Premiata Salumeria Italiana 1-2016

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXVIII N. 1 Gennaio-Febbraio 2016

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N. 1 Anno XXVIII Gennaio-Febbraio 2016

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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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N. 1

In questo numero: Immagini

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Agenda

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Lettere alla Redazione

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Legislazione

Dichiarazione nutrizionale: i colpi di coda del Regolamento UE 1169

Guido Guidi

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Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

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L’e-commerce del food: molte luci e qualche ombra di un mercato in crescita

Chiara Papotti

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Comunichiamo

Facebook e la Vanità

Chiara Russotto

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Aziende

Salumi De Stefani: tutto il gusto del Valdobbiadene

Massimiliano Rella 30

Prodotti tipici

Salumificio Scarlino, nuovo investimento nello stabilimento di Taurisano

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Negrini festeggia i suoi primi 25 anni in Spagna

34

Salumificio Macelleria Mannori, norcini in Vergaio

Elena Benedetti

David Salumi, maestri norcini nel cuore dell’Umbria

Massimiliano Rella 42

®

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Culaccia , morbida come il prosciutto, dolce e pastosa come il culatello

Franco Ferrari

La Qualità

La qualità europea del Radicchio Rosso di Treviso Igp compie vent’anni

Massimiliano Rella 48

Sapori dal mondo

Jamón de Teruel Dop, la stella d’Aragona

Riccardo Lagorio

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Analisi del food

Il piacere della paura

Giovanni Ballarini

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Indagini

Etichette, queste sconosciute

Guido Guidi

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Alla ricerca smodata dell’elisir di lunga vita

Sebastiano Corona

66

La tradizione in tavola

Il bollito, uno e trino

Guido Guidi

72

Locali di gusto

Damini & Affini, una stella in macelleria

Tania Mauri

78

Rassegne

Superzampone 2015, 780 chili di bontà e festa

82

La Piemontese si celebra con brodo caldo e vino a colazione

Tania Mauri

86

Fiere

Tengono i prodotti a marca, crescono premium e bio

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Formaggio

Parmigiano Reggiano Identity

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Dolci

Dita degli Apostoli, trionfo pugliese di ricotta, uova, mandorle e vincotto

Nunzia Manicardi

98

Vino

Alla conquista dell’Est

Riccardo Lagorio

102

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: dolce Sicilia

Laura Franchini

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Tecnologie

Preparazione ordini: cinque diverse soluzioni col CSB-System

Storia e cultura

Oleum lardinum, olio dimenticato

Libri

Around the world, nutrire il pianeta in un libro fotografico

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L’Atlante degli oli italiani

118

Petit traité de philosophie charcutière

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Crafted Meat, la nuova cultura della carne

119

Curiosità

Un po’ di gossip non guasta

110 Giovanni Ballarini

Angelo Valentini

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In copertina: Speck artigianale di Huber Otto con Pecorino Sardo Dop e Coltellerie Saladini (photo © Massimiliano Rella).

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I PRECOTTI APPETITOSI

Buon Appetito! Una novità dedicata agli amanti della buona cucina. Dall’esperienza Palmieri nella selezione e lavorazione delle carni, nasce una nuova linea di prodotti dedicata ai consumatori più esigenti che amano sperimentare nuove ricette avendo poco tempo da dedicare alla cucina di ogni giorno. GASTRONOMIA PALMIERI non è semplicemente una gamma che offre un’ampia scelta di piatti precotti a base di carne suina, di agnello e di anatra: è la possibilità di assaporare ogni giorno tante ricette originali e sfiziose a base di carni di qualità. Ricette preparate con ingredienti naturali e un’attenzione particolare ai nuovi stili alimentari, coniugando il gusto dei sapori più tradizionali con la voglia di novità.

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IMMAGINI

Tra i prodotti di casa De Stefani troviamo il più tipico salume del territorio locale, la Soppressa trevigiana. Cesare e Giacomo De Stefani sono i proprietari dell’azienda Salumi De Stefani a Guia di Valdobbiadene. Li ha incontrati per Premiata Salumeria Italiana Massimiliano Rella. Il servizio è a pagina 30 (photo © Massimiliano Rella).

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AGENDA

Milano Oltre 100 chef dall’Italia e dal mondo saranno ancora una volta insieme, protagonisti sul palcoscenico di Identità Golose, invitati a confrontarsi sul tema scelto per l’edizione 2016: “la forza della libertà”. L’appuntamento è al MiCo di Milano dal 6 all’8 marzo. Una grande occasione di networking e per una riflessione a 360 gradi sul valore della creatività e della convivialità messe a dura prova dalle tensioni che attraversano il mondo. Reagire significa anche intensificare gli scambi culturali e tecnici che avvengono nelle cucine e nelle sale dei ristoranti di tutto il mondo. La cucina, del resto, è sempre stata cultura, libertà di scambiarsi prodotti, cercare nuovi sapori, contaminarsi attraverso il meglio di civiltà e alimentazioni diverse. Va difesa la curiosità, la gioia davanti ad una novità, il sogno di chi intende innovare, di chi si apre al nuovo e si sottopone al giudizio del pubblico nella speranza che risulti gradito. Già confermata la partecipazione di grandi chef italiani e internazionali fra cui Massimiliano Alajmo, Massimo Bottura, Enrico Crippa, Davide Scabin, Carlo Cracco, Niko Romito, Matt Orlando (Danimarca), Matthew Kenney (USA), Isaac McHale (Gran Bretagna), Ricard Camarena (Spagna), Carlos Garcia (Venezuela) e Richard Toix (Francia). Oltre al tema principale, il cartellone proporrà le giornate tematiche dedicate ad approfondimenti specifici: domenica 6 marzo Identità di Gelato e Identità Naturali, lunedì 7 marzo Identità di Caffè, Identità di Pane e Panettone e Identità di Pizza, martedì 8 marzo Identità di Pasta e Identità di Mare (in alto, Davide Scabin del ristorante Combal.Zero, Rivoli, Torino; photo © Brambilla-Serrani per Identità Golose). identitagolose.it

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Campo Tures (BZ) Torna quest’anno a Campo Tures l’appuntamento biennale con il Festival del Formaggio. Dall’11 al 13 marzo in questo borgo che unisce la Valle di Tures e la Valle Aurina, più di 90 espositori da tutta Europa si incontrano all’interno di un’area espositiva di circa 1200 m2 per dar vita ad una kermesse che vede come assoluto protagonista il formaggio. Appassionati, curiosi, esperti del settore, produttori, cuochi o semplicemente buongustai hanno qui la possibilità di scoprire, assaggiare ed acquistare circa 1.000 tipologie diverse di formaggi attraverso degustazioni guidate, workshop, showcooking tenuti da chef altoatesini d’eccezione e un programma ad hoc pensato anche per i più piccoli. Una vetrina internazionale per i prodotti di qualità Alto Adige ed in particolare per il settore caseario che attraverso latterie, masi e caseifici ha l’opportunità di presentare il vasto e prelibato assortimento di formaggi della regione. kaesefestival.com

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Firenze Taste, il salone organizzato da Pitti Immagine nato da un’idea del gastronauta DAVIDE PAOLINI, quest’anno si svolgerà dal 12 al 14 marzo sempre all’interno della Stazione Leopolda di Firenze. Questo è un appuntamento con espositori super selezionati di salumi, dolci, paste, conserve, aceti e molto altro che consacra l’Italia del cibo di qualità, della ricerca sul gusto e della varietà gastronomica. Meta da non mancare per i professionisti dell’enogastronomia di fascia alta, Taste è visitato dai buyer del food, grandi department store e food store, distributori di enogastronomia di nicchia e stampa specializzata. pittimmagine.com/corporate/fairs/taste.html

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LETTERE ALLA REDAZIONE Etichettatura salumi stagionati: richiesta di un approfondimento In riferimento all’articolo di Marco Cappelli pubblicato su Premiata Salumeria Italiana n. 5/2005, dal titolo “Etichettatura: il termine minimo di conservazione sui salumi stagionati”, sarei interessato ad un approfondimento alla luce del Regolamento UE n. 1169/2011 e di altre eventuali normative. In particolare, un salame stagionato sistemato per la vendita all’interno di un supermercato in un espositore da dove il cliente lo prende e lo mette nel carrello, richiede nell’etichettatura la data di scadenza oppure “da consumarsi preferibilmente entro il…”, o può essere sufficiente la sola data di produzione? E-mail firmata La risposta al quesito Il Regolamento (UE) n. 1169/2011 sull’etichettatura degli alimenti obbliga gli operatori del settore alimentare a fornire ai consumatori le informazioni complete relative agli alimenti cosiddetti “preimballati” e fornisce la definizione di “alimento preimballato: l’unità di vendita destinata a essere presentata come tale al consumatore finale e alle collettività, costituita dall’alimento e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte in detto imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio; alimento preimballato non comprende gli alimenti preimballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta”. Tale definizione riprende quella di “alimento preconfezionato” di cui alla Direttiva 89/396/CEE, recepita in Italia con il DLgs n. 109/1992. Facciamo pertanto riferimento alla definizione di “confezionamento”, riportata nel Regolamento n. 852/2004: “il collocamento di un prodotto alimentare in un involucro o contenitore posti a diretto contatto con il prodotto alimentare in questione, nonché detto involucro o contenitore”. Un salame, così come descritto dal lettore (e così come tutti i sa-

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Un’illustrazione di Mattia Congiu tratta dal suo portfolio “The Farm” (photo © behance.net). lumi posti in vendita con analoghe modalità), si presenta come “unità di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore finale e alle collettività”, non è un prodotto sfuso, non è venduto previo frazionamento (con operazioni di taglio al banco della salumeria) e deve quindi essere considerato, a mio parere, un alimento preimballato: l’involucro di confezionamento o imballaggio non è rappresentato da una confezione secondo l’accezione comune del termine (contenitore, busta, sacchetto o altro), ma dall’involucro naturale o artificiale in cui le carni sono state insaccate (a tal proposito si rimanda all’articolo “Budelli, sicurezza e tipicità dei salumi” del prof. Giovanni Ballarini pubblicato su EUROCARNI n. 1/2006), con legature, fermagli, sigilli, fascette o altri dispositivi. Pertanto, il salame in questione deve essere etichettato nel rispetto dell’art. 9 del Regolamento 1169/2011, che prevede, tra le altre, l’indicazione del termine minimo di conservazione (TMC) o della data di scadenza: nel caso di un salame stagionato, che non è rapidamente deperibile, sarà riportato il TMC. I salumi non sono elencati tra i casi di esclusione dall’obbligo di tale indicazione. La data di produzione, già prevista dall’Ordinanza del Ministero della Sanità del 14/02/1968 (della quale

la nota del Ministero della Sanità prot. n. DGVA.VIII/18301/P I.8.d/388 dell’11/06/2004 ha dichiarato l’abrogazione implicita per effetto del DLgs n. 109/1992), che costituiva un elemento di “rintracciabilità” temporale nell’ambito della profilassi della peste suina africana, può essere indicata (purché contenga il giorno, il mese e l’anno) come identificativo del lotto, ma non è obbligatoria in quanto non prevista dall’art. 9 del Regolamento UE 1169/2011 né da altre normative specifiche. Invece, i salumi posti in vendita al dettaglio nello stabilimento di produzione (esercizio di macelleria con annesso laboratorio) non sono considerati “preimballati” poiché prodotti per la vendita diretta (vedere la citata definizione del Reg. 1169/2011): sono soggetti attualmente agli obblighi previsti dal DLgs n. 109/1992, con indicazione in etichetta o su un cartello (esposto in prossimità dell’alimento) della denominazione di vendita e dell’elenco degli ingredienti, con evidenziazione degli allergeni come previsto dal Reg. 1169/2011, senza obbligo di indicare il TMC. Vige inoltre l’obbligo di riportare sui salumi il bollo CE (marchio di identificazione) dello stabilimento riconosciuto in cui sono stati prodotti. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione

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Tradizione e genuinità dal 1910

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LEGISLAZIONE

Dichiarazione nutrizionale: i colpi di coda del Regolamento UE 1169 Non ci si era ancora abituati all’idea di dover segnalare la presenza di allergeni in etichetta, che ora si deve sottostare ad un ulteriore obbligo. Aumentano le incombenze e quindi i costi a carico dei produttori. Bisogna però leggere l’ennesima norma come un’occasione sul piano commerciale di Guido Guidi

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l Regolamento UE 1169/2011 che detta le norme comunitarie in merito alle informazioni ai consumatori è divenuto applica-

bile a più riprese e in momenti differenti, tutti previsti dalla normativa stessa. Dopo l’entrata in vigore dei dettati relativi alle carni macinate e

poi all’indicazione degli allergeni, è ora la volta della tabella nutrizionale che sarà obbligatoria a far data dal 13 dicembre 2016.

Secondo quanto disposto dal Regolamento UE 1169/2011, dal 13 dicembre 2016 la tabella nutrizionale diverrà obbligatoria negli alimenti preconfezionati (photo © www.europesavesfood.org).

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L’indicazione sul valore nutrizionale di un cibo diventa obbligatoria negli alimenti preconfezionati, mentre resta in capo agli Stati Membri la potestà di decidere quali informazioni debbano accompagnare la vendita di alimenti privi di preimballaggio o imballati sul luogo di vendita o, ancora, quando è previsto il preimballaggio per la vendita diretta (photo © www.tcertifico.it). Chi però in questi ultimi anni avesse inteso, su base volontaria, dare al consumatore delle informazioni sui valori nutrizionali del prodotto, si sarebbe già dovuto adeguare. Non avrebbe potuto dunque presentare una tabella nutrizionale a proprio piacimento, ma solo secondo le indicazioni imposte dalla nuova norma europea. L’etichettatura nutrizionale è già divenuta obbligatoria infatti nei casi in cui “un’informazione nutrizionale figuri in etichetta o nella presentazione o nella pubblicità dei prodotti alimentari a eccezione delle campagne pubblicitarie”. Inoltre, chi attribuiva al prodotto qualità specifiche e benefiche come “ricco di fibra” oppure “ricco di calcio” o diciture simili, aveva già da tempo l’obbligo di adeguarsi al tanto discusso Regolamento comunitario. L’indicazione sul valore nutrizionale di un cibo diventa obbligatoria, beninteso, negli alimenti preconfezionati, mentre tuttora rimane in capo agli Stati Membri dell’UE la potestà di decidere quali informazioni debbano accompagnare la vendita di alimenti al consumatore finale o alle collettività quando il prodotto è privo di preimballaggio oppure sia imballato sul luogo di vendita su richiesta del consumatore o ancora quando è previsto il preimballaggio

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per la vendita diretta. Ci potrebbero pertanto essere ulteriori sorprese nel futuro prossimo. Gli articoli che interessano il produttore a questo proposito sono quelli dal 29 al 35 del Regolamento, dove è fornita una prima precisazione in merito al fatto che la tabella nutrizionale non sia richiesta agli integratori alimentari e alle acque minerali, per i quali è invece prevista una dichiarazione nutrizionale apposita e completamente differente da quella che andiamo a descrivere. La norma, inoltre, si applica fatta salva la Direttiva 2009/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 maggio 2009, relativa agli alimenti destinati ad un’alimentazione particolare. Ci sono ulteriori prodotti alimentari per i quali la dichiarazione nutrizionale non è obbligatoria. Si tratta dei: • prodotti non trasformati o sottoposti unicamente a maturazione mono-ingrediente o con una sola categoria di ingredienti; • acque destinate al consumo umano; • piante aromatiche, spezie o loro miscele; • sale e succedanei; • edulcoranti da tavola; • estratti e cicchi di caffè/decaffeinati, di cicoria;

infusioni a base di erbe e di frutta, tè/decaffeinati, istantanei o solubili o estratti; • aceti di fermentazione e succedanei; • aromi; • additivi e coadiuvanti tecnologici, enzimi; • gelatina, composti di gelificazione per marmellate, lieviti, gomme da masticare; • alimenti in imballaggi con superficie maggiore inferiore a 25 cm2; • alimenti anche confezionati artigianalmente, forniti di piccole quantità al consumatore finale o strutture locali di vendita al dettaglio. La tabella nutrizionale di tutti gli altri prodotti, per i quali l’obbligo invece entrerà a breve in vigore, deve contenere nello specifico i seguenti valori: a. il valore energetico; b. la quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale. Le suddette indicazioni possono essere ulteriormente integrate con acidi grassi monoinsaturi, acidi grassi polinsaturi, polioli, amido, fibre, i sali minerali o le vitamine elencati all’allegato XIII del Regolamento, presenti nella quantità definita dal regolamento stesso. Le vitamine e i sali minerali devono essere elencati se presenti in misura significativa rispetto alla Razione Giornaliera Raccomandata (Rda). Per determinare cosa costituisca una quantità significativa di vitamine e di sali minerali devono essere presi in considerazione i seguenti valori: • 15% dei valori nutritivi di riferimento per 100 g o 100 ml nel caso di prodotti diversi dalle bevande; • il 7,5% dei valori nutritivi di riferimento per 100 ml nel caso delle bevande; • oppure, il 15% dei valori nutritivi di riferimento per porzione se l’imballaggio contiene una sola porzione. Nella dichiarazione nutrizionale, il valore energetico accompagnato dalla quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale, la quantità di sostanze nutritive e/o la percentuale delle assunzioni di riferimento

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fissate nell’allegato XIII, parte b del Regolamento, possono essere espresse soltanto per porzione o per unità di consumo. In questo caso, la porzione o l’unità utilizzata è indicata nelle immediate prossimità della dichiarazione nutrizionale. Quando le quantità di sostanze nutritive sono espresse soltanto per porzione o per unità di consumo e nei casi espressamente previsti dalla norma, il valore energetico è espresso per 100 g o per 100 ml nonché per porzione o per unità di consumo. Se il valore energetico o la quantità di sostanze nutritive di un prodotto si può ritenere trascurabile, le informazioni relative a questi elementi possono essere sostituite da una dicitura del tipo “contiene quantità trascurabili di…”. Il valore energetico e le quantità di sostanze nutritive sono sempre espressi per 100 g o per 100 ml. Mentre le eventuali dichiarazioni relative alle vitamine o ai sali minerali, oltre alla forma di espressione per 100 g o per 100 ml, possono essere espresse quali percentuali delle assunzioni di riferimento. In tal caso, deve figurare, nelle immediate vicinanze, la seguente dicitura supplementare: “assunzioni di riferimento di un adulto medio (8.400 kJ/2.000 Kcal)”. Il valore energetico e le quantità di sostanze nutritive si riferiscono all’alimento così com’è venduto. È possibile che le indicazioni si riferiscano anche all’alimento dopo la sua preparazione per l’impiego, ma solo nel caso in cui le modalità di utilizzo siano descritte in modo particolareggiato. Altro aspetto importante è che le indicazioni nutrizionali vengano presentate nel campo visivo principale dell’etichetta e utilizzando una dimensione di carattere la cui parte mediana (altezza della x) sia pari o superiore a 1,2 mm, così come previsto all’articolo 13, paragrafo 2. Nel complesso, fanno eccezione le bevande alcoliche, qualora l’etichetta contenga i valori nutrizionali. In questo caso, infatti, il contenuto della dichiarazione si può limitare al solo valore energetico. Ricordiamo che l’articolo 16, comma 4, del Regolamento europeo

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in questione decreta la non obbligatorietà dell’elenco ingredienti e della dichiarazione nutrizionale nell’etichetta delle bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume. Poiché non è sempre facile reperire i dati che vanno riportati nella tabella nutrizionale, il regolamento offre tre possibilità per definire i valori da dichiarare: 1. la prima è che si tratti di valori medi stabiliti a seguito di analisi dell’alimento effettuate direttamente dal fabbricante e con costi, ovviamente, a suo carico; 2. la seconda possibilità è che il produttore si riferisca a valori medi noti o effettivi relativi agli ingredienti utilizzati; 3. in terza ipotesi, il calcolo può essere effettuato a partire da dati stabiliti e universalmente accettati. Questo consentirebbe alle piccole imprese che non possono accollarsi i costi di ricerche specifiche di assolvere all’obbligo senza investire cifre eccessive in analisi di laboratorio. Tuttavia, il problema resta per i prodotti più complessi e magari di ricetta esclusiva dell’impresa, che per una questione di maggior tutela dovrebbe preferibilmente realizzare esami ad hoc. Questo aspetto della norma più di altri rappresenta un onere per le microaziende, soprattutto per quelle familiari e artigiane, sulle quali ricadrebbe un’ulteriore incombenza con relativo costo, non solo in termini economici, ma anche di risorse complessive da dedicare. Sennonché, in tempi in cui il consumatore è particolarmente attento al valore nutrizionale di un alimento, presentare la tabella nutrizionale può fare la differenza tra vendere o meno. Soprattutto nel confronto con i prodotti industriali, che da tempo riportano le indicazioni nutrizionali per motivazioni commerciali, non apporre simili informazioni può diventare per le aziende meno organizzate un elemento di forte svantaggio. Questo nuovo obbligo va visto quindi come un’opportunità e per l’ennesima volta le imprese, soprattutto le più piccole, si vedono costrette a fare di vizio, virtù. Guido Guidi

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IL FOOD IN RETE

Social di Elena

2. Origin, il network delle Igp

1. Franceschini si rinnova nel look Dalle colline bolognesi della Valsamoggia alle dispense di tutta Italia il passo è breve con salumificiofranceschini.it, il sito web rinnovato del SALUMIFICIO FRANCESCHINI di Castello di Serravalle. La grafica è sempre molto curata, con le illustrazioni che raccontano queste valli e i piccoli allevamenti situati a pochi chilometri da Bologna. Lo shop on-line propone tutta la gamma prodotti, con pezzature e prezzi, disponibili per l’acquisto. I link ai canali social Instagram e Facebook completano il sito, facile e immediato da navigare.

Forse non tutti sanno che esiste un’organizzazione, ORIGIN, che rappresenta il network internazionale delle Indicazioni Geografiche Protette, con sede a Ginevra e presente on-line su origin-gi.com. Fondato nel 2003, questo ente no profit e non governativo rappresenta oggi oltre 400 consorzi e associazioni di produttori di oltre 40 Paesi. Il suo obiettivo è rafforzare la protezione dei prodotti IGP e combattere le contraffazioni nell’agroalimentare (in basso, la pasta di Gragnano IGP del Pastificio Sebastiano D’Apuzzo; photo © pastificiosebastianodapuzzo.com)

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food Benedetti

4. Italian culture ICE by Silvio Muccino 3. San Daniele Dop, tutto da leggere PROSCIUTTO SAN DANIELE è un magazine on-line che si può leggere e sfogliare al link diretto sandanielemagazine. com. In queste pagine web si racconta il territorio che dà origine a questo prosciutto che vanta la DOP attraverso quattro sezioni: cucina, luoghi, persone ed eventi. Il tutto per conoscere i produttori del San Daniele, cercare idee di utilizzo in cucina e immergersi in un mondo, quello del Friuli Venezia Giulia, nel quale il tempo scorre lento, come la stagionatura di questo insaccato che il mondo ci invidia (photo © mangiarebuono.it).

Per noi Italiani la pasta, l’olio di oliva, i salumi e i formaggi buoni sono ingredienti abituali della quotidianità e della cultura gastronomica nazionale. Ma per i consumatori statunitensi no! Ecco uno spot di 90 secondi con la regia di Silvio Muccino che promuove il cibo italiano negli USA. Si tratta del più importante piano di promozione per il settore agroalimentare mai realizzato dal Governo italiano, con un investimento di circa 50 milioni di euro. La campagna è promossa dal Ministero dello Sviluppo economico e dall’Agenzia ICE. Link Youtube: youtube.com/watch?v=18X3bMlAQ1A

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L’e-commerce del food: molte luci e qualche ombra di un mercato in crescita di Chiara Papotti

L’

ampia diffusione della rete sta rivoluzionando il modo attraverso il quale le aziende interagiscono con i propri clienti e in generale i consumatori, allacciando relazioni più immediate e spontanee. La possibilità di acquistare prodotti on-line è oggi un fenomeno in grande espansione, anche per quanto riguarda il food. Un esempio su tutti è l’apertura della nuova sezione dedicata a “Alimentari e cura della casa” da parte di Amazon, uno dei più grandi players internazionali del settore e-commerce, lanciata

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in Italia lo scorso fine luglio. A detta di tanti esperti del settore questa new entry nel marketplace italiano potrebbe rivoluzionare lo shopping alimentare on-line. Secondo l’Osser-

vatorio eCommerce B2c Netcomm1 del Politecnico di Milano, nel 2015 il comparto alimentare on-line, inteso come l’insieme di grocery (spesa da supermercato) e food & wine enoga-

“La rete, è proprio il caso di dirlo, può portare ciascuno di noi in un ‘orto virtuale’ o in una ‘bottega sotto casa’, all’interno dei quali avvicinarci alle eccellenze enogastronomiche del nostro meraviglioso Paese, con un semplice clic”

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In alto: nello store on-line di Eataly, previa registrazione, si possono effettuare ordini di qualsiasi importo. Per ordini superiori ai € 69,00 la spedizione in Italia è gratuita. Per ordini di importo inferiore il costo della spedizione è di € 6,90.

A sinistra: Foodscovery ama autodefinirsi un marketplace e non un e-commerce. La piattaforma accetta carte di credito di qualsiasi circuito e PayPal. Per ordini superiori a € 35,00 la spedizione è gratuita. stronomico, è aumentato del 27% rispetto al 2014, con un giro di affari annuo vicino ai 500 milioni di euro. È un fenomeno che pone una sfida al tradizionale mercato retail. Nel nostro Paese l’e-commerce cresce, ma il settore food rappresenta solamente il 3% dell’intero e-commerce sui siti italiani, un dato

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ancora molto lontano dai volumi sviluppati in Inghilterra, Francia e Germania. L’incremento degli investimenti nel mercati digitali apre spazi assolutamente inediti, nei quali gli utenti possono scegliere on-line cosa mangiare, ordinando comodamente da casa e ricevendo i prodotti direttamente nella propria cucina.

Una prospettiva allettante per gli utenti e, contemporaneamente, una grande sfida per le imprese del settore. Strutturare un portale che si occupi di e-commerce richiede grandi investimenti tecnologici e porta scarso profitto nel breve periodo. Vendere cibo su internet non è come

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vendere altre categorie merceologiche. Si tratta di un mercato denso di insidie, caratterizzato dalla natura deperibile del cibo e dalla fragilità che lo caratterizza. Entrare in una “bottega virtuale”, d’altro canto, può essere estremamente gratificante, alla condizione che l’acquisto in rete risulti un’esperienza semplice, rapida ed efficiente. Si tratta di sviluppare un percorso che parta dal desiderio dell’utente di acquistare, passando per un sito agile, dettagliato e facile da usare, per giungere fino all’acquisto del prodotto, con la relativa consegna, ottimizzata in termini di tempo e di costi. Occorre poi garantire una catena logistica efficace, ovvero una dislocazione strategica dei magazzini, in cui si possano accogliere e assemblare i singoli ordini destinati al consumatore finale. Ne sa qualcosa OSCAR FARINETTI, patron di Eataly (eataly.net), il colosso italiano della ristorazione e del cibo di qualità, che recentemente è divenuto promotore anche del food commerce digitale. Uno degli obiettivi principali dello store on-line di Eataly è dimostrare come i prodotti di alta qualità possano essere a disposizione di tutti. Ma Eataly non è l’unico player del Belpaese impegnato nella digitalizzazione del proprio catalogo di prodotti. Per gli amanti dei prodotti artigianali la piattaforma giusta è Foodscovery (foodscovery.com), un marketplace che vuole comunicare i volti, i metodi produttivi e la storia delle persone e delle piccole aziende che producono l’eccellenza gastronomica italiana. Un esempio di come l’e-commerce, oltre a garantire un’esperienza di acquisto piacevole ed intuitiva, possa fungere da mezzo di divulgazione culturale, attraverso il quale la cura e la passione degli artigiani che propongono i loro articoli diventa accessibile a tutti. Il consumo consapevole è invece il valore che contraddistingue Tavola Clandestina www.facebook.com/ tavolaclandestina), un food e-commerce che guida gli utenti all’acquisto di prodotti gastronomici nel rispetto di salute, natura e ambiente.

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Alcune foto caricate sul profilo Instragram di Cortilia, e-commerce di prodotti alimentari a filiera corta. Sulla piattaforma è possibile trovare frutta e verdura di stagione, formaggi freschi, carni bianche e rosse, salumi ed affettati, marmellate, conserve, uova, farina, vino e birra artigianale. Tra le startup di successo nel settore si distingue Cortilia (cortilia. it), che valorizza i migliori produttori agricoli del territorio, selezionati in base alla qualità dei cibi offerti e alle tecniche di produzione adottate; consegna direttamente a domicilio prodotti freschi e di stagione coltivati in modo sostenibile. In una recente indagine2, Cortilia definisce l’identikit del cliente che fa la spesa nei cosiddetti “mercati agricoli digitali” come una persona attenta a qualità, provenienza (importante per il 76% degli acquirenti), stagionalità (75%) e prezzo (76%) del prodotto ma anche, e soprattutto, donna (80% dei casi), lavoratrice (86%) e mamma (59%), in assoluto il profilo più impegnato e attento ai perfetti incastri tra tempi e logistica. Di questo grande numero di lavoratrici, il 66% è rappresentato da “colletti bianchi”, che apprezzano più di ogni cosa la comodità di ricevere i prodotti in un giorno e in un orario stabiliti.

