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Per una storia degli artisti dimenticati

IV parte

Rodolfo Papa

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Quando si arriva o si parte da Roma, necessariamente si passa dalla Stazione Termini e lı̀ per forza di cose, si va a Messa nella chiesa del Sacro Cuore a via Marsala. La statua dorata del Sacro Cuore di Gesù sulla guglia del tetto del campanile della chiesa è visibile da tutta la città , anzi quando si guarda Roma dal Gianicolo è uno dei punti topograPici di riferimento per orizzontarci e riconoscere i vari ediPici e quartieri della città . La chiesa è parte di un complesso architettonico tenuto dai Salesiani. Intere generazioni di romani si sono formate lı̀, in quel convento dei Salesiani, e quel luogo è ancora oggi, a distanza di un secolo e mezzo dalla sua ediPi- cazione, un punto di riferimento devozionale, liturgico e spirituale, non solo per la Capitale, ma anche per le migliaia di pellegrini che ogni anno vi passano, anche solo per la Santa Messa o per visitare i luoghi dove visse San Giovanni Bosco.

La chiesa fu voluta da papa Pio IX, che nel 1870 pose la prima pietra del nuovo ediPicio all’interno di un più vasto progetto di urbanizzazione dell’area. Infatti, come scrive Italo Insolera in Roma Moderna, «il governo pontiPicio aveva costruito la ferrovia RomaFrascati con stazione a Porta Maggiore nel 1856, poi quella Roma-Ceprano con Stazione a Termini nel 1862 e nel 1863 aveva deciso che questa diventasse la stazione unica: ma era stato soprattutto il ministro delle Armi, l’intraprendente monsignor De Merode, docente di Storia delle teorie estetiche, Storia dell’Arte Sacra, Traditio Ecclesiae e Beni Culturaia dell’Arte Sacra (Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant'Apollinare, Roma; Master II Livello di Arte e Architettura Sacra della Università Europea, Roma; Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; PontiPicia Università Urbaniana, Roma; Corso di Specializzazione in Studi Sindonici, Ateneo PontiPicio Regina Apostolorum). Tra i suoi scritti si contano circa venti monograPie, molte delle quali tradotte in più lingue e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; “Espiritu”; “La Società ”; “Rogate Ergo”; “Theriaké ” ).

Rodolfo Papa, PhD. Pittore, scultore, teorico, storico e Pilosofo dell'arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Accademico Ordinario della PontiPicia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Docente di Arte Sacra, Tecniche Pittoriche nell’Accademia Urbana delle Arti. Presidente dell'Accademia Urbana delle Arti.

Collaborazioni televisive: “Iconologie Quotidiane” RAI STORIA; “Discorsi sull’arte” TELEPACE.

Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San PanPilo, Sulmona; Chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma; Monastero di Seremban, Malesia; Cappella del Perdono, SS. Sacramento a Tor de'schiavi, Roma …) grande quartiere di casoni regolari, squadrati ad angolo retto, costruiti insieme con stretta economia e apparente grandiosità , volutamente in contrasto con le case piccole e dimesse, con le vie buie e contorte della vecchia Roma: al centro del quartiere la via Merode, oggi via Nazionale, era già iniziata nel 1864» [2].

Insolera continua poi con una descrizione del paesaggio urbano, utile per comprendere Pino in fondo il senso della ediPicazione della chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù in quegli anni e in quel luogo: ad occuparsi in proprio della zona» [1]. Roma era ormai divenuta luogo di contesa in un gioco geopolitico internazionale e, anche se aveva già subito prima con Napoleone e poi con Mazzini e Garibaldi alcuni sconvolgimenti sociali, era in qualche modo uscita indenne sia nell’assetto sociopolitico che urbanistico. In qualche modo le migrazioni volute da Napoleone verso Roma erano state riassorbite ed erano stati tamponati i problemi economici della popolazione, da queste causate. Roma però aveva necessità di qualche cambiamento e di trasformazioni che la rendessero al passo con i tempi. Italo Insolera continua la sua analisi del periodo storico scrivendo che

«De Merode aveva capito due cose: innanzitutto che l’immobilismo, l’evitare qualsiasi cambiamento, non era l’arma migliore per difendersi dai cambiamenti non desiderati e che quindi Roma sarebbe uscita prima o poi, col papa o col re, dalla sua stasi secolare; in secondo luogo che sarebbe stata allora destinata a grande avvenire la zona delle vigne e orti tra il Quirinale e la nuova lontana stazione ferroviaria. In tutta quella zona De Merode aveva comprato terreni e cominciato a costruire un

«Nel 1870 tutta la zona doveva fare uno strano effetto: in aperta campagna sorgevano separati uno dall’altro i ruderi delle Terme di Diocleziano, il capannone della stazione Termini, Santa Maria Maggiore con poche case davanti, e un po’ di vie rettilinee con qualche casa nella zona oggi compresa tra via Torino e San Vitale. Tutt’attorno ville o campi: le prime case di Roma erano alla Suburra, a Magnanapoli, alle Quattro Fontane» [3].

