Theriaké Luglio/Agosto 2023

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Theriaké

Anno VI n. 46 Luglio - Agosto 2023 Theriaké

RIVISTA BIMESTRALE

LA MATERNITÀ SURROGATA COME PROBLEMA ETICO E GIURIDICO di Aldo Rocco Vitale

BIATTIVITÀ DI PERILLA FRUTESCENS di Carmen Naccarato

PER UNA STORIA DEGLI ARTISTI DIMENTICATI

IV parte di Rodolfo Papa

LA CHIESA DEL CARMINE MAGGIORE A PALERMO di Ciro Lomonte

SICILIA E ANJOU

Stringere amicizia per comprendersi. E viceversa. di Ciro Lomonte

STORIA DEI VELENI

I parte di Giusi Sanci

[online]: ISSN 2724-0509

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10 Fitoterapia & Nutrizione

BIOATTIVITÀ DI PERILLA FRUTESCENS

14 Delle Arti

PER UNA STORIA DEGLI ARTISTI DIMENTICATI

IV parte

22 Cultura

LA CHIESA DEL CARMINE MAGGIORE A PALERMO

34 Diario di viaggio

SICILIA E ANJOU

Stringere amicizia per comprendersi. E viceversa.

44 Apotheca & Storia

STORIA DEI VELENI I parte

Responsabile della redazione e del progetto gra1ico: Ignazio Nocera

Redazione:

Valeria Ciotta, Elisa Drago, Christian Intorre, Francesco Montaperto, Carmen Naccarato, Giusi Sanci.

Contatti: theriakeonline@gmail.com

In copertina: Giacomo Serpotta, Cappella della Madonna del Carmine, particolare. Chiesa del Carmine Maggiore, Palermo. Foto di Domenico Di Vincenzo.

Questo numero è stato chiuso in redazione il 14-08-2023

In questo numero: Ciro Lomonte, Carmen Naccarato, Rodolfo Papa, Giusi Sanci, Aldo Rocco Vitale.

Collaboratori:

Pasquale Alba, Giuseppina Amato, Carmelo Baio, Francisco J. Ballesta, Vincenzo Balzani, Francesca Baratta, Renzo Belli, Irina Bembel, Paolo Berretta, Mariano Bizzarri, Maria Laura Bolognesi, Elisabetta Bolzan, Paolo Bongiorno, Samuela Boni, Giulia Bovassi, C. V. Giovanni Maria Bruno, Paola Brusa, Lorenzo Camarda, Fabio Caradonna, Carmen Carbone, Alberto Carrara LC, Letizia Cascio, Antonella Casiraghi, Matteo Collura, Alex Cremonesi, Salvatore Crisafulli, Fausto D'Alessandro, Gabriella Daporto, Gero De Marco, Nunzio Denora, Irene De Pellegrini, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù , Gaetano Di Lascio, Danila Di Majo, Claudio Distefano, Clelia Distefano, Vita Di Stefano, Domenico DiVincenzo, Carmela Fimognari, Luca Matteo Galliano, Fonso Genchi, Carla Gentile, Laura Gerli, Mario Giuffrida, Andrew Gould, Giulia Greco, Giuliano Guzzo, Ylenia Ingrasciotta, Maria Beatrice Iozzino, Valentina Isgrò , Pinella Laudani, Anastasia Valentina Liga, Vincenzo Lombino, Ciro Lomonte, Antonio Lopalco, A. Assunta Lopedota, Roberta Lupoli, Irene Luzio, Erika Mallarini, Diego Mammo Zagarella, Giuseppe Mannino, Bianca Martinengo, Massimo Martino, Paola Minghetti, Carmelo Montagna, Giovanni Noto, Roberta PaciYici, Roberta Palumbo, Rodolfo Papa, Marco Parente, Fabio Persano, Simona Pichini, Irene Pignata, Annalisa Pitino, Alessandro Pitruzzella, Valentina Pitruzzella, Renzo Puccetti, Carlo Ranaudo, Lorenzo Ravetto Enri, Salvatore Sciacca, Luigi Sciangula, Alfredo Silvano, Antonio Spennacchio, Carlo Squillario, Pierluigi Strippoli, Eleonora Testi, Gianluca TriYirò , Elisa Uliassi, Emidia Vagnoni, Elena Vecchioni, Fabio Venturella, Margherita Venturi, Fabrizio G. Verruso, Aldo Rocco Vitale, Diego Vitello.

MATERNITÀ SURROGATA COME PROBLEMA ETICO E GIURIDICO Sommario Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno VI n. 46 – Luglio – Agosto 2023 3
Biogiuridica LA

La maternità surrogata come problema etico e giuridico

Il mondo contemporaneo, diversamente dalle epoche ad esso precedenti, può essere inteso come il prodotto di almeno due distinte, ma cooperanti forze: il tecnicismo e l’economicismo.

Il primo è da intendersi come l’idea, sostanzialmente diffusa ad ogni livello della società , per cui tutto ciò che è tecnicamente possibile è e dev’essere altresı̀ lecito, prima in senso morale e poi anche in senso anche giuridico.

Il secondo è la tendenza sempre più pervasiva a sfruttare economicamente ogni aspetto dell’esistenza, sulla base dell’idea per cui non soltanto tutto ha

un prezzo, ma che su tutto si possa trovare un accordo economicamente soddisfacente per tutte le parti coinvolte prescindendo dalle eventuali ripercussioni etiche o da quelle giuridiche.

La sinergia tra queste due potenti forze produce almeno tre conseguenze, cioè la convinzione che non vi siano limiti, specialmente di carattere etico o giuridico, all’agire umano, il quale agire viene sempre più inteso come sostanzialmente onnipotente; lo sviluppo di prassi scientiKiche, biologiche e mediche improntate da un non indifferente livello di spregiudicatezza, soprattutto in riferimento alla mancanza di quelle cautele e di quelle accortezze che sarebbe ne-

Biogiuridica
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Figura 1. Joaquı́n Sorolla y Bastida, Madre, 1900, Museo Sorolla, Madrid. *Docente a contratto di Biogiuridica.

cessario usare per la salvaguardia della dignità umana; l’idea per la quale il diritto è un mero strumento dell’economia e della volontà dei singoli o dei gruppi più inKluenti, soprattutto in senso Kinanziario, cosı̀ che non possono essere riconosciuti limiti di ordine giuridico che non siano altresı̀ legalmente superabili sulla base dell’assunto, di carattere ideologico, per cui il diritto coincide esclusivamente con la norma legale, per cui è sempre sufKiciente mutare la norma per ottenere la giuridicità di un comportamento o di un’azione.

Senza dubbio il tutto non è una novità , essendosi già proposto come schema di base delle più note controversie di carattere bioetico Kino ad oggi poste all’attenzione della comunità scientiKica e dell’opinione pubblica.

Cosı̀, infatti, è accaduto per l’interruzione volontaria di gravidanza, come anche per la procreazione medicalmente assistita, e altre differenti problematiche quali il matrimonio egualitario, cioè quello tra persone del medesimo sesso, la legalizzazione delle sostanze stupefacenti, il Kine vita con i suoi risvolti in relazione alle pratiche dell’eutanasia e del suicidio medicalmente o farmacologicamente assistito.

Le predette dinamiche, quindi, non sono inedite all’interno del recente panorama bioetico.

Il tema della maternità surrogata (da ora MS), senza dubbio complesso e articolato, e impostosi lentamen-

te, ma inesorabilmente sulla scena dell’opinione pubblica con alcuni più o meno noti “casi-guida” che hanno tentato e tentano ancora di forzare la disciplina giuridica vigente in Italia [1], si inserisce in questo cosı̀ articolato scenario, meritando ancora d’essere oggetto di riKlessione.

Il problema

Il tema della MS è cosı̀ vasto da non poter essere ridotto ed esaurito, ovviamente, in un cosı̀ breve spazio all’interno del quale, tuttavia, si possono tracciare quanto meno i perimetri generali dei proKili più problematici di ordine etico e giuridico.

I problemi giuridici che trovano scaturigine nella pratica della MS sono molteplici, ma, tra tutti, ne emergono almeno tre che possono essere considerati come principali: la rivendicazione del diritto al Kiglio; la deKinizione dello status personale dei soggetti coinvolti nell’operazione; l’applicazione della disciplina dei contratti nell’ambito dei rapporti famigliari. Per ciò che riguarda il diritto al Kiglio, esso appresenta una delle ultime frontiere giuridiche affermatesi negli ultimi tre decenni e perfezionatesi, specialmente, con la diffusione della MS dapprima tra le coppie eterosessuali come prosecuzione del loro diritto all’autodeterminazione riproduttiva, e inKine tra le coppie omosessuali come ulteriore cristallizzarsi dei

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Figura 2. Nicola Matte, Surrogati, Performance, Milano 16 giugno 2023, tappa al Duomo.

cosiddetti “nuovi diritti”, secondo la formula coniata oramai tempo addietro da Stefano Rodotà [2]. In questo senso alcuni interrogativi si impongono inevitabilmente: è davvero giuridicamente concepibile un diritto al Kiglio? Contro chi potrebbe essere fatto valere? Contro il proprio partner? Contro la società ? Contro lo Stato? Se esiste un diritto al Kiglio in capo a chi ne rivendica la titolarità , esiste un corrispettivo dovere di fornire il Kiglio in capo agli altri consociati o alla collettività ?

La rivendicazione del diritto al Kiglio è giuridicamente non conKigurabile per almeno due ordini di ragione.

In primo luogo, perché non si può vantare un diritto “rivendicativo” nei confronti di altri esseri umani cosı̀ come lo si rivendica nei confronti delle altre cose esistenti quali, per esempio, i beni immobili.

Gli altri esseri umani, infatti, essendo persone sono al di fuori della sfera dell’ordinario dominio che l’ordinamento riconosce ai singoli in relazione ai loro beni e averi, sia in ragione dell’originaria libertà costitutivamente fondata sull’essere persona di ogni essere umano, sia in virtù della circostanza per cui l’essere persona conferisce all’essere umano quella dignità che lo rende indisponibile e inappropriabile sia da

parte degli altri quanto da parte di se stesso medesimo.

In secondo luogo, poiché il Kiglio, Kinanche quello nato secondo un piano volontario predisposto da una coppia, compiuto perKino con le più moderne metodiche di procreazione medicalmente assistita, è e rimane sempre un soggetto di diritto, cioè un titolare di autonoma sfera di dignità giuridica, e non diviene mai un oggetto di diritto come un qualunque bene compra-vendibile.

Il diritto al Kiglio, dunque, non può in alcun modo essere né conKigurato, né rivendicato (tanto dalle coppie eterosessuali quanto da quelle omosessuali) poiché contrasta direttamente con la natura giuridica del Kiglio medesimo.

Il secondo problema giuridico che principalmente emerge dalle pratiche di MS è quello relativo alla deKinizione dello status personale dei soggetti coinvolti. La MS, infatti, spesso presuppone il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita le quali, a loro volta, implicano spesso anche la donazione dei gameti da parte di soggetti terzi, scelti magari in virtù di alcune loro caratteristiche Kisiche, rispetto alla stessa coppia committente (venendosi peraltro ad integrare la pratica della fecondazione eterologa con quella della selezione eugenetica).

La situazione può essere talmente articolata da vedere coinvolti i seguenti numerosi soggetti: la coppia committente; la donna che dona o vende il proprio ovulo per la “produzione” dell’embrione; l’uomo che dona o vende il proprio seme per la “produzione” dell’embrione; la donna che conduce la gravidanza [3].

Anche in questo caso alcuni interrogativi appaiono inevitabili.

Come si stabilisce con precisione lo status giuridico personale di tutti questi soggetti? Chi è effettivamente il genitore del nascituro? Si dovrà seguire il cosiddetto criterio del favor legis, cioè quello per cui saranno la legge o il contratto a stabilire i ruoli genitoriali prescindendo da ogni legame biologico, affettivo ed esistenziale, o si dovrà seguire il cosiddetto criterio del favor veritatis per cui invece si terrà conto dei legami biologici ed esistenziali? Potranno tutti potenzialmente rivendicare lo status genitoriale? Potrebbe essere un giorno il Kiglio a stabilire chi e quanti genitori riconoscere? Cosa accade nel caso di separazione della coppia committente una volta avviato, ma non ancora concluso, l’iter previsto dai contratti di MS?

Le pratiche di MS, moltiplicando le Kigure genitoriali, in sostanza ne adespotizzano il ruolo, con un vulnus giuridico a molteplici livelli, poiché coinvolge lo status personale del singolo individuo, la famiglia come istituto giuridico di rilievo costituzionale, la certezza del diritto e dei rapporti tra consociati in genere e tra famigliari in particolare.

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Figura 3. Pino Pascali, La Gravida o Maternità, 1964, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Collezione Arte Contemporanea, MACRO.

Il terzo problema di ordine giuridico riguarda la applicabilità ai delicati rapporti umani di carattere famigliare, della disciplina dei contratti che per sua natura riguarda i rapporti patrimoniali e le cose. Ovviamente, anche in questo caso dei quesiti sono inevitabili.

Cosa accade, per esempio, se la coppia committente, tra la stipula del contratto di MS e il parto si separa e non vuole più il nascituro? Cosa accade, per esempio, se è la stessa gestante a ripensarci decidendo di trattenere il nascituro e di non cederlo alla coppia committente? Cosa accade se volesse decidere di abortire? E se, invece, la coppia committente, esperite le eventuali attività diagnostiche necessarie, scoprisse malformazioni nel feto e non volesse conseguire un “prodotto difettoso” intimando alla madre surrogante di interrompere la gravidanza? E se quest’ultima non volesse interrompere la gravidanza? Si tratterebbe di inadempimento contrattuale? Dovrebbe un risarcimento alla coppia committente?

Da questa pur sintetica ricognizione si colgono tutte le difKicoltà giuridiche della pratica della MS, la quale appare, dunque, essere più in contrasto con l’ordinamento, con le norme e con i principi generali del diritto che ad essi conforme e aderente.

Oltre i proKili strettamente giuridici, tuttavia, vi sono anche quelli etici.

Anche nella prospettiva etica le criticità non sono poche, ma soprattutto ne emergono almeno due, di cui una in relazione ai principi, e l’altra in relazione alle persone coinvolte.

La MS, infatti, si fonda sostanzialmente sull’adozione assoluta del principio utilitaristico, sostituendo con questo ogni dimensione deontologica della medicina, ogni tutela della dignità della persona, ogni applicabilità del principio di precauzione.

Non a caso, infatti, dietro la pratica della MS vi è una vera e propria Kiorente industria la quale fattura miliardi di dollari in tutto il mondo, mettendo a rischio la salute delle donne che vengono coinvolte in un simile processo produttivo [4].

