queste situazioni di grave non autosufficienze?. Venti, trenta, cinquanta posti letto? Forse dei “centri multiservizi” fatti di un insieme di realtà di dimensioni ridotte finalizzate ad accogliere ospiti con condizioni “omogenee” potrebbero essere una risposta. Una risposta capace di “contesti di vita” differenti basati sulle caratteristiche degli ospiti. Tale soluzione potrebbe rappresentare un superamento delle Rsa di 250 o 300 posti, seppur divise in nuclei, che in alcuni casi si registrano oggi e che sono destinate a farsi carico in alcune realtà del complesso dei problemi, ma talora, sembrano incapaLa Fondazione Honegger si è posta sulla strada di questa diversificazione e distribuzione sul territorio acquistando e attrezzando appartamenti in via Crespi e attuando interventi tutelari e S.A.D. presso il domicilio degli anziani. Una lettera indirizzata a Regione Lombardia e Ats e firmata da rappresentanti delle 65 case di riposo della bergamasca e dai sindacati, a metà maggio, segnala intanto la crisi in atto, dopo il ciclone Covid che ha fatto soffrire residenti e personale, crisi ora economica, amministrativa e occupazionale (v. L’Eco di Bergamo, 17 maggio, p. 4).

ci di orientare le proprie risposte alle specifiche problematiche che l’utenza presenta». Come pure avrebbero la necessità di assistenza specifica, in questo caso più leggera, coloro che, essendo soli, accusano solo lievi problemi di autonomia, per esempio l’incapacità di prepararsi il pranzo o di tenere pulita la casa. Per costoro non c’è la necessità di una elevata intensità assistenziale, che invece caratterizza la gran parte degli ospiti delle Rsa. Perché allora non prevedere, in quel principio del “centro multiservizi”, una rete di cohousing, minialloggi protetti, residenze leggere che, pur sostenendo e rinforzando una socialità per chi non ha più nessuno, possa allo stesso tempo assicurare a tali persone la sicurezza di presenze garantite. Insomma, invece di una Rsa “generalista” da 200 posti, meglio strutture con un minor numero di posti letto, ancorchè in un contesto unitario, diversificate in base alle necessità relative alla “qualità della vita e dell’assistenza” degli ospiti. Da una semplice collaborazione domestica a una presenza socio-sanitaria 24 ore al giorno, con presidi specialistici salvavita per persone di elevata fragilità. «Certo, l’idea di diversificare l’assistenza in base ai vari livelli di intensità di cura sarà la regola per il futuro – riprende l’esperto – ma dobbiamo considerare che si tratta di interventi da orchestrare tra privato sociale, associazioni, Comuni, pubblica assistenza, sistema sanitario e che quindi non succederà domani. Quando queste realtà cominceranno a sorgere in numero adeguato, ammesso che si troveranno i finanziamenti che ora mancano, potremo cominciare a riconvertire l’esistente. Ma nel frattempo dobbiamo tenerci ben strette le realtà che abbiamo e che fino a questo momento hanno retto». C’è anche da dire che oggi non più del


RSA

Maria Spinelli 84 anni

20-30% degli anziani ultra 75enni non autosufficienti vive in Rsa o in strutture protette. La maggior parte continua a rimanere nelle proprie abitazioni sfidando, soprattutto nelle realtà urbane, isolamento e solitudine. Qualcuno lo fa per scelta, forse i più per i costi. Quante sono infatti le famiglie che possono permettersi di pagare cifre mensili da 1.500 a 3mila euro, in base alla struttura e al livello di patologia da assistere? «Di fronte a patologie complesse che richiedono assistenza specialistica per 1.200-1.400 minuti medi settimanali per ogni ospite, e quindi personale presente notte e giorno, i costi diventano significativi». E quando non intervengono i Comuni, gravano interamente sulle spalle delle famiglie. L’arcivescovo Paglia ha ricordato quanto sia inaccettabile adeguarsi alla cultura dello scarto e ha osservato che «chi ha speso la vita per farci nascere, darci un’educazione e condurci verso l’esistenza, merita di essere accudito nella propria casa o in un ambiente familiare e pieno di cure e attenzioni, nel tempo della vecchiaia». Concetti che il professor Marchesi condivide pienamente, pur facendo notare due difficoltà. La prima riguarda la percentuale costantemente in aumento dei “grandi anziani”, e fra questi le persone non autosufficienti, che arrivano ad avere la necessità di un’assistenza sociosanitaria complessa. «Per accudire queste persone sarebbe necessaria una famiglia allargata, disposta a dedicarsi a questo obiettivo notte e giorno. Esistono ancora nuclei familiari così? In molti casi sì, ma in molti casi no.». La seconda riguarda quelle che vengono definite lievi o medie disabilità. Quando manca una rete familiare accogliente e inclusiva (in Italia una famiglia su tre è costituita da una persona sola e più del

