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TERRE RARE: IL PARADOSSO DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA
di Michela Viola
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Con “terre rare” ci si riferisce a un gruppo di diciassette elementi chimici reperibili in natura, il cui nome deriva non tanto dal fatto che siano difficilmente ottenibili, quanto piuttosto dal fatto che sia complicato trovarli in alte concentrazioni all’interno dello stesso giacimento. Le terre rare non si trovano mai in natura in forma “pura”, ma sono invece presenti all’interno di minerali, e quindi mescolate con altri elementi: è per questo motivo che il relativo processo di estrazione risulta complesso e costoso. Come afferma il geologo Andrea Moccia all’interno del suo libro “Un tesoro al piano Terra”, le terre rare possono trovarsi in due diverse tipologie di giacimenti: - i giacimenti primari, che contengono terre rare cristallizzatesi direttamente dal magma. Tra questi, il più importante è quello di Mountain Pass, negli USA; - i giacimenti secondari, in cui è un’alterazione del magma già solidificato a dare vita ai minerali in cui sono presenti le terre rare. In questo caso, il giacimento più famoso è quello di Bayan Obo, in Cina.
Il valore strategico delle terre rare
Ad oggi, le terre rare sono tra gli elementi più ricercati al mondo, questo per il ruolo strategico che esercitano nell’ambito della transizione ecologica ed energetica. Infatti, oltre a essere fondamentali per la produzione di oggetti hi tech, come televisori o telefoni, sono indispensabili anche per quanto riguarda macchine elettriche e ibride, turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, tutte componenti funzionali al raggiungimento dell’importante obiettivo di neutralità carbonica.
Le terre rare si trovano in abbondanza anche in Paesi come Stati Uniti, Vietnam, Brasile, Russia, Groenlandia; ciò nonostante, è la Cina a detenerne il monopolio indiscusso, con oltre il 90% della produzione mondiale.
Il monopolio cinese
Il Dragone esercita un potere assoluto sul mercato delle terre rare: uno dei principali giacimenti di questi minerali è quello di cui si parlava poco fa, Bayan Obo, locato nella Cina settentrionale (Mongolia interna). Questo sito di estrazione si estende per una lunghezza di diciotto chilometri ed è in grado di soddisfare il 50% della produzione di terre rare cinese. In realtà, fino agli anni Ottanta erano gli USA a detenere il primato nell’estrazione di terre rare. Il Dragone iniziò poi a saturarne il mercato, rivendendo i preziosi minerali a un prezzo talmente basso da surclassare così gli altri produttori. Questo è stato possibile grazie a considerevoli incentivi statali che hanno dato vita a enormi siti di estrazione, ma anche a numerose strutture di lavorazione di terre rare. Quest’ultime detengono infatti una notevole importanza, per separare le terre rare dagli altri minerali a cui sono legate. È chiara quindi la valenza strategica di una filiera produttiva così ben strutturata, che ha portato la Cina a essere competitiva sul mercato delle terre rare fino a ottenerne il monopolio.
Terre rare: il lato oscuro della transizione energetica
Un altro fattore che ha portato il Dragone a eccellere sul mercato delle terre rare riguarda le leggi meno stringenti in termini ambientali. Infatti, se da una parte possiamo affermare che non potrebbe esistere alcuna transizione ecologica senza terre rare, dall’altra la loro estrazione ha un notevole impatto ambientale: avviene con metodologie altamente inquinanti, che causano purtroppo ingenti danni alla biodiversità locale, inquinando suolo e risorse idriche, oltre ad avere conseguenze dannose sulla salute delle comunità locali. Per rendere l’idea, secondo l’Associazione cinese delle Terre Rare, per ogni tonnellata di materiale estratto vengono scartati tra i 9.600 e i 12.000 metri cubi di rifiuti sotto forma di gas, a loro volta contenenti polveri concentrate quali acido fluoridrico, anidride solforosa e acido solforico. Oltre a questo, si stima che vengano prodotti circa 75 metri cubi di acque reflue e una tonnellata di rifiuti radioattivi (Fonte: euroneews.com).
Quindi, se da una parte le terre rare sono fondamentali per la transizione energetica di cui tanto sentiamo parlare, dall’altra portano con sé metodi estrattivi altamente dannosi per l’ambiente e per la salute umana.
Oltre a questo, il mercato delle terre rare è strettamente legato a un altro grado di rischio, ossia il forte potere geopolitico esercitato dalla Cina. Il Dragone vanta infatti di un forte vantaggio competitivo in questo mercato: gli altri Paesi sono fortemente dipendenti da esso per quanto riguarda le forniture di terre rare. Per rafforzare il proprio monopolio, la Cina ha inoltre acquisito i diritti esclusivi di estrazione anche in Africa, in cambio dello sviluppo e della costruzione di infrastrutture in Kenya e nella Repubblica Democratica del Congo (Fonte: geopop.it).
Quanto successo con il gas russo ci ricorda però come sia potenzialmente pericoloso dipendere principalmente da un solo Paese per l’approvvigionamento di materiali strategici e indispensabili. È quindi essenziale riuscire a trovare delle soluzioni che permettano di attenuare l’attuale forte dipendenza dalla Cina per l’approvvigionamento di terre rare.
CONTROMISURE: IL RICICLO
Purtroppo, al momento le alternative all’estrazione di terre rare sono davvero poche. I rischi connessi al monopolio del Dragone in questo mercato strategico stanno spingendo Stati Uniti, Unione Europea e Giappone a trovare soluzioni che permettano di essere meno dipendenti dalla Cina, soluzioni che riguardano principalmente una diversificazione della catena di approvvigionamento, oltre che la ricerca e lo sviluppo di materiali che possano essere alternativi alle terre rare. Ma l’aspetto forse più importante riguarda il riciclo e il riutilizzo di questi preziosi materiali!
Con il riciclo il vantaggio sarebbe infatti duplice: da una parte si ridurrebbe notevolmente l’impatto ambientale legato all’approvvigionamento di terre rare, dall’altro si otterrebbero anche notevoli benefici di carattere geopolitico in termini di indipendenza da un solo principale fornitore.
Nell’ambito del fotovoltaico nello specifico, un’azienda esemplare in termini di riciclo di pannelli e quindi delle materie prime che ne stanno alla base è Veolia. Azienda francese, ha realizzato uno dei più grandi impianti di riciclo mai esistiti, dedicato interamente al recupero dei pannelli giunti a fine vita.
La strada da fare è ancora molta, ma quella del riuso e del riciclo rappresenta sicuramente una soluzione valida e importante per cercare di arginare il problema. Infatti, puntare sullo sviluppo di un’economia circolare connessa al mercato delle terre rare potrebbe incentivare e rendere più proficua la transizione energetica, smorzando di pari passo le tensioni geopolitiche ad essa connessa.