La rete, è proprio il caso di dirlo, può portare ciascuno di noi in un “orto virtuale” o in una “bottega sotto casa”, dove avvicinarci alle eccellenze enogastronomiche del nostro meraviglioso Paese, con un semplice clic. Ma se la vera rivoluzione fosse quella di acquistare nei mercati contadini, nelle piccole botteghe artigiane o direttamente in allevamento, riappropriandoci del nostro tempo e del nostro spazio? O, invece, la rete è un’opportunità, anche per i piccoli esercizi commerciali e per le piccole produzioni di nicchia, che consentirà loro di globalizzarsi senza snaturarsi? Ai foodies l’ardua sentenza. Chiara Papotti Note 1. www.osservatori.net/ecommerce_b2c 2. www.insidemarketing.it/identikit-di-chi-fa-la-spesa-online-over35-mamma-impegnata-e-attentaalla-qualita_7083

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COMUNICHIAMO

Facebook e la Vanità di Chiara Russotto

È

come quando siete in autostrada, state guidando in prima corsia e notate che qualcuno si è “piantato” nella seconda ai 100 km/h! L’autista che sopraggiunge lampeggia e, con fare minaccioso, sventola una mano in quella direzione: niente, il veicolo non intende spostarsi. I numeri non sono importanti Ma da dove nasce questa abitudine di occupare la seconda corsia di marcia, nonostante la bassa velocità? Sarà mica che i numeri ci facciano sentire segretamente più machos? Ecco, Facebook più o meno è così. Più sono

i fan della nostra pagina e più noi imprenditori ci sentiamo gratificati, belli e amati. Ma al grande numero difficilmente corrisponde la stessa alta interazione da parte dei fan. Anzi, nella maggioranza dei casi, a molti fan corrisponde poca, pochissima, interazione. Facciamo una prova. Aprite la vostra pagina aziendale Facebook e andate a leggere i vostri “insights”. Trovate anche voi che, rispetto al numero di “like” totali, l’interazione dei vostri fan sia troppo bassa? Vi mostro le statistiche di una pagina che mi rende molto soddisfatta, sia in termini di interazione

che di risultati di fatturato. Questa settimana i miei clienti sono stati in ferie e, come vedete, Facebook registra una flessione del 31,8% rispetto alle interazioni della settimana scorsa. In questo caso ci può stare. Ma se questa fosse la media di interazione annuale, voi, avreste un aumento registrabile di fatturato? Gli “insights” — le statistiche di prestazione — vi permettono così di comprendere il comportamento del vostro pubblico, l’efficacia della vostra comunicazione e, nel caso non sia vincente, di cambiarla indirizzandola verso i contenuti che il vostro pubblico ama di più.

Chiara Russotto ha 39 anni, è consulente di comunicazione e titolare di Smarti Editrice. Si occupa prevalentemente di food, adora i suoi clienti, cede al cibo per amore, lotta con la dieta, ride, ha due cani ed una passione per i libri che trattano argomenti dei quali, lei, non capisce assolutamente nulla.

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I social network sono la forma di aggregazione più diffusa su internet ed ogni giorno registrano una crescita esponenziale di utenti. Il successo consolidato di queste community offre quindi la possibilità ad ogni azienda di promuovere i propri prodotti, gestire la propria immagine, espandere i contatti, interagire con clienti, attuali e potenziali, e poterli fidelizzare. Torniamo per un momento ai “like”. Chi è il vostro pubblico? Se il vostro pubblico è composto dai vostri amici personali… Ragazzi, abbiamo un problema. I vostri amici sono veramente il vostro target? Vi vogliono bene, certo, ma sarebbe meglio concentrarsi sui clienti interessati ai vostri prodotti. Invece, se notate che la maggior parte dei vostri fan è indiana, cinese

o ghanese — ma non vendete in quei Paesi —, chiamate la vostra agenzia di comunicazione e fategli una “ramanzina epocale”. Quello non è il vostro target, per cui dovranno eliminarli tutti (buttando a ramengo i soldi spesi con agenzie estere, che vendono pacchetti di “like”), perché quando farete delle campagne pubblicitarie sul target, il vostro target sarà completamente

sbagliato! I vostri fan abitano intorno al vostro punto vendita? Vantatevi, perché siete veramente bravi! Non lo sapete? Convertite il vostro profilo privato in “Pagina Facebook”. I numeri non sono importanti? Le statistiche sono fondamentali, il numero dei fan “no”. Se avete 1.000/1.500 fan, sarà più facile per voi coinvolgerne almeno la metà. Ora

Qualcuno ha domande da Porci? Attraverso questa rubrica rispondiamo alle mail che ci sembrano più utili ad approfondire gli argomenti trattati. Vi preghiamo di darci più informazioni possibili, così da rendere i nostri consigli efficaci o, nel caso siate interessati ad argomenti specifici, di comunicarcelo a info@pubblicitaitalia.com o chiara.russotto@icloud.it (Photo © Alessio Sabbadini)

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ragionate su questo: 500 nuovi clienti vi renderebbero molto più ricchi, vero? E allora. Il numero di “like” non è importante: l’importante è coinvolgere almeno il 20% del vostro pubblico. Il resto lo farà il passaparola su web. Perché le nostre pagine sono molto più viste dai nostri non fan che

dai nostri fan. Ora tornate un attimo con me in autostrada. Vi ricordate? Stavamo guidando nella prima corsia e notavamo la scena. Adesso di fronte a voi la corsia è libera, il sole splende, la musica che si diffonde nell’abitacolo è “You’re the First, The Last, My Everything” di BARRY WHITE…

Guardate un attimo i due litiganti e, proseguendo, superateli sorridendo. P.S.: l’art. 148 del codice della strada ammette il superamento da destra nel caso in cui il veicolo alla vostra sinistra sia più lento della vostra normale andatura. Chiara Russotto

Con Zestrip e il social eating si valorizzano le tradizioni enogastronomiche del Belpaese Nel 2014 sono stati 37.000 gli eventi gastronomici, 300.000 le persone coinvolte come ospiti e oltre 7.000 gli chef amatoriali attivi in Italia, per un fatturato annuo di 7,2 milioni, destinato a crescere. Stiamo parlando di uno dei trend più interessanti della sharing economy, che vale a livello globale 15 miliardi di dollari (dati CONFESERCENTI). Zestrip, startup di esperienze di viaggio, propone numerose attività di social eating e cooking classes, declinate sul target turistico: in particolare, consentire ai viaggiatori stranieri di avvicinarsi alle tradizioni culinarie del Belpaese senza filtri e mediazioni, direttamente nella cucina degli abitanti-guide del luogo (i local) e spesso partecipando alla preparazione delle ricette in prima persona. Il social eating, infatti, nasce in primo luogo per diffondere e, al contempo, custodire il patrimonio di tradizioni e cultura racchiuso nelle ricette tipiche regionali. Tra le attività di Zestrip, ad esempio, c’è la cena siciliana proposta da Daria, archeologa sicula trapiantata a Roma, con parmigiana di melanzane, pasta alla Norma, arancini e cassata; Fernando che accompagna gli ospiti a fare la spesa al mercato di Campo de’ Fiori prima di cucinare insieme un pranzo romano; un picnic con Francesca a Villa Borghese, Villa Torlonia o Villa Celimontana a base di frittata di maccheroni. Oltre alle attività culinarie, non mancano le attività culturali e all’aria aperta, tutte con l'obiettivo di trasmettere ai turisti stranieri la cultura italiana attraverso l’incontro e la condivisione. In un mondo di individui iperconnessi, con identità relazionali che si declinano su moltissimi social network, trasformare la propria casa nella nuova frontiera del networking e dell’esperienza turistica significa ritornare alle origini, riportare le persone ad incontrarsi dal vivo intorno ad una tavola apparecchiata, da sempre momento conviviale per eccellenza. Ancor di più se si ospitano viaggiatori di diverse nazionalità, con un bagaglio culturale completamente diverso e la curiosità di assaggiare un pizzico di tradizione italiana autentica. Ricordiamo che Zestrip, incubata dal PoliHub del Politecnico di Milano, è nata lo scorso anno dall’idea di tre ragazzi under 30, Michele Arisi, Andrea Pasino e Carlo Vezzoni, con la passione per i viaggi, la condivisione e l’innovazione. Il concetto alla base della piattaforma è quello di trasportare la sharing economy nel mondo del turismo: guide locali (i cosiddetti local) che desiderano condividere la propria passione e la propria esperienza propongono attività per tutti i gusti e tutti i budget a turisti desiderosi di dare al proprio viaggio quel pizzico di sapore, quello zest in più. >> Link: www.zestrip.net

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AZIENDE

Salumi De Stefani: tutto il gusto del Valdobbiadene di Massimiliano Rella

«P

erché usiamo il Prosecco per migliorare il prosciutto e i salumi? Perché aiuta la carne a fermentare meglio grazie alla presenza di sostanze zuccherine che attivano il processo. Annaffiandoli periodicamente i prosciutti si

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addolciscono e la carne acquista un profumo diverso e un gusto particolare che piace: l’aumento delle vendite lo dimostra». CESARE DE STEFANI, proprietario con il fratello GIACOMO dell’azienda Salumi De Stefani, nel paese di Guia, una frazione di Valdobbiadene, terra di famose bollicine, ci

spiega in questo modo l’uso del vino tra gli ingredienti dei suoi prodotti di norcineria. Il salumificio trevigiano utilizza solo carne di maiali mantovani: «una carne soda, usiamo solo questa», ci dice ancora De Stefani. I salumi non contengono conservanti, eccetto una piccola percentuale

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di salnitro presente naturalmente negli alimenti. Nella speziatura sono aggiunti soltanto poco sale e pepe. Tra i prodotti “della casa” troviamo il più tipico salume del territorio, la Soppressa trevigiana, ottenuta da carne di maiale macinata e insaccata in budello naturale. Viene proposta in diverse versioni, come la Soppressa Valdobbiadene, realizzata con spalle selezionate, coscia, pancette e coppe, tritando le carni a piastra media e conciandole con sale, pepe e naturalmente vino Prosecco. La raffinata Soppressa con filetto contiene, invece, nell’impasto, un intero filetto di suino, preventivamente lasciato in salamoia, aromatizzato con pepe, spezie e Prosecco di Cartizze. Tra i prodotti più blasonati troviamo anche le Invernenghe, cioè la Soppressa Dama Bianca, con un ripieno di lardo stagionato, ricetta innovativa che unisce il magro e il grasso, e la più tradizionale Soppressa Luna Calante, da coltello. De Cesari, rispolverando antichi saperi contadini, ci rivela un altro accorgimento per fare ottimi salumi: seguire le fasi lunari. «Meglio fare i salumi d’inverno e con la luna calante» ci dice. «Non a caso in passato le Invernenghe avevano una quotazione più alta». Sempre d’origine contadina sono quei salumi da cuocere, a pasta macinata, come il Muset, che contiene anche carni ricavate dalla testa del suino, e la Salamella, questa fatta con pancetta, spalle e fondelli tritati e insaporiti con sale, pepe, spezie e vino Verdiso aggiunto all’impasto, ideale per spiedini e griglia. Da circa un anno il capocollo si è aggiunto a una produzione già assortita. La salumeria De Stefani fu aperta nel 1958 da Giuseppe, padre degli attuali proprietari. Nel 2000 l’azienda si è ingrandita con la realizzazione di un grande laboratorio alle porte del paese, separato dalla macelleria Emporio Carni. Oggi occupa 20 persone, produce una ventina di salumi e lavora 400-500 quintali di carne a settimana. Le esportazioni si dirigono principalmente verso Belgio e Francia. La macelleria vende anche carni di puledro, per spiedo, churrasco e cotture di porchette e arrosti. Tra i prodotti inventati e registrati

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Trattamento dei prosciutti De Stefani. dai De Stefani troviamo la Lonza salamata e la Costata salamata, che nascono dall’incontro tra macelleria e salumeria. Sono in pratica delle braciole con un buco centrale riempito di saporito macinato, condito per la preparazione dei salami. E non finisce qui. L’azienda offre ospitalità rurale in un casale a Santo Stefano, su una collina del Cartizze, in un rustico a Combai e nella “rivoluzionaria” Osteria Senz’Oste. In cima al colle del Cartizze un vecchio casolare ottocentesco rimasto allo stato originario è aperto a tutti, si beve vino e si mangiano i salumi dell’azienda a 10 euro. Nessuno accoglie le persone, che si servono da sole e devono lasciare i soldi in una cassettina. Avevamo trovato un locale così nell’onesta

Scandinavia. A quanto pare anche in Italia può funzionare. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella. A pagina 30, Cesare De Stefani, proprietario con il fratello Giacomo dell’azienda. Salumi De Stefani Srl Spaccio aziendale: lun.-sab. Strada di Guia 31 31049 Guia di Valdobbiadene (TV) Telefono: 0423 901065 Web: www.salumidestefani.it Emporio Carni Srl Via Madean 9 – lun.-sab. 31049 Guia di Valdobbiadene (TV) Telefono: 0423 901079 Web: www.emporiocarni.it

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Salumificio Scarlino, nuovo investimento nello stabilimento di Taurisano Obiettivo: produrre 3.000 prosciutti cotti al giorno

A

quasi due anni dall’avvio dell’operazione “Polonia”, attraverso la quale ha delocalizzato parte della produzione di würstel, con un investimento di circa 6.000.000 di euro, il Salumificio pugliese Scarlino si appresta a dare nuova vitalità allo stabilimento leccese di Taurisano, con un impegnativo intervento teso all’insediamento di una linea di produzione dedicata ai prosciutti cotti. Due gli obiettivi immediati: • il rilancio del brand in un comparto completamente nuovo per l’azienda; • l’avvio di una politica di nuove assunzioni.

Un nuovo percorso per tornare protagonisti del mercato dei salumi «Ormai il percorso è già stato tutto tracciato. Dopo l’acquisto dei macchinari, è in atto la loro sistemazione in un area ad hoc individuata. Collaudi e prove permettendo, a febbraio si avvierà la produzione che dovrebbe arrivare a regime nella seconda metà

Scarlino in Tavola è il brand con cui l’azienda salentina firma i prodotti della sua nuova Linea Cotti, interamente realizzati, a partire da febbraio 2016, nello stabilimento in provincia di Lecce.

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Prosciutto cotto.

Dal 1971, una lunga storia fatta di impegno, qualità e successi Il nome Scarlino è fortemente legato alla produzione di würstel: da sempre l’azienda vi si è dedicata anima e corpo, fino a raggiungere l’eccellenza odierna. Partendo da questa solida esperienza, Scarlino ha progredito attraverso l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo dei migliori metodi produttivi, con un’attenzione speciale lungo tutta la filiera. Ricordiamo che il Salumificio Scarlino nasce nel 1971, a Taurisano, da una grande intuizione: importare nel Salento un prodotto che all’estero gli emigranti, all’epoca numerosissimi, consumavano in quantità. Tommaso Scarlino, infatti, dopo un lungo soggiorno in Svizzera dove ebbe modo di conoscere e apprezzare i würstel, decise di dare vita prima solo a una vendita, poi anche a una produzione totalmente incentrata su questo prodotto. Una scelta coraggiosa, una scommessa vinta: quella piccola realtà ben presto è diventata una grande azienda, un marchio leader riconosciuto sia in Italia che all’estero dove i suoi prodotti sono sempre più richiesti. È di questi giorni ad esempio la notizia che, oltre a Spagna, Croazia, Montenegro, Kosovo e Albania, importanti nuovi mercati si sono aperti in Scandinavia. >> Link: www.scarlino.it

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Attilio Scarlino. del 2016». Così l’amministratore unico del salumificio, ATTILIO SCARLINO, ha presentato la nuova strategia aziendale nel mese di dicembre, dapprima in un confronto con le organizzazioni sindacali di categoria, poi in una conferenza stampa nella sede di CONFINDUSTRIA LECCE. Dopo aver rappresentato per anni il terzo polo produttivo di würstel in Italia e dopo il trasferimento parziale di circa il 65% della produzione in Polonia, lo stabilimento leccese della Scarlino tornerà in questo modo ad essere uno dei principali protagonisti del comparto italiano dei salumi. Un’operazione, questa, che dovrebbe rappresentare una svolta per l’industria salentina, colpita, nel pieno dell’estate 2013, dall’incidente mortale nel quale fu coinvolto un operaio che travolse la vita di tutta la fabbrica, annientò tutti i piani aziendali e determinò — a causa del sequestro parziale dell’impianto tuttora vigente — la scelta di delocalizzare e spostare in Polonia una parte della produzione di würstel. Scelta rivelatasi alla distanza quanto mai vincente, visto che sta consentendo all’azienda un miracoloso recupero di margini che sono alla base dell’attuale investimento di poco superiore a tre milioni e mezzo di euro, destinato a ridare slancio all’impresa salentina, soprattutto sui mercati esteri. «Diamo nuova vitalità al nostro vecchio impianto con un prodotto,

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anzi, con una linea di prodotti, interamente figlia del made in Italy, soprattutto come cultura produttiva ed abitudini alimentari» ha dichiarato Attilio Scarlino. «L’interesse del mercato verso il prosciutto cotto è stato quasi sempre costante, sia in Italia che in Europa. Per questo motivo ritengo che una linea di prosciutti cotti a marchio Scarlino contribuirà ad un reale rilancio del nostro brand e ad un concreto sviluppo del nostro piano industriale. Ci cimenteremo, inoltre, nella sperimentazione di nuove strade, come è nel DNA della nostra storia imprenditoriale, per lanciare — anche in questo segmento — novità assolute, di grande qualità, non ancora presenti sul mercato. Infatti, aver potuto produrre in Polonia quasi 7 milioni di chili di würstel, sugli oltre dieci complessivi, ci ha aiutato ad affrontare i mercati esteri — Nord Europa e Paesi Balcani su tutti — sia

per il costo di produzione ridotto, sia per una logistica più favorevole. La conseguenza immediata, e la utilizzeremo al meglio, è stata quella di poter di destinare un’area importante del nostro stabilimento alla produzione dei cotti. A seguire ripotenzieremo anche quella dei würstel. L’obiettivo è naturalmente quello di poter portare nel giro dei prossimi tre anni il fatturato a circa cinquanta milioni di euro. Sono fiducioso, che queste indicazioni, già inserite nel piano industriale/commerciale del prossimo triennio si potranno tradurre in realtà; da una parte grazie ad un livello di gamma medio alto cui vogliamo ispirare la nostra produzione, dall’altra grazie alla professionalità delle nostra maestranze presenti in azienda e, soprattutto, alla capillare e motivata rete della forza vendite che non si lascerà sfuggire un’occasione così ghiotta».

Qualità certificata e accento sul gusto sono i principi che guidano da oltre 40 anni il Salumificio Scarlino. Tutti i suoi würstel sono le basi ideali per ricette sfiziose, semplici e gustose. Particolarmente attenta alle esigenze del mercato, l’azienda ha da poco lanciato il Würstel vegetariano ed il Würstel 100% Coscia di Pollo, prodotto senza l’utilizzo di carne separata meccanicamente e, particolarmente adatto a chi predilige la leggerezza senza rinunciare ai piaceri del gusto.

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Storie di made in Italy vincente nel mondo

Negrini festeggia i suoi primi 25 anni in Spagna

S

ono 25 le candeline che lo staff di Negrini Salumi ha spento lo scorso 17 settembre, presso l’Ambasciata d’Italia a Madrid, in una grande festa che ha celebrato la presenza dell’azienda salumiera di Renazzo di Cento (FE) nella Penisola iberica. Produttori di salumi di alta gamma, per qualità e varietà di offerta, quella dei Negrini è una famiglia di imprenditori lungimiranti che hanno saputo anticipare i tempi e impostare strategie commerciali di esportazione della loro tradizione salumiera. È così che nel 1990 Nicoletta Negrini decise di aprire una filiale a Madrid, un centro strategico nel mercato spagnolo e una base commerciale utile per far conoscere i prodotti di

Negrini ai grandi chef, alle gastronomie e salumerie locali oltre che alle insegne della GDO della Penisola Iberica. «Mi sento “ambasciatrice” dell’enogastronomia italiana — ha dichiarato Nicoletta Negrini — che rappresenta la nostra storia, la nostra cultura e le nostre radici. Da un prodotto alimentare, dalle sue zone di produzione si capiscono le origini di quella regione, dei loro abitanti e della cucina». Da allora tanto lavoro è stato fatto, con un’altra sede operativa aperta nel 2000 in Portogallo, tre piattaforme logistiche attive (su Madrid, Barcellona e Lisbona) e una sessantina di impiegati. Nel corso degli anni i consumatori spagnoli hanno potuto conoscere e apprezzare prodotti tipi

della nostra tradizione, tra Mortadella Bologna IGP, prosciutto cotto, salami, prosciutto di Parma DOP, salumi crudi e stagionati, oltre a formaggi come provolone, gorgonzola DOP, mozzarella di bufala, mascarpone e ancora pasta, riso e prodotti da forno. Da questa sinergia italo-ispanica Negrini ha sviluppato un prodotto ad hoc per il mercato spagnolo: si tratta della “mortadella” di maiale iberico, un prodotto realizzato dalla collaborazione tra la società ferrarese con l’azienda Carrasco-Guijuelo. Un salume cotto 100% naturale, a produzione limitata. >> Link: negrini.es www.negrinisalumi.com

Carlo, Nicoletta, Dino e Annarita Negrini.

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Salumificio Macelleria Mannori, norcini in Vergaio Raccontare il prodotto artigianale, spiegare come si realizza: per i Mannori questo è un punto fondamentale. Da tre generazioni nel centro storico di Vergaio, frazione di Prato, l’attività di questa famiglia di norcini toscani ha oggi un’impronta spiccatamente femminile. La macelleria propone carni locali e dal laboratorio escono salumi crudi e cotti, nel segno della tradizione di Elena Benedetti

L

a produzione salumiera in Italia non è solamente un’arte che si fonda sulla capacità di trasformare le carni. Essa è anche un mestiere attraverso il quale si trasmette la tradizione. Quella

fatta di gesti precisi e ripetuti nel tempo che si tramandano in famiglia insieme all’utilizzo di materie prime selezionate, tra profumi di spezie, segreti e tanti ricordi. Oggi, per proseguire un’attività che esiste

da oltre cinquant’anni, occorre essere un po’ degli equilibristi, tra una storia di famiglia che è nel DNA e un contesto di mercato spesso tanto mutevole quanto incomprensibile, nel quale nuovi equilibri, nuove

I titolari del Salumificio Mannori: Domenico, Celeste, Maria Teresa e Sue Ellen.

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Salumi¿cio Ferrari Erio & C. S.p.a. – Via Canaletto Nord, 565/A – 41122 MODENA – ITALY Tel. +39 059 310015 – Fax +39 059 450251 – E-mail: info@salumiferrari.it


In alto: alla produzione di salumi crudi e cotti si affianca quella di prodotti in vaso come la crema di lardo, l’arista e la salsiccia sottolio. In basso: la produzione salumiera dei Mannori annovera anche il prosciutto Toscano Dop.

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Il banco delle carni propone solo tagli di razze locali, tra cui la pregiata Calvana. abitudini alimentari e di consumo veloce sono all’ordine del giorno. Ne sanno qualcosa i Mannori, da tre generazioni in una bella bottega nel centro storico di Vergaio, piccola frazione del comune di Prato, con la loro macelleria-salumeria che agli occhi dei clienti nasconde un grande e attrezzato laboratorio di lavorazione delle carni e un’attività salumiera di alto livello. Il nuovo corso di questa famiglia di norcini toscani ha oggi un’impronta decisamente femminile, con SUE ELLEN e CELESTE MANNORI che, insieme alla zia MARIA TERESA, sono in netta supremazia rispetto alla presenza maschile rappresentata dal padre DOMENICO. Figlio di MARIO ANGIOLO MANNORI, fondatore dell’attività nel lontano 1949, poco più che ragazzino

Domenico andò a lavorare in bottega insieme alla sorella per proseguire il lavoro di macelleria e avviare la produzione dei salumi. Oggi le figliole Sue Ellen e Celeste, che mi danno il benvenuto, portano avanti il business di famiglia con linfa nuova. Dallo spazio di vendita dei salumi, carni e prodotti selezionati di gastronomia passo a visitare il laboratorio, che è un po’ il cuore di questa attività. «Se è vero che le nuove tecnologie alimentari possono, a volte, rappresentare una rottura della tradizione, è altrettanto indubbio che esse fanno anche da leva per consentirne e accelerarne uno sviluppo» mi dice Sue Ellen, ricordando gli investimenti fatti e quelli messi a budget per l’ottimizzazione dei processi di lavorazione.

“Se è vero che le nuove tecnologie alimentari possono rappresentare una rottura della tradizione, è altrettanto indubbio che esse fanno anche da leva per consentirne e accelerarne uno sviluppo”

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Qui nascono i salumi crudi (come i prosciutti nazionale e Toscano DOP, la spalla, il salame toscano, la Finocchiona IGP, la bresaola di Caldana, oltre a salsicce, pancette tese e arrotolate e il capocollo) e quelli cotti (porchette, ariste, pancetta cotta, würstel artigianali, soprassata e la Mortadella di Prato, quest’ultima riscoperta proprio dai Mannori, e, per le festività natalizie, anche zamponi). La parte di macelleria si esprime attraverso la selezione di carni esclusivamente locali, tra Calvana, Chianina e Romagnola per il bovino e Mora romagnola e Large White proveniente da allevamenti vicini per il maiale. I canali di vendita oggi sono rappresentati dalle gastronomie e salumerie, dalla ristorazione e dalla Distribuzione Organizzata (un esempio su tutti l’insegna di Metro). Saper fare, saper comunicare Come promuovete la vostra tradizione salumiera? «Tutti i nostri prodotti sono artigianali, realizzati qui a Prato secondo quanto tramandato da mio padre e, prima di lui, dal nonno.

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Per questo motivo occorre dedicare tempo ed energie alla spiegazione del prodotto e all’affiancamento dei rappresentanti» mi spiega Sue Ellen, aggiungendo che «bisogna spiegare alla rete di vendita le differenze tra il nostro prodotto e quello industriale». Progetti e sfide I Mannori, spesso presenti alle manifestazioni di settore, tra cui Pitti Taste a Firenze, e al Salone del Gusto a Torino, hanno di recente collaborato con ALDO ZIVIERI della Macelleria Massimo Zivieri di Monzuno (BO) per

la produzione artigianale di würstel, utilizzando le carni sezionate di Mora romagnola dell’allevamento Zivieri nell’Appennino bolognese. «Una bella partnership, quella creata con la famiglia Zivieri, che ci ha permesso di mettere a punto un prodotto davvero unico, per sapore e gradevolezza all’assaggio» ricorda Sue Ellen. L’anno ricomincia con tanto lavoro e mille progetti. La sfida, anche per il 2016, sarà quella di saper coniugare tradizione e innovazione, autenticità dei sapori antichi e tecnologia, un’informazione moderna (con la presenza sui social media) e una presenza fisica

agli eventi del settore. Per raccontare una Mortadella di Prato o un’arista sottolio. Per spiegare la stagionatura di un prosciutto toscano prima sotto le vinacce e poi sotto la cenere. E tutto ciò con quella passione che questi artigiani del gusto si portano dentro da generazioni. Elena Benedetti Macelleria Salumificio Mannori Via Vergaio 18/20 59100 Fraz. Vergaio (PO) Telefono e fax: 0574 811537 Web: salumificiomannori.it FB: facebook.com/salumificiomannori

Con l’Igp cresce la Finocchiona: tra le prospettive del 2016 anche la conclusione dell’iter per l’ingresso nel mercato statunitense Oltre 440.000 chilogrammi di prodotto elaborato e certificato, pari a un valore di produzione di 3 milioni di euro e a un valore medio alla vendita di 6 milioni di euro. Sono questi i numeri che raccontano i primi cinque mesi della Finocchiona dal riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta, ottenuta lo scorso aprile. Si avvicina sempre di più la soglia dei 500.000 chilogrammi e lo sfondamento di quota 7 milioni di euro alla vendita nel primo semestre. Una proiezione che, su base annua, conferma il dato di oltre 1.000.000 di chilogrammi di prodotto certificato sul mercato. Anche il Consorzio di Tutela della Finocchiona, nato nell’aprile scorso, registra una crescita significativa nei primi sei mesi: dalle 42 imprese consorziate siamo arrivati oggi a 48 aziende in tutto il territorio di produzione. «Nel primo semestre del 2016 — ha afferma FRANCESCO SEGHI, direttore del Consorzio di Tutela della Finocchiona — puntiamo a superare la soglia dei 600.000 chilogrammi, che su base annua si traduce in un aumento di 200.000 chilogrammi. Un risultato che porterebbe, nel giugno 2016, il valore alla produzione intorno ai 4,5 milioni di euro, pari a un valore alla vendita di oltre 8 milioni di euro. Dal punto di vista commerciale, l’obiettivo primario per il nuovo anno è quello di rafforzare la nostra roccaforte Toscana, ma vogliamo allargare gli orizzonti e confermarci anche nel resto d’Italia e d’Europa. Abbiamo ottimi riscontri nelle regioni del Centro e del Nord Italia, così come dalla Germania e dai Paesi centro-europei, dove il prodotto viene regolarmente venduto da diverse aziende consorziate. Questo obiettivo sarà possibile solo con l’impegno di tutti, a cominciare dal Consorzio stesso, grazie alle attività di promozione già messe in campo, rafforzando i rapporti di partnership sviluppati attraverso le collaborazioni avviate anche con gli altri Consorzi, ed all’attività di vigilanza del mercato, volta a tutelare il prodotto e la sua denominazione». Sul fronte dell’export la grande scommessa è lo sbarco negli USA. «Grazie all’impegno delle aziende e degli enti preposti della regione Toscana — sottolinea Seghi — è stata redatta la documentazione necessaria per consentire l’esportazione di salumi ed insaccati con stagionatura inferiore a 400 giorni negli USA: è stata elaborata una corposa documentazione in accordo con gli uffici della Regione Toscana e dei Ministeri preposti. Il dossier sarà inviato a Washington per poter essere preso in carico dagli ispettori americani che lo valuteranno. Riuscire ad aprire un canale commerciale con gli Stati Uniti d’America significherebbe accedere ad un mercato di milioni di persone per tutti i prodotti della nostra salumeria, consentendo alle nostre aziende di poter investire in occupazione, macchinari e stabilimenti, garantendo lavoro ed introiti di sicuro beneficio. La documentazione sarà inviata negli USA nelle prossime settimane, così da poter avviare il dialogo con gli uffici americani nei primi mesi del 2016». >> Link: www.finocchionaigp.it

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Giuseppe Villani nominato vicepresidente ISIT L’Istituto Salumi Italiani Tutelati (ISIT), l’associazione che riunisce 14 consorzi della salumeria italiana Dop e Igp, rende noto che è stato nominato alla vicepresidenza dell’istituto Giuseppe Villani, attuale presidente del Consorzio del Prosciutto di San Daniele. Villani affiancherà il presidente Lorenzo Beretta, che presiede il Consorzio Cacciatore Dop, alla guida di ISIT per il triennio 20152018. Villani, AD della Villani Spa, ha già ricoperto numerose e importanti cariche in ambito associazionistico: è stato presidente di ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi) e di IVSI (Istituto Valorizzazione Salumi Italiani) ed è l’attuale presidente della Commissione Unica Nazionale (CUN) Tagli di carne suina. «Ho accolto con piacere questa nomina. ISIT è l’associazione di riferimento dei Consorzi Dop e Igp, che riunisce i presidenti di questi e quindi gli imprenditori, ovvero coloro che direttamente investono sul territorio e contribuiscono a portare il nostro made in Italy nei mercati italiani e stranieri. Credo quindi che insieme potremmo fare utili strategie per il mercato dei salumi Dop e Igp, coordinandoci e sfruttando tutte le possibili sinergie e sensibilizzando sempre di più le istituzioni sui temi per noi di grande interesse. Metto quindi volentieri la mia esperienza al servizio dei Consorzi della salumeria italiana e ringrazio per la fiducia accordatami», ha affermato Villani. «Tra i nostri obiettivi futuri c’è sicuramente anche quello di aumentare sempre più la nostra rappresentatività per fare davvero sistema tra di noi e nei confronti di enti e istituzioni. Abbiamo già all’interno 14 consorzi che rappresentano 20 salumi Dop e Igp, capaci di generare circa 2 miliardi di euro di valore al consumo e che costituiscono la maggior parte delle principali produzioni di salumeria tutelate italiane presenti sui mercati. E puntiamo a numeri ancora più alti» ha concluso Villani. ISIT – Istituto Salumi Italiani Tutelati L’Istituto Salumi Italiani Tutelati nasce nel 1999 per svolgere azioni di coordinamento strategico e operativo tra i Consorzi di tutela della salumeria italiana. I Consorzi di ISIT: Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina, Consorzio Cacciatore, Consorzio di Tutela del Culatello di Zibello, Consorzio Mortadella Bologna, Consorzio del Prosciutto di Modena, Consorzio del Prosciutto di San Daniele, Consorzio di Tutela del Prosciutto Igp di Norcia, Consorzio del Prosciutto Toscano, Consorzio Salame Brianza, Consorzio di Tutela del Salame di Varzi, Consorzio di Tutela dei Salumi di Calabria Dop, Consorzio Salumi Dop Piacentini, Consorzio Tutela Speck Alto Adige, Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena.

