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Ci pensi mai

MELISSA COLOMBO, 4I

Ci pensate mai agli abbracci? Pensate mai a quell’ultimo abbraccio? Quell’ultimo inaspettato momento di contatto fisico. Non sapremo mai quando daremo il nostro ultimo abbraccio a quella persona. La vita è imprevedibile. A meno che non sia di nostra spontanea volontà, non sappiamo quando chiuderemo i rapporti con una persona. Ci sono un sacco di variabili: la distanza, la differenza di interessi, un cambiamento di carattere, non frequentare più gli stessi posti. C’è anche un’altra variabile, molto rara e strana, che mi viene in mente: la mancanza totale di abbracci. Nella mia breve vita da diciassettenne ho sperimentato tutte queste casistiche. Una mia amica che abitava nella mia città si è trasferita a Milano. Ogni tanto uscivo con una ragazza, la conoscevo grazie alla scuola. Ma non avevamo gli stessi interessi e con il passare del tempo abbiamo entrambe cambiato carattere. Ho conosciuto tante persone negli ambienti che frequento. Con poche sono rimasta veramente in contatto. Ora non le vedo più; hanno lasciato la scuola o non vengono più in oratorio. Infine quest’estate ho conosciuto un ragazzo. Abbiamo passato per quasi un mese tutte le nostre giornate insieme. Ma non ci siamo mai abbracciati. Lui mi annegava in piscina, mi nascondeva le scarpe, mi aiutava quando la mia bicicletta si inceppava mentre io gli facevo il solletico, lo stuzzicavo o gli mettevo le mani sulle spalle quando stava male. Ma mai di più. Se improvvisamente le nostre strade dovessero separarsi, non dovrei mai pensare al nostro ultimo abbraccio. Ci pensate mai alle farfalle nello stomaco? Penso che siano una delle più belle sensazioni di sempre. Non parlo sol-

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tanto di quando siamo nei corridoi e vediamo la persona che ci interessa che ci sorride. Di quando due fidanzati si scambiano un bacio. Di quando si legge un romanzo rosa o si vede un film. Parlo di tutte quelle cose che ci piacciono e ci fanno sentire vivi. Mi vengono le farfalle nello stomaco quando ascolto la musica. Quando scrivo. Prima di fare una nuova bellissima esperienza. Quando la nonna cucina il mio piatto preferito. Abbassare il finestrino dell’auto, sentire il vento in faccia e le orecchie fischiare. Quando sono ricoperta di vestiti dalla testa ai piedi e l’aria gelida mi colpisce talmente forte da farmi diventare le guance e il naso rossi. Vedere le conseguenze delle proprie azioni, in particolar modo se sono state compiute mettendoci tutto l’impegno possibile. Quando la lezione diventa così noiosa che preferisco farmi film mentali su tutto. Correre al freddo. Non sono una persona molto sportiva, ma correre più veloce che posso, fino a sentire i polmoni bruciare a causa dell’aria glaciale e le gambe cedere, beh quello sì che mi fa sentire viva. Soprattutto quando mi fermo e riprendendo fiato non posso fare a meno di ridere. Ci pensate mai agli stereotipi? Non vi fate mai domande? Per esempio, chi ha deciso che questa cosa deve essere uno stereotipo e un’altra no? Vi faccio un esempio che mi è venuto in mente al mare. Tutti gli stereotipi sulla pelle o il peso. Le persone considerate più attraenti sono quelle abbronzate. Se hai la pelle pallida, ti danno della mozzarella o del vampiro. Sulle riviste di moda i corpi considerati perfetti sono quelli a forma di clessidra, con la pancia piatta oppure quelli tonici, pieni di muscoli e con gli addominali. Se sei una persona in carne o con quel rotolino di pancia in più, non verrai mai considerato perfetto dalla società. Eppure un tempo non era così. Sapete chi erano quelli con i corpi più magri, con i muscoli e la pelle abbronzata? I poveri, i contadini. Quelli che lavoravano tutto il giorno nei campi, a zappare la terra sotto il sole cocente che a casa trovavano un misero pasto. Indovinate chi erano quelli con la pelle candida e quei chili di troppo. I nobili. Loro che passavano le giornate a corte, al chiuso, al riparo dal sole e che banchettavano tutti i giorni con portate sontuose. E l’aristocrazia, al tempo, era il modello da seguire, da aspirare. Ci pensate mai al vostro potenziale segreto?

