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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food – Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia € 6,70
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Euro Annuario Carne
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.
Edizione 2025 Copia cartacea: € 95,00
T radizione di grande Nobiltà
Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese
L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.
ORIGINALE
BOTTIGLIA
Questa bottiglia da 100 ml è garanzia di originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP
La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola
aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.
con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09
A pagina 88.
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
Siamo gli specialisti del San Daniele DOP
Il segreto è tutto
menti riet
Allevamenti di proprietà
ostri a suini nati e cresciuti nei sei ella fami osamente se
Le carni dei nostri prosciutti di San Daniele DOP provengono da suini nati e cresciuti nei sei allevamenti della famiglia Aimaretti o da siti rigorosamente selezionati.
Benessere animale
ere e
dell’animale sono una priorità. I nostri allevatori controllano attentamente l’alimentazione, si assicurano che gli ambienti siano spaziosi e areati e riducono al minimo lo stress del suino.
Prosciutto di San Daniele DOP Etichetta Nera SanDan. Inimitabile.
Solo le cosce migliori
I nostri mastri salumieri mettono al primo posto la genuinità delle materie prime e selezionano le cosce migliori per portare in tavola il gusto inconfondibile di un prodotto sano e naturale.
ono una tori che o cono ess lu genuinit le n ondibile s
Con pa
Con pazienza, secondo tradizione
tra
La salatura, a mano, e l mini vi d natura
La salatura, rigorosamente a mano, e la stagionatura minima di 18 mesi, danno vita ad un crudo dal gusto unico, naturalmente buono.
Olio da carne, Una sosta al Frantoio Suatoni
Massimiliano Rella
da pesce
A pagina 58.
A pagina 38.
A pagina 30.
www.premiatasalumeriaitaliana-online.com
Vino Parroci e vigne
Riccardo Lagorio
Gli assaggi di Max Rella Collio, Maremma e Monferrato
Massimiliano Rella
A pagina 108.
A pagina 104.
A pagina 32.
IMMAGINI
Panino e caffè sono l’opzione più comune per la pausa pranzo in orario d’ufficio, al bar o al ristorante: ma quanto costa agli Italiani? Lo rivela l’Osservatorio Pausa Pranzo di SumUp che, partendo dalle rilevazioni dei prezzi di beni e servizi di largo consumo dei Mise, ha analizzato la spesa media nelle principali città italiane tra 2023 e 2024. L’approfondimento a pagina 44.
LA MORTADELLA DI ALTISSIMA QUALITÀ
Ispirata alla tradizione Ferrarini, solo materia prima italiana, un processo produttivo artigianale e una lenta cottura, aromatizzata con la ricetta originale ed unica di Ferrarini.
Italica è stata premiata come Migliore Mortadella al pistacchio da una giuria di 15 chef.
Ferrarini è iscritta nel registro speciale dei “Marchi storici di interesse nazionale”, tenuto presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
FOTOGRAFATI E MANGIATI
Torta CAPRESE
È una meraviglia questa piccola torta morbida al cioccolato fondente e mandorle bio prodotta da Rizzati Ferrara. Con certificazione biologica e senza glutine, la “Capresina”, che pesa 150 grammi, è stata perfetta per la pausa in Redazione, ma lo è altrettanto per una piccola gratificazione personale o come dolce pensiero da omaggiare. Il pack è molto bello. rizzaticioccolato.com
CORALLINA
Il salame corallina è protagonista della norcineria del Centro Italia, Umbria e Lazio in primis ma anche Abruzzo naturalmente. Noi infatti abbiamo assaggiato la Corallina classica del Salumificio Sorrentino di Mozzagrogna (CH). Viene prodotto dalla lavorazione di carni suine magre (spalle e pancettoni). “L’impasto, macinato finemente, è arricchito da lardelli a cubetti e insaccato in budello naturale”. Gusto dolce e corposo. salumisorrentino.com
Parmonìe
L’azienda reggiana Armonie Alimentari, tra gli altri prodotti, si è specializzata in una linea di snack cotti al forno a base di Parmigiano Reggiano, olio d’oliva e farina: le Parmonìe, sfoglie leggere cotte al forno perfette per uno snack o per l’aperitivo. Disponibili anche nella variante ai ceci e “cacio e pepe” con Pecorino Romano DOP e pepe nero. armoniealimentari.it
CAPRICCIO DI BUFALA
Che buono il Capriccio di bufala della modenese Toma & Tomi, che ha sede nel centralissimo Mercato Storico Albinelli. Prodotto con latte di bufala, caglio e sale in un caseificio bresciano, questo formaggio a pasta molle simile ad un brie è venduto in una piccola forma da 250 grammi. Si distingue per le note leggermente tostate, che conferiscono un gusto delicato e aromatico. Spalmato su crackers inglesi con frutta secca o crostini dà il meglio di sé. tomaetomi.it
GINGER SHOT
Il mercato dei succhi di frutta e, in generale, delle bevande senza alcol è in continua ascesa e sempre più spesso si trovano sul mercato prodotti innovativi nei gusti e nelle combinazioni. Come questo Ginger Shot allo zenzero e frutti di bosco, buonissimo, prodotto dalla tedesca Voelkel GmbH. Rigorosamente bio. voelkel.bio
Salame Stick DOLCE BIO
Prodotti dalla Società Agricola Masserie Amiche di Putignano (BA) e commercializzati con il brand “Querceta”, questi stick di salame dolce bio (carne di suino, pepe, aromi naturali, sale) sono l’ideale per uno snack veloce o da abbinare ad un calice di vino in compagnia. quercetaselection.it
SUGGESTIONI DAL MONDO
SEDUTE VINTAGE IN DISPENSA
Appena fuori Piacenza, nel Borgo di Rivalta, nel comune di Gazzola, c’è l’Antica Locanda del Falco con la splendida cucina del territorio dello chef Pietro Carlo Pezzati e della sua brigata. All’ingresso della locanda c’è una suggestiva Dispensa per acquisti di prodotti. Tra salumi, formaggi, vini e un’ampia offerta di verdure, frutta e cibi che rappresentano la cultura enogastronomica di questa terra. L’ambiente è carico di profumi e colori. Le due sedie vintage all’interno del punto vendita sono un modo originale per personalizzare il locale con un richiamo al passato e un senso di accoglienza e autenticità. locandadelfalco.com
In copertina in questo numero c’è lei, la Porchetta di Monte San Savino, cotta a legna, riconosciuta tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Toscana. Una preparazione dal sapore antico che la Salumeria di Monte San Savino produce seguendo una ricetta della tradizione, frutto di oltre cinquant’anni di esperienza, garantendo gusto, profumo, croccantezza della crosta e tenerezza della carne. “I suini interi (per la porchetta con testa) o i tronchetti di suino (per il tronchetto cotto a legna) vengono sapientemente lavorati da maestri norcini e insaporiti con un mix di sale, aglio in camicia, rosmarino, pepe, erbe aromatiche e il caratteristico fiore del finocchietto selvatico delle nostre colline. La lenta e paziente cottura avviene rigorosamente in forni a legna riscaldati con erica scoparia del territorio, completando così la preparazione di un prodotto che mette tutti d’accordo, mangiato nel panino o in ricette elaborate” salumeriadimontesansavino.it
TENDENZE
Barrette proteiche di salumi
Sta sempre più aumentando l’offerta sul mercato dei prodotti “ad alto contenuto di proteine”, il cosiddetto protein food, che viralbeat.com definisce come “alimenti arricchiti o naturalmente ricchi di proteine, una categoria che include prodotti come barrette proteiche, polveri di proteine, bevande, yogurt, snack, latticini e persino piatti pronti ad alto contenuto proteico”. Nel 2024 il giro d’affari di questi prodotti rich-in-protein ha registrato un +20%. Un trend confermato anche dalle numerose proposte presenti in fiera a TuttoFood Milano 2025, come queste barrette di salumi prodotte da DFM Srl per la linea “Le Salumette”, a base di speck, prosciutto crudo e bresaola. Le barrette si conservano a temperatura ambiente e sono perfette come snack proteico, tascabile e ideale per chi fa sport o per chi è alla ricerca di uno spuntino salato diverso dal solito.
>> Link: salumette.it
Prosciutto di cinghiale, vecchia scuola
di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)
’Lolfatto è il più potente dei sensi e pochi giorni fa mi son ritrovata cinquenne nell’ingresso di casa dei nonni materni. Ho un cappottino blu e un cappellino di lana rosso, Chicca, la bassottina color miele, festosa ed abbaiante alle mie gambe, accanto ho il telefono a disco con l’elenco SIP, le Pagine Gialle e la porta del cucinotto verandata di fronte. Sulla sinistra il soggiorno con la volpe impagliata e il vino torbido sempre in tavola, a destra, verso le camere, il piccolo corridoio buio che odora di olio minerale, solfuro e fumo, tipico dei vestiti da caccia, mio nonno era un cinghialaio di Maremma.
Oggi sono a Bastia Umbra a parlare di cucina di ungulati. A fine showcooking mi presentano un signore anziano, gli stringo la mano, nonostante la sua sobria eleganza profuma dello stesso odore metallico e selvatico della casa dei miei nonni. Da un borsino di tela tira fuori un pezzo di carne essiccata con ancora una parte di cotenna: «volevo farle assaggiare questo, sa cos’è?».
«È prosciutto di cinghiale, vecchia scuola».
«Sono stato veterinario e vengo da una famiglia di macellai», mi dice.
Poggio la polpa sul tagliere, impugno il coltello e affetto.
Il colore è un intenso rosso scuro, al naso salgono note di pepe nero, ginepro, aglio ed erbe aromatiche, «ha messo il ginepro». «Sì, di Maremma». «Anche la nepitella?». «Eh sì!». «E il vino rosso?». «Quando l’ho tolto dal sale, questo che sta assaggiando è passato anche in acqua di mare».
Il sapore è intenso e fragrante, quasi balsamico, con note nocciolate dovute alla stagionatura
Il prosciutto di cinghiale è un salume antico che, ad oggi, non ha un vero e proprio Disciplinare.
È una produzione tipica e locale nelle regioni dalla radicata tradizione venatoria
Si usa la coscia, spesso disossata, anche se in passato era diffuso lavorarlo in osso, lasciandone cotenna e setole con tutte le difficoltà sanitarie del caso.
Si sala con le droghe, di lascia riposare, si pulisce dal sale e si mette a stagionare alcuni mesi, quasi un anno.
Viene preparato anche in maniera domestica nelle famiglie dei cinghialai, dopo i controlli veterinari che seguono le battute di caccia.
Ad oggi la trasformazione dei salumifici consente di usare carni estere importate, abitudine in uso in quelle regioni che non sono ancora riuscite a certificare una filiera della carne selvatica da abbattimento programmatico di contenimento, un grande limite culturale sia della produzione che del prodotto stesso.
La nostra conversazione è stata monopolizzata dall’importanza di un sodalizio diversamente concepito tra ambiente umano e ambiente naturale, dove le politiche di tutela del patrimonio forestale, quello pastorale e quello agricolo, siano armoniche e sinergiche, dove negli equilibri ecologici si rispettino le persone che scelgono di vivere e lavorare la campagna con fatica e dove la carne degli animali selvatici non finisca in vecchi freezer o nell’inceneritore ma sia onorata e venga commercializzata attraverso una filiera certificata per salubrità e qualità
Nel continuo brusio di fondo di questa fiera affollata, nella continua sollecitazione visiva esasperata ed esasperante, l’olfatto oggi è il mio senso rifugio. Vado e vengo, lungo gli anni della mia vita, come su una macchina del tempo, inseguendo un odore, ora ho 50 anni, ora ne ho 5.
Nuovi scenari per l’agrifood alla luce dei nuovi regolamenti UE
L’opinione di Paolo De Castro, neo presidente Nomisma
Iriflessi della riforma in materia di Indicazioni Geografiche hanno caratterizzato nei primi mesi del 2025 il dibattito in ambito UE sul comparto agroalimentare, delineando nuovi scenari di mercato. Ne parla Paolo De Castro, neo presidente di NOMISMA ed ex eurodeputato, esperto di politiche agricole italiane ed europee.
Un testo unico della qualità che favorirà lo sviluppo del settore
Un tema di grande attualità per l’industria agroalimentare europea è quello delle Indicazioni Geografiche, un driver fondamentale per la promozione e la vendita delle eccellenze locali. «Il nuovo regolamento UE 2024/1143, relativo alle Indicazioni Geografiche di vini, spirits e dei prodotti agricoli, riunisce in un unico documento le disposizioni precedenti, razionalizzando il quadro normativo e rafforzando gli strumenti a supporto dei produttori. Stiamo parlando del mondo delle IG, compresi DOP e IGP, le specialità tradizionali garantite e le indicazioni facoltative di qualità per i prodotti agricoli. I tre marchi suddetti, che rappresentano un preciso e univoco riconoscimento di territorialità, stabiliscono anche diritti di proprietà intellettuale per prodotti specifici, le cui qualità sono specificamente legate alla zona di produzione. Questo regolamento mira non solo a semplificare obblighi
e procedure, ma supporta il ruolo e la crescita dei consorzi sul mercato, attribuendo una serie di competenze e valenze collaterali, come ad esempio l’enoturismo e il turismo gastronomico Quest’ultimo aspetto è molto importante, perché in Italia abbiamo una serie di “spacchettature” fra enti locali che rischia di disperdere risorse ed energie. Attraverso il regolamento, invece, è stato identificato nel consorzio la figura chiave per gestire queste iniziative» commenta De Castro.
Accanto a questi aspetti, sono state introdotte norme che rafforzano le tutele sia sul mercato comunitario sia in rete rispetto ai prodotti fake. «A danno del nostro agroalimentare sono molteplici i casi di clamorosa contraffazione, basti pensare al Prosek croato, in palese conflitto con il Prosecco DOP, o al Parmesan Il regolamento non solo ha innalzato i livelli di tutela ma ha anche attivato importanti iniziative contro i cosiddetti prodotti IG fake, diffusissimi on-line. In particolare, è stato istituito un alert system, affidato all’Agenzia di Alicante, che consente di controllare l’attività di siti che promuovono e vendono prodotti che non hanno nulla a che fare con le IG. In questo caso, il regolamento ha introdotto per la prima volta sul piano giuridico un sistema obbligatorio di oscuramento del sito all’interno dei confini EU. Aspetto molto importante, questa attività non è gestita dai singoli Stati Membri ma di-
Paolo De Castro, già Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e parlamentare europeo.
rettamente dalla Commissione europea» illustra De Castro.
Più tutela, più forza ai consorzi, più semplificazione sono i principi, quindi, sui quali gravitano le novità introdotte dal nuovo regolamento. «Registriamo anche una spinta verso la sostenibilità, ancorché non obbligatoria: ad
esempio è stata introdotta la necessità di rafforzare all’interno delle singole denominazioni d’origine i rapporti di sostenibilità per promuoverla dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Un regolamento, dunque, molto ricco, composto da 95 articoli, che abbraccia l’intero settore agroalimentare, del cibo e del vino. Un vero e proprio testo unico della qualità che, una volta applicato, favorirà certamente l’ulteriore sviluppo di un settore che a livello europeo ha raggiunto volumi di fatturato importanti, circa 80 miliardi di euro per l’Europa e più di 20 miliardi per la sola Italia» ricorda De Castro.