Giuseppe Villani, neo vicepresidente ISIT (photo © www.phocusagency.com).

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PRODOTTI TIPICI

David Salumi, maestri norcini nel cuore dell’Umbria A San Venanzo, sul Monte Peglia, l’azienda artigianale è una vera e propria istituzione. Le sue specialità sono la Sella di San Venanzo, la Pigna del Monte Peglia e il Prosciutto Nonno Moro di Massimiliano Rella

S

ella, pigna... nel cuore dell’Umbria ci sono salumi dai nomi originali, non ricercati, né di fantasia e del tutto inventati, ma ripresi dalla quotidianità di realtà rurali che ancora oggi chiamano le cose con semplicità e schiettezza. La Sella di San Venanzo nasce nel borgo sul Monte Peglia,

San Venanzo appunto, in provincia di Terni, a 465 metri di altitudine, in un paesaggio di boschi, in prevalenza cerrete e pinete, e con oltre un migliaio di specie vegetali, come il leccio, il lentisco, il corbezzolo, il prugnolo, per citarne soltanto alcune. Specie che da secoli crescono sul terreno fertile di questa zona di

origine vulcanica con minerali e rocce uniche al mondo. Cinghiali, anche in piccoli branchi, caprioli, lupi, istrici e martore popolano gli ombrosi sentieri nascosti tra gli alberi. L’azienda artigianale norcina DAVID SALUMI è una “istituzione” gastronomica. Fu fondata più di cinquant’anni fa da ELPIDIO ROSSI detto il Moro e oggi è

Sella di San Venanzo: un mix di lardo e magro di suini selezionati. Il sapore ricorda il lardo di Colonnata, con il grasso che si scioglie in bocca e il gusto in più di un prosciutto di montagna saporito.

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Prosciutti di montagna e selle di San Venanzo in stagionatura.

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La Pigna del Monte Peglia, particolare. Il nome di questo singolare salume deriva dalla forma con protuberanze simili a quelle del frutto del pino. gestita dal figlio DAVID, aiutato a sua volta dai figli VALERIA e GIULIO. La produzione è limitata, con la macellazione media di 30 suini a settimana, animali ibridi di allevamenti locali, in particolare dell’azienda zootecnica Sposini Sant’Enea, alimentati solo con dieta di fioccato, cioè orzo, avena, cereali, senza mangimi chimici. La produzione, che include tante tipologie di salumi, è di qualità. La Sella di San Venanzo, il prodotto più apprezzato, è ottenuta dal lombo intero di suino, con tutto il suo lardo, disossato e rifilato, salato, massaggiato con un composto di aglio, aceto di vino bianco e peperoncino, e insaporito con una ricca miscela di spezie naturali in polvere, come coriandolo, finocchio selvatico, cannella, anice stellato, chiodi di garofano, noce moscata, pimento Giamaica, macis, zenzero. Il sapore ricorda il lardo di Colonnata, con il grasso che si scioglie in bocca e in più il gusto di un prosciutto di montagna saporito, dovuto al magro. «La sella deriva da una riflessione sul lardo: perché non lasciare un po’ di magro accanto al grasso?» ricorda David Rossi. Stagionata per 45 giorni, è ottima per farcire la torta al testo, una schiacciata umbra fatta con farina, acqua, sale, olio e lievito e cotta su una rovente pietra piatta refrattaria.

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Un generoso calice di rosso Orvietano completerebbe alla perfezione il goloso abbinamento. La Sella è adatta anche a insaporire primi piatti e sughi bianchi. In negozio a San Venanzo è in vendita a 22 euro al chilo, ma la troviamo anche da Eataly a Roma e Torino. Proviene esclusivamente da San Venanzo anche la Pigna del Monte Peglia, dalla singolare forma con protuberanze simile all’omonimo frutto del pino. Nato qualche anno fa come sperimentazione per togliere dall’impasto latte e lattosio, che servono come “collanti” ma possono provocare problemi di allergie o digeribilità, è un particolare salame prodotto senza allergeni, cioè latte, lattosio e glutine, che unisce gusto e vantaggi dietetici. La sua lavorazione avviene in due fasi: la pancetta, circa il 35%, salata e insaporita con rosmarino, zenzero, peperoncino, salvia, alloro e altre spezie, e il magro di suino, il restante 65%, sono macinati separatamente e poi miscelati in un unico impasto. Due tipi diversi di macinazione per la pancetta e il magro, a grana grossa e fina, servono proprio ad amalgamarli meglio. Ne deriva un salume pronto da consumare dopo quattro settimane di stagionatura con un sapore più fresco e delicato, più speziato e intenso dopo un periodo di affinamento più lungo. Il prezzo della Pigna del Monte Peglia in negozio è di 12 euro al chilo. Altro prodotto caratteristico è il Prosciutto Nonno Moro, dedicato al fondatore della norcineria. Un prosciutto di montagna fatto solo con le cosce più grandi del suino e con uno spessore importante di grasso che permetta 22-24 mesi di stagionatura, insaporito con un leggero sentore di aglio. L’azienda David Salumi, in via IV Novembre 147, è visitabile su prenotazione da martedì a sabato, con degustazione finale, in varie formule da 10-15 euro a persona. Il negozio invece si trova in via IV Novembre 47, ed è aperto da lunedì a sabato (www. davidisalumi.it). Massimiliano Rella

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Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Culaccia®, morbida come il prosciutto, dolce e pastosa come il culatello Morbida, dal sapore raffinato, è una squisita ed esclusiva specialità dello storico Salumificio Rossi di Fontanellato di Franco Ferrari

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olo carne suina di altissima qualità, senza additivi, né conservanti. Delicata, profumata, gustosa, avvolta nella sua cotenna. Parliamo della Culaccia®, una bontà del Salumificio Rossi di Sanguinaro, a pochi passi da Fontanellato, noto centro medievale della Bassa Parmense. Un salumificio che vanta un’origine ottocentesca e una continuità familiare giunta alla settima generazione, come puntualizza Bruno Rossi, oggi al timone dell’azienda e che dei suoi precedenti è storico appassionato e attento cultore. L’incontro con Bruno avviene in un’accogliente sala riunioni dall’arredo antico, con vista verso le colline della Val di Taro e con una vetrina, a tutta parete, che raccoglie, colleziona, decine e decine di originali bottiglie e contenitori che illustrano e ripropongono, al ricordo, rare etichette di liquori, aperitivi e digestivi di un’epoca che fu. Ma prima parliamo della Culaccia®, per l’occasione indiscutibile protagonista. «Sono ormai trascorsi parecchi anni da quando mio padre, Riccardo, ebbe l’idea e confezionò questo salume appartenente al mondo magico dei culatelli che già all’epoca eravamo tra i pochi a produrre» racconta Bruno Rossi. «E in effetti — prosegue — si tratta di un culatello, protetto però dalla sua cotenna, non dunque insaccato o manipolato, lavorato e stagionato in modo naturale, impreziosito da spezie e da altre raffinate e gustose

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accortezze che ne fanno un prodotto originale, esclusivo. Un marchio registrato. Fu una felice intuizione con un immediato positivo riscontro sul mercato. Oggi, infatti, la Culaccia® è apprezzata e richiesta nelle regioni del nord e centro Italia. Pure il suo nome, che sa di genuino, di casereccio, ha incontrato la simpatia dei consumatori». Comprensibile la soddisfazione che traspare dal racconto di Bruno, un

grande amore per il suo lavoro e, di conseguenza, per la lunga tradizione che ha alle spalle. Di cui conosce fatti e conserva immagini e testimonianze. C’era una volta… e c’è tuttora Tutto ebbe inizio intorno alla metà dell’Ottocento in una piccola bottega, accanto alla Rocca quattrocentesca di Fontanellato. Tanta voglia di fare. Capacità, rinunce, presto riconosciute e compensate. Col tempo, famiglia e

L’ideale degustazione consiglia di abbinare alla Culaccia® solo vino, preferibilmente secco e leggero, e pane fragrante e leggermente secco nella crosta.

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lavoro aumentarono. La bottega divenne un vivace laboratorio artigiano cui si affiancò un attrezzato macello. «Neppure le domeniche erano di riposo. Si chiudeva solo a Pasqua e a Santo Stefano. Per i clienti, che bussavano a tutte le ore, le porte erano sempre aperte». I sacrifici diedero frutti. E alla fine degli anni Sessanta, ecco la costruzione dell’attuale stabilimento sulla via Emilia: spazioso, funzionale, dove tradizione e sobrietà si fondono con efficienza e tecnologia. Anche l’offerta si è arricchita di tutti i salumi tipici della Bassa Parmense e, dulcis in fundo, la Culaccia®, accolta con entusiasmo dai buongustai che ne hanno esteso la domanda decantandone le virtù. Virtù interne: la scelta della materia prima, la parte migliore della coscia, la più pregiata, senza osso, senza gambo, lavorazioni estremamente naturali… E virtù esterne: processi di maturazione favoriti da un microclima ideale, equilibrato, né troppo asciutto né troppo umido. Il tutto, osserva Bruno, in un habitat di cultura secolare che ha saputo raccogliere e valorizzare l’intelligenza e la fantasia di chi ci ha preceduto e ci ha lasciato in eredità il culto per le cose fatte bene, per la buona tavola, in grado di dare emozioni, di favorire il dialogo. Percezioni che del resto Bruno ha ben descritto laddove afferma che «il piacere del cibo va al di là del solo senso del palato. Penetra in noi stessi fino ad arrivare alle più segrete sensazioni. Provoca benessere e soddisfazione anche alla nostra mente… emozioni impagabili. Certe volte gli sfizi occorre toglierseli!». Un’esortazione che accettiamo con gioia. E i premi e i riconoscimenti che le sono stati attribuiti, in occasioni di mostre, saloni, olimpiadi del gusto, non ci sorprendono. Danno giusta eco e ufficialità ai tanti pregi di questa delizia. Che trasforma gli “sfizi” in salutari abitudini! Franco Ferrari Salumificio Rossi – Erre Italia Srl Via Emilia 129 43012 Sanguinaro di Fontanellato (PR) Telefono: 0521 825107 E-mail: info@cadiparma.it

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La Culaccia® di Fontanellato: prodotto esclusivo del Salumificio Rossi Sono passati ormai molti anni da quando nel Dopoguerra Riccardo Rossi produceva per la prima volta questo prestigioso salume. Tecnicamente si trattava di un culatello con cotenna, e infatti era nato proprio durante la produzione dei culatelli. Casualmente ma volutamente, come tutti i prodotti della nostra tradizione, in seguito a continue prove durante le lavorazioni. Riccardo Rossi decise subito di ideare un marchio di fantasia per distinguere La Bottega Rossi alla fine del 1800. il suo prodotto, in modo da differenziarsi sul mercato. Insieme ad una agenzia pubblicitaria si decise il nome “Culaccia”, che divenne così un marchio di impresa registrato dal Salumificio Rossi-Erre Italia Srl. Ben presto il prodotto si diffuse al di la dei confini geografici della provincia e oggi è un punto di riferimento importante nel mondo della salumeria italiana, differenziando chiaramente la produzione del Salumificio Rossi. La Culaccia® nasce a Fontanellato perché qui trovò l’ambiente adatto, sia da un punto di vista culturale che climatico, ideale per perfezionarsi e stagionare al meglio. Culturalmente, nella zona, infatti, la tradizione della produzione dei salumi risale al 1400 ed è legata ai borghi medioevali, proprio come la Rocca di Fontanellato, che oltre ad essere uno splendido esempio d’architettura militare è anche il significativo documento di una presenza signorile ricca, che non trascurava l’arte (importante è il ciclo del Parmigianino) e che apprezzava l’alta cucina e la gastronomia. Quest’ultima, come dimostrano gli stretti legami tra le diverse Rocche della pianura ed i Castelli, ha fortemente influito sull’evoluzione delle produzioni alimentari di pregio e sul loro utilizzo gastronomico. E poi l’importanza del microclima connesso alla ricchezza delle acque fresche affioranti soprattutto nei mesi caldi: ad esempio quelle di Cannetolo, luogo ricco di canne, o Sanguinaro, per la presenza, un tempo, di herba sanguinaria o di sanguinella (Digitaria sanguinalis), che trovavano il clima favorevole al loro sviluppo, in quanto né troppo secco, né troppo umido. Questo microclima moderatamente equilibrato tra l’asciutto e l’umido, condizionato dalla risorgive e fontanili, costituisce il fattore specifico di tipicità ambientale per la stagionatura di una salume, come la Culaccia® di Fontanellato, che è in parte protetto dalla cotica ed in parte privo di cotica e scoperto. Il Salumificio Rossi ha concepito i suoi prodotti e li ha perfezionati per valorizzare al massimo le loro caratteristiche organolettiche e la genuinità della produzione. Infatti: “la nostra prerogativa principale è proprio la selezione accurata della materia prima e la minimizzazione degli ingredienti per ottenere prodotti dal gusto e dal sapore estremamente delicati e caratteristici”. Il Salumificio Rossi utilizza solo carne di suini nazionali italiani, appartenenti al circuito tutelato per la produzione delle più importanti DOP italiane. Prodotti destinati agli intenditori, in grado di apprezzarne completamente la qualità e la ricercata prelibatezza del gusto. >> Link: www.culaccia.it

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LA QUALITÀ

La qualità europea del Radicchio Rosso di Treviso Igp compie vent’anni di Massimiliano Rella

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“Il Radicchio Rosso di Treviso Igp si accinge a festeggiare un importante anniversario: nel 2016 saranno trascorsi 20 anni da quando è stato ottenuto il marchio d’origine dall’Unione Europea”

Produzione di Radicchio Rosso di Treviso in saòr (soluzione di cipolla e aceto) nei laboratori dell’azienda Nonno Andrea a Villorba (TV).

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el 2016 saranno trascorsi 20 anni da quando il Radicchio Rosso di Treviso Igp ha ottenuto dall’Unione Europea l’Indicazione Geografica Protetta. Un riconoscimento alla qualità di un prodotto che nasce soltanto nel territorio tra le province di Treviso, Padova e Venezia e acquisisce le sue caratteristiche estetiche e di sapore grazie ad una tradizionale lavorazione manuale. Il radicchio rosso di Treviso è prodotto nelle due tipologie: tardivo e precoce; diversi entrambi da un altro radicchio di territorio, quello Variegato di Castelfranco Igp. Quest’ultimo si differenzia per il colore delle foglie bianco-crema, variegate dal viola chiaro al rosso

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violaceo fino al rosso vivo, di forma grande e frastagliata, il sapore dal dolce al leggermente amarognolo. Ma torniamo al nostro Radicchio Rosso di Treviso IGP. La pianta appartiene alla famiglia delle composite e, più precisamente, delle cicorie. Il “tardivo” presenta foglie di forma lanceolata, di colore rosso intenso, attraversate da una spessa dorsale bianca, di gusto amarognolo. Il radicchio che troviamo in vendita è lavorato con una tecnica tradizionale che prevede diverse fasi. Si comincia con la forzatura e l’imbianchimento. Le piante sono raccolte a partire dai primi di novembre, dopo almeno due brinate per favorire la colorazione rossa, e, una volta eliminate le foglie

esterne verdi, legate a mazzi e messe in vasche riempite con acqua corrente di risorgiva. «In questo periodo il cuore del radicchio, addormentato per il freddo dell’inverno, rinasce» ci spiega il presidente del Consorzio di tutela PAOLO MANZAN, titolare dell’azienda Nonno Andrea di Villorba. «Da questo trattamento del tutto naturale deriva anche la particolare croccantezza del prodotto». Dopo circa quindici giorni, cioè una volta ottenuti i nuovi germogli, si procede con la tolettatura, che serve a liberare i cespi dai legacci, eliminare le foglie rovinate e non perfette, tagliare e togliere la corteccia al fittone — la grossa radice alla base del cespo — e quindi con

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Ceste di Radicchio Rosso di Treviso Igp nel negozio del produttore Nonno Andrea.

“Il radicchio rosso di Treviso è molto versatile in cucina. Crudo, è un ingrediente ideale per insalate fresche e saporite e per antipasti dagli originali accostamenti di sapori… Cotto, invece, si presta alla preparazione di gustose ricette, dall’antipasto al dolce”

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il lavaggio e il confezionamento. Il “precoce”, invece, ha l’aspetto di un cespo voluminoso, allungato, ben chiuso, con foglie di colore rosso intenso e una nervatura centrale bianca, sapore leggermente amarognolo e consistenza mediamente croccante. I cespi, ancora in campo nei mesi di settembre e ottobre, vengono legati in alto per tenerli chiusi e impedire il normale processo di fotosintesi per le foglie interne, che non diventano verdi ma assumono la caratteristica colorazione rossastra. Restano così per il tempo necessario al giusto grado di maturazione. Una volta raccolti vengono sottoposti a tolettatura, cioè liberati dalla legatura e privati delle foglie esterne e la porzione di radice viene scortecciata. Infine sono messi in grandi recipienti pieni d’acqua corrente per lavarli. Il radicchio rosso di Treviso è molto versatile in cucina. Crudo, è un ingrediente ideale per insalate fresche e saporite e per antipasti dagli originali accostamenti di sapori, come il carpaccio di vitellone marinato all’arancia con misticanza di radicchio rosso di Treviso o la tartare con bouquet di radicchio rosso di Treviso all’aceto di lamponi e gelatina di clementine.

Cotto si presta alla preparazione di gustose ricette, dall’antipasto al dolce. Per i primi si va da un classico risotto al radicchio rosso di Treviso arricchito con Casatella DOP trevigiana fondente fino a proposte più fantasiose come i bigoli ai frutti di mare e brunoise di radicchio. Tra i secondi si può pensare alla Suprema di faraona farcita con radicchio rosso di Treviso al forno oppure alla Suprema di pollo ripiena di radicchio e soppressa, con radicchio brasato. Due fra i tanti piatti da acquolina in bocca! Molte di queste ricette sono pubblicate dal Consorzio di tutela (www. facebook.com/radicchiorosso). E per fare una bella scorta di radicchio vi consigliamo l’azienda Nonno Andrea, che vende anche altri ortaggi e prodotti lavorati (composte, salse, creme, sottolii, ecc…) e ci offre la possibilità di visitare l’azienda e le fasi produttive (www.nonnoandrea.it). Massimiliano Rella Nota A pagina 48 il cuore del Radicchio Rosso di Treviso IGP, la parte che rimarrà dell’ortaggio a fine processo di imbianchimento in vasche d’acqua delle risorgive; photo © Massimiliano Rella.

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SAPORI DAL MONDO

Jamón de Teruel Dop, la stella d’Aragona di Riccardo Lagorio

È

nato sotto una buona una stella. Si dovrebbe scomodare il Libro III di STRABONE, che nella sua Geografia racconta dell’allevamento dei suini nella penisola iberica, proprio ai piedi dei Pirenei, ma per rimanere ai giorni nostri è dal 1983 che una stella viene impressa sull’autentico Prosciutto di Teruel DOP (Jamón de Teruel), il primo prosciutto spagnolo e il terzo in assoluto ad essere tutelato a livello

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europeo. Da allora la buona fama del prosciutto di Teruel assicura ed è confortata da cosce che provengono da suini di razze selezionate, nati, allevati, macellati e infine stagionati nella medesima provincia dell’Aragona. Attualmente sono iscritti al Consorzio circa 120 allevamenti che garantiscono una capacità di allevamento di 120.000 animali all’anno, con circa 7.000 scrofe. I suini che diventeranno Prosciutto di Teruel

DOP provengono da incroci di scrofe di razze Landrace e Large White e di verri di razza Duroc. L’attenta scelta di queste razze deriva dalla loro capacità di fornire cosce ideali per la produzione di prosciutto. Landrace e Large White garantiscono una carne succulenta, di buona consistenza e colore mentre i soggetti Duroc apportano un’ottima infiltrazione di grasso. L’alimentazione è l’altro punto di forza riconducibile al Prosciutto

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Maiale di razza Duroc (photo © jamondeteruel.com). di Teruel DOP poiché sono ammessi esclusivamente i cereali coltivati nella campagna di Teruel e nelle province limitrofe, naturali e ideali a conferire il miglior sapore agli animali e con l’attenzione di non apportare un eccesso di proteine negli ultimi 40 giorni di vita. La macellazione avviene all’età variabile tra 32 e 38 settimane, quando si sia raggiunto un peso minimo di 110 kg. Ma non si può trascurare l’importanza del clima della provincia turbalense: freddo e secco grazie all’elevata altezza minima concessa per la lavorazione delle carni, pari a 800 metri sul livello del mare, sono strumentali alla stagionatura dei

prosciutti sviluppando in maniera idonea i profumi e gli aromi delle cosce, che si qualificano come DOP con la stella a otto punte trascorse almeno 60 settimane dall’inizio della trasformazione. Esternamente il Prosciutto di Teruel DOP si distingue per la presenza dello zampetto e della cotenna come pure di una banda numerata con il logo del Consorzio a mo’ di cravatta. Il peso minimo per l’immissione sul mercato del prosciutto è di 7 kg. Al taglio si esaltano il colore rosso intervallato dalla marezzatura del piacevole grasso e l’aspetto brillante, il profumo di carne matura e il sapore delicato, poco salato, fatto

“Esternamente il Prosciutto di Teruel DOP si distingue per la presenza dello zampetto e della cotenna come pure di una banda numerata con il logo del Consorzio a mo’ di cravatta. Il peso minimo per l’immissione sul mercato del prosciutto è di 7 kg”

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che si deve alle basse temperature a cui si sottopongono le parti anatomiche durante il processo di stagionatura. Ma è proprio la presenza di un grasso quasi dorato, untuoso al tatto, aromatico e profumato a rendere unico il Prosciutto di Teruel DOP. Nel febbraio 2014 il Consorzio, nell’ambito di una revisione parziale del disciplinare di produzione del prosciutto di Teruel, ha inserito nella sezione relativa alla protezione anche lo zampetto anteriore (paleta), proveniente dai medesimi animali e sottoposto alle stesse rigide condizioni di affinamento del prosciutto. Tagliato a mano con fette irregolari, il prosciutto di Teruel esprime al meglio la propria personalità. Tuttavia, per la moderna distribuzione sono disponibili preaffettati in atmosfera protetta o sottovuoto. Il Consorzio di tutela è particolarmente attivo nella promozione del Prosciutto di Teruel DOP. Già nell’edizione 2005 della Fiera dedicata al prosciutto, che si tiene ogni

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Lo Jamón de Teruel deve essere tagliato rigorosamente a mano (photo © charcuteria-ibague.blogspot.com). anno nei primi giorni di settembre in città, il Consorzio celebrò il panino al prosciutto più lungo del mondo, che si sviluppava per 230 metri e per il quale furono necessari 130 kg di prosciutto, ovvero 32 cosce. Giunta alla 31a edizione nel 2015, la settimana della Fiera si è andata arricchendo di concorsi dedicati ad affettatori hobbisti e a bar e ristoranti che propongono tapas elaborate con il prosciutto di Teruel. Un’offerta questa che movimenta il centro storico della città del mudéjar (il caratteristico stile architettonico che fonde elementi cristiani e musulmani) e che si avvicina più ai piatti di porzioni che ai cosiddetti pinchos. Nei locali si possono così trovare assaggi di uova strapazzate e prosciutto di Teruel, taglio a mano di prosciutto di Teruel e sardine affumicate del Cantabrico o il prosciutto di Teruel con gamberi e senape (preparazione della Caffetteria Sarto che si aggiudicò la selezione nel 2013 con il nome di Ámbar).

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Jamón stellato anche nel piatto L’attrazione fatale del prosciutto di Teruel non ha risparmiato neppure il primo ristorante stellato della provincia, il romantico Hospedería El Batán (www.elbatan.es) di Tramacastilla. MARÍA JOSÉ MEDA, che aprì il piccolo locale nel 1999 all’età di soli 23 anni, offre una cucina molto personale. Da autodidatta, pone al centro della sua esperienza i prodotti locali, rievocando e reinventando ricette con un pizzico di modifiche tecniche e nella elaborazione. Nelle sue parole si riscontra il gusto e il piacere di potere essere una perfetta ambasciatrice del territorio. «Il piatto deve essere attraente. La seduzione è vista, olfatto, tatto e gusto. Quando si ha un ricordo di tutto questo significa che il piatto era buono: è come innamorarsi. E per noi oggi è indispensabile fare innamorare il cliente, fare sì che ripeta l’esperienza e si crei un legame indissolubile». Incastonato in un paesaggio di incomparabile bellezza, tra boschi e

cascatelle, la ricetta che ha acceso la scintilla d’amore in numerosi clienti è proprio la Lasagna di porcini dei Monti Universali, Prosciutto di Teruel Dop, formaggio di capra fritto al profumo di basilico. Teruel è stata dichiarata Città europea dell’Amore per il 2017 (anche grazie alla presenza, nei secoli andati di due Giulietta e Romeo in salsa iberica, Isabel de Segua e Juan Diego Martínez de Marcilla). Avete meno di un anno per prenotare il luogo dove passare il prossimo San Valentino e lasciarvi trasportare dalla cucina di María José Meda e dal suo Prosciutto di Teruel DOP. Riccardo Lagorio Consejo Regulador Jamón de Teruel Avenida de Sagunto 116 Teruel, Aragona – Spagna Web: www.jamondeteruel.com Nota A pagina 52 uno scorcio di Plaza del Torico, Teruel, Aragona (photo © commons.wikimedia.org).

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ANALISI DEL FOOD Il gusto del piccante

Il piacere della paura di Giovanni Ballarini

L

a cucina delle carni, in particolare quelle bollite, vede il tradizionale accompagnamento di salse piccanti, dalle senapi francesi alle mostarde padane, dalla popolare pearà veronese al cren veneto. Sulla base delle più recenti ricerche fisiologiche e conoscenze antropologiche, sappiamo che il gusto del piccante è una caratteristica di maturità psicologica e si rapporta alla paura e ad altre manifestazioni nelle quali si cerca il “limite”. Spezie piccanti e paura nella cultura del cibo La vita si mantiene attraverso la difesa dalle azioni avverse, la nutrizione e la riproduzione e queste tre attività sono possibili attraverso i sensi e i loro organi, ma anche dalle condizioni e stimoli che li attivano. Tutti gli organi di senso sono coinvolti nell’alimentazione. Le sensazioni del gusto derivano dai chemio-recettori

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che l’organismo possiede e che sono stimolati da particolari molecole. Le stimolazioni che ne derivano sono accompagnate da sensazioni olfattive che originano da ricettori situati nella parte alta delle cavità nasali e sono mediate anche dalla sensibilità tattile, di pressione, termica (freddo e calore) e di dolore, al quale è connessa la condizione della paura. La particolare sensazione gustativa del piccante in tutte le culture umane ha sollevato non facili problemi interpretativi e di recente sta avendo una particolare e quasi insospettata soluzione, ovvero quella di una stretta relazione con la paura dei cibi. Questa nuova prospettiva permette anche di comprendere il successo che in alimentazione umana e soprattutto in gastronomia hanno avuto e continuano ad avere i cibi piccanti, sui quali molto si è scritto da un punto di vista storico, ma che rimanevano un fatto incomprensibile: perché il cibo piccante piace?

Cibo piccante: perché piace? Quando si nasce, si cerca sicurezza e conforto e per questo i cibi devono essere dolci, caldi, morbidi e bianchi, come il latte materno. Cibi amari o piccanti, duri e scuri, se non neri, sono un indicatore di pericolo e da evitare. Man mano che il bambino cresce, inizia l’interesse per la ricerca e la scoperta del mondo e con essa anche il piacere del rischio e della paura. Una ricerca che riguarda anche il cibo. Cibi nuovi e con sapori che se non sono ben dosati possono dare una sensazione sgradevole e persino di dolore, segnano l’inizio di un’indipendenza nella quale il gusto del piccante dei cibi e dell’amaro delle bevande divengono anche fonte di piacere, primo dei quali una raggiunta maturità, ma anche un dominio e superamento di un dolore, peraltro sicuro, limitato e, soprattutto, transitorio. È una constatazione comune che, quando si è raggiunta una maturità psicologica, gli uomini

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ph: Franceschini Vincenzo

La cura e la dedizione di una cottura lenta, come nella nostra tradizione piĂš vera, per un prodotto di incredibile sapore, davvero speciale.

