Albino comunità viva - maggio giugno 2021

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - MAGGIO GIUGNO 2021


INFO UTILI RECAPITI Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 75.10.39 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 75.12.88 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 75.16.13 - www.piantoalbino.it

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 75.11.19

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 75.14.82 - 035 02.919.01

Per i battesimi come da calendario alle ore 10.30 o alle 15.00

Padri Dehoniani Tel. 035 75.87.11

ore 7.30 - 17.00

Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 75.12.53 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 4598350

Al santuario del Pianto Al santuario della Guadalupe

ore 8.30 - 17.00* (* dal 7 giugno al 27 agosto alle 20.30 nelle sussidiarie) Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.30

ore 9.00

Alla Guadalupe ore 8.00

Al santuario della Concezione

Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

Amarcord

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 4598491 - 035 515532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 8173575 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278111 - 035 278224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

www.oratorioalbino.it

A proposito di Moroni, l’annullo postale del 1978.

Stampato in abbinamento editoriale con il n. 4/2021 di LAIF - In copertina: particolare dello stendardo della Visitazione restaurato.


1 “A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano” (Osea 1,3)

Stiamo chiudendo il mese di maggio; era iniziato con la festa di San Giuseppe lavoratore. E così siamo giunti a metà dell’anno che Papa Francesco ha voluto dedicare a lui, a 150 anni da quando Papa Pio IX lo ha dichiarato “Patrono della Chiesa Cattolica”. In questo stesso mensile parrocchiale, la volta scorsa, abbiamo inserito la lettera apostolica che Papa Francesco ha scritto per l’occasione; ma abbiamo anche messo all’uscita della chiesa un fascicoletto con raccolte alcune preghiere a lui dedicate dai Papi lungo questo secolo e mezzo. Un’immagine non troppo oleografica mi piace, sulla quale prima o poi torneremo: un padre che ha insegnato un lavoro al figlio che cresce; entrambi concentrati, entrambi silenziosi. E a differenza di altri artisti, come per esempio Georges De la Tour, qui Giuseppe è in secondo piano rispetto a Gesù. È la caratteristica di chi vive la propria vita senza la preoccupazione di affermare sé stessi, contento di far emergere chi gli è accanto. È l’atteggiamento di una personalità forte, libera di stare serenamente in seconda fila; che sa godere del bene degli altri. Lui sa che la scena della storia è tutta concentrata su Gesù, e di riflesso su Maria. Lui sa di essere stato messo accanto, e anche lui è tutto concentrato su Gesù, ma lo lascia fare, lo lascia imparare e lo lascia anche sbagliare. Lascia che cresca. E sta crescendo forte. Altri artisti lo avrebbero raffigurato mentre sta sopra e guida la mano al ragazzo che sta imparando; si sostituisce a lui. Un papà forte sa far crescere un figlio forte. E Giuseppe è forte perché ha preso atto delle proprie paure, fragilità, crisi; ha imparato a fidarsi di Dio e lì ha trovato la forza per continuare. Ed è andato costruendosi un cammino di santità anche con le sue paure. E non ha fatto di tutto per risparmiare queste prove al figlio che gli era stato affidato! Eppure, anche lui come la maggior parte dei padri parla poco. Anzi, nei Vangeli lui non parla mai, anche se ti saresti aspettato che a Gerusalemme – quando ritrovano il figlio dopo tre giorni con la morte nel cuore – fosse lui a riprenderlo, questo figlio che stava crescendo un po’ presuntuosetto. Mi ricordo un’intervista, nella notte dei tempi, al card. Tonini dove raccontava come da piccolo avesse avviato il discorso con suo padre mentre girava la polenta sul fuoco del camino: “Ci vogliono molti soldi per diventare prete?” aveva chiesto il piccolino. “Ce ne vogliono molti” aveva risposto il papà. E tutto era finito lì. È stata la mamma che, il giorno dopo e altre volte ancora, aveva ripreso il discorso in un modo più disteso. Questi silenzi che non dipendono dal non sapere cosa dire, o da una insicurezza, o da una poca chiarezza del proprio ruolo o della propria vocazione. Giuseppe ormai ha chiara la propria vocazione: è amare Maria e fare da padre a Gesù. Questo è l’essenziale; lo ha scoperto e adesso gli permette di vivere e di affrontare tutto, anche senza tante parole. Anche noi abbiamo un tremendo bisogno di scoprire lo scopo della nostra vita, il perché siamo al mondo, perché siamo nati qui e non altrove, e in questa famiglia e in questa comunità e non in un’altra. E se non lo scopriamo presto, ci troveremo a tirare insieme una quantità di cose solo per riempire il vuoto che ci portiamo dentro. È questo il tempo in cui stiamo accompagnando i nostri ragazzi ai sacramenti. A volte mi chiedo in che misura riusciamo a stare loro accanto un po’ come Giuseppe; capaci di scoprire e far scoprire l’essenziale della vita che ci permetta di vivere una vita piena e non riempita. Possa essere un tempo prezioso quello che abbiamo vissuto; e possiamo non averlo subìto. Ma altrettanto prezioso anche quello che ci sta davanti. Stiamo concludendo un anno pastorale; grande è la riconoscenza nei riguardi di tutti quanti hanno collaborato in tanti modi alla conduzione e condivisione di questo tempo non sempre facile. Ci lasciamo con l’impegno di riprendere il titolo e il disegno di questa lettera, che sono strettamente uniti e che non son riuscito ad approfondire. Auguri di cuore per gli ultimi sacramenti e per i preparativi di questo tempo estivo che sta per iniziare vs dongiuseppe

Maggio Giugno 2021


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VITA DELLA CHIESA Dal Consiglio permanente dei vescovi italiani

La situazione del Paese

Il difficile momento che l’Italia e il mondo intero stanno attraversando a causa della pandemia e del suo drammatico “effetto domino” sulla salute, sul lavoro, sull’economia e sull’educazione è stato al centro della riflessione dei Vescovi. Le stime riguardanti l’esplosione di vere e proprie “faglie sociali” – tra i più ricchi e i sempre più poveri (fra cui rientrano in numero crescente lavoratori e piccoli imprenditori del ceto medio), tra donne e uomini, tra anziani e giovani – richiamano a un forte senso di responsabilità che deve accomunare le istituzioni, sia quelle civili sia quelle religiose. A tutti è chiesta una maggiore presenza, materiale e spirituale, per evitare che la forbice delle disuguaglianze continui ad allargarsi, recidendo certezze e prospettive, compromettendo lo sviluppo dell’intero sistema nazionale e gettando nelle braccia della criminalità e dell’usura chi non vede una via d’uscita. Di fronte a questo, i Vescovi hanno ribadito la necessità di politiche adeguate e coraggiose, capaci di sostenere cittadini e famiglie, in particolare i più fragili, e di dare anima e corpo alla ripresa. Non va dimenticato che la questione occupazionale non può più essere disgiunta da quella ambientale: a cinque anni dalla pubblicazione della Laudato si’ e mentre si lavora per preparare la Settimana Sociale dei Cattolici italiani, in programma a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021, risuona con forza l’appello di Papa Francesco a una “conversione ecologica”. Come ricorda il Santo Padre: «È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (Laudato si’, 139). Solo mettendo in campo azioni concertate e concrete – hanno evidenziato i membri del Consiglio Permanente – si può dunque parlare di futuro in termini realistici e possibili. E quando si parla di futuro, a presentarsi con il suo carico di apprensione è il tema della denatalità. I dati confermano il calo costante delle nascite, che risente anche delle conseguenze socio-economiche della pandemia e del clima di disagio e incertezza che essa porta con sé. Per questo, appare quanto mai necessario lavorare, ognuno nel proprio ambito di competenza, per restituire fiducia e speranza ai giovani. Su di loro e sui più piccoli grava inoltre la scure della povertà educativa, che sta causando nuove diversificazioni tra Nord, Centro e Sud e nuovi gap nell’accesso all’istruzione. Occorre impegnarsi perché nessuno resti indietro, nemmeno nel sistema scolastico. Il futuro comincia anche da qui.

Il cammino sinodale

Questo tempo, segnato da una certa stasi e dalla fatica diffusa, può diventare terreno fertile per stimolare, accompagnare e orientare la rigenerazione, rafforzando quanto di buono e di bello è già in atto, riaccendendo la passione pastorale, prendendo sul serio l’invito a rinnovare l’azione attraverso un costante discernimento comunitario. Per i Vescovi, è il momento di abbandonare quelle sovrastrutture

che sanno di stantio e di ripetitivo, di recuperare il senso della verifica e il valore della progettualità che impongono scelte concrete, a volte di rottura o, comunque sia, non in linea con il “si è sempre fatto così”. In quest’ottica, il cammino sinodale, sollecitato da Papa Francesco, non si configura come un percorso precostituito, ma come un processo, scandito dal ritmo della comunione, da slanci e ripartenze. Se la grande sfida è la conversione missionaria della pastorale e delle comunità, ciò che serve è un metodo sinodale che aiuti a mettere a fuoco il mutamento in corso, a intercettare le istanze delle diverse componenti del Popolo di Dio. Sarà importante, per questo, mettersi in ascolto attento delle persone e dei territori per entrarvi in relazione, coglierne le paure e le attese, scorgervi la presenza di Dio. Più che un contenuto, il cammino sinodale – hanno convenuto i Vescovi – deve configurarsi come uno stile capace di trasformare il volto della Chiesa che è in Italia. Il sogno, condiviso, è che ogni comunità possa acquisire uno stile sinodale. In quest’orizzonte, è necessario combattere ogni autoreferenzialità e individualismo, non avere paura di mettersi in discussione e di rendere i laici protagonisti di un cammino che ha nell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco la bussola e nell’e-


2021: ANNO DEDICATO A SAN GIUSEPPE SUL SINODO3

Papa Francesco all’Azione Cattolica il 30 aprile

sperienza del Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze una base da cui partire. La questione del cammino sinodale, delle sue modalità di attuazione e dei tempi di realizzazione sarà discussa durante la prossima Assemblea Generale.

Mediterraneo

un cammino che continua

A poco più di un anno dall’Incontro di riflessione e spiritualità Mediterraneo frontiera di pace, che si è tenuto a Bari dal 19 al 23 febbraio 2020, i Vescovi hanno ribadito un cammino da compiere, insieme, per dare la nostra risposta con il Vangelo ai problemi della Chiesa, alle nostre Chiese e alla società di oggi. Solo tessendo relazioni fraterne è possibile promuovere il processo d’integrazione. Per questo è fondamentale riprendere l’intuizione di Bari per rendere il Mare Nostrum quel “grande lago di Tiberiade” che fu in passato – come lo definiva La Pira –, le cui sponde tornino ad essere simbolo di unità e non di confine. È essenziale, cioè, proseguire in questo percorso di comunione, nell’orizzonte indicato da Papa Francesco che, nella Fratelli tutti, ricorda quanto il dialogo perseverante e coraggioso, anche se non fa notizia, aiuti il mondo a vivere meglio.

La vostra Associazione è sempre stata inserita nella storia italiana e aiuta la Chiesa in Italia ad essere generatrice di speranza per tutto il vostro Paese. Voi potete aiutare la comunità ecclesiale ad essere fermento di dialogo nella società, nello stile che ho indicato al Convegno di Firenze. E la Chiesa italiana riprenderà, in questa Assemblea [dei Vescovi] di maggio, il Convegno di Firenze, per toglierlo dalla tentazione di archiviarlo, e lo farà alla luce del cammino sinodale che incomincerà la Chiesa italiana, che non sappiamo come finirà e non sappiamo le cose che verranno fuori. Il cammino sinodale, che incomincerà da ogni comunità cristiana, dal basso, dal basso, dal basso fino all’alto. E la luce, dall’alto al basso, sarà il Convegno di Firenze. Una Chiesa del dialogo è una Chiesa sinodale, che si pone insieme in ascolto dello Spirito e di quella voce di Dio che ci raggiunge attraverso il grido dei poveri e della terra. In effetti, quello sinodale non è tanto un piano da programmare e da realizzare, ma anzitutto uno stile da incarnare. E dobbiamo essere precisi, quando parliamo di sinodalità, di cammino sinodale, di esperienza sinodale. Non è un parlamento, la sinodalità non è fare il parlamento. La sinodalità non è la sola discussione dei problemi, di diverse cose che ci sono nella società... È oltre. La sinodalità non è cercare una maggioranza, un accordo sopra soluzioni pastorali che dobbiamo fare. Solo questo non è sinodalità; questo è un bel “parlamento cattolico”, va bene, ma non è sinodalità. Perché manca lo Spirito. Quello che fa che la discussione, il “parlamento”, la ricerca delle cose diventino sinodalità è la presenza dello Spirito: la preghiera, il silenzio, il discernimento di tutto quello che noi condividiamo. Non può esistere sinodalità senza lo Spirito, e non esiste lo Spirito senza la preghiera. Questo è molto importante. Non per lasciarla così com’è, la realtà, no, evidentemente, ma per provare a incidere in essa, per farla crescere nella linea dello Spirito Santo, per trasformarla secondo il progetto del Regno di Dio.