Un altro tassello del mosaico delle IG, emerso durante la Conferenza sulle Indicazioni Geografiche di Alicante, tenutasi lo scorso gennaio, riguarda la possibilità di trasformarlo da patrimonio di pochi stati a risorsa più ampia, capace di abbracciare tutti i membri dell’Unione. «Oggi le circa 3.600 IG esistenti sono concentrate principalmente in Italia, Spagna, Francia, Grecia e Portogallo. C’è però la necessità di sviluppare il sistema delle IG in tutti i Paesi europei, compresi quelli del centro e del nord Europa. A questo riguardo, il Commissario Hansen ha già annunciato l’avvio di un piano d’azione sul modello di quello
Salumeria Italiana, 3/25
adottato per il settore biologico: un action plan sulle Indicazioni Geografiche, che fra i compiti principali avrà quello di implementare campagne informative ai cittadini europei per far conoscere meglio il mondo delle Indicazioni Geografiche, che oggi rappresenta un asset importante per l’economia e potrebbe portare un contributo concreto allo sviluppo di aree interne o periferiche. Relativamente all’Italia, pensiamo alla montagna emiliana, che per decenni è stata quasi abbandonata: oggi, grazie alle DOP del Parmigiano Reggiano si sta ripopolando di insediamenti e piccole stalle per produrre latte.
E in virtù del fatto che il latte necessario per questa eccellenza viene venduto ad un prezzo maggiore, va da sé che un piccolo allevatore può fare tranquillamente impresa anche con pochi capi di bestiame, proprio grazie alla valorizzazione del suo prodotto. Per altro questo approccio è replicabile per ogni altra filiera IG, in cui ogni segmento beneficia di questa menzione territoriale» conclude De Castro.
Fonte: Nomisma Agroalimentare Ricerche di mercato, servizi e consulenza per il settore vinicolo e agroalimentare linkedin.com/showcase/nomismaagrifood-agroalimentare-wine
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Inaugurato nuovo ambulatorio mobile ANT donato da Alcar Uno
Lo scorso 20 maggio, nel cortile dell’Istituto delle Scienze Oncologiche, della Solidarietà e del Volontariato di via Jacopo di Paolo, a Bologna, c’è stato il taglio del nastro del nuovo “Bus della Prevenzione”, quarto Ambulatorio mobile di Fondazione ANT. A rendere possibile l’acquisto del nuovo mezzo che sarà dedicato ai progetti gratuiti di diagnosi precoce di ANT è stata la generosa donazione fortemente voluta dal direttivo di Alcar Uno e veicolata dalla delegazione ANT di Vignola. L’azienda di Castelnuovo Rangone (MO), infatti, ha scelto di essere vicina alla realtà di riferimento del terzo settore italiano nei campi dell’assistenza domiciliare gratuita alle persone malate di tumore e della prevenzione oncologica attraverso un gesto più che concreto: l’acquisto a fini solidali di un Mercedes Sprinter 319 di fresca immatricolazione, opportunamente allestito e attrezzato per operare come ambulatorio mobile per le visite gratuite di diagnosi precoce che ANT porta in ogni parte d’Italia, grazie al sostegno di privati e aziende. L’obiettivo dichiarato dell’azione del gruppo industriale guidato dalla famiglia Levoni è contribuire all’incremento della capillarità dei progetti di prevenzione secondaria di Fondazione ANT sull’intero territorio italiano (in particolare, nel caso specifico, in area emiliana), con questo quarto Bus, in attesa di un quinto, per il quale già si stanno attivando canali di raccolta fondi. E, a giudicare dai numeri, la parte “mobile” delle attività di diagnosi precoce di ANT ha un peso non indifferente sul totale delle prevenzioni effettuate. Nel 2024, ad esempio, i professionisti ANT hanno effettuato a bordo degli ambulatori mobili 7.170 visite (pari al 30,1%) sulle 23.756 totali offerte nel corso dell’anno, divise fra 31 controlli parte del “Progetto Ginecologia”, 434 ecografie mammarie, 261 ecografie testicolari, 3.397 visite del “Progetto Melanoma” e 3.047 ecografie tiroidee. Ed è in virtù di questo risultato e delle prospettive future che la presidente di Fondazione ANT, Raffaella Pannuti, ha sentitamente ringraziato la dirigenza di Alcar Uno «per la sensibilità mostrata nei confronti di un tema per nulla banale, quello di una prevenzione oncologica dalla quale passa, anche attraverso sinergie come questa, tra ANT e Alcar Uno, buona parte della capacità di opporci a una crescita nell’incidenza delle neoplasie resa inesorabile anche dall’invecchiamento della popolazione» (in foto, Luca Levoni, AD Alcar Uno, e Raffaella Pannuti, presidente ANT; fonte: Fondazione ANT Italia ONLUS, ant.it).
Agroalimentare settore trainante per l’economia italiana
L’agroalimentare italiano si conferma uno dei settori trainanti dell’economia nazionale anche nel 2024. Lo evidenzia il nuovo Report Agrimercati di Ismea relativo al IV trimestre dell’anno, che presenta una congiuntura positiva per molte filiere, con segnali incoraggianti sul fronte di produzione, export e rapporto tra prezzi e costi di produzione in agricoltura. Più nel dettaglio, l’andamento dei prezzi dei mezzi correnti di produzione, misurato dell’Indice Ismea, ha registrato una riduzione nel 2024 (–3,7% sul base annua), mentre i prezzi dei prodotti agricoli hanno guadagnato lo 0,9% sul livello medio del 2023. Le stime preliminari dell’Istat per il 2024 indicano un incremento in volume sia della produzione sia del valore aggiunto dell’agricoltura, riportando l’Italia in testa tra i produttori europei, davanti a Spagna e Francia. La crescita della produzione ha riguardato sia le coltivazioni che il comparto zootecnico, sia le attività secondarie; in calo, le attività dei servizi agricoli. L’annata è stata favorevole per frutta, ortaggi freschi e vino; in flessione per cereali, olio d’oliva e foraggi. Mentre il manifatturiero segna una flessione, l’industria alimentare chiude l’anno con un incremento della produzione pari a +1,8%, confermando la solidità del comparto e la sua capacità di resistere alle difficoltà del contesto macroeconomico. Le esportazioni agroalimentari italiane hanno toccato un nuovo massimo storico: +7,5% sul 2023, per un valore complessivo prossimo ai 70 miliardi di euro, registrando una performance migliore rispetto alle esportazioni nazionali complessive. Brillano vini, olio evo, pasta, formaggi stagionati e i prodotti da forno, con l’ottima performance dei vini spumanti (+13% in volume, +10% in valore). Guardando ai consumi nel mercato domestico, dopo l’inflazione dell’ultimo biennio, il 2024 ha visto una ripresa dei volumi nel carrello delle spesa per alcune referenze e una crescita dell spesa dello 0,9% (fonte: Ismea).
Numeri da record per la terza edizione di Aperitivo Festival
Il sipario sulla 3a edizione di Aperitivo Festival è calato, ma la voglia di brindare non si spegne: maggio si conferma il mese dell’aperitivo, con iniziative diffuse su tutto il territorio nazionale e il World Aperitivo Day® del 26 maggio. Da primato anche l’affluenza all’evento milanese: oltre 5.000 persone, a conferma dei dati CGA by NiQ, secondo cui il trend dell’aperitivo è in crescita, con un pubblico sempre più attento alla qualità del pairing. La direzione intrapresa è infatti quella di alti standard negli abbinamenti e nella selezione delle materie prime, valorizzazione del territorio e un nuovo approccio consapevole. Secondo i dati presentati da Matteo Fortarezza di NielsenIQ, l’85% del pubblico desidera un aperitivo con food abbinato, il 41% sceglie il locale in base alla proposta gastronomica e l’81% è disposto a pagare di più per un pairing premium, con materie prime DOP, locali e di qualità. «L’aperitivo è cultura di prodotto, un incontro tra gusto, piacere e l’arte dell’abbinamento tra Food & Beverage. E quale culla migliore dell’Italia, che vanta il patrimonio di denominazioni più ricco d’Europa?», commenta Federico Gordini, ideatore di Aperitivo Festival. «È su questa visione che nasce il Festival: una tre giorni che racconta in chiave pop un rituale nostro da sempre e che rappresenta, non solo un momento di piacere della giornata, ma un vero proprio colosso economico, con un giro di affari dal valore di 4,5 miliardi di euro solo in Italia. Quest’anno poi hanno fatto il loro ingresso le proposte no e low-alcol: un mondo di scelte di alto livello per gustare l’aperitivo a tutte le ore».
>> Link: aperitivofestival.com
Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.
Ad Ardara, Sassari, nei suggestivi locali dell’ex Montegranatico, si rinnova la tradizione della norcineria del Nord Sardegna, con qualche incursione innovativa grazie a I Salis di Federico Salis . La mano è quella del padre Michelangelo, tra i più noti e stimati norcini sardi, a sua volta figlio d’arte
di Maria Antonietta Dessì
Hanno aperto nell’aprile 2024, ma non ci si faccia ingannare dalle date sui documenti, perché i Salis sono orgogliosamente giunti alla terza generazione di produttori di salumi, in barba alle fredde statistiche sul passaggio generazionale, che raccontano prevalentemente le difficoltà degli imprenditori a dare un domani alle aziende di famiglia.
Federico Salis, fresco di laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, dopo aver concluso il suo percorso di studi, ha deciso che quella tradizione locale nella produzione di salumi di alta qualità, a cui il mercato sembrava davvero interessato al di là del prezzo, meritava continuità e potesse rappresentare il proprio futuro, oltre che il passato.
Fare salumi in Sardegna, trovare una quota di mercato di nicchia, ma in grado di riconoscere a queste specialità il giusto valore, è quello che si sono prefissati ad Ardara (SS). Il diktat è l’utilizzo di materia prima locale, ancor più oggi che la Peste Suina Africana è stata finalmente debellata dopo quasi 50 anni di embargo. L’altro elemento è la manualità non comune che solo chi è nato e cresciuto nel mondo delle carni può mettere in campo. Il resto lo fa la scelta di animali diversi. Se infatti il maiale rappresenta il fulcro dell’a-
La Myrtabella, una mortadella fatta con carne di pecora e con bacche di mirto.
A sinistra: prosciutti in stagionatura. A destra: salsiccia stagionata dalla tipica forma a ferro di cavallo. I Salis sono tra i principali promotori del Presidio Slow Food del suino di razza Sarda.
zienda, la pecora, la capra, il bovino e il cinghiale, adeguatamente lavorati, completano un’offerta già di per sé pregiata e sorprendente.
Il salumificio è giovane e a maggior ragione è necessario richiamare la storia della famiglia dei soci e il contesto economico nel quale i Salis hanno vissuto e lavorato nei decenni. La mano è infatti quella di Michelangelo, uno dei più noti e stimati norcini sardi, a sua volta figlio d’arte. Il suo non è tanto un mestiere quanto l’esercizio di un’arte che ha iniziato a praticare persino prima di imparare a leggere e scrivere. Figlio di Salvatore, andava infatti di casa in casa con il padre a lavorare le carni del maiale che tutte le famiglie allevavano a domicilio.
Quella dell’uccisione de “su Mannale” era prima un rito e poi una festa, un momento topico delle consuetudini paesane in cui al suino veniva reso grazie per il sacrificio della vita. Nei piccoli comuni a vocazione agropastorale, non era insolito intravedere dalle finestre delle abitazioni o delle cantine centinaia di maiali appesi, appena uccisi. Solo chi era davvero povero non poteva permettersi nemmeno quello. E per i pochi che si trovavano in una tale
condizione di indigenza, non mancava, in quest’occasione, un piatto di frattaglie o un altro taglio, fatto consegnare da chi stava meglio. Tutti dovevano infatti condividere un momento così significativo e ricco.
Quella festa che normalmente coincideva con l’8 dicembre, continuava con le varie fasi di lavorazione dell’animale, in cui erano coinvolti tutti i membri della famiglia e spesso figure come Salvatore Salis, norcino che girava di casa in casa, quasi sempre accompagnato dai figli ancora piccolissimi, per preparare le carni per la stagionatura.
All’uccisione del suino di casa seguivano il disosso, la salatura, la cottura delle frattaglie, la raccolta del sangue per il sanguinaccio e molto altro. In una
parola, si avviava subito qualunque lavorazione che permettesse di utilizzare ogni parte e di non buttare via nulla.
Come un tempo si preparavano prosciutti, spalle, guanciali, coppa, mustela, salsicce, lardo, allo stesso modo oggi i Salis si dedicano a quell’arte come decenni fa o quasi. Molte cose sono rimaste uguali, questa è una delle regole del salumificio, dove oggi come allora si fa un utilizzo molto limitato di conservanti chimici in favore di una trasformazione con conserve naturali come sale, pepe, aglio, erbe aromatiche, ma anche miele, Vernaccia, Malvasia, aceto e vegetazione della macchia mediterranea
I Salis hanno la pretesa di fare ancora i salumi come si facevano un tempo
Fare salumi in Sardegna come un tempo è ciò che si sono prefissati I Salis. Materia prima locale e manualità non comune sono le condizioni imprescindibili. Il resto lo fa la scelta di animali diversi: il maiale al centro e pecora, capra, bovino e cinghiale a completare un’offerta sorprendente!
Michelangelo Salis, maestro norcino, selezionatore e produttore di salumi. La sua maestria lo ha reso celebre non solo in Sardegna, ma anche oltre i confini nazionali.
a casa. E a casa, siccome lavori per i tuoi cari, l’attenzione è massima. Certo oggi non è più come quando il maiale lo allevavi in fondo al cortile con i resti del cibo domestico, le ghiande raccolte in campagna o la crusca avanzata dalla fattura del pane. Ma quell’attenzione per l’animale prima e le sue carni poi, è rimasta e oggi è dedicata ad ogni fase del processo produttivo, dalla scelta della materia prima al rapporto con il consumatore finale.
È dall’allevamento che inizia la vita di un salume Salis. È lì che infatti i ragazzi si recano in prima persona per scegliere i capi. Siano essi suini,
ovini, suidi, la selezione ricade prima di tutto sulla persona dell’allevatore che garantisce la materia prima. Non è un rapporto commerciale meramente basato su freddi accordi scritti o contrattazioni di prezzo.
L’aspetto economico è fondamentale — sia chiaro —, perché nessuna impresa si regge se non c’è convenienza alcuna, ma quello che i Salis cercano è, prima di tutto, un partner con cui condividere un pezzo di strada verso il mercato, dove valori e principi siano comuni. Per questo la stretta di mano con allevatori che abbiano a cuore il benessere animale e un’alimentazione
sana vale più di una firma su un documento. Siano pecore, cinghiali, maiali, capre o persino bovini da trasformare in salumi, da Ardara ci si sposta in tutta la Sardegna e in particolare per trovare suini allevati allo stato brado, di razza Sarda. Non a caso i Salis sono tra i principali promotori del Presidio Slow Food del suino di razza Sarda
E poi c’è la ricerca, del nuovo e del tradizionale, con incursioni innovative di chi conosce talmente bene il prodotto e le sue caratteristiche che si può permettere digressioni alla regola e il tocco d’autore. Nel catalogo aziendale si annoverano per esempio una crema realizzata unicamente con le periferie del lardo, quelle che normalmente vengono buttate. O ancora: una salsiccia fatta con Malvasia ossidativa ed erbe aromatiche. E fa bella mostra di sé la Myrtabella, una mortadella fatta con carne battuta di pecora e bacche di mirto. A breve saranno disponibili i salumi di capre e cinghiali catturati nell’isola dell’Asinara, un luogo unico al mondo, dove gli animali nascono e crescono senza alcun ausilio dell’uomo, come natura vuole.