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione. FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it


amano praticare sport estremi, andare sulle montagne russe, leggere racconti o romanzi polizieschi e noir, guardare film horror. In modo analogo, quando si è raggiunta una maturità alimentare, gli uomini iniziano a mangiare e ad apprezzare cibi che procurano un limitato e transitorio dolore e un senso di pericolo. Al tempo stesso, in tutti questi casi vi è un piacere, non tanto del rischio, quanto di una paura che è controllata ma, soprattutto, dominata. Spezie piccanti in natura Molte sono le spezie piccanti in natura. Tra le spezie che stimolano le mucose della bocca e a dosi ridotte provocano sensazioni d’irritazione e caldo — e a dosi più elevate dolore — vi sono anche la senape bianca e la senape nera. Queste spezie provocano anche una stimolazione delle mucose dell’occhio con lacrimazione e delle mucose del naso con aumento delle secrezioni (da qui la frase “mosca al naso”, errata traduzione dal francese di moutarde au nez). Il piccante stimola i ricettori della mucosa orale

attraverso la branca buccale del nervo trigemino, che manda un segnale d’allarme per avvertire che il palato sta “bruciando”. Questo segnale, attraverso il ganglio di Gasser, è inviato anche alle mucose nasali e oculari, che rispondono aumentando la secrezione e la lacrimazione. Queste stimolazioni sono inviate anche al cervello che le elabora anche in base alle sue memorie antiche e recenti. Al di fuori dei processi fisiologici degli stimoli e loro trasmissione ed elaborazione nervosa, complessi e in gran parte ancora inesplorati sono i significati delle attività irritanti di molti composti che, oltre la senape, sono presenti nei vegetali. Una presenza che deve essere esaminata e valutata in rapporto all’evoluzione biologica, al mondo dei vegetali e degli animali e, non da ultimo, l’alimentazione umana. Nel mondo delle piante, molecole come la sinigrina e sinalbina della senape sono molto diffuse, almeno per due motivi. Oltre a tenere lontani dalle piante taluni parassiti, queste molecole servono per selezionare gli

animali che diffondono i semi dei vegetali. Nel caso della senape, come del pepe e peperoncino, i semi non sono sparsi dai mammiferi che evitano di mangiare i frutti piccanti, ma dagli uccelli che sono insensibili alla loro azione pungente e che portano i semi a distanze molto grandi, con indubbio vantaggio per la specie vegetale. Cibi e allarmi che preoccupano Molte persone provano gusto, se non piacere, a mangiare cibi piccanti. Oltre quanto studiato e sostenuto da diversi psicologi, tra cui l’americano PAUL ROZIN, bisogna precisare che agli adulti spesso piace godere di situazioni nelle quali il loro corpo manda segnali d’allarme, mentre sanno che in realtà non vi è alcun pericolo. Infatti, gli ottovolanti, i paracadute devono essere sicuri, come i sistemi di protezione degli sport estremi. Allo stesso modo, godiamo leggendo romanzi o assistendo a spettacoli di genere horror quando ci si trova in una condizione priva di pericoli. Per piacere, quindi, anche i cibi che danno segnali di pericolo devono essere

Salame piccante artigianale (photo © www.foodscovery.com).

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Chili piccante (photo © www.star.it). sicuri. Molto complesso è perciò il rapporto tra uomo e cibo piccante e va studiato nella prospettiva della storia evolutiva dell’uomo, la cosiddetta alimentazione darwiniana. Diversamente da moltissime altre specie animali, la nostra, dopo il breve periodo infantile durante il quale si alimenta solo di latte, progressivamente diventa onnivora e mangia di tutto. Questa caratteristica permette di non fare affidamento su un unico o solo pochi tipi di cibo, come invece avviene per gli animali monofagi. La polifagia, infatti, ha consentito alla specie umana di trovare fonti di sostentamento nutrizionale nel corso delle sue lunghissime migrazioni e in ogni ambiente che ha conquistato, dai poli all’equatore, dalle pianure alle montagne, dai climi aridi a quelli mediterranei, da una vita contadina a quella urbana. Gli esseri onnivori hanno grandi vantaggi, ma anche una serie di difficoltà, perché in natura non tutto quello che è masticabile e sembra mangiabile è anche commestibile e può essere anche tossico. Per questo,

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le specie animali onnivore, e tra queste la nostra in alto grado, hanno sviluppato un’alimentazione che si basa su una ricerca che si svolge attraverso complessi sistemi di sperimentazione, controllo dei risultati e loro comunicazione nella propria comunità o società. Ciò che è “buono da mangiare” passa dal biologico al sociale Da qualche tempo è noto che nelle comunità di topi, specie onnivora, di fronte a un cibo nuovo e sconosciuto vi è qualche individuo più ardimentoso che l’assaggia. Se in seguito si sente male o ha qualche disturbo, lancia specifici gridi d’allarme e il presunto cibo è evitato da tutta la colonia. Di conseguenza, ogni colonia di topi sviluppa una propria cultura alimentare che trasmette di generazione in generazione. Per questo, come veleni per topi, si usano esche avvelenate con il dicumarolo, che agisce dopo tre o più giorni dall’ingestione, impedendo ai topi di collegare il cibo avvelenato al malessere che ha portato alcuni soggetti alla morte.

Caffè, tè, cioccolata… Tra i segnali avversi presenti nei cibi vi è il loro sapore amaro, che ha una certa correlazione con la tossicità. Un’altra sensazione allarmante è quella del piccante, che in diverso grado si trova in pepe, peperoncino, senape, rafano, zenzero e altri vegetali. Come fanno i topi e altre specie onnivore, anche gli esseri umani, e con il passare dei millenni, ingerendo piccole quantità di cibo un po’ per volta, hanno imparato a nutrirsi di cibi dal sapore amaro o piccante, ma in quantità e con modi tali da non renderli velenosi, e ogni società umana ha creato le proprie regole di scelta e di utilizzo di questi cibi. Questo spiega perché ogni cucina umana ha il suo gusto amaro o piccante. Per il gusto amaro, nelle antiche culture dell’Africa vi era il caffè, in quella asiatica il tè e in quella delle Americhe la cioccolata. Per le spezie piccanti del passato in Asia vi era il pepe, in Asia e Africa la senape, in America il peperoncino, in Europa il rafano. Più recentemente peperoncino e senape hanno invaso il mondo.

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Frutta candita per la preparazione della mostarda cremonese (photo © www.my-personaltrainer.it). Piacere della paura di cibo Le conoscenze antropologiche spiegano come la nostra specie abbia iniziato a mangiare cibi dal sapore non gradevole, ma non ci dice come mai ci piacciano cibi che sono, in sostanza, dolorosi (spezie) o sgradevoli (amari) da mangiare. PAUL ROZIN è uno scienziato che ha indagato le nostre abitudini alimentari con una serie di studi sul campo per capire cosa vi sia dietro il gusto apparentemente paradossale per il cibo piccante [ROZIN P., Why We Eat What We Eat, and Why We Worry about It, Bulletin of the American Academy of Arts and Sciences, 50 (5) 1997]. Viaggiando in Messico, dove i residenti hanno una dieta molto piccante, Rozin ha messo a confronto la loro tolleranza ai cibi piccanti con quella dei Nordamericani, che hanno abitudini alimentari

meno estreme. Il risultato è stato che i Messicani hanno una tolleranza al piccante superiore, anche se di pochissimo, ma il livello di piccantezza che entrambi i gruppi apprezzano di più è quello appena sotto la soglia del dolore intollerabile. Rozin ha quindi concluso che nella ricerca e apprezzamento del piccante, il dolore è parte essenziale del fenomeno ed entra nella misura nella quale le persone si spingono a un limite, ma senza superarlo. Questa “ricerca del limite” è spiegata dal fatto che nel cervello umano le aree del piacere e del dolore sono molto vicine e una volta entrate in funzione attivano altre parti molto vicine del cervello dove ha sede la coscienza superiore. Infine, l’amore per il cibo piccante è la conseguenza di un’interazione

“Gli esseri onnivori hanno grandi vantaggi, ma anche una serie di difficoltà, perché in natura non tutto quello che è masticabile e sembra mangiabile è anche commestibile e può essere tossico”

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tra le aree vicine del cervello che controllano il dolore, il piacere e la coscienza, ma soprattutto una conseguenza di un rapporto tra questi tre elementi. In questa interazione, la sensazione di dolore e pericolo, confusa con il piacere, si accompagna alla consapevolezza che in realtà il palato non sta andando a fuoco e che il tutto è sotto controllo, anzi è un segno che di un proprio potere di controllo. A tutto questo si aggiunge il fatto che la sensazione dolorosa sparisce rapidamente, dando origine al piacere di una “guarigione”, di una liberazione, di un sollievo. Una condizione che ricorda tra l’altro il piacere che si ha dopo una fatica. Da un processo quasi masochista e autolesionista, nel quale il cervello in qualche misura è ingannato, una rapida realtà dolorosa, ma innocua, scatena un piacere. Non è questa l’unica attività umana in cui si verifica questo fenomeno perché, come citato prima, molte persone amano la paura e l’eccitazione prodotte da situazioni di pericolo simulato, ma controllato e quindi ritenuto sicuro!

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molto piccante. Alcune varietà, come la mostarda cremonese, spesso sono scambiate per canditi di grosse dimensioni, ma in realtà sono un alimento di gusto molto deciso da abbinarsi con piatti salati. Il termine mostarda a volte è fonte di equivoci, perché esso definisce sia la preparazione propriamente detta, sia, per rimando al francese moutarde, il condimento più noto in italiano come senape, che condivide la stessa base, essendo entrambi gli alimenti preparati con i semi della stessa pianta. Anche se l’etimologia è contestata, mostarda deriverebbe da mustum ardens, che compare per la prima volta in un testo francese del 1288, intendendo il mosto di vino reso ardente, cioè piccante, dall’aggiunta di farina di grani di senape. In tal modo è possibile conservare un prodotto facilmente deperibile come la frutta. A conferma dell’antichità della tradizione della mostarda si cita la Secchia rapita del TASSONI (1621),

il quale, nel descrivere i doni ad un legato pontificio, menziona (XII, 38) “due cupelle di mostarda di Carpi isquisitissime”. Peraltro, già un secolo prima, nel 1522, il BERNI alludeva alla mostarda nelle sue lettere facete. La diffusione nell’Italia settentrionale avviene verso il Seicento, e il suo uso è associato alle festività natalizie, con diffusione nelle diverse città della pianura padana: Vicenza, Mantova e soprattutto Cremona, radicandosi in ricette tradizionali. La quantità di gocce di tintura di senape usualmente varia da dieci a venti per chilogrammo di composto, secondo la piccantezza desiderata. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 56 peperoncino piccante. Originario delle Americhe, era usato come alimento fin da tempi antichissimi. Attualmente è coltivato in tutto il mondo (photo © www. my-personaltrainer.it).

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Il piacere dei cibi piccanti Anche per i cibi piccanti esistono dei limiti, diversi per ogni persona e a loro volta influenzati dalle abitudini alimentari. Il piacere che provocano giustifica la loro presenza e persistenza e per questo i cibi piccanti sono importanti cibi “culturali”. Il controllo del limite dei cibi piccanti (come anche quelli amari) in ogni cultura è ottenuto attraverso le tradizioni, spesso trasferite nelle ricette delle diverse preparazioni, loro associazioni con altri cibi e rituali d’uso, nei quali sono regolati dolore e piacere, paura felicità e allegria. Ben nota è la passione che gli antichi Romani avevano per il prezioso e costosissimo pepe, come è nota la diffusione rinascimentale delle mostarde, prodotto culinario diffuso nell’Italia settentrionale, realizzato con diversi ingredienti secondo la zona e la cultura che l’ha prodotta e della quale è espressione. Nella sua ricetta più essenziale, la mostarda consiste di frutta, zucchero ed essenza di senape, solitamente

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INDAGINI Indagine sui bisogni dei consumatori “Mangiar Sano, Filiera Italiana”

Etichette, queste sconosciute L’alimentare è soggetto a regole severissime, non ultime quelle relative alle informazioni al pubblico. Ma quanto è davvero in grado di capire il consumatore medio di quanto riportato su una confezione? E cosa vorrebbe gli venisse detto del prodotto che sta per acquistare? di Guido Guidi

A

l legislatore europeo che ormai decide delle nostri sorti “dal campo alla tavola”, appare prioritario che chi acquista debba avere tutti gli elementi necessari a fare una scelta consapevole, ma, soprattutto, tarata sulle sue

esigenze, non ultime quelle dettate da patologie legate all’alimentazione. Fin qui tutto giusto e condivisibile. Il problema sorge quando ci si rende conto che sono pochissimi coloro che la sanno leggere in maniera corretta l’etichetta di un alimento. Ancor

peggio accade quando si ha a che fare con sigle o loghi particolari. Chi acquista, infatti, non ha sempre ben chiaro il significato di determinati acronimi o di certi codici che invece per gli addetti ai lavori sono importantissimi. Si lavora molto per vedersi

Dall’indagine conoscitiva sui bisogni dei consumatori italiani condotta dall’Osservatorio Permanente sulla Filiera italiana del Latte è emerso che il 96% ritiene importante acquistare un prodotto realizzato con materie prime nazionali (photo © www.ilfattoalimentare.it).

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riconosciuta una denominazione d’origine per poi scoprire con gran delusione che quei simboli di cui si va orgogliosi per il pubblico significano poco o nulla. È illuminante e allo stesso tempo sconfortante l’indagine conoscitiva sui bisogni dei consumatori italiani condotta dall’OSSERVATORIO PERMANENTE SULLA FILIERA ITALIANA DEL LATTE “Mangiar Sano, Filiera Italiana”, costituito da ADOC, CITTADINANZATTIVA, FEDERCONSUMATORI e MOVIMENTO CONSUMATORI insieme al MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI e a GRANAROLO. Il rapporto — frutto di un’indagine che ha coinvolto un totale di 1.021 cittadini italiani (313 del Nord Italia, 389 del Centro e 319 del Sud) di età compresa tra 18 e 30 anni — è stato presentato a Milano, in uno degli ultimi giorni di Expo. Le stranezze che emergono da questa ricerca sono diverse La prima è che il 95% degli intervistati ritiene le etichette importanti, ma soltanto il 18% le legge integralmente. Complice la crisi che costringe a fare attenzione al rischio di dover buttare il prodotto ancor prima di averlo intaccato, la priorità, quando si ha in mano una confezione al supermercato, viene data alla data di scadenza. Il 63% degli intervistati la verifica e si accerta che non sia prossima o almeno si assicura di avere tutto il tempo di consumare il prodotto prima che scada. Superato questo passaggio, l’esame per il 50% degli intervistati passa agli ingredienti, in parte (49%) per verificarne, laddove possibile, la provenienza, e in parte (37%) per accertarsi dell’assenza di sostanze dannose alla propria salute. Il 50% degli intervistati non conosce il vero significato di made in Italy. Non sa che si può considerare tale un prodotto alimentare trasformato nel Belpaese con materie prime non necessariamente nazionali. Il 30% circa crede infatti che ciò che può essere definito correttamente made in Italy sia stato realizzato con materie prime rigorosamente italiane. Questa affermazione acquisisce un significato ancor maggiore se si considera che il 96% ritiene importante acquistare un prodotto realizza-

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Salame filzetta biologico al vino. Una percentuale pari al 38% degli intervistati ritiene che il biologico sia un fattore di legalità, confermando con questa informazione una confusione generalizzata del significato del termine (photo © www.boutik.it). to con materie prime nazionali (cioè coltivate o allevate nello Stivale) e il 73% si dichiara disposto a spendere in più per averlo. Il passaggio merita però un approfondimento maggiore perché rileva due elementi degni di nota. Il primo è che tra le dichiarazioni e i fatti non c’è sempre esatta coincidenza. Molto spesso i consumatori si dichiarano disposti a spendere di più per prodotti locali, ma ciò che inesorabilmente continua a giocare un ruolo determinante tra gli scaffali è il prezzo. Alcuni dati sulla contrazione dei consumi a seguito della crisi non si spiegherebbero altrimenti. Così come non si spiegherebbe l’assalto puntuale alle offerte e il fatto che spesso — a dispetto di tutto — i prodotti locali soccombano nel mercato a vantaggio di altri meno cari, più pubblicizzati e magari di più pratico consumo. Insomma, la dura realtà dei fatti è che in un Paese come il nostro in cui del cibo si è fatto un culto ma anche una moda, in tanti sfoggiano una filosofia di vita, per poi adottarne un’altra. Il secondo punto interessante è che nell’immaginario collettivo alberghi una visione distorta di ciò che si può considerare made in Italy. Non solo per quello alimentare, ma anche per il resto delle produzioni italiane. L’arte nostrana è principal-

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mente quella della trasformazione e quindi risiede nella capacità di creare un prodotto, a prescindere dalla provenienza della sua materia prima. L’utilizzo prevalente o esclusivo di materia prima nazionale in un mondo ideale sarebbe cosa ottimale per il Paese tutto e da tutti i punti di vista. È doveroso però dire che l’impiego di materie prime estere in luogo di quelle nazionali non è un crimine, né si può considerare una truffa al consumatore salvo che si lasci intendere una cosa per un’altra. L’illecito scatta infatti quando si trasmettono al pubblico informazioni false condizionandone le scelte. Ma l’uso di produzioni estere, spesso strada obbligata dalle circostanze, non è di per sé un illecito. Di recente invece abbiamo assistito ad una criminalizzazione feroce di chi trasforma alimenti utilizzando materia prima estera, come se questo fosse un trucco per ingannare il consumatore. Ma “nazionale” non significa necessariamente “di qualità”, come per “estero” non si intende obbligatoriamente “nocivo”. Il risultato di certo tipo di demonizzazione mediatica è stata la confusione generale. Una confusione che non aiuta nessuno, né produttori, né consumatori e che getta discredito sulle imprese, senza distinzioni di nazionalità. Chiusa la doverosa parentesi, l’indagine dell’Osservatorio evidenzia

una forte contrarietà degli intervistati all’utilizzo di latte in polvere per produrre formaggi. Sono l’84% coloro che si sono dichiarati sfavorevoli, ma anche qui emerge una scarsa conoscenza della questione. In effetti, solo il 64% sa che in Italia il loro impiego per la produzione di formaggi è vietato. Eppure di recente, al pronunciarsi dell’UE sulla questione, alcuni soggetti il cui peso mediatico è notevole, hanno fatto una campagna che ha contribuito davvero poco a rendere i consumatori più eruditi in materia. In compenso, ha portato grande visibilità a coloro che hanno cavalcato in maniera distorta la notizia e ha gettato l’ombra del dubbio nei confronti dei casari tutti. Che un certo tipo di informazione possa avere alla lunga un effetto distorto è confermato dal fatto che per i consumatori la questione della legalità (quindi del rispetto delle norme) della filiera agroalimentare si traduca principalmente nell’indicazione della provenienza della materia prima in etichetta. Solo questo elemento la renderebbe davvero trasparente e sicura agli occhi di chi acquista. Dalla ricerca emerge però anche che viene dato un ruolo importante agli standard di sicurezza alimentare (94%), al luogo di trasformazione (91%), all’aderenza a standard di rispetto e tutela dei lavoratori impiegati nella filiera (48%) e, infine, alla presenza del marchio registrato (42%). Una percentuale minore, pari al 38%, ritiene che un fattore di legalità sia il biologico, confermando con questa informazione che la confusione è pressoché generalizzata, poiché il biologico — come è noto — garantisce alcuni aspetti relativi alla produzione di un bene, ma poco ha a che fare con la sua legalità intesa nel senso comune del termine. Rincuora leggere che il 95% degli intervistati è a conoscenza del significato di almeno una delle più comuni certificazioni europee indicate in materia di prodotti agroalimentari come DOP, DOC, ecc… Ma l’entusiasmo scema immediatamente quando si apprende che la stragrande maggioranza degli intervistati non conosce la differenza tra le varie sigle e che quindi sostanzialmente

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non distingue una DOP da una IGP. L’unico acronimo davvero chiaro, sembra essere la DOC del vino. E tutto questo accade in un contesto che vede l’Italia come primo Paese per numero di denominazioni riconosciute, con 261 prodotti su 1.241 complessivi in Europa. Come non essere d’accordo con il 96% degli intervistati che ritiene importante avere una filiera agroalimentare controllata? In questo passaggio della ricerca si rileva come sia aumentato il peso di alcune forze sociali nel tempo. Si pensi che oggi 1 intervistato su 3 si rivolge alle associazioni dei consumatori in caso di cibo avariato, piuttosto che contattare la ditta produttrice o direttamente gli organismi di controllo. È corretto però sottolineare che tale favore è stato conquistato sul campo nei decenni. Le associazioni dei consumatori hanno infatti il merito, tra gli altri, di aver condotto un’ampia e costante azione informativa e di aver realizzato, a più riprese, numerose campagne divulgative sui contenuti delle etichette e le

relative modalità di interpretazione. Una percentuale importante di intervistati, pari al 48%, considera, in generale, le etichette poco chiare, troppo tecniche e scritte in caratteri illeggibili. Si rileva da altri studi che ciò che i consumatori lamentano — e non solo in Italia — è il fatto che la stragrande maggioranza delle etichette siano scritte in un modo poco comprensibile per il consumatore medio. Gli aspetti grafici ed alcune tecniche di marketing oggettivamente non sempre vanno nella direzione di sostenere l’acquirente in una scelta consapevole del prodotto. Ma anche alcuni elementi obbligatori per legge possono non essere di immediata lettura. A soddisfare buona parte delle esigenze del consumatore in questo senso ci ha pensato il Regolamento UE 1169/2011 che ha dettato una serie di indicazioni obbligatorie tra cui anche la grandezza minima dei caratteri e la posizione di alcune informazioni rispetto ad altre. I consumatori chiedono infatti: • che l’etichetta sia posta nel packa-

ging in alto e in un punto centrale; che vengano ridotti i numeri e le scritte attorno alla stessa; • che venga aumentata la visibilità delle singole indicazioni, soprattutto di quelle principali; • che vengano ingrandite altresì le dimensioni dell’etichetta e i caratteri tipografici e in generale che qualunque messaggio riguardo alla salute sia semplificato. E su questo l’UE ha tenuto una posizione di forte cautela. Il Regolamento UE 1169 va dunque incontro alle esigenze principali dei consumatori, ma è stato anche fonte di dissenso da parte di chi acquista. Più di ogni altra cosa i consumatori italiani chiedono che l’indicazione dello stabilimento in etichetta torni ad essere obbligatorio. Lo chiedono a ragione, ma forse anche nell’errata convinzione di conoscere così l’esatta provenienza del prodotto e dimenticando che la sede dello stabilimento segnala solo dove è avvenuta l’ultima trasformazione. Guido Guidi •


Alla ricerca smodata dell’elisir di lunga vita Come si può allungare la vita media? E che ruolo gioca il cibo in tutto questo? Quali opportunità presenti e future? di Sebastiano Corona

L’

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha consacrato l’Italia, anche per l’anno 2014, come uno dei Paesi più longevi al mondo, secondo solo a Svizzera, Spagna, Giappone e Singapore. Si registra un’aspettativa di vita che cresce in maniera uniforme non solo tra le regioni del Belpaese, ma anche nel resto del pianeta, sebbene le differenze tra Stati ricchi e poveri siano ancora abissali. Un bambino

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che nasce oggi nel mondo occidentale vivrà mediamente intorno a 76 anni, uno che nasce invece in un Paese povero si presume non supererà i 60. Sarebbero 15.000 i centenari in Italia, mentre gli over 65 rappresenterebbero più del 20% della popolazione. L’aspettativa di vita nello Stivale è di 85 anni per le donne e poco più di 80 per gli uomini. All’interno dello stesso territorio nazionale ci sono però differenze importanti da zona a

zona. Gli anni di vita media di una persona che abita a Milano sono tre in più di una che vive a Napoli, solo per fare un esempio. E non a caso alcune regioni italiane sono molto più famose di altre per la presenza massiccia di centenari. Fra cinque anni il Belpaese conterà più di 4 milioni di ultra-ottantenni e questo elemento rappresenta sin d’ora un fattore su cui andrebbe avviata una riflessione urgente per l’attuazione di una politica

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adeguata al nuovo status demografico nazionale. Anche per questo il tema dell’allungamento della vita media sta dominando i dibattiti pubblici in maniera sempre più pregnante. L’argomento, infatti, non è interessante solo dal punto di vista demografico, ma anche da quello economico, sociale, della psicologia e del benessere. Ci si interroga su come cogliere l’opportunità della longevità, ma soprattutto se ne studiano le cause, nel tentativo di riprodurre quello stile di vita e quell’ambiente che permetterebbero di campare di più e meglio. Si moltiplicano i territori dove la presenza di ultra-ottantenni ha raggiunto dei livelli tali da farne “la terra della longevità”. Non a caso anche a EXPO 2015 il tema ha dominato il dibattito ed è stato rappresentato come elemento caratterizzante da più regioni, non ultime le Marche e la Sardegna che dei propri centenari hanno fatto una bandiera da utilizzare nella promozione turistica ed agroalimentare. Si moltiplicano gli eventi e nascono sempre più associazioni che si dedicano al tema, lo approfondiscono, ne fanno ricerca e studio e si impegnano affinché si crei una

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cultura dell’invecchiamento attivo. Cosa consente di vivere sempre più a lungo e sempre meglio? Perché in certe aree del pianeta questo accade con maggior frequenza? Quali sono i fattori che davvero incidono? A questo stanno lavorando soggetti come l’Associazione Medicina Sociale e la Comunità Mondiale della Longevità che in Sardegna hanno creato una scuola che ha lo scopo di formare operatori esperti nella promozione della longevità e dell’invecchiamento attivo di successo. Seguendo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’istituto progetta ed attiva misure utili per fronteggiare il progressivo invecchiamento della popolazione mondiale e nel contempo svolgere un’azione culturale e di educazione all’età senile. Da una parte si cercano soluzioni per fronteggiare e per cogliere la sfida dell’invecchiamento del pianeta, in modo che diventi un’opportunità e non un problema. Dall’altra si studiano gli stili di vita e gli elementi che portano ad una vita lunga e di qualità elevata, nel tentativo di riprodurli, per quanto possibile, e ripetere un modello esistenziale che consenta

di stare su questa terra più a lungo possibile. I fattori che garantiscono una vita lunga sono tra i più vari, ma tutti i ricercatori sono concordi nel sostenere che l’alimentazione giochi un ruolo fondamentale e abbia quindi un peso decisamente maggiore rispetto ai fattori genetici e congeniti. Insomma, sarebbe il cibo a garantire, più di altre cose, una vita lunga e libera da malattie e disabilità. La dieta di Okinawa, che prende il nome dalle omonime isole giapponesi che ospitano un numero ragguardevole di centenari, non solo crea la prospettiva di un’esistenza lunga, ma tiene anche lontani i tumori, il cancro allo stomaco, l’arteriosclerosi, le patologie legate agli ormoni — come il cancro al seno e alla prostata — e tutti i problemi dovuti al colesterolo alto. Qui il segreto parrebbe essere una vita lontano dagli stress e dai dispiaceri, ma anche una tavola imbandita di pesce e verdura, con una modalità di consumo a piccole dosi che non consenta mai allo stomaco di riempirsi completamente. Inoltre, abbasso il sale e benvenuti i cibi ricchi di flavonoidi, vitamina E, licopene e carotenoidi. E, per finire, a Okinawa non si beve caffè, ma tè al gelsomino,

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grande alleato nella prevenzione del cancro. La dieta mediterranea è però forse la più famosa al mondo come modello alimentare equilibrato e soddisfacente per il palato. Non a caso anche medici come ROBERTO PILI, presidente della Comunità Mondiale della Longevità, invitano a rispolverare i ricettari delle nonne, soprattutto di quelle che vivevano in zone rurali, per ritrovare il segreto del cibo gustoso e allo stesso tempo sano. Sono diversi gli chef che l’hanno preso in parola e sono sempre di più i cuochi che vanno alla riscoperta dei piatti poveri e dei sapori antichi, nella convinzione che la semplicità, oltre a fare bene all’organismo, sia anche più gradevole in termini di gusto. Ortaggi, legumi, olio extravergine d’oliva e olio di lentisco, farina, pesce, vino rosso, pane a fermentazione naturale, latte fermentato, formaggi acidi, prodotti da latte di pecore e capre di allevamenti bradi, sono il piatto forte degli ogliastrini, una zona della Sardegna di straordinaria bellezza, visitata ogni anno da decine di studiosi dell’intero globo per scoprire i motivi della presenza di un così alto numero di ultracentenari. In quello che qui è stato definito il

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“menù della longevità”, si riversano la zuppa alla sarda, la minestra di lenticchie, la zuppa di carciofi, la favata barbaricina, le zucchine con fregola, il pane frattau, i culurgionis, la cavolata, l’agnello con carciofi, la pecora in cappotto, i pabassinas e il pane di sapa. Un po’ di tutto dunque, dolce compreso. «Il segreto della longevità dei sardi è nel loro stile di vita tradizionale, che comprende una buona e sana alimentazione basata su prodotti tipici locali»: queste le parole di GIANNI PES, medico e studioso del Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Sassari e scopritore delle cosiddette “zone blu”, le aree del pianeta con i più elevati indici di longevità, in cui la Sardegna fa bella mostra di sé nelle postazioni più alte del podio. All’Expo, dove la regione Sardegna si è presentata a settembre anche con questo cavallo di battaglia, Pes ha precisato: «a coloro che credevano che l’impatto della genetica sulla longevità fosse fondamentale, sia chiaro che invece i geni contano per meno del 20%». Quindi la longevità non sarebbe tanto un fatto di fortuna, ma di impegno quotidiano. Prima di tutto a tavola.