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VITA DELLA CHIESA

Beatificato il giudice Rosario Livatino Intervista al giornalista Attilio Bolzoni

Picciotti, che cosa vi ho fatto?”, riuscì a domandare Rosario Livatino ai suoi assassini prima di essere ucciso ad Agrigento il 21 settembre 1990 da quattro killer lungo la statale che ogni mattina percorreva con la sua auto da Canicattì ad Agrigento. Del “giudice ragazzino”, nato a Canicattì il 3 ottobre 1952 e morto a 38 anni d’età, la Santa Sede ha riconosciuto il martirio “in odium fidei”, “in odio alla fede”. La beatificazione di questa figura esemplare di magistrato, giudice incorruttibile, uomo di legge colto e consapevole, dalla vita riservatissima condivisa con i genitori Vincenzo Livatino e Rosalia Corbo, si è tenuta domenica 9 maggio nella Cattedrale di Agrigento. Attilio Bolzoni, giornalista del quotidiano “La Repubblica”, che si occupa da più di trent’anni di Sicilia e in particolare di mafia, da noi intervistato ricorda la breve ma significativa esistenza di Rosario Livatino, considerato Servo di Dio dalla Chiesa cattolica e definito da Papa Wojtyla un “martire della giustizia e indirettamente della fede”, e da Papa Francesco “un eroe giusto”. “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”. Se dovesse raccontare alle giovani generazioni chi era Rosario Livatino, da dove inizierebbe? «Dalla sua “diversità”, che poi era la sua normalità. La “diversità” di Livatino in un ambiente giudiziario, si notava, risultava “diversa” proprio in ragione del suo essere persona assolutamente speciale, assolutamente normale, che lavorava. Perché Livatino fino in fondo faceva il proprio dovere, cosa che la gran parte dei magistrati in quel periodo non faceva». La profonda fede cristiana di Livatino si conciliava rigorosamente con la laicità della propria funzione di magistrato? «Penso di sì, per lo spessore, per l’intelligenza che aveva l’uomo. Quindi credo che il sentimento religioso di Livatino abbia dato qualcosa di più nella sua professione. Quel sentimento religioso non solo non l’ha condizionato negativamente o ha reso più difficile il suo lavoro, anzi. Ritengo che questa sua fede abbia aiutato Livatino a fare meglio il suo lavoro. Altroché». Livatino era giudice di Tribunale, in servizio ad Agrigento come giudice a latere, e si occupava di misure di prevenzione.Qualche anno prima da sostituto procuratore aveva condotto le indagini sugli interessi economici della mafia, sulla guerra di mafia a Palma di Montechiaro, sull’intreccio tra mafia e affari, delineando il sistema della corruzione. Chi sono i mandanti del suo assassinio? «Non ho dubbi sui mandanti dell’omicidio Livatino avendo letto le carte del processo. Quella mattina del 21 settembre del ‘90 ero là, tornavo da un servizio a Messina. Mi ero fermato a casa dei miei genitori a Caltanissetta. Il luogo dell’omicidio è a 30 minuti da Caltanissetta. Fui uno dei primi ad arrivare sul posto, al km 10 della SS 640 Caltanissetta-Agrigento, all’altezza del viadotto Gasena. La scena era spaventosa, ricordo che scrissi per “Repubblica” un pezzo intitolato: “L’ultima pallottola in pieno volto”. “La disfatta dello Stato italiano l’abbiamo vista ieri mattina in fondo ad una valle senza alberi. Campi di sterpaglie, pietre grigie, polvere. E giù, molto più giù, dove una volta scorreva un fiume, solo un puntino bianco. Un lenzuolo”. Infatti Livatino, mentre si recava, senza scorta, in tribunale a bordo della sua vettura, una vecchia Ford Fiesta colore amaranto, era stato speronato dall’auto dei killer. Il giudice ave-

va tentato disperatamente una fuga a piedi attraverso i campi limitrofi ma, già ferito da un colpo ad una spalla, era stato raggiunto dopo poche decine di metri e freddato a colpi di pistola. Tornando alle carte del processo, credo che si sia creato in questi anni un grosso equivoco, indicando nella “Stidda”, quella quarta mafia, o mafia minore, come mandante dell’omicidio Livatino. I sicari appartenevano alla “Stidda”, ma a volere morto Rosario Livatino è stata “Cosa nostra”. Lo volevano morto, perché Livatino era uno dei pochi, non l’unico, che faceva il proprio dovere. E qui torno al concetto di “diversità” e di normalità per definire la personalità di Livatino. Per far meglio comprendere l’ambiente giudiziario di quegli anni, ricordo che l’allora sostituto procuratore Roberto Saieva e il giudice istruttore Fabio Salamone istituirono un processo di mafia al Palazzo di Giustizia di Agrigento dopo 46 anni. L’ultimo processo alla mafia era stato fatto in epoca fascista. Il dottor Livatino insieme a pochi altri magistrati rappresentavano una assoluta diversità rispetto alla disattenzione, alla pigrizia, possiamo usare anche per qualcuno la parola un po’ più forte: alla “connivenza”. Ecco perché la figura di Rosario Livatino è importante. Ricordo che partecipai ai funerali di Livatino, celebrati nella Basilica di San Diego a Canicattì, dove il magistrato viveva insieme agli anziani genitori. La Basilica era gremita di persone».


VITA DELLA CHIESA

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1992, cominciando a rispondere non a corrente alternata ma permanentemente. Anche in occasione dell’omicidio Livatino furono inviati in Sicilia più uomini, più mezzi. Una settimana di clamore sui giornali, dichiarazioni dei vari ministri, ma non credo che la situazione sia migliorata più di tanto negli uffici giudiziari di Agrigento. Il vero cambiamento c’è stato dopo tante e tante altre vittime, dopo l’estate del 1992, dopo gli assassini di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Lo Stato italiano per la prima volta nella sua storia, ha reagito veramente».

«Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili.»

Rosario Angelo Livatino

(Canicattì, 3 ottobre 1952 Agrigento, 21 settembre 1990)

Livatino fu un magistrato italiano, assassinato dalla Stidda su una strada provinciale ad Agrigento. La cerimonia di beatificazione si è svolta il 9 maggio 2021 nella Cattedrale di Agrigento, nell’anniversario della visita apostolica di papa Giovanni Paolo II nella città dei Templi. La celebrazione è stata presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. La sua ricorrenza si celebra il 29 ottobre, giorno in cui nel 1988, a 36 anni, ricevette il sacramento della confermazione, come compimento di un travagliato percorso di fede che abbracciò da adulto con convinzione. Livatino è il primo magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica. Pochi giorni dopo l’omicidio, i colleghi più fidati di Livatino, Roberto Saieva e Fabio Salamone, denunciarono lo stato di abbandono in cui versavano i magistrati impegnati in prima linea nelle indagini antimafia. Lo Stato allora come rispose? «Lo Stato sull’emergenza risponde sempre, no? Gonfia i muscoli. Lo Stato non ha mai risposto realmente se non dopo le stragi del

Nel 1992 Nando dalla Chiesa scrive il libro “Il giudice ragazzino” (Einaudi), “Storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia in regime di corruzione”, dal quale è stato tratto nel 1994 l’omonimo film, diretto da Alessandro di Robilant, con protagonista Giulio Scarpati. Il titolo del libro è in polemica con la frase1 dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che otto mesi dopo la morte del giudice ebbe a dire dei giovani giudici sulla frontiera? «Non credo che sia in polemica, è un bellissimo titolo. Rosario Livatino non era tanto ragazzino, forse sembrava più giovane di quanto in effetti fosse. “Il giudice ragazzino”, perché Livatino si presentava diverso dagli altri giudici, con i loro ermellini, dai volti scavati, simboli di una giustizia di una volta. Livatino invece era una figura “fresca”, certamente più bella. Il titolo del libro coglie nel segno la personalità di Livatino, ma senza intenti polemici. Cossiga allora pronunciò quella frase, perché moltissimi magistrati che erano al Sud d’Italia, in Calabria, in Campania e in Sicilia, erano giovanissimi. Ricordo che tutti i principali tribunali furono invasi da magistrati, che avevano appena vinto il concorso in magistratura e andavano in procure di frontiera. A Caltanissetta in quegli anni due magistrati erano “giudici ragazzini”: l’allora sostituto procuratore Luca Tescaroli e l’allora sostituto procuratore Nino Di Matteo, a cui affidarono come primo incarico e come prima indagine, le stragi di Capaci e di via D’Amelio. “Giudici ragazzini”, che hanno dato entrambi ottima prova di sé, nonostante la loro giovane età. Sono stati bravi loro, certo il capo della Procura del tempo, Giovanni Tinebra, è stato un po’ meno bravo di loro. Mettiamola così». “Convertitevi!”. La beatificazione di Livatino avverrà il 9 maggio p.v., anniversario della storica visita nel 1993 di San Giovanni Paolo II ad Agrigento, quando il pontefice polacco al termine dell’omelia della Messa celebrata nella Valle dei Templi, lanciò un duro anatema contro la mafia. Ce ne vuole parlare? «Fu un momento decisivo nella storia della Chiesa. Mai finora un pontefice aveva usato parole così chiare, così dure e così forti nei confronti della mafia. La Chiesa ha fatto dei grandi passi avanti nell’interpretazione e nella valutazione di questo fenomeno. Credo però che a tutt’oggi non ci sia una Chiesa tutta unita nel valutare la pericolosità della mafia. Fondamentale fu l’urlo di rabbia e di dolore di Papa Wojtyla, come le tante dichiarazioni di Papa Francesco contro la mafia come l’ultima: “Strutture mafiose contrarie al Vangelo, scambiano fede con idolatria e sfruttano la pandemia per arricchirsi”. Mi faccio questa domanda: Qualcosa è cambiato oppure queste importantissime esternazioni dei pontefici sono rimaste tali e dunque nulla è cambiato?» Alessandra Stoppini su SantAlessandro.org 1. “Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno..? Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta”.

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VITA DELLA CHIESA NEWS Zamagni: “Ascoltiamo il Papa: la politica riprenda il sopravvento sull’economia”

Il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e noto economista, spiega l’urgente necessità che le società tornino a rivalutare il lavoro umano secondo il magistero della Chiesa e si sottraggano alla morsa dei potentati economici: “Questa sottovalutazione è un rischio che andrebbe fin d’ora scongiurato perché la fase attuale dell’economia di mercato capitalistico è passata dalla centralità della produzione alla centralità del consumo”. E per spiegare meglio il pericolo che soprattutto le società occidentali stanno correndo, l’economista cita un esempio: “Oggi chi è considerato l’eroe di turno? Colui il quale riesce a convincere masse di popolazione a consumare. Ciò vuol dire che il lavoro viene considerato solamente in chiave strumentale, mentre, come ricordava anche san Giovanni Paolo II, il lavoro non ha solo una dimensione strumentale rispetto all’obiettivo del consumo, ma anche una dimensione espressiva della dignità umana”. “Ecco perché non è casuale che il Papa abbia intitolato ‘Per la migliore politica’ il capitolo quinto della sua enciclica ‘Fratelli Tutti’. È la prima volta che in un documento ufficiale del magistero appare il riferimento esplicito all’agire della politica. Qui si dice che la politica deve tornare ad essere la governante dell’economia e non il contrario. Il Papa sa bene, però, che in questi ultimi trent’anni è avvenuto un cambiamento di portata storica: è la sfera dell’economia che domina la sfera politica, col risultato che molti politici non sono più liberi di agire e di prendere decisioni per il bene comune, perché sono letteralmente sotto ricatto dei potentati economici e finanziari. Basta vedere ciò che sta accadendo in questa pandemia. Ma è possibile che cinque imprese farmaceutiche tengano in scacco il mondo intero, non consentendo che altri soggetti possano produrre i vaccini su licenza? È una cosa grave. Nessuno sostiene che le imprese che hanno inventato il vaccino non debbano essere ricompensate ed ottenere un profitto equo, ma non si può tollerare che, davanti a situazioni di morte come quelle alle quali stiamo assistendo, ci sia un diniego in nome di un principio di diritto privato che in questo caso non si deve applicare: si dovrebbe applicare invece una norma di diritto pubblico. Ecco perché il Papa sostiene che la politica deve assolutamente riprendere il sopravvento sull’economia. Federico Piana – Vaticannews

Paglia: i ritardi nella vaccinazione nel mondo compromettono tutti

Il presidente della Pontificia Accademia per la Vita interviene a Oliveto Citra, nel salernitano, alla giornata in ricordo delle vittime del Covid-19 che ha colpito soprattutto gli anziani. La presenza di monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, a Oliveto Citra è servita anche a rilanciare una buona pratica che qui si sta diffondendo. Si tratta di “case intelligenti” che, grazie alla tecnologia, aiuta anziani e soggetti fragili a casa loro, preservando i luoghi, gli affetti, la vita di ogni giorno. Una nuova prospettiva che rilancia il senso di comunità. In Italia soprattutto si è molto discusso della campagna vaccinale degli anziani, dei disservizi che si sono creati. In una recente nota della Pontificia Accademia per la Vita si denunciava la possibilità di creare disuguaglianze e anche competizioni nella distribuzione dei vaccini. “Fortunatamente c’è ormai la consapevolezza della necessità del vaccino. Il Papa è stato molto chiaro. In questo tempo siamo preoccupati ed è necessario sollecitare ancor più, non solo la produzione dei vaccini, ma anche la distribuzione perché tutti siano vaccinati, nessuno escluso. In questo senso c’è anche il problema dei brevetti. Io inviterei le case farmaceutiche ad uno scatto umanistico, togliendo i brevetti in questo tempo, perché i vaccini siano prodotti e distribuiti in larghissima scala.