In relazione alle persone coinvolte, la MS rende gli esseri umani non più che mere dispense biologiche, la donna un mero contenitore a pagamento, il Kiglio un prodotto commerciale da scambiare contro un prezzo, e, inKine, il medico un mero esecutore senza alcuna dimensione etico-scientiKica che lo induca ad agire oltre il mero guadagno, cioè in scienza e coscienza.

In questa direzione, infatti, non si può non constatare quanto, proprio attraverso la MS, l’umanità della donna venga irrimediabilmente strumentalizzata, specialmente per Kini economici e quindi violata nella sua dignità .

La dignità viene violata, infatti, ogni volta che si attribuisce un prezzo a qualcosa che, come la persona, per sua natura non può avere un prezzo, come ha insegnato un Kilosofo laico, protestante e illuminista del calibro di Immanuel Kant [5].

La MS, sia nella sua variante dell’utero in afKitto, sia nella sua variante gratuita dell’utero in comodato, costituisce sempre e comunque una lesione della dignità della donna poiché la rende strumento per la soddisfazione dei desideri riproduttivi di alcuni e delle velleità economiche di altri [6], con veri e propri scenari già in atto da incubo distopico [7].

Ecco perché nell’ordinamento italiano non può essere riconosciuta e legalizzata, proprio come ha riconosciuto, del resto, la stessa Corte di Cassazione allorquando con la sentenza n. 24001/2014 ha cosı̀ sancito: «Il ricorso all'utero in afKitto è contrario alla legge italiana per motivi di ordine pubblico e tale limite non è stato messo in discussione dalla sentenza 162/2014 della Corte costituzionale sulla fecondazione eterologa. La l. n. 40 del 2004 esclude infatti la possibilità di ricorrere alla maternità surrogata, che consiste nel portare a termine una gravidanza su committenza. L’unico modo per realizzare progetti di genitorialità priva di legami biologici con il minore è quindi quello dell'adozione».

Conclusioni

Alla luce di tutto quanto Kin qui considerato emerge con estrema chiarezza non solo la destrutturazione dei rapporti famigliari di cui la MS è sostanzialmente causa, ma emerge anche quanto diffusa sia la mentalità scettica nei confronti di una dimensione fondativa del diritto rimesso soltanto all’arbitrio dei singoli.

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Figura 4. Jenny Saville, The Mothers, 2011, olio su tela.

La MS si offre come banco di prova ideale per constatare se il diritto sia ancora riconosciuto per la sua natura o sia diventato soltanto la legittimazione formale dei desideri di alcuni e degli interessi economici di altri, mascherando il tutto dietro la erronea convinzione per cui al mutare dei tempi debbano altresı̀ mutare la natura e la funzione del diritto, privato di una sua verità costitutiva poiché ridotto a prassi, cioè rimesso ai marosi della politica, dell’economia e della storia, dimenticando la preziosa lezione di S. Agostino per cui «gli uomini credono che non vi sia giustizia, perché vedono che i costumi variano da gente a gente, mentre la giustizia dovrebbe essere immutabile. Ma essi non hanno compreso che il precetto: non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te, non è cambiato mai, è rimasto costante nel tempo e nello spazio» [8].

La situazione è peraltro aggravata da una concezione totalmente economicistica del diritto, per cui non è più l’interesse economico disciplinato dal diritto, ma il diritto disciplinato dall’interesse economico, potendosi cosı̀ accogliere, in conclusione, le riKlessioni di Michael Sandel il quale ha giustamente chiesto: «Vogliamo una società in cui ogni cosa è in vendita? Oppure ci sono certi beni morali e civici che i mercati non onorano e che i soldi non possono comprare?» [9].

Bibliografia, sitografia e note

1. Ulteriori approfondimenti più tecnici in Vitale A.R., Escursioni biogiuridiche in tema di maternità surrogata. Medicina e Morale, 2/2016, pp. 167-186.

2. «Si parla di un diritto di procreare o di un diritto al Kiglio; del diritto di nascere e del diritto di non nascere; del diritto di nascere sano e del diritto di avere una famiglia composta da due genitori di sesso diverso, del diritto all'unicità e del diritto ad un patrimonio genetico non manipolato. Andando avanti ci si imbatte nel diritto a conoscere la propria origine biologica e nel diritto all'integrità Kisica e psichica, nel diritto di sapere e non sapere; nel diritto alla salute e alla cura, e nel diritto alla malattia o nel diritto a non essere perfetto, con i quali si vuole sottolineare l'inaccettabilità di parametri di normalità , l'illegittimità di discriminazioni o di stigmatizzazione legate alle condizioni Kisiche o psichiche. InKine, diritti dei morenti, diritto di morire con dignità , diritto al suicidio assistito. Se, poi, si guarda alla fase precedente alla nascita, si trovano i diritti sui gameti, i diritti dell'embrione, i diritti del feto. E, dopo la morte, rimane aperta la questione dei diritti sul corpo del defunto, soprattutto nella prospettiva dell'espianto di organi»: Rodotà S., I nuovi diritti che hanno cambiato il mondo. La Repubblica, 26 ottobre 2004 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/10/26/ nuovi-diritti-che-hanno-cambiato-il.html).

3. A dire il vero può essere presente anche un soggetto in più , in quanto le recenti tecniche biologiche consentono di ricavare un ovulo tramite l’apporto di due donne; pratica proprio recentemente autorizzata dal Ministero della Salute britannico: http://www.parliament.uk/documents/ commons-vote-of K ice/ July-2014/22%20July%202014/21.HEALTH-Gov-REspMitrochondrial-donation.pdf

4. Si consideri, infatti, che il fruttuoso mercato della surrogazione nella sola India fattura ben 3 miliardi di dollari all’anno: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/26/ utero-in-afKitto-in-india-e-boom-clienti-anche-dallesteroma-madri-no-hanno-tutele/454192/

5. «Nel regno dei Kini tutto ha un prezzo o una dignità . Ciò che ha un prezzo può anche essere sostituito da qualcos’altro, equivalente; invece, ciò che non ha alcun prezzo, né quindi consente alcun equivalente, ha una dignità »: Immanuel Kant, Fondazione della metaDisica dei costumi. Bruno Mondadori, Milano, 1995, p. 183.

6. «L’uso sempre maggiore delle tecniche di fecondazione in vitro ha fatto crescere in molti Paesi una Kiorente attività commerciale attorno alle maternità surrogate»: Jeremy RiKkin J., Il secolo biotech. Il commercio genetico e l’inizio di una nuova era. Baldini&Castoldi, Milano, 1998, p. 63.

7. Si stanno creando delle vere e proprie “surrogacy farms”, cioè delle “fattorie della surrogazione” in cui le donne vengono “messe in batteria” in apposite cliniche che lucrano sui cospicui guadagni: http://www.tempi.it/maternitasurrogata-fattorie-umane-india

8. S. Agostino, De doctrina christiana, III, 14,22.

9. Sandel M., Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato. Feltrinelli, Milano, 2013, p. 202.

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Per info: accademiaurbanadellearti@gmail.com e su Whatsapp 348 7123383

Bioattività di

La Perilla frutescens è una pianta aromatica annuale appartenente alla famiglia delle Laminaceae conosciuta anche come egoma o shiso. Si tratta dell’unica specie appartenente al genere Perilla ed è molto coltivata in India, Vietnam, Corea, Cina e Giappone [1]. I Jiori sono piccoli, bianchi o rosei riuniti in racemi o pannocchie; dai semi si ricava un olio siccativo, olio di perilla, di color giallo chiaro, usato per preparare vernici a lacca, carte trasparenti e anche come olio alimentare [2]. L’ origine della Perilla è da ricondurre proprio ai Paesi dell’est asiatico (Cina, Giappone, Corea, Taiwan, Vietnam e India) dove viene da sempre utilizzata come fonte culinaria e nella medicina tradizionale,

difatti le foglie, i semi e gli steli di P. frutescens sono raccomandati dalla Farmacopea cinese come tre fonti di medicinali per varie applicazioni terapeutiche. Negli ultimi decenni per P. frutescens sono state condotte numerose indagini su diversi aspetti. Finora sono state identiJicate nella Perilla 271 molecole che includono: acidi fenolici, Jlavonoidi, oli essenziali, triterpeni, carotenoidi, Jitosteroli, acidi grassi, tocoferoli e policosanoli. Oltre agli estratti mediante i solventi, anche diversi singoli composti (acido rosmarinico, perillaldeide, luteolina, apigenina, acido tormentico e isoegomaketone) hanno attratto l’interesse dei ricercatori per le loro proprietà [3].

I costituenti bioattivi di P. frutescens hanno mostrato diverse proprietà di inibizione enzimatica, inclusi

Fitoterapia & Nutrizione
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*Farmacista Figura 1. Perilla frutescens. Foto dal web.

effetti antiialuronidasi e inibitori dell'aldoso-reduttasi, inibitori dell'α-glucosidasi, inibitori della xantina ossidasi e inibitori della tirosinasi. P. frutescens ha mostrato forti effetti antinJiammatori, antidepressivi, antispastici, antitumorali, antiossidanti, antimicrobici, insetticidi, neuroprotettivi ed epatoprotettivi. Quindi, i componenti attivi di P. frutescens utilizzati nel trattamento del diabete e delle complicanze diabetiche (retinopatia, neuropatia e nefropatia), prevenzione dell'iperuricemia nei pazienti con gotta, iperpigmentazione, condizioni allergiche, inJiammazione cutanea, allergia cutanea, dermatite atopica, parodontosi, alopecia androgenetica, inJiammazione gastrica, esofagite, carcinogenesi, disturbi cardiovascolari, morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson ed ischemia cerebrale [6]. Una recente revisione sistematica e metanalisi condotta da Gigi Adamo e colleghi ha analizzato gli effetti della P. 3lutescens (PF) sulla nefropatia da IgA. Tutti gli studi interventistici prospettici che hanno valutato l'effetto dell'estratto di PF rispetto al placebo su modelli di ratto di disturbi renali cronici sono stati valutati secondo le linee

guida internazionali. La ricerca ha prodotto 23 records univoci, di cui solo cinque sono stati inclusi nell'analisi. I risultati hanno mostrato che la somministrazione di estratti di PF ha portato a una riduzione statisticamente signiJicativa della proteinuria e dei livelli di PCNA (antigene nucleare di proliferazione cellulare) nei ratti che hanno ricevuto alte dosi dell'estratto, nonché dei livelli di PCNA e della sintesi del DNA nei ratti che ne hanno ricevuto basse dosi. Ciò dimostra che sono necessari ulteriori studi per determinare l'esatto effetto sulla nefropatia da IgA nei soggetti umani [7].

Uno studio di Zhong e colleghi del 2021 ha dimostrato che l'inalazione di estratto oleoso di P. Frutescens (PFEO) ha effetti sedativi e ipnotici, che riducono signiJicativamente l'attività autonoma dei topi con insonnia PCPA, aumentano il tasso di addormentamento, riducono la latenza del tempo di sonno e ne prolungano la durata; i risultati del test dell'immunosorbente legato all'enzima mostrano che il PFEO aumenta il contenuto di 5-HT e GABA nell'ipotalamo e nella corteccia cerebrale. I risultati hanno mostrato che l'inalazione di PFEO aumenta l'espressione di cellule GABAAα1 e GABAAα2 positive, aumenta il livello di proteine GABAAα1 e GABAAα2 e aumenta anche il livello di GABAAα1 mRNA e GABAAα2 mRNA nell'ipotalamo e nella corteccia cerebrale [8]. Un ulteriore versante sul quale alcuni scienziati si sono focalizzati riguarda l’effetto della P. frutescens sulla risposta di riparazione di DNA delle cellule HaCaT danneggiate dai raggi UVB. Com’è noto, i processi Jisiologici della pelle sono associati all'esposizione ai raggi UV e sono essenziali per il mantenimento e la rigenerazione della pelle. Uno studio di Lee e Park del 2021 ha approfondito proprio questo aspetto. In primo luogo, hanno esaminato in vivo gli effetti protettivi degli estratti di foglie di Perilla sulla pelle di topo danneggiata dai raggi UVB. In secondo luogo, hanno coltivato i calli utilizzando la tecnologia di coltura del tessuto vegetale dall'espianto di foglie di Perilla e successivamente, esaminato gli effetti degli estratti di foglie e calli di Perilla sui cheratinociti esposti ai raggi UVB. Gli estratti hanno mostrato attività antiossidanti sulle Cellule HaCaT trattate con foglia e callo; code di frammenti di DNA più piccole e una maggiore formazione di colonie dopo l'esposizione ai raggi UVB. Eg interessante notare che i cheratinociti trattati con gli estratti di foglie e calli di Perilla hanno mostrato un arresto del ciclo cellulare G1/S, ridotti livelli proteici di ciclina D1, Cyclin Dependent Kinase 6 (CDK6) e γH 2 AX e livelli aumentati di fosforilato checkpoint chinasi 1 (pCHK1) in seguito all'esposizione ai raggi UVB. Queste osservazioni suggeriscono che gli estratti di foglie e callo di Perilla sono candidati nutraceutici per la prevenzione dell'invecchiamento dei cheratinociti [9].

Fitoterapia & Nutrizione Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno VI n. 46 – Luglio – Agosto 2023
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Figura 3. Strutture degli acidi triterpenici identificati in P. frutescens, da Ahmed H.M., op. cit. [5]. Figura 2. Strutture di alcuni composti volatili identificati in P. frutescens, da Ahmed H.M., op. cit. [4].

Durante la pandemia mentre l'infezione da coronavirus 2 (SARS-CoV-2) della sindrome respiratoria acuta grave si presentava con sintomi lievi o assenti nella maggior parte dei casi, un numero signiJicativo di pazienti si ammalava gravemente. Remdesivir è stato approvato per il trattamento della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) in diversi Paesi, ma il suo uso come monoterapia non ha sostanzialmente ridotto i tassi di mortalità . Poiché gli agenti della medicina tradizionale cinese (MTC) sono stati utilizzati con successo per trattare le malattie pandemiche ed endemiche, è stato progettato uno studio da parte dell’equipe di Tang et al. per identiJicare nuovi agenti anti-SARS-CoV-2 dalla MTC. L'inibizione della fase di infezione virale è stata studiata attraverso un'analisi del tempo di aggiunta del farmaco, mentre è stata eseguita un'analisi di riduzione della placca per convalidare l'attività antivirale. I risultati ottenuti hanno dimostrato che l'estratto di foglie di perilla medicinale a base di erbe (PLE, numero di approvazione 022427 rilasciato dal Ministero della salute e del benessere, Taiwan) aveva un EC 50 di 0,12 ± 0,06 mg/ mL contro SARS-CoV-2 nelle cellule Vero E6 - con un indice di selettività di 40,65. Le concentrazioni di PLE non citotossiche erano in grado di bloccare l'RNA virale e la sintesi proteica. Inoltre, hanno ridotto signiJicativamente il rilascio di citochine indotto dal virus e i livelli di proteine/RNA virali nella linea di cellule epiteliali del polmone umano Calu-3. PLE ha inibito la replicazione virale inattivando il virione e ha mostrato un'efJicacia da additiva a sinergica contro SARS-CoV-2 se usato in combinazione con remdesivir [10].