Ho sempre pensato che in ognuno di noi si nasconda un potenziale, il quale è unico per ognuno di noi. Potrà anche essere dello stesso tipo di qualcun altro, ma è il nostro e noi stessi lo rendiamo unico con il nostro essere. I cantanti hanno tutti il dono della voce, ma è il loro stile a renderli particolari. Gli scrittori sono tutti benedetti da Apollo, ma è quello che scrivono e come lo scrivono che li rendono speciali. Il mio potenziale segreto è la fantasia, l’immaginazione. Ne ho talmente tanta che potrei venderla in bottiglie e diventare ricca. Se c’è qualcosa che mi interessa e mi vedete distratta, non preoccupatevi. Vi auguro solo di non fare un viaggetto nella mia mente, perché potreste trovarvi in un ciclone di pensieri, domande, idee, scenari. Qualche giorno fa mia sorella e mia cugina mi hanno detto che, secondo loro, soffro di disturbo dell’attenzione. Non ho potuto negare. Dicono che ho impiegato tre minuti per formulare una frase. Una volta mi sono bloccata perché alla radio è partita una canzone che mi piace molto, che mi ha ricordato una cosa e che me ne ha fatta pensare un’altra. Una seconda volta mi sono fermata perché guardando fuori dal finestrino ho visto delle persone e ho iniziato a farmi delle domande. Poi mentre parlo, mi dimentico quello che stavo dicendo semplicemente perché anche se la mia bocca dice una cosa la testa ne pensa altre cento nello stesso momento. In poche parole la mia mente non ha freni, non sta ferma un secondo. Neanche di notte. I miei sogni possono essere veramente strani, contorti e trame di film. Ci pensate mai al perché fate certe cose? O per chi le fate. Perché studiate, perché scrivete, perché leggete, perché mangiate, perché fate quello sport. Vi sembrano domande stupide? Non mi interessa. Non sono stupide. Nessuna domanda è stupida. Perché studio? Perché voglio diventare un ottimo medico e direi che senza studiare è difficile. Per chi studio? Questa domanda ha una risposta più complicata. Molti di voi studiano per se stessi, per i genitori, per i professori o solo per non fare i mantenuti a trent’anni. Anche se, tecnicamente, se avete scelto un liceo è perché volete continuare i vostri studi. Io non studio solo per me stessa, per cultura personale. Studio per il futuro dei miei figli. Lo abbiamo già detto, penso veramente troppo. Ma pensando alla mia vita non riesco a non pensare a dei futuri fig-

li. Vorrei dare a loro quello che, in un certo senso, io non ho avuto. Vorrei che avessero una casa grande, con una camera ciascuno. Vorrei che venissero da me a chiedermi di comprargli più mensole per la libreria, un computer, una sedia girevole. Vorrei che organizzassero feste quando sono fuori per lavoro. E più di tutto, vorrei che fossero fieri di me. Ci pensate mai ai piccoli dettagli, scaturiti dalle conseguenze di determinate azioni? Quest’estate, all’oratorio, ho conosciuto un sacco di persone che vengono qui al Majorana. Ed ora, quando giro nei corridoi o la mattina davanti alla fermata del bus, li vedo dappertutto. E tutte le volte che li vedo mi chiedo sempre “Come ho fatto gli anni passati a non accorgermi di loro?” Ho conosciuto anche persone del Fermi e mi ritrovo a cercare bici familiari nel parcheggio del tecnico o vedere le persone passare per prendere l’autobus. Se non li avessi conosciuti, probabilmente quest’anno sarebbe stato un’altro anno noioso. Ci pensate mai al primo incontro? Ritengo che spesso, in un’amicizia o relazione, le persone non diano la giusta importanza al primo incontro. “Ah sì, abbiamo iniziato a parlarci e diventare amici dopo una partita di calcio” “Noi invece abbiamo iniziato a frequentarci dopo esserci conosciuti a scuola” Sì ok, tutto molto interessante. Ma non sto parlando di questo. Parlo del primo incontro. Quello vero, che merita questo titolo. Può essere stato giorni, mesi, anni prima della prima volta che vi siete veramente parlati, guardati, toccati. Anche io ho molti esempi come quelli citati prima. “Abbiamo iniziato ad uscire a dicembre, dopo il concerto di natale” “Ho iniziato a parlare con quella persona dopo l’oratorio feriale di settembre” “Questa mia amica mi ha fatto conoscere questa persona”. Ma quando ci penso, sento che questi non sono i veri primi incontri. Non con tutti almeno. Il primo vero incontro che ho avuto con la prima persona, non è stato al terzo anno ma al primo. Poche settimane dopo l’inizio della scuola, era venuto in classe per fare propaganda al coro. Quello è stato il nostro primo incontro. È vero, abbiamo iniziato a parlarci più frequentemente e seriamente solo due anni dopo. Ma il primo incontro è stato quello. Oppure con il secondo soggetto. È vero, l’ho notato e ho iniziato a parlarci a settembre. Ma andando a scavare, ho scoperto che era anche