Per quanto riguarda il Covax, il piano per distribuire i vaccini nei Paesi poveri, al momento sembra veramente fermo. Si erano fissate alcune scadenze come quella del 10 aprile per iniziare una campagna vaccinale contro il coronavirus in 220 paesi del mondo ma questo obiettivo non è stato raggiunto. Così come non è stato raggiunto quello di distribuire 100 milioni di dosi… “Resto sorpreso da questi ritardi, dalle inadempienze, dalle false promesse in un momento drammatico della storia del pianeta. Io sostengo apertamente che le istituzioni internazionali facciano sentire in maniera ancor più forte la loro voce perché in ogni modo si possa vaccinare l’intera popolazione. Non sono un tecnico, non sono uno scienziato, però deve certamente far riflettere che il ritardo nella vaccinazione, con il sopraggiungere delle varianti, rischia di rendere meno efficace tutta l’operazione che si sta ponendo in essere. Ecco perché penso che sia indispensabile uno sguardo planetario per affrontare il tempo della pandemia e quindi anche dei vaccini”. Benedetta Capelli -Vaticanews


VITA DELLADELLE CHIESA DALLE SUORE POVERELLE7 Charles de Foucauld, santo

Proclamato nel concistoro del 3 maggio Così papa Francesco alla fine della sua enciclica Fratelli tutti lo pone a modello dei cristiani: In questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld. Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano. In quel contesto esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello, e chiedeva a un amico: «Pregate Iddio affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese». Voleva essere, in definitiva, «il fratello universale». Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen.

Papa Francesco approva nuove litanie per San Giuseppe

San Giuseppe potrà essere invocato anche come “Custode del Redentore”, “Servo di Cristo”, “Ministro di Salvezza”, “Sostegno nelle difficoltà” e “Patrono degli esuli”, “Patrono dei poveri nelle loro afflizioni”. In particolare, il titolo – nell’originale latino - “Custos Redemptoris” si trova nell’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Redemptoris Custos del 1989; quello di “Serve Christi” in una omelia di Paolo VI del 1966 citata sia nella Redemptoris Custos che nella Patris Corde di Papa Francesco; “Minister Salutis” è una invocazione di San Giovanni Crisostomo; e “Fulcimen in difficultatibus” e “Patrone exsulum, afflictorum pauperum” si trovano entrambi nella Patris Corde di Papa Francesco, con la quale si indice l’anno di San Giuseppe.

UNA VITA FATTA “DONO” Don Luigi Palazzolo “Santo”

L’annuncio della santità di don Luigi Palazzolo fatta da papa Francesco nel novembre 2019 ha avuto un’attesa per questo periodo di pandemia. Ma la santità non viene nascosta, il 3 maggio con il Concistoro è stato definito il grande evento, così la Chiesa universale lo potrà pregare e intercedere pace e amore per tutti noi. Don Luigi nasce a Bergamo il 10 dicembre 1827 dalla famiglia benestante Palazzolo. Fin da ragazzo custodisce nel suo cuore la Parola di Gesù: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me”. Scopre i poveri; dona quanto la mamma prepara per lui, tanto che afferma: «Questo mio figlio morirà spiantato». Diventato sacerdote il 23 giugno 1850, sceglie il quartiere più povero, segue i giovani, fonda l’oratorio e la scuola serale per i suoi ragazzi. Il suo programma di vita è: “Io cerco e raccolgo i più poveri, perché dove altri provvede lo fa assai meglio di quello che io potrei fare, ma dove altri non può giungere cerco di fare qualcosa io come posso”. Con l’aiuto della prima suora, madre Teresa Gabrieli, e tante giovani diventate “Suore delle Poverelle” hanno collaborato al servizio di Dio nella Chiesa, nell’umiltà che il fondatore indicava come cammini nella contemplazione di un “Dio Padre Amabile Infinito”. La nostra gioia si fa ringraziamento a Dio per la vita donata nell’impegno e nell’offerta di tutto se stesso: capacità, attenzione ai poveri, offerta di tutti i suoi beni al servizio di chi aveva bisogno. Don Luigi è stato padre e guida di tanti giovani, aiutava le suore a scoprire chi aveva bisogno, le mandava a servire i malati anche nei periodi di malattia contagiosa. Anche nei nostri tempi sei suore morte in Congo contagiate di Ebola. Nel 2020 altre suore contagiate da Covid, dopo un servizio accanto agli ammalati. “Grazie” alla vita del Palazzolo tante giovani hanno scelto di seguire i suoi insegnamenti e si sono fatte Suore delle Poverelle, con lo spirito di umiltà e semplicità arrivando in Italia, Africa, Brasile, Perù. Guardando a Gesù Crocifisso il Palazzolo diceva: “Guarda questo libro studialo bene, se vuoi diventare Santo”. Don Luigi si è immedesimato in Gesù Crocifisso vivendo nella preghiera e offrendo tutto se stesso per ogni bisognoso, vivendo le opere di misericordia spirituali e corporali. Chiediamo al Signore in questo evento di santità che ci doni vocazioni Sacerdotali e Religiose per diffondere il suo amore nella Chiesa. È la gioia più grande per le Suore di Albino.

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EDUCAZIONE PREVENZIONE PER COMBATTERE ALCOOL E DROGHE

Don Chino Pezzoli

I FIGLI E IL FUTURO Rubrica a cura del Centro di Ascolto e Auto-Aiuto “Promozione Umana” di don Chino Pezzoli. Viviamo in una società competitiva, dove il futuro è incerto e minaccioso: molti giovani resteranno probabilmente senza lavoro e ben pochi troveranno un’attività corrispondente alle loro aspirazioni, per cui, nella corsa della vita, i genitori tendono a trasformarsi in allenatori. Sono loro a scegliere la scuola, gli insegnanti, la palestra, gli amici, le vacanze, gli studi superiori, la professione che i figli dovranno esercitare e a imporre la tabella di marcia da osservare, gli obiettivi da raggiungere e i risultati da ottenere. Questi figli incrementano competenze e abilità a scapito dell’evoluzione complessiva. Non essendo liberi di scegliere, non possono sbagliare, ma senza rischi non si cresce: la vita s’impara solo vivendo. Cercando di metterli al riparo dalle frustrazioni, i genitori li chiudono in una gabbia dorata, cioè, appunto, pur sempre una gabbia, in cui non c’è posto per il gioco, la fantasia, l’introspezione, l’elaborazione delle emozioni. Non si rendono conto che così facendo inaridiscono la dimensione esistenziale del figlio, quella che si sviluppa nella libertà anche di oziare, fantasticare, prevedere futuri possibili, evocare un orizzonte verso il quale procedere. Sono sempre più i figli sottoposti dai genitori a richieste insostenibili, incapaci di corrispondere le aspettative della famiglia che finiscono per sentirsi inadeguati

sino a perdere sicurezza e autostima. Di conseguenza, aumentano le patologie legate all’ansia, come l’iperattività e la difficoltà a concentrarsi. Per prevenire anziché curare, i genitori farebbero bene ad allentare la presa, concedendo man mano ai figli che crescono maggiori ambiti di autonomia, di spontaneità, di iniziativa, evitando di sorvegliare tutti i loro comportamenti. I genitori spesso proiettano i propri sogni sui figli, ma vi è il rischio di sovrapporli ai loro, bloccando i processi di crescita che fanno dire: “Io sono così”. Lo scopo dell’educazione consiste soprattutto nel far emergere i desideri dei figli e, coniugandoli con il senso di responsabilità, sostenerne la realizzazione. Solo un genitore

che abbia riconosciuto nelle proprie pretese un proprio desiderio di onnipotenza, può restare accanto ai figli con vigile disponibilità, ma senza prevaricarli.

CENTRO DI ASCOLTO E AUTO-AIUTO “PROMOZIONE UMANA” di don Chino Pezzoli

Via Donatori di Sangue 13 Fiorano al Serio - Tel. 035 712913 Cell. 3388658461 (Michele) centrodiascoltofiorano@virgilio.it Facebook @centrodiascoltofiorano INCONTRI GENITORI mercoledì dalle 20.30 alle 22.30


EDUCAZIONE

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INFANZIA, BAMBINI, ABBRACCI In numerosi testi di Giacomo Leopardi si parla dell’infanzia, l’età che il poeta ha vissuto serenamente, giocando spensieratamente insieme ai suoi fratelli Carlo e Paolina, come fanno quasi tutti i bambini di ieri e di oggi. Ma è anche l’infanzia degli uomini e del mondo, un mito più che una storia, il mito di un tempo lontano in cui l’umanità viveva felice, nella sua beata inconsapevolezza, pascendosi di illusioni e di sogni. Gli antichi parlavano dell’infanzia del mondo e degli uomini come di una età dell’oro, l’età dell’innocenza originaria e dell’armonia con la natura. Il nostro Leopardi rimpiange la sua infanzia e quella degli uomini, ne parla come di un’età ormai persa per sempre, convinto che il meglio ci stia alle spalle e non davanti. C’è molta differenza tra ciò che Leopardi pensa e scrive dell’infanzia e ciò che intendono i Vangeli. Il poeta recanatese non intende l’infanzia alla maniera di Gesù, dal: “Lasciate che i fanciulli vengano a me, non glielo impedite!” al celebre: “Se non ritornerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. Dell’infanzia Leopardi rimpiange la felicità e la spensieratezza che, diventato adulto, si è dovuto lasciare definitivamente alle spalle. Gesù parla dei piccoli, che siamo anche noi adulti, come di un atteggiamento che possiamo recuperare ogni giorno; quando, ad esempio, ritroviamo dell’infanzia non

tanto il candore e l’innocenza ‒che fanno parte di una retorica edulcorata dell’età infantile‒ ma la prontezza nell’affidarci, la fiducia senza limiti in chi ci vuole bene e vuole il nostro bene. Ho visto una bimba, che sapeva da poco reggersi in piedi, camminare barcollante verso suo padre che l’attendeva poco lontano, chinato, a braccia aperte. Dopo i primi e incerti passettini la bimba si è letteralmente tuffata nelle braccia di suo padre, abbandonandosi con tutta se stessa. Ho pensato che la fede, cioè l’affidarsi, sia molto simile a questo comportamento. Ha a che fare con una relazione, non con delle conoscenze o delle dottrine. La fede non è tanto accettare delle verità, che ci sforziamo inutilmente di comprendere con la ragione, ma affidarci, cioè fidarci di Dio, il Dio che Gesù Cristo ci ha fatto incontrare e conoscere e al quale si è a sua volta affidato. È perché ci sentiamo amati da Lui e perché lo riteniamo affidabile che ci abbandoniamo nelle sue braccia. Anche Gesù bambino viene ritratto spesso con le braccia aperte e tese, quasi per farsi prendere in braccio da chi lo guarda e Lui, a sua volta, è sempre disponibile a ricambiare l’abbraccio. E lo stesso Gesù, ormai adulto e inchiodato alla croce, non chiude l’ultimo atto della sua esistenza terrena aprendo nuovamente le braccia? Enzo Noris

Maggio Giugno 2021


Tanti motivi per crescere scout!