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50% degli ultraottantenni a Roma ed a Milano vive solo, quotidianosanità), occorre chiedersi se la soluzione migliore sia una badante o una struttura leggera, in grado di garantire vicinanza ma di non spezzare il desiderio di socialità degli anziani. Intorno ai punti fermi del rispetto e della dignità, occorre cioè rivedere globalmente il concetto di assistenza della terza e quarta età che il coronavirus ha terremotato forse definitivamente. Ma occorre fare in fretta. Tra dieci anni gli anziani non autosufficienti saranno il 29% in più e, se non ci pensiamo ora, non avremo né le risorse né le strutture per accudirli. «Mi sia permesso sottolineare – conclude Marchesi - che una delle emergenze e delle priorità per tutti noi, dopo questa fase assai dolorosa, per tanti versi, sarà quella di ricostruire e ricucire un rapporto di fiducia tra i “familiari” degli ospiti e le Rsa, tra coloro cioè che, portatori di istanza affettive, si sono visti non riconoscere questa dimensione e coloro che “accudenti”, medici, infermieri, assistenti alla persona e tutti coloro che nelle Rsa lavorano che si sono visti frustrare, nella realtà della morte del proprio assistito, il quotidiano lavoro e contemporaneamente negare - in molti casi – quel “riconoscimento” del loro ruolo da parte dei “familiari” che ha sempre costituito una spinta motivazionale fondamentale». Aveva ragione il dott. Maurizio Perani sulle case di riposo: così come sono non gli piacevano; mi ricordo che aveva battagliato. Quando il dott. Perani si era candidato in comune, nel breve periodo della sua esperienza, in concomitanza alla ristrutturazione della nostra Casa Albergo per Anziani, era andato in Francia per vedere come erano state progettate le case di riposo, e, a Grenoble come erano i tram per un eventuale recupero del sedime del treno. In Francia, un mio zio, abitava in un condominio dove il piano terreno era stato sistemato e adibito per gli anziani. L’appartamento era composto da una camera da letto spaziosa, un cucinino ben arredato, un bagno adatto ad una persona anziana e vicino al letto un grosso pulsante rosso per ogni evenienza. Chi non se la sentiva di cucinare, i pasti venivano forniti dall’assistenza e tutti i giorni una infermiera passava per eventuali controlli. Dove abitano i mie amici hanno costruito un “villaggio” per anziani con casette, piccoli condomini e una struttura centrale staccata dove ci tutti i servizi, lavanderia, cucina, ambulatorio usufruibile anche dagli abitanti stessi ecc. Queste soluzioni piacevano al dottor Perani. A.

L’esito di un eccessivo investimento sulla residenzialità?

