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CULTURA DILALIA. NELL’ANIMO.

PIETRO CATTANEO, 4bb

Quotidianità. Andavo pazzo, per la mia quotidianità. Correre, fare, assorbire quanto più possibile – “Scusi? Non si potrebbe avere una dozzina d’ore in più, nelle 24 di una giornata?”. C’è del bello in un animo trepidante d’entusiasmo. Avevo perso fin troppo, durante i lunghi mesi di lockdown: non era il caso di recuperare? E allora via di nuovo: correre, fare, assorbire quanto più possibile. Cercare la bellezza per me, per gli altri un po’ di bene. Indaffararsi alla follia, passare quanto più tempo possibile fuori casa, recuperare lo studio di notte, se possibile. Finivo spesso accasciato sui banchi del Majo, la mattina, con il prof. Mori che, qualche volta, mi benevolmente lanciava contro pennarelli, per svegliarmi dal mio limbo in dormiveglia.

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Ne volevo di più: non mi bastava. Partire, cercare altrove dei nuovi orizzonti. Cogliere un’occasione, che mai più si sarebbe ripresentata allo stesso modo, per la banalissima ragione che mai più avrei avuto 17 anni in vita mia.

S’aggiunga ora a tutto questo una media in inglese piuttosto migliorabile – mai mi perdonerà la prof. Sanvito –, e non sarà troppo arduo capire come sono fini- to, lo scorso 27 agosto, su un volo senza scalo per l’Irlanda. Destinazione? An Cóbh, contea di Cork.

L’ho presa decisamente un po’ larga, ma credo abbiate capito lo stesso: questa è la testimonianza di un (ex?) Exchange Student, la cronaca di un quadrimestre di studi trascorso all’altro capo d’Europa. Di certo, troverete centinaia di storie così alla prima ricerca su Google, entusiaste o ammonitorie che siano.

Di certo, non mi leggerete – né vi scriverò io – con la pretesa di una nuova prospettiva sul periodo di studi all’estero. Se cercate qualcuno che vi convinca a partire, visitate pure il website della prima agenzia che l’algoritmo vi proporrà: Trinity, WEP, YouAbroad… gli spunti non vi mancheranno sicuro.

C’è di certo solo una cosa che potrò offrirvi: una piccola finestra sui miei mesi tra agosto e dicembre, un timido spioncino che, con le sfumature del caso, vi presenterà quello che per me – e per me soltanto – le parole “anno all’estero” riecheggeranno per sempre.

Mi si schiudeva quel 27 agosto, insieme alle porte del terminal, un mondo nuovo: nuove forme collinari, nuovi colori piovosi, nuovi volti arrossati, nuovi odori legnosi e nuovi accenti – soprattutto per le prime ore – completamente incomprensibili.

Arrivavo a Cobh, un paesino di 12000 anime – di cui almeno 200 sono studenti internazionali –, casette colorate, strade ripide e sinuose, duri venti oceanici, famiglie povere, marinai e campagne. Ma è anche il maestoso santuario di una delle baie naturali più grandi d’Europa, il sommesso memoriale dell’emigrazione irlandese, l’ultima tappa della traversata del Titanic, il raccordo di tantissime storie di mare.

E ancora: la tela delle albe e dei tramonti più belli che abbia mai visto colare tra le nuvole, il teatro delle intemperie più indecise ed incoerenti che mai abbia conosciuto, la culla dell’incostante scrosciar di maree che m’è stato da ninnananna per lunghe notti.

La vita mi si rivelava completamente diversa che qui.

Si parte dalla routine: scuola dalle 9:00 alle 16:00, un unico pasto alle 18:00, nanna alle 22:00, un weekend di due giorni, ed ecco che si ricomincia. Tra le 20:00 e le 8:00 di mattina, le strade sono deserte, più o meno quanto da noi in piena notte. La scuola gode di un’impostazione completamente diversa: le superiori sono strutturate su sei anni, che spaziano dalla II media alla IV superiore nostre; il quarto anno, chiamato TY (Transition Year), è facoltativo, privo di valutazioni ed improntato all’orientamento del ragazzo. Si concretizza in decine di attività ludico-sportive e in laboratori da College americano.

Durante una giornata, secondo il modello anglofono, ci sono nove lezioni da quaranta minuti ciascuna, e ogni alunno segue i propri corsi, spostandosi d’aula in aula. Mi duole riferire che l’educazione s’è rivelata per me ben più scadente di quella italiana: ho avuto l’impressione che l’80% delle lezioni siano state in fin dei conti inutili, superflue.

