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RUBRICA - DETTO TRA NOI... NON SCAGLIATE MAI QUEL SASSO

NON SCAGLIATE MAI QUEL SASSO DETTO TRA NOI...

di Sergio Grifoni

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Al giorno d’oggi, soprattutto da parte di persone mature, diventa quasi un luogo comune fare confronti fra presente e passato, soprattutto per ciò che concerne la perdita dei valori, sugli stili di vita, sui comportamenti sociali, sulla concretezza dei pensieri e sulla consequenzialità delle azioni. “Ai miei tempi non si faceva” “Si stava meglio quando si stava peggio” “Ah, se potessi tornare indietro”. E così via, con frasi trite e ripetitive, legate di più al conformismo popolare, piuttosto che ad una vera consapevolezza del proprio essere. Questo perchè, ad ogni tempo, c’è sempre stato qualcuno che sicuramente ha detto: ai miei tempi! Non può essere quindi un assioma il dover cercare sempre nel passato le cose migliori. Probabilmente non è tanto l’avvenimento in sé per sé che varia, ma gli occhi e la mente che lo analizzano e lo giudicano. Faccio un esempio prendendo a prestito il comparto più frivolo e socialmente meno impegnato che possa esistere: il mondo dello spettacolo. Io ho vissuto la mia adolescenza negli anni a cavallo fra il sessanta ed il settanta, con Gianni Morandi, Rita Pavone, i figli dei fiori, i tanti Complessi beat, le loro canzoni melodiose, orecchiabili e agitate, nonché le svisate di quelle prime chitarre elettriche. Non mi perdevo un film musicarello o una puntata di Gianburrasca, la Nonna del Corsaro Nero o David Cooperfield. I miei genitori, abituati agli acuti di Claudio Villa, alle note strappacuore di Luciano Tajoli, ai papaveri e papere di Nilla Pizzi, al mandolino ed alla fisarmonica, mostravano malcelata diffidenza, verso questi cantanti dai capelli lunghi e dalle voci piatte e spesso nasali, e rimpiangevano i film del lacrimoso Amedeo Nazzari e le freddure di Mario Riva col suo Campanile Sera. Quello che era meraviglioso per mio padre, non lo era per me; quello che era meraviglioso per me, non lo è per i giovani d’oggi. È colpa dei personaggi? No, è frutto solo delle emozioni e delle interiori sensazioni che lo specifico contesto fa provare o meno, e che condizionano il modo di pensare delle persone. Il mondo che ci circonda uniforma e subordina i giudizi, i propositi, le azioni. Stessa considerazione può essere trasferita ad un altro luogo comune, che riguarda principalmente il giudizio sul degrado della società e sulla frequente assenza di condivisione dei valori universali. Tutti fattori che conducono alla mancanza di rispetto sociale, alla corruzione, al disconoscimento delle autoritá preposte, all’anarchico modo di agire. Molti sono portati a pensare che tali fenomeni siano presenti solo nel nostro vissuto contemporaneo, e siano una degenerazione del sistema democratico, dove le maglie della rete del civismo si allargano facilmente. Ho parlato di democrazia, perchè con la dittatura non c’è possibilità di giudizio comparativo.

Perchè a volte si agisce e ci si comporta in maniera esageratamente scomposta? A tal proposito, mi impressionò favorevolmente la lettura del risultato di un esperimento di psicologia sociale, che molti conoscono come la “Teoria delle finestre rotte”. A tentarlo fu il professor Philip Zimbardo, docente dell’Università di Stanford (USA). Siamo alla fine degli anni sessanta. Il docente fece parcheggiare due auto identiche in due strade diverse. Una nel quartiere malfamato del Bronx, zona poco raccomandabile di New York; l’altra a Palo Alto, zona residenziale della California. Due identiche auto abbandonate in due quartieri con popolazioni di opposto tenore di vita. L’auto parcheggiata nel Bronx, in quattro e quattr’otto, fu smontata, pezzo per pezzo, e non certo a cura di autorizzati meccanici. Rimase parcheggiata solo la carcassa. L’altra, invece, restò intatta, nemmeno un graffio. Prevedibile! Cosa fece allora il ricercatore? Ruppe un vetro della vettura parcheggiata fra la gente borghese di Polo Alto. E fu così che, alla povera automobile, toccó la stessa sorte della sua consorella del Bronx di New York, rimanendo priva di ogni possibile accessorio. Era bastato un vetro rotto ad innescare un processo malandrino in un quartiere tranquillo per antanomasia. Quale la deduzione? Un vetro rotto in un’auto abbandonata trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse, di sciatteria, di non curanza. Tutte sensazioni di rottura dei codici di convivenza, di assenza di norme e di regole, di un senso di inutilità. Si innesca una sorta di incontrollabile moltiplicatore esponenziale dell’atto di violenza. Se si rompe un vetro in una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità, nell’indifferenza generale, presta il fianco a segni di deterioramento, senza correre subito ai ripari, inconsapevolmente getta un seme dal quale germoglierà disordine, violenza, criminalità. Partendo dal mancato rispetto di piccoli stili comportamentali: un parcheggio abusivo, un pezzo di carta o una cicca di sigaretta gettata in terra, il non rispettare la fila, e così via. Ogni piccolo difetto sociale, se non corretto subito, si amplificherà in maniera incontrollabile. Se il verde di una città non viene curato adeguatamente, ben presto le aiuole diventeranno sentieri, e questi sentieri, prima o poi, saranno solo percorsi da chi indossa scarpe incivili. L’incuria e il disordine accrescono molti mali sociali e contribuiscono a far degenerare l’ambiente. Come fra le mura domestiche. Se il degrado fa da padrone (stanze in disordine, vita irregolare, linguaggio scurrile, mancanza di rispetto, bugie) prima o poi tutto degenererà, anche e soprattutto nei rapporti interpersonali. Spesso accade che ognuno è portato a ritenere che siano sempre gli altri a rompere i vetri delle finestre della convivenza sociale, senza pensare che, ogni tanto, bisognerebbe guardarsi dentro e farsi un esame di coscienza. Detto fra noi: quale potrebbe essere il modo migliore per comprenderlo? Non lanciare mai quel primo sasso!

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