Un altro ambito in cui recentemente gli scienziati hanno focalizzato la loro attenzione riguarda l’effetto dell’olio di Perilla (PO) sulle trombosi indotte da collagene ed epinefrina (CE) nei ratti. Uno studio di Lee et al dimostra che la somministrazione orale di PO aumenta il tempo di protrombina (PT) e attiva il tempo parziale di tromboplastina (aPTT) oltre che inibire l’espressione di molecole di adesione cellulare (CAMs) intracellulari CAM-1 (ICAM-1), vascolari CAM (VCAM-1), E-selectina e P-selectina nel tessuto aortico. Inoltre, l’utilizzo di PO ha mostrato una soppressione dell’occlusione polmonare indotta da CE nei topi. L’acido α-linolenico (ALA) è stato quantiJicato in 60,14 ± 2,50 g/100 g di PO, e la sua somministrazione orale alla stessa concentrazione con la quale PO mostrava il medesimo effetto su PT, aPTT, ICAM-1, VCAM-1, E-selectina and P-selectina nei ratti con trombosi CE-indotta. Eg pertanto possibile affermare che PO e ALA migliorano signiJicativamente la trombosi regolando le CAMs [11].

In conclusione Perilla frutescens L. è di rilevante interesse a causa dei suoi complessi costituenti Jitochimici, effetti medicinali e proprietà nutraceutiche. I dati della letteratura si basano su studi condotti su

animali e colture cellulari, quindi l'evidenza clinica degli effetti terapeutici è scarsamente delineata. Le principali prospettive che possono essere palesate dalla valutazione della letteratura presentata sono: un importante effetto clinico degli estratti di Perilla frutescens sulla rinocongiuntivite allergica, specialmente nelle popolazioni giovani, un potente effetto ipolipemizzante che, insieme all'aumento del potenziale antiossidante biologico del siero, determina miglioramenti signiJicativi nella funzione cognitiva e un'ampia varietà di effetti clinici vari che necessitano di ulteriore esplorazione. Per tali ragioni sono necessarie ulteriori ricerche che dimostrino gli effetti terapeutici della Perilla frutescens in contesti clinici controllati [12].

Bibliografia

1. 1 Humanitas.it. IRCCS Humanitas research hospital

2. 2 Treccani.it Enciclopedia online

3. Ahmed H.M., Ethnomedicinal, Phytochemical and Pharmacological Investigations of Perilla frutescens (L.) Britt. Molecules. 2018 Dec 28;24(1):102. doi: 10.3390/molecules24010102. PMID: 30597896; PMCID: PMC6337106.

4. Ibid.

5. Ibid.

6. Hou T., et al., Perilla frutescens: A Rich Source of Pharmacological Active Compounds. Molecules. 2022 Jun 2;27(11):3578. doi: 10.3390/molecules27113578. PMID: 35684514; PMCID: PMC9182122.

7. Adam G., et al., The Effects of Perilla frutescens Extracts on IgA Nephropathy: A Systematic Review and MetaAnalysis . Pharmaceuticals (Basel). 2023 Jul 10;16(7):988. doi: 10.3390/ph16070988. PMID: 37513901; PMCID: PMC10385934.

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Fitoterapia & Nutrizione 12 Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno VI n. 46 – Luglio – Agosto 2023
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Per una storia degli artisti dimenticati

IV parte

Quando si arriva o si parte da Roma, necessariamente si passa dalla Stazione Termini e lı̀ per forza di cose, si va a Messa nella chiesa del Sacro Cuore a via Marsala. La statua dorata del Sacro Cuore di Gesù sulla guglia del tetto del campanile della chiesa è visibile da tutta la città , anzi quando si guarda Roma dal Gianicolo è uno dei punti topograPici di riferimento per orizzontarci e riconoscere i vari ediPici e quartieri della città . La chiesa è parte di un complesso architettonico tenuto dai Salesiani. Intere generazioni di romani si sono formate lı̀, in quel convento dei Salesiani, e quel luogo è ancora oggi, a distanza di un secolo e mezzo dalla sua ediPi-

cazione, un punto di riferimento devozionale, liturgico e spirituale, non solo per la Capitale, ma anche per le migliaia di pellegrini che ogni anno vi passano, anche solo per la Santa Messa o per visitare i luoghi dove visse San Giovanni Bosco.

La chiesa fu voluta da papa Pio IX, che nel 1870 pose la prima pietra del nuovo ediPicio all’interno di un più vasto progetto di urbanizzazione dell’area. Infatti, come scrive Italo Insolera in Roma Moderna, «il governo pontiPicio aveva costruito la ferrovia RomaFrascati con stazione a Porta Maggiore nel 1856, poi quella Roma-Ceprano con Stazione a Termini nel 1862 e nel 1863 aveva deciso che questa diventasse la stazione unica: ma era stato soprattutto il ministro delle Armi, l’intraprendente monsignor De Merode,

Delle Arti
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Figura 1. Basilica del Sacro Cuore di Gesù , 1880-1887, opera dell’architetto Francesco Vespignani, via Marsala, rione Castro Pretorio, Roma.

Rodolfo Papa, PhD. Pittore, scultore, teorico, storico e Pilosofo dell'arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Accademico Ordinario della PontiPicia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Docente di Arte Sacra, Tecniche Pittoriche nell’Accademia Urbana delle Arti. Presidente dell'Accademia Urbana delle Arti.

docente di Storia delle teorie estetiche, Storia dell’Arte Sacra, Traditio Ecclesiae e Beni Culturaia dell’Arte Sacra (Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant'Apollinare, Roma; Master II Livello di Arte e Architettura Sacra della Università Europea, Roma; Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; PontiPicia Università Urbaniana, Roma; Corso di Specializzazione in Studi Sindonici, Ateneo PontiPicio Regina Apostolorum). Tra i suoi scritti si contano circa venti monograPie, molte delle quali tradotte in più lingue e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; “Espiritu”; “La Società ”; “Rogate Ergo”; “Theriaké ” ).

Collaborazioni televisive: “Iconologie Quotidiane” RAI STORIA; “Discorsi sull’arte” TELEPACE.

Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San PanPilo, Sulmona; Chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma; Monastero di Seremban, Malesia; Cappella del Perdono, SS. Sacramento a Tor de'schiavi, Roma …)

grande quartiere di casoni regolari, squadrati ad angolo retto, costruiti insieme con stretta economia e apparente grandiosità , volutamente in contrasto con le case piccole e dimesse, con le vie buie e contorte della vecchia Roma: al centro del quartiere la via Merode, oggi via Nazionale, era già iniziata nel 1864» [2].

Insolera continua poi con una descrizione del paesaggio urbano, utile per comprendere Pino in fondo il senso della ediPicazione della chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù in quegli anni e in quel luogo:

ad occuparsi in proprio della zona» [1]. Roma era ormai divenuta luogo di contesa in un gioco geopolitico internazionale e, anche se aveva già subito prima con Napoleone e poi con Mazzini e Garibaldi alcuni sconvolgimenti sociali, era in qualche modo uscita indenne sia nell’assetto sociopolitico che urbanistico. In qualche modo le migrazioni volute da Napoleone verso Roma erano state riassorbite ed erano stati tamponati i problemi economici della popolazione, da queste causate. Roma però aveva necessità di qualche cambiamento e di trasformazioni che la rendessero al passo con i tempi. Italo Insolera continua la sua analisi del periodo storico scrivendo che

«De Merode aveva capito due cose: innanzitutto che l’immobilismo, l’evitare qualsiasi cambiamento, non era l’arma migliore per difendersi dai cambiamenti non desiderati e che quindi Roma sarebbe uscita prima o poi, col papa o col re, dalla sua stasi secolare; in secondo luogo che sarebbe stata allora destinata a grande avvenire la zona delle vigne e orti tra il Quirinale e la nuova lontana stazione ferroviaria. In tutta quella zona De Merode aveva comprato terreni e cominciato a costruire un

«Nel 1870 tutta la zona doveva fare uno strano effetto: in aperta campagna sorgevano separati uno dall’altro i ruderi delle Terme di Diocleziano, il capannone della stazione Termini, Santa Maria Maggiore con poche case davanti, e un po’ di vie rettilinee con qualche casa nella zona oggi compresa tra via Torino e San Vitale. Tutt’attorno ville o campi: le prime case di Roma erano alla Suburra, a Magnanapoli, alle Quattro Fontane» [3].

Pio IX volle, dunque, ediPicare una nuova chiesa in quel nuovo quartiere che stava per sorgere e posizionarla proprio al Pianco della neonata stazione Termini che divenendo stazione unica come abbiamo visto, già nei progetti urbanistici pontiPici del 1863, era destinata ad aumentare di importanza nei decenni successivi, prima nei primi governi del Regno d’Italia e poi ancor di più in epoca fascista con ampliamenti che durano Pino a noi oggi. La stazione Termini è un luogo di transito che porta milioni di persone ogni anno a passare per la Capitale e quindi quel progetto di pensare e realizzare un ediPicio di culto, come opera di misericordia e di carità spirituale nei confronti dei pellegrini prima e dei viaggiatori poi, è il segno di una visione ampia e nobile che lo Stato PontiPicio in uno dei suoi ultimi atti di governo compie prima degli sconvolgimenti politici e sociali avvenuti nella città di Roma con l’avvento dell’Unità d’Italia.

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Figura 2. Roma. La Stazione Termini nel 1868, area detta Botteghe di Farfa.

Come abbiamo detto, Pio IX pose la prima pietra nel 1870 ed immediatamente dopo entrarono i bersaglieri a Porta Pia ed i lavori s’interruppero. Pio IX, fu dunque impossibilitato a proseguire, giacché tra l’annessione della città al Regno d’Italia e le conPische di molti beni, il pontePice non potette più operare sul territorio romano giacché non era più sotto la sua giurisdizione.

Nel febbraio del 1878 moriva Pio IX e gli succedeva al soglio pontiPicio Leone XIII, che nel 1880 chiese che la chiesa presso la stazione Termini fosse Pinita e che fosse non più dedicata a San Giuseppe Patrono della Chiesa, come nelle intenzioni di Pio IX, ma al Sacro Cuore di Gesù . E come si legge in una targa apposta nel 1987 per i cento anni dell’inaugurazione, la chiesa si potette erigere grazie alle enormi fatiche di San Giovanni Bosco, al quale Leone XIII aveva afPidato l’incarico di reperire i fondi necessari per ediPicare la chiesa. Il progetto fu afPidato all’architetto Francesco Vespignani, Piglio dell’architetto Virginio Vespignani, entrambi al servizio del Vaticano. Il progetto architettonico fu pensato non solo, come spesso si legge, nello stile che era in voga al tempo e che solitamente viene descritto come neo-rinascimentale, giacché questa descrizione formale risulterebbe riduttiva, quanto piuttosto venne scelto un principio formale in grado di creare un ponte tra i luoghi antichi come le vecchie Terme di Diocleziano, trasformate in parte in chiesa su progetto di Michelangelo, alcuni interventi architettonici cristiani, come la Basilica di Santa Maria Maggiore, e i nuovi ediPici costruiti dal De Merode e quelli che pian piano stavano sorgendo nell’area sui terreni delle immense e splendide ville patrizie cinque-seicentesche. Oggi tra ediPici novecenteschi, l’ar-

chitettura razionalista della Stazione Termini, che continua a svilupparsi in una dimensione funzionalista che porta con sé un sapore formale volutamente “futuribile”, la Basilica del Sacro Cuore sembra ricacciata in una sorta di passato inespressivo e sorpassato. Ma questo è quanto si è indotti a pensare in un clima culturale che, omologando per approssimazioni il mondo delle arti, lo riduce ad un banale gioco stilistico, di ciò che andrebbe di moda e cosa no. In realtà le scelte operate per la realizzazione di questa basilica sono estremamente soPisticate e non banali, anzi combinano a volte soluzioni innovative, sia da un punto di vista compositivo, sia da un punto di vista stilistico. Se prendiamo la facciata su via Marsala e il lato esterno sinistro lungo via Vicenza, possiamo notare che in realtà lo stile non è possibile dePinirlo neoclassico, giacché ci sono rimandi a soluzioni architettoniche diverse. Ad esempio, i tre ingressi, che corrispondono ad altrettante navate, hanno porte sormontate da lunette mosaicate, ma non c’è un timpano triangolare a copertura della piccola pertinenza esterna, obbligata dal marciapiede e dalla strada, ma una piccola copertura ad arco, che semmai rimanda ad architetture quattrocentesche. I mattoncini romani, messi Pitti senza il Pilo di malta in evidenza, creano delle specchiature che rimandano sia all’opus testaceum romano, presente presso i vicini ruderi, sia alle architetture rinascimentali e barocche delle chiese e delle ville dei dintorni. Oggi molti degli ediPici sono stati abbattuti per far posto alla lottizzazione di quei terreni, ma allora tutto era immerso in parchi con giardini botanici unici in Europa, con piante esotiche da tutti i continenti conosciuti. Se poi pensiamo alla decorazione della facciata, scopriamo che la parte

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Figura 3. Roma. La Stazione Termini, prospetto di Salvatore Bianchi, 1873, in una foto del 1932.

alta in travertino porta ad un piano superiore che in pianta corrisponde alla navata centrale, e che non possiede né un frontone classico, né una combinazione di più timpani come potrebbe trovarsi in una chiesa palladiana o neoclassica, ma presenta una trifora, che a ben guardare è lı̀ per descrivere uno spazio di luce atto ad accogliere vetrate istoriate che ritroviamo in forma di trifora anche nei bracci del transetto. Questo espediente consente una maggiore superPicie vetrata, con una scansione tale da poter collocare ogni volta un vero e proprio racconto. Quindi le vetrate non sono un riempitivo, ma al contrario, l’architettura si plasma in modo tale da accoglierne al meglio il loro sviluppo, sia dal punto di vista cromatico, che narrativo.