Tanti motivi per crescere scout! Chiunque abbia visto per il paese qualche scout fare delle attività, che sia un lupetto, una coccinella, un esploratore, una guida o a maggior ragione un capo o un aiuto capo si sarà chiesto a che cosa servono tutte quelle strane attività e perché mai dei ragazzi dovrebbero sprecare i loro sabati pomeriggi così. La domanda è lecita e proprio in questi giorni mi si è presentata davanti una delle possibili risposte. Infatti, frequentando la quinta superiore, mi sto preparando per l’esame di maturità e tra le varie cose è stato richiesto dal Ministero dell’Istruzione di redigere un “curriculum dello studente” in cui una parte consistente è dedicata alle esperienze personali e tra queste farò sicuramente figurare il mio trascorso nel gruppo FSE di Albino, anche perché le attività scout sono riconosciute valide dalla scuola come crediti formativi. Arrivo quindi al punto: perché,

banalizzando, se lo scoutismo si limita a fare dei giochi nei boschi e dei nodi con le corde viene così riconosciuto sia a scuola che nell’ambiente lavorativo? La risposta è che i nodi, la divisa e il linguaggio specifico non sono l’obiettivo, ma il metodo con il quale raggiungere quest’ultimo e l’obiettivo è quello di educare (dal latino ex ducere, tirare fuori il meglio) dei buoni cittadini e dei buoni cristiani. Il valore dello scoutismo è presto detto nelle competenze che l’altro giorno sono state ricordate tramite una lettera dall’associazione: tra di esse figurano competenze personali come affidabilità, far fronte alle responsabilità, flessibilità e spirito di adattamento (basti pensare che negli esploratori dei ragazzi di prima e seconda superiore sono in grado di pianificare delle uscite di un giorno in cui sono loro i responsabili), ma anche competenze organizzative e gestionali come saper adattare i propri comportamenti e le proprie

azioni a seconda del contesto in cui ci si trova e saper gestire un gruppo conoscendone le dinamiche e risolvendo i problemi con la cooperazione. Vi sono anche competenze prettamente tecniche come ad esempio quelle derivate dai numerosi corsi e simulazioni di primo soccorso che regolarmente si svolgono. Insomma, lo scoutismo ci lascia più di quanto ci si potesse aspettare e se c’è una cosa che ho imparato è che tutte le energie, il tempo e gli sforzi che si dedicano per i nostri ragazzi vi garantisco che ritornano tutte indietro anche con gli interessi. Ci terrei infine a concludere che, in un mondo in cui ormai si punta principalmente ad ambizioni personali troppo spesso di tipo egoistico, è sempre un piacere ricordare attraverso questi articoli la bellezza della condivisione che sta alla base del nostro metodo educativo e di una società più giusta. Giovanni Mazzucchi


VITA PARROCCHIALE

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La prima riconciliazione dei più piccoli

Domenica 16 maggio, i bambini di seconda elementare hanno incontrato il perdono del Padre Misericordioso nel sacramento della Riconciliazione. Nonostante l’anno difficile, dovuto alla pandemia, siamo riusciti ad accompagnarli in questo cammino avvicinandoli a Gesù. Negli incontri che abbiamo condiviso, abbiamo cercato con attività e giochi di fare capire che tutti possiamo sbagliare, ma che l’amore di Gesù per i propri figli è infinito e possiamo sempre contare sul suo perdono. L’approfondimento della parabola del Padre Misericordioso ci ha preparato all’esperienza della misericordia di Dio, sempre pronto ad accogliere i suoi figli. La celebrazione ha voluto rifarsi al Battesimo perché la Riconciliazione rinnova la sua grazia. Così abbiamo giocato sui segni della luce e dell’acqua. Sei bambini hanno tenuto una candela accesa; ricordava la candela che il papà aveva acceso al Cero pasquale durante il Battesimo. Una dopo l’altra veniva spenta quando si ricordava un atteggiamento negativo. Poi ad ogni bambino è stata versata l’acqua sulle mani, per ri-

cordare che come l’acqua lava lo sporco così l’amore di Dio lava il nostro cuore e lo rende bello. Così è stato bello vedere i bambini cercare e raggiungere i loro genitori, come il ragazzo della parabola che è tornato da suo padre. E i genitori, ma soprattutto le mamme, si son sentiti coinvolti come coscienza dei loro piccoli, aiutandoli a ricordare… Come segno del perdono, ad ogni bimbo è stata messa al collo una piccola croce fatta appositamente preparare in terracotta; con la possibilità di appenderla

accanto al letto per la preghiera della sera. Hanno poi festeggiato la gioia del perdono sulle note di una piccola canzone che già conoscevano e che li ha subito coinvolti: “Gesù che sta passando”. Forte anche per noi catechisti è stato il coinvolgimento e, in alcuni momenti, l’emozione. Auguriamo loro che questa esperienza li aiuti a crescere i una vita piena d’amore. Cristina, Annalisa, Chiara, Francesca, Veronica, Michelangelo, Cristina, don Andrea e don Giuseppe

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I 20 CRESIMATI DI SABATO 22 MAGGIO 2021

Foto Breda - Albino

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Sante Cresime 2021 Questa bella avventura è partita nell’ottobre 2019, con grande entusiasmo e molte aspettative. Abbiamo iniziato a conoscerci e ad apprezzare il nostro stare insieme in oratorio. Una domenica di febbraio del 2020 abbiamo avuto il nostro classico incontro domenicale e noi catechisti, siamo rimasti positivamente impressionati dalla partecipazione e dal grande desiderio dei ragazzi a noi affidati, di sognare in grande: “la vita è la realizzazione di un sogno fatto in giovinezza”. Improvvisamente tutto cambia e ci scontriamo con qualcosa di più grande di noi… la pandemia. E mentre abbiamo visto la nostra comunità duramente colpita con tante nostre famiglie segnate dal lutto tutto si è fermato: le celebrazioni, i sacramenti, la scuola, lo sport, il nostro oratorio che chiude e anche il nostro stare dietro a Gesù sembra bloccarsi… Dentro questa fatica siamo stati chiamati a sviluppare necessariamente la creativi-

tà e così YouTube, in punta di piedi, è diventato lo strumento per la preghiera dandoci modo di entrare in tante case della nostra comunità e da spettatori ci siamo anche reinventati protagonisti. A settembre 2020 poi, con tanto desiderio, il cammino riparte ma dopo pochissimi incontri ricomincia il valzer delle chiusure che questa volta non ci trova impreparati: così la creatività, che nasce dalla passione e dalla voglia di camminare insieme, riesce a trasformare i nostri incontri in qualcosa di speciale. La Santa Messa del sabato sera diventa un appuntamento fisso e viene accolto con grande partecipazione dai ragazzi e dalle famiglie che, con fiducia e generosità, ci accompagnano nelle varie attività proposte: mensa dei poveri, legami di pane, concorso presepi, biglietti di auguri per i pacchi alimentari, giornata per la vita, incontro a distanza con i nostri anziani della Casa Albergo, l’impegno quaresimale in preparazione alla Santa

Pasqua. E infine eccoci vicini al traguardo finale! In questi ultimi incontri abbiamo ripercorso i sette doni dello Spirito Santo e siamo riusciti a vivere tanti impegnativi preparativi al sacramento della Cresima. Tra questi appuntamenti sicuramente rimane impressa la veglia di preghiera in Prepositurale che ha emozionato tutti rendendoci parte di una sola famiglia cristiana. Nell’ultima settimana insieme alla preghiera serale online per la Novena siamo riusciti anche a incontrarci per il ritiro spirituale (un confronto a piccoli gruppi, con le confessioni, la cena al sacco e le prove) vivendo il tutto in maniera molto intensa e gioiosa e abbiamo anche riscoperto la bellezza del poterci ritrovare in oratorio! Poi sabato 22 e domenica 23 maggio è arrivato il momento del nostro “eccomi”: due giornate indimenticabili per ragazzi, famiglie, madrine, padrini e catechisti. I ragazzi hanno vissuto il sacramento


I 26 CRESIMATI DI DOMENICA 23 MAGGIO 2021

della Confermazione con grande emozione e partecipazione, riconoscendosi discepoli in Cristo, come scelta voluta nel proprio cuore: questo legame resta per sempre dentro un unico Spirito. Vogliamo ringraziare fortemente i nostri sacerdoti don Giuseppe, don Andrea e il nunzio apostolico in India mons. Leopoldo Girelli che ha presieduto la celebrazione. Noi catechisti auguriamo a questi ragazzi, che ci sono stati affidati, che il sacramento della Confermazione, da loro fortemente voluto, dia inizio ad un cammino di fede fruttuoso, che i loro sogni si possano realizzare e che, con l’aiuto del Signore, contribuiscano a rendere migliore il mondo. Il cammino dei ragazzi non finisce qui ma continua! Tra l’altro anche Assisi ci attende (speriamo di poterlo vivere insieme al più presto!). Infine ringraziamo anche chi ci ha sostenuto con gesti e preghiere, perché ci hanno fatto sentire comunità unita nella fede. I catechisti di seconda media

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Sabato 22 e Domenica 23 maggio, nella Prepositurale di San Giuliano, l’arcivescovo mons. Leopoldo Girelli ha amministrato la Cresima a questi nostri 46 ragazzi della classe 2008... Sabato 22 maggio: Giuliano Baleri, Mattia Birolini, Matilde Bonini, Giorgia Bonzanni, Andrea Breda, Sofia Breda, Cristiano Camozzi, Krissel Mia Camozzi, Gianluca Carrara, Giulia Castelletti, Giulia Celeri, Davide Cerea, Greta Cortinovis, Sofia Crippa, Andrea Dimitri, Giorgia Frattini, Martina Gasparini, Lorenzo Gelmi, Mattia Mazzoleni, Damiano Mutti. Domenica 23 maggio: Benedetta Maria Acerbis, Andrea Azzola, Silvia Capelli, Vanessa Carrara, Giorgia Filisetti, Nicolò Frattini, Giacomo Gambirasio, Sara Ghilardi, Filippo Giudici, Matteo Gritti, Samira Leporati, Evelyn Loverini, Rebecca Marchesi, Nicola Marini, Filippo Messi, Anna Mutti, Daniel Piazzini, Fabiana Piazzini, Elisa Proverbio, Irene Rappoccio, Edoardo Rondi, Davide Schena, Filippo Sonzogni, Gabriele Tonolini, Melissa Vassalli, Maryam Vigani.

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ORATORIO «L’uomo gioca solo quando è uomo nel pieno significato della parola ed è completamente uomo solo quando gioca» Friedrich Schiller

Il sacro e il gioco Sottrarsi alla categoria dell’utile, attribuire valore ad oggetti apparentemente inutili e trasformarli, difendere spazi e temi diversi dalla quotidianità, sono forme attraverso le quali si esprimono il gioco e il rito e possono quasi sovrapporsi. Che la difesa del gioco e del sacro siano due volti del tentativo di difendere l’uomo? La Convenzione Internazionale dei diritti dell’infanzia prevede il diritto al gioco (art. 31) tra i diritti inalienabili del bambino e della bambina. Si tratta di un fatto di straordinaria importanza perché il documento delle Nazioni Unite riconosce nel gioco un bisogno primario del bambino esattamente come il cibo, la casa, il nome, la famiglia. Il gioco non è un optional per la crescita dei bambini ma una attività strettamente legata al loro benessere e al loro status di infanti. Uno degli elementi di maggiore tristezza nell’osservazione dei bambini e delle bambine di oggi è la loro difficoltà a giocare in modo spontaneo, non organizzato o addirittura non mediato da uno schermo. Il diritto al gioco libero e spontaneo viene aggredito continuamente da una organizzazione sociale (e urbanistica) che toglie ed elimina gli spazi di gioco, da una organizzazione dei tempi che ne comprime la temporalità e soprattutto dal fatto che il gioco è sempre più utilizzato come strumento piuttosto che essere considerato come fine dell’attività infantile. Tra il sacro e il gioco vi sono innumerevoli punti di contatto, al punto che le forme del gioco e le forme del rito possono quasi essere sovrapposte. È certo che alcune attività di gioco fossero in origine gesti sacri, riti o azioni dotati di senso in un orizzonte religioso. Forse è anche vero il contrario, ovvero che alcuni gesti rituali in origine fossero fini a se stessi, puro gioco, libera espressione della creatività. Il gioco è una perdita di tempo: giocare significa fare qualcosa di inutile, il gioco è fine a se stesso, come il bello per Kant; se giochiamo per un motivo altro dal giocare, allora non stiamo davvero giocando. In questo il gioco è simile per esempio alla preghiera; non si prega per qualcosa, ma si prega per restare in contatto con Dio, e in questo senso la preghiera più pura è la lode. Il rapporto con Dio trova in se stesso il proprio fine, non è strumento per qualcosa di differente; i mistici l’hanno capito e sperimentato esistenzialmente. Il gioco dunque, come il sacro, si sottrae alla gerarchia dell’utile e dell’inutile, ribalta i valori, si disinteressa di ciò che il mondo adulto ritiene prezioso. Giocare significa liberare gli oggetti sia dal valore di scambio che dal valore d’uso. Come il sacro, il gioco riscatta gli oggetti apparentemente inutili e conferisce loro un nuovo valore: “I bambini (…) si sentono terribilmente attratti dal residuo, che si tratti di quello che si forma nel lavoro del muratore, del giardiniere, del falegname, del sarto o di chiunque altro. In questi prodotti di scarto essi riconoscono il volto che il mondo delle cose rivolge a loro e soltanto a loro. Con essi non imitano tanto le opere degli adulti, quanto piuttosto mettono in rapporto tra loro questi materiali di scarto in modi imprevedibili. In questo modo i bambini si formano il loro mondo di cose, un piccolo mondo nel grande.”[W. Beniamin, Orbis Pictus, Milano, Emme, 1981, pag. 43]. Allo stesso modo, gli oggetti del rito sono sempre cose semplici e quotidiane: acqua, riso, pane, rami foglie. Il rito sacro non ha bisogno di oggetti prodotti in modo specifico per esso, ma riscatta gli oggetti dalla consuetudine, li debanalizza; come il gioco, il rito sacro ci offre un nuovo sguardo sugli oggetti, uno sguardo che non ci abbandonerà più. Possiamo definire la creatività infantile (in questo simile a quella artistica non perché