Ma in generale, oltre alle carni, sono le lavorazioni e i prodotti per la conservazione a fare la differenza: aglio e finocchietto selvatico fresco raccolti nelle campagne circostanti, Vernaccia riserva dell’Oristanese, Malvasia ossidativa del Cagliaritano, miele e vini dei fratelli Rossini di Laerru, da vigne dove non vengono impiegati fitofarmaci o prodotti chimici. E ancora: tartufo di Laconi, pompia di Siniscola, erbe aromatiche come mirto, assenzio, finocchietto selvatico, rosmarino, alloro, lentischio, spesso usate anche nelle affumicature, oltre che sul prodotto.
Il resto lo fanno il rispetto della tradizione, la manualità, il saper fare e la cura per il cliente: il prodotto va consumato in stagione, nel rispetto della natura e dei suoi cicli produttivi. Il tempo e l’attesa hanno il loro ruolo e sono importanti. Talvolta bisogna aspettare per avere le cose migliori. Questo vale anche per i salumi.
Maria Antonietta Dessì
I Salis di Federico Salis
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Contributi a fondo perduto
Regione Emilia-Romagna
Finanziamento a fondo perduto dal 40% al 50% per investimenti per la trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli
Vi informiamo che sarà operativo a breve il bando di finanziamento per
investimenti relativi alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli che consentirà di richiedere contributi a fondo perduto dal 40% al 50% su progetti da realizzarsi negli anni 2025-2026, per:
1. costruzione/ristrutturazione di immobili produttivi anche per fini di miglioramento energetico;
2. acquisto di macchine, attrezzature ed impianti tecnologici funzionali alla lavorazione, trasformazione, confezionamento, conservazione, ecc… dei prodotti;
3. impianti per la produzione di energia rinnovabile (fotovoltaico, biomassa) per autoconsumo nel limite massimo di spesa del 40% del valore del progetto;
4. acquisto di hardware e software specialistici per i processi produttivi; 5. costruzione e/o implementazione di siti internet; 6. spese generali.
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Dalla tradizione familiare all’innovazione tecnologica
LA SALUMERIA SECONDO MARIN MUTAFCHIEV
di Raffaele Arcuri
Quando la passione per la salumeria incontra la tecnologia alimentare più avanzata nascono nuove opportunità anche per le piccole realtà artigianali. È il caso di Marin Mutafchiev, ristoratore di origini bulgare che da 18 anni vive a Malta, dove gestisce con la famiglia un
piccolo ristorante capace di distinguersi nel panorama locale per autenticità e innovazione. «Cercavo da tempo una macchina che mi permettesse di produrre salumi in autonomia e in sicurezza» racconta Marin. «Poi ho scoperto lo Stagionello® Salami Curing Device e tutto è cambiato».
Dietro questa svolta c’è una tecnologia brevettata (EP 2769276B1) tutta italiana, sviluppata per offrire ai professionisti della trasformazione carni un sistema integrato e sicuro per la maturazione, fermentazione, asciugatura, affumicatura e conservazione dei salumi.
In queste pagine, Marin Mutafchiev, ristoratore di origini bulgare che da 18 anni vive a Malta. Per la sua produzione di salumi ha scelto lo Stagionello® Salami Curing Device.
Una camera multifunzione per l’artigiano moderno
Lo Stagionello® Salami Curing Device non è un semplice frigorifero o una cella convenzionale. È una vera e propria camera multifunzione, progettata per gestire in modo preciso e automatizzato tutte le fasi di trasformazione del salume, grazie al controllo integrato e interattivo di pH, temperatura, umidità e ventilazione. «Prima di vederlo pensavo fosse solo una cella frigo, ma mi sbagliavo di grosso» continua Marin. «È come avere un forno a convezione, una camera di stagionatura, un frigorifero e un affumicatore tutto insieme. Con un’unica macchina posso produrre, affumicare, cuocere e stagionare i miei salumi. È davvero incredibile».
Il cuore della tecnologia Stagionello® sta nella sua capacità di standardizzare la qualità del prodotto finale. Grazie a ricette preimpostate e personalizzabili, anche chi parte da una piccola produzione può ottenere risultati costanti nel tempo, replicabili e, soprattutto, sicuri per il consumatore.
La sicurezza alimentare al primo posto
L’innovazione non riguarda solo la facilità d’uso bensì, soprattutto, la sicurezza microbiologica dei prodotti. Lo Stagionello® Salami Curing Device è costruito interamente in acciaio inox AISI 304, materiale resistente alla corrosione, igienico e conforme ai più alti standard internazionali per l’industria alimentare.
Ogni dettaglio è realizzato in Italia, garanzia di qualità e attenzione costruttiva. «La cosa più importante per me è sapere che il prodotto è sicuro al 100%. Con questo sistema, tutti i miei clienti possono stare tranquilli» spiega Marin. «Non si tratta solo di gusto e tradizione, ma anche di responsabilità verso chi mangia i miei salumi».
L’intelligenza del sistema, unita al monitoraggio costante dei parametri biologici, permette di prevenire contaminazioni e controllare in tempo reale il processo di trasformazione. Una vera rivoluzione per la salumeria artigianale
La tecnologia che fa crescere le piccole realtà Uno degli aspetti più apprezzati da chi, come Marin, gestisce un’attività a conduzione familiare è la modularità del sistema. L’azienda italiana che produce lo Stagionello® offre infatti la possibilità di progettare celle e armadi su misura, adattandoli alle esigenze di spazio, produzione e tipologia di prodotto. «Noi siamo solo in due a gestire il ristorante, ma questa tecnologia ci dà la possibilità di crescere e affacciarci su nuovi mercati. È una grande occasione per chi come noi parte da una piccola dimensione» sottolinea Marin.
La capacità di un dispositivo come lo Stagionello ® di democratizzare l’accesso alla trasformazione professionale dei salumi rappresenta davvero un punto di svolta. Dove prima servivano ambienti dedicati, anni di esperienza e infrastrutture costose, oggi infatti bastano pochi metri quadrati e un sistema intelligente per ottenere risultati di alto livello.
Mutafchiev e Rositsa Todorova mostrano gli attestati di Cuomo Method Expert. Tecnologia e investimento nella formazione professionale: l’azienda che produce lo Stagionello® Salami Curing Deviceha sviluppato una vera e propria “filiera culturale” che accompagna il cliente dalla conoscenza del prodotto alla padronanza del processo.
Cultura, formazione e supporto: la Stagionello Academy
Accanto alla tecnologia c’è anche un forte investimento nella formazione professionale. L’azienda ha sviluppato una vera e propria “filiera culturale” che accompagna il cliente dalla conoscenza del prodotto alla padronanza del processo. «Siamo stati accolti con grande calore e professionalità da tutta la famiglia Stagionello. Ogni dettaglio è stato spiegato con attenzione: ci hanno fatto capire cosa succede realmente all’interno del salume, quali sono i processi biologici, perché certe fasi sono fondamentali. È stato un percorso formativo che mi ha cambiato la prospettiva» racconta Marin.
La Stagionello Academy non è stata solo pensata per guidare il cliente nell’apprendimento della tecnologia, ma soprattutto di conoscere i meccanismi della fermentazione, dell’andamento del pH e delle interazioni tra umidità e temperatura. Questo significa lavorare con maggiore consapevolezza e pro-
durre salumi non solo buoni, ma anche salubri, tracciabili e certificabili.
Una nuova visione della salumeria artigianale
Lo Stagionello® Salami Curing Device non è solo una macchina ma uno strumento che mette la scienza al servizio della tradizione. Permette di innovare senza rinunciare all’identità territoriale, di sperimentare restando fedeli ai propri valori, di crescere senza snaturarsi. «Per me è stato come aprire una porta verso un mondo nuovo. Ora posso creare i miei salumi, personalizzarli, controllarli in ogni fase e offrire ai miei clienti un prodotto sempre sicuro e di qualità» conclude Marin.
In un settore dove la qualità e la sicurezza sono ormai imprescindibili, strumenti come lo Stagionello® rappresentano una svolta concreta per il futuro della salumeria artigianale. E per chi ha il coraggio di mettersi in gioco, possono diventare un alleato decisivo per costruire qualcosa di unico.
Raffaele Arcuri
• Per ulteriori informazioni e dettagli, è possibile visitare il sito ufficiale di Stagionello® o scannerizzare il QRcode in basso. I consulenti, gli expert e i tutor Stagionello sono pronti a guidarvi nel mondo dell’innovazione made in Italy!
>> Link: www.stagionello.com
Marin
Il preaffettato spinge la crescita della Coppa di Parma IGP
Una quota export che sale al 16%, portando così il fatturato a 74 milioni di euro. E una crescita del preaffettato, arrivato a rappresentare il 33% del giro d’affari complessivo: si è chiuso in positivo il 2024 del Consorzio della Coppa di Parma IGP, l’ente di tutela nel cuore della Food Valley che racchiude 21 aziende associate per un comparto da oltre 500 occupati tra addetti diretti e lavoratori legati all’indotto. Nell’ultimo anno i volumi sono rimasti costanti rispetto al 2023, con 3,9 milioni di chilogrammi di carne lavorata, di cui 1,9 destinati al prodotto certificato, per un fatturato alla produzione di 31 milioni di euro. Se l’aumento del costo della materia prima (ovvero la porzione muscolare del collo del suino) continua ad essere un trend difficile da contrastare, con un +21% registrato negli ultimi tre anni, le buone notizie per il Consorzio della Coppa di Parma IGP arrivano soprattutto dal preaffettato. Sono stati 415.000 i chili di prodotto certificato destinato alle vaschette, che con 25 milioni di euro a valore rappresentano un terzo del fatturato complessivo; una crescita costante che dal 25% del 2021 è arrivato all’attuale 33% dell’indotto. A beneficiarne è stato soprattutto il comparto della GDO, che con una quota del 70% rappresenta il canale di commercializzazione principale, a cui viene destinato l’intero preaffettato; il canale HO.RE.CA. invece, fondamentale per il Consorzio sia in termini di reputazione che di valorizzazione del prodotto, si attesa sul 30% Segnali positivi anche per quanto riguarda l’export, passato dal 10% dell’anno scorso all’attuale 16%, avvicinandosi così ai livelli pre-pandemia quando la quota sfiorava il 20%. La principale area di destinazione è rappresentata dai paesi dell’Unione Europea come Germania, Francia, Belgio e Olanda. Mentre il Canada si conferma il singolo maggior importatore. Fabrizio Aschieri, presidente del Consorzio di Tutela della Coppa di Parma IGP: «Nonostante l’aumento dei prezzi relativi alla materia prima abbiamo chiuso positivamente il 2024. Accogliamo con grande piacere la crescita del preaffettato, sempre più importante per valorizzare al meglio un prodotto di eccellenza come la Coppa di Parma, e il rialzo della quota export. E proprio sull’estero dobbiamo investire sempre di più, a maggior ragione dopo l’ultima modifica al disciplinare che ci garantisce un prodotto di qualità superiore grazie a metodi di controllo moderni e precisi».
>> Link: www.coppadiparmaigp.com
Culatello di Zibello DOP, modifica
al Disciplinare
Un peso massimo al momento della marchiatura (10 mesi) che passa dai 5 agli attuali 6 kg, per venire incontro a una tendenza sempre più evidente tra i produttori del Culatello di Zibello DOP: una stagionatura più lunga, tra i 36 e i 48 mesi, in grado di esaltarne ancor di più i sapori. È una delle principali novità comunicate dal Consorzio di tutela del Culatello di Zibello DOP, che ha modificato per la prima volta il proprio Disciplinare Un traguardo storico per l’associazione costituita nel 2009 che racchiude 21 aziende produttrici della celebre DOP della Bassa Parmense. Il Culatello di Zibello viene ottenuto a partire dalle più pregiate cosce di suino: non a caso è stato aumentato da 190 agli attuali 195 kg il peso della singola carcassa per aumentare la qualità della materia prima. Come ribadisce Romeo Gualerzi, presidente del Consorzio di tutela, l’obiettivo è preciso: «La maggior parte del prodotto viene venduto intorno ai 20 mesi, ma gli associati stanno optando per stagionature sempre più lunghe. Ecco perché occorre partire da un prodotto più grasso e quindi più pesante. Questo garantisce che anche nel lungo periodo il Culatello di Zibello mantiene un grado di morbidezza fondamentale, arrivando così a un risultato finale di eccellenza assoluta». Il Consorzio ha aggiornato anche diversi parametri, tra cui il valore relativo al sale, ora ridotto: «Ci siamo accorti che nelle lunghe stagionature il prodotto ha una disidratazione maggiore di quella stimata. Ecco perché la percentuale minima di cloruro di sodio è passata da 3,40 all’attuale 2,8%». Inoltre è stato rivoluzionato il metodo di controllo legato alla materia prima. «Nell’attuale Disciplinare i controlli genetici sulla filiera sono completamente digitali, con metodi aggiornati, precisi e in grado di migliorare ancor di più la tracciabilità del suino» conclude Gualerzi.
L’analisi di SumUp per l’Italia. Trento la provincia più cara: panino e caffè 6,8 euro; Venezia la città più economica, 2,7 euro
Sono stati resi noti i risultati dell’ Osservatorio Pausa Pranzo di SumUp , la “fintech” attiva nel settore dei pagamenti digitali, che ha analizzato il costo medio di un panino e un caffè in venti fra le principali città italiane. Ebbene, secondo la graduatoria, in Italia sono gli abitanti di Terni a spendere meno per un panino e un caffè: nella provincia umbra, infatti, nel 2024
la spesa media in pausa pranzo è di 3,5 euro. Per trovare i pranzi più cari, invece, bisogna guardare all’estremo Nord: nella provincia di Trento, infatti, panino e caffè costano mediamente 6,8 euro. Raccontata spesso come una delle città più care d’Italia, Venezia è inaspettatamente la città con il prezzo minimo più basso (2,7 euro) e anche l’unica in cui il costo medio di panino e caffè è diminuito dal 2023 al 2024:
–3,3%. Andando a Sud, invece, il valore della pausa pranzo cresce: se Bari fa registrare il prezzo massimo più alto (9,3 euro), a Napoli nel 2024 panino e caffè hanno visto l’incremento di prezzi più significativo: ad aumentare, infatti, è stato il costo medio (+14,1%) e anche il costo massimo (+27,5%). L’Osservatorio Pausa Pranzo di SumUp ha analizzato il costo medio di un panino e un caffè in venti fra le principali città
italiane nel 2023 e nel 2024 a partire dalle rilevazioni dei prezzi di beni e servizi di largo consumo dei Mise. «Il prezzo di un panino e un caffè al bar o al ristorante, una delle opzioni più comuni per la pausa pranzo in orario d’ufficio, è aumentato in quasi tutte le città analizzate, con le sole eccezioni di Venezia e Palermo, ma nella maggior parte dei casi si è trattato di aumenti contenuti» spiega Umberto Zola, responsabile on-line sales EU di SumUp. «Il settore HO.RE.CA. è tra quelli dove nell’ultimo anno sono anche cresciuti di più i pagamenti senza contanti, con una crescita significativa proprio nella fascia oraria della pausa pranzo, ed è calato lo scontrino medio cashless, segno che i consumatori sono sempre più a loro agio a pagare senza contanti anche le piccole spese come il panino o il caffè».