La facciata termina con un timpano triangolare ai cui lati sono stati collocati due angeli in marmo, che guardano verso l’alto, sulla cuspide dove si trova la croce. Le statue degli angeli sono opere di Angelo Benzoni. Al centro del timpano, come si conviene, si trova lo stemma di Leone XIII. Sul ripiano a sinistra è posta la statua di Sant’Agostino, a destra la statua di San Francesco di Sales. Come abbiamo già detto i tre portali sono sormontati da tre lunette con mosaici, realizzati su disegno di Angelo Zoffoli che rafPigurano al centro il Sacro Cuore, ovvero il titolo della basilica, a sinistra San Giuseppe memoria del progetto originario di Pio IX, e a destra San Francesco di Sales, dal quale prende nome l’ordine salesiano.

Figura 4. In alto: prospetto della Basilica.

In basso a sinistra: lunetta del portale centrale raffigurante il Sacro Cuore di Gesù

In basso a destra: campanile sormontato dalla grande statua in rame dorato con oro zecchino, collocata in occasione della beatificazione di don Bosco nel 1929.

La grande statua, di rame dorato con oro zecchino, venne posta in occasione della beatiPicazione di don Bosco nel 1929.

La progettazione architettonica dell’interno della basilica è anche dell’architetto Francesco Vespignani che, nella progettazione ornamentale, fu coadiuvato

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dall’ingegnere Valentino Grazioli e, per l’esecuzione dei complessi cicli decorativi, fu scelto Giuseppe Pierozzi. Sulle pareti della navata centrale Cesare Caroselli dipinse i dodici apostoli e sul sofPitto Virginio Monti, nel 1887, dipinse quattro episodi della misericordia di Dio verso l’uomo: Gesù e la Samaritana, Gesù tra i fanciulli, Gesù e l’adultera, il Aigliol prodigo Al centro c’è il Sacro Cuore, opera in legno dorato di Andrea Bevilacqua. Nelle pareti del transetto ancora gli apostoli e i quattro evangelisti in corrispondenza dell’intersezione con la cupola, e poi al centro degli archi due tondi che rappresentano rispettivamente Gesù che istituisce l’Eucaristia e Gesù come Buon Pa-

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Figura 5. In alto: interno della Basilica, si nota il soffitto a cassettoni della navata centrale, con dipinti di Virginio Monti (1887). In basso: altare maggiore. Figura 6. Soffitto a cassettoni e vetrate del transetto.

store. Sul sofPitto a cassettoni del transetto l’Annunciazione di Maria e la Natività dipinte da Virginio Monti, che realizza anche l’affresco della cupola, il Trionfo del Cuore di Gesù, che sarà considerato il suo capolavoro.

Al centro dell’affresco della cupola, su un trono di luce, il Redentore che mostra a Santa Maria Margherita Alacoque, il suo cuore pieno d’amore. Attorno alla scena centrale, in atto di adorazione, la beata Caterina da Racconigi, angeli musicanti e altri angeli recanti simboli della passione, poi San Francesco di Sales, Santa Margherita, Santa Teresa, San Bernardo, Sant’Agostino, San Francesco d’Assisi, Santa Gertrude, San Bernardino da Siena, San Luigi Gonzaga ed inPine schiere di beati adoranti a perdita d’occhio. Nei quattro pennacchi della cupola, Cesare Caroselli affrescò Davide e i profeti maggiori per le profezie relative alla vita, alla missione redentrice e ai dolori di Cristo Redentore. In questa splendida cornice che abbiamo tratteggiato, è tanta la ricchezza e la cura dei dettagli decorativi voluti in gran parte dal medesimo don Bosco, conscio che la bellezza è indispensabile per rendere gloria a Dio, che l’arte aiuta la preghiera ed educa al bene. Infatti, Pin dall’inizio della sua missione presso i ragazzi, il giovane don Giovanni Bosco mise al centro dell’oratorio un dipinto mariano e poi non dimenticherà mai di farlo. La vita missionaria, spirituale e mistica di don Bosco ha una profonda

relazione con le immagini, in particolar modo con quella della Vergine Maria, che gli appare e gli parla e lo aiuta a percorrere la sua chiamata di sacerdote, tra profezie, doni spirituali e carità

All’interno dello scrigno prezioso della basilica del Sacro Cuore, ci sono inoltre delle perle ancora più preziose di quelle già nominate, ovvero alcuni dipinti su tela che sono talmente famosi che, quando si parla dei temi ritratti, vengono subito alla mente. Ma la cosa strana è che seppur noti i dipinti, spesso non sappiamo che sono conservati in questa basilica e, la cosa ancora più strana, è che i nomi dei lori autori sono per lo più sconosciuti. Eppure, dipinti come il San Giuseppe protettore della Chiesa, dipinto da Giuseppe Rollini nel 1893, è un’opera celeberrima, diffusa in migliaia di santini ancor oggi. L’altra opera del Rollini presente in basilica fu addirittura dipinta con i suggerimenti dello stesso don Bosco, che aveva grande familiarità con il pittore giacché era ex allievo di don Bosco a Valdocco. Don Bosco suggerisce a Giuseppe Rollini come dipingere la tela dedicata a Maria Ausiliatrice; egli la volle con il diadema di regina sul capo, nella mano destra uno scettro e con il Figlio sulla sinistra, anch’egli incoronato, con attorno una schiera di angeli e, nella parte inferiore, secondo la tradizione cinque-seicentesca, un paesaggio marino con il sole nascente, intrecciando l’iconograPia mariana dell’Immacolata con quella della

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Figura 7. Affreschi della cupola: Virginio Monti, Trionfo del Sacro Cuore di Gesù Affreschi dei pennacchi della cupola: Cesare Caroselli, Davide e i profeti maggiori.

della Madre di Dio. L’iconograPia di Maria Ausiliatrice, per tutti noi che abbiamo studiato almeno un po’ dalle suore salesiane e poi frequentato gli oratori salesiani, è un punto di riferimento spirituale impre scindibile, che mantiene il sapore della nostra infan zia, adolescenza e giovinezza e nel frattempo la po tenza della devozione diffusa da San Giovanni Bosco in tutto il mondo. C’è poi un bellissimo dipinto di Attilio Palombi, rappresentante San Francesco di Sa les, in uno degli altari laterali della navata di destra vicino ad un altro splendido dipinto su tela di Giu seppe Crida, che rappresenta Santa Maria Domenica Mazzarello, realizzato nel 1966, molto noto anche se l’autore è pressoché sconosciuto, ed è il medesimo che realizza uno dei dipinti salesiani più famosi, ov vero Don Bosco e Domenico Savio, diffuso in mille copertine di libri, opuscoli, santini e che è considera to il miglior ritratto di don Bosco.

In questa basilica, il 16 maggio 1887 San Giovanni Bosco celebrò l’unica Messa: si interruppe molte vol te con un pianto a dirotto e tornato in sacrestia disse al segretario di aver capito quello che nel sogno di nove anni gli aveva detto la Madonna “a suo tempo tutto comprenderai”.

Possiamo concludere con due riPlessioni.

Il progetto architettonico generale della basilica del Sacro Cuore, come sempre dovrebbe essere fatto, si è

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In basso a destra: Attilio Palombi, San Francesco di Sales.

sviluppato in collaborazione con maestranze speciPiche, decoratori, stuccatori, scalpellini, scultori, mosaicisti, vetraisti e pittori, ed è talmente armonico che non si può dire che nessuna delle arti prevarichi le altre. Nei decenni successivi, prima a causa di movimenti artistici, poi anche di scelte politiche, ad esempio la soppressione dell’Albo dei pittori e degli scultori nel 1948, l’intera azione di progettazione è stata gradualmente lasciata nelle mani degli architetti, che molte volte occupano ogni centimetro dell’ediPicio con soluzioni architettoniche, impedendo a qualunque altra arte di collaborare pienamente. Il risultato il più delle volte è simile a quello di un negozio di parrucchiere oppure a quello di una vecchia macelleria, per la quantità di marmi utilizzati per coprire le superPici.

InPine, se questi luoghi santi s’intrecciano con opere d’arte, e queste opere d’arte, dipinti, sculture, architetture hanno veicolato ed ancora veicolano la fede cattolica, dogmi e rivelazioni, diffondendo devozioni particolari, come quella del Sacro Cuore di Gesù , di Maria Ausiliatrice o di San Giuseppe Patrono della Chiesa, come possiamo non studiare queste opere, come possiamo dimenticare i nomi di questi grandissimi artisti? L’innovazione riposa sempre nella tradizione, e, dimenticata la tradizione, perso il testimone, difPicilmente si avrà qualcosa da tramandare. Il futuro è sempre nel passato, non riposare in esso ci impedisce di entrare nel futuro con le mani piene di doni.

Bibliografia

1. Insolera I., Roma Moderna. Un secolo di storia urbanistica 1870-1970. Einaudi, Torino, 1976, p. 10.

2. Ivi, p. 11.

3. Ibid.

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Figura 9. Navata di sinistra. Si notano l’altare dedicato a Maria Ausiliatrice, e l’altare dedicato ai Santi Giovanni Bosco e Domenico Savio. In basso: altare di S. Giuseppe e lapide commemorativa di S. Giovanni Bosco.

La chiesa del Carmine Maggiore a Palermo

Imercanti della gioia. Forse negli ultimi duecento anni si è andata af@ievolendo la percezione della natura squisitamente commerciale di Palermo. La città è stata un emporio marittimo sin dalle origini dell’antica Sys, con un porto mercantile piuttosto esteso per quell’epoca, @iumi navigabili, una piana fertilissima, un territorio ben protetto dalla ghirlanda di alture. Tutte caratteristiche determinanti nell’in@luenzare l’esuberanza teatrale dei suoi abitanti, il loro amore per i viaggi e le avventure, la loro ospitalità , il loro travolgente buonumore.

I palermitani, come tutti i navigatori, sono guidati da punti di riferimento luminosi: la stella polare e la stella del mattino. Palermo in particolare è una città di Maria, “stella del mattino”, “con la luna sotto i suoi piedi”. ER stata capitale del Regno di Sicilia, il cui popolo è appassionatamente devoto alla Madonna. Prima i monaci bizantini contribuirono a mettere l’Isola sotto il manto dell’Odigitria, poi gli ordini

mendicanti estesero capillarmente l’attaccamento all’Immacolata Concezione ed alla Regina del Rosario.

Palermo, prima ancora di essere divisa in quattro “mandamenti” con il taglio di via Maqueda, aveva quattro mercati distribuiti a distanza simile dall’attuale cuore della città preindustriale: Ballarò a sud ovest, il Capo a nord ovest, la Vucciria a nord est, la Fieravecchia a sud est. Lı̀, rispettivamente, posero il loro convento gli ordini che si mantenevano con la questua: carmelitani, agostiniani, domenicani, francescani.

Il Monte Carmelo (לֶמרַכַה רַה, Har HaKarmel, Mount Carmel, letteralmente «il vigneto di Dio») è una catena montuosa lunga 39 km e larga 7 o 8 km, che si trova nell’Alta Galilea. Pare fosse meta di anacoreti cristiani sulle orme del profeta Elia, devoti della Madre di Dio, qui detta Madonna del Carmelo. Lı̀ ebbero origine nell’XI secolo i frati carmelitani, come ordine eremitico contemplativo, poi trasformato in Occiden-

Cultura
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Figura 1. Giacomo Serpotta, Cappella della Madonna del Carmine, particolare. Foto di Domenico Di Vincenzo.

Ciro Lomonte (Palermo 1960) è un architetto, personaggio pubblico e politico, esperto in arte sacra.

Dopo la maturità ha studiato presso le facoltà di architettura dell’Università di Palermo e del Politecnico di Milano.

Dopo la laurea ha iniziato a lavorare presso studi privati di architettura; in uno di essi conobbe l’architetto Guido Santoro, con il quale strinse amicizia e sodalizio professionale.

Dal 1987 al 1990 ha partecipato all’elaborazione del piano di recupero del centro storico di Erice.

Nel 1988 inizia le sue ricerche nel campo dell’arte sacra. Ha partecipato alla ride@inizione di molte chiese, in particolare Maria SS. delle Grazie a Isola delle Femmine, Maria SS. Immacolata a Sancipirello, Santo Curato d’Ars a Palermo ed altre. Attualmente, insieme a Guido Santoro, sta adeguando l’interno della chiesa di Santa Maria nella città di Altofonte vicino Palermo.

Dal 1990 al 1999 ha diretto la Scuola di Formazione Professionale Monte Grifone (attuale Arces) a Palermo.

Dal 2009 è docente di Storia dell’Architettura Cristiana Contemporanea nel Master di II livello in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Università Europea di Roma.

Nel 2017 e nel 2022 è stato candidato sindaco di Palermo per il partito indipendentista Siciliani Liberi, di cui è stato eletto Segretario Nazionale nel 2018.

ER autore e traduttore di numerosi libri e articoli dedicati alla architettura sacra contemporanea.

Nel 2009, insieme a Guido Santoro, ha pubblicato il libro “Liturgia, cosmo, architettura” (Edizioni Cantagalli, Siena).

spostarono innanzitutto in Sicilia, fondando il primo convento nel 1235 nella città di Messina. Nello stesso anno l’Ordine si insediò a Palermo. Chiese e conventi della “Famiglia del Carmelo” sorsero nelle principali città dell’intera Sicilia con comunità di frati, suore di vita contemplativa, suore con diaconie apostoliche speci@iche, laici carmelitani (istituto secolare, terz’ordine, movimento carmelitano) animati dal “carisma del Carmelo”. Una delle @igure di maggiore spicco fra le vocazioni siciliane del Carmelo fu S. Alberto, della famiglia degli Abate (Erice, 1240 – Messina, 1307).

IL FARO DELL’ALBERGHERIA

Le origini della chiesa del Carmine Maggiore e dell’annesso convento risalgono all’insediamento dei frati carmelitani a Palermo nel quartiere Albergheria. Il rione si chiama cosı̀ perché ospitò gli abitanti ribelli di Centorbe e Capizzi, trasferiti o “albergati” da Federico II di Svevia (I di Sicilia). Nella parte centrale del quartiere è ubicato il mercato di Ballarò , nome di origine incerta, probabilmente derivante dal nome di un villaggio musulmano nei pressi di Palermo, dal quale provenivano merci pregiate e spezie.

La tradizione, supportata dalle indagini stilistiche e dalle analisi recenti, attribuisce all’ordine carmelitano la costruzione di varie chiese in epoche diverse e nella stessa ubicazione:

• XII secolo, primitiva cappella della Pietà ;

• XIII secolo, cappella della Pietà ;

• 1243, chiesa dell’Annunziata;

Cultura Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno VI n. 46 – Luglio – Agosto 2023
te sul tipo dei mendicanti, ai quali fu de@initivamente assimilato nel 1317. Dalla Terra Santa i carmelitani si
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Figura 2. Statua argentea della Madonna del Carmelo. Foto di Domenico Di Vincenzo.