all’oratorio feriale di giugno-luglio. La mia ricerca è finita lì. Cioè, è andata avanti ovviamente. Ma il risultato si ferma lì. Le possibilità che io l’abbia visto prima di quest’estate sono veramente basse. Con la terza persona, invece, quello è stato veramente il primo incontro. Ora penserete, chi è così pazzo da farsi tutti questi complessi mentali? Beh, io. Come vi ho già detto, la mia mente non si riposa mai. Ma vorrei che anche gli altri ci facessero caso. Magari vengono a galla cose sconvolgenti, sia positive che negative. Ci pensate mai al tempo? Potrei scrivere un saggio sul tempo. È uno di quei misteri della vita affascinanti e dubbiosi allo stesso tempo. Ho tante domande su di esso. È una mia impressione o il tempo sta passando troppo velocemente? Mi ricordo come se fosse stato due giorni fa il mio esame di terza media. Come se fosse ieri l’inizio delle superiori, una nuova avventura. L’inizio del covid. La DAD a settimane alterne della seconda. Le ore in laboratorio di chimica e il PCTO a Torino di terza. Come se fosse successo stamattina, le settimane di oratorio estivo. Ed ora sono qui, in quarta superiore. In un soffio. Se guardo indietro vedo la me dodicenne che mi sorride. Se guardo avanti vedo il test di medicina che mi aspetta a fine anno. La maturità della quinta. Quando penso “La verifica di storia dell’arte è tra due settimane” ma quelle settimane si scioglieranno come burro sul fuoco. Però passa anche troppo lentamente. Seguendo il mio ragionamento, arriverò ai trent’anni in un batter di ciglia. Eppure sono ancora diciassettenne. Sono ancora minorenne, sono ancora alle superiori, non ho la patente e vivo ancora con i miei. Non mi ricordo cosa pensavo a sette anni. A trenta non ricorderò quello che pensavo a venti. Scrivere serve anche a questo, a ricordarsi. Come cambiano i luoghi con il tempo, vero? Con i cambiamenti, con le abitudini. Pensate alla strada che percorrete tutti i giorni per arrivare a scuola o dalla fermata del bus a casa vostra. Ora pensate alla stessa strada la prima volta che l’avete percorsa per venire a scuola. Mio padre la mattina mi lascia al parcheggio delle piscine. Percorro la stradina tra le piscine e i campi da tennis, salgo sul marciapiede che sta sotto gli alberi, attraverso la strada e mi trovo alle fermate dei bus davanti al campo da calcio attaccato alla scuola. Semplice.