Anche i marchigiani attribuiscono la propria longevità al legame con la terra e ad un’alimentazione a quest’ultima strettamente legata, senza sofisticazioni e senza eccessi nella quantità. ROBERTO BERNABEI, presidente di Italia Longeva, è però un po’ meno convinto, rispetto ai colleghi, del fatto che l’alimentazione sia fondamentale. «Per vivere a lungo l’alimentazione corretta è necessaria, ma da sola non sarebbe sufficiente. L’esercizio fisico, una rete familiare e sociale solida, e perfino saldi riferimenti spirituali hanno anch’essi un ruolo importante». Insomma, l’alchimia non è facile da raggiungere, ma a volte si riesce. Qualunque sia la verità — e certamente non ce n’è una sola — la longevità si presenta non solo come un fenomeno da affrontare, ma anche come un’occasione da cogliere. L’agroalimentare italiano può quindi utilizzare anche questa carta per giocare un ruolo sempre più importante nei mercati internazionali. Il cibo nostrano non solo è buono, ma fa anche vivere di più e meglio. Le prove sono sotto gli occhi di tutti. Sebastiano Corona

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Manager del settore alimentare: torna il MAFOOD Si rinnova per il 2016 alla LIUC – Università Cattaneo la proposta del Master Universitario in Food Management (MAFOOD), che riparte con un programma di studi rinnovato. L’obiettivo è di mettere in contatto il mondo tecnico-specialistico del settore food con quello manageriale-economico, per formare le nuove professionalità di cui il comparto ha bisogno. Il rapporto diretto con la realtà imprenditoriale è alla base di tutta l’attività della LIUC ed è proprio grazie a questo continuo dialogo con le imprese che il master si rinnova: 320 ore d’aula, corsi propedeutici, study trip, stage remunerato di 500 ore per il master di I livello e di 600 ore per il master di II livello, partecipazione a fiere nazionali e internazionali, visite e lezioni in azienda. La modalità di partnership con le aziende, consolidata anche nelle precedenti edizioni, permette al master di offrire ai partecipanti lo svolgimento di stage curriculari remunerati e di progetti di ricerca. Ampio il network delle aziende che hanno aderito, fra le quali: Whirlpool, Birra Peroni, Gruppo Pregis, Fjord, Ambrosoli, Fileni, Noberasco, Apertamente ricerche, Lindt, F.lli Beretta Salumi, Piatti Freschi. I partner istituzionali si confermano AITA (Associazione Italiana di Tecnologia Alimentare), Consiglio Nazionale dei Tecnologi Alimentari, AIDEPI (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane). La partecipazione al master, grazie anche agli stage e alle partnership aziendali, permette agli studenti di conseguire un livello di preparazione adeguato a facilitarne l’accesso al mercato del lavoro nell’ambito del settore alimentare e offre alle aziende del food la possibilità di avviare processi di innovazione per il miglioramento della propria competitività. Il master è rivolto a chi ha conseguito una laurea tecnico-specialistica (agronomi, chimici, biologi, ingegneri) e desidera acquisire competenze gestionali (di marketing, strategia, costing, pricing), ma anche a chi ha conseguito una laurea non tecnico-specialistica (Economia, Scienze politiche) e desidera acquisire le conoscenze elementari di food science e consolidare le competenze gestionali. Non saranno trascurati neanche i professionisti per i quali saranno previsti dei momenti formativi di approfondimento e di confronto durante tutto l’anno. Tra gli sbocchi professionali possibili nelle aziende del settore ci sono la carriera manageriale con responsabilità di product management e di process management; la carriera manageriale in aree funzionali chiave quali ricerca e sviluppo, acquisti, marketing, controllo qualità, commerciale e vendite, distribuzione; la carriera direzionale alla guida di un’azienda e l’attività di consulenza. Il master durerà da marzo a dicembre 2016. Al termine dell’attività d’aula sono previsti il periodo di tirocinio e le attività extra-didattiche. Iscrizioni entro il 15 febbraio 2016. È possibile iscriversi anche a singoli moduli del percorso (photo © blog.directcapital.com). Per info: eferrari@liuc.it

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I PRECOTTI APPETITOSI

Buon Appetito! Una novità dedicata agli amanti della buona cucina. Dall’esperienza Palmieri nella selezione e lavorazione delle carni, nasce una nuova linea di prodotti dedicata ai consumatori più esigenti che amano sperimentare nuove ricette avendo poco tempo da dedicare alla cucina di ogni giorno. GASTRONOMIA PALMIERI non è semplicemente una gamma che offre un’ampia scelta di piatti precotti a base di carne suina, di agnello e di anatra: è la possibilità di assaporare ogni giorno tante ricette originali e sfiziose a base di carni di qualità. Ricette preparate con ingredienti naturali e un’attenzione particolare ai nuovi stili alimentari, coniugando il gusto dei sapori più tradizionali con la voglia di novità.

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LA TRADIZIONE IN TAVOLA Il re dei piatti invernali si fa spazio nelle cucine dei più noti chef

Il bollito, uno e trino di Guido Guidi

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osa di meglio in una buia ed uggiosa giornata d’inverno di un buon brodo di carne per riscaldarsi? L’associazione mentale è semplice, il bollito è in effetti il piatto principe della brutta stagione e non lo è solo in regioni fredde come quelle del Nord. Questo è un piatto che non ha una sola patria, si gusta ovunque con piacere e non solo quando le temperature scendono sotto zero. Non si creda che questa pietanza non richieda accorgimento alcuno perché non è affatto così. Ed effettivamente questo non è l’unico mito da sfatare. C’è chi erroneamente pensa che si tratti di un piatto povero da servire solo in famiglia e chi ri-

tiene che non sia degno di un menu con la M maiuscola. Niente di più sbagliato: fortunatamente ora anche i grandi chef stanno dando a questa pietanza il posto che merita proponendola anche in contesti raffinati ed esigenti. Ecco, quindi, i segreti sulla giusta cottura, i trucchi per valorizzarne il gusto e la tenerezza delle carni, i consigli sulla scelta dei tagli più adatti, ma anche l’elenco delle salse più indicate e gli accorgimenti su cosa fare del bollito avanzato. I nostri cuochi non fanno mancare le proprie raccomandazioni. Ci auguriamo di non essere considerati blasfemi se diciamo che il bollito è uno e trino: fa da primo, da

secondo e da contorno. Al brodo — con il quale si può magari fare una minestra — seguono le carni, da gustare anche con le verdure precedentemente cotte nella stessa pentola. Le varianti regionali offrono inoltre davvero tanti spunti. In alcune zone, per esempio, si propongono le cipolline e le zucchine saltate al burro, così come le patate, le rape, le foglie di verza, le carote e i finocchi lessati. Parola di chef FULVIO SICCARDI, che ha recentemente proposto a Milano un intero menu a base di questa specialità invernale. Visti i tempi di crisi, sono vietati gli sprechi, tanto più che questo piatto consente un riutilizzo in diversi modi: se ne avanza un pezzo

Bollito misto (photo © Valerio Pardi, mangiarebuono.it).

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


regioni del Nord Italia, il bollito non sarebbe un piatto calorico, tanto più che durante la cottura le carni perdono alcune parti grasse e molte sostanze che incidono sull’apporto nutritivo finale. Stessa cosa dicasi per altri valori importanti come colesterolo, lipidi, sali minerali, ferro, vitamine, proteine, dove incide in maniera determinante la scelta delle carni, dei tagli, delle verdure e persino le modalità esatte di preparazione.

Cena a tutto bollito di Fulvio Siccardi (photo © giridigusto.com).

“In Italia il principe dei bolliti è senza dubbio quello alla piemontese, con sette tagli di carne di manzo o bue ed ulteriori carni cotte separatamente”

si possono fare polpette, ripieni per cannelloni e lasagne o addirittura il ragù, con un classico soffritto e del pomodoro. A detta degli esperti ne verrà fuori un sugo eccezionale per la presa sulla pasta. Questo favoloso piatto non tradisce nemmeno quando si sale sulla bilancia. Al netto delle salse con cui viene normalmente servito nelle

Ci inchiniamo al Gran Bollito Questo non è un piatto diffuso solo in Italia, ma anche all’estero. È doveroso tuttavia riconoscere che, soprattutto nel nostro contesto nazionale, il principe dei bolliti sia il Gran Bollito alla piemontese. Una specialità composta da ben sette tagli di carne di manzo o bue ed ulteriori carni cotte separatamente. Tra le parti privilegiate vi sono il biancostato reale, la punta di petto, il cappello da prete, il fiocco di punta, la noce, ma anche la gallina o il cappone in stagione, lo zampino, la lingua, la lonza, la coda e il cotechino. Una tale quantità di carne che il problema sorge quando viene preparato per pochi, perché

La lezione di Pellegrino Artusi: il brodo per non ammalati Brodo. “Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono bisogna mettere la carne ad acqua diaccia e far bollire la pentola adagino adagino e che non trabocchi mai. Se poi, invece di un buon brodo preferiste un buon lesso, allora mettete la carne ad acqua bollente senza tanti riguardi. È noto pur anche che le ossa spugnose danno sapore e fragranza al brodo; ma il brodo di ossa non è nutriente. In Toscana è uso quasi generale di dare odore al brodo con un mazzettino di erbe aromatiche. Lo si compone non con le foglie che si disfarebbero, ma coi gambi del sedano, della carota, del prezzemolo e del basilico, il tutto in piccolissime proporzioni. Alcuni aggiungono una sfoglia di cipolla arrostita sulla brace; ma questa essendo ventosa non fa per tutti gli stomachi. Se poi vi piacesse di colorire il brodo all’uso francese, non avete altro a fare che mettere dello zucchero al fuoco, e quando esso avrà preso il color bruno, diluirlo con acqua fresca. Si fa bollire per scioglierlo completamente e si conserva in bottiglia. Per serbare il brodo da un giorno all’altro durante i calori estivi fategli alzare il bollore sera e mattina. […] Si è sempre creduto che il brodo fosse un ottimo ed omogeneo nutrimento atto a dar vigore alle forze; ma ora i medici spacciano che il brodo non nutrisce e serve più che ad altro a promuovere nello stomaco i sughi gastrici. Io, non essendo giudice competente in tal materia, lascerò ad essi la responsabilità di questa nuova teoria che ha tutta l’apparenza di ripugnare al buon senso”. Brodo per ammalati. “Un professore di vaglia che curava una signora di mia conoscenza, gravemente malata, le aveva ordinato un brodo fatto nella seguente maniera: ‘tagliate magro di vitella o di manzo in bracioline sottili e mettetele distese una sopra l’altra in un largo tegame; salatele alquanto e versate sulle medesime tanta acqua diaccia che vi stiano sommerse. Coprite il tegame con un piatto che lo chiuda e sul quale sia mantenuta sempre dell’acqua e fate bollire la carne per sei ore continue, ma in modo che il bollore appena apparisca. Per ultimo fate bollire forte per dieci minuti e passate il brodo da un pannolino’. Con due chilogrammi di carne si otteneva così due terzi o tre quarti di litro di un brodo di bel colore e di molta sostanza”. (da: La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, 1891)

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“Il bollito vince anche quando si sale sulla bilancia: durante la cottura, infatti, le carni perdono alcune parti grasse e molte sostanze che incidono sull’apporto nutritivo finale” in questi casi si è costretti a sacrificare qualche taglio. Ma se qualcosa deve essere eliminato — dicono gli esperti — che non sia il tenerone o la scaramella. Il primo è infatti molto magro e tenero e la seconda grassa ma molto saporita. Altro diktat è che la gallina sia ruspante. Testina e zampini possono essere cotti insieme, mentre lingua e i cotechini andranno separati come per il resto delle carni. Questi tagli devono essere cotti contemporaneamente immersi in acqua bollente poiché hanno il pregio di avere gli stessi tempi di cottura. In una pentola separata vanno invece cotte le frattaglie da cui non deve mancare la gallina, una testina, uno zampino, la lingua, la lonza, la coda e il cotechino. Le pietanze vanno presentate a tavola in un unico recipiente e accompagnate da una proposta di verdure a scelta. Un capitolo interessante è quello delle salse che accompagnano la carne bollita, che nelle tavole dei settentrionali non mancano mai. Tra le più utilizzate vi sono la salsa verde, quella di pomodoro e acciughe, la salsa alla senape, la mostarda e la salsa delle api, preparata con miele, noci, brodo e senape in polvere. Niente di più azzeccato per gustare delle carni che per le modalità con cui vengono cucinate tendono ad avere tutte un gusto uniforme e similare tra loro. Queste ed altre informazioni sono generosamente dispensate dalla Confraternita del Bollito, un’associazione lombarda composta da amanti e cultori del lesso che da qualche decennio si riuniscono periodicamente per promuoverne il consumo e, soprattutto, per degustare il piatto in compagnia! Dalla Confraternita aggiungono che su una tavola in cui viene servito il

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Cotechini (photo © www.macelleriarizzieri.it). bollito non devono mancare: “pane, compreso quello di Re Carlo Alberto con le noci, olio e pepe, ciotole di sale grosso da spargere sulla carne togliendolo poi col coltello al momento di fare il boccone, piattino di burro da schiacciare con le patate bollenti, ampolle di olio extra vergine per condire le patate, per allungare i bagnetti e le salse, ampolle di aceto di vino rosso per correggere e ritoccare i bagnetti e le salse”.

E, al contrario di quanto è uso comune, per la Confraternita, la conclusione del banchetto è “una piccola tazza di brodo ristretto con un cucchiaio di Barbera oppure con formaggio grattugiato. Come dessert uno zabaglione caldo al Barbera con i biscotti di meliga della padrona, Pere Madernassa al vino, caffè, grappe” (www.confraternitadelbollito.it). Chi crede si tratti di piatto povero, sappia che il bollito nasce in realtà

Bollito in vaso L’azienda agricola Cerutti Laura Maria il bollito l’ha messo in vasetto. Una bella idea per questa attività con sede a Trinità (Cuneo), fondata nel 1986 in una cascina risalente al ‘900. Già allevatori di vitellini, mucche, castrati e manzi rigorosamente di razza Piemontese, i Cerutti, con l’aiuto del figlio Dario, hanno sviluppato un prodotto a base di bollito piemontese di bue, comodamente acquistabile in un vaso di vetro e chiuso ermeticamente. Il gran bollito di bue piemontese Cerutti (500 g di peso) è un ottimo piatto della tradizione piemontese già cucinato e pronto all’uso. È sufficiente aprirlo e riscaldarlo leggermente per apprezzare in pieno il gusto della carne. >> Link: www.ceruttilauramaria.it

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come pietanza dei giorni di festa, anche perché i tempi di cottura — 3 ore almeno — e quelli di permanenza a tavola normalmente si allungavano in occasioni particolari di festività e questo consentiva di consumare il pasto con calma. Si confonde spesso il bollito con il lesso oppure si utilizzano i due termini come sinonimi, ma la differenza è notevole. Non solo sono diversi i tagli scelti, ma anche le finalità a tavola, se così si può dire. Il bollito è sostanzialmente un modo per preparare le carni nel tentativo di dare a queste ultime la miglior resa possibile perché vengano degustate. Preparando un lesso invece si vuole principalmente ottenere un buon brodo. Al bollito quindi vengono destinate carni varie e nobili, ricche e gustose, mentre sul lesso il rigore nella scelta è minore. Con il bollito si ottengono ottime carni, ma un brodo leggero. Con il lesso si ha invece un ottimo brodo e delle carni appena discrete che tuttavia possono essere consumate ugualmente. Anche la cottura dovrebbe essere differente, sebbene alcuni cuochi ritengano che il procedimento sia identico. La differenza in questo caso sta nell’immergere i tagli nell’acqua ancora fredda e lasciare che il tutto vada ad ebollizione oppure immergere le carni nel liquido già bollente in modo che l’aroma e il gusto “si congelino” in quell’istante. In entrambi i casi la cottura sarà lunga e richiederà una certa attenzione di tanto in tanto, soprattutto per schiumare il brodo ed immergere, al momento opportuno, spezie e verdure. Il bello del bollito è che non ci sono regole rigide e sebbene la scuola piemontese e quella emiliana diano delle indicazioni importanti, sia nella scelta delle carni, sia in quella degli odori, si può seguire senza paura il proprio gusto personale, anche tenendo conto di ciò che la dispensa offre. Ampia scelta dunque, non solo nell’impiego delle carni, ma anche nell’utilizzo di cipolle, carote, sedano, pomodoro. E per chi li ama, via libera anche ad aglio, alloro, timo, prezzemolo, chiodi di garofano e molto altro ancora. Guido Guidi

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


LOCALI DI GUSTO

Damini & Affini, una stella in macelleria di Tania Mauri

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l famoso dipinto La grande macelleria del bolognese ANNIBALE CARRACCI, uno dei padri nobili della pittura barocca, “racconta” le varie mansioni della macelleria, attività che lui stesso conosceva molto bene in quanto nipote di un macellaio. Una classica scena di vita quotidiana del ‘500 dove emerge la dignità dei lavoratori in tutta la loro naturalezza e immediatezza, mentre oggi il lavoro del macellaio viene

spesso sottovalutato e minimizzato, anche se c’è chi lo fa a regola d’arte “come una volta”, allevando le bestie, valorizzandone i tagli per poi selezionarli a seconda del loro uso e consumo. Soprattutto questo, e molto altro, è ciò che GIAN PIETRO e GIORGIO DAMINI, uno macellaio, l’altro chef, fanno nella loro Damini & Affini, bottega con ristorante ad Arzignano, in provincia di Vicenza, stella Michelin nel 2014, caso unico in Europa.

Anche per loro, come per Carracci, la conoscenza di questo mestiere è molto profonda e “famigliare”: il loro bisnonno era proprietario della prima bottega Damini, negli anni ‘20, a San Giovanni Ilarione, sulle colline veronesi, così come il figlio, nonché padre dei due fratelli, che portava con sé già in tenera età dai contadini di zona per selezionare ed acquistare le bestie migliori. Secondo i fratelli Damini oggi più che mai è indispensabile cono-

Giorgio e Gian Pietro Damini nel loro locale ad Arzignano di Vicenza (photo © Matteo Castagna).

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CARN AMB IDEES - CALL SEBALLUT - CARNE & IDEE


Degustazione di formaggi accompagnati da miele (photo © Matteo Castagna).

Battuta di carne selezione Damini al naturale con insalata di fagioli risina Ingredienti 400 g di fesa di coscia di carne selezione Damini tagliata al coltello • 150 g fagioli risina • 2 pomodori confit • ¼ cipolla rossa • ½ cucchiaio di capperi sottolio • 1 acciuga • olio q.b. • sale e pepe Preparazione Mettete a bagno i fagioli per una notte, scolateli e cuoceteli per 15 minuti con poca acqua salata. Quando i fagioli avranno raggiunto una consistenza croccante, scolateli in modo che si raffreddino. Tagliate la cipolla, i pomodori, i capperi e l’acciuga a brunoise piccola, della stessa dimensione dei fagioli risina. Quando i fagioli saranno freddi, componete l’insalata aggiungendo tutti gli ingredienti; aggiustate di sale e pepe. Dividete la carne in due parti: una lasciatela naturale, l’altra conditela leggermente. Con l’aiuto di un cucchiaio formate una quenelle con quella naturale. Sistematela in un lato del piatto. Mettete la carne condita in un ring e posizionatelo nell’altra metà del piatto insieme all’insalata di risina.

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scere di persona chi alleva l’animale, avere la gestione ed il controllo della filiera “in casa”, così da poter disporre di una carne di alta qualità, sempre molto apprezzata dai loro clienti. Tutto è nato dalla macelleria di cui è importante e necessario continuare a parlare. Tant’è che per i più curiosi propongono un’illuminante visita guidata, su prenotazione, dove scoprire i segreti di questo antico mestiere, partendo dalla selezione degli animali, l’acquisto, l’allevamento, la frollatura e i diversi tagli («oggi la gente cerca solo la costata, il filetto e la tagliata, tutto il resto non esiste»). A conclusione di questa “lezione” offrono una curiosa verticale cruda, dove una fesa di manzo o Sorana — la mucca femmina che non ha ancora partorito e quindi ha una carne più morbida e grassa — viene tagliata al coltello, degustata in purezza a 4, 20 e 60 giorni di frollatura, così da poterne notare le differenze e caratteristiche, che ci hanno opportunamente descritto. «Per gli amanti della carne, i carnivori veri, la frollatura a 4 giorni

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La bottega Damini va oltre la semplice “esposizione” e rappresenta il frutto di una meticolosa selezione del prodotto a scaffale. dà una grande soddisfazione, è succulenta, profumata e bellissima nel suo colore acceso. La carne frollata a 20 giorni è una via di mezzo, un po’ come un vino che non è ancora pronto, è ispida, sa di poco…. La frollatura a 60 giorni è la perfezione, emerge tutta la delicatezza, la completezza, la rotondità e la piacevolezza della carne». Fare questa esperienza di gusto è importante per capire meglio dove si è e chi sono questi fratelli veneti che credono e amano quello che fanno, sono orgogliosi della loro grande qualità e dei risultati che hanno ottenuto passo dopo passo. Damini & Affini è quindi vendita diretta di carne ma anche delle migliori eccellenze del territorio italiano (dalla pasta al pomodoro, dai salumi all’olio, dalle confetture al caffè, dalle spezie ai distillati), oltre ad una cantina con circa 900 etichette di piccoli produttori italiani e stranieri, “vini naturali” e birre artigianali. Damini & Affini è anche ristorante, aperto dalle colazioni alla sera

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tardi, dove i piatti creati da Giorgio la fanno da padrona, con la sua cucina “buona, bella e simpatica”, nata dalle sue molte esperienze in Italia ed all’estero. Curioso e discreto, si muove tra tradizione e innovazione, tra qualche classico come la costoletta e qualche “sorpresa”, tra un bollito — cappello del prete, testina, cappone, cotechino, guancia, biancostato e lingua (proposto anche in monoporzione) — e un Damini Bab, panino di farina integrale con un’insalata di pancia o reale o doppione, pomodorini confit, cipolla rossa di Tropea ed aceto balsamico e un’insalata di cavolo cappuccio, cumino, aceto bianco ed una mistura di senapi — tra i tortellini in brodo speziato e i maccheroni di pasta fresca al ragù scomposto, tra golosissimi dolci ed un caffè di Frasi. Il tutto completato da un istrionico Gian Pietro che coordina e conduce il personale di sala sempre attento, preparato, sorridente e discreto. Si autodefiniscono “difettati”, dove l’uno è sempre il primo cliente

dell’altro e sono sempre più convinti della strada che hanno intrapreso, tant’è che prossimamente introdurranno nuove razze bovine — sono selezionatori, non dimentichiamolo — da allevare in Italia, quali l’Angus, la Charolaise e la Garonnese, perché «ognuna è specifica e cambia a seconda del piatto, come un sarto che confeziona un abito su misura per ogni cliente». Damini & Affini è cultura perché si impara, perché si può capire cosa si sta mangiando facendo una grande esperienza di gusto, coccolati e viziati da questi due fratelli che non hanno alcuna intenzione di fermarsi e insegnare. Tania Mauri Damini Macelleria & Affini Via Generale Cadorna 31 36071 Arzignano (VI) Telefono: 0444 452914 E-mail: info@daminieaffini.com Web: www.daminieaffini.com FB: www.facebook.com/DaminiMacelleriaEAffini

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RASSEGNE

Superzampone 2015, 780 chili di bontà e festa

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e nel mese di dicembre a Carrù c’è il bue grasso, a Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, c’è un superzampone unico al mondo. Il merito, da 27 anni a questa parte, è dell’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi, che già a novembre iniziano a lavorare le carni e a cuocerle realizzando un maxi insaccato destinato a essere trasformato in migliaia di fette omaggiate ai tantissimi partecipanti che, incuranti del freddo, riempiono all’inverosimile il centro storico della piccola cittadina emiliana. Questa è una terra di antica tradizione salumiera e il maiale è da sempre fonte preziosa di reddito e nu-

trimento, tanto da essersi guadagnato una scultura nel centro della piazza. La manifestazione, ideata tanti anni fa dal maestro salumiere SANTE BORTOLAMASI, e la cui eredità è stata raccolta dal figlio Stefano e dai tanti colleghi dell’Ordine, quest’anno ha prodotto uno zampone di 780 chili. Una gran bella risposta ai pregiudizi scatenati dall’allarme tumori lanciato recentemente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La tradizionale giornata ha voluto essere ancora più degli altri anni un omaggio alla qualità, all’arte salumiera e alla genuinità dello zampone. L’onore del taglio della prima fetta lo scorso 6 dicembre è toccato all’attrice SANDRA MILO e a MATTEO

RICHETTI, deputato modenese, che insieme a SANTINO LEVONI di Alcar Uno e al sindaco di Castelnuovo Rangone, CARLO BRUZZI, hanno dato il via alla grande festa.

Il Superzampone viene cotto in un’enorme zamponiera di acciaio inox: la preparazione dura circa tre giorni e il suo peso varia ogni anno. Nell’edizione 2015 ha raggiunto i 780 kg. Rimane di poco sotto al peso record, ma i Maestri Salumieri Modenesi hanno deciso di concentrare la propria attenzione sul perfezionamento di ogni fase della preparazione.

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1/2) Il taglio del Superzampone 2015. 3/4) Il discorso inaugurale in comune alla presenza della madrina Sandra Milo, del sindaco di Castelnuovo Rangone Carlo Bruzzi e di Stefano Bortolamasi. 5) Attilio Montorsi, Santino Levoni, Tiziano Parmeggiani con il nipote Bruno e Romeo Gualerzi. 6) Gino Franceschini con il figlio Vincenzo e il nipote.

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A sinistra: Matteo Richetti, Luca e Lorenzo Levoni, e Stefano Vaccari. A destra: Attilio Montorsi, Paolo Ferrari, presidente Consorzio Cotechino Zampone Modena Igp, e Davide Nini, presidente Consorzio Prosciutto di Modena Dop.

I tacos vincono la quinta edizione del Concorso Zampone Modena Cotechino Modena Igp La festa del Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena Igp, giunta alla sua quinta edizione, si è svolta dal 4 al 6 dicembre scorsi a Modena, nella splendida piazza del Palazzo Ducale, ed è stata come d’abitudine un successo di pubblico e partecipanti. Nel concorso organizzato dal Consorzio di tutela tanti giovani cuochi, sotto la guida del pluristellato chef Massimo Bottura dell’Osteria Francescana, hanno interpretato nei modi più fantasiosi Zampone e Cotechino Modena, due prodotti tipici che hanno contribuito a diffondere la tradizione gastronomica emiliana nel mondo. Massimo Bottura, giudice della gara, con il suo sous chef Davide Di Fabio, ha assaggiato le dieci ricette finaliste e ha dato il podio al Sud e al Centro Italia. Al primo posto si è piazzata la scuola Luigi Einaudi di Canosa di Puglia con “Tacos di farina di ceci e zampone”, mentre al secondo l’IPSSAR Marchitelli di Villa Santa Maria in provincia di Chieti con “Cotechino, sgombro e birra” e, al terzo, l’ISIS Elena di Savoia di Napoli con i “Bocconi golosi”. «Il tacos ha fatto centro. I ragazzi sono riusciti ad interpretare il piatto di street food per eccellenza con i prodotti del loro territorio, dal carciofo di san Ferdinando di Puglia, al pomodorino di Torre Guaceto, alla semola di grano duro Senatore Cappelli. Il tutto condito con olio extravergine di oliva Dop Terra di Bari. Non si sono fermati ai loro confini, ma sono andati oltre, e per questo hanno meritato di vincere». Grande soddisfazione dalla scuola pugliese, rappresentata dal professore di cucina Mario Conversano. «La nostra scuola è la prima scuola alberghiera della provincia di Barletta-Andria-Trani — ha detto Conversano — con oltre 1.200 ragazzi iscritti. Per noi è stata una grandissima soddisfazione già essere a Modena. Vincere, ovviamente, molto di più». (Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena)

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Dal Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena il Ricettario in collaborazione con le scuole alberghiere di tutta Italia Prodotti buoni e gustosi da consumare tutto l’anno e non solo nel periodo delle Feste. Parliamo di Zampone Modena Igp e Cotechino Modena Igp, due eccellenze del made in Italy che per tradizione hanno il loro picco di consumo a fine anno, ma che in realtà possono essere tranquillamente inseriti in un’alimentazione razionale ed equilibrata ed essere consumati tutto l’anno. A questo scopo il Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena, nell’ambito del Concorso nazionale di cucina promosso dal Consorzio e rivolto alle scuole alberghiere di tutta Italia, ha chiesto agli studenti di creare ricette originali e moderne, che mostrino come questi due prodotti, nonostante il forte legame con il territorio di provenienza e con il periodo delle feste natalizie, possano essere consumati tutto l’anno, in tutto il mondo e da tutte le tipologie di consumatori. Sono state così create ricette adatte per i più piccoli, i piatti light per gli appassionati della linea, preparazioni realizzate con altri prodotti Modena Doc e rivisitazione di zampone e cotechino in versione street food. In totale, ben 80 ricette! Tutte raccolte nel ricettario “Cotechino e Zampone Modena Igp: ad ognuno la sua ricetta”, gratuito e scaricabile dal sito www.modenaigp.it. Questo è il secondo ricettario edito dal Consorzio creato con le ricette dei giovani chef. Il primo ricettario, “60 ricette da tutta Italia firmate dagli chef di domani”, è sempre gratuito e scaricabile dal medesimo sito. Zampone e Cotechino Modena sono tra i più antichi prodotti della salumeria italiana. >> Link: www.modenaigp.it

CucinAtipica: l’Umbria a Roma CucinAtipica (via Lucania 37 – telefono: 06 42014259), osteria creativa, il locale aperto a Roma da LUCIANO BRACCIANTINI, propone i sapori della campagna umbra: pasta all’uovo, anche ripiena, fatta a mano, carni da allevamenti selezionati e di animali da cortile allevati a terra, verdure e ortaggi da coltivazioni biologiche, pane di farine macinate nel piccolo mulino di proprietà, sfornato nel ristorante ogni giorno. Non manca la tradizionale norcineria, prosciutti, salumi e salsicce. Il pesce invece arriva in aereo da Mazara del Vallo. Molte preparazioni, come la parmigiana o la lasagnetta in monoporzioni, vengono cotte nel forno a legna a vista. I dolci, dal tiramisù alla zuppa inglese, sono preparati con materie prime freschissime e assemblati al tavolo sotto gli occhi dei clienti. La scelta dei vini è tra 120 etichette in prevalenza dell’Italia centrale. L’ambiente ha uno stile shabby chic, arredato dal titolare utilizzando anche mobili di famiglia. A rotazione il ristorante ospita mostre di artisti locali e internazionali. >> Link: www.cucinatipicaroma.it

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105a Fiera nazionale del Bue Grasso di Carrù

La Piemontese si celebra con brodo caldo e vino a colazione di Tania Mauri

T

erritorio e tradizione. Queste le parole chiave che identificano la Fiera del Bue Grasso, appuntamento annuale che, da più di cento anni, si celebra ogni secondo giovedì di dicembre prima di Natale a Carrù, in provincia di Cuneo. Territorio perché siamo in quella terra di Langa meno pettinata, dalle radici profonde ma poco appariscenti, dove si alleva una razza nobile, la Fassona, un tempo poco conosciuta e si coltivano vigne di Dolcetto, il vino identitario del territorio, che, per

qualche ragione, è meno valorizzato di altri. In breve, una Langa “marginale” per celebrità ma non certo per valore, come lo dimostra questa antica e affascinante fiera agricola dove si viene a contatto con una delle più interessanti tradizioni rurali langarole. La Fiera del Bue Grasso di Carrù è una mostra di capi bovini di razza Piemontese che raduna, presso il foro boario in Piazza Mercato, allevatori, esperti del settore e gourmet del “buon bere e del buon mangiare”. Quest’anno il 17 dicembre il 10 pre-

mio dei “Buoi grassi della coscia” è andato all’allevamento Migliore, mentre quello del “Bue più pesante” è stato vinto da un bue di 1.315 chilogrammi dell’allevamento Vallino. Ma la fiera in realtà comincia di notte. Nel freddo pungente che precede l’alba, quando gli alberi e i tetti delle case sono ancora ricoperti dalla galaverna invernale che crea un paesaggio suggestivo ed affascinante, si vedono le lunghe file di chi, per passione o anche solo per curiosità, non vuole perdere l’occasione per degusta-

La Fiera del Bue Grasso si tiene fin dall’anno 1910 ed è sorta per valorizzare il patrimonio zootecnico locale.