• 1627-1693, chiesa del Carmine Maggiore, quella attuale.

Sul lato destro dell’altare della Madonna del Carmine una porta conduce all’antica “Cappella della Pietà”, luogo di culto (secondo la tesi dello storico Antonio Mongitore) risalente al 1118 e in seguito regalato ai Carmelitani stanziatisi a Palermo. La tradizione vuole che questa primitiva cappella, sia stata donata dalla Contessa Adelasia, Regina di Gerusalemme, ai romiti che seguivano le orme del profeta Elia sul Monte Carmelo. La Cappella presenta gli stili di due epoche diverse: la prima, tipica del XII secolo, riguarda gli archi a tutto sesto alla maniera romanica che sostengono la copertura.

Un successivo rifacimento della Cappella comportò l’inserimento di costoloni nella volta alla maniera gotica, con il caratteristico “Agnus Dei” nella chiave pensile di epoca successiva. Interessanti sono gli affreschi del “Redentore” e dei profeti “Elia” ed “Eliseo”. Detentore del patrocinio della cappella era la famiglia Tricotti.

Nel 1243 per necessità di culto venne costruita a ridosso della “Cappella della Pietà” una seconda chiesa molto più ampia dedicata alla Santissima Annunziata come tutte le prime chiese fondate dai Carmelitani in Occidente, per il forte legame che essi avevano con Nazaret, luogo della casa della Madonna e dell’annuncio dell’Incarnazione del Cristo. Successivamente venne chiamata pure Madonna del Carmine. Questa seconda chiesa aveva un orientamento corretto, ribaltato rispetto all’attuale: l’ingresso si trovava al posto dell’attuale abside e relativo coro. Dell’impianto rimangono i ruderi posti sul @ianco destro dell’attuale chiesa e le due colonne lungo il portico del chiostro.

La costruzione della chiesa attuale venne condotta a partire dal 6 marzo 1627 e fu conclusa nel 1693, con alcune interruzioni, sotto la direzione di Mariano Smiriglio. L’edi@icio si presenta a forma di basilica a croce latina e tre navate, sorretta da 12 colonne di ordine tuscanico in pietra di Billiemi. La semplice e

disadorna facciata fu aggiunta nel 1814. Nella nicchia sopra il portale centrale è collocata la statua della “Vergine del Carmelo”, opera settecentesca. Nella navata principale, sul sof@itto campeggia l’affresco “Il dono dello scapolare” opera di Giovanni Patricolo del 1814, unica porzione degli affreschi pervenuti.

NAVATA DESTRA

Prima campata. Cappella di Sant’Andrea Corsini. La cappella è dedicata al Santo carmelitano Andrea Corsini, vescovo di Fiesole, raf@igurato nel quadro a olio, dove appare genu@lesso ai piedi della Madonna nella tela dal titolo Apparizione della Vergine a Sant’Andrea

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Figura 3. Navata centrale. Figura 4. Prospetto del 1814. Figura 5. Cappella di Sant’Andrea Corsini.

Corsini, opera di Pietro Novelli del 1630. La parete di destra è ornata da una tela raf@igurante San Biagio e in quella di sinistra da una tela raf@igurante San Calogero. La cappella è di patrocinio della famiglia Hernandez - Vallegio.

Seconda campata Cappella delle Sante Maria Maddalena de’ Pazzi e Teresa d’Avila. La cappella prende il nome dal quadro in essa riposto. La pittura è di Giacomo Lo Verde, trapanese, discepolo di Pietro Novelli. Nel quadro è raf@igurata la Madonna del Carmelo con due sante mistiche carmelitane: S. Teresa d’Avila e S. Maria Maddalena de’ Pazzi. Nella parete di destra è raf@igurato San Brocardo in atto di imporre la veste monacale a S. Angela, regina di Boemia. Sulla parete di sinistra la Vergine Santissima che appare a S. Pier Tommaso che predice la perpetuità dell’Ordine Carmelitano. Le due tele sono anteriori al 1715. La cappella è di patrocinio della famiglia Lusinno.

Terza campata. Ex Cappella di Sant’Alberto. Dedicata @ino al 1884 a S. Alberto degli Abate. Disfatta per l’apertura di una porta laterale, adesso tamponata. Sulle pareti laterali sono eretti due monumenti sepolcrali: quello di destra è @into, quello di sinistra costituisce la Cappella sepolcrale della famiglia Rosselli che racchiude le ceneri di Giovanni Battista Rosselli. Dall’anno 2000 conserva il simulacro del carmelitano Beato Franco Lippi di Sarteano da Siena.

Quarta campata. Cappella di S. Caterina d’Alessandria. Inizialmente dedicata a S. Maria Maddalena de’ Pazzi, in seguito prende il nome della martire alessandrina S. Caterina il cui simulacro, scolpito in

marmo bianco di Carrara, è opera di Antonello Gagini. La martire è rappresentata in atto di schiacciare con il piede una testa virile e barbuta, simbolo dell’eresia, da lei combattuta @ino al martirio, rappresentato nella ruota dentata posta al suo @ianco sinistro. Sul piedistallo è riportata la data 1521 sormontata dallo stemma carmelitano. Il simulacro era collocato nella precedente chiesa dell’Annunziata. Dello stesso scultore è presente un’acquasantiera del 1521. Nella volta e ai lati sono presenti affreschi sulla storia di Sant’Elia profeta: la Vocazione di Eliseo, Salita in cielo sul carro di fuoco, Nuvoletta di Elia. La cappella è adorna di stucchi, attribuiti a Giacomo Serpotta da Donald Garstang. La cappella è sotto il patrocinio della famiglia Cipolla.

Quinta campata. Cappella della Madonna dell’Udienza. Secondo un’antica tradizione carmelitana, il titolo nasce dal fatto che, dopo la Pasqua, la Vergine Maria “dà ascolto”, da qui il termine udienza, alle suppliche dei suoi fedeli. Queste preghiere sono fatte per sette mercoledı̀, celebrati dopo la Pasqua in attesa della Pentecoste. Il simulacro della Vergine Maria dell’Udienza è ornato da colonne tortili di ordine ionico che inquadrano all’interno la statua di marmo bianco di Carrara, raf@igurante la Madonna che regge in braccio il Bambino Gesù , opera di Domenico Gagini. Alla base è scolpito lo stemma dell’Ordine Carmelitano. Sulla parete sinistra si osserva il sepolcro in cui sono sepolti alcuni membri della famiglia Meneces. Alle pareti, due tele raf@igurano la Natività di Gesù e l’Assunzione della Vergine Maria al cielo

Cultura 25 Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno VI n. 46 – Luglio – Agosto 2023
Figura 6. Teresa d’Avila.

NAVATA SINISTRA

Prima campata. Ex Cappella di Sant’Elia. Dal 1855 la cappella si presenta nel corso dell’anno chiusa da una grande porta di legno. All’interno si conserva il simulacro della Madonna del Carmelo. La statua lignea del 1598 è stata rivestita d’argento dall’artista Giuseppe Castronovo nel 1729. All’interno, ci sono ancora tracce della primitiva cappella e ingenue pitture recenti.

Seconda campata Cappella di San Spiridione. Della originaria Cappella della Madonna delle Grazie, del 1665, non ci sono più tracce. In seguito denominata Cappella di Sant’Anna, e ancora dopo destinata a S. Teresa del Bambin Gesù , oggi collocata in una nicchia nell’altare della Madonna dell’Udienza. L’altare presenta una lavorazione di marmi mischi, due colonne tortili policrome e balaustra che adornano la marmorea parete intarsiata e policroma eseguita da Francesco e Gerardo Scuto nel 1667. Sulla parete sinistra è presente la statua lignea di Elia scolpita poco prima del 1668, proveniente dalla successiva cappella. Sulla parete destra è realizzato il monumento di marmo bianco di don Giacomo La Matina Dottore in Sacra Teologia. Il quadro posto al centro dell’altare ritrae S. Spiridione, vescovo orientale di Trimitonte, Cipro.

Terza campata. Ex Cappella del Beato Franco da Siena di patrocinio della nobile famiglia Giuffredi della

quale si scorgono due stemmi marmorei, fra cui è incastrata una piccola nicchia che conteneva le reliquie di S. Alberto degli Abate. Nella parete opposta,

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Figura 8. Cappella di Santa Caterina d’Alessandria. Foto di Domenico Di Vincenzo. Figura 9. Cappella della Madonna dell’Udienza. Figura 10. Ex Cappella di Sant’Elia.

vi è un’acquasantiera risalente al 1300, di marmo bianco con la vaschetta a forma di conchiglia sostenuta da una colonna tortile ornata da testine di ange-

li alati e da cordoni, sia all’estremità sia alla base. In alto sulla destra, una targa commemorativa ricorda il parroco di S. Nicolò all’Albergheria Don Domenico

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Figura 12. Cappella del Beato Franco da Siena. Figura 11. Cappella di San Spiridione. Foto di Domenico Di Vincenzo. Figura 13. Cappella del Sacro Cuore di Gesù Figura 14. Cappella della Natività o di San Giuseppe.

Pizzoli, per avere custodito la chiesa dopo la soppressione degli ordini religiosi.

Quarta campata. Cappella del Sacro Cuore. Originariamente dedicata a S. Angelo martire carmelitano, ove il Santo è raf@igurato in una tavola del 1529. Oggi prende il nome dal simulacro del Sacro Cuore di Gesù racchiuso in una nicchia. Sulle pareti sono presenti due tele raf@iguranti la vita del profeta Elia. La parete di destra il dipinto Sant’Elia destato dall’Angelo che lo raf@igura mentre lo invita a mangiare, a bere e proseguire il suo lungo cammino. Sulla parete sinistra la Visione di Sant’Elia che intravede la nuvoletta, dalle sembianze di mano d’uomo che sale dal mare. La tradizione dei Padri ha letto in quella nuvoletta l’Immacolato concepimento della Madonna. La cappella è patrocinio della famiglia Valguarnera.

Quinta campata Cappella della Natività o Cappella di San Giuseppe. Nell’altare di marmo policromo è presente una tela risalente al XVI – XVII secolo, identi@icata da Mariny Guttilla con la Nascita nel Carmelo, attribuita da Agostino Gallo a Gioacchino Mercurio. La tela collocata in una cornice di stucco indorato formato da doppie lesene scanalate con capitelli corinzi e coronata da timpano triangolare ornato da putti. La tela raf@igura la Vergine Maria che tiene adagiato fra le proprie braccia il divin Pargoletto e un angelo sul suo capo riporta un cartiglio con le parole:

“Gloria in excelsis Deo”. Alla sinistra della Madonna è presente S. Giuseppe mentre i pastori sono prostrati attorno in atto d’adorazione. La cappella è chiusa da

una balaustra di marmo cipollino, patronato della famiglia Scuderi - Riggio.

TRANSETTO

Absidiola sinistra, Cappella di Gesù Bambino. Costituiva l’antico passaggio alla sagrestia soppresso nel 1727 per realizzare la cappella “deposito” del simulacro argenteo della Madonna del Carmine. La cappella attuale fu costruita nel 1855 grazie a benefattori, dedicata a Gesù Bambino. Il tempietto sopra l’altare custodiva il Gesù Bambino poi trafugato. Il frontale dell’altare marmoreo è costituito da un paliotto in @into marmo che custodisce un grande presepe. Sull’elevazione dell’altare campeggia il quadro dell’Immacolata d’autore locale del XVIII – XIX secolo.

Transetto sinistro, Cappella della Madonna del Carmine. L’altare è costituito da coppie di colonne tortili che riportano nella parte superiore ornamenti in stucco di @iori, fogliame e @igure umane, nella parte inferiore delle scene bibliche della vita della Madonna. In alto la statua di Dio Padre in mezzo a Papa Dionisio con la croce in mano e Papa Benedetto V con la tiara. Le opere in stucco furono eseguite dai fratelli Giuseppe e Giacomo Serpotta fra il 1683 e il 1684. Sull’altare troneggia il dipinto raf@igurante la Madonna del Carmelo con scene di vita dei Primi Carmelitani, del Monte Carmelo, dell’Approvazione della Regola, La venuta in occidente, La liberazione delle anime dai Purgatorio, opere di Tommaso De Vigilia del 1492.

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Figura 16. Tommaso De Vigilia, Madonna del Carmelo, 1492. Foto di Domenico Di Vincenzo.

Absidiola destra, Cappella dell’Immacolata. Costituiva il passaggio all’antico convento attraverso una porta murata nel 1856 erigendo la cappella dedicata all’Immacolata, ef@igie venerata all’interno della nicchia di legno dorato posta nell’altare marmoreo. Due angeli reggono il monogramma, l’opera lignea è attribuita a Girolamo Bagnasco.

Transetto destro, Cappella del Santissimo CrociLisso. ER una struttura quasi identica a quella della Cappella della Madonna del Carmine posta sul lato opposto. Sono presenti colonne tortili che riportano nella parte superiore ornamenti in stucco di @iori, fogliame e @igure umane, nella parte inferiore delle scene bibliche. In alto le statue di Papa Telesforo che tiene in mano un calice e Papa Zaccaria. All’interno delle colonne tortili, Giuseppe e Giacomo Serpotta raf@igurano scene della Passione di Gesù , opere eseguite fra il 1683 e il 1684. Esempio di leggiadria d’espressione e pregevole @inezza d’arte. Al centro il Cristo CrociLisso scolpito in legno, poggiato su di un drappo dorato con motivi @loreali, opera attribuita a Girolamo Bagnasco. Ai piedi del Croci@isso un ovale raf@igurante l’Addolorata, primitiva sede della statua oggi collocata in fondo alla chiesa all’interno di una custodia lignea.

ABSIDE

Sullo sfondo dell’abside è collocato un altorilievo lavorato a stucco e legno dorato, riproducente su una raggiera di luce l’Agnello di Dio ritto e vittorioso sul

Libro sacro coi sette sigilli. In basso è collocato il coro monastico in noce, scolpito nel 1674, da ignoto scultore siciliano. Dietro l’altare una lastra marmorea chiude la sottostante cripta usata come sepoltura dei frati. Alle pareti del presbiterio sono presenti due opere del XV secolo raf@iguranti Sant’Angelo Martire e Sant’Alberto degli Abate carmelitani, dipinti di controversa attribuzione. Una scuola di pensiero ne attribuisce la paternità a Tommaso De Vigilia, un’altra a Pietro Ruzzolone. Documentata una pala d’altare raf@igurante lo Spasimo, opera realizzata da Antonello da Palermo nel 1538.