Pio IX volle, dunque, ediPicare una nuova chiesa in quel nuovo quartiere che stava per sorgere e posizionarla proprio al Pianco della neonata stazione Termini che divenendo stazione unica come abbiamo visto, già nei progetti urbanistici pontiPici del 1863, era destinata ad aumentare di importanza nei decenni successivi, prima nei primi governi del Regno d’Italia e poi ancor di più in epoca fascista con ampliamenti che durano Pino a noi oggi. La stazione Termini è un luogo di transito che porta milioni di persone ogni anno a passare per la Capitale e quindi quel progetto di pensare e realizzare un ediPicio di culto, come opera di misericordia e di carità spirituale nei confronti dei pellegrini prima e dei viaggiatori poi, è il segno di una visione ampia e nobile che lo Stato PontiPicio in uno dei suoi ultimi atti di governo compie prima degli sconvolgimenti politici e sociali avvenuti nella città di Roma con l’avvento dell’Unità d’Italia.

Come abbiamo detto, Pio IX pose la prima pietra nel 1870 ed immediatamente dopo entrarono i bersaglieri a Porta Pia ed i lavori s’interruppero. Pio IX, fu dunque impossibilitato a proseguire, giacché tra l’annessione della città al Regno d’Italia e le conPische di molti beni, il pontePice non potette più operare sul territorio romano giacché non era più sotto la sua giurisdizione.

Nel febbraio del 1878 moriva Pio IX e gli succedeva al soglio pontiPicio Leone XIII, che nel 1880 chiese che la chiesa presso la stazione Termini fosse Pinita e che fosse non più dedicata a San Giuseppe Patrono della Chiesa, come nelle intenzioni di Pio IX, ma al Sacro Cuore di Gesù . E come si legge in una targa apposta nel 1987 per i cento anni dell’inaugurazione, la chiesa si potette erigere grazie alle enormi fatiche di San Giovanni Bosco, al quale Leone XIII aveva afPidato l’incarico di reperire i fondi necessari per ediPicare la chiesa. Il progetto fu afPidato all’architetto Francesco Vespignani, Piglio dell’architetto Virginio Vespignani, entrambi al servizio del Vaticano. Il progetto architettonico fu pensato non solo, come spesso si legge, nello stile che era in voga al tempo e che solitamente viene descritto come neo-rinascimentale, giacché questa descrizione formale risulterebbe riduttiva, quanto piuttosto venne scelto un principio formale in grado di creare un ponte tra i luoghi antichi come le vecchie Terme di Diocleziano, trasformate in parte in chiesa su progetto di Michelangelo, alcuni interventi architettonici cristiani, come la Basilica di Santa Maria Maggiore, e i nuovi ediPici costruiti dal De Merode e quelli che pian piano stavano sorgendo nell’area sui terreni delle immense e splendide ville patrizie cinque-seicentesche. Oggi tra ediPici novecenteschi, l’ar- chitettura razionalista della Stazione Termini, che continua a svilupparsi in una dimensione funzionalista che porta con sé un sapore formale volutamente “futuribile”, la Basilica del Sacro Cuore sembra ricacciata in una sorta di passato inespressivo e sorpassato. Ma questo è quanto si è indotti a pensare in un clima culturale che, omologando per approssimazioni il mondo delle arti, lo riduce ad un banale gioco stilistico, di ciò che andrebbe di moda e cosa no. In realtà le scelte operate per la realizzazione di questa basilica sono estremamente soPisticate e non banali, anzi combinano a volte soluzioni innovative, sia da un punto di vista compositivo, sia da un punto di vista stilistico. Se prendiamo la facciata su via Marsala e il lato esterno sinistro lungo via Vicenza, possiamo notare che in realtà lo stile non è possibile dePinirlo neoclassico, giacché ci sono rimandi a soluzioni architettoniche diverse. Ad esempio, i tre ingressi, che corrispondono ad altrettante navate, hanno porte sormontate da lunette mosaicate, ma non c’è un timpano triangolare a copertura della piccola pertinenza esterna, obbligata dal marciapiede e dalla strada, ma una piccola copertura ad arco, che semmai rimanda ad architetture quattrocentesche. I mattoncini romani, messi Pitti senza il Pilo di malta in evidenza, creano delle specchiature che rimandano sia all’opus testaceum romano, presente presso i vicini ruderi, sia alle architetture rinascimentali e barocche delle chiese e delle ville dei dintorni. Oggi molti degli ediPici sono stati abbattuti per far posto alla lottizzazione di quei terreni, ma allora tutto era immerso in parchi con giardini botanici unici in Europa, con piante esotiche da tutti i continenti conosciuti. Se poi pensiamo alla decorazione della facciata, scopriamo che la parte alta in travertino porta ad un piano superiore che in pianta corrisponde alla navata centrale, e che non possiede né un frontone classico, né una combinazione di più timpani come potrebbe trovarsi in una chiesa palladiana o neoclassica, ma presenta una trifora, che a ben guardare è lı̀ per descrivere uno spazio di luce atto ad accogliere vetrate istoriate che ritroviamo in forma di trifora anche nei bracci del transetto. Questo espediente consente una maggiore superPicie vetrata, con una scansione tale da poter collocare ogni volta un vero e proprio racconto. Quindi le vetrate non sono un riempitivo, ma al contrario, l’architettura si plasma in modo tale da accoglierne al meglio il loro sviluppo, sia dal punto di vista cromatico, che narrativo.

La facciata termina con un timpano triangolare ai cui lati sono stati collocati due angeli in marmo, che guardano verso l’alto, sulla cuspide dove si trova la croce. Le statue degli angeli sono opere di Angelo Benzoni. Al centro del timpano, come si conviene, si trova lo stemma di Leone XIII. Sul ripiano a sinistra è posta la statua di Sant’Agostino, a destra la statua di San Francesco di Sales. Come abbiamo già detto i tre portali sono sormontati da tre lunette con mosaici, realizzati su disegno di Angelo Zoffoli che rafPigurano al centro il Sacro Cuore, ovvero il titolo della basilica, a sinistra San Giuseppe memoria del progetto originario di Pio IX, e a destra San Francesco di Sales, dal quale prende nome l’ordine salesiano.

Figura 4. In alto: prospetto della Basilica.

In basso a sinistra: lunetta del portale centrale raffigurante il Sacro Cuore di Gesù

In basso a destra: campanile sormontato dalla grande statua in rame dorato con oro zecchino, collocata in occasione della beatificazione di don Bosco nel 1929.

La grande statua, di rame dorato con oro zecchino, venne posta in occasione della beatiPicazione di don Bosco nel 1929.

La progettazione architettonica dell’interno della basilica è anche dell’architetto Francesco Vespignani che, nella progettazione ornamentale, fu coadiuvato dall’ingegnere Valentino Grazioli e, per l’esecuzione dei complessi cicli decorativi, fu scelto Giuseppe Pierozzi. Sulle pareti della navata centrale Cesare Caroselli dipinse i dodici apostoli e sul sofPitto Virginio Monti, nel 1887, dipinse quattro episodi della misericordia di Dio verso l’uomo: Gesù e la Samaritana, Gesù tra i fanciulli, Gesù e l’adultera, il Aigliol prodigo Al centro c’è il Sacro Cuore, opera in legno dorato di Andrea Bevilacqua. Nelle pareti del transetto ancora gli apostoli e i quattro evangelisti in corrispondenza dell’intersezione con la cupola, e poi al centro degli archi due tondi che rappresentano rispettivamente Gesù che istituisce l’Eucaristia e Gesù come Buon Pa- store. Sul sofPitto a cassettoni del transetto l’Annunciazione di Maria e la Natività dipinte da Virginio Monti, che realizza anche l’affresco della cupola, il Trionfo del Cuore di Gesù, che sarà considerato il suo capolavoro.

Al centro dell’affresco della cupola, su un trono di luce, il Redentore che mostra a Santa Maria Margherita Alacoque, il suo cuore pieno d’amore. Attorno alla scena centrale, in atto di adorazione, la beata Caterina da Racconigi, angeli musicanti e altri angeli recanti simboli della passione, poi San Francesco di Sales, Santa Margherita, Santa Teresa, San Bernardo, Sant’Agostino, San Francesco d’Assisi, Santa Gertrude, San Bernardino da Siena, San Luigi Gonzaga ed inPine schiere di beati adoranti a perdita d’occhio. Nei quattro pennacchi della cupola, Cesare Caroselli affrescò Davide e i profeti maggiori per le profezie relative alla vita, alla missione redentrice e ai dolori di Cristo Redentore. In questa splendida cornice che abbiamo tratteggiato, è tanta la ricchezza e la cura dei dettagli decorativi voluti in gran parte dal medesimo don Bosco, conscio che la bellezza è indispensabile per rendere gloria a Dio, che l’arte aiuta la preghiera ed educa al bene. Infatti, Pin dall’inizio della sua missione presso i ragazzi, il giovane don Giovanni Bosco mise al centro dell’oratorio un dipinto mariano e poi non dimenticherà mai di farlo. La vita missionaria, spirituale e mistica di don Bosco ha una profonda relazione con le immagini, in particolar modo con quella della Vergine Maria, che gli appare e gli parla e lo aiuta a percorrere la sua chiamata di sacerdote, tra profezie, doni spirituali e carità

All’interno dello scrigno prezioso della basilica del Sacro Cuore, ci sono inoltre delle perle ancora più preziose di quelle già nominate, ovvero alcuni dipinti su tela che sono talmente famosi che, quando si parla dei temi ritratti, vengono subito alla mente. Ma la cosa strana è che seppur noti i dipinti, spesso non sappiamo che sono conservati in questa basilica e, la cosa ancora più strana, è che i nomi dei lori autori sono per lo più sconosciuti. Eppure, dipinti come il San Giuseppe protettore della Chiesa, dipinto da Giuseppe Rollini nel 1893, è un’opera celeberrima, diffusa in migliaia di santini ancor oggi. L’altra opera del Rollini presente in basilica fu addirittura dipinta con i suggerimenti dello stesso don Bosco, che aveva grande familiarità con il pittore giacché era ex allievo di don Bosco a Valdocco. Don Bosco suggerisce a Giuseppe Rollini come dipingere la tela dedicata a Maria Ausiliatrice; egli la volle con il diadema di regina sul capo, nella mano destra uno scettro e con il Figlio sulla sinistra, anch’egli incoronato, con attorno una schiera di angeli e, nella parte inferiore, secondo la tradizione cinque-seicentesca, un paesaggio marino con il sole nascente, intrecciando l’iconograPia mariana dell’Immacolata con quella della della Madre di Dio. L’iconograPia di Maria Ausiliatrice, per tutti noi che abbiamo studiato almeno un po’ dalle suore salesiane e poi frequentato gli oratori salesiani, è un punto di riferimento spirituale impre scindibile, che mantiene il sapore della nostra infan zia, adolescenza e giovinezza e nel frattempo la po tenza della devozione diffusa da San Giovanni Bosco in tutto il mondo. C’è poi un bellissimo dipinto di Attilio Palombi, rappresentante San Francesco di Sa les, in uno degli altari laterali della navata di destra vicino ad un altro splendido dipinto su tela di Giu seppe Crida, che rappresenta Santa Maria Domenica Mazzarello, realizzato nel 1966, molto noto anche se l’autore è pressoché sconosciuto, ed è il medesimo che realizza uno dei dipinti salesiani più famosi, ov vero Don Bosco e Domenico Savio, diffuso in mille copertine di libri, opuscoli, santini e che è considera to il miglior ritratto di don Bosco.

In questa basilica, il 16 maggio 1887 San Giovanni Bosco celebrò l’unica Messa: si interruppe molte vol te con un pianto a dirotto e tornato in sacrestia disse al segretario di aver capito quello che nel sogno di nove anni gli aveva detto la Madonna “a suo tempo tutto comprenderai”.

Possiamo concludere con due riPlessioni.

Il progetto architettonico generale della basilica del Sacro Cuore, come sempre dovrebbe essere fatto, si è sviluppato in collaborazione con maestranze speciPiche, decoratori, stuccatori, scalpellini, scultori, mosaicisti, vetraisti e pittori, ed è talmente armonico che non si può dire che nessuna delle arti prevarichi le altre. Nei decenni successivi, prima a causa di movimenti artistici, poi anche di scelte politiche, ad esempio la soppressione dell’Albo dei pittori e degli scultori nel 1948, l’intera azione di progettazione è stata gradualmente lasciata nelle mani degli architetti, che molte volte occupano ogni centimetro dell’ediPicio con soluzioni architettoniche, impedendo a qualunque altra arte di collaborare pienamente. Il risultato il più delle volte è simile a quello di un negozio di parrucchiere oppure a quello di una vecchia macelleria, per la quantità di marmi utilizzati per coprire le superPici.

InPine, se questi luoghi santi s’intrecciano con opere d’arte, e queste opere d’arte, dipinti, sculture, architetture hanno veicolato ed ancora veicolano la fede cattolica, dogmi e rivelazioni, diffondendo devozioni particolari, come quella del Sacro Cuore di Gesù , di Maria Ausiliatrice o di San Giuseppe Patrono della Chiesa, come possiamo non studiare queste opere, come possiamo dimenticare i nomi di questi grandissimi artisti? L’innovazione riposa sempre nella tradizione, e, dimenticata la tradizione, perso il testimone, difPicilmente si avrà qualcosa da tramandare. Il futuro è sempre nel passato, non riposare in esso ci impedisce di entrare nel futuro con le mani piene di doni.

Bibliografia

1. Insolera I., Roma Moderna. Un secolo di storia urbanistica 1870-1970. Einaudi, Torino, 1976, p. 10.

2. Ivi, p. 11.

3. Ibid.

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