Ora. Ricordo la prima volta che mio padre mi fece vedere su Google Maps la strada. Panico. Ero certa al 100% che mi sarei persa, eppure ora mi sembra così semplice. Una volta rischiai pure di essere investita ed ora guardo due volte a destra e due a sinistra prima di attraversare. Oppure le sale in oratorio. Ero abituata a vedere un’aula dell’oratorio centrale della mia parrocchia con i tavoli messi in fila a coppie. L’ho sempre e solo vista così. Poi quest’estate abbiamo cambiato la disposizione, spostando i tavoli ai lati per avere più spazio dove passare. Mi sono abituata a quella visione, ora che sono tornati come prima, puliti, in ordine e senza tutte le cianfrusaglie dell’oratorio estivo sopra, non li riconosco più. I rapporti con le persone sono quelle che cambiano di più. In male o in bene, piccoli o grandi che siano, i cambiamenti con le persone sono a parer mio i più significativi. Indicano il passare del tempo con una unità di misura diversa da quella dei secondi. L’esempio più banale sono i nostri compagni di classe. In prima per me erano tutti degli sconosciuti. Ora non più. I compagni di banco: chi è fortunato, come me, non ha un solo compagno di banco ma addirittura due. Ora siamo una piccola famiglia: parliamo durante le lezioni, ci disegnamo sui libri, attacchiamo sticker ai banchi, ci chiediamo gli appunti. E in prima? Posso dirvi con assoluta certezza che i primi mesi di scuola non ho mai pensato che queste due persone sarebbero diventate così importanti per me. Quando mi chiedono della scuola, ancor prima di pensare a tutto il gruppo classe penso a loro. Vi è mai capitato di pensare “Perché non l’ho conosciuto prima?” oppure “Perché non ci siamo mai parlati così prima d’ora?” Certe volte penso a quelle persone che ho conosciuto per tanto tempo e per altrettanto tanto tempo ho ignorato o ci siamo limitati a saluti occasionali. Poi arriva quel momento in cui iniziate ad aprirvi, ad uscire assieme, a parlare senza sosta. Passate con loro il vostro tempo migliore. Vi affezionate. E poi il countdown arriva al termine. Per cause di forze maggiori, le vostre strade si separano. Non vi vedete più tutti i giorni. Non parlate più fino all’ultimo respiro. Ognuno prende la sua strada. Rimanete in contatto, vi aggiornate sulle vostre vite. Ma quando vi vedrete di nuovo? Se vi foste aperti prima, il vostro rapporto sareb-

be stato diverso? Pensate alle cose che vi fanno stare bene. Sempre. La vostra priorità è stare bene. Mentalmente, emotivamente e psicologicamente. Fate tutte quelle cose che vi fanno venire le farfalle nello stomaco, che lasciano dei segni positivi alla vostra esistenza, che vi fanno sentire vivi. Ballate. Non sapete ballare? Fatelo completamente a caso. In camera da soli o con qualcuno che emani la vostra stessa energia. Con la musica sparata nelle orecchie o con la cassa al massimo. Cantate. Storpiate le parole, fate facce buffe, cambiate i toni della voce senza un senso logico. O fatelo con il cuore, facendo risonare dentro di voi ogni nota, mettendo ogni respiro nelle parole, improvvisando un concerto. Non siate troppo seri, tornate un po’ bambini. Facciamo gli scemi con quella persona, senza filtri, senza giudizi. Apriamoci, raccontiamoci l’uno dell’altro. Mettiamo da parte i problemi del mondo e godiamoci del tempo senza preoccupazioni. Non accontentatevi mai. Trovatevi chi vi faccia stare bene al 100% e fidatevi, non ve ne pentirete. Penso troppo, siamo alla fine di questo testo e credo lo abbiate capito tutti. Io e tutte le persone come me abbiamo bisogno di quella persona che ci fa girare la testa talmente forte che non possiamo pensare ad nient’altro che loro. Non possiamo accontentarci. Io per fortuna l’ho trovata, dopo tanto tempo. È la mia migliore amica, che purtroppo abita a Verona. Quando siamo in chiamata, quando parliamo non penso a nient’altro. Il tempo vola con lei. Quando ci siamo viste la prima volta non volevo più lasciarla andare via. Sono la referente del Majocoro. Ci sono dentro dalla prima superiore ed è la mia vita, nonostante abbia perso un anno e mezzo per il covid. Ma gli incontri tutti i lunedì con il maestro, scegliere le canzoni, arrangiarle e sentire l’emozione in tutto il corpo quando realizzi quanto è venuta bene una canzone. Sono esperienze impagabili. Mi fa sentire bene, viva. E anche se ora siamo in quattro gatti, letteralmente, per me possiamo farlo comunque il coro. Perché non voglio rinunciarci. Nella vita pensiamo tanto. Mille domande e dubbi ci assalgono. C’è chi pensa di più. Chi pensa di meno. La morte non mi spaventa, ma le persone che non pensano sì. Ve lo richiedo. Ci pensate mai a quell’ultimo abbraccio?