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IL CARDELLINO, DONNA TARTT
GIORGIA TIRALONGO, 4bb
“Le cose sarebbero andate per un verso migliore se lei fosse vissuta. Ma è morta quand’ero bambino; e benché la colpa di tutto ciò che è accaduto in seguito sia solo mia, perdere lei fu come perdere l’unico punto di riferimento in grado di guidarmi verso un luogo più felice, verso un’esistenza più ricca di legami e più congeniale”. Così si apre il secondo capitolo di questo mattone di più di ottocento pagine, che racconta le avventure della vita di Theodore Decker, un ragazzino newyorkese che a soli tredici anni perde la madre in un tragico incidente, un’esplosione al Metropolitan Museum.
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A partire da questo particolare avvenimento, la vita di Theo non sarà più la stessa: dalle piovose e affollate strade di New York, fino a quelle polverose e desolate di Las Vegas, il ragazzo dovrà trovare un modo per andare avanti e fare i conti con una vita che sembra avergli tolto ormai tutto. E sembra proprio che l’unico appiglio che riuscirà a trovare per rimanere a galla sia un quadro, il Cardellino dell’olandese Carel Fabritius, una delle opere che in quel fatidico giorno, il 10 aprile, si trovava al museo per una mostra sui maestri fiamminghi.
“Prendilo”, gli aveva sussurrato Blackwell, uno strambo anziano in fin di vita, tra la polvere e il sangue.
Curioso, se si pensa che proprio quel dipinto è stato uno dei pochi a salvarsi nell’incendio che distrusse quasi totalmente l’opera di Fabritius. Il destino di questo tenero uccellino non si compirà tra le fiamme, la sua vita è ancora giovane.
Tutta la storia di Theo è un perfetto intreccio di amore, amicizia, famiglia, rielaborazione del lutto e racconta di come il ragazzo si rapporta con essi. L’indagine interiore del personaggio è ben costruita, a tratti come un flusso di coscienza, e permette al lettore di comprendere la logica delle azioni del protagonista, sia che vengano condivise o meno. Theo non trascorre un’adolescenza normale a Las Vegas: senza l’affetto paterno che compensi e si sostituisca in parte a quello materno, si abbandona all’abuso di sostanze stupefacenti e alcool, che lo portano ad un totale disinteresse per la scuola o per lo studio. In più, la presenza del quadro non aiuta ad attutire le pre- occupazioni, amplificate dalle numerose notizie di quadri scomparsi o rubati in seguito all’esplosione.
“E’ difficile spiegare il panico che mi sopraffaceva in quei momenti. Quelle giornate si spezzavano in modo così repentino, un senso di emorragia quasi, da farmi tornare in mente l’appartamento di New York quando tutte le nostre cose erano state messe nelle scatole e portate via: inconsistenza e fluidità, niente a cui aggrapparsi”.
L’unico elemento che Theo sembra ricordare con piacere di questo periodo è la sua amicizia con Boris, un ragazzino che vive nelle sue stesse condizioni e che lo introduce “al mondo degli adulti”; il protagonista lo considererà sempre come uno dei pochi veri amici della sua vita.
“Prima di Boris, avevo sopportato la solitudine in modo abbastanza stoico, senza rendermi conto di quanto fosse assoluta. E credo che se uno solo di noi due avesse avuto una famiglia quasi normale, se avessimo dovuto obbedire a orari e regole e fare i compiti, se fossimo stati oggetto di controllo da parte degli adulti, non saremmo diventati così inseparabili”.
Comunque, Boris ritornerà anche alla fine della storia con un ruolo molto importante, ma non aggiungo altro perché potrebbe essere uno spoiler.
E poi c’è Pippa, la nipote del defunto signor Blackwell, di cui Theo si innamora perdutamente fin dal primo momento in cui la vede al museo. A causa dell’incidente, la ragazza riporterà dei gravi traumi sia fisici sia, come il protagonista, psicologici, particolarità che li legherà indissolubilmente l’uno all’altra, anche quando lei si fidanza con un inglese, anche quando lui è ormai promesso sposo. Capelli rosso fiammante, occhi color miele, troppo magra, troppo bassa, troppo stramba. Ma come guardando un semplice cardellino se ne comprende la bellezza del messaggio intrinseco, così Theo ha capito l’essenza di Pippa fin dall’inizio, e non l’ha mai dimenticata. “Tutto inutile. Più che inutile, umiliante. Quando veniva a trovarci lasciavo sempre socchiusa la porta della mia stanza, un invito neppure troppo velato. Persino l’adorabile strascicare dei suoi piedi (come la Sirenetta, troppo fragile per camminare sulla terra) mi faceva impazzire. Lei era il filo dorato che intesseva ogni cosa, una lente che ingigantiva la bellezza a tal punto che il mondo intero appariva trasfigurato attraverso di lei, e solo lei”. Tutti i personaggi incontrati da Theo durante il breve tratto di vita catturato dal romanzo aggiungono un pezzo del puzzle finale che lo compone e che lo comporrà per tutta la sua vita. In particolare, sono Hobie e la signora Barbour (oltre che la madre) ad aiutarlo non solo nel suo percorso di crescita, ma anche nel trasformare il suo interesse per l’arte in una vera e propria passione. Con Hobie, il socio intagliatore di Blackwell nella loro impresa di antiquari, si immerge da capo a piedi nel suo laboratorio, tra legno, scalpello e migliaia di oggetti vecchi e apparentemente senza futuro, che Hobie riesce invece a riportare in vita tanto da farli sembrare degli originali.
“
Eppure, all’improvviso, eccola una via d’uscita, e nel posto più impensabile: il laboratorio di Hobie (…). Il negozio al piano di sopra restava al buio, con le serrande abbassate, ma nella bottega-dietro-la-bottega risuonava il ticchettio degli orologi a pendolo, il mogano brillava, la luce si spandeva in una pozza dorata sulla superficie dei tavoli, la vita nel serraglio del sottoscala andava avanti”.
E infine la signora Barbour, la madre di un compagno di classe che aveva accettato di tenere Theo in affido prima che il padre si facesse vivo: una ricca signora di origini olandesi che ama circondarsi di quadri e bei vasi antichi ed elargire generose somme di denaro a società di beneficenza. Con il tempo la donna arriverà a considerare Theo quasi come un figlio, forse vedendo in lui la passione per l’arte che nessuno dei suoi figli biologici ha ereditato, quella capacità “delle persone che hanno amato le cose belle, che se ne sono prese cura, e le hanno strappate al fuoco, e le hanno cercate quand’erano disperse, e hanno provato a preservarle e a salvarle intanto che, letteralmente, se le passavano di mano in mano, chiamando dalle rovine del tempo la successiva generazione di amanti, e quella dopo ancora”.
Anche se le due dimensioni potrebbero intimorirvi inizialmente, mi sento di consigliare in generale il libro, sia che stiate affrontando un lutto, o che siate innamorati, o abbiate anche solo un vero amico, o vogliate comprendere quanto l’arte sia importante per la nostra vita.