È Napoli la città italiana in cui panino e caffè sono aumentati di più: tra 2023 e 2024 il capoluogo campano ha visto un incremento del costo medio del caffè del +10,5%, il più alto d’Italia. Stesso trend per quanto riguarda il panino al bar, che nel 2023 si assestava su un prezzo medio di circa 3 euro, mentre nel 2024 è salito a 3,4 euro, facendo registrare un aumento del +15,4%. Nel 2024 in tutte e venti le città italiane analizzate da SumUp il prezzo del caffè è cresciuto rispetto all’anno precedente: quella con l’incremento minore è Palermo (+0,8%), dove è diminuito anche il costo medio del panino (–0,3%). Resta Venezia la città in cui il sandwich al bar ha visto la maggiore riduzione di prezzi nel 2024: –5%.
Più pagamenti cashless in pausa pranzo
Nel 2024 fare colazione al bar, pranzare e cenare al ristorante sono attività che si pagano sempre di più con la carta. Questi settori, infatti, hanno fatto registrare nel 2024 alcuni degli aumenti più rilevanti di transazioni cashless: crescita del +35,1% nei bar e del +27,8% in caffè e ristoranti. Una buona parte delle transazioni con carta giornaliere si svolge proprio fra le 12:00 e le 14:00, durante la pausa pranzo: il 15% nei bar e il 18% nei ristoranti; in entrambi i settori con una crescita media pari a circa il +35%.
Fonte: EFA News European Food Agency
IL FORMAGGIO CHE SI UNISCE AL GELATO
Un’unione inusuale che può regalare grandi soddisfazioni al palato.
Quando la semplicità premia e a volte non serve inventare nulla
di Lara Abrati
Provare abbinamenti curiosi e inusuali regala spesso grande soddisfazione gastronomica. Se non altro, possiamo soddisfare quella sana necessità umana di uscire un po’ dalla nostra comfort
zone e regalarci nuovi stimoli creativi e gustativi. E spesso questa attività riesce al meglio quando la si fa nel modo più semplice possibile, senza eccessive trasformazioni, lasciando da parte quell’incontenibile voglia di osare che
sta caratterizzando sempre più il mondo della ristorazione, ma che spesso porta a veri e propri buchi nell’acqua. Ecco che unendo prodotti semplici, senza bisogno di stravolgerli, possono succedere cose inaspettate.
Risotto mantecato allo stracchino del Monte Bronzone con amaretto sbriciolato. Ad accompagnarlo, gelato alla zucca.
In alto: gelato alla zucca preparato con zucca Delica cotta al forno e ridotta in purea. In basso: formaggi d’alpeggio selezionati da Capoferri formaggi con una quenelle di gelato all’olio extravergine di oliva del Sebino. Un evo delicato ma allo stesso tempo aromatico e bello grasso.
Si parla molto di gelato gastronomico e cioè dell’utilizzo di questo prodotto con preparazioni salate. Spesso si preparano gelati ai gusti più inusuali, a partire da materie prime normalmente salate come verdure, formaggi o veri e propri piatti. Ma se, come detto sopra, non volessimo inventare e stravolgere nulla? Il formaggio, nell’uso comune, si è sempre ben abbinato alla frutta, ma anche a prodotti dolci come confetture e miele. Perché non provare con il gelato? Dai sorbetti a base acqua fino ai gusti che prevedono una parte grassa: con le Con-dire Food Experience (www.condiremag.it) si è provato a giocare con questi due elementi e ne è nata una bella esperienza. Sono stati coinvolti due bravi artigiani del gusto ubicati nella zona del Basso Sebino (tra le province di Bergamo e Brescia): Capoferri formaggi, con Claudio e Andrea, quarta generazione di una famiglia di affinatori (formaggicapoferri.it) di Adrara San Martino (BG), e Mologni gelato, con Giorgia e Francesco Gargano (www.molognigelato.it), una giovane gelateria di Paratico (BS), che ha già ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui i due coni della prestigiosa Guida alle gelaterie d’Italia del GAMBERO ROSSO Durante la serata, si sono potuti assaggiare alcuni formaggi d’alpeggio selezionati da Capoferri: dal Bitto DOP
al Formai de mut DOP fino al Bagoss DOP. Con questi, una quenelle di gelato all’olio extravergine di oliva del Sebino, delicato, ma al tempo stesso aromatico e bello grasso. A seguire, il Blu di capra, un erborinato non piccante accostato ad un gelato fresco al gusto lime e bergamotto: ogni boccone ne stimolava subito l’altro. Questo ha pulito la bocca per gustare al meglio il risotto, bello mantecato allo stracchino del Monte Bronzone, con una spolverata di amaretto sbriciolato; accanto, il gelato alla zucca, preparato con zucca Delica fresca cotta al forno e ridotta in purea. Dolce il giusto, cremoso e perfetto da accompagnare al risotto.
Infine, un goloso gelato alla cheesecake, preparato sempre da Giorgia e
Francesco, con salsa ai frutti rossi e crumble, tutto autoprodotto nel loro laboratorio a pochi metri dalla gelateria sul lungo lago.
Caldo-freddo. Dolce-salato. Cremoso-croccante. Un vero e proprio gioco sensoriale. Solo alcuni dei contrasti che si sono potuti apprezzare, il tutto unito all’aroma di questi prestigiosi formaggi e alla consistenza dei gelati artigianali preparati magistralmente. Semplicità non è banalità: a volte basta saper “vedere”, non serve inventare nulla. Anche nella tua bottega, perché non provarci?
La Salsiccia di Bra è uno dei prodotti simbolo della norcineria/macelleria piemontese. In una regione dove la produzione di insaccati varia a seconda delle abitudini locali, quella di Bra si distingue per l’uso di carni magre di bovino unite a pancetta di suino. In origine, la preparazione prevedeva esclusivamente carne bovina, una scelta legata alla presenza, nel vicino comune di Cherasco, di una numerosa comunità ebraica che si riforniva al mercato braidese e richiedeva prodotti senza carne di maiale. Questa particolarità fu sancita anche da un Regio Decreto, emanato dopo lo Statuto Albertino, che autorizzava i macellai di Bra a produrre “salciccia” fresca solo con carne bovina, vietando altrove la produzione di insaccati non suini. La Salsiccia di Bra, conosciuta anche nella versione dialettale appunto come “salciccia”, è oggi riconosciuta ufficialmente dall’Atlante dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali del Piemonte. Diversamente da altri salumi, si consuma fresca tutto l’anno, cruda e senza necessità di stagionatura. Si potrebbe anche mangiare cotta, ma è un po’ come snaturare questo prodotto di grande delicatezza e armonia, da assaporare così come lo fa il norcino/ macellaio. Prodotta senza conservanti, ha una durata di 2-3 giorni, motivo per cui è anche difficile distribuirla fuori regione.
«È composta per l’80% da carne di vitello, per il 20% da pancetta di maiale, più sale, pepe bianco e droghe naturali,
La Salsiccia di Bra è uno dei simboli della norcineria piemontese, riconosciuta dall’Atlante dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione. A base di carni magre bovine e un po’ di pancetta di maiale, si consuma cruda, fresca, in tutte le stagioni dell’anno
secondo uno specifico Disciplinare di produzione. È una salsiccia molto magra, cuocendola si asciuga, va quindi mangiata cruda», assicura il macellaio Marco Carena, titolare della Macelleria Carena di Bra e anche presidente del Consorzio dei macellai Braidesi e del Consorzio Salsiccia di Bra
Il nome Salsiccia di Bra è riservato al prodotto conforme ai requisiti stabiliti dal Disciplinare di produzione vigente, che impone una filiera radicata esclusivamente nel Comune di Bra e l’utilizzo di carni bovine fresche provenienti da allevamenti piemontesi. La lavorazione prevede l’unione di carne magra di bovino e pancetta suina finemente macinate condite con acqua, sale, pepe, spezie naturali e zuccheri. Alcune varianti moderne ammettono l’aggiunta di vino bianco secco o formaggio vaccino grattugiato, sempre nel rispetto della normativa sugli additivi alimentari. L’insacco avviene in budelli naturali edibili di agnello, montone o pecora.
A difesa della qualità e dell’autenticità del prodotto, a maggio 2003 è stato fondato il Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione della Salsiccia di
Bra, che ha debuttato ufficialmente in occasione della settima Rassegna braidese della carne di razza Piemontese. Promosso dal Consorzio Macellai Braidesi e dall’ASCOM di Bra, il Consorzio ha come scopo principale quello di preservare la tradizione sancita dallo storico Regio Decreto.
Attualmente sono 8 le macellerie associate, tutte a Bra, che continuano a produrre secondo i metodi tramandati e codificati. Alla salsiccia di Bra è dedicata da cinque edizioni la manifestazione Bra’s, che si tiene ad anni alterni con la rassegna Slow Food dedicata ai formaggi Cheese, a settembre; vi partecipano circa 10.000 persone, nella rocca del paese. Nell’anno alterno, a Torino, si svolge invece Waiting for Bra’s. I due eventi sono organizzati dal Consorzio della Salsiccia di Bra in collaborazione con Ascom.
Macelleria Carena
Via Vittorio Emanuele 55 12042 Bra (CN) Telefono: 0172 379553 – 331 2684415
E-mail: macelleriacarena2@gmail.com
Macelleria Carena Bruno
Marco Carena, macellaio e presidente sia del Consorzio Salsiccia di Bra che del Consorzio dei macellai Braidesi.
LUGHENIA de pàsola, una “salsiccia” di rape
di Riccardo Lagorio
«Pronto? È Beniamino Silvestri?». Dall’altra parte non arriva risposta, un sordo rumore di passi. Poi, dopo qualche istante: «Che el?». «Un macellaio di Livigno mi ha detto che forse lei prepara ancora la Lughenia de pàsola. Vorrei poterla incontrare per capire meglio di cosa si tratta e tra qualche giorno sarò a Livigno. Possiamo vederci?». Ha inizio in questo modo la conoscenza di uno dei cibi più rari della montagna lombarda, arrivato a
noi talvolta citato in letteratura, ma le cui informazioni vengono ripetute senza avere mai visto né toccato ciò di cui si sta scrivendo.
Beniamino Silvestri abita appena fuori Livigno, sulla strada che porta in Svizzera, chiusa per buona parte dell’anno a causa della neve. La ricchezza di Livigno si è sostituita alla miseria più nera solo negli anni Cinquanta, quando è stata costruita la diga e si è creato il lago artificiale per la produzione di energia elettrica.
I lavori furono finanziati totalmente dal Paese elvetico e con il gruzzolo ricevuto le famiglie hanno iniziato a realizzare il paradiso turistico che è oggi sotto gli occhi dei villeggianti.
Silvestri è tra i pochi a poter raccontare come avviene la produzione di questa salsiccia dal gusto dolciastro la cui produzione inizia ben prima dell’avvento dei turisti.
Salsiccia? Anche se non esiste altro termine per definire questa preparazione, il termine salsiccia (lughenia,
La Lughenia de pàsola.
Beniamino Silvestri con la lughenia de pàsola e le pàsole, ovvero le passole, rape cresciute meno delle altre.
lucanica, in dialetto locale) può far cadere in errore il lettore. La materia prima per la preparazione della lughenia de pàsola sono infatti le passole, le rape cresciute meno rigogliose, dalla dimensione più simile ad una castagna, mentre le rape di maggiori dimensioni si consumano fresche o cotte. «È la stessa rapa che ha garantito per secoli la sopravvivenza ai livignaschi»racconta l’anziano signore.
Si consumava lessata, affettata e rosolata nel burro, in aggiunta alla minestra di latte e nel carcènt, il pane di farina di segale. A 1.800 metri si può coltivare ben poco e nella tradizione di Livigno le rape rappresentano quel poco. «A fine maggio vengono seminati
i semi delle piante lasciate fiorire l’anno precedente, piuttosto fitti per risparmiare il terreno destinato alla fienagione e avere radici più piccole. Ovviamente la pulizia dalle erbe infestanti avviene a mano. Dopo il taglio dell’erba di settembre, l’unico possibile, vengono raccolte le rape. Quelle più piccole si legano con l’intera pianta in mazzi e si lasciano essiccare appese all’aria secca e fredda di Livigno. Dopo tre mesi sono pronte per essere stivate in sacchi di juta, dopo avere tolto le foglie ormai secche».
Tra febbraio e marzo avviene la produzione della lughenia. Una volta nettate da terra e impurità, si fanno bollire le rape. «Scelgo la quantità
Una salsiccia che non è una salsiccia: la materia prima della lughenia de pàsola sono infatti le passole, rape cresciute meno rigogliose, dalla dimensione simile ad una castagna. Si aggiunge pancettone di maiale e qualche ritaglio magro, aglio, spezie e un po’ di zucchero. L’insacco è in budello di agnello. È usanza mangiarla a merenda, ma il gusto non è per tutti
necessaria di pàsole per la produzione, sapendo che al termine della bollitura per tre ore triplicano il loro peso. Addiziono lo stesso peso di pancettone di maiale e qualche ritaglio magro. Poi procedo a macinare le une e l’altro con il diametro da 6 mm.
Tra le spezie, oltre a sale, pepe, chiodi di garofano e cannella, va macinata della noce moscata e aggiunto un po’ di vino bianco. Ogni 4 kg di impasto si utilizza una testa d’aglio». Viene aggiunto anche dello zucchero, che serve per accelerare la fermentazione dell’insaccato e conferisce il caratteristico sapore dolciastro. La stagionatura viene inoltre accelerata dall’utilizzo di budello di agnello dal diametro di 2 cm fino a ottenere salsicce lunghe circa 40 cm che vengono chiuse senza spago, semplicemente stringendo il budello.
«Possiamo consumarla fresca, grigliata sul fuoco o in padella. Tuttavia, l’uso più comune è mangiarla a merenda, spezzata con le mani dopo una stagionatura di 20 giorni a cavalcioni sulle pertiche del sottotetto». La consistenza è friabile, dal sapore netto e fermentato delle rape, di aglio e zucchero. Gusto insolito e curioso, non per tutti. Riccardo Lagorio
PESTÀT DI FAGAGNA: L’ARTE DELLA NORCINERIA
CHE RACCONTA IL FRIULI
di Chiara Papotti
Fagagna, piccolo comune incastonato nella verde e collinare regione del Friuli, conserva le tradizioni agricole e zootecniche radicate in un passato segnato dall’allevamento e dall’agricoltura. Oggi, come in molte altre zone rurali,
l’economia di questa area sta lentamente cedendo spazio alla piccola industria e agli insediamenti artigianali. Tuttavia, tra le pieghe di questo cambiamento, alcune antiche tradizioni gastronomiche continuano a vivere, tramandandosi di generazione in generazione. Una
di queste è il Pestàt, una conservacondimento di carne e verdure che non solo resiste al passare del tempo, ma rappresenta un esempio di come la norcineria possa unire la qualità delle materie prime locali alla cultura culinaria di un intero territorio.
