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Ricerca ed analisi storiografica sopra gli eventi e le cause della cosiddetta rivolta cesanese tenutasi nel 1229

OLIVER ZOCCO, 5H; SILVIA VIOLATO, 5aa; MATTEO GALBIATI, 5H

Nel 1229 gli abitanti di Cesano, capeggiati da tale Domenico dell’Acqua, abbatterono le torri difensive e riempirono il fossato come protesta contro il monastero benedettino delle suore di Orona di Milano, che almeno dal 1081 (anno in cui a seguito di un incendio che probabilmente distrusse l’archivio del monastero venne riconfermata la prerogativa monasteriale del locus cesanese) deteneva l’honor et districtus – distretto – , ossia i diritti di bassa giustizia in ambito civile detenuti nelle proprie terre dai signori territoriali. Infatti i cesanesi sono stati sempre restii a cedere all’autorità benedettina, che li governava da lontano, o almeno lontano dal punto di vista dei rustici; in particolare nel XII e XIII secoli il centro abitato è stato protagonista di varie controversie e contenzioni con il monastero, rifiutandosi più volte di pagare i tributi, e violando alle suore il distretto: in particolare nel 1179 si ha una lite, risoltasi presso i consoli di Milano, tra i rustici di Cesano e Binzago e la Badessa per “questioni di distretto”. A seguito ci furono varie altre dispute minori, fino a quando nel 1224, presumibilmente a causa delle loro difficoltà nel governare i terreni, la Badessa li cedette a livello – un tipo di contratto di affitto medievale – per ventinove anni a tre procuratores di Milano, presumibilmente indebolendo l’autorità di Orona. Dopo di questo, arriviamo alla presunta rivolta violenta, seguita dall’invio di soldati e un notaio dalla città per reprimerla, e l’ingiunzione a Domenico dell’Ac-

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qua di ricostruire quanto distrutto. Per lo meno, questa è la versione dei fatti che ci viene fornita, seppur qui espansa con informazioni solitamente assenti, da tutte le fonti sin dal 1858, anno di pubblicazione della “Grande Illustrazione del Lombardo-Veneto” di Cesare Cantù, fino ai giorni nostri. In questo libro la vicenda viene brevemente menzionata nella sezione riguardo a Cesano Maderno, anche conosciuto come Cesano Borromeo ai tempi. Da lì in avanti sembra che ogni fonte successiva ripeta semplicemente le poche informazioni dateci: “nel secolo XIII, e atterrarono il forte e colmarono il fossato; ma i consoli di Milano condannarono Domenico Dell’ Acqua, capo della sommossa, che voleva insignorirsi del luogo, a rifare il castello, il fossato e le mura.“ Fu addirittura trascurata l’ambizione di Domenico in menzioni future. Ma la natura violenta della cosiddetta “sommossa” non ha basi solide: nell’ingiunzione originale del 17 luglio 1229 si chiede sì di ricostruire il castello, le mura, il fossato, oltre che varie altre richieste, non si ha però nulla che indichi una rivolta violenta come causa dei danni; inoltre i rustici, insofferenti com’erano al dominio monasteriale, erano altamente recettivi a un governo locale, come dimostrato nel 1179, cosa che avrebbe ridotto il bisogno di una sommossa violenta e della distruzione descritta in seguito; ulteriormente, quando la Badessa aveva fatto inviare un piccolo drappello di soldati e un notaio per ordinare ai Cesanesi di non affittare le terre del monastero (Atti del Comune di Milano, 20 maggio 1229), ubbidirono agli ordini dei soldati, come dimostrato dal fatto che il processo di Domenico fu poco meno di due mesi dopo, ed avvenne senza il bisogno di inviare rinforzi, cosa assai improbabile se ci fosse stata una sommossa violenta contro una guarnigione poco prima, che avrebbe potuto opporre resistenza ai pochi soldati milanesi. Il reale motivo della richiesta di “ricostruire” il castello, le mura, la porta, il fossato e l’inferriata viene suggerito nel libro “Memorie spettanti alla storia al governo” del 1760, scritto da Giorgio Giulini: il potere di obbligare gli abitanti delle terre a rifare il castello ed altre strutture dell’infrastruttura pubblica era un diritto appartenente al distretto, ed era imponibile sia in caso di distruzione per cause violente, sia terremoti.

Oltre a quello, sebbene ci fu un terremoto potentissimo nel 1222 che colpì il nord Italia, la codifica scritta delle consuetudini (termine dell’epoca usato per indicare le leggi) riguardanti il distretto, risalente al 1216, non fu influenzata da esso. Perciò Giulini postula che i terremoti all’epoca fossero ben più comuni di quanto non lo fossero più recentemente, oltre che comportare un rischio maggiore. Da ciò si può evincere che l’obbligo a ricostruire il castello fosse probabilmente invocato semplicemente a seguito del terremoto del 1222, o di un altro terremoto minore e più localizzato, ma poi ignorato o non completato a causa della presa di potere di Domenico dell’Acqua e delle tensioni generali tra i rustici e il monastero, di cui ne chiesero nuovamente l’adempimento nel processo. È possibile anche pensare che la richiesta di ricostruzione sia a titolo punitivo, in cui si chiede di riparare la semplice degradazione causata dal tempo alle strutture difensive, e non di ricostruire interamente gli edifici. A causa delle precedenti motivazioni, la ricostruzione più probabile degli eventi è la seguente: nel 1179 i Cesanesi e Binzaghesi ricevono la prima ingiunzione a seguito di dispute di distretto; continuano a disubbidire agli ordini e all’autorità del monastero, fino a quando nel 1224 le benedettine cedono a livello i territori di Cesano e Binzago, presumibilmente a causa della destabilizzazione avvenuta a seguito delle azioni militari nel nord Italia di Federico Barbarossa. Questo tentativo fu inefficace, perché nel 1229 un tale Domenico dell’Acqua prese potere in maniera prevalentemente pacifica, o per lo meno non distruttiva, venendo deposto e detenuto poco dopo da un piccolo drappello di soldati inviato dalle benedettine. A Domenico fu ordinato di rispettare il distretto della Badessa, oltre che varie altre consuetudini. Come penitenza fu costretto a dover venire di fronte alla Badessa se chiamato, a rispettare i loro ordini pertinenti al territorio di Cesano, così come quello di Milano e a scacciare tutti gli animali eccetto quelli strettamente necessari dal castello. Quest’ultimo punto probabilmente causato dal fatto che in circostanze normali introdurre animali nel castello non era obbligatorio, e anzi comportava il pagamento di un tributo per averne il permesso. Inoltre, gli fu richiesto

di riparare l’infrastruttura difensiva, presumibilmente per motivi punitivi o per riparare danni causati dal terremoto del 1222. In conclusione è improbabile che la rivolta cesanese sia stata tanto distruttiva quanto suggerito da fonti recenti, a partire da Cesare Cantù, non essendoci praticamente menzione di violenza o demolizioni in fonti più vicine ai fatti.