i bambini siano artisti ma perché gli artisti riscoprono una sensibilità infantile e la rendono arte) come l’utilizzo dell’oggetto al di là del perimetro di possibilità che l’oggetto stesso disegna. La scopa è fatta per pulire ma il gioco se ne disinteressa e la rende cavallo; per questo motivo i giochi per computer o per piattaforme, con la loro quasi spasmodica ricerca di una assoluta somiglianza con la realtà, sono difficilmente definibili “giochi” nel vero senso del termine. Quale scarto tra il reale e il fantastico permette Fifa 2017? Tra l’altro in questa operazione di trascendenza dell’oggetto il gioco è preciso e severo nell’analisi dell’oggetto stesso e delle sue forme: per diventare astronave una bottiglia dovrà avere alcune caratteristiche, e viceversa la forma della bottiglia suggerirà con precisione il tipo di astronave nel quale essa si trasformerà. La stessa cosa vale per gli oggetti del sacro: non un bastone qualunque ma quel determinato bastone servirà per interrogare il mana dell’albero; la forma della ciotola è essenziale perché possa contenere le offerte da bruciare sull’altare. La forza del gioco consiste nella trasformazione degli oggetti: il suo campo di forza li modifica e li sottopone a leggi differenti da quelle usuali. Non sono solamente gli oggetti dunque a cambiare identità ma anche e soprattutto le loro relazioni; tipico è l’esempio rodariano del “binomio fantastico”, che nel campo artistico porta poi all’ombrello e la macchina da cucire che condividono lo spazio sulla tela. Anche lo spazio del sacro cambia le relazioni tra gli oggetti, e tra oggetti e soggetti; passare attraverso una porta, versare vino in un calice, amalgamare sostanze naturali in un mortaio: se questi gesti sono sacri e rituali le relazioni tra gli oggetti coinvolti sono differenti da quelle che sono presenti quando invece ci si riferisce ad azioni della quotidianità Ma tutto ciò non può accadere ovunque e in qualunque momento: ovvero, si può giocare ovunque e i qualunque momento solo se quello spazio e quel tempo diventano altri da se stessi – Come il sacro, il gioco ha bisogno di extraterritorialità, di uno spazio e un tempo altri da quelli della quotidianità. L’immersione in questo mondo di soglia e di confine deve essere compiuta con cautela e al tempo stesso questo mondo fragile deve essere protetto dall’invasione del mondo reale: per questo il bambino dice


ORATORIO

“io ero il re” e non “io sono il re”: “l’imperfetto è il segnale che l’attesa è finita (…) il verbo stabilisce la distanza tra il mondo perso per sè, com’è, e il mondo trasformato in simboli per il gioco” [G. Rodari, Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Torino, Einaudi, 1973, pag. 160]. Come gestire il gioco in una scuola che sembra sempre più oberata da richieste di accelerare, di accumulare esperienze su esperienze, di macinare progetti su progetti? Anzitutto occorre recuperare e difendere il senso della lentezza senza il quale il gioco letteralmente muore. Occorre tempo per giocare, tempo per prepararsi al gioco, tem-

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po per uscire dal perimetro del gioco. Spesso si ritiene opportuno, immediatamente dopo il gioco, mettere in cerchio i bambini per capire “cosa abbiamo imparato giocando”. Crediamo che si tratti di una attività che può essere utile solamente se è trascorso un tempo considerevole dal momento del gioco; al limite può essere svolto anche il giorno dopo, perché il rischio è di far passare l’idea che il gioco non è stato fine a se stesso ma un pretesto per “altro”. È del tutto ovvio che il gioco è anche una attività didattica, ma lo è solamente se resta gioco ovvero se nel suo perimetro (il quale insistiamo, prevede il pre-gioco e il post-gioco) esso è messo al riparo da qualunque invasione da parte di intenzionalità adulte ed extra-ludiche. È un caso che una società sempre più desacralizzata anche il gioco sembri agonizzare? Che rapporto c’è tra la riduzione delle religioni a raccolte di precetti etici e la riduzione del gioco a strumento foss’anche didattico? Difendere il gioco e difendere il sacro non potrebbero essere due volti del tentativo necessario di difendere l’umano? Raffaele Mantegazza Professore associato Pedagogia generale e sociale

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ARTE E FEDE PER CAPIRE LA VISITAZIONE

Non è solo un abbraccio

LO STENDARDO SECONDO GIUSEPPE FRANGI

“Conservato nella sagrestia della Parrocchiale albinese, e ridotto, in alcuni punti, dal tempo e dall’uso al fantasma di se stesso, questo stendardo appartiene senz’altro ad una fase avanzata, se non estrema, della produzione moroniana. Basterebbe infatti scorrere gli occhi sul succedersi monotono e povero di quei grigi sulla parete di fondo perché tornino alla memoria i marmi stemperati della pala di Fino, firmata e datata 1577. I toni si sono fatti ulteriormente dimessi mentre le figure esili, quasi assottigliate dalla loro stessa timidezza, si riconoscono nella estrema povertà dei loro gesti: la Madonna allunga stentatamente una mano tra quelle di sant’Elisabetta e depone l’altra affettuosamente sulle sue spalle; il minuscolo Gesù bambino chiede protezione al volto della madre; né una parola esce dalle loro bocche, né tra quelle mura s’ascolta qualche accenno o il ronzio di una mosca. Il coerente cammino antimanierista del Moroni tocca quasi il suo fondo, qualsiasi eco di pittura trionfale e retorica vien così sepolta; ormai le immagini sembrano sopravvivere soltanto grazie all’inesauribile tenacia del loro autore e saziarsi esclusivamente della luce che da lei deriva”. (da Giovanni Testori, Moroni in Val Seriana, 1978, Schede a cura di Giuseppe Frangi, edito su iniziativa albinese)

LA VISITAZIONE IN S. ANNA

Un dipinto su “La visita di Maria a S. Elisabetta” del pittore Giovanni Raggi (1712—1793) si trova nel coro della chiesa di S. Anna, coro

completato fra il 1787 e il 1790; da notare che il monastero fu soppresso nel 1796. Il dipinto è posto accanto all’analogo della “Adorazione dei Magi”. E’ posteriore di circa 200 anni a quello dello stendardo del Moroni. La scheda del restauro, commissionato da Bruno Gualandris nel 2010, da parte dello studio Covelli di Alzano, così Silvia Covelli lo descrive nelle Note storico artistiche: “L’opera raffigura la visita di Maria Vergine alla cugina Elisabetta subi-

Diventiamo prossimo Continua l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata

mensilmente per il periodo indicato

 Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità

in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite il nuovo IBAN attivo dal 22 febbraio 2021

IBAN: IT20 L0538 75248 00000 4260 6856 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO


VITA PARROCCHIALE

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to dopo l’Annunciazione. Giuseppe e Maria sono appena giunti e vengono accolti da Elisabetta. Giuseppe, raffigurato come un giovane uomo, tiene tra le mani la verga fiorita, suo attributo, in cui si vede un simbolo dell’immacolata Maria. Sotto il braccio tiene un sacco contenente le povere cose necessarie per il viaggio. Maria ed Elisabetta si salutano prendendosi per mano, con un gesto affettuoso, mentre la Vergine, incinta, tiene un braccio sulla pancia, ben visibile sotto le vesti. Anche Elisabetta, dopo lunghi anni di sterilità, era nel sesto mese di gravidanza (avrebbe dato alla luce Giovanni battista). La scena si svolge all’aperto, davanti alla casa di Zaccaria ed Elisabetta. Il marito è rappresentato come un uomo anziano, posto in secondo piano rispetto alla scena principale. Altre figure compaiono dietro a quelle principali, per rappresentare forse scene di vita quotidiana. Una bella architettura arricchisce lo sfondo e dona profondità all’opera”. Dunque anche il Raggi cerca di attualizzare l’episodio evangelico; di fatto ne esprime la sacralità in una rappresentazione teatrale.

Con la bella stagione riprende la celebrazione delle S. Messe serali nelle chiese sussidiarie

Da lunedì 7 giugno fino al 27 agosto, riprende la celebrazione serale alle ore 20.30 della S. Messa feriale nelle chiese sussidiarie di Albino: - Lunedì al santuario della Guadalupe - Martedì nella cappella del Cimitero - Mercoledì nella chiesa di San Rocco - Giovedì nella chiesa di Sant’Anna - Venerdì nella chiesa della Concezione N.B.: il martedì alle 8.30 S. Messa nella cappella del Cimitero.

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ARTE E FEDE

La Visitazione restaurata e il Magnificat

Lo Stendardo della Visitazione è esposto dal 2 giugno nelle sagrestie della nostra prepositurale di San Giuliano. Lo si può osservare finalmente da vicino, dopo il restauro effettuato. Nel suo ambiente può essere visto come dipinto, ma soprattutto come immagine sacra. Nel dipinto della Visitazione, restaurato, risalta una differenza nella raffigurazione delle due donne, che corrisponde ai due modi di dipingere del Moroni: quella di Elisabetta è un vero e proprio ritratto di una donna, quella di Maria è un’immagine convenzionale, “decente” secondo le indicazioni ecclesiali dell’epoca. La stessa differenza si può rilevare anche fra la parte inferiore dei quadri sacri del Moroni, i cui personaggi sono ritratti di persone in carne e ossa, e quella superiore in cui le immagini di Cristo e Maria sono stereotipi ripetuti. Tuttavia un particolare dell’immagine, quale icona religiosa, qual è e qual era, davanti alla quale meditare e pregare, attira l’attenzione: nella Visitazione, Maria è rappresentata con i capelli rossi. Può essere un particolare importante. Moroni non è nuovo a dettagli originali e significativi anche nei quadri sacri; si vedano le maniche rimboccate del Padre creatore, svoltate

come quelle di un contadino o di un capomastro albinese, nella Trinità, una delle prime opere sacre, dal 1800 nella chiesa di S. Giuliano. Nel caso del visitazione, Moroni può essersi ispirato a Tiziano, che rappresenta con tale colore, “rosso Tiziano”, i capelli di varie figure femminili. Oppure c’è una spiegazione più biblica, che richiama anche le opere, di un pittore, non solo geograficamente lontano, Cranach il Vecchio, ritrattista del Lutero predicatore della “Sola Scriptura”: Moroni, tramite qualcuno del clero albinese, poteva ritenere Maria della stirpe di Davide (Luca 1, 32, l’Annunciazione a Maria) e che lo


VITA PARROCCHIALE

stesso Davide aveva i capelli rossi (1 Samuele, 16.12). In questo caso il colore dei capelli non è una scelta banale: il colore dei capelli poteva voler dire che era una persona ai margini, come per secoli i rossi sono stati considerati: Dio aveva scelto Davide come re di Israele proprio perché ultimo e insignificante figlio di tanti fratelli, lui che, grazie a Dio, sconfiggerà il gigante Golia. E’ proprio quanto canta l’inno che l’evangelista Luca pone sulla bocca di Maria nell’episodio della Visitazione: Dio «ha spiegato la potenza del suo braccio, / ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, / ha rovesciato i potenti dai troni, / ha innalzato gli umili, / ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote, / ha soccorso Israele suo servo».

È l’inno che noi conosciamo come Magnificat, dal titolo latino. «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente». È l’inno «degli ‘anawîm, cioè “i poveri” dell’Antico Testamento. Letteralmente il termine ebraico indica “chi è curvo”, non solo sotto l’oppressione del potente, ma anche nell’umiltà dell’adorazione nei confronti di Dio, vincendo così la superbia dell’orgoglioso. Costoro, poveri sociali ma anche giusti fedeli, celebrano le estrose scelte di Dio che, a differenza delle logiche socio-politiche, non privilegiano il potente ma l’ultimo e l’emarginato, ribaltando così le gerarchie storiche» (Card. Gianfranco Ravasi). Il rosso dei capelli, quindi, confermerebbe coloristicamente il messaggio della Visitazione.