I programmi del mio anno corrispondono bene o male a quelli fatti nei primi mesi del biennio (lo scarso stimolo intellettuale ha degli effetti evidenti sui nostri coetanei irlandesi), i compiti a casa non esistono e le regole scolastiche sembrano create per un dodicenne anziché per ragazzi quasi maggiorenni; per non parlare dell’assenteismo tra gli insegnanti, che ci lasciavano una media di un paio d’ore buche al giorno.

Inoltre, nell’ultimo biennio (il Senior Cycle) non ci sono test, e tutto è improntato a garantire un buon punteggio nel loro esame di maturità (il Leaving Cert.), con un approccio assurdo e completamente performativo. Un esempio? Il prof di Business: “Guys, in this page you should study the whole chart with the definitions, but in the Leaving Cert they’ve never asked the students more than three lines out of six, so you can just study the three you prefer”.

Purtroppo, la scuola è stata – insieme al cibo – l’unica esperienza realmente negativa.

Tante sono le differenze più piccole che mi hanno colpito, come l’assenza di attività extrascolastiche che non fossero sportive; il fatto che tutti – anche i ragazzini – fumassero sigarette elettroniche; la scoperta che Instagram e WhatsApp fossero lì ritenute cosa da vecchi, interamente sostituiti da Snapchat; accorgersi che, al contrario che in Italia, tutti i negozianti danno per scontato che li si paghi con carta, e che si stupiscano nel vedere i contanti; trovarsi davanti a prezzi nordeuropei: un minimo di 3€ per un caffè, di 5€ per un biglietto del bus giornaliero, di 12€ per una margherita!

Divertente è stato anche scoprirsi veri cliché, stereotipi di sé stessi: rendersi conto di come solo noi Italiani sappiamo il significato dei gesti anche più banali, di come soltanto noi abbiamo l’esigenza di commentare la qualità di un pasto dopo averlo consumato, di come noi soli sappiamo la differenza tra prosciutto cotto e prosciutto crudo!

Ed ironico è stato sperimentare sulla mia pelle come sia vero che quanto più un Italiano è scontento del proprio Paese in patria, tanto più sarà campanilista all’estero; così come è stato ironico trovare quasi più differenze culturali tra me, Veneti e Napoletani, che con Irlandesi ed Europei del caso.

Consapevole della capacità d’adattamento che avrei dovuto provare a me stesso nei miei 4 mesi di programma all’estero, nei mesi precedenti alla partenza credevo si trattasse di un sacrificio valido, al solo scopo di imparare bene la lingua. Tutte cazzate – si può chiedere scusa per un francesismo, mentre si parla della lingua inglese?

Mi spiegherò meglio: sono stati sacrifici più che validi, e, benché di gran lunga maggiori di quanto preventivato, più facili del previsto da sopportare. Soltanto, nulla di quello che ho vissuto ha poi avuto come primo trofeo la lingua: non che ora non parli un inglese ben più fluente di prima – quantomeno, non sembro super Mario nel comunicare –, ma le ricompense tratte dall’Irlanda sono state ben più di queste. Anzi, mi chiedo se mai avrei potuto esser soddisfatto, qualora la mia conquista principale fosse stata una pur ottima L2.

Infatti, durante la mia permanenza su suolo irlandese ho esperito molto più di quanto, in un quadrimestre scolastico normale, abbia mai fatto. Ho arrampica- to, surfato, nuotato nell’oceano di dicembre, partecipato a tornei di scacchi. Ho visitato musei, scogliere, navi fantasma, cimiteri abbandonati, spiagge interminabili. Ho esplorato Cork, Dublino, Galway, Kilkenny, Killarney. Ho organizzato falò, gite, trasferte al cinema o a concerti. Ho conosciuto Francesi, Belgi, Tedeschi, Ucraini, Messicani, Spagnoli, Polacchi, Croati.

E soprattutto, ho imparato qualcosa da ciascun posto, ciascuna giornata, ciascuna persona.

Difatti, sono state le persone a riempire di significato i miei mesi autunnali: legando molto con gli altri Exchange Students, ho scoperto prospettive nuove e nuovi approcci al mondo, sistemi diversi con assiomi differenti, nessuno dei quali fallimentare.