La sua peculiarità risiede nel fatto che, a differenza di molti insaccati, non viene consumato come prodotto finito, ma come ingrediente base per diverse preparazioni culinarie. È un concentrato di sapori che conserva nel lardo suino i profumi e i sapori delle erbe e delle verdure coltivate negli orti friulani durante il periodo autunnale.
L’elemento distintivo del Pestàt è il suo metodo di preparazione: il lardo, proveniente da maiali allevati localmente in regime semibrado, viene macinato e miscelato con un trito finissimo di carote, cipolla, sedano e una selezione di erbe aromatiche tra cui salvia, rosmarino, aglio, porro, prezzemolo e pepe. La combinazione degli odori che sono aggiunti a piacere secondo ricette tramandate di padre in figlio arricchisce ulteriormente l’impasto, che viene poi insaccato in budelli naturali e messo a stagionare in cantine fresche e umide. Le fasi di asciugatura e stagionatura consentono ai sapori di concentrarsi e amalgamarsi in un equilibrio perfetto.
Il Pestàt rappresenta un esempio di come l’economia rurale e l’ingegno contadino si siano incontrati per risolvere un bisogno primario: la conservazione del cibo durante i mesi più freddi. In un’epoca in cui la refrigerazione non esisteva, il maiale era l’animale da carne per eccellenza e ogni sua parte veniva utilizzata per sopperire alle necessità alimentari dei nuclei familiari più poveri. Il lardo, in particolare, era impiegato per conservare i sapori delle erbe e delle verdure che si raccoglievano in autunno, quando la produzione degli orti raggiungeva il suo apice.
Il processo di stagionatura del Pestàt si distingue per la sua capacità di mantenere inalterati i sapori nel tempo. Grazie alla combinazione di lardo, sale, e pepe, le verdure non sviluppano processi fermentativi e l’acqua presente nell’impasto viene progressivamente ridotta, favorendo la conservazione. Il prodotto, infatti, può essere consumato anche a breve distanza dalla produzione, ma raggiunge il suo apice di sapore e complessità dopo circa un anno di stagionatura. Questo processo non solo preserva il prodotto, ma ne migliora la qualità, creando un condimento ricco e aromatico, pronto a donare nuova vita ai piatti della tradizione regionale.
Nonostante la sua origine umile e contadina, il Pestàt è un condimento estremamente versatile, che si adatta ad una varietà di preparazioni. La sua principale modalità di utilizzo è nella preparazione dei piatti in umido, dove viene soffritto delicatamente per sciogliere il grasso senza bruciare le verdure. In questo modo si trasforma in una base saporita che arricchisce piatti come il minestrone e la brovada, una preparazione a base di rape conservate in vinacce, che si sposa perfettamente col musetto in umido, piatto tipico della tradizione friulana.
Ma le applicazioni del Pestàt non si fermano qui. La sua ricchezza aromatica lo rende ideale per insaporire carni in umido, patate al tegame e una varietà di piatti che richiedono un condimento ricco e avvolgente. Grazie alla sua componente grassa e speziata, il Pestàt è capace di esaltare anche i piatti più semplici, trasformandoli in esperienze gustative uniche.
Oggi la produzione di questa specialità è rimasta in mano ad un ristretto numero di artigiani e al rispetto delle tecniche secolari. Per questo motivo dal 2017 è un Presidio Slow Food. In un mondo gastronomico in cui le tradizioni rischiano di scomparire sotto il peso della modernità, il Pestàt rappresenta una delle tante eccellenze che, pur nel cambiamento, riescono a mantenere viva la storia e la cultura di un popolo. Non solo un condimento, ma una parte di un patrimonio che si rinnova, attraverso le mani esperte dei norcini locali, per portare in tavola il sapore autentico di una terra che, pur cambiando, sa mantenere viva la propria identità.
Il Presidio Slow Food rappresenta non solo un atto di tutela di un patrimonio gastronomico unico, ma anche un impegno concreto per il futuro dell’allevamento locale e della norcineria regionale.
La creazione di un Disciplinare di produzione rigoroso è la dimostrazione di come sia possibile coniugare tradizione e sostenibilità, assicurando che il Pestàt resti fedele alle sue origini e, al contempo, contribuisca al mantenimento di una filiera locale di alta qualità.
Chiara Papotti
GELATINA ALIMENTARE
di Nunzia Manicardi
La gelatina alimentare di origine animale (da non confondere quindi con la gelatina di origine vegetale ottenuta da peptina o alghe) è ricavata dal collagene, una proteina presente nel
tessuto connettivo degli animali e, nello specifico, dalla cotenna di maiale e dalle ossa e dalle cartilagini anche bovine. È tuttora però nota anche con il nome di “colla di pesce” perché in origine la si produceva in Russia essiccando al sole le vesciche natatorie di pesci (in particolare lo storione) e la loro cartilagine e ottenendo l’ittiocolla, che significa appunto colla di pesce. Il prodotto ittico è stato però poi generalmente sostituito, soprattutto per gli altissimi
costi di produzione, da quello industriale di origine suina e bovina benché non manchino aziende, anche italiane, che continuano a produrlo.
La gelatina di produzione europea, nello specifico, è costituita per l’80% dalla cotenna di maiale, per il 15% dal bifido bovino, cioè da uno strato sottile presente sotto la pelle, e per il restante 5% quasi tutto da ossa di maiali e bovini.
La presenza del tessuto connettivale, e quindi del collagene, equipara la gelatina ad una fonte proteica, di valore analogo a quello della matrice ossea: 86 g per 100 g di prodotto. Ridotti sono i contenuti lipidico e glucidico, rendendola perciò adatta anche ad una dieta ipocalorica. Bisogna tuttavia prestare attenzione alla qualità del prodotto d’origine, per altro attualmente sottoposto a controlli molto severi per evitare il rischio BSE per quanto riguarda i bovini.
La gelatina ha svariate proprietà: gelificante, addensante, brillantante, stabilizzante, emulsionante, inibitore di sineresi, collante, legante per l’acqua… In cucina, in particolare, è utilizzata soprattutto come addensante degli alimenti, affinché la preparazione risulti compatta ma morbida e, soprattutto, che non si sfaldi e come gelificante per migliorarne anche l’aspetto estetico. Per questo compare nella lista degli ingredienti di moltissime ricette sia dolci, come per quelli al cucchiaio, i dessert, i budini, le cheesecake o le caramelle, che salate, come per aspic, salse, fondi di cottura, formaggi e yogurt cremosi.
La sua versatilità è dovuta anche al fatto che non ha odore né sapore o colore. È molto impiegata nell’industria alimentare per la preparazione di carni fredde (anche con funzione antiossidante e di prevenzione dell’essiccazione), prosciutti in scatola, maionese, latte condensato, conserve di pesce e simili, integratori alimentari per articolazioni e ossa e per la cura del corpo, bevande e barrette energetiche, cibo per animali e pure in enologia, per la chiarificazione dei vini in quanto reagente dei tannini e delle sostanze amare del vino e con funzione assorbente delle sostanze che creano torbidità e che essa riesce ad asportare. Rende quindi possibile la chiarificazione anche di sidro, birra e succhi di frutta.
La gelatina si presenta in commercio con fogli sottili e trasparenti. Raramente si trova sotto forma di polvere. Questi fogli si gonfiano subito una volta messi in acqua (a differenza della colla di pesce che aumenta di poco il proprio volume). Normalmente 6 fogli di gelatina riescono a gelificare 500 ml di acqua; usando invece, a parità d’acqua, 8-9 fogli si ottiene una gelatina molto più solida che è possibile tagliare con il coltello.
L’utilizzo è facile ma per un risultato ottimale vanno rispettate alcune regole di base. Innanzitutto bisogna essere sicuri che il quantitativo impiegato sia adeguato alla preparazione, né troppo né poco. I fogli vanno messi in ammollo in acqua fredda per circa un quarto d’ora perché si ammorbidiscano, dopodiché si strizzano accuratamente e poi si scaldano in acqua calda o a bagnomaria oppure al microonde alla massima potenza per una decina di secondi. Infine, si aggiungono agli altri ingredienti. Se però è previsto che qualcuno di questi debba essere scaldato, come ad esempio il latte, si può farlo tutto insieme saltando un passaggio.
Tanti, e per molti versi forse anche inaspettati e sorprendenti, sono gli impieghi non alimentari della colla di pesce: per usi farmaceutici nella preparazione di capsule molli e compresse di vitamine, nella cosmesi per creme e prodotti di bellezza, nel campo fotografico dove la gelatina funge da legante per le pellicole, nel restauro come colla per legno o per fare aderire la foglia d’oro al bolo (l’argilla su cui la foglia viene stesa), per la preparazione manuale dell’inchiostro (ammesso che qualcuno ancora lo faccia…). Sconsigliato l’utilizzo invece come prodotto per fissaggio dei capelli perché ne danneggia la fibra.
Di ancora più recente utilizzo sono le applicazioni mediche della gelatina per plasma espansori nella medicina d’urgenza dove, con specifiche microbiologiche e di endotossine molto stringenti, spesso vengono usati dei prodotti a base di gelatina per ricostituire i volumi di sangue a seguito di perdite eccezionali o per la produzione di spugne emostatiche che possono anche venire assorbite dai tessuti. Nunzia Manicardi
Salumeria Italiana, 3/25
Chiude con 95.000 presenze l’edizione 2025 di TuttoFood Milano, dopo 4 giorni straordinariamente densi di appuntamenti, incontri, meeting, convegni, educational e tasting che hanno impegnato i visitatori in veri slalom tra i 10 Padiglioni di Rho Milano Fiera e nelle loro agende. Tutti confermati i 3.000 top buyer internazionali del cibo facenti parte del Buyers Program Fiere di Parma in collaborazione con ICE, a cui si sono aggiunti circa 7.000 rappresentanti di catene distributive e della ristorazione organizzata straniere giunti autonomamente in fiera, che consentono di stimare nel 25% del totale gli ingressi di operatori dall’estero.
In tema di agende, su quelle 2026 circa il 70% delle aziende presenti ha già segnato l’appuntamento con TuttoFood Milano 2026, che si terrà dall’11 al 14 maggio, spingendosi fino a Cibus 2027 (Parma, 4-7 maggio). «Questo straordinario risultato di re-booking ci dà la misura concreta della soddisfazione registrata dagli espositori che non ci stupisce per Cibus, ormai entrata nella business routine degli operatori del food italiani» ha commentato Antonio Cellie, AD di Fiere di Parma. «Abituati al quartiere di Parma ora abbiamo preso confidenza con le dimensioni di quello milanese e stiamo già lavorando al lay-out 2026 per renderlo ancora più leggibile ed efficace. Certamente ci appare molto lusinghiero per questa
nostra prima edizione di TuttoFood Milano che possiamo definire veramente globale… Un’ulteriore conferma della validità e della forza dell’hub del cibo che stiamo costruendo Parma – Milano – Colonia».
In apertura di salone da segnalare l’intervento sul tema “Il ruolo dell’AI nei settori chiave dell’agroalimentare” a cura di Valeria Sandei, CEO di Almawave, apprezzata via italiana all’IA: «L’integrazione dell’intelligenza artificiale nella filiera agroalimentare rappresenta un’opportunità strategica per valorizzare l’eccellenza dell’agrifood e affrontare le sfide globali. Queste tecnologie offrono infatti strumenti facili e sempre più intuitivi per il marketing,
la personalizzazione e la creazione di contenuti ed esperienze innovative. Inoltre, consentono di ottimizzare e potenziare l’intero ciclo produttivo, migliorando sostenibilità, efficienza e competitività».
La seconda giornata si è aperta con il convegno “Sostenibilità in azione: come rendicontare l’impegno e i risultati ESG nel settore agroalimentare” promosso da ESG news, che ha approfondito strumenti e best practice per misurare, rendicontare e comunicare in modo efficace l’impatto delle strategie ESG, con l’obiettivo di generare valore reale, rafforzare la trasparenza e consolidare la fiducia degli stakeholder. Con i dati Nielsen IQ si è poi parlato di private
TuttoFood 2025 dà i numeri
• 4.200 brand per il 75% italiani e per il restante 25% da 70 Paesi, dall’Albania all’Uzbekistan.
• Provenivano da 100 Paesi (40% Europa, 20% Nord America – Canada e USA —, 10% Sud America, Far East e Asean 15%, Middle East 10%, Resto del Mondo 5%) i 3.000 top buyer accreditati grazie al Buyers Program sviluppato in collaborazione con ICE-Agenzia.
• 80.000 m2 netti di superficie espositiva, quasi il doppio dai 50.000 delle precedenti edizioni di TuttoFood, su 150.000 m2 totali.
• 10 padiglioni.
• 7 aree tematiche: Tuttofood Street Experience, Italian Specialty Selection, Tuttofood Academy, Start Up Area, Bellavita Expo, Mixology Experience, Better Future.
• 47 convegni ufficiali, oltre a quello inaugurale.
• 3 Awards Ceremony.
1) Nello spazio di Alcar Uno, specialista nella selezione e lavorazione di tagli primari di carne suina, personalizzandoli secondo le richieste di mercato, Matteo Barbieri, Ludovico e Lorenzo Levoni. 2) Margherita e Francesco Palmieri, Salumificio Mec Palmieri, produttori dell’iconica mortadella insaccata in cotenna Favola. 3) Emanuele Borin e lo staff dell’omonimo Gruppo di Sanguinetto (VR) specializzato nella progettazione e produzione di sistemi all’avanguardia nel campo dell’igiene industriale.
slogan “Il
con clienti e visitatori su “tutto ciò che riguarda il futuro digitale dell’industria ali-
2)
1) Andrè Muehlberger, Roberta D’Alconzo e Guido Girardelli di CSB-System Italia a Milano con lo
mio ERP. Food Management made easy” per dialogare
mentare”.
Dino e Annarita Negrini con Pierluigi Porzi e Andrea Casolari del Gruppo Negrini di Renazzo (FE). 3) Roberto e Valentina Agnani con lo staff del Gruppo Suincom Spa di Solignano di Castelvetro (MO).
Marcello, Massimo, Margherita e Francesco Palmieri.
label e in altri appuntamenti dell’area
Cibus Link si è discusso di dettaglio tradizionale e Grande Distribuzione e di retail media come opportunità per la food industry
Da segnalare l’approfondimento a cura di Circana “L’alimentare
tra incertezze e prospettive: uno sguardo sul 2024 e 2025” in cui si è parlato dell’impatto sul settore del largo consumo delle attuali pressioni inflazionistiche e della bassa crescita dei consumi. Appuntamento all’anno prossimo!