Alcuni insistono sull’assistenza domiciliare come alternativa alle strutture. A loro parere, quanto avvenuto dimostra che nel nostro Paese l’investimento sulla residenzialità è stato eccessivo poiché una parte significativa degli ospiti potrebbe usufruire di assistenza a domicilio. Luogo in cui, non entrando in contatto con altri anziani portatori di Covid-19, non si sarebbero ammalati. Tale ragionamento sfocia nell’equazione “troppa residenzialità = troppi contagi”. Chi sostiene questo punto di vista non si rende conto della realtà. I concittadini anziani ricorrono alle residenze quando le condizioni di salute richiedono cure qualificate sul piano clinico e assistenziale, che non possono essere prestate in maniera adeguata a casa. Qualche decennio fa le cose andavano diversamente, ma oggi sono molto pochi gli ospiti che potrebbero restare a nella loro abitazione ricevendo gli interventi ai quali hanno diritto. È certo, quindi, che occorra investire maggiormente su soluzioni domiciliari e intermedie, ma questo sforzo dev’essere aggiuntivo e non alternativo a quello per la residenzialità. Aderendo alla posizione qui illustrata si rischia, invece, di svilire l’ importanza di mettere a disposizione degli anziani assistenza residenziale di qualità. (Residenze per anziani e Covid-19: come non parlarne a sproposito, Taccuino sul mondo nuovo Tre / 17 aprile 2020)

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LAVORO

Quel che conta è la capacità di rialzarsi Intervista a Pierino Persico

a cura di Roberto Cesa (dal sito Acli Bergamo - 7 maggio 2020) Due mesi, sono passati due mesi da quel weekend di marzo in cui il Paese si fermò. Dal momento in cui tutti ci siamo resi conto che la situazione era drammatica. In questo arco di tempo, non c’è una persona che in Val Seriana non abbia pianto un conoscente o un proprio caro. Ne abbiamo parlato con Pierino Persico, cavaliere del lavoro e patron dell’omonimo gruppo con sede a Nembro, amico di lunga data delle ACLI bergamasche. Signor Persico buonasera, grazie per aver accettato il nostro invito. Innanzitutto, ci teniamo a farle sentire tutta la vicinanza ed il sostegno delle ACLI. «Grazie, grazie di cuore. Mi fa un enorme piacere». Un messaggio che rivolgiamo a voi, pensando a tutte le persone che vivono l’azienda, ma anche a lei personalmente, alla luce degli attacchi spesso beceri che l’hanno bersagliata. «Innanzitutto dammi del ‘tu’, perché oggi più che mai siamo tutti sulla stessa barca e i titoli contano zero. Quel che conta è la capacità di rialzarsi. Ci sarà tanto lavoro da fare. Non so se ce la faremo, so soltanto che sarà lunga…» Come sono stati questi mesi? «È stata durissima. Grazie al cielo siamo usciti dalla vera e propria emergenza sanitaria. Qui sono morti conoscenti, familiari, amici di una vita. Almeno sotto quel punto di vista, ora va un po’ meglio. Rimaniamo però in piena emergenza economica. I dati li leggiamo tutti i giorni sul computer e alla televisione».

Tu era proprio lì, al centro del mondo in quei giorni… «Eccome. Nembro e la media Val Seriana sono stati l’epicentro. Ero lì, eravamo lì. Non siamo scappati da nessuna parte. La nostra è una storia industriale legata indissolubilmente a questa terra. È una storia bergamasca, operaia, che ha a cuore la sua valle. Se ripenso alle ‘sirene’ tedesche che sono arrivate negli ultimi anni… Persico è un’azienda in salute, che fa gola ad alcuni grandi gruppi multinazionali. Non abbiamo venduto proprio perché è qualcosa di più che un’azienda. Non m’interessano titoli o medaglie, ma ti pare giusto che alla

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INTERVISTA

fine la ricompensa siano i servizi di Report e gli attacchi ricevuti?» È stato un colpo basso. Perché proprio Persico? «È stato veramente un colpo basso. L’hanno confezionata per bene, si voleva trovare un capro espiatorio e l’hanno trovato. Un’azienda dalle grandi dimensioni, internazionale e che opera nel settore della nautica. I costruttori di Luna Rossa… eccoli serviti: hanno trovato ciò che volevano trovare». Senza diritto di replica. «Esattamente. Senza una telefonata. Per fortuna si sono levate le voci di molti che hanno detto che non ci stavano, che è stato vergognoso rappresentarci così. Però ormai il danno era fatto. Ho apprezzato molto l’intervista che ha rilasciato nei giorni successivi il sindaco di Nembro Claudio Cancelli. Ha ribadito a chiare lettere che da me non ha ricevuto alcuna pressione. Che poi i sindaci non possono nemmeno decidere riguardo l’istituzione della zona rossa sul proprio territorio! Poi certo, se pretendono che non ci preoccupassimo… ci sono 600 famiglie che dipendono dalla nostra azienda. Nei mesi di marzo e aprile abbiamo fatturato poco, mentre i costi fissi rimangono invariati. Siamo molto preoccupati, oggi come allora. Se un po’ alla volta non si riuscisse a ripartire, se non riprende