ORGANO

Le notizie sull’organo partono dal 1620. Nel 1856 lo strumento venne ricostruito per volontà di Angelo Amoroso dall’organaro Salvatore Briulotta. Esso si trova nel braccio sinistro del transetto, su cantoria a lato dell’arco absidale; a trasmissione meccanica con consolle a @inestra, dispone di 21 registri su due manuali e pedale. L’organo antico, pur essendo suonabile indipendentemente, costituisce il primo manuale del moderno organo Tamburini, del 1968, il cui restante materiale fonico (8 registri) è situato sulla cantoria simmetrica nel transetto di destra, entro cassa espressiva.

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Figura 17. Cappella del Santissimo Crocifisso. Figura 18. Crocifisso ligneo attribuito a Girolamo Bagnasco.

SACRESTIA

Nel primitivo impianto la sacrestia era ubicata negli spazi dell’odierno coro. Nel 1855, sacri@icando due celle e corridoio del Convento, si ottiene l’attuale sagrestia ove sono presenti un semplice armadio in mogano di Gioacchino Valenti del XIX secolo, un altare marmoreo settecentesco dedicato alla “Madonna dell’Itria”, dal quadro posto sull’elevazione raf@igurante la Madonna incoronata dagli angeli e ai piedi S. Alberto degli Abate con il giglio in mano e S. Benedetto da Norcia del XVI secolo. Un altro dipinto orna la sacrestia e raf@igura l’“Immacolata” circondata da angeli, l’autore è di scuola siciliana del XVII secolo e risente vagamente di modelli novelleschi. La parete in comune con la chiesa è ornata da due paliotti del XIX secolo: uno di manifattura siciliana e l’altro di manifattura italiana, un croci@isso del XVII – XVIII secolo anticamente posto al centro dell’abside della chiesa. Un lampadario a diciotto bracci di bottega artigiana del 1859 e una statua del Cristo Risorto in legno a grandezza naturale del XVII – XVIII secolo completano l’arredo.

CUPOLA

Nel 1680 (i lavori furono diretti da frate Angelo La Rosa, religioso carmelitano) furono costruiti il tamburo, la calotta semisferica e il lanternino. I pilastri sono ornati da quattro statue di stucco raf@iguranti Mosè , Elia, S. Giovanni Battista e Giona, opera di Vincenzo Messina del 1681. L’intradosso della calotta è rivestito di stucchi ornamentali costituiti da festoni

di @iori e frutta. Le quattro @inestre del tamburo sono ornate di putti, vasi e @iori in stucco.

La parte esterna, ricca e singolare, la rende unica nel suo genere non solo a Palermo ma anche in tutta la Sicilia. Spiccano quattro coppie di colonne ioniche scanalate di pietra. All’interno di ogni coppia si trovano quattro Atlanti, quattro personaggi tozzi e muscolosi in atto di reggere la cupola modellati in stucco – come il resto dei decori – da Angelo La Rosa, Andrea Surfarello e Gaspare La Farina.

L’esterno della cupola è rivestito da maioliche smaltate con colori vivaci, tipicamente siciliani. ER diviso in quattro sezioni, su ogni spicchio della calotta sferica è posto in evidenza lo stemma carmelitano. La composizione è sormontata dal lanternino, con una piccola cupola, una sfera, una croce sommitale.

CAMPANILE

Il campanile attuale non è l’originale. Ne sono esistiti diversi, dei quali s’ignorano le linee architettoniche. Il 1620 è l’anno al quale risalgono le notizie del primo campanile. Nel 1670, con la costruzione della nuova chiesa, il campanile è rifatto. Nel 1740 sono stanziati nuovi fondi per la costruzione di un terzo campanile. Demolito quest’ultimo, nel 1883 è ricostruito nelle semplicissime e rustiche linee attuali.

CONVENTO

Il convento è chiamato Carmine Maggiore per essere stato fondato per primo, perché è il più grande e più importante tra gli altri cinque conventi carmeli-

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tani esistiti in città Nell’arco di otto secoli è stato costruito tre volte: Duecento, prima metà del Cinquecento, 1938 (ultima costruzione con funzioni di “Casa di Accoglienza”).

CHIOSTRO

Il chiostro attuale risale alla costruzione del secondo convento. D’epoca cinquecentesca con colonne ioniche di marmo bigio riproducenti gli stemmi dei casati patrocinanti o di frati benemeriti che hanno contribuito alla costruzione. Nel XX secolo il chiostro è stato restaurato con la ricostruzione di parte delle colonne. Sul portico meridionale si conserva un portale di marmo dalle linee architettoniche dell’antico convento del 1500, sull’arco sono presenti tre stemmi gentilizi - carmelitani. Sopra l’architrave è riportata la data 1582.

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Figura 21. Cupola. Foto di Domenico Di Vincenzo. Figura 22. Cupola. Foto di Domenico Di Vincenzo. Figura 23. Chiostro del convento. Si notano l’abside, la cupola e a destra la base del campanile. Figura 24. Chiostro.

L’ESORDIO DI SERPOTTA

A Palermo la decorazione architettonica è sempre stata legata nei secoli alla gioiosità tipica dell’arte siciliana. Le materie prime vennero scelte in base alla loro preziosità ed alle capacità di lavorazione degli artigiani. Il marmo fu materiale privilegiato dagli ordini religiosi più ricchi. Quelli mendicanti ripiegarono sulla tecnica dello stucco, che imitava la scultura lapidea con stratagemmi che richiedevano considerevole maestria e, allo stesso tempo, con la leggerezza degli apparati scenogra@ici ef@imeri mista alla durevolezza degli ornamenti di massello. Le sculture di stucco avevano un’anima di legno a cui si dava corpo con la canapa. Attorno a questo scheletro gli artisti modellavano con il gesso le forme de@inite delle statue o dei decori veri e propri. Il colpo d’ala era costituito dallo stucco, uno strato epidermico di un millimetro di spessore, composto di calce e polvere di marmo, che si faceva asciugare più rapidamente con piastre di metallo riscaldato, conferendo alle super@ici il caratteristico candore, brillante come il marmo. Bisognava essere molto abili per realizzare il tutto in tempi brevi, perché il gesso – una volta essiccato – perdeva la propria duttilità . Questa tecnica straordinaria, diversa dall’arte del levare tipica del legno e del marmo, consentiva di dare foggia a santi, angeli, putti, allegorie, grottesche, mascheroni. A cavallo fra il XVI e il XVII secolo fu molto attiva nella zona di Castelvetrano la bottega di

Antonino Ferrara. Fra il XVII e il XVIII secolo si impose invece a Palermo la famiglia dei Serpotta, che arrivò ad eguagliare l’eleganza di Gian Lorenzo Bernini seppure con lo stucco.

Il più capace, da tutti i punti di vista, fu senz’altro Giacomo Serpotta (1656-1732). Figlio di Gaspare (1634-1670), scultore e decoratore @inito sulle galere per debiti, dovette guadagnarsi da vivere sin dalla più tenera età . Nel 1679, quando aveva 23 anni, gli nacque Procopio (anche lui sarebbe divenuto un artista dello stucco) dalla relazione con una giovane che egli non volle mai sposare. Il suo desiderio infatti era quello di essere accolto fra i gesuiti, sogno che non gli venne mai permesso di realizzare. Bisogna tener conto che i grandi artisti credenti di quell’epoca erano sacerdoti o religiosi oppure restavano celibi, perché ritenevano che l’arte da sola non fosse un cammino sicuro per la santità . Oltretutto, pur essendo uomini di cultura, rimanevano campioni delle arti manuali, i quali – dal punto di vista delle convenzioni sociali – non potevano chiedere la mano di ragazze dell’alta società , con le quali avevano maggiore sintonia intellettuale che con le donne del popolo.

Giacomo Serpotta fu un grande genio della scultura in stucco, di respiro internazionale, pur avendo vissuto sempre a Palermo. I suoi principali capolavori sono le decorazioni avvolgenti degli oratori di congregazioni, confraternite e compagnie laicali, semplici aule rettangolari con un vano per il presbiterio e il

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Figura 25. Giacomo Serpotta, Dio Padre, Cappella della Madonna del Carmine. Foto di Domenico Di Vincenzo.

vestibolo al lato opposto. L’addobbo decorativo si compone di elementi @igurativi: putti con testa grossa, capelli sof@ici e ricciuti, braccia e gambe paffute con piegature e addome pronunciato, sera@ini con ali slanciate, @igure allegoriche, cartigli, grottesche e conchiglie, alternati a piccole scene istrioniche, in scatole prospettiche dette “teatrini”, con il fondo arretrato e le pareti inclinate in modo da aumentarne l’apparente profondità . I puttini, in particolare, sono bambini che manifestano con giochi esuberanti l’infanzia spirituale di fronte alle vicende più serie della Storia della Salvezza, come a dire che il volontarismo non è strada sicura verso il Cielo. Gli esseri umani, di fronte a Dio, possono scoprirsi bambini piccoli, capaci di un affetto e una @iducia @iliale. Le maestose composizioni serpottiane erano riferite all’esegesi dei testi sacri e delle virtù attribuite ai titolari di chiese e oratori. La grande invenzione di Giacomo Serpotta è stata l’avere conferito a tale decorazione una sorprendente raf@inatezza. Le @igure allegoriche partecipano alle scene rappresentate, con vivacità , realismo ed una resa plastica di straordinario effetto, che riesce a coinvolgere l’intero ambiente.

Quella del Carmine Maggiore è la prima grande opera di Giacomo Serpotta (qui con il fratello Giuseppe), in cui si raggiunge in modo geniale una simbiosi fra architettura e scultura. Era il 1683, Giacomo aveva 27 anni. Gli altari della Madonna del Carmine e del SS. Croci@isso sono mirabilmente arricchiti da una fasto-

sa architettura incentrata sulle due coppie di monumentali colonne tortili: nei girali di queste sono alloggiate mirabilmente @igurazioni realizzate a stucco dai fratelli Serpotta con scene della Vita della Madonna e della Vita di Cristo. Le piccole @igure si rincorrono completando e proseguendo il vortice delle spire delle colonne, soprattutto nelle scene riferite alla Passione ed alla Morte di Gesù , modellate lungo le convessità del supporto. Figure di uomini, animali, mitologiche e simboliche, proseguono @ino in alto a formare i capitelli delle colonne. Sulle trabeazioni sporgenti dei due complessi altari si trovano statue sedute. L’altare della Madonna è una sintesi del mistero della Chiesa: dalle Storie della Vergine si passa alle statue sedute dei ponte@ici S. Benedetto V e S. Dionisio (con putti che reggono i simboli del ponti@icato) ed alla lunetta, incentrata sulla @igura dell’Onnipotente a braccia aperte, il tutto contornato da sera@ini e cherubini alati. Sull’opposto altare del Croci@isso, sono assise le statue di S. Zaccaria e di S. Telesforo. Alla base delle colonne sono posti quattro rilievi rettangolari con scene di Cristo davanti al sommo sacerdote, Flagellazione, Deposizione e Donne al sepolcro Giuseppe Serpotta eseguı̀ altri stucchi per la parete d’ingresso, mentre Giacomo fornı̀ gli stucchi per la cappella di S. Caterina, penultima del lato destro. Ma questa era solo l’alba di una lunga stagione ricca di capolavori.

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Figura 27. Giacomo Serpotta, Particolare delle colonne istoriate della Cappella della Madonna del Carmine. Foto di Domenico Di Vincenzo. Figura 26. Giacomo Serpotta, Particolare delle colonne istoriate della Cappella del Santissimo Crocifisso. Foto di Domenico Di Vincenzo.

Sicilia e Anjou

Stringere amicizia per comprendersi. E viceversa.

Lunedì 24 luglio 2023. Mi imbarco all’aeroporto di Palermo, dove la temperatura supera i 40° (ignaro che domani la ghirlanda di cime che corona la città verrà devastata dagli incendi e la chiesa medievale di S. Maria di Gesù verrà divorata dalle Kiamme). Arrivo a Nantes, cielo coperto e 20°.

Mentre esco dall’aereo, ripenso ai sedici o diciassette anni trascorsi da quando ho conosciuto Stanislas sui social. Eravamo insieme in un gruppo dedicato a S. Luigi IX, re dei francesi, le cui uniche reliquie superstiti si trovano nel Duomo di Monreale. Tempo dopo venne a trovarmi a Palermo con Olivier, suo fratello, e con Loÿ s, un amico lionese del fratello. Tornò altre due volte, la prima con don Benoit, allora rettore di Ecô ne, il seminario della Fraternità Sacerdotale di S. Pio X nel quale era stato ammesso nel frattempo; la seconda con i suoi meravigliosi genitori. Adesso toc-

ca a me restituirgli la visita, che in realtà desideravo fargli da tantissimo tempo.

Don Stanislas, ormai sacerdote da quattro anni, mi attende a braccia aperte all’ingresso dell’aeroporto, con quei suoi occhietti furbi e vivaci che tradiscono un’esuberanza capace di iniziative imprevedibili. Le persone che sanno ridere di gusto come lui, senza Kiltri e doppiezze, sono quelle di cui ti puoi Kidare ciecamente. DifKicile trasmettere l’intensità dell’amicizia fraterna e della condivisione di ideali che si sono instaurate fra noi due in questi anni. Per esempio parliamo spesso di architettura sacra, abbiamo parecchi progetti da realizzare. L’emozione è a Kior di pelle, era da troppo tempo che non passavamo un periodo insieme. Mi porta nella chiesa di Saint-E\ milien, costruita di recente in forme classiche. Celebra la messa per me. Poi tira fuori dall’auto una grande cesta di vimini contenente il pranzo, soprattutto un

Diario di viaggio
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Figura 1. L’ingresso principale della casa di La Grange.

Ciro Lomonte (Palermo 1960) è un architetto, personaggio pubblico e politico, esperto in arte sacra.

Dopo la maturità ha studiato presso le facoltà di architettura dell’Università di Palermo e del Politecnico di Milano.

Dopo la laurea ha iniziato a lavorare presso studi privati di architettura; in uno di essi conobbe l’architetto Guido Santoro, con il quale strinse amicizia e sodalizio professionale.

Dal 1987 al 1990 ha partecipato all’elaborazione del piano di recupero del centro storico di Erice.