A TuttoFood premiata l’innovazione
d l
TuttoFood Milano Prossima edizione 11-14 maggio 2026 >> Link: www.tuttofood.it
Quattro le categorie a cui hanno fatto riferimento i 30 premiati alla Better Future Arena, l’Area speciale di TuttoFood 2025 dedicata ad offrire una panoramica del futuro del cibo: Away from Home (fuoricasa), Innovazione di prodotto, Etica e sostenibilità, Innovazione di packaging. Per l’Away from Home hanno trionfato l’Aperitivo al tartufo di Tartuflanghe e i Bottoni al Gambero Rosso di Surgital. Per la categoria Etica e Sostenibilità premiato l’impegno nell’economia circolare del produttore di pasta Andriani e per Innovazione di Packaging premiato l’amore per l’arte della Collezione Vasi d’Autore D’Amico
Il gruppo più nutrito di premiati, ben 26, li ritroviamo categoria Innovazione di prodotto. Tra gli altri, Ilca Carni Srl ha conquistato il podio nella categoria carni con il Rustì Burger di Salsiccia Suino IQF 30 grammi; per le conserve vegetali, riconoscimenti a Salviani Srl con la linea Enjoy-It e a Coppola Enterprice Srl con la Passata del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP. Nella sezione Fuori pasto salato, sono stati riconosciuti Cleca Spa con le Sfoglie proteiche al sesamo e Salumificio Sant’Orso Srl con le originali Hot Salami Chips. Tra i latticini, si è distinta Brazzale Spa con il Burro delle Alpi a Basso Contenuto di Sodio Levosod-Pro. Nel comparto condimenti, Compagnia Alimentare Italiana ha sorpreso con lo Zafferano Spray, affiancata da Pietro Coricelli Spa con Casa Coricelli – DOP Umbria. La pasta Barilla Protein+ di Barilla G. e R. Fratelli Spa ha conquistato il segmento cereali e farine, mentre Marevivo Srl è stata premiata per le sue Cozze pastellate nella categoria Prodotti ittici. Per i prodotti da forno, si è distinta Biscotti P. Gentilini Spa – SB con le Fette Biscottate ai 5 Cereali con Semi di Lino Parma Food Lab Srl ha ricevuto il premio per Ciccina Crumble. Nel settore salumi, è stata riconosciuta l’eccellenza di Madeo Industria Alimentare Srl con il Prosciutto Crudo di Suino Nero Italiano tagliato al coltello. Un’innovazione anche nei servizi: Bob Robotics è stata premiata per il sistema Bob Promozionale nei punti vendita.
In alto: Italia Alimentari – Gruppo Cremonini. In Italia, l’azienda dispone di 5 stabilimenti produttivi nella aree di valorizzazione delle produzioni DOP e IGP. In basso: Ambra Meneghello, Daniele Bordin, Benedetta Lorenzetto e Simone Palma, AD di IPV Pack, azienda leader nella produzione plastica di materiali per l’imballaggio nei settori pet food, alimentare e industriale.
In alto: Roberto, Francesco, Marcello e il padre Piero Pini dell’omonimo Gruppo leader in Europa nel settore della macellazione e della lavorazione della carne. In basso: All Food, la Private Label Factory per il mercato di alta gamma.
1) Fabio Mussi, Generalfrigo Srl, e Luca Levoni, Gruppo Alcar Uno. 2) Daniele Cremonesi e Barbara Bordoni. 3) Stefano Aimaretti e Maurizio Manfrè di San Dan Prosciutti. 4) Stagionello® e il Metodo Cuomo® spiegati dal loro inventore, Alessandro Cuomo.
1) Lo staff di Andrea Conticelli Meat & Food Trading nello spazio di Marcial Castro S.L.: Angel Hidalgo, Romano Pedroni, Jorge Bernabe, Ruth Salinas, Andrea Conticelli e Margaret Lee Hughes. 2) Elisabetta Chiapella del Salumificio artigianale Chiapella e Marco Devalle. 3) Saverio e Francesco Renna dell’azienda omonima di Fasano, specialità di mare e terra pronte da gustare.
Ferrarini a TuttoFood presenta la nuova linea “Le Eccellenze”
Sulla spinta di un continua crescita che le ha permesso di chiudere il 2024 con un aumento del 20% del fatturato e un notevole incremento nell’export, Ferrarini — Gruppo Pini — ha scelto di presentare nella cornice milanese di TuttoFood la sua nuova linea di affettati top di gamma “Le Eccellenze”. Salumi affettati a mano con le fette posizionate con cura una ad una in una vaschetta esagonale, per conservare tutto il profumo e la freschezza del taglio appena fatto. La gamma è composta da il Ferrarini (prosciutto cotto alta qualità), l’Italica (mortadella con pistacchi e mandorle), il Pavo (petto di tacchino arrosto),e la Leggendaria (bresaola punta d’anca da carne Limousine francese). L’innovativo packaging esagonale, la cui forma originale, simbolo del marchio Ferrarini, è stata registrata, ne valorizza inoltre la presentazione e favorisce un’esperienza di consumo “premium”. Tra le altre novità esposte in fiera, il restyling di mortadella Italica proposta nel un nuovo cartone esagonale di colore azzurro e la linea “Quel tocco in più”: sei varianti di salumi a cubetti e petali in formato da 100 g, tra cui pancetta dolce, affumicata e piccante, guanciale stagionato, prosciutto cotto e tacchino arrosto.
>> Link: www.ferrarini.com
Salumi & Baci: due storie, una sola visione d’eccellenza italiana
TuttoFood Milano 2025 si è conclusa con grande successo per Salumificio San Michele e Salumificio Bordoni, che hanno scelto di presentarsi per la prima volta insieme sotto il progetto condiviso “Salumi & Baci”. «Con “Salumi & Baci” abbiamo voluto raccontare due realtà che, seppur diverse, si incontrano per portare sul palcoscenico internazionale una voce comune: fatta di rispetto per la tradizione, qualità e desiderio di innovare con intelligenza il panorama dei salumi» ha dichiarato Daniele Cremonesi, CEO di San Michele. Il salone è stato l’occasione per presentare in anteprima due importanti innovazioni di prodotto da parte di entrambe le aziende con focus sul benessere:
• Bresaola Bordoni ha lanciato la nuova bresaola con –25% di sodio, mantenendo il sapore autentico e la naturalezza che la contraddistingue;
• San Michele ha presentato Libra, il nuovo prosciutto crudo con il –25% di sodio rispetto ai prodotti tradizionali. «Innovare per noi significa prendersi cura del consumatore di oggi e di domani con prodotti buoni e sani ma sempre fedeli alla tradizione» ha spiegato Barbara Bordoni, AD di Bresaola Bordoni. «La nostra nuova bresaola è il risultato di ricerca e visione, senza mai compromettere il gusto».
A Milano, durante l’evento, Bresaola Bordoni ha ricevuto il premio alla carriera per i suoi 60 anni di attività, una storia di famiglia e territorio che continua a crescere con coerenza e passione. San Michele è stato invece premiato per la miglior campagna trade con il concept “La semplicità è il nuovo lusso”, che ha saputo comunicare con forza e coerenza l’identità del brand e il valore di una salumeria autentica ma moderna.
3) In occasione del decennale del riconoscimento IGP, il Consorzio di Tutela della Finocchiona IGP si è presentato a Milano con uno stand condiviso insieme al Consorzio Pecorino Toscano DOP dando vita ad un’isola della toscanità! 4/5) Tre le proposte in anteprima portate a TuttoFood da Levoni, la nuova linea di prosciutti cotti, la rinnovata gamma di preaffettati e l’offerta retail pensata per il mercato statunitense. Inoltre, Assaggezza – l’Accademia di Levoni – ha proposto insieme a MEatSCHOOL un percorso sensoriale dal titolo “Coppa stagionata e pulled pork. Un solo taglio, infinite interpretazioni.” A guidare la degustazione, Gian Luigi Restelli, responsabile divulgazione dell’azienda, con Paolo Garofalo e Daniele Faresin di MEatSCHOOL.
1) Matteo Manzini di Carne Secca Italia — Il vero Beef Jerky. 2) Giorgio Franci di Frantoio Franci.
Il Consorzio di tutela Salumi DOP Piacentini a TuttoFood
Il Consorzio Salumi DOP Piacentini ha partecipato a TuttoFood con un proprio stand istituzionale e un ricco programma nel corso delle 4 giornate di manifestazione. L’apertura con lo chef Matteo Castignoli dell’Antica Trattoria dell’Angelo, il locale più antico di Piacenza, che ha proposto gnocco fritto con Coppa Piacentina, Pancetta Piacentina, Salame Piacentino, e Daniele Reponi, che ogni giorno della fiera ha proposto piccoli panini, facili e veloci da realizzare senza cottura degli ingredienti, ma con gustosi abbinamenti, quindi, adatti anche ai bar che non hanno una cucina. Un’ottima e gustosa alternativa ad olive e patatine fritte per l’happy hour che recupera in pieno la tradizione dell’aperitivo italiano, valorizzando al contempo eccellenze della tradizione alimentare tutelata. I salumi DOP Piacentini sono stati serviti anche in purezza e in abbinamento con Ortrugo, Malvasia e Gutturnio della Cantina di Vicobarone Piacentino.
>> Link: welcome.salumitipicipiacentini.it
Rovagnati:
export, innovazione e la partnership con l’accademia Niko Romito
Rovagnati è tornata a TuttoFood puntando su export e innovazione, in un’ottica sempre più orientata alla sostenibilità. Dal 25o anniversario della linea Panatine, al rilancio della linea premium Borgo Rovagnati, con una particolare attenzione al segmento dei salumi senza nitriti già apprezzati in mercati internazionali come Francia e Stati Uniti. Ad animare lo stand, gli showcooking realizzati da Chef in Camicia e un menu speciale realizzato da Accademia Niko Romito. Rovagnati è infatti recentemente entrata ufficialmente tra i partner dell’Accademia, ampliando l’offerta formativa ed esperienziale degli allievi della scuola di Alta Formazione di cucina del Gruppo Niko Romito. La partnership permetterà agli studenti dell’Accademia di conoscere e approfondire il mondo della produzione dei salumi dell’azienda leader in Italia, attraverso percorsi di formazione specifici e visite didattiche; dagli stabilimenti a tutta la filiera produttiva. «Accogliere Rovagnati tra i partner dell’Accademia significa rafforzare una rete di realtà che credono nel valore della formazione, della qualità e della cultura gastronomica italiana» ha commentato lo chef abruzzese. «Vogliamo trasmettere alle nuove generazioni non solo competenze, ma anche il rispetto per la tradizione, la cura per la qualità e la voglia di innovare senza perdere le proprie radici. È da questi valori comuni che nascono le collaborazioni che fanno crescere il nostro settore e il nostro Paese». «Questa collaborazione rappresenta un’opportunità concreta per trasmettere ai futuri professionisti della cucina i valori che da sempre guidano il nostro lavoro: qualità, attenzione al territorio e continua ricerca, con uno sguardo alla sostenibilità. Il confronto diretto con studenti e docenti dell’Accademia, unito alla possibilità di raccontare i nostri prodotti attraverso percorsi formativi e attività sul campo, rafforza il nostro impegno nel sostegno al talento e nella valorizzazione dei salumi italiani di qualità”, ha aggiunto Gabriele Rusconi, managing director & board member Rovagnati.
>> Link: www.rovagnati.it
1/2) Alessandro Iacomoni, titolare di Salumeria di Monte San Savino e presidente Consorzio di tutela Finocchiona IGP. Allo stand dell’azienda, tra le altre specialità, anche il Rosina al pepe rosa. 3/4) Giuseppe, Jessica e Antonio Falcone dell’omonimo salumificio di Camigliatello Silano (CS). In degustazione allo stand, la ‘Nduja di Suino Nero Bio e il Salame di Scottona di razza Podolica. 5) Allo stand del Salumificio Mezzaluna Nerino di Fermo, Paola Mezzaluna, CEO, e il nipote Luca Mezzaluna.
4)
1) Il Salumificio San Vincenzo di Calabria di Spezzano Piccolo (CS). 2) Mariangela Grosoli, titolare di Aceto Balsamico del Duca e vicepresidente Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena. 3) Lo stand di Leoncini Salumi di Colà di Lazise (VR).
Nell’anno del suo centenario, Veroni si conferma il primo brand italiano di affettati a libero servizio negli USA (fonte: Circana). 5) Rossano Vitali e i figli Giorgia, Daria e Davide insieme allo staff del Salumificio Vitali di Castel d’Aiano (BO).
Michele
del Caseificio Defendi di Caravaggio (BG), che celebra al salone i 160 anni di attività con i suoi fiori all’occhiello tra cui le specialità con latte di bufala come il Baffalo Blu. 3) Chiara Zaccaroni e Gaia Borghi di Premiata Salumeria Italiana con Giovanni Battista Testa, direttore Consorzio Crudo di Cuneo DOP. 4) Beppino e Elisa Occelli. 5) Piero Morales, Federico Ristagno e Patrizia Minniti, CEO del Forno Minniti di Reggio Calabria. 6) Ditta Silvio Meletti di Ascoli Piceno, premiata con il prestigioso titolo di Spirit Brand of the Year 2024 da Wine Enthusiast. Orgoglio italiano!
1)
Leonardi della modenese Menù. 2) Sara Allevi
1) Gruppo Beretta e Prosciutto di Carpegna DOP, eccellenza made in Italy. 2) Roberto A. Redolfi e Francesca Petrei Castelli, CEO, di Verrigni di Roseto degli Abruzzi. 3) Lo spazio di Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 4) Gusto straordinario con i prosciutti marchiati Ibérico César Nieto. 5) Il Montasio DOP tra le stelle dell’agroalimentare a TuttoFood. «Un’opportunità per far conoscere l’unicità del nostro prodotto e rafforzarne la presenza sul mercato nazionale e internazionale» commenta Valentino Pivetta, presidente del Consorzio Montasio. 6) Consuelo Garzo titolare dell’azienda Sorelle Garzo – Olio Dolciterre di Seminara.
1) Carlo Falcone di Centro Carni Sila di Camigliatello Silano (CS) a TuttoFood con le specialità salumiere calabresi “dal cuore della Sila”. 2) Sergio Falaschi della Macelleria Norcineria Sergio Falaschi di San Miniato (PI). 3) Lo spazio del Consorzio Gorgonzola DOP, che ha partecipato a TuttoFood Milano con i giovani allievi dell’Istituto Ravizza di Novara, luogo principe nella produzione del Gorgonzola DOP. 4) Caciocavallo irpino stagionato in grotta, Gruppo D&D, Formaggi dell’Alta Irpinia.
Il
Fiorino a TuttoFood:
l’eccellenza toscana che conquista il mondo
La tradizione casearia artigianale de Il Fiorino a Milano: il Caseificio di Roccalbegna (GR) è stato tra i protagonisti della nuova edizione di TuttoFood con Casa Fiorini, «il nostro spazio espositivo al Padiglione 1, pensato come un luogo dove accogliere, degustare e condividere idee, parlare dei nuovi progetti e raccontare cosa significa oggi fare formaggi artigianali di altissima qualità» ci ha raccontato Simone Sargentoni, che insieme alla moglie Angela Fiorini è alla guida dell’azienda. «Partecipare a TuttoFood è molto più che esporre un prodotto. Per noi è un momento di dialogo, un modo per confrontarci con esperti, operatori, amici e clienti. Il nostro lavoro ha senso solo se condiviso con chi, ogni giorno, sceglie e apprezza i nostri formaggi». Fondata nel 1957 a Roccalbegna, nel cuore della Maremma grossetana, Il Fiorino è una realtà a vocazione internazionale, apprezzata in Italia e all’estero per la produzione artigianale di formaggi realizzati esclusivamente con latte di pecora proveniente da pascoli locali, selezionato con rigore per garantire un prodotto di grande eccellenza, sostenibile e ricco di identità territoriale. «Questa è la nostra forza: fare le cose bene, un passo alla volta, senza mai perdere l’autenticità. Una scelta che ci ha permesso di essere riconosciuti in tutto il mondo per l’eccellenza dei nostri prodotti». Oggi i formaggi de Il Fiorino — la Riserva del Fondatore, la Grotta del Fiorini, il Cacio di Caterina e il Pecorino Toscano DOP per citarne alcuni — si trovano nelle migliori gastronomie e botteghe del mondo e sono considerati tra gli ambasciatori del made in Italy più apprezzati dal pubblico internazionale. Un successo che si consolida di anno in anno, anche grazie ai prestigiosi riconoscimenti ottenuti nei più importanti concorsi caseari mondiali: 137 premi in 58 anni di attività.
