6 minute read

Storia dei veleni Introduzione

Giusi Sanci*

La storia dei veleni è antica quasi quanto quella dell'uomo. Per veleno si intende una sostanza che, assunta da un orgnismo vivente ha effetti dannosi temporanei o permenenti, Iino ad essere letali. Il veleno è cosı̀ strettamente legato alla storia dell'uomo in quanto può essere considerato uno dei principi regolatori e omeostatici dell'armonia della vita sulla terra, visto che partecipa costantemente alla salvaguardia degli equilibri naturali esistenti tra le diverse specie, che lo utilizzano come arma sia di difesa che di offesa. Il veleno ha quindi con l'uomo un rapporto viscerale e antico. In un universo di opposti si può assurgere a emblema di un dualismo che permea la natura stessa, a volte vissuta come efferata nemica da combattere, a volte come alleata da cui trarre indispensabili risorse vitali. Quando si parla di avvelenamenti il pensiero subito corre al più famoso avvelenato della storia, Socrate, il grande Iilosofo greco, condannato a morte bevendo un boccale di cicuta, una velenosa pianta della famiglia delle Ombrellifere. La stessa però ha proprietà calmanti che nell'antichità vennero sfruttate per nevralgie, epilessia, tossi convulsive e dolori del cancro. Come non ricordare poi Cleopatra, bellissima regina dell'antico Egitto, che pare si uccise con un morso letale di cobra, lo stesso veleno che alcune ricerche indicherebbero come efIicace farmaco anticoagulante per i problemi cardiaci. In generale, gli studi sul veleno di varie specie di serpenti promettono oggi risultati sorprendenti, dalla terapia del dolore all'epilessia all'ipertensione.

Advertisement

Il noto arsenico, tanto amato dai Borgia, chiamato anche "polvere di successione", quando somministrato in piccole quantità a una balia contaminava il latte, uccidendo cosı̀ i neonati rivali. Eppure con l'arsenico, Ippocrate, padre della medicina, nel V secolo a. C. curava l'ulcera; fu impiegato ancora Iino ai primi del Novecento per trattare numerosi disturbi e malattie, dall'asma alla siIilide.

Con l'estratto di tasso, albero velenoso, venne ucciso il padre di Amleto, ma da una specie del PaciIico (Taxus brevifolia) viene estratto il tassolo, impiegato per la cura di alcuni tumori del seno e delle ovaie. Quindi ciò che uccide può anche guarire.

Segnare un limite netto tra fra medicamento e veleno è molto difIicile, il tutto si riduce in ultima analisi alla dose con cui queste sostanze vengono somministrate; ad esempio, è noto che una goccia di acido prussico, lasciata cadere su una mucosa, può determinare una morte fulminea, mentre questo stesso acido opportunamente diluito diventa un farmaco prezioso. Fin dall’antichità , quindi, le stesse speciIiche piante impiegate per la produzione di principi con azione farmacologica sono utilizzate anche per la realizzazione di veleni terribili; infatti, come sosteneva Paracelso, “è la dose a fare il veleno”. Il concetto di veleno non può essere separato dal concetto di dose. In natura infatti praticamente tutte le sostanze possono provocare un danno su un organismo vivente; quello che permette di identiIicare una sostanza come tossica è la dose a cui provoca effetti dannosi. Alcune sostanze devono essere ingerite in quantità enormi per provocare un danno (per esempio l'acqua o il normale sale da cucina), altre a piccolissime dosi (per esempo il cianuro). In maniera analoga farmaci a determinate dosi hanno effetti curativi, mentre a dosi più elevate sono tossici (per esempio la digitale).

Questo concetto, noto già dai tempi degli antichi Greci ed inteso nel senso che essi davano al vocabolo phàrmakon, cioè medicina e veleno al tempo stesso, e confermato dalle esperienze di Paracelso (Theophrastus Bombastus von Hoheneim, tardo Medioevo), dimostra che non può esistere una soddisfacente deIinizione di veleno nella stessa misura in cui non esistono sostanze in assoluto velenose ed altre che, invece, non lo sono: tutti i costituenti organici ed inorganici presenti nell’ambiente possono assumere le caratteristiche di sostanza tossica.

Quello rappresentato dalle intossicazioni sostenute dal contatto con veleni vegetali, pur non essendo forse il più importante, in termini di frequenza, in clinica tossicologica, è certamente il capitolo più va- sto ed eterogeneo, nonché affascinante e ricco di storia.

Nella mitologia greca la triade che sovrintendeva, non solo alla medicina, ma al molto più complesso rapporto tra normalità e patologia, era composta di ben tre divinità . La prima è Ermes-Mercurio, la divinità dell’annuncio e della sottile ironia, dello «spirito che rende liberi e sani», ma anche della duplicità e della trasformazione insite nell’ordine delle cose. Il caduceo di Mercurio è il simbolo della coniugazione degli opposti, i due serpenti la cui risalita e avvinghiamento lungo l’axis mundi, genera un nuovo equilibrio. Ma il calice della salvezza, nel quale si abbeverano le serpi, è quello nel quale Asclepio, Iiglio di Apollo, dio dell’armonia, preparerà i suoi rimedi. Questi saranno poi somministrati secondo «scienza e coscienza» seguendo la saggezza di Atena. Ma il rimedio, il phàrmakon, non sarebbe possibile senza il veleno del serpente, in altre parole senza che anche il male partecipi alla guarigione. La coppia ErmesApollo da una parte, ed i due serpenti dall’altra, delineano un dualismo che riIlette essenzialmente il rapporto archetipico tra il normale ed il patologico, che non possono e non devono essere scissi.