Nel 1988 inizia le sue ricerche nel campo dell’arte sacra. Ha partecipato alla rideKinizione di molte chiese, in particolare Maria SS. delle Grazie a Isola delle Femmine, Maria SS. Immacolata a Sancipirello, Santo Curato d’Ars a Palermo ed altre. Attualmente, insieme a Guido Santoro, sta adeguando l’interno della chiesa di Santa Maria nella città di Altofonte vicino Palermo.

Dal 1990 al 1999 ha diretto la Scuola di Formazione Professionale Monte Grifone (attuale Arces) a Palermo.

Dal 2009 è docente di Storia dell’Architettura Cristiana Contemporanea nel Master di II livello in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Università Europea di Roma.

Nel 2017 e nel 2022 è stato candidato sindaco di Palermo per il partito indipendentista Siciliani Liberi, di cui è stato eletto Segretario Nazionale nel 2018.

Eh autore e traduttore di numerosi libri e articoli dedicati alla architettura sacra contemporanea.

Nel 2009, insieme a Guido Santoro, ha pubblicato il libro “Liturgia, cosmo, architettura” (Edizioni Cantagalli, Siena).

prelibato hummus libanese di ceci preparato da suo padre, che consumiamo in un locale della canonica.

Ha insistito caparbiamente afKinché trascorressi insieme alla sua famiglia una settimana intera, studiando minuziosamente i dettagli del programma, con l’intenzione dichiarata di farmi staccare dai ritmi di lavoro abituali. Comincia con il farmi visitare Nantes, una città ricca e industriosa che conserva un elegante centro storico. Posto in una vallata alluvionale della Loira, alla conKluenza di molti corsi d’acqua, l’agglomerato cittadino è attraversato dalla Loira, dall’Erdre, dalla Sé vre, dalla Ché zine e dal Cens. Vi si trova anche un certo numero di ruscelli, per la maggior parte canalizzati e ormai generalmente sotterranei. Sono colpito da molti luoghi, fra gli altri dal castello dei duchi di Bretagna, dall’originale Lieu Unique, prima fabbrica dei biscotti LU (Lefèvre-Utile), dal Passage Pommeraye, una suggestiva galleria ottocentesca di negozi con una passeggiata interna su più piani. Osservo il tram, identico a quello della capitale siciliana. Solo che qui sfreccia su ampi viali alberati senza barriere, libero dai demenziali chilometri di transenne che delimitano le rotaie a Palermo. Ci sediamo a gustare una birra nella piazza della cattedrale, dedicata a Saint-Pierre-et-SaintPaul, chiusa da quando un extracomunitario cha la-

vorava come volontario diocesano ha appiccato un incendio che ne ha danneggiato la navata e distrutto l’organo. Era il 18 luglio 2020. Stanislas mi chiede come approfondire la comprensione dell’architettura. Gli consiglio il sempre valido Apprendre à voir l’architecture di Bruno Zevi. Dopo una rapida ricerca sull’iPhone, lo ordina immediatamente. Torniamo all’aeroporto, dove è arrivato Giuseppe, un giovane architetto di Ascoli Piceno, un vero giullare, anche lui

Diario di viaggio Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno VI n. 46 – Luglio – Agosto 2023
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Figura 2. Nantes. Il Passage Pommeraye.

ospite di don Stanislas. Appassionato di storia, si accinge a pubblicare le sue ricerche sulle prime due guerre di Vandea (1793-1796) combattute dagli insorti contro il governo rivoluzionario.

Ci dirigiamo a La Grange a un’ora e mezza di strada , che si rivela subito un’oasi di pace. Una casa colonica del Settecento, tetti d’ardesia, che sembra un piccolo château ma con un’aura più domestica. Il nucleo originario è una specie di donjon a pianta grossomodo ovale il cui ambiente principale, con due forni a legna, si trova tre metri sotto il piano di calpestio del cortile centrale. Da lı̀ peraltro si accede ad un labirinto di cantine sotterranee, tuttora usate, e di gallerie che un tempo andavano Kino a Le VieilBaugé . Su un lato della casa c’è una piscina, che ho sperimentato solo un paio di volte, perché qui le temperature di questi giorni oscillano fra i 18 e i 23 gradi. Ogni tanto pioviggina.

Ci troviamo nel dipartimento del Maine e della Loira. Più precisamente nell’Anjou, a grandissima distanza da città caotiche. Attorno c’è una tenuta agricola di 20 ettari, di cui si occupa professionalmente mamma Veronique, una persona tanto intraprendente quanto gioiosa. Papà Philippe un saggio, estremamente simpatico lavora a Parigi, nel settore amministrativo di Carrefour. Olivier lavora all’Agenzia delle Entrate a Chartres. Beatrice, la più piccola, ma anche la più straripante e la più espansiva, ha cominciato a lavorare nell’azienda agricola di famiglia. Mi accoglie come se mi conoscesse da sempre (lo zio Ciro). Altre due Kiglie lavorano fuori. La nonna materna, pure lei con un volto illuminato dal sorriso, è più riservata. Quando scendo dall’auto mi vengono incontro con un affetto che mi commuove. Philippe continua a ripetere che è felice che io abbia accettato l’invito. Anch’io lo sono, ma lui ci terrà a ribadirlo altre volte in questi

giorni. Ho portato diverse cassette di frutta martorana, che mostrano di gradire molto. In effetti è davvero fresca e gustosa, ma loro sono cosı̀ buoni che penso avrebbero mostrato una riconoscenza altrettanto calorosa per qualsiasi altro tipo di dono avessi portato. Nella stanza accanto alla cucina hanno collocato una lavagna a fogli mobili, sulla quale don Stanislas scrive di volta in volta il programma della giornata, in italiano. Olivier mi accompagna in stanza, spiegandomi tutto quanto mi possa servire in questi giorni. La camera che mi hanno assegnato si trova in una parte della mansarda, a secondo piano, deliziosa, da artista bohémien. Si affaccia sul giardino alla francese del retro. A cena siamo una decina ed è tutto un intrecciarsi di racconti. La lingua franca non è il francese (che io ancora non conosco) bensı̀ l’inglese. Don Stanislas parla molto bene l’italiano e a volte si fa avanti per tradurre.

Ci sono Cyprien, un giovane ingegnere di Parigi, e due ragazze della zona, entrambe si chiamano Marie.

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Figura 3. Il nucleo originario di La Grange.
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Figura 4. Philippe, don Stanislas e Veronique.

Ma qui è un viavai di amici, un centinaio circa, soprattutto ragazzi. Per citarne solo alcuni, in settimana arriveranno Laurent, un barone del Liechtenstein, degli amici conosciuti in Zaire, una coppia di Flavigny, un’altra coppia della Mayenne, un giovanissimo capitano dell’esercito (fratello di Loÿ s), un altro giovane ingegnere di Chambé ry (organista per passione), un rappresentante normanno de L’Oreal. L’amabilità e l’ospitalità dei Morin sono una calamita irresistibile per tantissime persone. Hanno un gusto spiccato per offrire momenti di scambio conviviale con le persone cui vogliono bene. C’è molto il sapore della primitiva cristianità . La Grange fa pensare alla casa di Lidia a Filippi, citata negli Atti degli Apostoli. Eh un rifugio in cui ripararsi dalle inclemenze dei tempi procellosi che stiamo vivendo, come suole essere la rivista Il Covile Eh un luogo in cui nutrirsi degli antidoti alle sostanze letali che avvelenano le radici della barbarica civiltà contemporanea, come si impegna ad essere la rivista Theriaké

Martedì mattina partecipo con don Stanislas ed i genitori ad un affollato matrimonio nella suggestiva Collé giale de Notre Dame, nel territorio di Thouars. Nella cripta è seppellito un nobile, Louis Jean Marie, XII Duca de La Tré moı̈lle, protagonista dell’avverarsi di una ferale profezia fatta da S. Giovanna d’Arco ad un suo antenato. La cerimonia, molto partecipata anche dai numerosi bambini presenti, è resa ancora più angelica da uno straordinario coro che alterna gregoriano a canti popolari francesi. Nel tragitto in auto, mentre corriamo sull’asfalto curatissimo, in mezzo a campi pettinati quasi fossero il pelo di un labrador a cui il padrone tenesse particolarmente, Veronique e Philippe si interessano alla mia attività politica come segretario nazionale di Siciliani Liberi Eh palpabile la loro ammirazione per la nostra Patria. Nulla a che vedere con il loro connazionale, Carlo I d’Angiò , il fratello minore di Luigi IX al quale non assomigliava granché , capace di rendersi tanto inviso al nostro popolo da provocare nel 1282 la reazione corale del Vespro Siciliano. Eh commovente dialogare con angioini cosı̀ amabili.

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Figura 5. Preparando pizze.

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Mercoledì mattina, dopo una colazione in cui gustiamo una buonissima brioche impastata e cotta da Philippe, visitiamo il castello di Angers, ediKicato sulla riva del Maine dai Conti d’Angiò (poi Duchi). Meriterebbe parecchie ore per soffermarsi sulle diverse parti del complesso fortiKicato. Colpiscono le volte a crociera con archi ogivali, tipiche della regione. Ricordano gli archi siculo normanni. Purtroppo le vetrate originali sono andate distrutte. Facciamo una visita più accurata alla Galleria dell’Apocalisse. Vi si trova esposto lo strabiliante ciclo di arazzi dell’Apocalisse (les tapisseries de l’Apocalypse, altrimenti dette l’Apocalypse d’Angers), la più antica serie di arazzi francesi sopravvissuta, nonché una delle più importanti rafKigurazioni dell’Apocalisse. Fu commissionata fra il 1373 e il 1377 da Luigi I d’Angiò e completata nel 1382. Composta inizialmente di sette pezzi per un totale di 140 m (800 mq), ne sono giunti a noi solamente sei, lunghi ciascuno 23 m. Misura complessivamente 103 m di lunghezza per 6,1 m di altez-

za ed era composto da 90 scene; ora ne rimangono 71.

Avrei indugiato volentieri molto più a lungo per contemplare il proKluvio di dettagli decorativi. Decidiamo di visitare altri luoghi della capitale angioina. Nella cattedrale di San Maurizio sono affascinanti le grandi vetrate e gli ampi rosoni, come pure il monumentale pulpito, opera magistrale di ebanisteria. Passeggiamo per il centro storico Kino a raggiungere uno snodo stradale di cui aveva già attratto la mia attenzione all’inizio la statua del Duca René . Carlo I, René e i vari discendenti elencati nel piedistallo vengono presentati come “Re di Sicilia”, mentre solo il primo lo fu di fatto, dal 1266 al 1282. Dopo quella data si dovettero ritirare a Napoli. Torniamo a La Grange, pranziamo dal lato del giardino alla francese. Passa una vetratista che dovrebbe restaurare una bella vetrata di S. Stanislao Kostka esposta in sala da pranzo. La cena di oggi invece si svolge nel donjon, dove Philippe prepara delle ottime sardine alla griglia.

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Figura 7. Tomba di Louis Jean Marie, XII Duca de La Tré moı̈lle. Figura 6. La Collé giale de Notre Dame de Thouars.

Giovedì mattina don Stanislas mi conduce ad un voluminoso granaio nuovo (almeno questo è ciò che mi sembra dall’esterno, in realtà è una costruzione di

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Figura 8. Les tapisseries de l’Apocalypse. Castello di Angers.
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Figura 9. Figura 10. La Vraie Croix di Baugé

servizio per diverse lavorazioni agricole), tutto di legno. Spalanca la porta di uno degli ambienti, chiusa

pottabile di 50 anni fa, giallo limone, comprata a Chambé ry e rimessa a nuovo da Olivier. Dopo avere armeggiato per aprire la capote con l’aiuto di Philippe, Olivier, Beatrice e Cyprien, mi porta a fare un giro per Baugé -en-Anjou, bagnati da una pioggerella leggera.

Torniamo prima delle 11:00. Don Stanislas celebra la messa nel piccolo oratorio sistemato in una camera della mansarda. Partecipano la famiglia e gli ospiti presenti, compreso il barone, arrivato nottetempo in auto dalla Polonia. Per pranzo don Stanislas cucina ottimi spaghetti al pesto, cotti al dente. Dopo pranzo andiamo in un convento di suore dove è custodita la Vraie Croix di Baugé , la seconda reliquia più grande al mondo della Croce, portata da Gerusalemme nel 1244, impreziosita da una ricca montatura in oro, gemme e perle. Si potrebbe rimanere ore a pregare là davanti.

Da lı̀ ci spostiamo al castello di Baugé , costruzione imponente, con un allestimento adatto alle visite didattiche di bambini e adolescenti (sugli adulti l’effetto è un po’ stucchevole). In serata Cyprien propone una degustazione di birre, spiegandone prima le caratteristiche. Ci osserva Tout-Beau, il fox terrier di

Beatrice, con quegli occhi lacrimosi da cucciolo che vorrebbe farti credere di essere digiuno da parecchi giorni. Ogni tanto gli offro qualcosa. Mi segue anche se lo chiamo Beau-Tout. A tal proposito Philippe mi mette in guardia con una citazione di Antoine Bernheim: La reconnaissance est une maladie du chien non transmissible à l’homme. Il padrone di casa si riferisce ironicamente alla riconoscenza interessata, cosı̀ estranea alla sua sensibilità .

Venerdì mattina, 28 luglio, comincia con un coro di auguri festosi a Philippe, che compie oggi 60 anni. Si nota che apprezza molto le manifestazioni di affetto. Allo stesso tempo la sua natura schiva lo spinge ad evitare i riKlettori. Facciamo un giro nelle belle chiese dei paesini accorpati di recente nel comune di Baugéen-Anjou, testimonianza della fede viva degli antenati. Olivier suona la tromba, proponendo brani di musica sacra in ogni chiesa. Sono ediKici per il culto a rischio, perché nell’ampio territorio sono rimasti soltanto due sacerdoti molto anziani. Il governo francese ha stabilito che le chiese nelle quali non venga celebrata almeno una messa all’anno siano alienate o abbattute. Prima di pranzo consegno a Philippe una lettera che avevo scritto su carta pergamenata prima di partire, in italiano, con allegata una goffa traduzione in francese elaborata con l’aiuto della rete. Vo-

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levo esprimergli sentimenti di gratitudine e ammirazione, descrivendogli il regalo che gli ho portato: un’acquasantiera d’argento, opera del maestro palermitano Piero Accardi. La reazione è un’ulteriore manifestazione della sua nobiltà d’animo. Fa leggere prima alla moglie poi ai Kigli la lettera, mostrando compiaciuto il manufatto artigianale. Il clima del pranzo è molto festoso, ancora più ilare del solito. I loro cibi sono delicati e saporiti. Senza forzarmi eccessivamente, in questi giorni mi stanno facendo mangiare molto rispetto alle mie abitudini. Soprattutto mi stanno facendo bere molti tipi di vino, uno migliore dell’altro, e un sidro di loro produzione. Con la frutta dei loro campi fanno anche uno squisito succo di mele. Non so come io stia reggendo l’alcool.

La cena è organizzata sul prato. Arrivano parecchi amici. Da Flavigny si presentano con sette tipi diversi di eccellente formaggio francese. Anche il festeggiamento in giardino si svolge con una semplicità e una ricchezza di dettagli che colpiscono molto. Mi siedo di fronte a Philippe e osservo come la gioia sia fatta di piccoli gesti nel cuore degli uomini grandi. Accanto a me Veronique è un Kiume in piena di domande, racconti e considerazioni, con la sua incontenibile curiosità intellettuale. A seguire piccoli fuochi d’artiKicio, una cassa per trasmettere canzoni e un microfono per chi volesse cantare (Giuseppe in primis), regali molto familiari. Incantevole la sedia sdraio realizzata da Veronique per il marito, con una tela in cui ha ricamato grande la scritta 60. Arriva anche una telefo-

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Figura 13. Il tipico campanile della chiesa di La Vieil Baugé Figura 14. La cena del compleanno. Sotto: Veronique parla di Blaise Pascal.

nata da Palermo: un carissimo amico comune, Francesco, porge affettuosamente i suoi auguri a Philippe.

Sabato continuano i festeggiamenti, mentre Philippe continua a spostare l’attenzione dalla sua persona alle attività proposte per la giornata. Arrivano molti altri amici, a cui vengo presentato con molta precisione. Il giovane architetto delle Marche è introdotto come italiano. Quando indicano me, con un rispetto che mi confonde, sottolineano che sono siciliano. Mi fanno tutti parecchie domande sull’identità e sulla libertà della Sicilia. E soprattutto su ciò che mi sta molto a cuore, una fede vibrante che produce cultura, in tutti i popoli. Il pranzo è nel donjon. Nel pomeriggio, nel giardino alla francese, una cinquantina di ospiti ascoltano Veronique parlare di Blaise Pascal

(ricorre il 400° anniversario della nascita), con intermezzi musicali per pianoforte (Cyril) e tromba (Olivier). Poi nel cortile ci dividiamo in cinque squadre per rispondere a domande difKicilissime sui vini francesi, con un altro Pascal ma di nome, di cognome Baruchi, enologo, appassionato all’argomento ma senza quell’atteggiamento ieratico, fuori luogo, da baccanale moderno, che non piace affatto a Philippe. InKine buffet con prodotti tipici e grandi chiacchierate sui temi più svariati. Ho potuto parlare a lungo, in italiano, con Etienne, uno storico dell’arte che si occupa della tutela delle opere d’arte angioine. Conosce bene Palermo e l’apprezza molto. Gli regalo una copia del libro scritto con Guido Santoro, Liturgia, Cosmo, Architettura, edito da Cantagalli. Si mette subito a sfogliarlo con l’occhio esperto di un uomo di cultura.

Domenica 30 luglio. Di mattina don Stanislas celebra una messa solenne nel piccolo oratorio della casa, dove ci sistemiamo in tanti, facendo attenzione a non dare capocciate ai Kianchi inclinati della mansarda. Per pranzo Philippe e Stanislas impastano e cuociono al forno una sofKicissima pizza. Nel pomeriggio, dulcis in fundo, partecipiamo ad una rappresentazione di grande qualità de La Jiancée vendue, all’Opè ra di Baugé , eseguita dentro un tendone collocato a Kianco di uno château, acquistato venti anni fa da una famiglia inglese. La stagione estiva prevede parecchie opere. Nell’intervallo torniamo a La Grange per una rapida cena con alcuni degli ospiti. Ho il tempo di parlare in castigliano con uno di loro, uno storico. Torniamo all’Opè ra. Alla Kine prendo gli accordi per la partenza di domattina, salutando tutti coloro che non vedrò , data l’ora antelucana prevista.

Lunedì 31 luglio. Alle 3:30 Cyprien, con una generosità discreta, di chi non fa pesare stanchezza e sacriKici, accompagna me e l’architetto di Ascoli all’aeroporto di Nantes. Il viaggio è un’occasione propizia per ascoltare i racconti del giovane ingegnere parigino. Alle 6:00 mi imbarco su un aereo pieno Kino all’ultimo posto di giovani famiglie francesi dirette in Sicilia per le vacanze. Sono contento che gli incendi scoppiati la scorsa settimana non li abbiano indotti a cambiare programmi. Osservo dal Kinestrino il paesaggio francese con il cuore colmo di riconoscenza nei confronti dei favolosi proprietari de La Grange. Eh stata una settimana indimenticabile, nella quale ho messo da parte tutti i pregiudizi che avrei potuto coltivare nei confronti degli angioini. Dobbiamo fare di tutto per riscrivere le nostre storie reciproche, collaborando da amici.

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Figura 15. Alcune squadre della gara sui vini francesi.
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Figura 16. Giuseppe, Beatrice, don Stanislas, Philippe, Veronique, Laurent, Ciro, Olivier e Tout-Beau.
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Storia dei veleni Introduzione

La storia dei veleni è antica quasi quanto quella dell'uomo. Per veleno si intende una sostanza che, assunta da un orgnismo vivente ha effetti dannosi temporanei o permenenti, Iino ad essere letali. Il veleno è cosı̀ strettamente legato alla storia dell'uomo in quanto può essere considerato uno dei principi regolatori e omeostatici dell'armonia della vita sulla terra, visto che partecipa costantemente alla salvaguardia degli equilibri naturali esistenti tra le diverse specie, che lo utilizzano come arma sia di difesa che di offesa. Il veleno ha quindi con l'uomo un rapporto viscerale e antico. In un universo di opposti si può assurgere a emblema di un dualismo che permea la natura stessa, a volte vissuta come efferata nemica da combattere, a volte come alleata da cui trarre indispensabili risorse vitali. Quando si parla di avvelenamenti il pensiero subito corre al più famoso avvelenato della storia, Socrate, il grande Iilosofo greco, condannato a morte bevendo un boccale di cicuta, una velenosa pianta della famiglia delle Ombrellifere. La stessa però ha proprietà calmanti che nell'antichità vennero sfruttate per nevralgie, epilessia, tossi convulsive e dolori del cancro. Come non ricordare poi Cleopatra, bellissima regina dell'antico Egitto, che pare si uccise con un morso letale di cobra, lo stesso veleno che alcune ricerche indicherebbero come efIicace farmaco anticoagulante per i problemi cardiaci. In generale, gli studi sul veleno di varie specie di serpenti promettono oggi risultati sorprendenti, dalla terapia del dolore all'epilessia all'ipertensione.

Il noto arsenico, tanto amato dai Borgia, chiamato anche "polvere di successione", quando somministrato in piccole quantità a una balia contaminava il latte, uccidendo cosı̀ i neonati rivali. Eppure con l'arsenico, Ippocrate, padre della medicina, nel V secolo a. C. curava l'ulcera; fu impiegato ancora Iino ai primi del Novecento per trattare numerosi disturbi e malattie, dall'asma alla siIilide.

Con l'estratto di tasso, albero velenoso, venne ucciso il padre di Amleto, ma da una specie del PaciIico (Taxus brevifolia) viene estratto il tassolo, impiegato per la cura di alcuni tumori del seno e delle ovaie. Quindi ciò che uccide può anche guarire.

Segnare un limite netto tra fra medicamento e veleno è molto difIicile, il tutto si riduce in ultima analisi

alla dose con cui queste sostanze vengono somministrate; ad esempio, è noto che una goccia di acido prussico, lasciata cadere su una mucosa, può determinare una morte fulminea, mentre questo stesso acido opportunamente diluito diventa un farmaco prezioso. Fin dall’antichità , quindi, le stesse speciIiche piante impiegate per la produzione di principi con azione farmacologica sono utilizzate anche per la realizzazione di veleni terribili; infatti, come sosteneva Paracelso, “è la dose a fare il veleno”. Il concetto di veleno non può essere separato dal concetto di dose. In natura infatti praticamente tutte le sostanze possono provocare un danno su un organismo vivente; quello che permette di identiIicare una sostanza come tossica è la dose a cui provoca effetti dannosi. Alcune sostanze devono essere ingerite in quantità enormi per provocare un danno (per esempio l'acqua o il normale sale da cucina), altre a piccolissime dosi (per esempo il cianuro). In maniera analoga farmaci a determinate dosi hanno effetti curativi, mentre a dosi più elevate sono tossici (per esempio la digitale).

Questo concetto, noto già dai tempi degli antichi Greci ed inteso nel senso che essi davano al vocabolo phàrmakon, cioè medicina e veleno al tempo stesso, e confermato dalle esperienze di Paracelso (Theophrastus Bombastus von Hoheneim, tardo Medioevo), dimostra che non può esistere una soddisfacente deIinizione di veleno nella stessa misura in cui non esistono sostanze in assoluto velenose ed altre che, invece, non lo sono: tutti i costituenti organici ed inorganici presenti nell’ambiente possono assumere le caratteristiche di sostanza tossica.

Quello rappresentato dalle intossicazioni sostenute dal contatto con veleni vegetali, pur non essendo forse il più importante, in termini di frequenza, in clinica tossicologica, è certamente il capitolo più va-

Apotheca & Storia
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*Farmacista

sto ed eterogeneo, nonché affascinante e ricco di storia.

Nella mitologia greca la triade che sovrintendeva, non solo alla medicina, ma al molto più complesso rapporto tra normalità e patologia, era composta di ben tre divinità . La prima è Ermes-Mercurio, la divinità dell’annuncio e della sottile ironia, dello «spirito che rende liberi e sani», ma anche della duplicità e della trasformazione insite nell’ordine delle cose. Il caduceo di Mercurio è il simbolo della coniugazione degli opposti, i due serpenti la cui risalita e avvinghiamento lungo l’axis mundi, genera un nuovo equilibrio. Ma il calice della salvezza, nel quale si abbeverano le serpi, è quello nel quale Asclepio, Iiglio di Apollo, dio dell’armonia, preparerà i suoi rimedi. Questi saranno poi somministrati secondo «scienza e coscienza» seguendo la saggezza di Atena. Ma il rimedio, il phàrmakon, non sarebbe possibile senza il veleno del serpente, in altre parole senza che anche il male partecipi alla guarigione. La coppia ErmesApollo da una parte, ed i due serpenti dall’altra, delineano un dualismo che riIlette essenzialmente il rapporto archetipico tra il normale ed il patologico, che non possono e non devono essere scissi.

Le prime tracce dell'utilizzo del veleno risalgono alla preistoria. Alla Iine del Paleolitico, 10.000 anni fa per cacciare si usavano frecce con la punta avvelenata da stricnoidi. Il termine "tossico" deriva proprio dal greco toxicon che signiIica "freccia avvelenata". Ancora oggi i popoli dell'Amazzonia cacciano con frecce al curaro, che estraggoono da varie piante. Tale veleno uccide al contatto perché paralizza i muscoli fra cui quelli respiratori, mentre è innocuo se assunto per via orale, quindi le carni della preda possono essere ingerite senza problemi.

L’utilizzazione delle piante come medicamento affonda le sue radici storiche nella notte dei tempi, se consideriamo di quale prestigio esse godevano nella civiltà Egizia, Indiana e Cinese. Nell’antico Egitto le piante avevano un ruolo fondamentale nella terapia di molte delle forme patologiche riconosciute all’epoca, come si evince dall’analisi del Papirus Ebers, collocabile temporalmente intorno al 1550 a.C., che detta le norme per la terapia e si avvale copiosamente delle piante medicinali come componenti base di miscele di ingredienti. D’altronde, già la medicina indiana prevedeva un uso estesissimo delle piante medicinali, i cui estratti, somministrati sotto forma di decotti, tisane o anche mediante l’inalazione di pol-

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Figura 1. Natura morta farmaceutica.

veri, venivano classiIicati sulla base del sapore, ritenuto indice speciIico della composizione e delle proprietà terapeutiche. La farmacologia cinese prescrive anch’essa l’adozione di infusi e decotti di moltissime piante, come si può evincere dall’analisi dei due maggiori trattati, il pei tshao chingchi ed il pei tshao kang mu, che appaiono come compendi di nozioni di mineralogia, botanica, medicina ed altro ancora. Effetti medicamentosi e tossici di molte piante, dunque, sono noti Iin dall’antichità e ben presto le diverse tradizioni che si consolidano portano a disciplinarne l’uso. Solo per fare alcuni esempi, nell’antica Grecia, l’estratto di Conium maculatum L. (Cicuta major) era utilizzato come veleno di Stato (almeno secondo il racconto di Platone relativo all’uccisione di Socrate); la Lex Cornelia (82 a. C.), la prima legge che punisce gli avvelenamenti, fu promulgata allo scopo di porre un freno all’epidemia di avvelenamenti registrata nell’antica Roma. Nel Medioevo grandissimo rilievo assumono le epidemie accidentali di “ergotismo cronico”, volgarmente chiamato “fuoco sacro” o “fuoco di Sant’Antonio”, dovuto all’infestazione della segale da parte della Claviceps purpurea, un parassita delle Graminaceae. Inoltre, nella stessa epoca storica, di grande signiIicato sociale appare l’uso di sostanze allucinogene (mescalina, peyotlina, ecc.) che si faceva in ambiente religioso, senza dimenticare che l’epoca è pesantemente segnata dalla pratica degli avvelenamenti perpetrati e Iinalizzati allo scopo di rag-

giungere scopi personali in campo politico, economico, ecc. Il veleno avrebbe potuto continuare ad essere l’arma più preziosa per dirimere le questioni nelle vicende politiche o domestiche se, nella seconda metà del XIX secolo, non fosse sopraggiunto il progresso scientiIico (messa a punto di metodi afIidabili di analisi chimica) a gettare acqua sul fuoco di una pratica inveterata e ormai radicata negli usi e costumi dell’uomo. A questa epoca deve farsi risalire, infatti, la nascita della scienza tossicologica, per opera dello spagnolo Mattieu Joseph Bonaventura Orphila (1787-1853), il quale può a ragione essere considerato il padre della tossicologia moderna. Da quel momento, un veleno individuato, scoperto, neutralizzato, è un tossico ed ha perso molta della sua pericolosità per la vittima dell’intossicazione. Ciononostante, siamo ben lontani dalla ghettizzazione dei veleni nel museo delle armi antiche, considerato anche che, grazie al suo naturale polimorIismo, il veleno potrebbe volgere a proprio vantaggio la stessa rivoluzione scientiIica e tecnologica che ne ha minacciato l’esistenza.

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