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POESIA HAIKU SULL’AMORE

FILIPPO CONTE, 3cc

Visto l’avvicinarsi della giornata dell’amore ho deciso di fare anche una breve prefazione. Amate voi stessi, amate chi vi ha cresciuto, amate i vostri amici e amate la persona che vi ha fatto scoprire cosa significa amare. Amare per combattere, amare per proteggere, amare per far sentire felice. Chiedetevi se mai avete amato, se amate e se amerete, chiedetevi chi amate e chi vi ama. Io so chi amo, perché la ritengo bella, perché l’ho scoperta, perché è unica, perché e la luna, la mia luna, perché ha sofferto, perché ha dei sogni e perché è lei. Io so chi amo, e voi?

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Alla tua presenza io ardo fortemente.

Il cuore brucia

Voce soave

Idilliaca melodia.

Il cuore brucia

Occhi cerulei

Ghiacciano il mio sguardo.

Il cuore brucia

Il tuo sorriso

Per me è come luce.

Il cuore brucia

La tua tristezza

È come la tempesta.

Il cuore brucia

9 Novembre 2021

GIOVANNI CHINNICI, 5H

Soffici come l’aria del mattino, le sue mani avvolgevano il mio viso: le dita lunghe e gelide scivolavano come artigli sulle mie palpebre chiuse. Mentre il sangue colava timido sulle guance verso la bocca, sentivo un piacere profondo, nascosto e nutrito dall’orgoglio. Non era dolore. Non era libido. Era fetale desiderio di attenzione. Come un feto scalciavo e mi agitavo dentro di me cercando di trattenere per sempre quegli attimi: attimi di crudeltà, attimi di cura, attimi in cui il mondo si arresta e Dio dimentica tutte le altre otto miliardi di inutili bambole per accudirne e pettinarne solo una, la sua preferita, almeno per quegli attimi: io.

Quale piacere può essere maggiore? Quale piacere può superare la consapevolezza di essere l’unico tra tutti a importare qualcosa, a essere qualcosa, a essere tutto?

Sentii il pungente sapore metallico del sangue sul labbro superiore. I due rivoli che mi segnavano il volto si erano lì riuniti e percorrevano ora lentamente tutto il letto tra le labbra sino a raccogliersi alle commissure, solo per un secondo, forse tristi di doversi di nuovo separare: quindi ancora in due rivoli verso la punta del mento. Quando la prima goccia si staccò e cadde, fu come se un peso che mi aveva tormentato per anni si fosse finalmente sganciato, strappato dalla Terra, fu come un nodo ai capelli districato dal pettine. Le gocce continuarono a cadere per l’eternità. Quando il tempo non scorre l’eternità passa in fretta: mi trovai senza neanche rendermene conto immerso fino al collo nei miei vermigli tormenti. Tutto ciò che reprimevo ingabbiato tra le costole, ora mi annegava. Non avevo paura però. Finché le sue dita, delicate e penetranti come aghi sotto la pelle, toccavano il mio viso io ero al sicuro. Il livello del sangue aumentava, ora fino al mento, ora fino alla bocca, ma pensando questo continuavo a sognare, continuavo a respirare, continuavo a vivere senza morte: ero tutto, ero necessario, ero il centro del mio universo egocentrico: non sarei mai potuto morire. Poi mi abbandonarono.

Sommerso dalla mia marea, invisibile sotto le mie lacrime, avevo perso il mio spazio. Provavo a respirare, provavo ad agitarmi, provavo a fuggire, ma catturato dalle fauci dell’asfissia venivo inghiottito, sempre più nel profondo ad ogni supplica. Così era finita. Immaginavo ci avremmo messo di più. Fuori dal finestrino nebbia.