>> Link: www.caseificioilfiorino.it
Presentato il nuovo format di Acetaie Aperte
TuttoFood Milano è stato lo scenario della presentazione in anteprima dell’evento Acetaie Aperte. Molte sono infatti le novità previste per la 24a edizione di questo appuntamento organizzato dai Consorzi di tutela dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP e dell’Aceto Balsamico di Modena IGP che si svilupperà su un’intera settimana da venerdì 26 settembre a sabato 4 ottobre con eventi, degustazioni, visite, abbinamenti insoliti, un concerto di musica lirica e il concorso Batterie d’Eccellenza. L’obiettivo è quello di rendere sempre più attraente questo momento celebrativo dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP e dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, mezzo per coinvolgere i visitatori nella cultura locale e nella tradizione; un evento utile per approfondire la conoscenza e il fascino dei luoghi di produzione, la storia delle famiglie che conducono le acetaie e grazie alla versatilità in cucina di questi due prodotti, anche i mille abbinamenti possibili. Saranno oltre 40 le porte e i sottotetti che si apriranno per far scoprire come nascono i due più preziosi tesori gastronomici della provincia modenese. Alla presentazione — moderata da Francesca Romana Barberini e tenutasi presso lo stand “Le Terre del Balsamico” alla presenza del presidente Enrico Corsini e della vicepresidente Mariangela Grosoli, degli assessori Alessio Mammi e Paolo Zanca —, Roberta Garibaldi, presidentessa Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, ha presentato il progetto di monitoraggio dedicato al mondo del Balsamico di Modena. «Quest’anno Acetaie Aperte apriranno con la Bohème al Teatro Comunale e chiuderanno con la cena di gala e la premiazione delle Batterie d’Eccellenza al Museo Enzo Ferrari» ha spiegato Corsini. «Siamo orgogliosi della sinergia che stiamo creando con altri attori del territorio modenese. Crediamo che unire le eccellenze della nostra città possa portare ancora più valore ad ogni settore, un’occasione per educare i consumatori a riconoscere i prodotti autentici e apprezzare il patrimonio storico e culturale del territorio».
L’istinto aiuta, ma oggi contano i fatti. Che si tratti di margini di contribuzione, costi delle materie prime, giacenze di magazzino o semplicemente dei prezzi giusti: con il CSB-System gestirete la vostra azienda sulla base degli indici. In questo modo avrete una visione chiara anche in situazioni non chiare.
Salumeria Italiana, 3/25
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1) Lorenzo Cifalinò con il suo Amaro Amunì: il gusto deciso della mandorla incontra la nota dolce e fresca dell’arancia, per un abbinamento siciliano perfetto. 2) Giovanni e Riccardo Picciau dell’azienda sarda Formaggi Picciau di Decimomannu (CA). 3) Latteria di Soligo, leader nel lattiero caseario del Nord-Est (68 milioni di fatturato) porta a TuttoFood il suo manifesto etico all’insegna dei valori che ispirano la sua produzione dal 1883 e lancia la prima Casatella Trevigiana Bio. 4) Grande successo del Corea Pavillon a Milano. Tra le referenze più apprezzate, i succhi bio di yuja, agrume tipico della costa meridionale di Goheung. A marzo 2025 le esportazioni agroalimentari coreane verso l’Europa hanno raggiunto circa 108 milioni di dollari. 5) Lo staff di Linea Flesh di Arzignano (VI). 6) Testo Spa, strumenti di misurazione professionali per compiti di misurazione quotidiani.
FATTORIA DANIELETTO, STAGIONALITÀ E VOCAZIONE
DEL TERRITORIO
di Gian Omar Bison
Una delle tante famiglie storiche della ristorazione tradizionale euganea, spesso accompagnata dalla produzione di vini tipici dei colli padovani. Fattoria Danieletto, con la terza generazione al comando, rientra appieno
in questa categoria di appassionati, cultori e templari del gusto, che fanno della stagionalità e della vocazione del territorio il punto di forza. E anche gli esordi sono stati gli stessi di tanti altri colleghi: azienda agricola con annesso allevamento di maiali e animali di bassa
corte, un po’ di bosco e qualche campo a vigneto. Da qui l’evoluzione con figli e nipoti che ne hanno fatto un agriturismo piuttosto che una trattoria, magari pure con qualche alloggio turistico. «Hanno iniziato i nonni Giuseppe Danieletto e Amelia Benato — puntualizza Nicola
I panigacci con i salumi che si possono gustare all’Agriturismo Fattoria Danieletto.
Danieletto — ai quali sono subentrati mio padre Alfonso Danieletto e Rita Cottarin e oggi ci siamo io e mio fratello Federico insieme alle nostre rispettive famiglie. Abbiamo sempre vissuto nella casa rurale di fronte al locale e gestito l’azienda agricola, in particolare la produzione vitivinicola. Oltre alle viti, coltiviamo le orticole e un po’ di seminativo e lavoriamo il bosco, in particolare i castagni. Io e Federico abbiamo intrapreso percorsi scolastici differenti, agrario io ed alberghiero lui, ma le nostre strade lavorative, i nostri sogni e desideri hanno sempre coinciso. In particolare, il pallino di aprire prima o poi un agriturismo».
Negli anni ‘90, terminati gli studi, Federico ha avuto modo di fare diverse esperienze lavorative come cuoco, ad Abano (PD), negli hotel e nei ristoranti del distretto termale, e poi all’estero. Nei primi anni duemila la decisione, condivisa dai fratelli, di imboccare il percorso per avviare l’agriturismo partendo dalla messa a norma e sistemazione degli immobili di proprietà. «Abbiamo aperto nel 2005 — ricorda Nicola —
potendo somministrare esclusivamente piatti freddi con insaccati e formaggi ma con una particolarità: i panigacci. Sono delle focaccine tipo piccola piadina che portiamo agli avventori stese su un piattino caldo. L’idea è stata di mio fratello che all’epoca faceva parte dello staff dei cuochi della Regione Veneto e partecipando ad un evento a Massa Carrara, in Lunigiana, ha conosciuto queste focaccine.
Negli anni a seguire siamo riusciti a raccogliere tutti i permessi necessari a disporre e a gestire l’azienda come è adesso, con una ristorazione sempre più completa e articolata ma sempre disponendo, di base, di un menù degustazione accompagnato dai panigacci e lavorando con menu di giornata, non alla carta. Una proposta che compiliamo quotidianamente utilizzando prodotti stagionali. Ciò detto, possiamo costruire un menù ad hoc sulla base di determinate richieste, eventi, ecc…
Il piatto forte è il pasticcio con pesto di rucola, noci e formaggio Vezzena. Su questo devo puntualizzare che da tempo collaboriamo con un nostro amico che
ci fa i formaggi tra Folgaria e Lavarone nell’Altopiano di Asiago. Solitamente poi serviamo tre tipi di formaggio di diversa stagionatura, tra questi anche un Asiago DOP, che presentiamo con confetture e salse di nostra produzione. La gente mediamente apprezza i sapori tipici del territorio, con materie prime fresche e che seguono la stagionalità. In primavera sono più frequenti gli asparagi selvatici, i bruscandoli , i carletti e nel periodo estivo ricaviamo tutto dal nostro orto di circa 1000 m2 In autunno castagne, funghi e zucca e in inverno i radicchi. E tutto finisce in primi con pasta fatta in casa, risotti, arrosti, bolliti, brasati».
Fattoria Danieletto è aperta venerdì e sabato sera e domenica tutto il giorno. Altre giornate solo in presenza di un gruppo numeroso, una trentina di persone circa su 60 coperti disponibili, da giustificare l’apertura. In mescita, manco a dirlo, il loro vino, dallo sfuso alle bottiglie, frutto di due ettari di vigneto, pressoché completamente esaurito in agriturismo. Oltre ad un rosso e ad un bianco sfusi troviamo bottiglie di
Serprino frizzante Colli Euganei DOC, un bianco fermo 100% uva Pinella, un rosato frizzante da uve Raboso, un Fior d’arancio DOCG Moscato giallo spumante, un Prosecco DOC, un taglio bordolese uvaggio 60% Cabernet Franc e 40% di Cabernet Sauvignon e il “Terre Rosse”, tra tutti il vino più prestigioso, che viene affinato in botte piccola.
«Vinifichiamo tutto in casa e portiamo ad imbottigliare presso altre realtà più grandi e strutturate. Complessivamente quello dei Colli Euganei è un vino di qualità con punte di vera eccellenza. L’unico problema incontrato nei decenni è che non disponiamo di un solista, un fuoriclasse unico e acclamato nel panorama internazionale. Troppe uve per troppi vini, quasi tutti eccellenti ma frazionati in troppe tipologie e per questo difficilmente promovibili sui mercati. Non si possono avere 15 tipologie di vino. Questo dipende dal fatto che storicamente si doveva fare squadra in maniera diversa. Ci sono una decina circa di cantine che hanno raggiunto una dimensione adeguata a reggere sui mercati, qualcuna pure su
quelli internazionali, e il resto vive sulle richieste del territorio. E questo non perché non si sappia lavorare o non ci sia qualità delle uve, anzi. Tuttavia, manca ancora e da tempo il gioco di squadra. Ognuno si è occupato del proprio orticello, col risultato che piccolo sarà anche bello, ma si rischia di non reggere la competizione regionale, figuriamoci quella nazionale ed internazionale. Io mi sono creato una mia realtà per la mia attività e non posso dire più di tanto. Ma in generale l’andazzo è sempre stato questo. Confido molto nel nuovo corso consortile».
Per quanto riguarda le carni, i polli vengono allevati su due cicli per un totale di 100 polli circa l’anno. Li prendono ad un peso di un chilo e mezzo circa e li portano sui 3/3,5 kg. I maiali allevati finiscono in due cicli di lavorazione e si appoggiano per la trasformazione in salumi e insaccati ad un laboratorio di Montagnana (PD), al quale conferiscono i tagli anatomici e dove fanno anche la prima parte della stagionatura che poi viene completata in azienda. «Avere una sala per la lavorazione delle carni
suine è un impegno enorme, per noi eccessivo considerato il costo, il lavoro e gli oneri amministrativi e sanitari» sostiene Nicola.
I Danieletto gestiscono anche tre alloggi turistici all’interno del circuito Airbnb. «Siamo in un territorio tutto sommato agevole per raggiungere in un’oretta Venezia, oltre alle vicine terme euganee e a Padova come città storica. La gente da noi sta bene perché può visitare i dintorni ma anche perdersi a piedi o in bici nei nostri borghi, nei nostri boschi, cammini e vie lungo le tante strade e i tanti affacci. Mi sono reso conto che all’esterno vedono il nostro territorio meglio di quanto lo vediamo noi stessi. Questa consapevolezza negli imprenditori euganei per conto mio deve crescere».
Gian Omar Bison
Fattoria Danieletto
Via Costigliola Monticello 3 35037 Villa di Teolo (PD) Telefono: 049 9901215
Parte da Cagli la campagna di Slow Food Italia per un modello di allevamento che rispetta gli animali, la terra e chi la custodisce. La due giorni marchigiana ha ospitato oltre 40 realtà artigianali molte delle quali applicano sistemi di allevamento allo stato brado o semibrado e che, nella produzione dei salumi, rinunciano a utilizzare siero di latte, caseinati e derivati del latte, starter e additivi o conservanti
Salumi di suino Sardo del Salumificio San Basilio.
A 10 anni dall’ultima edizione, Distinti Salumi ha celebrato la norcineria artigianale italiana con degustazioni, Laboratori del Gusto, un Mercato di oltre 40 produttori e tante iniziative diffuse. Centrale nel dibattito di Slow Food il ruolo ambientale, culturale, sociale ed economico che può avere un modello di allevamento di piccola scala, basato su razze locali e il rispetto per l’etologia degli animali
Èpartito da Cagli (PU) e si diffonderà in ogni angolo d’Italia, grazie alla campagna Allevare rispettando gli animali e la terra si può, il messaggio che Slow Food Italia ha lanciato in occasione di Distinti Salumi, la due giorni conclusasi domenica 27 aprile che ha celebrato la norcineria artigianale italiana con degustazioni, Laboratori del Gusto, un Mercato di oltre 40 produttori e tante iniziative diffuse. Distinti Salumi è infatti una tappa del lavoro di Slow Food per valorizzare saperi e tecniche artigianali, raccontare le storie di allevatori e produttori virtuosi insieme ai loro prodotti, ma, soprattutto, approfondire le sfide legate al settore, come l’emergenza della Peste Suina Africana e l’importante ruolo ambientale, culturale, sociale ed economico di un modello di allevamento estensivo, di piccola scala, fondato su razze locali e sul rispetto per l’etologia degli animali Distinti Salumi, dopo dieci anni dall’ultima edizione, è tornata tra le vie e le piazze di Cagli come spazio di incontro e dialogo tra allevatori, produttori, tecnici, cuochi, cittadini curiosi e appassionati.
Salumi dimenticati, biodiversità da scoprire e l’impegno a guardare avanti Francesco Acquaroli, presidente della Regione Marche, durante la visita dell’evento ha ringraziato Slow Food e il Comune di Cagli per «il potente messaggio lanciato dalla manifestazione e il lavoro costante sul territorio a difesa della biodiversità, della qualità e delle tradizioni. Eventi come Distinti Salumi sono un’occasione preziosa per esaltare le capacità produttive di tante piccole aziende, far emergere la grande qualità delle produzioni locali e offrire non solo sostegno, ma nuove opportunità di mercato ai produttori».
«Distinti Salumi è un’occasione per accendere i riflettori sulla necessità di tutelare biodiversità, saperi artigiani e filiere locali, soprattutto in contesti, come quello delle terre alte, che vivono ogni giorno lo spopolamento e la perdita di saperi artigianali costruiti nei secoli a partire dal rapporto tra uomo, natura e animali» ha sottolineato Vincenzo Maidani, presidente di Slow Food Marche. Tra le sorprese dell’evento, infatti, protagonisti di uno dei Laboratori del
Cagli durante Distinti Salumi.
Grande l’affluenza al Mercato di Distinti Salumi. Si sono contati almeno 5.000 visitatori in due giorni. Tra gli espositori, oltre ad una nutrita presenza di realtà marchigiane, non sono mancate voci provenienti dal resto d’Italia, come Tiziana Sfriso dell’azienda Lo Spineto, una piccola azienda dove Tiziana e il marito allevano un centinaio di suini di razza Nero di Parma facendo realizzare i salumi (a destra) con le carni dei loro animali da una vicina azienda attenta alla modalità di produzione.
Gusto, i salumi dimenticati marchigiani: morsetto di Fiuminata, casserotto, salsiccia dolce di Camerte. Prodotti dagli aromi speziati e sapori che riportano a tempi lontanissimi. Si possono trovare solo in qualche piccola bottega norcina di paese, dove bravi artigiani hanno conservato una grande manualità e
saperi tramandati nel tempo, e a breve entreranno a far parte dell’Arca del Gusto di Slow Food.