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Quante volte il Magnificat di Maria è venuto sulle mie labbra e nel mio cuore

Dio ha voluto salvarci assumendo la nostra condizione umana, come un semplice ‘nazareno’ in mezzo ai piccoli e dimenticati di questo mondo. Non finiamo mai di stupirci di questo mistero di Nazareth così come Dio l’ha voluto, per unirsi a noi e per liberarci, partendo dalla condizione degli ultimi. Charles de Foucauld l’aveva intuito bene e Carasquilla lo cita a modo suo: “Gesù è nato come il più povero perché così tutti potevano trovarlo: è nato in una mangiatoia e i pastori, i più poveri del tempo, sono stati i primi ad andare da lui. Se fosse nato in un palazzo, i Magi sarebbero potuti entrare, ma i pastori no. Ed è morto su una croce, il luogo peggiore dove si possa morire, nella peggiore delle situazioni, in modo che ognuno possa ricevere nella più dolorosa e degradante delle situazioni una parola consolante e liberatrice”. Ecco il motivo della nostra gioia, come Maria, che scopre come la salvezza di Dio germoglia e cresce nel cuore degli umili. Oh, ci vuole del tempo e della pazienza affinché questo Regno di Dio cresca nel cuore di tutti gli uomini e su questa terra, dove tutte le relazioni sono chiamate ad essere ‘umanizzate’, cioè trasformate a immagine e somiglianza di Dio. Quest’anno vedrà la canonizzazione di Carlo de Foucauld. Spero che questo tempo ci aiuti a rileggere la nostra vita e le domande che ci poniamo con lo stesso sguardo di Maria nei nove mesi in cui ha portato in grembo quel bambino così misterioso : la sua adesione fiduciosa alla volontà di Dio su di lei, la sua disponibilità ad incontrare gli altri, il suo stupore e il suo ringraziamento al Signore che rinnova tutte le cose a cominciare dalle più umili, la sua disponibilità agli imprevisti di Dio e alle necessità di quelle e di quelli di cui lei si fa prossimo. “Se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna (Fratelli tutti, n. 277) Hervé Priore dei Piccoli fratelli di Gesù (n. 45 - I semestre 2021)

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LIBRO

Ludendo docet

Una storia del teatro nell’oratorio Il volume Ludendo docet è opera di 400 pagine, a seguito di una lunga ricerca, competente, meticolosa e appassionata, di Graziella Dolli Cuminetti. L’affresco del cine-teatro dell’oratorio, riprodotto sulle copertine, ben rappresenta quanto vi è contenuto: l’affresco potrebbe rappresentare una frase di Goldoni, autore veneziano per eccellenza: «De boto xè finio carnevale»; oppure una di Shakespeare ne Il mercante di Venezia, di duecento anni prima: il mondo «è un palcoscenico dove ognuno recita la sua parte», finché entra in scena la morte; ma anche potrebbe rappresentarne un’altra, precedente di ottanta anni, di Erasmo da Rotterdam ne L’elogio della follia: «L’intera vita umana non è altro che uno spettacolo in cui, chi in maschera, chi un’altra, recita la propria parte, finché a una cenno del capocomico abbandona la scena». È probabile che chi commissionò l’affresco, il direttore dell’oratorio don Domenico Gianati, che nel 1948 stava facendo ristrutturare il cine-teatro dell’oratorio S. Filippo Neri, prete di cultura oltre che di fede, conoscesse i pensieri citati; tuttavia il tema che espressamente diede da rappresentare al giovane pittore albinese Mario Signori, tutt’ora vivente a 92 anni, fu una frase di San Paolo nella lettera ai Corinzi (7, 31): «Passa la scena di questo mondo». Non era, però, un invito a pensare alla caducità della vita o alla spensieratezza, come nei carmi di Lorenzo il Magnifico: «Quant’è bella giovinezza che pur fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia di doman non c’è certezza». Per 23 anni l’affresco disse: «Noi, persone rappresentate dalle maschere teatrali, siamo responsabili del tempo che passa e abbiamo una parte dal compiere in questo mondo, non solo sulla scena». Scrisse appunto don Domenico, nel 1967, nel suo saluto ad Albino: «Noi tutti, al posto assegnatoci da Dio, ci offriamo a Lui nel compimento diligente della missione da Lui affidata a ciascuno di noi». Scrisse ancora don Domenico nel 1987, nella presentazione del libretto su Libio Milanese, attore “autentico” dell’oratorio di Albino: «All’oratorio ho avuto molte compresenze, ho rilevato molti temperamenti, alcune personalità degne di nota capaci di impegni e indirizzi particolari». L’affresco, intanto, nella ristrutturazione del cine-teatro nel 1971-72 era stato coperto con un’intercapedine; sarà ripristinato nel 2011 con i lavori curati dall’architetto Franco Acerbis. È lì ancora, come questo volume, a volgere il pensiero «Agli sconosciuti filodrammatici oratoriani che con la loro passione cercarono di fare di tanti ragazzi “onesti cittadini e buoni cristiani”»; così la dedica in esergo al libro, insieme con un insegnamento di don Giovanni Bosco: «Una recita vale molto di più di una predica”. Appunto, il teatro «Ludendo docet» (Giocando-Divertendo insegna), come stava scritto, fino al 1948, sopra il proscenio del teatro di don Cristoforo Rossi, primo grande direttore dell’oratorio maschile di Albino. Di questa scritta abbiamo ancora testimonianza in un’incisione del pittore Dante Acerbis che è riprodotta nella copertina interna del libro. Graziella Dolli Cuminetti evidenzia questo indirizzo programmatico nella vita culturale sia del suocero Battista Cuminetti, sia del marito Benvenuto: «Entrambi, per tutta la vita con grande impegno ed energia, si sono dedicati alla

realizzazione di quel «Ludendo docet», che campeggiava sull’arcoscenio di molti teatrini oratoriani e ben esprimeva la valenza educativa del teatro, il padre con la pratica attiva nella compagnia filodrammatica dell’oratorio di Albino, il figlio soprattutto come studioso e organizzatore culturale. Dall’azione del padre e dalla riflessione del figlio emerge quella visione a tutto campo del teatro, che non è banale divertimento fine a se stesso o grande spettacolarizzazione che affascina la folla, ma autentico percorso di formazione culturale e civile» (pag. 346). «I giovani filodrammatici erano ragazzi dell’oratorio e delle associazioni cattoliche che facevano teatro per se stessi e per gli altri. Pur non elaborando esperienze personali, com’era stato inizialmente nel teatrino di don Bosco, le ritrovavano in testi. […] Un teatro che era strumento per il fine ultimo eticoreligioso, cioè la crescita del giovane in quanto uomo e in quanto fedele» (pag. 104). E l’autrice del volume - sulla base sia delle cronache e degli appunti del suocero, sia del pensiero del marito, mettendoci del suo con acribia, consultando tutte le fonti possibili dell’oratorio e non, dal bollettino parrocchiale ai libretti


ORATORIO

dei testi teatrali, (salvati nella biblioteca dell’oratorio grazie ad Andrea Nani, già esponente del G. A. T - Gruppo Animazione Teatrale, erede della Compagnia “Don Cristoforo Rossi”, come l’attuale gruppo Talia), e alla Storia-Diario del teatro albinese di Francesco Minelli, una copia della quale è pure custodita nell’Archivio dell’oratorio - dopo due capitoli sulla storia degli oratori e del teatro cattolico, ha ripercorso puntuale e documentata tutta la storia del teatro oratoriano di Albino dal 1880 al 1957. Il primo a dare un impulso decisivo al teatro fu don Cristoforo Rossi: «Nel 1899, a cinque anni dalla sua presenza ad Albino, costruì un piccolo teatro a fianco della Chiesina dei morti» (Numero unico dell’oratorio, 1964, a 40 anni dalla morte di don Rossi); fu ampliato nel 1910; sopra il proscenio, appunto, la scritta «Ludendo docet». «I filodrammatici albinesi ebbero nel sacerdote un punto di riferimento» (pag. 107). Dopo di lui la compagnia teatrale prese il suo nome. «Il “teatro educativo morale” continuatore del teatrino di don Bosco» (pag. 162) proseguì con don Alfonso Ravasio, dal 1927 al 1935, fino alla sua rimozione su pressione dei fascisti. Nel periodo successivo al 1936, anno della

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proclamazione dell’impero, non mancarono, oltre opere educative del “teatro del pensiero” (pagg. 238, 241, 275, 285, 295-306), altre di propaganda del regime, anche con la partecipazione di giovani che erano stati esponenti de “La Pericolosa associazione”, afascista, la quale aveva pur visto il suo Lodovico Casari morire in Abissinia. Nel dopoguerra la «ripresa dell’attività filodrammatica all’oratorio di Albino risulta fortemente connotata da opere di grande valore artistico tra le più alte espressioni del teatro educativo-morale, la cui scelta fu probabilmente determinata dal nuovo direttore dell’oratorio don Domenico Gianati» (pag. 314), direttore dell’oratorio dal 1945, dal 1958 da lui dedicato a Giovanni XXIII per la sua «ispirazione evangelica” (Numero unico del 1964). Tre sono le grandi opere teatrali messe in scena. Nel 1950 Sacro esperimento di Fritz Hochwaelder «che presenta il tentativo dei Gesuiti di impiantare in Sudamerica delle repubbliche di ispirazione cristiano-comunista, attuazione integrale dei principi del Vangelo» (pagg. 524, 525). E’ l’esperimento rappresentato dal più recente film Mission: «La rivoluzione compiuta da questi valorosi apostoli di socialità ispirata ai principi genuini del cristianesimo contrastava con gli interessi egoistici dei mondani commercianti spagnoli e i Gesuiti devono troncare il loro esperimento». Nel 1958 Capitano dopo Dio di Jan De Hartog, con la regia di Benvenuto Cuminetti: «A bordo di un vecchio piroscafo navigano 146 profughi israeliti» (pag. 340), ma al momento dello sbarco vengono respinti; il capitano non cede: «E’ un impegno fra lui e Dio». «Nella stagione 1959/60 la “Premiata filodrammatica albinese” metterà in scena, in un teatro completamente ristrutturato, il dramma di eccezionale difficoltà e valore artistico Assassinio nella cattedrale di T. S. Eliot» ( pag. 342). A pronunciare l’omelia dell’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket, che con le parole del poeta inglese ribadisce il primato della coscienza cristiana, sarà Zaccaria Facci, con la regia di don Domenico Gianati. Ormai, però, il teatro era in crisi: poi fu il cinema, poi la televisione. E se ieri si socializzava e cresceva sulle scene, oggi sui social… a.c. Da segnalare che l’Indice dei nomi del libro occupa ben 26 pagine. Gli albinesi vi possono trovare i nomi di centinaia e centinaia di loro antenati che si sono presentati sul “palcoscenico” della vita, non solo del teatro, a recitare la loro parte. Possono trovare nel libro non solo tanti Cuminetti e Acerbis, ma tantissimi altri grandi e piccoli attori della storia di Albino. Fra i tantissimi attori, di cui ciascuno ritroverà i nomi cari nell’Indice, spiccano quelli di Zaccaria Facci, innanzi tutti, Vittore Nespoli, Carlo e Franco Benedetti, oltre a Francesco Minelli, autore di tante commedie dialettali. Ma si accenna anche al poi famoso Giulio Bosetti che mosse qui i primi passi di attore, come varie volte ricordò. Per gli appassionati del teatro a disposizione, inoltre, in fondo al libro, una eccezionale teatografia, una cronistoria dei testi teatrali rappresentati ad Albino dal 1918 al 1957.