Le prime tracce dell'utilizzo del veleno risalgono alla preistoria. Alla Iine del Paleolitico, 10.000 anni fa per cacciare si usavano frecce con la punta avvelenata da stricnoidi. Il termine "tossico" deriva proprio dal greco toxicon che signiIica "freccia avvelenata". Ancora oggi i popoli dell'Amazzonia cacciano con frecce al curaro, che estraggoono da varie piante. Tale veleno uccide al contatto perché paralizza i muscoli fra cui quelli respiratori, mentre è innocuo se assunto per via orale, quindi le carni della preda possono essere ingerite senza problemi.

L’utilizzazione delle piante come medicamento affonda le sue radici storiche nella notte dei tempi, se consideriamo di quale prestigio esse godevano nella civiltà Egizia, Indiana e Cinese. Nell’antico Egitto le piante avevano un ruolo fondamentale nella terapia di molte delle forme patologiche riconosciute all’epoca, come si evince dall’analisi del Papirus Ebers, collocabile temporalmente intorno al 1550 a.C., che detta le norme per la terapia e si avvale copiosamente delle piante medicinali come componenti base di miscele di ingredienti. D’altronde, già la medicina indiana prevedeva un uso estesissimo delle piante medicinali, i cui estratti, somministrati sotto forma di decotti, tisane o anche mediante l’inalazione di pol- veri, venivano classiIicati sulla base del sapore, ritenuto indice speciIico della composizione e delle proprietà terapeutiche. La farmacologia cinese prescrive anch’essa l’adozione di infusi e decotti di moltissime piante, come si può evincere dall’analisi dei due maggiori trattati, il pei tshao chingchi ed il pei tshao kang mu, che appaiono come compendi di nozioni di mineralogia, botanica, medicina ed altro ancora. Effetti medicamentosi e tossici di molte piante, dunque, sono noti Iin dall’antichità e ben presto le diverse tradizioni che si consolidano portano a disciplinarne l’uso. Solo per fare alcuni esempi, nell’antica Grecia, l’estratto di Conium maculatum L. (Cicuta major) era utilizzato come veleno di Stato (almeno secondo il racconto di Platone relativo all’uccisione di Socrate); la Lex Cornelia (82 a. C.), la prima legge che punisce gli avvelenamenti, fu promulgata allo scopo di porre un freno all’epidemia di avvelenamenti registrata nell’antica Roma. Nel Medioevo grandissimo rilievo assumono le epidemie accidentali di “ergotismo cronico”, volgarmente chiamato “fuoco sacro” o “fuoco di Sant’Antonio”, dovuto all’infestazione della segale da parte della Claviceps purpurea, un parassita delle Graminaceae. Inoltre, nella stessa epoca storica, di grande signiIicato sociale appare l’uso di sostanze allucinogene (mescalina, peyotlina, ecc.) che si faceva in ambiente religioso, senza dimenticare che l’epoca è pesantemente segnata dalla pratica degli avvelenamenti perpetrati e Iinalizzati allo scopo di rag- giungere scopi personali in campo politico, economico, ecc. Il veleno avrebbe potuto continuare ad essere l’arma più preziosa per dirimere le questioni nelle vicende politiche o domestiche se, nella seconda metà del XIX secolo, non fosse sopraggiunto il progresso scientiIico (messa a punto di metodi afIidabili di analisi chimica) a gettare acqua sul fuoco di una pratica inveterata e ormai radicata negli usi e costumi dell’uomo. A questa epoca deve farsi risalire, infatti, la nascita della scienza tossicologica, per opera dello spagnolo Mattieu Joseph Bonaventura Orphila (1787-1853), il quale può a ragione essere considerato il padre della tossicologia moderna. Da quel momento, un veleno individuato, scoperto, neutralizzato, è un tossico ed ha perso molta della sua pericolosità per la vittima dell’intossicazione. Ciononostante, siamo ben lontani dalla ghettizzazione dei veleni nel museo delle armi antiche, considerato anche che, grazie al suo naturale polimorIismo, il veleno potrebbe volgere a proprio vantaggio la stessa rivoluzione scientiIica e tecnologica che ne ha minacciato l’esistenza.

Bibliografia

1. Magalini S.I., Macaluso S., Sandroni C., Addario C., Sindromi tossiche da principi di origine vegetale. Caleidoscopio n. 96, Genova 1995.

2. Huxtable R.J., The myth of beneDicent nature: the risks of herbal preparations . Ann Intern Med. 1992 Jul 15;117(2):165-6. doi: 10.7326/0003-4819-117-2-165. PMID: 1605432.

3. Larrey D., et al., Hepatitis after germander (Teucrium chamaedrys) administration: another instance of herbal medicine hepatotoxicity. Ann Intern Med. 1992 Jul 15;117(2):129-32. doi: 10.7326/0003-4819-117-2-129. PMID: 1605427.

4. De Maleissye J., Storia dei veleni. Da Socrate ai giorni nostri. Odoya editore, 2008.

5. Pons P.P., I misteri dei veleni. Dall'antichità a oggi. De Vecchi editore, 2010.

6. Ferraris C., Veleni e avvelenamenti. UlricoHoepli EditoreLibraio della Real Casa, Milano, 1897. Note di aggiornamento di Mori E., 2002, pp. 5-12.

This article is from: