Guarire con la psicosomatica

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VITTORIO CAPRIOGLIO

GUARIRE con la PSICOSOMATICA

Ogni disturbo nasconde

un messaggio

GUARIRE

CON LA PSICOSOMATICA

Ogni disturbo nasconde un messaggio

Prefazione di Ra aele Morelli

Guarire con la psicosomatica di Vittorio Caprioglio

© 2025 Edizioni Riza S.p.A. via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano - www.riza.it

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Le informazioni contenute nella presente pubblicazione sono a scopo informativo e divulgativo: pertanto non intendono sostituire, in alcun caso, il consiglio del medico di ducia.

INTRODUZIONE

Sono trascorsi quasi quattro secoli da quando Cartesio ha gettato il seme del pensiero scientifico nel mondo occidentale, dando origine alla visione meccanicistica della vita. Da questa deriva una medicina che ancora oggi non si discosta molto da “una nozione del corpo come macchina, della malattia come conseguenza di un guasto della macchina e del medico come colui che ha il compito di intervenire per riparare la macchina”1 come stigmatizzava già nel 1977, su “Science”, lo psichiatra statunitense George L. Engel. Con un approccio simile è difficile ripensare ai concetti di salute e di malattia in modo nuovo: quanto più ci si concentra su ambiti parcellizzati del corpo, tanto meno si riuscirà a vedere un malato come un’unità e non più come una somma di parti. Il modello medico corrente è ancora legato a un concetto di salute inteso come “assenza di malattia”. E nonostante l’OMS parli della salute come “completo benessere fisico, mentale e sociale” lasciando intendere una concezione più estesa e articolata dell’equilibrio tra mente e corpo, nella nostra cultura medica occidentale è fortemente radicato il convincimento che i “perché” della malattia siano sempre estranei all’individuo: ancora oggi il malato, con la sua personalità, il suo carattere, la sua unicità, le sue motivazioni ad ammalarsi o la sua voglia di guarire non hanno voce in capitolo. Per concepire la salute in modo differente e iniziare a prendere in considerazione i malati e non più le malattie è necessario uscire dal paradigma riduzionista proprio della scienza e aprirsi a una visione olistica.

1 George L. Engel, The Need for a New Medical Model: a Challenge for Biomedicine, in “Science”, 8 aprile 1977.

Nell’arco del ’900, a partire da Groddeck in Europa per arrivare ad Alexander e alla Flanders Dunbar negli Stati Uniti, ci sono stati vari tentativi di ridiscutere il modello medico dominante, senza riuscire peraltro a cambiare la mentalità imperante. Anche negli ambienti psicanalitici ci si è molto interrogati sul cosiddetto “misterioso salto tra la mente e il corpo” avanzando interessanti ipotesi di lavoro sul rapporto tra la personalità del malato e il tipo di disturbi di cui soffre. Ma è stato Carl Gustav Jung, con la sua rivoluzionaria “teoria della sincronicità”, ad affrancarci de nitivamente dal principio di causa-effetto e a consentirci di leggere in maniera totalmente innovativa il rapporto mente-corpo e la relazione che esiste tra la personalità di un malato e i disagi che lo af iggono.

Partendo da tali presupposti, sul nire degli anni Settanta, presso l’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, fondato da Raffaele Morelli e Gianlorenzo Masaraki e di cui faccio parte, nacque l’idea di “scendere sino alle radici di tutte le medicine, disponibili a ridiscutere i facili dogmi su cui si regge la scienza medica attuale”2 e di delineare un metodo olistico di approccio all’uomo e alla sua salute: quest’iniziativa innovativa di studio e ricerca, ancora attuale dopo più di quarant’anni, si è tradotta in un’esperienza editoriale, in un tragitto formativo per medici, psicologi e operatori del settore sociosanitario e in un modello di cura applicato da numerosi terapeuti. Questo libro prende spunto da quell’esperienza e vuole spiegare cosa si intenda per salute e malattia secondo una lettura psicosomatica.

2 Gianlorenzo Masaraki, Ra aele Morelli, Alle radici della medicina, in “Riza Psicosomatica”, 1980, n. 1, p. 3.

Prima parte LA TEORIA

PSICOSOMATICA

COSA SI INTENDE

PER MEDICINA PSICOSOMATICA

È la teoria che determina ciò che vediamo.