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LIBRO

L’inquieto Seicento albinese Un insegnamento dal nuovo libro di Giampiero Tiraboschi

Nel presentare, nel 2016, la pubblicazione più eminente di Giampiero Tiraboschi, il suo Giovan Battista Moroni, Simone Facchinetti, conservatore del Museo diocesano Bernareggi, scriveva: «Più che la biografia di Giovan Battista Moroni quella che state per leggere è la biografia di un paese». Questa affermazione è ancor più valida per il nuovo libro di Giampiero Tiraboschi, con due precisazioni, sia che la biografia sul Moroni è divenuta, nella letteratura di storia dell’arte, quella di riferimento per «l’uomo e l’artista” albinese, sia che, nelle nuove pagine, è rappresentata la vita di Albino nel secolo successivo a quello del suo più grande artista. […] Scriveva lo storico Carr, che: «Il passato è comprensibile per noi soltanto alla luce del presente». Quando Giampiero Tiraboschi parla delle migrazioni degli albinesi, della «dispersione migratoria albinese» non accenna esplicitamente al fenomeno storico attuale, sia pur inverso, dell’immigrazione in Italia, ma questa gli è pur presente, così come lo è nel lettore del suo libro. Proviamo a rileggere, tenendo conto di quanto noi viviamo nell’attualità, di cittadinanze concesse o negate, ad esempio ai bambini nati e cresciuti in Italia da immigrati, alcune pagine sugli albinesi del Seicento, ricordando pure quanto scrive ancora Carr: «Possiamo comprendere il presente unicamente alla luce del passato»; così come un altro storico March Bloch: “L’incomprensione del presente nasce facilmente dall’ignoranza del passato. Forse non è però meno vano tentar di comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente». Ecco dunque due passi di Giampiero Tiraboschi, in cui si possono rilevare tendenze opposte di lungo periodo che si possono leggere al presente, così che la storia, come scriveva Cicerone nel suo De oratore, sia «vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis» Ecco, per la storia maestra di vita, un esempio positivo di accoglienza da parte degli albinesi, nel paragrafo sui Carrara Brigata, esempio passato che non riguarda la storia presente, ma può illuminarla: «Dal XIV al XVII secolo si è venuto delineando un percorso migratorio che dai villaggi di montagna, ed in prevalenza dalla Val Serina, portava interi nuclei famigliari ad insediarsi nei cascinali dei dintorni di Albino come massari o braccianti agricoli, o all›interno del borgo come artigiani, prestatori d›opera e famigli. Il richiamo di queste risorse umane verso Albino era motivato dall’abbondante offerta di lavoro, motivata dalla carenza di forze produttive dovuta alle ricorrenti pestilenze, dall›espandersi degli opifici e delle attività mercantili, dall›accresciuto livello di benessere che portava un numero sempre maggiore di residenti a rifuggire da prestazioni umili o faticose.

Grazie alla loro laboriosità alcuni dei nuovi arrivati, avvezzi alle fatiche e con l›intraprendenza propria del montanaro, crebbero per condizione economica e considerazione sociale. Si introdussero progressivamente con la propria originalità nel gruppo dominante e vi apportarono germi di mutamento nella mentalità e nella cultura. Fra questi immigrati si annovera anche il clan dei Carrara contraddistinto dal soprannome Brigata a cui apparteneva Raffaele. I Brigata erano originari di Serina, ma nei primi decenni del Quattrocento abitavano in Amora e da qui si trasferirono ad Albino. Giovanni Brigata nel 1423, probabilmente in rappresentanza delle contrade di montagna, è uno dei 12 procuratori eletti dal Consiglio dei capi famiglia del Comune per gestire qualsiasi problema, transazione, affittanza, vertenza di interesse comunale». Ecco invece gli albinesi che, in seguito, rifiutano di considerare concittadini degli “immigrati” che abitano ad Albino da decenni; è la storia della famiglia Cabrini: «Originaria di Oneta e presente ad Albino fin dagli inizi del Cinquecento non era stata assimilata ai residenti e la richiesta di essere riconosciuti come vicini di nuovo inoltrata nel


SOCIETÀIN BREVE23 1570 (assieme a Oberti, Pulzini, Venturelli e altri forestieri) è respinta dal Consiglio Comunale con soli 6 voti favorevoli e 187 contrari. Erano definiti vicini i membri a pieno diritto della comunità comunale (con residenza anagrafica e diritti di cittadinanza)». Anche in questo sapersi aprire o volersi chiudere, non solo nelle attività economiche e nello sviluppo culturale, si giocherà la storia presente degli albinesi, e non solo: se gli albinesi sapranno scegliere al presente fra esclusione e integrazione, fra privilegio e uguaglianza, avrà conferma o smentita la tradizionale denominazione popolare che li accompagna, memoria di periodi lontani, forse del Seicento per i numerosi fallimenti che si riscontrarono in questo secolo nei mercanti albinesi: “i falìcc de Albì”. (tratto dall’introduzione)

«Laudato si’» Quante rondini nel cielo di Albino? Provate a contarle, rondini o rondoni che siano. Certo non sono più i tempi del poeta Leopardi quando, rispetto al Passero solitario, “gli altri augelli contenti, a gara insieme per lo libero ciel fan mille giri”. Non sono più i tempi dei rosari serali in parrocchia nel mese di maggio, accompagnati dal loro garrire. Non siamo più ai tempi di S. Francesco e del “miracolo” delle rondini del 1212 quando san Francesco si trovava a predicare nella Valle Teverina. Così ne parla frate Tommaso da Celano: “Un giorno, recatosi in un borgo di nome Alviano per annunciarvi la divina parola, e salito su un luogo più alto per poter esser visto da tutti, cominciò a chiedere silenzio. Ma mentre tutti tacevano e si preparavano ad ascoltare con devozione, parecchie rondini, che là facevano i loro nidi, continuavano a garrire e a fare strepito. E il beato Francesco, non potendo essere udito dal popolo per il loro garrire, disse rivolto agli uccelli: ‘Sorelle mie rondini, ormai è tempo che parli anch’io, perché voi avete finora parlato abbastanza; ascoltate la parola di Dio, stando zitte e quiete, finché il discorso sia finito”. E le rondini, con stupore e meraviglia di tutti i presenti, subito tacquero, e non si mossero di là, finché non fu terminata la predica» (I Cel., 59; cf. Bonaventura, Leg. maior, XII, 4). «Laudato sì, mi Signore, dalle garrule rondini dei cieli primaverili ed estivi». Tuttavia se le rondini da noi oggi sono meno di 20 o 30, il numero osservato lo scorso anno, sappiamo che l’inquinamento della Valle Seriana, come della Val Padana, è aumentato, malgrado le restrizioni per il virus. D’accordo, ci sono cause specifiche nella diminuzione delle rondini: non ci sono le più stalle in queste valli o sono aumentate le zone desertiche del Sahara, il che rende più difficoltoso il loro ritorno dal Centro Africa, ma non lamentiamoci se le zanzare prolificano: non ci sono più le rondini ad eliminare 3.000 insetti nocivi al giorno, meglio di qualsiasi insetticida nocivo all’uomo. Se le rondini tendono a scomparire, ed è cosa che pare non interessarci, come la venuta delle gazze e delle tortore e la diminuzione dei merli, come già dei passeri, non possiamo disinteressarci dei cambiamenti climatici (come la distruzione degli ecosistemi degli animali, nel caso il pipistrelli), che condizioneranno in peggio la vita dei nostri figli e su cui influiscono i nostri stili di vita e i modi di produzione, come anche sulla nuova pandemia; delle sue cause anche il papa dell’enciclica Laudato si’, appunto Francesco, vorrebbe prendessimo coscienza.

Un documento della storia di Albino

Sopra, acquerello di Damiano Nembrini del portale di “Casa Marini” in via Vittorio Veneto 13. In alto a sinistra, la copertina del volume “L’inquieto Seicento albinese”, disponibile in biblioteca (20 €).

Nella semplicità di un foglietto di carta del 2 maggio 1945 sta il primo atto della ripristinata democrazia anche in Albino. È la nomina, da parte del Comitato di Liberazione Nazionale di Albino, di uno dei tre membri della Giunta Provvisoria del Comune di Albino. Il nominato del documento è Valentino Bosis, classe 1898, titolare di un negozio di stoffe in via Umberto I (presto denominata via Mazzini), ma soprattutto esponente del mondo cattolico, in cui era stato prima del Circolo giovanile dell’oratorio S. Filippo Neri, fratello di Cesare, uno dei fondatori del Partito popolare ad Albino, morto nel 1929, dal 1935 presidente della Conferenze della S. Vincenzo (lo sarà fino al 1957); durante la Repubblica sociale italiana, nazi-fascista, aveva nascosto in casa, fra gli altri, i Castellini i cui figli, Gabriele e Orlando, erano partigiani delle Fiamme Verdi, e il comunista Nino Bontempelli.

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ALTRI MONDI

Missione diocesana Verso il 60° anniversario Invito a compartir

L’undici ottobre 1962, giorno della solenne apertura del Concilio Vaticano II, mons. Giuseppe Piazzi, allora vescovo di Bergamo, inviava due missionari bergamaschi in Bolivia: Berto Nicoli e Luigi Serughetti. Era l’inizio della prima missione diocesana, di un’epoca di collaborazione tra le chiese che avrebbe portato nel tempo anche in Costa d’Avorio (1975) e a Cuba (1999). Nell’ottobre del prossimo anno ricorrono quindi i sessant’anni della missione in Bolivia. Il Sassolino, periodico del Centro Missionario Diocesano, prepara questo evento con alcuni articoli scritti dai missionari attualmente impegnati nelle missioni diocesane, la loro testimonianza ci aiuterà a conoscere meglio la storia della presenza e il contributo della Diocesi di Bergamo nel mondo. Il presente articolo vuole essere solo una introduzione, tra storia e teologia, a questo percorso. Il secolo scorso è stato definito il “secolo missionario”. Ed è stato papa Benedetto XV, con la Lettera Apostolica Maximum Illud scritta nel 1919, a dare inizio al nuovo slancio missionario. Il papa esortava con spirito profetico a testimoniare ovunque il vangelo di Cristo. Invitava a superare i limiti di un impegno missionario di tipo colonialista e invitava a favorire il crescere in autonomia delle varie comunità cristiane sparse per il mondo. Il 21 aprile 1957 il papa Pio XII con la Lettera enciclica Fidei donum rilanciava l’urgenza dell’attività missionaria (soprattutto in Africa), ed esortava le diocesi del mondo ad inviare presbiteri e laici ad annunciare il vangelo tra le genti, ricordando anche che «la Chiesa in Africa, come in altri territori di missione, manca di apostoli. [...] Questo soffio missionario, inoltre, animando le vostre diocesi, sarà per esse un pegno di rinnovamento spirituale. Una comunità cristiana che dona i suoi figli e le sue figlie alla Chiesa non può morire […]. Esistono, grazie a Dio, numerose diocesi così largamente provviste di sacerdoti da consentire senza loro danno il sacrificio di alcune vocazioni. Ad esse soprattutto Ci rivolgiamo con paterna insistenza con le parole del vangelo: “Date ai poveri quello che vi avanza” (Lc 11,41)». L’appello è comunque rivolto a tutti, anche alle diocesi che già in quegli anni erano preoccupate per la penuria di vocazioni: «L’obolo della vedova fu citato in esempio da Nostro Signore, e la generosità di una diocesi povera verso altre diocesi più povere non potrebbe impoverirla, perché Dio non si lascia vincere in generosità». I sacerdoti diocesani che partiranno per le missioni da qui in avanti saranno chiamati con lo stesso nome dell’enciclica: fidei donum. L’11 ottobre 1959 papa Giovanni XXIII consegnava il crocifisso a 400 missionari convenuti in San Pietro prima di andare per tutto il mondo ad annunciare il vangelo. È in questo periodo che mons. Gennaro Prata, vescovo ausiliare di La Paz, scriveva ai vescovi di varie diocesi italiane in cerca di sacerdoti per la sua diocesi in Bolivia. L’unico che gli rispose fu mons. Piazzi, vescovo di Bergamo, che diede inizio a questa avventura. Proprio in quei giorni il Concilio Vaticano II ricordava ancora e più volte che la Chiesa è per sua natura missionaria; continuatrice della missione di Gesù, con la forza dello Spirito. Paolo VI nella Evangelii

Nuntiandi scriveva: «Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evan-

Missionari di Bergamo in Bolivia - don Alessandro Fiorina - don Alessandro Manenti - don Antonio Caglioni - don Basilio Bonaldi - don Fabio Calvi - don Gian Luca Mascheroni - sig.ra Maria Gotti - sig. Danilo Gotti - S.E. mons. (Vescovo) Eugenio Coter - suor Fiorentina Regonesi - suor Flora Motta - sig. Francesco Bucci - suor Giovanna Colombo - suor Giusy Manenti - sig. Mario Mazzoleni - sig.ra Patrizia Ravasio - don Pietro Bonanomi - dr. Pietro Gamba - sig. Riccardo Giavarini - suor Rosangela Bassis - S.E. mons. (Vescovo) Sergio Gualberti


ALTRI MONDIIN BREVE25 BURUNDI - Ci scrive padre Giovanni

gelizzare». Alcuni anni dopo, anche papa Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Missio osservava che «la missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento […], che uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio». Per questo ha invitato la comunità cristiana a un «rinnovato impegno missionario», nella convinzione che la missione «rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e motivazioni. La fede si rafforza donandola». Papa Francesco fin dagli inizi del suo pontificato ci ha ricordato in molti modi e occasioni l’identità missionaria della Chiesa: «La Chiesa è serva della missione. Non è la Chiesa che fa la missione. Ma è la missione che fa la Chiesa. […] Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione alla fin fine è questo». La vita cristiana diviene missione e si apre a tutti quando ha l’energia per farlo: e questa energia nasce da comunità cristiane che al loro interno vivono il vangelo in modo genuino e sincero, come forza e ispirazione per la propria vita. Don Giuseppe Pulecchi Cmd