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Vigneti in Langa. re la colazione contadina con il brodo caldo ed il vino. Questa antica usanza nacque per poter nutrire e scaldare gli allevatori che arrivavano da ogni parte d’Italia a Carrù sin dalle prime gelide ore del mattino, in modo da sopportare meglio l’intera giornata nell’Area Mercatale di Piazza Dante, dove sono esposti i migliori capi bovini di razza Piemontese che vengono premiati con le prestigiose gualdrappe dalle giurie. Tradizione perché la fiera celebra anche il Gran bollito misto alla Piemontese: in questi giorni di dicembre ristoratori e carrucesi si dedicano alla preparazione di questo meraviglioso piatto tipico della gastronomia italiana. Il bollito è composto da sette tagli — stinco, fiocco di punta, tenerone, muscolo di coscia, spalla, scaramella, cappello del prete — e da sette pezzi — la testina di vitello completa di musetto, la lingua, lo zampino, la coda, la gallina, il cotechino e la rolata — cotti in pentole diverse. Si completa con i tanti bagnetti: il classico verde o bagnet vert, il bagnetto rosso o bagnet ross, il cren, la salsa al miele, la senape e la cugnà, a base di mosto d’uva.

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Dolcetto, compagno ideale Fedele ed inseparabile compagno del bollito è “il più amichevole dei vini piemontesi”, il Dolcetto Dogliani DOCG, simbolo e core business della Cantina Clavesana, di cui è sponsor con i macellai locali, e che si sposa perfettamente con questi piatti a base di carne di bue. Questa cantina è inoltre uno dei più attivi sostenitori della CasaMuseo della razza piemontese, promossa da ANABORABI, l’Associazione Nazionale Allevatori Bovini di Razza Piemontese, il primo museo del genere realizzato in Italia e il secondo in Europa dopo la Maison du Charolais di Charolles, che è diventata tappa obbligatoria per allevatori, turisti e gourmand che vogliano approfondire la razza bovina autoctona più diffusa in Italia. La valorizzazione del territorio Territorio e tradizione dicevamo all’inizio… Negli ultimi quattro anni si è partiti con un progetto pluriennale, “Terra Originale” — fortemente voluto e sostenuto da Clavesana

— dedicato al futuro sostenibile dell’agricoltura in Langa e basato su tre “pilastri”: la mappatura del territorio, un concorso nazionale per nuovi progetti di aziende agricole e un osservatorio permanente, il cui scopo è individuare una via concreta per armonizzare attività agricola, identità locale, redditività e paesaggio. «Un altro tassello — spiega il direttore di Clavesana, ANNA BRACCO — di un’attività di valorizzazione del territorio tramite la divulgazione delle sue eccellenze e della sua identità, per far apprezzare la qualità dei nostri meravigliosi prodotti enogastronomici attraverso la conoscenza dei luoghi e dei valori da cui essi prendono vita». Ora non resta che aspettare il prossimo dicembre per tornare in questa meravigliosa terra di Langa, puntare la sveglia all’alba, perdersi nella natura con vista sul Monviso e le Alpi innevate, vivere l’autentica atmosfera di una “fiera di paese” iniziando la giornata “come una volta”, con una ghiotta colazione con brodo caldo e vino. Tania Mauri

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Folla da stadio per il Bue Grasso: bollito no-stop e aperitivo dai Chiapella Il colpo d’occhio è fantastico. Sembra di essere allo stadio, ma con la folla più divertita. Si sentono dialetti diversi, non solo il piemontese, ma anche il ligure, il bergamasco, il veneto, il romanesco… Per non parlare del francese e dell’inglese. Un tocco di internazionalità non guasta. Non siamo ad una partita di calcio o ad un concerto: siamo alla Fiera del Bue Grasso di Carrù! Migliaia e migliaia di persone (le stime dicono almeno 35/40.000) e le fila di auto parcheggiate lo confermano, così come la lunghissima coda per andarsi a gustare il piatto di bollito preparato dalla solerte ed instancabile Pro Loco. Certo il clima ha dato una mano, non fa nemmeno così freddo. Ma la Fiera è La Fiera e sa sempre “far gola”. In più, quest’anno, la novità delle tribune per assistere alla sfilata dei capi vincitori è stata una scelta azzeccata, non solo per la sicurezza, ma per lo spettacolo. «Ogni anno cerchiamo di apportare migliorie e novità — spiega il sindaco Stefania Ieriti, ovviamente soddisfatta — e credo che questa edizione sia stata esemplare. Tanta gente, tante proposte, tanto divertimento. Le tribune sono state apprezzate e credo che il prossimo anno non solo le riproporremo, ma potremmo anche pensare di ingrandire l’area della sfilata. Sono davvero contenta ed orgogliosa. Complimenti e grazie a tutti. La nostra è una Fiera di cui andare fieri». La giornata inizia presto: alle sei del mattino c’è già coda, in attesa che i ristoranti aprano i battenti per la mitica colazione del Bue Grasso. È uno scenario che torna ogni anno, ma è una delle immagini che spiega meglio cosa significa la Fiera, un appuntamento per tanti irrinunciabile. Poi il centro si colora di gente, con il Palafiera della Pro Loco preso d’assalto per l’immancabile “bollito no-stop”. 3.000 i coperti preparati dai volontari guidati da Ornella Ferrero, impeccabili nella gestione della cucina, che si sommano a quelli serviti nei ristoranti, nei locali, nei bar. Tutto parla… di bollito, in questa giornata così speciale, ed ecco che la sosta per un buon pasto e un buon bicchiere di vino (magari “brulè”) diventa un’altra occasione di festa. Intanto, in un Foro boario gremito va in scena lo spettacolo della premiazione dei buoi (quest’anno un po’ più nervosi). Carni di bue e salumi pregiati della tradizione firmati dalla famiglia Chiapella In concomitanza con la premiazione, un altro appuntamento è ormai diventato parte integrante del programma della Fiera del Bue Grasso di Carrù: è il tradizionale aperitivo organizzato presso la Salumeria della famiglia Chiapella. Un appuntamento al quale buongustai, ristoratori ed amanti del buon mangiare non vogliono rinunciare. Una selezione dalla migliore tradizione norcina langarola: dal classico salame delle Langhe alle novità per palati raffinati come il salame con il Parmigiano Reggiano (prodotto solo ed esclusivamente con Parmigiano Reggiano di montagna del Caseificio Cavola casello 993) o come il filetto al Barolo, dove le migliori lonze, ben snervate e sgrassate, vengono “annegate” nel Barolo, il Re dei vini o vino dei Re, lasciate stagionare un minimo di tre mesi ed affettate sottili. Novità per l’anno 2015 è stato l’inserimento nel banco carne della Salumeria, della preziosissima e rinomatissima carne di bue. «Il nostro sogno — dice Alessandro Chiapella — è quello di aggiungere al nostro banco carni suine, una selezione dei migliori tagli delle pregiatissime carni bovine piemontesi. La Fiera del Bue Grasso è stata per noi un’ottima occasione. I clienti hanno apprezzato a tal punto che la carne è andata “a ruba” in poche ore. Speriamo di poter concretizzare il progetto, magari potendolo presentare alla prossima edizione della Fiera». Anche quest’anno non sono mancati in Salumeria gli ospiti VIP: l’immancabile Renato Pozzetto, amante del salame cotto Chiapella, il patron di Slow Food Carlin Petrini, ogni anno abbigliato con cappello e tabarro, e per la prima volta Antonio Ricci, ideatore di Striscia la Notizia (nella foto in basso, Antonio Ricci, Alessandro Chiapella e Carlin Petrini). Salumificio Chiapella Corso Vittorio Olcese 6 12060 Clavesana (CN) Telefono: 0173732001 Chiapella La Salumeria via Mazzini 1 – 12061 Carrù (CN) Telefono: 0173 75144 E-mail: info@chiapellasalumi.it

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Tengono i prodotti a marca, crescono premium e bio Marca 2016, un’edizione record per il salone sui prodotti MDD. In crescita il numero delle insegne e degli espositori

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resce Marca 2016, il grande Salone internazionale sui prodotti a Marca del Distributore (MDD) organizzato da BolognaFiere in collaborazione con ADM (Associazione Distribuzione Moderna), che ogni anno apre il calendario fieristico dell’anno e che, per l’edizione 2016, si è svolto il 13 e 14 gennaio presso il quartiere fieristico di Bologna. Nel 2015 nei prodotti di largo consumo confezionato la Marca del Distributore (MDD) ha raggiunto la quota del 18,3%, in linea con il

trend dello scorso anno. Se si analizzano i singoli segmenti, emerge che i prodotti “Premium” e “Bio”, quelli a maggiore valore, hanno registrato una crescita significativa: con vendite a valore per il segmento “Premium” del +13,1% e per quello “Bio” del +11%. MDD strategica e in espansione La Marca del Distributore crea valore, innova, sviluppa segmenti premium, comunica, si impegna in un’opera di sostenibilità e di trasparenza, senza mai dimenticare la centralità del-

la convenienza. Un’evoluzione che, oltre a consolidare un rapporto di fiducia con il consumatore, risponde perfettamente alle sue nuove esigenze di acquistare non solo un prodotto, ma anche tutto ciò che esso esprime.

Visitatori all’edizione 2016 del Salone internazionale sui prodotti a Marca del Distributore (MDD).

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Marcello Palmieri, Salumificio Mec Palmieri, San Prospero (MO) I contenuti del 12o Rapporto Marca/ BolognaFiere sulla MDD Durante il convegno inaugurale di Marca, introdotto dal presidente di BolognaFiere D UCCIO C AMPAGNO LI, sono stati esposti i principali contenuti del “120 Rapporto Marca/ BolognaFiere sulla MDD”, alla presenza di PAOLO DE CASTRO, membro della Commissione per l’Agricoltura e lo Sviluppo rurale del Parlamento europeo, e MASSIMO VIVIANI, consigliere delegato ADM. De Castro, in particolare, ha invitato a riflettere, alla luce dell’attività dell’Unione Europea, sui potenziali impatti che il sistema delle private labels può avere sulla filiera e sui consumatori nel medio e lungo periodo. Viviani, invece, ha introdotto il tema della sostenibilità e della responsabilità sociale d’impresa per le aziende della distribuzione e in particolare per la Marca del Distributore. Attraverso questi prodotti l’impresa può definire la propria immagine e il proprio posizionamento, con processi di innovazione, di informazione, di trasparenza e di valorizzazione dell’italianità e della PMI. La Marca del Distributore si allontana dalla sua prima immagine di alternativa a prezzo contenuto delle grandi marche, ma ne eredita il ruolo di guida nel mondo del Largo Consumo, acquisendo un nuovo spazio e un posizionamento che la condurrà nel suo prossimo sviluppo.

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In alto: il Salumificio Fratelli Beretta. Al centro: nello stand del Gruppo Pini, Edoardo Mattaboni, Roberto Pini, Barbara Da Prada e Fabrizio Sarti. In basso: Roberto Agnani e Stefano Serdini di BP Prosciutti, Gruppo Suincom.

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1) Lo stand di Felsineo Spa, Zola Predosa (BO). 2) Anche Ibis Salumi di Italia Alimentari Spa a Marca. 3) CMP Srl, forniture e attrezzature per l’imballaggio di Saluzzo (CN). 4) Alessio Sala di Perfetta. 5) Giorgio Mongiorgi, Marcello Palmieri e Lorenzo Levoni nello stand di Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO). 6) Il presidente di BolognaFiere, Duccio Campagnoli, insieme a Paolo De Castro, membro della Commissione per l’Agricoltura e lo Sviluppo rurale del Parlamento europeo. “La marca del distributore: le ragioni di una fiducia riconosciuta” è stato il tema dell’intervento di GUIDO CRISTINI, coordinatore dell’Osservatorio Marca/BolognaFiere sulla MDD e professore di Marketing dell’Università di Parma, sull’evoluzione della Marca del Distributore, che ha visto

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nel 2015 un anno all’insegna della qualità. La MDD, infatti, ha limitato il ricorso alle promozioni e ha qualificato la sua offerta a vantaggio dei segmenti premium e biologico. La convenienza non ha rappresentato più il solo fattore di attrazione, ma è stata affiancata da altre dimensioni

che hanno costituito un elemento decisivo per la scelta da parte dei consumatori, quali la qualità, la sicurezza, la varietà, la tradizione, la sostenibilità, l’informazione. FRANCESCO MORACE, presidente di Future Concept Lab, ha poi aperto una riflessione in merito alla fase di

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Maria Bellei dell’omonima acetaia di Casoni di Ravarino (MO). profondo cambiamento sociale che si sta vivendo. La Marca del Distributore sta dimostrando una vitalità inaspettata che si incontra con i nuovi paradigmi del futuro: la vicinanza al territorio, la necessità di preservare la qualità a un prezzo accessibile, la possibilità di diventare i garanti di una nuova catena del valore che parte da una catena della fiducia coinvolgendo clienti e fornitori. Sostenibilità, semplificazione, convivialità e qualità della vita costituiscono i pilastri di una nuova visione che la Marca del Distributore potrà rafforzare nei prossimi anni. Un concetto sul quale si è molto calcato è in particolare quello della

“Il prodotto con il brand dell’insegna è l’elemento più caratterizzante di questa evoluzione: non si tratta più di una private label dove il prezzo è la mera somma dei costi diretti, ma di una vera Marca del Distributore, che assorbe in sé tutti i valori dell’impresa distributiva”

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sostenibilità. Questo è un termine sempre più utilizzato e soggetto a inflazione, soprattutto comunicativa, che rischia di banalizzare il tema e di rendere scarsamente distinguibili i comportamenti dalle mere dichiarazioni di intenti. Risulta invece fondamentale, soprattutto nella comunicazione, “la sostenibilità della sostenibilità”. MASSIMILIANO DONA, segretario generale Unione Nazionale Consumatori, ha stimolato le insegne a valorizzare meglio la Marca del Distributore come canale di comunicazione, dimostrandosi più sensibili rispetto a temi cari ai consumatori, come la provenienza delle materie prime, l’indicazione dello stabilimento di produzione, il rispetto dei principi di sostenibilità, ma anche la chiarezza (anche in termini grafici) delle etichette, aspetti sempre più decisivi nelle scelte di acquisto. «La distribuzione sta evolvendo verso un modello nel quale la responsabilità sociale d’impresa diventa un elemento strategico dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Il prodotto con il brand dell’insegna è l’elemento più caratterizzante di questa evoluzione: non si tratta più di una private label dove il prezzo è la mera somma dei costi diretti, ma di una vera “Marca del Distributore”, che assorbe in sé tutti i valori dell’impresa distributiva. In questa evoluzione, la Marca del Distributore si trova perfettamente allineata con le nuove esigenze dei consumatori, sempre più consapevoli nei loro acquisti, sostituendosi nel ruolo di “marca” ai più grandi nomi industriali, che hanno negli ultimi anni diminuito gli investimenti in innovazione e comunicazione incrementando l’utilizzo della leva promozionale per sostenere i volumi» ha commentato Francesco Pugliese, presidente di ADM. Focus su Marca Marca è l’unica fiera italiana sui prodotti a Marca del Distributore (MDD), la seconda in Europa e tra le prime a livello mondiale. È organizzata da BolognaFiere in collaborazione con ADM. >> Link: www.marca.bolognafiere.it

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Parmigiano Reggiano Identity Un incontro tra cultura, territorio e tradizioni nel nome del Re dei formaggi

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n nuovo modo di pensare al Parmigiano Reggiano: è Identity, l’edizione zero di un evento che permetterà a chef e operatori della ristorazione di qualità di conoscere le diverse tipologie di prodotto (legate a tempi di stagionatura, razze bovine, sistemi

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produttivi sempre naturali, biologici e kosher) e le realtà produttive artigianali del comprensorio in cui ha origine. L’obiettivo principale di Identity è quello di offrire la possibilità di scegliere in modo consapevole il Parmigiano Reggiano più adatto alle esigenze di ogni professionista

della ristorazione di alta qualità e a quelle del proprio locale, attivando un rapporto commerciale diretto con il caseificio produttore. Una giornata, il prossimo 22 febbraio, di incontro con produttori selezionati, rappresentativi del territorio e delle sue biodiversità.

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Parmigiano Reggiano, ma ci sono sapori, stagionature, prodotti di filiera e di territorio, ognuno con una sua storia da raccontare. Attorno ad ognuno dei banchi di degustazione si consolideranno rapporti favoriti dal piacere che emerge dagli assaggi e dalle storie di casari e cuochi. Infine, Parmigiano Reggiano Identity è cultura di un luogo: il Labirinto della Masone, un microcosmo di bellezza artistica e di valore di un territorio, quello in cui nasce il Parmigiano Reggiano. Un dedalo elegante disteso su otto ettari di terreno che vanta primati gastronomici locali e nazionali valorizzati dagli spazi di ristoro, di altissima qualità. Parmigiano Reggiano Identity è anche una festa insieme alle bollicine di Franciacorta, un abbinamento ideale con il Parmigiano Reggiano, perfetto per l’happy hour finale. Cultura, territorio, sapori, conoscenza e tradizioni si incontrano per dar luogo a un’identità, quella di un formaggio che è parte fondante della nostra storia.

QUANDO Lunedì 22 febbraio 2016 ore 10,30 – 18,00 DOVE Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci – Fontanellato (PR)

Ma non solo: Parmigiano Reggiano Identity è anche un messaggio che parla del Parmigiano Reggiano come di un territorio ben identificato dove si produce, da un millennio, un formaggio che non ha eguali in fatto di genuinità, di bontà, di storia, di fascino. Identity è un incontro tra i

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produttori di Parmigiano Reggiano e i cuochi, i ristoratori, i gastronomi, gli operatori del settore che vogliono conoscere a fondo tutte le caratteristiche di questo formaggio straordinario. Ed è proprio sul valore della conoscenza che si incentra il fulcro dell’evento: infatti non c’è un solo

COME Per partecipare è necessario registrarsi sul sito: www.pridentity. parmigianoreggiano.it. Gli operatori della ristorazione — iscritti e presenti — riceveranno un omaggio di Parmigiano Reggiano. >> Link: www.parmigianoreggiano.it

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Il Labirinto di Franco Maria Ricci: bellezza, arte, cultura e valorizzazione di un territorio, anche a tavola Progettato da Franco Maria Ricci, insieme agli architetti Pier Carlo Bontempi e Davide Dutto, il Labirinto della Masone, inaugurato lo scorso anno a Fontanellato, un paesino a pochi chilometri da Parma, ha avuto inizio nel 2005: sono stati necessari quindi ben 10 anni perché l’opera potesse dirsi finalmente compiuta. All’interno del parco sono presenti, oltre ad una cappella cattolica, circa 5.000 m2 di spazi destinati alla cultura: un museo, che ospita la collezione permanente, una grande biblioteca e spazi per eventi e mostre temporanei. Il labirinto — che si estende per oltre tre chilometri — si trova all’interno di una grande tenuta, popolata da decine di migliaia di bambù e specie diverse e delimitata da imponenti filari di pioppi. Le diverse varietà di bambù sono state importate e coltivate a lungo, fino a risultare perfettamente acclimatate ed integrate nel paesaggio locale. La scelta del bambù è legata alla maggior velocità di accrescimento rispetto alla tradizionale essenza da labirinto, il bosso. Ogni corridoio del labirinto è largo tre metri. Gli edifici del labirinto sono stati costruiti attorno alla corte d’ingresso e alla corte centrale. La corte d’ingresso ospita l’ingresso al museo ed al labirinto, oltre ai servizi per i visitatori, mentre al centro del labirinto, accessibile anche da un grande viale, è stata costruita la grande corte centrale che ospita spazi espositivi, dedicati agli eventi ed una piramide. Il museo ospita la collezione d’arte di Franco Maria Ricci con 500 opere databili dal XVI al XX secolo ed una biblioteca che custodisce l’opera completa degli editori e tipografi Giambattista Bodoni e Alberto Tallone, oltre all’opera della casa editrice fondata da Ricci. Il bistrot del labirinto, gestito dai fratelli Spigaroli di Antica Corte Pallavicina, Polesine Parmense (PR), è aperto dal lunedì al giovedì (solo pranzo dalle 12:00 alle 15:30), e dal venerdì alla domenica e giorni festivi (pranzo dalle 12:00 alle 15:30, cena dalle 19:00 alle 22:00). È richiesta la prenotazione. La caffetteria è aperta tutti i giorni dalle 10:30 alle 19:00. Il complesso del labirinto della Masone, compresi i servizi di ristorazione, è aperto ogni giorno dalle 10:30 alle 19:00. Chiuso il martedì (biglietto intero, € 18,00). >> Link: labirintodifrancomariaricci.it

Una veduta del Labirinto della Masone (photo © Mauro Davoli).

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Pecore “felici” per un Pecorino Toscano Dop di alta qualità e ricco di Omega 3 Esiste una stretta correlazione tra qualità del latte e modalità di allevamento delle pecore. È quanto emerge da alcuni studi, commissionati dal Consorzio tutela Pecorino Toscano Dop, alle Università di Pisa, Parma e Firenze e alla Scuola Superiore di Studi Sant’Anna di Pisa. Le ricerche sono state sollecitate dal Consorzio per capire se si potevano trasferire nella filiera produttiva del Pecorino Toscano Dop innovazioni tecnico-scientifiche in grado di migliorare il prodotto, garantendo al contempo il benessere degli animali. Più la pecora mangia bene e sta all’aperto, maggiore è la qualità del Pecorino Toscano Dop. Gli studi hanno dimostrato che una pecora allevata con un sistema semi-estensivo, principalmente su prato-pascolo, come accade in Toscana, produce un latte qualitativamente migliore, che va ad incidere direttamente sulle caratteristiche nutrizionali del Pecorino Toscano Dop. Secondo le ricerche, infatti, l’allevamento semiestensivo garantisce un costante apporto agli animali dei cosiddetti “grassi buoni”, come gli acidi grassi Omega 3 e l’acido linoleico coniugato (CLA) che entrano come componenti nel latte e quindi si ritrovano nel Pecorino Toscano Dop, che contiene, quindi, quantità maggiori di questi elementi rispetto a quelli riscontrabili in altri formaggi. Le pecore nutrite con alte percentuali di erba fresca producono, inoltre, un latte con maggiori quantità di vitamina A che poi si ritrova nella componente grassa del formaggio. Questo significa che il consumo regolare di Pecorino Toscano Dop può portare alla copertura di una quota importante dei fabbisogni di vitamina A. Questi aspetti si associano alla ben nota caratteristica di tutti i formaggi, compreso quindi il Pecorino Toscano Dop, di avere nella frazione minerale un alto contenuto di calcio, elemento fondamentale per la salute dell’uomo. Nel Pecorino Toscano Dop, infatti, il calcio è contenuto in quantità significative (circa l’1%) e in forma altamente assimilabile. Con soli 30 grammi di Pecorino è possibile coprire circa il 30% del fabbisogno giornaliero di una donna adulta. Un altro aspetto legato al rapporto tra qualità del Pecorino Toscano Dop e alimentazione delle pecore è quella relativo all’ottimizzazione delle strategie alimentari, attraverso l’utilizzo di oli vegetali e semi oleosi per la formulazione dei mangimi. Anche fuori dal periodo di pascolo, infatti, si può tenere alto il livello di qualità della frazione lipidica utilizzando fonti di grasso vegetale come materie prime del mangime, in particolare semi di lino (ricchi in Omega 3) e olio di soia. Un’integrazione che può arrivare a un incremento dei grassi ‘buoni’ fino al 200% e a una riduzione della frazione negativa fino al 25%.

L’Occelli al Barolo vince ai World Cheese Awards Non poteva essere più felice la chiusura del 2015 per Beppino Occelli, storico produttore di formaggi di Farigliano (CN), che con il premio Gold al World Cheese Awards conferito dalla giuria all’Occelli al Barolo, si consacra anche a livello internazionale. I World Cheese Awards 2015 sono andati in scena a Birmingham dal 26 al 29 novembre scorso e rappresentano uno dei più importanti concorsi di prodotti caseari al mondo. Il rapporto fruttuoso tra l’uomo e l’ambiente, tra Occelli, le Langhe e gli alpeggi, nasce e si sviluppa soprattutto nel nome del latte. Di vacca, pecora o capra, ma sempre buonissimo, perché le proprietà finali del burro e dei formaggi sono strettamente legate alla bontà e alla freschezza del latte. Per questo la “via lattea” di Beppino Occelli nasce in Langa, si inoltra nel cuneese fino ai pascoli di Castelmagno e della Valgrana, per giungere infine a Valcasotto, dove le migliori forme dei grandi formaggi di montagna riposano e maturano nelle antiche cantine di stagionatura. >> Link: www.occelli.it

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DOLCI

Dita degli Apostoli, trionfo pugliese di ricotta, uova, mandorle e vincotto di Nunzia Manicardi

Q

uesto nome gentile e allusivo — “dita degli Apostoli” — racconta la storia di un dolce altrettanto delicato e adatto proprio a tutti poiché è senza farina e quindi gluten free, cioè senza glutine. Come si può facilmente capire, si tratta di cannoli (le “dita”) ripieni di candida ricotta. Una variante dei cannoli siciliani? Quasi sicuramente sì, dato che la ricetta — sempre con questo nome — la si trova anche in Sicilia. È la Puglia, però, a rivendicarne la maggiore significatività. Le dita de-

gli Apostoli si legano in particolare al Salento, al Brindisino e all’Alta Murgia barese, secondo le informazioni date da LUIGI SEDA nel suo libro La cucina pugliese. Ricetta antica, antichissima, e di origine contadina. Se paragonata a quella dei cannoli siciliani, decisamente più semplice e povera. Ma, ovunque si vada, e comunque le si prepari, queste “dita” devono sempre contenere ricotta. È questo l’ingrediente di base. Quello che può variare è l’uovo, nel senso che in Salento, in origine, si preparavano delle frittatine con un uovo solo o

esclusivamente con tuorli (un pizzico di sale), mentre altrove si usavano — viceversa — solo gli albumi. A sua volta la ricotta, in una versione più recente, può essere addizionata con cioccolata fondente, ma secondo noi è meglio rimanga così com’è, perché quando la ricotta è davvero fresca e di buona qualità è già completa di suo e non ha bisogno di aggiunte. Altri ingredienti che donano tipicità alla ricetta sono le mandorle tostate e il vincotto, prodotti anche questi che non potevano mancare in una qualsiasi fattoria pugliese a dimostrazione

Dita degli Apostoli con ricotta e vincotto (photo © peppeaifornelli.blogspot.it).

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del fatto che, benché questi dolci sembrino di alta e raffinata pasticceria, rientrano in origine tra quei dolci nati spontaneamente, combinando insieme con gusto e sapienza ciò che le modestissime risorse domestiche potevano fornire. Eppure… quali risultati d’arte culinaria! Nel tempo, però, le frittelline hanno assunto sempre più la forma di crêpes alla francese e tanti, così fuorviati, credono in buona fede che questa ne sia l’origine. Invece no: siamo in Italia, ancora una volta, alla scoperta — o riscoperta — delle nostre tradizioni più remote e più piacevoli. Vincotto, prodotto tradizionale tutelato Insomma, si sarà ben compreso che gli ingredienti a disposizione nelle case contadine pugliesi erano uova, ricotta, mandorle, vincotto e olio (per friggere). Tutto il resto è aggiunta successiva. Ho dei motivati dubbi perfino sullo zucchero che, come si sa, è elemento giunto a posteriori sulle nostre tavole e nelle nostre ricette. Propendo piuttosto per un utilizzo un tempo più “massiccio” del vincotto, capace da solo di conferire la necessaria dolcezza, peraltro già garantita da una buona ricotta. Vincotto è una parola generica. Per quanto riguarda la Puglia sta a indicare il mosto d’uva cotto, prodotto da varietà di uve rosse e bianche coltivate nella regione, sottoposto a una semplice e lenta riduzione fino a raggiungere la consistenza di uno

Mandorle tritate e pasta di mandorle (photo © beufalamode.blogspot.it). sciroppo dal sapore dolce (per cui non è assolutamente possibile confonderlo con un aceto) e dal gusto perfettamente rotondo, adatto per la preparazione di dolci e bibite e, grazie alle sue grandi proprietà nutritive (è ricchissimo di polifenoli antiossidanti), indicato anche per bambini e anziani. In Salento si produce una versione locale chiamata cuettu (= cotto). La produzione del vincotto risale ai tempi degli antichi Romani che usavano bollire il mosto d’uva per conservarlo e poterlo meglio trasportare. Essi usavano il vincotto come ingrediente per arricchire carni ed altri piatti e nelle torte come edulcorante; prima dell’introduzione dell’uso dello zucchero di canna, veniva anche mischiato al miele. Usavano il vincotto

pure diluito con acqua come una dolce bibita energetica o come un “vino” fortemente inebriante. Da tempo immemorabile in Puglia è utilizzato per la preparazione di molteplici prodotti della tradizione. A norma dell’art. 5 del Decreto Ministeriale 18 luglio 2000, essendo il vincotto inserito nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali pugliesi, tale nome non può essere registrato. Neppure va confuso con prodotti analoghi di altre regioni (come la saba), o con il vino cotto, o con il vincotto del Veneto, che è un composto a base di frutta bollita nel mosto. Il vincotto quindi è prodotto solo in Puglia con uve del territorio pugliese. Nelle dita degli Apostoli viene versato sul prodotto finito, prima di servire.