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il volano dell’economia, non so come faremo». Cos’è successo secondo te nei giorni della mancata zona rossa? «Erano giornate complicate, in cui regnava una grande confusione. Il contagio ha iniziato a spandersi in Val Seriana proprio mentre era in atto una sorta di dietrofront rispetto agli inizi della chiusura totale nel lodigiano. Era il momento degli aperitivi per capirci. Noi abbiamo chiuso tutto il 16 marzo, una settimana prima del lockdown totale sancito dal Governo. Ma già nella prima settimana del mese ci eravamo attrezzati con tutti i dpi e le precauzioni che le istituzioni raccomandavano, disponendo dal 6 il lavoro da casa per tutti gli uffici tecnici e amministrativi. Uffici che stanno tutt’ora lavorando in smartworking e continueranno così fino alla riapertura delle scuole. Ora riprendiamo: un passo alla volta e nel pieno rispetto delle normative, come abbiamo sempre fatto. Ce la metteremo tutta, Bergamo è stata costruita rimboccandosi le maniche. Sudore e spirito di sacrificio. Ma ciascuno deve fare la sua parte». La politica che ruolo può giocare in questo? «Un ruolo cruciale, che nessun altro può assolvere. Purtroppo la classe politica non ci dà le garanzie di cui avremmo bisogno in questo momento. Traspare parecchia confusione, tanto a livello nazionale quanto a livello sovranazionale. Per dirla tutta, questa crisi ha messo in luce crepe notevoli sia fra stato e regioni, che fra Europa e singoli stati». “Ciascuno deve fare la sua parte”. Anche noi nel nostro piccolo ci stiamo provando, attivando ad esempio alcuni strumenti di sostegno al lavoro. «Bene. Il volano a cui facevo riferimento prima investe tutto: primo, secondo e terzo settore, pubblico e privato. Vi faccio una grosso in bocca al lupo. Lo so bene che la “L” di ACLI sta per lavoro, ho uno splendido ricordo della messa che abbiamo fatto insieme per il 1° maggio qualche anno fa, dentro la fabbrica. Speriamo si possa ripetere in futuro. Vorrà dire che il peggio sarà ormai alle spalle». Grazie, lo terremo presente e lo speriamo di cuore. In bocca al lupo per tutto. «Crepi. Grazie a voi».

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CURIOSITÀ

Se il coronavirus fosse...

“Autoritratto con cane” di Antonio Ligabue

“L’autoritratto con cane” di Antonio Ligabue diventa allora “La passeggiata” strizzando l’occhio a tutti quegli italiani che, approfittando della necessità di portare il loro fido compagno a fare bisogni, ne approfittano per fare due passi all’aria aperta. “La creazione di Adamo” di Michelangelo Buonarroti si trasforma in “A un metro di distanza” per ricordarci il divieto di avvicinarsi così come “Les amantes” di Magritte diventano “Il bacio” suggerendo una modalità di approccio affettivo...velato!