Oggi durante la messa di Pentecoste, mentre il coro cantava e i ragazzi danzavano attorno all’altare, mentre incensavo l’altare, mi sono distratto un po’ e col pensiero sono andato lontano, quando avevo circa 7 o 8 anni, nel cortile di casa, le case operaie Honegger. Mi trovavo a raccogliere legnetti, facevo un focherello, mettevo le braci in un barattolo di latta, vi attaccavo un fil di ferro, mettevo un po’ di erba per fare più fumo e poi incensavo tutto quello che vedevo: siepi, sassi, buche, formiche, cielo, terra, uccelli; tutto era opera bella del Signore... Ricordavo poi la mia prima partenza verso il “NIDO DEGLI AQUILOTTI”; la chiamavamo così la nostra casa madre di Parma, detta anche da noi “Il grande alveare”: quanti missionari sono partiti da là. Il 10 maggio abbiamo salutato P. Angelo, deposto presso la cattedrale, dove ci sono le croci di altri missionari partiti per il Cielo, foto, nome croci, sbiadite o cancellate dal tempo: hanno messo vita e morte nella terra della loro missione. Altri confratelli ci hanno lasciato negli ultimi tre mesi, in Indonesia, in Brasile, in Bangladesh, in Giappone, in Cameroun: hanno lasciato il loro corpo nella terra che hanno amato e servito, giovani e non più. In gennaio nella mia comunità sono arrivati nuovi giovani apostoli: P. Evan dall’Indonesia, P. Marcel dal Brasile, il diacono Emmanuel dal Congo, vita e morte si incontrano e si danno appuntamento per una nuova partenza, staffetta per la terra e per il Cielo. Io sono ai 77 anni, possa anch’io continuare questa corsa. Sabato prossimo aiuteremo il Vescovo ad amministrare più di 1300 cresime: che fra questi lo Spirito santo trovi altre nuove reclute per il Regno. AMEN. Ogni bene. Vostro p. Giovanni

ETIOPIA - Guerra civile in Tigray e nazionalismo espansionista Amhara “La guerra del Tigray in Etiopia sta alimentando il nazionalismo espansionista Amhara”. È quanto sostiene Kietil Tronvol, antropologo e professore al Bjorknes University College di Olso. Il professore Tronvol intravvede due motivi principali che hanno fatto scatenare la guerra civile nel Tigray. Il primo alla luce del sole: il controllo politico sul Tigray voluto dal Premier Abiy Ahmed Ali che ha tentato di annientare la leadership politica e militare del governo regionale spodestato del TPLF. Il secondo nascosto dietro le quinte: la riconquista di territori persi nel 1991 da parte d’élite politica etnica Amhara. Essendo il secondo gruppo etnico più numeroso del paese, le milizie e le forze speciali Amhara risultano fondamentali nel conflitto in Tigray. Questo supporto militare ha un prezzo che il Premier etiope ha accettato di pagare. Le parti occidentali e meridionali del Tigray sono attualmente incorporate sotto l’amministrazione e il controllo Amhara nonostante le proteste del governo regionale ad interim del Tigray. Dal 1991, decine di migliaia di Tigrigni dagli altopiani ed ex rifugiati erano stati reinsediati nell’area, assegnando alla popolazione una netta maggioranza di Tigrini. Fulvio Beltrami www.settimananews.it - 10 maggio 2021

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI COSTUME E SOCIETÀ

La ruota della ricchezza continua a girare a senso unico. Come ogni anno dal “conclave” finanziario di Davos, in Svizzera, arrivano i numeri dell’Ong britannica Oxfam, una delle più autorevoli agenzie di indagini statistiche al mondo, a squarciare il velo su quello che tutti sanno ma che spesso si tace: le fratture nella distribuzione del reddito fra ricchi e poveri. Il solco si è allargato: le fortune dei super ricchi sono aumentate del 12%, mentre 3,8 miliardi di persone hanno visto decrescere dell’11% quel già poco che avevano. Sono dati impressionanti, che suonano sempre come schiaffi dati alla metà più povera dell’umanità.

Lavori di pubblica utilità

C’è chi arriva per obbligo, ma poi nel volontariato rimane. All’inizio è “costretto” a dedicare il tempo ad associazioni, comunità, parrocchie, comuni per evitare di scontare una condanna in cella. Lavori di pubblica utilità. Alternative che la giustizia concede a chi ha commesso reati di piccola entità, con regole e programmi da seguire sotto le direttive di un giudice. Chi sgarra torna indietro. Le realtà che accolgono giovani, ma anche meno giovani, in questo percorso sono aumentate. L’obiettivo è che aumentino ulteriormente. È una possibilità di riscatto per chi ha commesso un errore e può così tornare in libertà.

Stop a smartphone, tablet e telefonini ai minori di anni 12

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira” cura per il pianeta attraverso la riforestazione sia di aree terrestri che di aree marine, perché le cosiddette praterie marine possiedono una grande varietà di vegetazione che influisce sull’ossigenazione della terra molto di più rispetto alle foreste.

ACLI

Il Manifesto per il dibattito pubblico sulle opere della transizione ecologica

Promosso da Legambiente, Greenpeace, Wwf, Acli, ActionAid, Arci, Casa Comune, Cittadinanzattiva, Fridays for future, Gruppo Abele, Libera, Link Coordinamento Universitario, Rete della Conoscenza, Unione degli Studenti, inviato al Presidente del Consiglio Mario Draghi e ai ministri che si occuperanno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza a partire da Roberto Cingolani (ministro della transizione ecologica) ed Enrico Giovannini (ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili). “L’Italia ha uno straordinario bisogno di accelerare nella direzione della decarbonizzazione del proprio sistema energetico e di una gestione circolare delle risorse naturali. Questa sfida presuppone di installare milioni di impianti solari sui tetti degli edifici, di realizzare migliaia di impianti da fonti rinnovabili e di riciclo, centinaia di impianti di depurazione integrati nel territorio e nel paesaggio italiano. Oltre semplificare e velocizzare l’iter autorizzativo dei progetti green, sarà importante coinvolgere sempre di più i territori, non si perda dunque questa importante occasione”.

E se i genitori non vigileranno con attenzione riceveranno multe da 300 a 1500 euro. È una proposta di legge presentata al Parlamento da alcuni deputati, che noi speriamo venga presto approvata per la sua validità. Secondo uno dei firmatari della legge, supportato da eminenti studiosi e da uno studio dell’Istituto Superiore di sanità, “l’uso continuativo dei telefoni cellulari sarebbe collegabile ad una maggiore difficoltà di apprendimento, ma anche di ritardi nello sviluppo del linguaggio, perdita di concentrazione, aggressività ingiustificata, alterazione dell’umore, disturbi del sonno, dipendenza. Bisogna intervenire prima che la situazione sfugga ad ogni controllo, allo scopo di tutelare soprattutto chi vede in un telefono cellulare un innocuo strumento di svago e divertimento. Perché gli adulti di domani non siano costretti a convivere con una serie di patologie causate dall’uso sregolato dei dispositivi ”.

Tavolo di coordinamento per il Terzo settore

La 51A edizione della Giornata Mondiale della Terra

MASSIMA

È stata celebrata in un contesto molto particolare. Veniamo infatti da un anno di pandemia che, per la prima volta, ha interessato tutti i paesi del mondo, una tragedia che però dobbiamo saper leggere e, in qualche modo, trasformare in un’occasione di cambiamento. Il tema scelto per l’edizione 2021, non a caso, era “Restor our Earth”, “Ripariamo la nostra Terra”, ed è stato legato al ripristino dei nostri ecosistemi inteso come ricostruzione di alcuni habitat naturali sia a livello di flora che a livello di fauna, con il reinserimento di specie in via di estinzione o addirittura già estinte in un determinato luogo. E poi la

Le Acli accolgono positivamente la proposta che il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, ha formulato durante un incontro con le associazioni del Terzo Settore (FORUM DEL TERZO SETTORE, AUSER, ANTEAS, ADA, ANCESCAO, FISH, ACLI, ARCI, ANCI.), di lavorare insieme per creare opportunità e individuare tutte le modalità e le azioni utili che consentano agli anziani che abbiano ricevuto il vaccino di riprendere la socialità. A questo proposito le Acli hanno anche suggerito l’idea di creare tavolo di coordinamento che assicuri: un dialogo utile ad individuare, per ogni attività, modalità di svolgimento in piena sicurezza e nel rispetto delle norme anti contagio; velocizzare l’erogazione dei sostegni anti covid; evitare un ingorgo burocratico tra le riaperture in sicurezza e gli adempimenti della riforma del Terzo settore. Certe volte ci capita di sentire da parte di persone molto sagge delle “Massime” talmente profonde che ci fanno riflettere e ci mettono quasi in soggezione. È il caso di un brevissimo pensiero tratto da uno scritto di un pensatore italiano. Esso dice : ”Un uomo non è un uomo finché non ha sofferto”. Infatti è solo il dolore, sia fisico che mentale che matura l’uomo rendendolo più sensibile ai problemi del prossimo. Per le Acli Albinesi Gi.Bi.


RICORDO

A DISPOSIZIONE CASA DEL COMMIATO Gazzaniga Via Salici 9

ALBINO - via monsignor Camillo Carrara 6

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Opere parrocchiali ... il tuo aiuto è importante

È possibile dare il proprio contributo - anche deducibile fiscalmente nella dichiarazione dei redditi in misura del 19% - a sostegno dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza per i beni Architettonici. Per le aziende è possibile detrarre totalmente la cifra devoluta. Abbiamo concluso il rifacimento del tetto del CineTeatro e della Casa della Carità con qualche sorpresa per quanto riguarda legname e travi marcite. Abbiamo ultimato: - la sistemazione e riqualificazione del porticato che si affaccia sul sagrato; - il tetto dell’ex Ragioneria, che ci auguriamo sia l’ultimo; - il passaggio tra il sagrato e l’oratorio per le infiltrazioni di umidità; - il muro interno della sala giochi nel bar dell’oratorio, anche questo per l’umidità. Impegni questi che stanno dando fondo alle nostre risorse. Grazie per quello che riuscirai a fare.

PER DONAZIONI - Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano: IBAN IT91 R050 3452 480000000000340 Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.

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CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


ANAGRAFE PARROCCHIALE Anniversario

Defunta

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Da febbraio a Maggio 2021... ... sono rinati nel Battesimo

Giuseppa Carrara (Maria)

Rosina Bonomi

in Birolini 1° anniversario

in Carrara

- Iris Cortinovis - Mattia Stibiel - Sophia Cecilia Moioli - Filippo Birolini - Gioia Persico - Beatrice Caldara - Brineis Meir Zenoni - Margot Acerbis - Tommaso Pacchiana

... si sono uniti in Matrimonio

anni 74

n. 08.03.1937 - m. 28.05.2020

n. 05.06.1943 - m. 29.04.2021

Sei sempre con noi

Resterai sempre nei nostri cuori. Grazie per tutto quello che abbiamo imparato da te.

Per la pubblicazione in questa pagina delle fotografie dei propri cari defunti, rivolgersi alla portineria dell’oratorio.

- Matteo Gaiti e Cristina Casali

... sono tornati alla casa del Padre

- Giacomina Noris - Francesco Giuseppe (detto Franco) Cortinovis - Angelina Noris - Rosetta Nani - Albina Piantoni - Alberto Claudio Poma - Libera Crotti - Andrea Donadoni - Vittoria Barbara Magoni (Suor Letizia) - Franco Breda - Maria Olivero - Rosina Bonomi - Luigi Zanetti - Massimo Algeri - Lucia Azzola

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Maggio Giugno 2021


Maria, Vergine della notte Santa Maria, Vergine della notte, noi t’imploriamo di starci vicino quando incombe il dolore, irrompe la prova, sibila il vento della disperazione, o il freddo delle delusioni o l’ala severa della morte. Liberaci dai brividi delle tenebre. Nell’ora del nostro calvario, Tu, che hai sperimentato l’eclissi del sole, stendi il tuo manto su di noi, sicché, fasciati dal tuo respiro, ci sia più sopportabile la lunga attesa della libertà. Alleggerisci con carezze di Madre la sofferenza dei malati. Riempi di presenze amiche e discrete il tempo amaro di chi è solo. Preserva da ogni male i nostri cari che faticano in terre lontane e conforta, col baleno struggente degli occhi, chi ha perso la fiducia nella vita. Ripeti ancora oggi la canzone del Magnificat, e annuncia straripamenti di giustizia a tutti gli oppressi della terra. Se nei momenti dell’oscurità ti metterai vicino a noi le sorgenti del pianto si disseccheranno sul nostro volto. E sveglieremo insieme l’aurora. Così sia Tonino Bello


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