Dita degli Apostoli, la ricetta: più semplice è, meglio è Preparare il composto delle frittelline sbattendo a lungo un uovo (tuorlo e albume) con acqua e poi lasciando rassodare per circa 15 minuti. Friggere il composto, non più di un cucchiaio scarso alla volta poiché le frittelline dovranno essere il più possibile sottili (quasi trasparenti) e con il diametro non superiore a 7-8 centimetri. La padella dovrà essere antiaderente e andrà leggermente unta con un foglio di carta da cucina imbevuto d’olio evo prima di ogni frittura, per evitare che la frittellina si attacchi o si rompa; la cucchiaiata di composto va sparsa con cura su tutta la superficie della padella. Nel frattempo si sarà impastato a freddo e con attenzione un composto ottenuto con 500-600 grammi di ricotta morbida e cremosa (ben spurgata del siero) e 150-200 grammi di zucchero. Questa sarebbe la ricetta-base. A piacere (oggi si fa abitualmente) si possono aggiungere 100 grammi di scagliette di cioccolato fondente o cacao e 1-2 bicchierini di liquore per dolci. Le versioni più tradizionali prevedono invece le mandorle tritate. In ogni frittellina viene adagiato con cura un cucchiaio colmo di questo impasto e poi si avvolge delicatamente a mo’ di cannolo, schiacciando leggermente i bordi per impedire la fuoriuscita del composto. Se si vuole, si può cospargere con cannella finemente tritata oppure con cacao o zucchero a velo. Tipica era e rimane la rifinitura a base di vincotto. Un’altra versione prevede invece che le frittelline siano composte soltanto di albumi sbattuti con un pizzico di sale; risulteranno così di colore bianco, più in sintonia con la definizione “dita degli Apostoli” (anche se essa si riferisce principalmente alla ricotta).

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al Gruppo Caffo che ha ripreso sia la produzione che il commercio e le esportazioni. Della ricetta di questo liquore non si sa molto, se non che si ottiene per infusione di alcune erbe e spezie nell’alcool. Sicuramente sul gelato, nel caffè o, come nel nostro caso, in certi dolci ne esalta i sapori. A dominare però è sempre la ricotta Ma la regina incontrastata delle “dita degli Apostoli” rimane lei: la ricotta. In Puglia la ricotta (non quella forte, però!) si presenta con la sua caratteristica forma troncoconica dalla superficie segnata dal disegno della fuscella. Ha colore bianco, consistenza morbida e cremosa, gusto delicato e vellutato. Il periodo di produzione cambia a seconda della varietà di latte: quella di vacca si produce tutto l’anno, mentre quella di pecora varia da dicembre fino a luglio, periodo in cui le pecore vanno in asciutta e i pascoli sono più aridi.

Vincotto (photo © julietsbelly.blogspot.it). Il San Marzano Borsci, anch’esso prodotto caratteristico Altrettanto tipico per la preparazione delle dita degli Apostoli è diventato da tempo l’utilizzo del liquore San Marzano Borsci come aggiunta al ripieno di ricotta o addirittura anche per imbibire gli interi cannoli prima di servirli. Innanzitutto questo ingrediente si sposa benissimo con tutti gli altri e poi è un prodotto anch’esso caratteristico della Puglia, sebbene in questo caso tale tipicità non deriva dalla tradizione contadina ma dalla produzione industriale. La sua storia è molto suggestiva: in epoca remota i Borsci, originari del Caucaso, a seguito di sommovimenti politici si trasferirono in Albania. Un ramo

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della famiglia seguì poi l’eroe GIORGIO CASTRIOTA SCANDENBERG in Puglia e nel lontano 1840, nel piccolo comune di San Marzano di San Giuseppe, il liquorista GIUSEPPE BORSCI, ispirandosi ad un’antica ricetta ereditata dai suoi avi, che perfezionò, iniziò a produrre il suo elisir ponendo fin da subito, sulla storica etichetta, la dicitura “specialità orientale” insieme con l’aquila bicipite che è il simbolo nazionale albanese. Nacque così l’Elisir San Marzano Borsci, definito “il più sensuale dei sapori” con buona pace degli “Apostoli” sulle cui “dita” viene versato. L’azienda, con sede a Taranto, ebbe poi vicissitudini che la portarono alla liquidazione per fallimento. Da fine 2013 la gestione è passata

Di pecora è più grassa ma anche più gustosa Molti si chiedono se per i dolci a base di ricotta sia meglio utilizzare quella di pecora o quella di mucca. A parte le preferenze di gusto individuali, è indubbio che il latte di pecora contenga una quantità di grassi più che doppia rispetto a quello di vacca o di capra (quantità che può superare il 10%). È una ricotta più grassa e saporita perché i globuli del grasso sono più piccoli e quindi tendono a sfuggire nel siero durante la lavorazione. Ciò la rende a molti più gradita al palato e anche più adatta all’impiego nelle preparazioni dolciarie. Inoltre, poiché le proteine del latte di pecora hanno una percentuale maggiore di caseina, si ottengono una resa e una caseificazione maggiori, con conseguenti tempi minori di coagulazione e spurgo (quest’ultimo molto importante nella preparazione delle “dita degli Apostoli”). Qualunque sia il tipo di ricotta impiegata — purché fresca — le “dita degli Apostoli” costituiscono un dolce nutriente, sano e adatto a tutti, buonissimo già nella versione più semplice, il cui poetico nome già ci predispone alla dolcezza, non solo del palato. Nunzia Manicardi

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VINO L’Europa vinicola è in movimento

Alla conquista dell’Est di Riccardo Lagorio

L’

allargamento ad Est dell’Unione Europea ha associato al Vecchio continente nuovi territori vinicoli, per anni dimenticati dai rotocalchi e dai nostrani esperti e assaggiatori professionisti in materia. Recenti sorseggi ci impongono di rivalutare terre e colline che geograficamente appartengono ormai all’Europa centrale: paesaggi incantevoli, alcuni dal nome e dal sapore mistico, dove il vino è materia di grande pregio da più di un secolo. Slovenia Marof Come accade nell’Oltremura, in Slovenia, quando la famiglia di stirpe

ungherese Szapáry, presente a Murania Sobota sin dalla fine del Seicento, fece erigere nel 1905 un casino di caccia ed alcuni immobili destinati ai lavori agricoli, compresa una cantina che lavorava le uve provenienti dalle colline intorno, di origine vulcanica. L’attività di produzione di vino, sotto il marchio Marof (telefono: +386 2 5561810; e-mail: info@marof.eu; web: www.marof.eu), dal tedesco Meierhof, attraversò le diverse appartenenze a stati nazionali: dal Regno di Iugoslavia a quello di Ungheria, dalla Repubblica Socialista di Iugoslavia appunto all’attuale Slovenia. Oggi Marof si avvale nella direzione delle buone pratiche di un giovane agronomo, UROŠ VALCL, che ha idee

ben chiare: lunghe macerazioni sulle bucce, affinamento in botti, pratiche agronomiche in campo che prediligono basse rese per ettaro. Inoltre i pali che sorreggono le viti sono stati prodotti in legno per meglio inserirsi nel paesaggio. Il Sylvaner del 2011 possiede piacevole acidità, ricordi di susina e mandorla amara, colore giallo paglierino con riflessi dorati. Il Beli križ (Croce bianca) prende invece nome da un particolare terreno all’intersezione dei distretti dove si coltivano tre delle varietà più usate nell’Oltremura: Riesling italico (47%), Chardonnay (33%) e Sauvignon (20%), raccolte in tre momenti diversi tra fine settembre e metà ottobre. Possiede l’acidità

La cantina della tenuta agricola Marof.

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I vigneti e la tenuta dell’agriturismo Puklavec sulla collina Zasavci in Slovenia (photo © www.jeruzalempuklavec.si). basaltica dello Chardonnay e la pienezza del Sauvignon in un crescendo di gusto che dalla nocciola fa scoprire le numerose facce della frutta secca. Argille verdi, marroni e gialle contraddistinguono parte dei 40 ettari della proprietà, quelle dove nasce il Riesling renano. La vendemmia 2011 è un grande vino da tutto pasto dal colore ambra e albicocca, aroma e gusto che ricordano l’uva sultanina elaborato lasciando per oltre un anno le bucce a contatto con il mosto e leggermente pressata. Il Merlot 2013, tuttora in fase di affinamento sulle vinacce, si apre con una complessa combinazione di tannini da mirtillo e noce, preparando lentamente la strada a ricordi di visciole mature, in un interessante va e vieni di sentori aciduli e amaricanti, a testimonianza della naturale predisposizione di questa terra nei confronti di uve a bacca rossa. Hlebec A meno di 30 km verso sud, non distante dal confine croato, un’area (composta da due territori comunali, Ljutomer e Ormož) dal nome

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sacro, Jeruzalem, si è distinta per le attività legate alla viticoltura. Qui le esportazioni verso Germania e Olanda raggiungono picchi del 70% e la Strada del vino che la attraversa è un piacevole percorso tra osterie, colline dalla sagoma aggraziata e piccole cantine. Fermata obbligatoria in una di queste, Hlebec (telefono: +386 2 7137060; e-mail: tkhlebec@siol. net), dove MILAN HLEBEC, settant’anni ancora di corsa, su terreni argillosi fa nascere un Cabernet Sauvignon da capogiro, raccolto a novembre e curato settimanalmente per 6 mesi sui lieviti, dal profumo balsamico e di zafferano, corpo maestoso e larga trama. Gli acini del suo Riesling renano del 2000 hanno sviluppato sulla superficie, prima della raccolta, muffa

nobile e, spremuti, hanno riposato 6 mesi in botti di quercia di Slavonia. Non sono aggiunti solfiti al vino ottenuto, dai profumi terziari, complessi, dall’acidità che ricorda l’ananas e lunga mineralità. Il Furmint, uno dei vitigni dell’area Tocai, qui prende nome di Šipon e quello del 2012 riserva profumi agrumati e aggraziate piacevoli code di ammandorlata mineralità. Nell’agriturismo dei Hlebec le salsicce e la zuppa di funghi sono di buon accompagnamento per l’assaggio dei loro vini. Agriturismo Puklavec Anche BLAŽ PUKLAVEC possiede, alto sulla collina Zasavci, un agriturismo che mette in vendita alcune buo-

“Recenti sorseggi ci impongono di rivalutare terre e colline che geograficamente appartengono ormai all’Europa centrale: paesaggi incantevoli, alcuni dal nome e dal sapore mistico, dove il vino è materia di grande pregio da più di un secolo”

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ne bottiglie di produzione propria (telefono: +386 2 7196500; e-mail: puklavecb@volja.net; web: www. slovenia.info/puklavec, www.jeruzalempuklavec.si). Come il Moscato Ottonel, pigiato a inizio settembre e lasciato sulle fecce per almeno 6 ore, che sprigiona aromi di sambuco, basilico e ortica, leggermente aromatico in bocca, con ricordi di albicocca, di buona mineralità, ideale con il formaggio vaccino di media stagionatura. Le bottiglie riposano in un’antica cantina costruita con mattoni. Stappato in questo luogo ideale, umido buoi e fresco è lo Šipon a esprimere il meglio di sé: fruttato ma non troppo, minerale, con sorprendente equilibrio tra alcolicità e aroma. Produzione: una bottiglia ciascuna vite. Gomila Dei 650 ettari vitati nella zona, 18 appartengono a Gomila, la linea dei cru della P&F Winery (telefono: +31 13 820 02 68; e-mail: info@pfwineries. com; web: www.gomilawines.com, pfwineries.com). Le migliori uve di

Furmint e Pinot nero raccolte a mano sono lavorate per ottenere un ottimo spumante metodo tradizionale che riposa sui lieviti almeno 22 mesi. I caratteristici profumi di scorza di limone, mela verde e crosta di pane vengono esaltati nell’accompagnamento con pesce affumicato e carni di pollo. Croazia Non meno interessanti gli esempi di conduzione vitivinicola croata. Nella regione di Bjelovar e della Bilogora le colline rivolte verso sud ovest e un’avveduta pratica colturale provvedono a immettere sul mercato, spesso internazionale, prodotti di grande richiamo malgrado la zona della Bilogora sia — enoicamente parlando — ancora assai giovane. Vinarija Coner Apripista che sta raccogliendo ottimi risultati è IGOR PRKA di Vinarija Coner (telefono: +12 43 269 022; e-mail: vinarija@coner.hr; web: www.vinarijaconer.hr) con il suo Iskra (scintilla), nato a partire dal 2006 (anno della seconda vendemmia), quando le quan-

tità monovarietali erano troppo poche per essere vinificate sole e quindi si è ricorso ad una equilibrata combinazione tra Termeno aromatico che conferisce aroma, Sauvignon con il suo corpo, Moscato che apporta zuccheri, l’alcolicità dell’Incrocio Manzoni, la freschezza dello Chardonnay e l’acidità del Riesling renano. Dopo una serie di prove si è ottenuto un vino di grande armonia che ben si concilia con i formaggi, specie il prgica (dalla caratteristica forma conica) o quello vaccino e affumicato con legno di acero e fresco di capra proposti da MELINDA GAL (e-mail: biogal@bj.t-com.hr). Božo Bačić Nella Dalmazia centrale, non distante da Bencovazzo (Benkovac), nel villaggio di Podgrade, nei pressi delle rovine romane di Asseria, tra la produzione di BOŽO BAČIĆ emerge l’omonimo vino da dessert con uve di Cabernet Sauvignon (telefono: +385 23 687008; e-mail: bacic-bozo@net. hr). È dedicato al municipio romano fondato nel I secolo d.C. sul luogo di

La Vinarija Coner a Jabučeta (photo © goo.gl/pV5yRF).

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La selezione dei vini dell’azienda Skouras del Peloponneso (photo © www.skouras.gr). un castelliere illirico. Il sole e i venti che provengono dal vicino Adriatico lo caratterizzano per gli intensi profumi di ciliegia e balsamici, la stoffa ampia e il colore granato scuro che gli valgono ogni anno premi nei maggiori concorsi internazionali di vino. Škauli-Nadin Nel villaggio di Nadin, entroterra zaratino, l’azienda agricola Škauli conduce 5 ettari in regime biologico e tra i vini vittoriosi nei concorsi locali e non spicca il Nadinska rana (ferita di Nadin, a indicare il colore brillante, sanguigno del vino). L’eccezionale qualità delle uve, soggette alla brezza adriatica e al clima secco delle basse colline, permette di elaborare un vino da uve Merlot e Shiraz ricco di estratti, dal gusto intenso, pieno e morbido ideale con le carni ovine. Istria “Il vino di Dignano ha il profumo delle rose”, scriveva GABRIELE D’ANNUNZIO. Il vin de rose rappresenta una produzione fondata sulle minime quantità, che stava per essere com-

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pletamente abbandonato e non più destinato alla commercializzazione. Dignano d’Istria ne è la capitale. Fu immortalato anche nell’opera Nozze istriane di ANTONIO SMAREGLIA, la cui famiglia era dignanese. Il vin de rose è un Moscato nero passito riscoperto dall’Agriturist e grazie all’intraprendenza di SERGIO DELTON. Si caratterizza per profumo intenso di frutta matura, il gusto dolce e delicato, tanto che un detto istriano diceva che el faseva risusitar i morti e veniva utilizzato nello zavaion come ricostituente e, in alternativa, in accompagnamento con i parpagnacchi, una sorta di duri biscottini preparati per San Martino. Grecia Domaine Skouras Per non dire dei vini greci, di lunga tradizione anche se poco apprezzati dai nostri mercati. Il Moscofilero dell’azienda Skouras (telefono: +30 27510 23688; e-mail: info@skouras. gr; web: www.skouras.gr) del Peloponneso è un aromatico dagli opulenti profumi di fiori arrotondati da note di

petali di rosa e frutto della passione da viti dell’età di 25 anni. Occhio giallo chiaro e brillante, il naso si compiace per la piacevole mineralità e alla lunga per il finale di fiori d’arancia, miele e polline d’abete. In bocca sorprende per la scaltrezza viperina che cede, alla lunga, alla freschezza di menta. Vaeni Noussa Lunga tradizione che si perpetua nell’Emazia, a Noussa. Qui dove rinfrescanti cascatelle si fanno largo tra le colline dalle dolci pendenze la vite storica è lo Xinomavro, dalla bacca rossa e che dà vita a vino corposi e dal lungo invecchiamento. Lo Xinomavro viene coltivato in soli 18 km2 al mondo e la Cooperativa di Noussa (telefono: +30 2332 044274; e-mail: info@vaeni.gr; web: www. vaeni-naoussa.com) produce dalle migliori uve il Damaskinos Doc, che in lingua greca racconta dei suoi profumi di susina. Il vino riposa per almeno 12 mesi in barriques di quercia francesi, 6 mesi in barriques molto affumicate (che conferiscono il caratteristico bouquet) e 6 mesi in

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Con “Autoctoni che passione!” vincono i vini dei territori

Grappolo di Xinomavro (photo © www.vaeni-naoussa.com). botte. L’annata 2006 si è rivelata dal colore profondo rubino, con opulenti aromi di spezie, susine, vaniglia, frutti rossi e legno affumicato. Il corpo è rotondo e con tannini da vino assai maturo. Insuperabile con carni rosse di selvaggina. Bulgaria Zagreus Altrettanto si può dire del Mavrud, della Zagreus di Parvomay, nella parte meridionale del Paese (zagreus.org). Seguendo il metodo innovativo per la Bulgaria, ma già da secoli in atto in Veneto per l’Amarone, le uve sono raccolte manualmente e lasciate parzialmente appassire in cassette prima di essere spremute. L’avveniristica cantina fondata nel 2004 prende il nome dal dio greco identificabile con Bacco. Il Mavrud 2007 è un inno alle sensazioni forti: all’occhio, al naso, alla bocca. Tutto sembra realizzarsi all’ennesima potenza tra fragranze di frutti rossi, note affumicate e balsamiche, spezie e vaniglia, e nuance che colpiscono i sensi in attesa di cacciagione di piuma (pernice) o carni dalle lunghe frollature. Un’Europa vinicola in movimento, quindi. Che regala e saprà proporre sempre più piacevoli sorprese e meditate rivisitazioni. Riccardo Lagorio

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Assegnati gli “Autochtona Awards” ai top wine della 12a edizione di Autochtona, il forum nazionale dei vini autoctoni svoltosi a Bolzano gli scorsi 19 e 20 ottobre in contemporanea con Hotel, la Fiera internazionale per hotellerie e ristorazione. Due giornate per consentire agli operatori di incontrare piccole realtà, spesso sconosciute, che custodiscono e difendono l’incredibile patrimonio autoctono nostrano, così come a vini di varietà italiane che cominciano ad incontrare un numero sempre crescente di appassionati. La giuria ha premiato 6 vini, sulle oltre 300 etichette che hanno partecipato alla manifestazione. Per Pier Bergonzi, vicedirettore de LA GAZZETTA DELLO SPORT, che ha guidato i lavori valutando le 76 etichette finaliste in degustazione, è stata una sorta di Giro d’Italia del vino. «Ho avuto la possibilità di assaggiare tanti vini diversi, alcuni da vitigni che ho degustato per la prima volta e, se mai ce ne fosse stato bisogno, ho potuto rendermi conto una volta in più di quanto sia ricco il patrimonio ampelografico del nostro Paese». Partendo da nord, il premio Miglior Vino Rosso è andato al Raboso Doc Piave 2009 dell’azienda Ornella Molon Traverso. È volato in Lombardia il conferimento per la categoria Miglior Vino Bianco, assegnato al Trebbiano di Lugana Brolo Doc 2014 di Cantina Marsadri. Il premio Migliori Bollicine è andato invece al Lambrusco Rosè di Modena Spumante Doc Brut 2011 di Cantina della Volta. Scendendo più a sud, la Toscana ha primeggiato nella categoria Miglior Vino Dolce con il Vin Santo Doc Colli dell’Etruria centrale 2011 di Fattoria San Michele a Torri. Infine, le isole: l’azienda I Custodi delle Vigne dell’Etna ha ottenuto il riconoscimento per il Miglior Vino Rosato con il suo Alnus Etna Rosato Doc 2012, mentre il Premio Speciale Terroir, assegnato tradizionalmente all’etichetta che meglio rappresenta l’espressione del vitigno legato al suo territorio di riferimento, è andato alla Sardegna, con ‘Entu, Vermentino di Sardegna Doc bio 2014 di Colline del Vento. «Autochtona si è conclusa così nel migliori dei modi, con un appuntamento che si è dimostrato anche in questa edizione una rassegna di altissimo livello qualitativo, con produzioni che spaziano dal biologico al biodinamico, fino ai vitigni più rari e preziosi», spiega PIERLUIGI GORGONI (GUIDA I VINI D’ITALIA DE L’ESPRESSO), coordinatore della selezione. Il presidente di giuria è stato affiancato inoltre da LEONARDO ROMANELLI (GAMBERO ROSSO), PETER SCHLEIMER (VINARIA, Austria), STEFANIA BELCECCHI (DOCTORWINE), ANGELO CARRILLO (GUIDA VINIBUONI D’ITALIA) e FILIPPO GASTALDI (VINARIUS – ASSOCIAZIONE ENOTECHE ITALIANE). >> Link: www.fierabolzano.it/autochtona

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Enologica: 5.000 presenze a Palazzo Re Enzo L’edizione 2015 di “Enologica”, salone del vino e del prodotto tipico dell’EmiliaRomagna svoltosi a Bologna lo scorso fine novembre, ha fatto il pieno di calici e di presenze a Palazzo Re Enzo. Un’edizione che, sotto la guida per il secondo anno consecutivo di Enoteca Regionale Emilia-Romagna, ha registrato un incremento di pubblico e innalzato l’interesse di operatori e di giornalisti. Circa 5.000 le presenze complessive tra visitatori, operatori del settore e stampa. Molto frequentati anche gli incontri con “Il Teatro dei Cuochi”, incentrati sulla lavorazione della pasta ripiena, e che hanno visto tra i protagonisti alcuni tra gli chef più rappresentativi della regione. Per Giorgio Melandri, curatore dell’evento, «Enologica è una piattaforma narrativa che riesce a coinvolgere sempre più persone e sempre più comunicatori. La presenza di giornalisti internazionali e nazionali sottolinea l’interesse che la nostra regione sta riscuotendo e la modernità della nostra anima popolare. È il frutto del lavoro che portiamo avanti da anni con il racconto dei nostri territori e del nostro vino. A questo si aggiunge il successo di pubblico che testimonia un ritrovato orgoglio regionale e il senso di appartenenza che la tradizione alimenta. Siamo una regione che guarda al futuro senza nostalgia e con molto ottimismo». «Nel momento in cui il settore fa sistema — ha commentato il direttore di Enoteca Regionale Emilia-Romagna Ambrogio Manzi — siamo in grado di ottenere i risultati migliori, come testimonia l’attività svolta quest’anno a Enologica con i Consorzi. Il Consorzio Vini di Romagna, il Consorzio Colli Bolognesi e il Consorzio Pignoletto, il Consorzio Lambrusco di Modena e il Consorzio Lambrusco di Reggio Emilia hanno collaborato attivamente non solo con la propria capacità aggregativa sui singoli territori, ma anche con un forte ruolo per la gestione dei press tour che hanno destato la curiosità dei giornalisti internazionali, i quali hanno poi positivamente commentato l’esperienza nei diversi territori dell’Emilia-Romagna» (l’immagine in alto rappresenta una delle carte dei Tarocchi, nella versione creata ad hoc per l’evento legata ai prodotti tipici dell’Emilia-Romagna ad opera dell’illustratrice Francesca Ballarini). >> Link: www.enologica.org

Da un grande passato nasce un grande futuro: 50o Vinitaly, 1967-2016 Comincia il conto alla rovescia per Vinitaly 2016, l’edizione del cinquantesimo, in programma a Veronafiere dal 10 al 13 aprile. «Per il 50o Vinitaly abbiamo pianificato investimenti per 8 milioni di euro a supporto del wine business, dell’incoming di operatori esteri, del miglioramento delle infrastrutture di servizio per i nostri clienti e per rendere ancora più netta la distinzione fra operatori professionali all’interno della rassegna nel quartiere fieristico ed i wine lovers che avranno il proprio riferimento in un evento dedicato nel centro della città». Queste le parole del presidente di Veronafiere, Maurizio Danese, pronunciate durante l’intervento al talk show di wine2wine 2015 lo scorso dicembre. La strada da percorrere per un comparto che vale per l’Italia oltre 14 miliardi di euro sarà infatti sempre di più quella dell’internazionalizzazione. A tal proposito, nell’ambito del Programma nazionale di sostegno per il settore vitivinicolo per la campagna 2014/2015, sono stati erogati oltre 336 milioni di euro a favore del settore, vale a dire il 99% dei fondi assegnati. Vinitaly, inoltre, è stata inserita nel Piano di promozione straordinaria per l’internazionalizzazione del made in Italy promosso dal Governo, che rappresenta un efficace contributo accanto alle risorse comunitarie dell’OCM (Organizzazione comune di mercato). «Il Piano straordinario — ha ricordato il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani — ha mostrato la propria efficacia anche con un’altra delle manifestazioni di punta di Veronafiere, Marmomacc, che ha accresciuto il numero di delegazioni commerciali e buyer dall’estero e ci attendiamo da Vinitaly un’ulteriore spinta per l’export del vino italiano nel mondo». Solo nell’ultima edizione di Vinitaly, ha ricordato Mantovani, «la presenza estera è stata di oltre 55.000 operatori da 141 Nazioni, pari al 37% del totale dei visitatori. L’incoming sarà rafforzato, con azioni specifiche su Paesi target quali Germania, Austria, Svizzera, Regno Unito, Paesi Scandinavi, Polonia, USA e Canada, Russia, Giappone e Cina e, per i vini naturali e biologici, con un sostegno a specifici operatori su mercati come Nord Europa, Paesi Scandinavi, Germania e Benelux. L’obiettivo è quello di portare 800 buyer mirati e selezionati, in più rispetto a quelli che tradizionalmente visitano Vinitaly». Fra le novità annunciate, il Premio Enologico Internazionale 5 Star Wines. >> Link: www.vinitaly.com

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: di Laura

D

egustazione tutta dedicata alla calda terra sicula, ai suoi dolci, ai suoi vini. Una storia, quella della pasticceria di questa regione, lunga, piena di contaminazioni, ricca e, soprattutto, prelibata. Le ragioni di questa eccellenza sono diverse. La prima, ovvia, sta nella Sicilia stessa, nella sua privilegiata posizione, nel suo sole. Qui i frutti della terra, frutta in primis, sono dolci

e succulenti. I prodotti caseari sono altrettanti importanti e ricotte e formaggi hanno caratteristiche uniche. Certamente l’influenza più importante è stata quella araba, che ha introdotto l’uso di alcuni ingredienti divenuti poi importantissimi, come il pistacchio, le mandorle, la cannella. Un’altra importante fonte di ricette è stata, per lungo tempo, quella dei monasteri. Dietro le mura dei conventi e

Moscato di Pantelleria DOC Kabir Donnafugata

Moscato Spumante Dolce Petali 2012 Fazio casa vinicola in Erice

Malvasia delle Lipari DOC Passito Francesco Fenech

La storia di questa cantina inizia ben centossessant’anni or sono. Una storia che vede la famiglia Rallo impegnarsi profondamente e portare questa realtà agli onori delle cronache del mondo del vino. Una cantina famosa in tutto il mondo, portabandiera dell’eccellenze vinicola siciliana. Il calice del Kabir si apre franco e gioviale, schietto di profumi puliti e raffinati. Una degustazione olfattiva ricca ma non eccessiva, che con eleganza porge note di susine e albicocche, fiori d’arancio e mandorle di Sicilia. Al palato è decisamente armonico, grazie ad una bella spalla acida di sostegno, per nulla stucchevole. Il bilanciamento della dolcezza lo rende adatto alla pasticceria, biscotti e crostate, ma potete azzardare anche abbinamenti più insoliti, ma non per questo meno soddisfacenti, come con formaggi caprini, formaggi stagionati, e con piatti di pesce affumicato e con la bottarga. Un consiglio: spaghetti freschi con tartare di alici, bottarga di tonno rosso e succo di carota. Un piatto dello chef Ciccio Sultano. Imperdibile.

Siamo ad Erice, uno dei luoghi più belli di Sicilia, ma potremmo anche dire d’Italia. I vigneti di proprietà dell’azienda si estendono sulle dolci colline che fanno da cornice al monte che sovrasta Trapani e dà il nome alla cittadina e dal quale si può ammirare un panorama unico. Questi vigneti sono stati impiantati tra i 250 e i 600 metri di altitudine valutando accuratamente l’esposizione e la composizione dei terreni. Un’attenzione che si esprime anche nel ciclo produttivo dei vini, dando luogo a prodotti davvero notevoli. Questo calice di spumante dolce è prodotto con Moscato bianco in purezza, secondo il Metodo Charmat, che preserva i profumi freschi e fruttati. Al naso infatti sprigiona copiose note di frutta fresca, pesca e susina, con ricordi floreali. Anche al palato si mantiene elegante, grazie ad una bella armonia tra le parti, sempre soave ed elegante. Adattissimo a crostate di pesca ma anche a macedonie estive, questo calice leggero e beverino si presta anche come alternativa nel rito dell’aperitivo.