Se il coronavirus fosse un verso letterario sarebbe…

Se il corona virus fosse un verso letterario potrebbe essere l’ultimo del canto XXXIV dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri, di buon auspicio. [...] E quindi uscimmo a vedere le stelle [...] è un presagio di luce e speranza che oggi, più che mai, con l’emergenza sanitaria da Covid-19 in tutto il mondo, ci fa apprezzare la potenza della poesia del Sommo Poeta. È l’ultimo

endecasillabo dell’Inferno: siamo sul finale della storia, quindi è un rilancio potentissimo per il secondo libro, quello del Purgatorio. Dante e Virgilio contemplano il cielo notturno dell’altro emisfero e v’è un ciel stellato meraviglioso, una sorta di presagio del nuovo cammino di luce e di speranza dopo le tenebre precedenti. E’ un cielo che si mostra, ci dice Dante, “come pura felicità dello sguardo”. Un parallelo che, in qualche maniera, oggi ciascuno di noi potrebbe fare con la condizione di quarantena nella quale siamo costretti ad affrontare. Viviamo tutti nell’attesa di uscire dal nostro personale Inferno, come Dante e Virgilio, tutti speranzosi di trovarci almeno nel Purgatorio di questa pandemia e di avere il nostro presagio di speranza.

Se il coronavirus fosse una canzone sarebbe…

“Penso positivo, perché son

“Piazza Italia” di De Chirico

Se il coronavirus fosse un dipinto sarebbe...

“Gli angeli” di Raffaello Sanzio prendono il titolo “Cose da fare” testimoniando così la noia che qualcuno prova o ha provato; “Piazza d’Italia” di Giorgio De Chirico si trasforma in “Centro città”, a simbolo di un’Italia deserta a causa del Covid-19. E, non per ultimo, “Autoritratto con collana di spine” di Frida Kahlo che diventa “L’estetista”!!! Chissà poi perchè!

“Gli angeli” di Raffaello Sanzio

Al tempo della pandemia, anche l’arte viene “contagiata” dal Coronavirus. E’ così che in rete diventano virali video in cui le opere di grandi artisti come Michelangelo, Caravaggio, Magritte e Khalo vengono ribattezzate in chiave Covid, caricandosi di ironia.


ARTE

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... sfaccettature artistiche ai tempi del covid-19 un potente antidoto.

Se il coronavirus fosse un’opera teatrale sarebbe…

L’opera più famosa di Eduardo De Filippo “Natale in casa Cupiello”, in tempi di epidemia da COVID-19, potrebbe diventare “Quarantena in casa Cupiello”. A tenere chiuso in casa il vecchio Lucariello non sarebbe più il freddo, ma un decreto governativo che impedirebbe a tutta la popolazione di spostarsi, se non per essenziali necessità. E in famiglia non si litigherebbe più per il sospetto furto di un paio di scarpe, ma per la sparizione di una mascherina. Concludendo, in generale, l’arte, di questi tempi, si è adeguata alla situazione. I musei e i teatri, dapprima chiusi, ora aprono: oramai è possibile passeggiare virtualmente nei principali gallerie del mondo, nei siti archeologici o

all’interno delle più importanti collezioni, delle biblioteche e degli enti culturali, senza trasgredire il divieto di muoversi sul territorio. Allo stesso modo le grandi istituzioni musicali ed i teatri trasmettono, talvolta a ciclo continuo, opere liriche, balletti e spettacoli tra i più variegati consentendoci di accedere a contesti a cui non avremmo potuto assistere. Sia chiaro, il contatto umano e l’esperienza sensoriale stanno alla base di tutte le principali manifestazioni, artistiche e non, e nessun surrogato virtuale può darci le emozioni che si potrebbero vivere attraverso la diretta esperienza (oggi, di fatto, non realizzabile). Pertanto le visite virtuali al museo, a teatro o a casa dei nonni, tramite il cellulare, stanno alla base di un atteggiamento positivo proprio perché resistono, anche ai tempi del COVID-19.

