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Sei come Talete, se ami le stelle
SHEEZA HABIB, 4F
Hai presente quei momenti - che io sinceramente trovo davvero poco piacevoli- in cui si è in famiglia e si è nervosi, si esce con gli amici ma non si è presenti e si hanno un sacco di pensieri per la testa? I momenti di questo tipo, nonostante siano molto spiacevoli, ci aiutano a riflettere su noi stessi, interrogandoci sul motivo per cui non stiamo bene con gli amici o in casa, sul perché proviamo tutto questo malessere dentro di noi. E al nostro “perché?” vogliamo trovare una risposta. In tali frangenti, anche se non ci abbiamo mai pensato, ci può essere di consolazione pensare che stiamo ragionando come Talete. Talete infatti cercava il perché di tutte le cose che aveva davanti a sé, nel disperato tentativo di ricondurle ad un unico principio, che trovò nell’acqua. Tuttavia non è su questo principio che mi vorrei concentrare oggi, bensì su un altro, di cui ci parla Diogene Laerzio e che è altrettanto importante per capire veramente la figura di Talete: “Cerca una sola cosa: la sapienza. Scegli una sola cosa: il bene. Solo questo metterà a tacere le lingue loquaci di chi tende a parlare troppo”. Questo aforisma secondo me chiarisce come la personalità di Talete non fosse quella di un uomo qualunque, ma del primo dei Sette Sapienti. Il più sapiente tra gli uomini, certo, però Talete non se la tirava troppo! A tal proposito, Diogene Laerzio racconta la divertente storiella del tripode, soffermandosi per due pagine a descrivere le almeno tre o quattro versioni differenti. Io ve ne racconterò solo una, quella più lineare, perché il mio obiettivo è che passi il messaggio che c’è dietro a questa storia. Ma, prima di cominciare il racconto, cos’è un tripode? É una sorta di treppiede su cui veniva posata una bacinella piena di acqua, spezie e cose varie e sotto al quale veniva acceso un fuoco, cosicché la bacinella scaldata portasse degli effluvi. Dalla descrizione sembra una procedura culinaria, come far scaldare l’acqua per la pasta, ma si trattava in realtà di un oggetto di pregio, donato agli eroi o a chi vinceva delle gare. Era addirittura presente a Delfi: la pizia si sedeva sopra il tripode e
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si lasciva inebriare dai fumi prima di dare l’oracolo. Ma per tornare alla storia del tripode, un giorno nel mare di Mileto fu trovato un tripode, per il cui possesso i Milesi incominciarono a litigare. La contesa si inasprì al tal punto che dovettero recarsi al santuario di Delfi per risolverla: l’oracolo dichiarò che il tripode sarebbe toccato a chi si fosse mostrato più sapiente. Il tripode venne offerto a Talete, che lo rifiutò, poi ad altri e in seguito di nuovo a Talete. Questa volta egli lo inviò a Delfi, dicendo che il più sapiente era l’oracolo e che era il dio capace di attirare la sapienza, non certo un uomo. Quella di Talete non è semplice umiltà, ma qualcosa di più profondo. I Greci avevano ben presente i limiti della mente umana, non solo quello temporale di inizio e fine, ma anche quelli che riguardano tutti gli altri ambiti: la bellezza, il coraggio e la sapienza. È per questo che Talete rifiuta il dono. Ma cosa sarebbe successo se l’avesse accettato? Quello che tutti vorremmo fare oggi, no? Cioè sentirci sempre i più “fighi” e intelligenti, alcuni di più altri di meno. Ma che succede quando sbagliamo: succede che gli altri non ci perdonano. “Ma come? Ti sei perso quel tripode. Tu che sei il più sapiente adesso sbagli?” Ancora più grave è il fatto che noi non ci perdoniamo l’errore e, facendo così, è come dire che non perdoniamo l’umanità. Ecco perché Talete rifiuta “lo sgabello”. A essere divertenti non sono solo le storie su Talete, ma è anche il personaggio in sé ad esserlo. Forse era molto simpatico perché viaggiò tantissimo e nel corso di queste peregrinazioni imparò anche come rispondere ad alcune domande personali: per esempio, quando da giovane gli chiedevano “Quando prenderai moglie, perché non ti sposi?”, lui rispondeva che non era ancora tempo. Poi, passata la giovinezza, a tale domanda cominciò a replicare: “Eh…perché non è più tempo”. “Talete, perché non fai figli?” al che egli: “Guarda, non faccio figli per l’amore dei figli”. Questo per farvi capire che il Talete che noi studiamo a scuola è stato un uomo normale sotto questo punto di vista. Egli era anche un genio: si narra che fu il primo a suddividere l’anno in 365 giorni e a scoprire la costellazione dell’Orsa Minore e che la luna era illuminata dal Sole. La cosa che mi ha impressionato di più è che, nel corso di uno dei suoi viaggi in Egitto, scoprì persino come si misurassero le piramidi, una nozione oggi estremamente intuitiva, ma che allora necessitava di una mente geniale. In sostanza, egli si accorse che in un preciso momento della giornata la nostra ombra coincide con la nostra altezza e, confrontando le lunghezze delle ombre sul terreno con un’asta, fu in grado di determinare l’altezza della piramide. Ma cosa succede quando queste sue due caratteristiche – la genialità e la simpatia- vengono confuse? Accade quello che è ricordato come l’episodio delle olive, a mio avviso estremamente vivace e divertente. Mentre gli si rinfacciava l’inutilità della filosofia, dicono che egli un inverno si mise a studiare gli astri, la sua grande passione. Egli, osservando le costellazioni, predisse che alla fine dell’estate ci
sarebbe stata un’abbondante raccolta di olive, quindi affittò i frantoi oleari. Sopraggiunto il tempo adatto al raccolto delle olive, Talete decise di vendere i frantoi in regime di monopolio, a dimostrazione che i filosofi con le loro conoscenze potevano facilmente arricchirsi. Arriviamo ad un altro episodio divertente della vita di Talete: quello della servetta tracia. Di notte Talete, mentre vagava con gli occhi fissi al cielo, non essendosi accorto della presenza di un pozzo posto davanti a lui, finì col cadervi dentro. Questo fatto avrebbe suscitato la risata di una servetta, che gli disse: “Talete, guardi molto lontano, ma non vedi quello che hai davanti”. Se la vita di Talete è legata alle stelle, in qualche modo anche la sua morte lo è. Egli morì per un malore mentre stava assistendo ad alcuni agoni -e fin qui non c’entrano molto le stelle. In seguito alla sua morte fu composto per lui un epigramma, una poesia breve di due versi che così recitava: “Ti ringrazio Zeus per avere portato vicino a te Talete nel momento in cui era vecchio, perché dalla Terra non riusciva più a vedere gli astri”. Secondo me questa frase è di una bellezza senza pari, tanto che viene riportata anche da Diogene Laerzio, e condensa con precisione il senso della vita per Talete: la sua passione. Egli, che era stato un grande e divertente amico, un viaggiatore, un genio assoluto, venuta meno la sua più grande capacita, doveva essere necessariamente salutato. Murubutu, in una bellissima canzone intitolata “Scirocco”, canta “Il pubblico di stelle applaudendo lasciò il teatro”. Ecco, a me piace pensare che quando il sipario calò sulla vita di Talete, il pubblico di stelle fece la stessa azione. Il significato profondo della sua vita è stato quello di guardare lontano, sia metaforicamente con il pensiero che concretamente con gli occhi.