Le teorie che adottiamo determinano ciò che cogliamo della realtà: sono loro in ultima analisi a “decidere” ciò che esiste e non esiste, ciò che è vero e che non lo è… Questa specie di “paraocchi teorico” può falsare la nostra lettura di quello che vediamo fino a farci perdere la corretta visione della realtà. Ma il “filtro” teorico non influisce solo sulla nostra capacità di osservare le cose con neutralità: quando si trasforma in modello culturale condiziona la mentalità comune e il modo collettivo di agire. Questo è ciò che è accaduto alla medicina moderna che, ispirata dalle teorie scientifiche, ha “separato” il corpo dalla mente, ovvero ritiene che il mondo concreto e tangibile delle malattie organiche non possa essere influenzato dalla psiche, immateriale e rarefatta. La conseguenza di tale convinzione riduttiva è che un disturbo viene giudicato frutto di cause organiche (infiammazioni, lesioni, virus e batteri, alterazioni genetiche…), mentre non si collega mai una patologia al carattere di un individuo, oppure al suo atteggiamento mentale, alle relazioni che instaura, al rapporto più o meno valido che ha con se stesso e con il proprio mondo emotivo. No, nulla di tutto ciò viene considerato capace di incidere sul corpo, e quindi non può avere relazione alcuna con la malattia. Per questi motivi si è convinti, per esempio, che il mal di stomaco dipenda da un’alimentazione inappropriata o dalla presenza dell’helicobacter, oppure che il mal di testa nasca da una contrattura al collo o da una nevralgia, che l’asma derivi da una sostanza a cui siamo fortemente allergici, che l’orticaria sia provocata da un agente irritante con cui siamo entrati in contatto…

Come lucidamente spiegò Theodore Lidz:

La medicina, con ogni mezzo, ha cercato di comprendere l’uomo e i suoi mali concentrando l’interesse sull’esplicarsi del suo corredo genetico-biologico attraverso l’interazione con l’ambiente fisico. Questa teoria lascia poco posto per la considerazione dei problemi emotivi, se non come manifestazioni di un disturbo fisiologico o di una lesione cerebrale. Essa non può comprendere l’interrelazione tra mente e corpo, o tra gli stress derivanti dalle relazioni interpersonali e le attività fisiologiche.3

Purtroppo, non c’è proprio nulla di psicosomatico nell’approccio della medicina scientifica: per comprendere davvero i meccanismi che regolano la nostra salute e il significato di una malattia, abbiamo bisogno di un criterio e una teoria radicalmente diversi.

Altra teoria, altro concetto di salute

Un puro approccio scientifico infatti – seguendo il filo del concetto espresso da Einstein – impedisce di vedere molti aspetti della realtà e in particolare di riconoscere l’essere umano come un evento unico e la mente e il corpo come fatti della stessa sostanza. La scienza ha attribuito un valore assoluto ai principi di causa-effetto, spazio, tempo e oggettività, costruendo un metodo analitico in grado di studiare ogni elemento nel minimo dettaglio, ma inadeguato per una visione d’insieme: è in grado di spiegare perfettamente il funzionamento di un processo ma non ne coglie il senso nascosto. Al giorno d’oggi però l’egemonia della scienza è così schiacciante che ha imposto questo approccio riduttivo, finendo per dividere ciò che è sempre stato unito. Un po’ come se l’acqua e il ghiaccio, che sono la stessa sostanza in due stati diversi, venissero all’improvviso considerati mondi separati… O come se il sole dell’alba non fosse della stessa sostanza di quello che brilla al tramonto.

3 Silvano Arieti (a cura di), Manuale di psichiatria, Boringhieri, Torino 1980, vol. II, p. 875.

Infatti ancora Theodore Lidz ci ricorda che, negli anni Trenta, alcuni “pionieri” poco ascoltati della psicosomatica, provando a modificare la visione e l’approccio clinico, si resero conto delle connessioni esistenti tra elementi fisici e psichici:

Quando la medicina passò dalla ricerca delle cause singole delle malattie a considerare i fattori multipli che possono alterare le difese omeostatiche dell’organismo, si vide che i fattori emotivi avevano una parte importante nel determinare le malattie. Divenne chiaro che i fattori inerenti la personalità possono influenzare l’insorgenza e il decorso praticamente di ogni processo morboso. Persino nelle malattie infettive acute i disturbi affettivi possono indebolire le resistenze, sia direttamente che indirettamente, incoraggiando inconsciamente il soggetto a trascurarsi o a esporsi all’infezione. I confini della medicina psicosomatica si allargavano sempre più.4

Ecco allora che, alla fine degli anni Settanta – insieme ad alcuni colleghi dell’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica –, abbiamo ripreso e sviluppato una lettura diversa della salute e delle malattie, trovandoci peraltro di fronte a una notevole diffidenza e chiusura da parte del mondo medico, ancora restio a comprendere una visione basata su una teoria olistica. Olos infatti in greco significa “tutto”, e sta a indicare che tutto è unito, che ogni cosa che cade sotto i nostri occhi e che ci sforziamo di differenziare e separare appartiene a una realtà sola, legata da una trama invisibile. E soprattutto segue criteri di comportamento assai diversi da quelli riconosciuti dal pensiero scientifico. Se questa visione unitaria è corretta, dobbiamo allora guardare l’uomo come un evento globale, e non solo. Dobbiamo concepirlo come il “riassunto” ultimo del cammino dell’evoluzione, perché è in quel tragitto trasformativo infinito che hanno preso forma e significato le funzioni organiche, il cui “linguaggio” misterioso trascende il piano visibile e misurabile delle cose.

4 Ivi, p. 873.

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