Ho incontrato persone con i passati più disparati, tutte accomunate da carburanti che abbiamo scoperto l’uno nell’altro: speranza e determinazione. Da Juli, tedesca, ho imparato la disponibilità; da Maxime, belga, l’altruismo; da Louis, francese, una genuina modestia; da Roman, ucraino, la positività; da Marta e Petra, compatriote, un vicendevole supporto.

La più bella scoperta, però, l’ho trovata in Frederic, da Francoforte. Concedetemi una divagazione – un paragrafino soltanto, promesso.

Tedeschissimo, classe 2006, Frederic Lefebvre è stato mio host brother per gli interi quattro mesi di permanenza irlandese: abbiamo condiviso la famiglia ospitante, la camera, i pasti, le gite, la palestra, gli interessi senza sosta; abbiamo scoperto un sentimento di reciproca fratellanza che prima avrei potuto difficilmente immaginare.

Di sicuro, il mio Bruder non difettava di talenti: “biondo-occhi-azzurri”, atletico e in forma, sveglio e intelligente, campione di socialità, eccelle in ogni cosa in cui s’impieghi, dagli scacchi alla pallavolo, dal calcio alla matematica. Garantisco non essere la prima volta che il suo nome viene stampato su carta di giornale. Tuttavia, anche se queste cose hanno assai contribuito a generare in me un infinito senso di stima nei suoi confronti – tanto da insegnare ad un narcisista quale il sottoscritto qualcosa di molto simile a quella che si fa chiamare umiltà –, non sono state queste le qualità che mi rimarranno impresse negli anni a venire.

Scrivendone in altra sede, già dopo poche settimane mi è invece capitato di dirne:

È il mio Peter Pan tedesco, talvolta un po’ innocente o sprovveduto, ma con una determinazione, una competenza e un’energia incredibili a compensare. Ha fatto della speranza e della risolutezza la propria vita, e lo si vede dal fatto che eccella in tutto quello che fa con costanza. Dopo tre settimane di scuola, è diventato membro del consiglio degli studenti, eletto dalla maggioranza degli Irlandesi, grazie a un programma per devolvere ad un’associazione per la cura dei senzatetto gli avanzi della mensa. È molto buono”.

Questo mi è stato insegnato dall’Irlanda: ho un futuro che è tutto da scrivere. Partire è stato un primo passo, ed è a determinazione, iniziativa e carità che si rimettono i prossimi.

Mi è stato insegnato che sognare il Bene è possibile, e che risoluzione ed energia si possono impiegare nel proprio futuro anche senza cedere ad un becero American Dream arci-liberalista; che tutto questo parte dalle piccole cose, dalle scelte che compio ogni giorno.

Forse risulterà retorico, scritto in un giornalino scolastico, ma mi si permetta di dire, a patto che lo si legga in senso più ampio, che ogni passo compiuto per una mia formazione oggi sarà una soddisfazione l’indomani.

Solo pochi giorni fa, il Crucco di cui sopra mi scriveva: “I’ve started a challenge with some of my friends in Germany, where we’ve given us some rules: 1 hour a day of sport, 20 minutes of meditation, 20 minutes of reading of an educational book, 1 hour of study of self-improvement notions. And 8:30 of sleep have to fit in all that”.

Quasi utopico, non è vero? Eppure, ora so che si può fare, anche al di fuori di uno spot promozionale di un life coach o simili boiate.

Ed eccomi di nuovo qui, di nuovo nella mia vita al Majorana, nella mia routine italiana.

A correre, fare, assorbire quanto più possibile.

Va confessato: nei grandi impegni, non molto è cambiato rispetto all’anno precedente. Non è la mia agenda ad aver percepito la scossa sismica.

Trovatosi rivoluzionato è invece l’approccio alla quotidianità. Ancora vado pazzo per la mia quotidianità, sia ben chiaro.

Ora però c’è qualcosa di più ad arricchirla: la consapevolezza di un altro mondo cui attingere, di nuovi valori, di ispirazioni, determinazioni, energie e bontà distanti, diverse, ma altrettanto vere. A partire dal piccolo, verso le cose più grandi.

Mentre ero lassù, ho esperito la dilalia nel mio parlare; persiste, questa dilalia. Nell’animo.

C’è del bello in un animo trepidante d’entusiasmo. What about having two?

P.S.: se per caso tutto questo pippone mal strutturato non fosse stato abbastanza a fracassarti le scatole, un posto carino dove potrai approfondire la mia permanenza all’estero è il blog – ahimè, ancora mutilo dell’ultimo post – rintracciabile al link https://pietroirlanda.blogspot.com/. Buona lettura!