Francesco Fenech è ospitato dalla splendida ed unica isola di Salina, dove produce, oltre ad ottimi vini, anche i famosissimi capperi. L’unicità dei terreni e delle condizioni climatiche, unite alla sapienza e perseveranza del titolare, hanno portato la sua Malvasia a diventare un vino iconico, famoso e celebrato nel mondo, anche con molteplici premi e riconoscimenti. Un calice intenso, dalle altrettanto intense note fruttate, di albicocche e fichi secchi, pesche mature e mandorle, con ricordi marini a completamento, datteri e balsamicità. La sorsata è convincente e ammaliante, senza spigolature. Equilibrato, armonico e decisamente affascinante, è il compagno perfetto della pasticceria siciliana. La pasta di mandorle e la frutta martorana troveranno in questo vino il perfetto compagno di abbinamenti indimenticabili, magari al termine di una ricca cena di pesce, ammirando uno dei magnifici tramonti che regala quest’isola.

Donnafugata Via S. Lipari 18 91025 Marsala (TP) Telefono: 0923 724200 info@donnafugata.it

Fazio Wines Srl Via Capitano Rizzo 39 91010 Fulgatore – Erice (TP) Telefono: 0923 811700 info@faziowines.it

Fenech Francesco Via F.lli Mirabito 41 Malfa 98050 – Isola di Salina (ME) Telefono: 090 9844041 info@fenech.it

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dolce Sicilia Franchini degli istituti religiosi le monache preparavano dolci per le feste tradizionali cattoliche, dando vita così ad una lunga serie di dolcissime invenzioni. Ultima citazione storica riguarda la pasticceria svizzera, che ad inizio del secolo scorso iniziò ad invadere l’isola, influenzando pasticceri e golosi. Citare tutti i dolci siciliani in un solo articolo è impossibile, ci limiteremo quindi a suggerirvi alcuni

vini, sempre siciliani, adatti all’abbinamento. Ricordiamo che i tanti gelati, le granite e i geli sono particolarmente difficili da abbinare al vino. Difficili, ma non impossibili. Osate e fateci sapere come sono andati i vostri fine pasto ispirati a questa terra. Potete anche dedicare a questi vini un momento a sé, magari una deliziosa merenda o un aperitivo con gli amici davanti allo splendido mare di Sicilia.

Moscato di Noto “Moscato della Torre” – Marabino

Marsala DOC Superiore Vintage Ambra Dolce – Heritage

Passito di Pantelleria DOC Nes Pellegrino

La cantina Marabino si trova in Val di Noto, zona sud orientale della Sicilia, nelle contrade “Buonivini” e “Barone”. Nata nel 2002, comprende anche un magnifico relais, un’antica torre saracena del 1200, ed è immersa nella campagna iblea, a pochi minuti dalle coste e dal mare. Questo calice dalle tinte dorate viene prodotto secondo i regimi dell’agricoltura biodinamica. Le uve, appassite al sole su graticci, vengono vinificate in serbatoi d’acciaio a temperatura controllata con le bucce. Invecchia in acciaio e viene imbottigliato nella primavera successiva alla vendemmia. Al naso sprigiona intense e raffinate note fruttate, pesca bianca e albicocca con tinte marine iodate e fiori di gelsomino. Un’aromaticità decisa che tiene il passo del palato, avvolgente e suadente, equilibrato, lungo, non stucchevole. Adatto con i ricchi dolci della tradizione, pasta di mandorle e frutta martorana, sarà perfetto accompagnato da un cannolo, appena fatto, dall’involucro ancora croccante, con granella di pistacchi di Bronte.

Francesco Intorcia raccoglie l’eredità e la passione di famiglia e, pur continuando con la cantina Intorcia, si prende nel 2012 la responsabilità di portare avanti il progetto Heritage. Un progetto impegnativo che vuole intendere e comunicare il vino Marsala in modo efficace, contemporaneo. Un percorso di qualità per il recupero di una delle più antiche DOC siciliane, atto a trovare nuove vie comunicative e ad avvicinare un pubblico più ampio e sfaccettato. Il vino degustato è a dir poco entusiasmante. Un calice ambrato, dall’olfattiva decisa, intrigante e lunga. Sono note mielate di corbezzolo, scorze di agrumi e datteri, tinte marine e balsamiche, timo e anice stellato. Anche la sorsata è piena, avvolgente, morbida, dall’intensità lunga ed armonica. Un vino particolarmente vocato al rito della degustazione meditativa, ma che si abbinerà splendidamente con la pasticceria siciliana. Potete azzardare anche un cannolo con gocce di cioccolato, la struttura e il carattere possono sostenerlo.

Oltre centotrent’anni di storia per questa cantina fondata nel 1880 dal notaio Paolo Pellegrino, viticoltore per passione, e che rappresenta un faro dell’enologia siciliana, impegnata nel mantenimento delle sue tradizioni e delle sue eccellenze vinicole. Il passito di Pantelleria Nes, vino naturalmente dolce, è una di queste. La vinificazione avviene tramite pressatura soffice e fermentazione a temperatura controllata, durante la quale viene aggiunta uva appassita al sole. L’interruzione della fermentazione avviene con la tecnica del freddo e l’affinamento in vasca a temperatura controllata e poi in bottiglia. Il calice si presenta di un bel giallo dorato intenso, tendente all’ambra. Al naso si apre intenso e convincente con note di fichi secchi, miele, albicocche e crema pasticcera. Al palato entra morbido, con una bella spalla acida a supportare la dolcezza, evitando così di scadere nella stucchevolezza. Piacevole ed elegantissimo si presta all’abbinamento con i dolci da forno e i formaggi stagionati.

Marabino C.da Buonivini 96017 Noto (SR) Telefono: 335 5284101 info@marabino.it

Francesco Intorcia Heritage Via Mazara 10 91025 Marsala (TP) Telefono: 0923 999133 info@heritagewines.it

Carlo Pellegrino & C. Spa Via del Fante 39 91025 Marsala (TP) Telefono: 0923 719911 info@carlopellegrino.it

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TECNOLOGIE

Preparazione ordini: cinque diverse soluzioni col CSB-System Moderna procedura di preparazione ordini per un ottimale flusso di materiali e informazioni. Rapida, efficiente, elettronica

N

el settore alimentare le procedure di preparazione ordini impiegate sono decisive per l’efficienza e la competitività di un’azienda. I moderni sistemi informatici servono appunto ad ottimizzare tali procedu-

re, dal punto di vista del personale e del tempo impiegato, e sono spesso efficientissimi. L’offerta spazia dalle soluzioni relativamente semplici a quelle totalmente automatizzate con sorter o robot che svolgono anche la funzione di preparazione ordini (picking). Ma prima dell’introduzione di un nuovo sistema è necessario analizzare i singoli processi aziendali e considerare tutti i parametri rilevanti relativi all’ordine, come, ad esempio, le proprietà dei prodotti e dell’assortimento, la struttura degli ordini, lo spazio, e così via. Il gruppo CSB offre diverse possibilità/soluzioni, tra le quali:

* * * * *

Pick-by-Scan; Pick-by-Light; Pick-to-Light; Pick-by-Voice; Picking con Sorter. Andiamo ad analizzarle una per una nei box sottostanti. Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb-system.it

Pick-by-Scan è una procedura di preparazione ordini ampiamente diffusa, mediante la quale i dati degli ordini del sistema ERP vengono inviati ad apparecchi mobili per la rilevazione dati con funzione di lettura tramite scanner. I dipendenti passano con scanner il codice a barra dell’articolo da evadere, prelevano la quantità indicata sull’apparecchio di Presa Mobile dei Dati (PMD) e confermano il processo premendo un tasto. Grazie al collegamento diretto degli apparecchi PMD al CSB-System, si evita il passaggio da un formato di dati all’altro. Vantaggi • Elaborazione rapida e senza errori delle informazioni; • nessuna rielaborazione manuale dei dati; • controllo costante sullo stato della preparazione degli ordini

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grazie al collegamento al sistema di gestione del magazzino aziendale; conduzione mirata della prepara-

zione ordini e ottimizzazione delle sequenze di lavoro; carico e scarico magazzino istantaneo.

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Pick-by-Light: all’interno del magazzino a scaffali ai dipendenti viene segnalato con luci lampeggianti dove si trova l’articolo da prelevare per l’ordine. Con un tasto di conferma direttamente sullo scomparto, o mediante inserimento dell’apparecchio PMD in un apposito dispositivo, l’operatore conferma l’avvenuto prelievo e ne invia comunicazione al software. Vale la pena menzionare la possibilità di stampa personalizzata di etichette per articolo e/o contenitore. Vantaggi • Elevato rendimento della procedura grazie ai tempi di ricerca ridotti; • comunicazione immediata delle variazioni di giacenze al sistema di gestione del ma-

gazzino; eliminazione di preparazioni ordini errate a causa di articoli errati o mancanti.

Pick-to-Light è un metodo è particolarmente interessante per le aziende con molte filiali. Tutti gli ordini che arrivano nel CSB-System vengono trasmessi ai display nell’area preparazione ordini; ogni display è associato a una filiale. I dipendenti vedono visualizzato in colori differenti gli articoli da evadere e, tramite display, collegano gli articoli alle varie filiali. Successivamente un ordine pronto può essere per esempio confermato ai CSB-Rack e le quantità sono aggiornate nell’ordine. Vantaggi • Utilizzo intuitivo; • elevato rendimento della procedura con quota di errori ridotta al minimo; • controllo giacenza automatico grazie alla

funzione inventario; i dipendenti hanno le mani libere.

di errori molto ridotta; i dipendenti hanno le mani libere.

Con Pick-by-Voice la preparazione ordini viene gestita in modo particolarmente facile per l’operatore. Il CSB-System converte in voce gli ordini presenti nel sistema e li trasmette agli auricolari dei dipendenti, ottenendo così processi sicuri e privi di errori. Grazie a questi auricolari gli operatori della preparazione ordini hanno le mani libere per le attività essenziali e possono agire in modo più rapido e flessibile. Anche la conferma del processo di picking avviene verbalmente. Vantaggi • Facilità d’uso; • tempo di rodaggio ridotto; • efficienza elevata della procedura e quota

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Nel caso di Picking con sorter vengono impiegati impianti sorter innovativi come quelli della CSB-Automation. Grazie alla loro struttura compatta, i CSBSorter, sia nelle varianti semiautomatiche che in quelle totalmente automatiche, realizzano una soluzione intralogistica efficiente perfino nello spazio più ristretto. Sono adatti soprattutto per la preparazione ordini e smistamento di casse multiprodotto. Il gestionale CSB-System è in grado di combinare in modo ottimale i dati degli ordini, i prodotti e le confezioni: i prodotti vengono richiamati dal magazzino, condotti ai percorsi di preparazione ordini e peso-prezzati nei sorter. Successivamente, vengono quindi spinti automaticamente negli scomparti cliente e distribuiti nelle confezioni. Vantaggi • Elevato grado di automazione anche in spazi ristretti; • efficiente preparazione ordini di casse multiprodotto;

• •

attività manuali minime; prestazioni elevate con ridotta quota di errori.

Assofoodtec: l’export traina la crescita delle tecnologie alimentari In occasione della conferenza stampa ANIMA di fine anno sono stati presentati i dati congiunturali di pre-consuntivo 2015 e le previsioni 2016 per il settore della meccanica italiana, che mostrano segnali incoraggianti per i settori appartenenti ad Assofoodtec – Associazione italiana costruttori macchine, impianti, attrezzature per la produzione, la lavorazione e la conservazione alimentare, federata ANIMA. In particolare, l’export traina il comparto delle tecnologie per la produzione, la lavorazione e la conservazione alimentare. Il trend positivo riscontrato nel 2015, pari al 2,5% rispetto al 2014, è dovuto fondamentalmente alla crescita registrata nelle esportazioni verso i Paesi dell’area asiatica e europea. Stesso andamento si riscontra anche in termini prospettici nel 2016 dove è previsto un incremento dell’1,8%. «Non vi è dubbio che le vendite all’estero costituiscano da sempre un aspetto importante per l’economia delle nostra aziende» sostiene Marco Nocivelli, presidente di Assofoodtec. «Nel 2015 abbiamo raccolto segnali di ripresa dall’Europa dell’ovest e per il 2016 ci auguriamo che i dati possano confermare questa tendenza. Il nostro Paese è il primo esportatore mondiale per quanto riguarda le tecnologie alimentari grazie alla capacità, tutta italiana, di assicurare un perfetto connubio tra estetica e tecnologia». Di segno positivo anche l’andamento della produzione, che ha segnato un +2,1% rispetto al 2014, degli investimenti e dell’occupazione — rispettivamente aumentati dell’1,2% e dello 0,2% — anche grazie alle politiche di sostegno al lavoro. «Siamo a fine 2015 e i risultati a livello di comparto sono rassicuranti. Le previsioni per il 2016 si posizionano su una media dell’1%, assolutamente in linea con l’andamento prospettico del comparto dell’industria meccanica rappresentato da ANIMA. In ultima analisi, possiamo guardare al 2016 con ottimismo, certi che la differenza e il risultato saranno frutto dell’abilità nel cogliere nuove opportunità e della consapevolezza del valore della produzione italiana sul territorio nazionale e nel mondo». (Fonte: Assofoodtec)

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STORIA E CULTURA

Oleum lardinum, olio dimenticato di Giovanni Ballarini

L

a decadenza dell’Impero romano e la sempre più forte presenza nei nostri territori dei popoli barbari provenienti dai paesi nordici, come ha fatto notare MARIA ROSA SANTILONI, fece cambiare l’importanza di alcuni alimenti e del grasso per condirli. Nel Medioevo, per molti motivi, tra cui i cambiamenti climatici e la diffusione del bosco e dei suoi animali, con una conseguente valorizzazione dell’economia forestale, tipica dei popoli germanici, si ridusse molto l’uso dell’olio d’oliva, anche a causa del prezzo elevato. L’olio d’oliva era un alimento, un cosmetico e un crisma sacramentale di alto valore, un combustibile per le lampade nelle case dei ricchi, indispensabile per la società romana, e nel Medioevo venne in larga parte abbandonato in favore dei grassi animali, lardo e

burro (e la carne di maiale sostituì quella dei ruminanti). Il lardo non era sconosciuto ai Romani, ma rappresentava il cosiddetto grasso povero, dei soldati e della plebe. I produttori di lardo romani erano denominati cupedinari. Dal Codice Giustiniano sappiamo che i legionari romani avevano diritto a ricevere, per due giorni consecutivi, carne di montone e il terzo giorno una razione di lardo. Completamente fantasiosa tuttavia l’idea, o meglio la favola, secondo la quale la parola latina laridum (lardo) sarebbe derivata dal suo uso di ungere gli stipiti del tempietto di Lari, gli dei protettori della casa, e presente nella domus romana. Lardo alimento medievale Come prima accennato, nel Medioevo, in seguito all’invasione dei po-

poli nordici che, accanto ai loro usi, imposero anche i loro cibi e condimenti, il lardo entrò a pieno titolo nel sistema alimentare di tutti. Negli statuti dell’anno 822 dell’Abbazia di Corbie (Corvey) si legge che il lardo veniva usato per condire e cuocere, come sostentamento (alimento) dei pauperes e come pagamento in natura dei lavoratori, tanto che vi è stato chi ha giocosamente sostenuto che le facciate delle cattedrali erano bianche perché costruite a forza di bianco lardo… È invece vero che nel Medioevo al lardo erano attribuite proprietà medicamentose e terapeutiche. Il me dico greco A NTIMO , nella sua epistola De observatione ciborum, afferma che i Franchi lo mangiavano crudo come disinfettante e regolatore intestinale e che, spalmato sulle

Lardo (photo © eatlunigiana.it).

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Documento conservato presso l’Archivio Comunale di Carpi, Modena. ferite, “assorbe il putrido” e cura le dolorose infiammazioni dell’Herpes zoster, conosciuto ancora oggi come fuoco di Sant’Antonio. L’idea che il lardo abbia proprietà terapeutiche si è mantenuta a lungo, fin quasi ai nostri giorni. Chi scrive ricorda che nella pianura bolognese, fino agli anni Trenta del secolo scorso, pezzetti di lardo o porzioni di strutto erano dati per bocca alle mucche o ai buoi colpiti da meteorismo del rumine. In un inventario della Corte di

Migliarina (X secolo), nelle vicinanze di Carpi (MO), si registra la presenza di cinquanta grandi lardi (baffas) con la loro cotenna (cum secamen suo) e nel XII secolo compaiono i primi statuti Dell’Arte dei Lardaioli. Oleum lardinum anche per i giorni di magro Il successo del lardo e dei suoi derivati, in particolare lo strutto e l’oleum lardinum, aumentò in concomitanza della scarsità dell’olio d’oliva e

Tabella 1 – Lardo: composizione chimica e valore energetico per 100 g di parte edibile Parte edule (%)

100

Acqua (g)

1

Lipidi (g)

99

Colesterolo (mg)

95

Energia (kcal / kJ)

891 / 3.728

Fonte: CREA – Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione.

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interessò soprattutto le comunità religiose, in particolare nelle residenze monastiche, dove, tra giorni di astinenza, digiuno e quaresima, i cibi animali e i loro grassi erano proibiti per più di un terzo dell’anno. Ma si sa, le leggi e le regole s’interpretano e di fronte alla mancanza di olio e alla stringente necessità di condire le verdure delle diete di magro, senza carni, il Concilio di Aix, nell’819, con un acrobatico virtuosismo linguistico, consentì l’uso alimentare dell’oleum lardinum durante il tempo quaresimale. A questa interpretazione della regola religiosa seguirà l’uso del burro, ammesso quale alternativa all’olio per i giorni di magro. Interessante è capire, o almeno cercare d’intuire, i ragionamenti seguiti per giustificare le interpretazioni che portarono alle nuove regole. A livello pratico, quando il lardo da solido diviene liquido “si trasforma” in olio, tanto da poter essere assimilato agli altri oli vegetali, soprattutto a quello d’oliva (e divenire di conseguenza lecito). Inizialmente, per ottenere l’oleum lardinum si spremevano i dadini di grasso fresco o conservato di maiale; in seguito si applicò la fusione a caldo ottenendo, in parole povere, lo strutto. Abbastanza semplice è invece la questione del burro. Secondo una regola non scritta ma largamente seguita, la distinzione tra alimenti di grasso e alimenti di magro, dai quali ci si doveva astenere nei periodi prescritti dalla Chiesa, si rifaceva all’alimentazione di Noè sulla sua arca durante il diluvio e i successivi quaranta giorni. Ovviamente Noè e la sua famiglia non mangiavano gli animali che stavano portando in salvo; tuttavia, potevano mangiare le uova e il latte, quindi anche il burro. Grande fu il successo dell’oleum lardinum nel Medioevo; tuttavia, esso venne gradualmente dimenticato, man mano che, con i commerci sempre più ampi e intensi, si scoprirono nuovi oli. D’altronde, anche l’uso dell’olio d’oliva non è tanto diffuso oggi nel mondo; esso copre meno del 2,5% dei consumi di olio alimentare a livello globale. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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LIBRI

Around the world, nutrire il pianeta in un libro fotografico

I

l progetto Around the world 2014-2015 – 7 mila miglia lontano è nato dalla volontà dell’associazione 7 Mila miglia lontano di documentare le abitudini alimentari del Pianeta per avere una fotografia reale di una buona parte dell’umanità nel 2015, annunciato come anno spartiacque per la sostenibilità alimentare ed energetica. Il viaggio, iniziato nel maggio 2014, è stato una vera e propria esperienza di vita, con partenza e arrivo in Italia e con l’attraversamento di più continenti: Asia, Nord America, America Latina e Africa, sono stati 75.000 i chilometri percorsi via terra e 40.000 le miglia marine. Grazie al sostegno del gruppo bresciano SABAF, azienda leader nella produzione di componenti per

apparecchi di cottura a gas, l’associazione, che ha collaborato con diverse organizzazioni non governative come Emergency e Cesvi, al termine del viaggio è stato possibile dar vita a un libro fotografico che affascina e sorprende con scatti che ti catapultano in un universo intenso e magnetico. Un team di professionisti ha colto l’anima di popolazioni lontane, dalle culture differenti, ma con un solo denominatore: cibo e ambiente. Nei tre volumi che compongono la faraonica opera di più di 900 pagine e nei video del backstage i partecipanti hanno illustrato le avventure e gli aneddoti di questo lunghissimo viaggio. «Un viaggio non fine a sé stesso ma che aveva l’obiettivo di sensibilizzare le coscienze alla tutela dell’ambiente

e alla sostenibilità alimentare e che, al tempo stesso, aveva un forte connotato di solidarietà» spiega NICOLA BELPIETRO, executive sales director di Sabaf. «In un momento storico caratterizzato da guerre e conflitti, queste immagini mostrano come possa essere facile comunicare tra noi e portare avanti un messaggio di cooperazione». Around the world 2014-2015 7 mila miglia lontano 3 volumi, 900 pagine € 120,00 per cofanetto (3 libri + DVD) 7milamiglialontano.com Nota Photo © 7milamiglialontano.com

Kashgar, una delle oasi più importanti sull’antica Via della Seta.

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Due delle pagine del libro pubblicato in tre volumi: una dedicata alla Cina e una al PerĂš.

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L’Atlante degli oli italiani

E

dito da AGRA EDITRICE per conto dell’ISTITUTO NAZIONALE DI SOCIOLOGIA RURALE (INSOR), L’Atlante dei prodotti tipici: gli oli arriva nelle librerie dopo il successo di quelli dedicati a salumi, formaggi, conserve, pane, pasta, erbe e grappe, acquaviti e liquori. Questi volumi sono diventati negli anni un importante riferimento per tutti coloro che, a diverso titolo, si occupano e sono interessati alla straordinaria ricchezza delle produzioni alimentari italiane. L’Atlante, curato dalla dott.ssa GRAZIELLA PICCHI, con il contributo di CINZIA ANTONINI e MASSIMO GRECO, ad iniziativa del prof. CORRADO BARBERIS, illustra l’ampia varietà degli oli italiani tra cui naturalmente spicca l’olio di oliva. Intorno a questa particolare filiera, nel corso degli anni, pochi sono stati i riferimenti scientifici e divulgativi a cui ci si potesse ispirare per ottenere delle informazioni di sicuro valore, nonostante l’olio di oliva e gli altri oli tradizionali per l’Italia e gli altri Paesi mediterranei siano sempre stati un elemento essenziale dell’alimentazione, dell’economia e della cultura. Ad oggi, il Mezzogiorno rimane la roccaforte olivicola, totalizzando ol-

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tre il 90% dell’intera produzione, in controtendenza però alle vicende di quasi tutti i settori agricoli continua in quasi tutte le regioni lo sviluppo della superficie agricola dedicata all’olivicoltura a testimonianza della rilevanza crescente del settore. L’esigenza di realizzare un Atlante degli oli è da collegare anche alla numerosità delle varietà presenti e commercialmente rilevanti; le varietà possono infatti essere quantificate in oltre cinquecento fino, a seconda dei criteri utilizzati, arrivare a circa mille. Si tratta quindi di un patrimonio di biodiversità in costante crescita nei secoli che distingue il territorio italiano da tutti gli altri territori mediterranei per una ricchezza che determina l’estrema varietà dei prodotti ottenuti e del loro impiego nel mondo della alimentazione e della qualità gastronomica. L’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale prosegue dunque nella promozione dei prodotti tipici e in generale nel sostegno alla valorizzazione del patrimonio umano, conoscitivo, agricolo e di produzione alimentare e artigianale che connota l’Italia e che rappresenta un momento importante per l’evoluzione mondiale della cultura rurale.

GRAZIELLA PICCHI (A CURA DI) Atlante dei prodotti tipici: gli oli INSOR – Istituto Nazionale di Sociologia Rurale Agra Editrice – agraeditrice.com 363 pp. – € 18,00

Prefazione: LUCIO FUMAGALLI Introduzione: CORRADO BARBERIS e MASSIMO GRECO Premessa: CINZIA ANTONINI

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Petit traité de philosophie charcutière

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uesto è un piccolo trattato di filosofia della salumeria francese, strutturato in 10 capitoli, il cui intento è quello di rispondere con umorismo e nonsense alle grandi questioni filosofiche, politiche e sociali che si pone un amante dei salumi e dei formaggi. Ha uno scopo la salumeria? La si può amare senza comprenderla? Può essere oggetto di un elogio? Di quale genere di libertà è testimone? La conoscenza della salumeria può guidare l’azione politica? C’è un diritto alla salumeria? Ma, soprattutto, se ne può fare a meno? Da qui l’incipit di questa pub-

blicazione che rivendica il ruolo prezioso se non indispensabile di queste sue produzioni artigianali. Radicata nella storia e nella cultura nazionale, la produzione salumiera francese cela insospettabili tesori, che l’opera si propone di svelare usando un linguaggio a volte realistico, più spesso surreale. Il volume, in lingua francese, è stato pubblicato nel 2011 ed è disponibile anche su Amazon. DEMORAND SÉBASTIEN SOREL VINCENT Petit traité de philosophie charcutière Edizioni Rouergue, 2011 64 pp. – € 13,70

Crafted Meat, la nuova cultura della carne

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e carni lavorate e trasformate in salumi con passione e rispetto stanno vivendo un momento di rinnovato interesse nel panorama gastronomico statunitense e nordeuropeo. Utilizzando materie prime di qualità, i giovani macellai stanno riscoprendo paté, salsicce e salumi. Questo volume documenta la nuova tendenza nel panorama della lavorazione delle carni, sia tra chi la carne la mangia sia tra chi la trasforma. In lingua inglese, il volume è stato pubblicato nel settembre del 2015 ed è disponibile anche su Amazon. La parola agli autori “In forma di salami, prosciutti, würstel, tagli di carne cruda la carne sta godendo di un nuovo rinascimento. Oggi il piacere che ci dà la carne ha preso il sopravvento

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sulle tendenze che aspirano ad un’alimentazione più ascetica… (...) Oggi si presta attenzione non solo al prodotto e al prezzo ma anche, e soprattutto, alla qualità dell’allevamento, alle influenze storiche, alle specialità regionali e alle metodologie di trasformazione. Questo è un viaggio tra 33 tra allevatori, artigiani, macellai di tutto il mondo che hanno saputo dare un nuovo impulso alla qualità della carne. In che modo? Facendosi portavoce del movimento “Dal muso alla coda” (che valorizza tutti i tagli dell’animale e non solo quelli più conosciuti e pregiati)”. Alcuni esempi? Dario Cecchini dell’Antica Macelleria Cecchini di Panzano in Chianti per l’Italia, Le Bordonnec per la Francia, Lennart & Brot per la Svezia, Morgan Ranch e Smoking Goose per gli USA.

HENDRIK HAASE ROBERT KLANTEN SVEN EHMANN Crafted Meat – The New Meat Culture: Craft and Recipes. A compelling visual reference on today’s new meat culture Edizioni Gestalten, 2015 256 pp. – € 39,90

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CURIOSITÀ

Un po’ di gossip non guasta di Angelo Valentini

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nche in una rivista come PREMIATA SALUMERIA ITALIANA fare del gossip non guasta, soprattutto se serve a far conoscere la nostra bella Italia appartata e nascosta, le sue eccellenze gastronomiche, le sue ville, i castelli, i territori di incomparabile bellezza ancora incontaminati dalle brutture della dissennata mania post bellica di far sorgere in ogni dove zone industriali. La notizia balzata qualche tempo fa agli onori delle cronache riguarda la mia terra, l’Umbria, e in particolare una delle sue residenze storiche più belle, scelta da un magnate indiano della finanza per il matrimonio della figlia. Si tratta del Castello di Solfagnano, già proprietà del conte Adriano Bennicelli, meglio conosciuto nella Roma papalina come il conte “Tacchia”, personaggio eccentrico, generoso, dalla personalità irruenta, dotato di un linguaggio mordace, tipicamente romanesco. Il titolo gli era derivato dal padre Filippo, che lo aveva acquisito nel 1860 da Pio IX. Il genitore era un commerciante di legnami, proprietario di un opificio

a cui Papa Mastai, nel corso di una visita, si rivolse dicendo: “Ecco il conte in mezzo ai suoi vassalli”. “Io, Santità — rispose Filippo — so’ conte de burla, ma questi so’ vassalli pe’ davero!”. La battuta pronta e di spirito fu familiare in casa Bennicelli. A colorire la figura di Adriano contribuì anche il nomignolo affibbiatogli dai popolani legato alla professione paterna (in dialetto romanesco “tacchia” si riferisce ad una stecca di legno). Tanti sono gli episodi caratteristici ed imbarazzanti di cui il nobile romano si rese protagonista: se per strada lo chiamavano Tacchia, si infuriava e replicava con termini del vocabolario romanesco. Una volta fece girare la sua carrozza a tutta velocità attorno all’Obelisco di Piazza del Popolo per poi infilarsi tra la doppia fila di vetture che andavano e venivano da Villa Borghese, dirigersi verso il Corso, schivando carrozze e pedoni con i quali scambiava numerose pernacchie. I vetturini erano oggetto di epiteti di ogni genere, perché ritenuti di scarsa abilità professionale. Tanto che il conte finì in pretura per averne

schiaffeggiato uno. Fu condannato a cinquanta lire di ammenda, ma visto il sorriso soddisfatto dell’avversario, si affrettò a depositare sul tavolo del magistrato un biglietto da cento lire e sulla faccia del vetturino un altro schiaffo per pareggiare il conto. Oggi il Castello appartiene ai quattro fratelli Colaiacovo, titolari delle cementerie Colacem, note in tutta Europa. Un’impresa nata subito dopo la guerra, che ha creato nel territorio eugubino e altrove tanta occupazione. Il cavalier Pasquale Colaiacovo assieme alle figlie Paola e Francesca lo ha riportato al fasto del tempo con buon gusto e sensibilità nella cura dell’arredamento interno, oltre alla parte agricola, con impianti moderni e razionali di vigneti con annessa cantina, dando luogo alla produzione di vini bianchi e rossi degni di far parte delle eccellenze dell’enologia umbra, oltre all’olio extra vergine di oliva, proveniente dalle dolci colline ben esposte a mezzogiorno nella valle Tiberina, denominata anche Regio Castellorum per la numerosa presenza di castelli e antichi manieri medievali.

Il Castello di Solfagnano (photo © www.castellodisolfagnano.it).

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Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .

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