“Autoritratto con collana di spine” di Frida Kahlo

“Les amantes” di Magritte e “La creazione di Adamo” di Buonarroti

vivo, perché son vivo” cantava Jovanotti qualche anno fa. Di questi tempi l’aggettivo “positivo” ha una brutta “eco” perché si riferisce al fatto di essere infetti (dal Coronavirus). Molti, troppi nella nostra Comunità ci hanno lasciato, ma il motto “ANDRA’ TUTTO BENE”, scritto e associato a migliaia di arcobaleni disegnati dai bambini, ci sta accompagnando in questo periodo. Fortunatamente di COVID-19 si guarisce. “Penso Positivo” non è solo una scelta, ma una condotta da sposare. Con i piedi ben piantati per terra, positivamente, senza il rischio di smarrirci o di promuovere di grado il nostro peggior nemico (la paura), possiamo affrontare al meglio ogni cosa, anche la più inattesa e complessa. Perché ogni prova è tassello di quell’esperienza terrena che ci è stata donata e che ci vede sempre e comunque privilegiati protagonisti: il virus della positività, di per sé, può essere

Giugno 2020


CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


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Giugno 2020


Per essere informato sulle attività proposte dalla nostra comunità parrocchiale, iscriviti alla NEWSLETTER sul sito

www.sagrato.it

Opere parrocchiali ... il tuo aiuto è importante

È possibile fare offerte - anche deducibili fiscalmente nella dichiarazione dei redditi in misura del 19% - a sostegno dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza per i beni Architettonici. Per le aziende è possibile detrarre totalmente la cifra devoluta. Innanzitutto possiamo dire con riconoscenza di aver estinto il debito relativo al Santuario della Madonna del Pianto e il restauro del campanile. A gennaio abbiamo avuto una visita imprevista agli affreschi nella sacristia della Prepositurale da parte del Soprintendente; ci auguriamo che sblocchi la situazione. Siamo in fase di conclusione del rifacimento del tetto del CineTeatro. Dovremo quanto prima iniziare la sistemazione del tetto dell’ex Ragioneria; poi quello della Casa della Carità. Un grande impegno che sta dando fondo alle nostre risorse.

Grazie per quello che riuscirai a fare. PER DONAZIONI - Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano: IBAN IT91 R050 3452 480000000000340 Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.


RECAPITI

INFO UTILI

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Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 75.10.39 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 75.12.88 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 75.16.13 - www.piantoalbino.it Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 75.11.19 Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 75.14.82 - 035 02.919.01

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00 Per i battesimi come da calendario alle ore 10.30 o alle 15.00

Padri Dehoniani Tel. 035 75.87.11

Al santuario del Pianto

Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 75.12.53

Al santuario della Guadalupe

Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 4598350 Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 4598491 - 035 515532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 8173575

ore 7.30 - 17.00 ore 9.00

Al santuario della Concezione

ore 10.00 (sospesa nei mesi di luglio e agosto)

Alla chiesa dei Frati Cappuccini

ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00 (ad agosto è sospesa quella delle 21)

ore 8.30 - 17.00* (* dal 17 giugno al 23 agosto alle 20.30 nelle sussidiarie) Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.15 Alla Guadalupe ore 8.00 Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

Con la bella stagione riprende la celebrazione delle S. Messe serali nelle chiese sussidiarie

GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

Da lunedì 15 giugno fino al 28 agosto, riprende la celebrazione serale alle ore 20.30 della S. Messa feriale nelle chiese sussidiarie di Albino: - Lunedì al santuario della Guadalupe - Martedì nella cappella del Cimitero - Mercoledì nella chiesa di San Rocco - Giovedì nella chiesa di Sant’Anna - Venerdì nella chiesa della Concezione

www.oratorioalbino.it

N.B.: il martedì alle 8.30 S. Messa nella cappella del Cimitero. Sul calendario parrocchiale e negli avvisi sono indicati eventuali spostamenti

PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278111 - 035 278224

Il SERVIZIO... virtù da coltivare in questo anno pastorale Stampato in abbinamento editoriale con il n. 5/2020 di LAIF - In copertina: 1919, Incoronazione della Madonna del Pianto.

Giugno 2020


18 marzo In questa lunga notte il dolore ha steso le sue dita come ombre nere per spezzare il tempo. Prima avevamo mani e sorrisi, adesso solitudine e silenzio. Il motore dei carri dell’esercito risuona come un canto funebre nel cuore vuoto della città. Come carezze si posano i nostri sguardi lontani dietro le finestre nella luce tremante degli schermi. L’aria ostinata profuma di fiori Nessuno può seppellire le stelle. (Sabrina Penteriani)


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