Grande l’affluenza nel Mercato, dove, oltre ad una nutrita presenza di realtà marchigiane, non sono mancate le voci di produttori e produttrici provenienti dal resto d’Italia, come Tiziana
Sfriso dell’azienda Lo Spineto, piccolo allevamento di Neviano de’ Rossi, Fornovo Taro (PR), dove il suino Nero vive allo stato brado (www.lospineto.it).
Il Suino Nero di Parma è «una razza autoctona resistente e rustica, quasi estinta fino ad alcuni anni fa. Abbiamo 100 esemplari, liberi di muoversi
all’aperto e di mangiare quello che trovano. Per la produzione di salumi ci affidiamo ad una realtà artigianale locale, che lavora in modo naturale, senza conservanti, con una grande attenzione alla stagionatura, elemento fondamentale per dare un valore aggiunto alla qualità del prodotto. Viste le incertezze causate dalla Peste Suina Africana, io e mio marito abbiamo avviato anche un allevamento di bovini allo stato brado e una piccola stalla da latte.
Purtroppo siamo l’anello debole della catena e forse anche quello più sacrificabile, ma resistiamo. Non solo per noi ma soprattutto per i consumatori: è una lotta di tutti, non solo nostra».
Produttori e cuochi uniti per raccontare l’allevamento slow Da Cagli parte quindi la campagna che, fino al 30 giugno, coinvolgerà la rete dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi, le Condotte e le Comunità Slow Food con centinaia di eventi finalizzati a far conoscere allevatori e norcini virtuosi, custodi di biodiversità, tradizioni e pratiche artigianali. «Il nostro lavoro è fondamentale, non solo per aiutare i clienti a fare scelte sostenibili, ma soprattutto per far conoscere» ha raccontato Davide Moioli, della Cantina Sociale di Cantiano (PU), cuoco dell’Alleanza Slow Food, che ha curato alcuni piatti dell’Osteria durante l’evento. «Spesso, quando si acquista un prodotto, non si riflette su tutto ciò che c’è dietro: al rapporto col produttore, al lavoro quotidiano, alla storia e alla cultura che accompagnano quel cibo. Ecco perché il nostro compito è raccontare non solo la provenienza della carne, ma anche il valore umano, economico e culturale che quel prodotto rappresenta
Dietro ogni piatto c’è la vita delle persone e questo va ricordato Con la campagna dedicata all’allevamento mettiamo in luce proprio questo, organizzando una serie di cene speciali, ognuna con un piatto raccontato direttamente dal produttore. Io tra l’altro in carta ho già inserito il maiale semibrado di un’azienda di Cagli, e lo utilizzo tutto, senza scarti. Anche questo è un tema su cui vogliamo sensibilizzare: l’importanza di combattere lo spreco».
>> Link: www.slowfood.it
L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA
Unico. Autentico. Di Modena.
iMEAT® by Ecod 2025: A TUTTA SALUMERIA!
Più di 200 espositori suddivisi su 3 padiglioni, oltre 9.000 visitatori professionali provenienti sia dall’Italia che dall’estero, 14.500 m2 di esposizione e intrattenimento: la 9a edizione della fiera internazionale delle carni, iMEAT® by Ecod, è andata in scena a ModenaFiere dal 23 al 25 marzo scorsi, con un bel successo di pubblico e la soddisfazione di espositori e visitatori. iMEAT, nata nel 2013 per assecondare le esigenze del mondo della macelleria, negli anni ha ampliato il suo bacino di interesse, coinvolgendo i comparti della gastronomia e della ristorazione specializzata e quello delle tecnologie, macchine, attrezzature e ingredienti dedicati all’industria di lavorazione e
conservazione di carni e salumi (ai quali è stato dedicato un intero padiglione), dando vita ad una comunità vivace e attiva, frutto della sinergia che si è creata tra i professionisti di settori solo apparentemente distanti che hanno imparato a collaborare e crescere per aprire gli orizzonti a nuove strategie di mercato.
Attrezzature, tecnologie e ingredienti
Gli espositori che hanno preso parte all’edizione 2025 hanno risposto numerosi e con spirito di partecipazione e il settore guarda avanti. Il panorama di prodotti esposti ha dimostrato come le aziende italiane, e quelle straniere presenti, siano perfettamente in linea
con l’evoluzione del mercato, sia in termini di novità che di diversificazione merceologica. La suddivisione in 3 padiglioni si è rivelata strategica e ha facilitato il percorso dei visitatori. Nel padiglione A, i contenuti di carattere tecnologico e tecnico si sono alternati a quelli di consumo: macchinari, impianti di refrigerazione, forni, macchine e tecnologie per la produzione di salumi, apparecchiature di pesatura… sono stati bilanciati da strumenti di uso quotidiano come coltelli, taglieri, abbigliamento, contenitori, ingredienti e soluzioni innovative per la macelleria moderna.
Il padiglione B ha accolto tecnologie, attrezzature, tendenze, metodi di cottura grill professionale. Grande interesse ha riscosso l’area dedicata alle dimostra-
1) Lorenzo Leoni dell’omonimo salumificio di Bibbiano (RE) specializzato nella produzione di prosciutti cotti nazionali, arrosti e altre specialità. 2) Margherita e Marcello Palmieri del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO). 3) Renzo Pelagrilli dell’omonima azienda agricola di Monteleone d’Orvieto, sulle colline umbre, in provincia di Terni. 4) Nicolas Piazza e collaboratori del Salumificio San Bono di Ponte dell’Olio (PC). 5) Alessandro Lorenzi di Salumi Lorenzi di Comun Nuovo (BG).
1) Sempre affollatissimo lo spazio di Meat Japan, la società con sede a Saronno (VA) che ha l’obiettivo di portare la cultura del vero Wagyu in Italia e in Europa puntando su sostenibilità e non spreco. In foto, Paolo Tucci, Tommaso Piccini e Salvatore Di Mento. 2) Elisa Guizzo, meat specialist ed esperta in filiera della carne, è stata tra i protagonisti di iMEAT 2025. 3) Barbara Caron, marketing manager di Criocabin Spa, nello spazio dell’azienda padovana leader nel design e nella produzione innovativa di banchi per la refrigerazione.
Manuel Mazzoli del Prosciuttificio & Salumificio Antica Foma di Nonantola (MO). 2) Dino Negrini e Pierluigi Porzi di Bonfatti Salumi – Gianni Negrini di Renazzo di Cento (FE). 3) Allo stand della S. Ilario Prosciutti di Mulazzano Ponte – Lesignano de’ Bagni (PR), Raffaele e Stefano Montali, figli del fondatore dell’azienda Piero. 4) Marianna Vergalli e il compagno Giuseppe de I Cottinforno – Artigiani per Passione. L’azienda è stata fondata nel 1986 dai genitori di Marianna, Antonio e Angela, a Sant’Andrea Bagni (PR), ed è specializzata nella produzione artigianale di prosciutti cotti e arrosti.
1)
1) Affilacoltelli FastBlade, prodotto 100% made in Italy brevettato e realizzato dall’azienda metalmeccanica veneta Menegon Ennio Sas. In foto, la famiglia Menegon. 2) Anche la Stagionare con i suoi armadi per la stagionatura dei salumi e la maturazione delle carni, ha scelto iMEAT. In foto, da sinistra, il tecnologo Franco Farioli con Paolo e Francesco Minozzi, titolari dell’azienda. 3) Molto visitato lo spazio di Epta con le sue vetrine refrigerate firmate Eurocryor. 3) Foto di gruppo nello spazio espositivo di Borin, l’azienda veronese che vanta una solida esperienza tecnico-commerciale nel settore del lavaggio e della sanificazione.
1) Fabrizio Stella e Pierluigi Pettinari della Foody Sistemi Tecnologici Altesia. 2) Patrizio Fazzini di Fazzini Technology. 3) L’esposizione di macchine della CRM di Verderio (LC) per il taglio e la trasformazione di prodotti alimentari e carni. 4) Prima volta a iMEAT per la Coldtainer, azienda specializzata in contenitori isotermici refrigerati professionali per il trasporto di alimenti e carne. 5) Successo per la partecipazione di Pagani Chef a iMEAT: i visitatori che hanno fatto tappa presso lo stand hanno potuto assistere a coinvolgenti showcooking e alla presentazione di prodotti innovativi, tra cui le nuove marinate della linea Gustosì.
1) Nello stand di Itasystem, Melissa Colombo, ufficio vendite, e Gianluca Veraldi, direttore commerciale dell’azienda specializzata in soluzioni per la tracciabilità della filiera produttiva alimentare, con la produzione di sigilli per prodotti alimentari, etichette personalizzate, packaging e servizi di grafica e stampa. 2) Lazzari Equipment ha scelto iMEAT per presentare la propria offerta delle più avanzate tecnologie da applicare alla lavorazione delle carni. 3) Tec-Al, azienda specializzata in miscele tecnologiche a base di ingredienti alimentari, additivi, aromi naturali, spezie ed erbe aromatiche, anche personalizzate. 4) Lo spazio espositivo di Techpartner, azienda leader nella fornitura di macchinari per l’industria alimentare e delle carni. 5) Arneg, leader internazionale nella progettazione, produzione e installazione di attrezzature complete per il settore del retail.
1) Lo spazio della modenese Menù. L’azienda, leader nella produzione di specialità alimentari quali condimenti, salse e creme, funghi, primi piatti, pietanze, preparati per dolci e dessert, grazie alla sua ampia offerta di prodotti, si conferma come partner affidabile per la macelleria, stimolando la creatività e offrendo proposte esclusive. 2) Linda e Roberto Cavalli, della Cavalli Meat Processing Machinery di Felino (PR). 3) La Nirso Ezio di Busto Garolfo (MI), da 50 anni specializzata nella produzione di piastre, lame e portalamette per macchine tritacarne. 4) Foto di gruppo per la Linea Flesh di Arzignano (VI), che offre prodotti per l’igiene professionale. 5) Davide Meroni e i collaboratori della Nowicki, azienda specializzata in macchinari e attrezzature per la lavorazione degli alimenti e delle carni.
zioni di cottura con forni a carbone e nuove tendenze di cottura a fiamma libera. Il padiglione C, infine, dedicato alle specialità gastronomiche italiane, è stato punto di incontro per gourmet e professionisti alla ricerca dei migliori prodotti sul mercato in grado di arricchire l’assortimento delle loro attività.
Uno sguardo al futuro
L’edizione numero 9 di iMEAT ha fornito sia una conferma sia uno spunto sul futuro. Una conferma della vivacità e impegno del settore delle carni che riafferma con sicurezza il suo ruolo nel sistema economico, alimentare e sociale del paese. Uno spunto sul futuro della società che si dimostra sempre più tesa alla crescita, all’approfondimento e all’investimento nei giovani, nelle specializzazioni, nella ricerca con serietà, impegno e competenza altissima, malgrado le difficoltà storiche e politiche. Non è tempo di indugiare ma di agire e i protagonisti della filiera, dell’allevamento e della lavorazione, della trasformazione e del commercio, della somministrazione, supportati dalla forza dirompente degli esperti della formazione guardano avanti e si preparano ad affrontare le profonde trasformazioni che la società sta attraversando. iMEAT by Ecod è stata e sarà ancora il palcoscenico ideale per confrontarsi e trarre da questa sinergia di intenti le strategie future.
Formazione, confronto e convivialità
Grande partecipazione di pubblico hanno avuto gli eventi svoltesi nella tre giorni di fiera. Innanzitutto la gara tra ristomacellerie, durante la quale si sono confrontati macellai che hanno ampliato la loro attività con la somministrazione. L’evento–showcooking è stato animato dalla presentazione di DONATO TURBA, macellaio e ristoratore, ed ELISA GUIZZO, esperta di filiera della carne. In giuria, il giornalista LUCA BONACINI, il macellaio e cuoco MATTEO VILLANI e MICHELE RUSCHIONI, fondatore di Braciamiancora, che hanno decretato vincitore assoluto Mauro Aiello di Bagheria (PA) e il suo locale Maurone Brace Primordiale, e con la preparazione Buns pork si è aggiudicato anche il premio per la miglior creatività. Il premio di Miglior presentazione è andato a Quinto
Quarto, macelleria e braceria, che ha proposto Brisket Burger Q4, mentre il premio per il Miglior gusto è andato a Calabrese Macelleria Braceria Enoteca con il Rocher di Marchigiana. Particolarmente sentita anche la competizione dedicata ai macellai norcini, che si sono fronteggiati per vincere il premio Miglior Coppa/Capocollo. La giuria di esperti ONAS ha fatto salire sul podio Giulia Storti della Macelleria Giulia di Todi (PG), che ha dimostrato equilibrio, capacità e sensibilità nel realizzare una coppa di grande profilo organolettico e qualitativo. Affluenza importante anche per i corsi di formazione professionale dedicati a diverse tecniche e dimostrazioni di lavorazione delle carni e agli incontri di approfondimento e dibattito. Hanno riscosso molto interesse, tra gli altri, i corsi sui tagli poveri e sulle loro diverse tecniche di cottura a cura di AMI – Accademia Macelleria Italiana, in collaborazione con Felipe Faccio Dilda, macellaio italo-brasiliano. Alcuni espositori hanno infine coinvolto i visitatori con le meat class, degustazioni guidate delle carni, e con gli showcooking del sempre apprezzato DANIELE REPONI, l’Artista del panino, che ha saputo ancora una volta interpretare le specialità degli espositori con i suoi panini d’eccellenza.
Appuntamento all’edizione numero 10
Il settore si trasforma, la società e il mercato evolvono e la fiera si adegua alle esigenze di un pubblico sempre più vasto ed esigente, interessato e propositivo. Porte aperte al cambiamento, sempre! «Noi di Ecod da sempre crediamo nel settore e nella sua evoluzione» sostiene LUCA CODATO, editore, ideatore e direttore di iMEAT. «iMEAT è una fiera che abbraccia il mondo delle carni a 360 gradi ed è un’occasione di confronto tra professionisti che guardano al futuro pur avendo solide basi nella tradizione. La prossima edizione di iMEAT segnerà la svolta numero 10: un traguardo importante che celebrerà il percorso fatto finora. Possiamo solo dirvi che sarà memorabile».
>> Link: imeat.it
Italiana, 3/25
CAMEMBERT SENZA PARAGONI
Morbido e a tutto pasto
di Giorgia Fieni
Si vive da sempre di confronti. Anche se è una pratica errata, che non ci fa bene, la tendenza è comunque di dire costantemente: “quella persona/cosa è più di me/della mia”. In realtà siamo tutti unici e fare paragoni è errato perché sono proprio le differenze “dagli altri” a renderci originali. Questo per dire che quando sento farli fra i formaggi italiani e quelli francesi mi arrabbio. Sono diversi, noi abbiamo le nostre eccellenze come i loro hanno le loro… E lo stesso vale per tutti i formaggi prodotti nel mondo (che non è fatto solo di due nazioni). Così oggi ci concentriamo sul Camembert… e basta!
Partiamo dal fatto che va consumato a temperatura ambiente (quindi meglio toglierlo dal frigorifero almeno 30’ prima) e accompagnato con pane, grissini, crackers, frutta fresca e verdura. Lo sapeva anche Salvador Dalì, che si dice commentò con: «Adoro il Camembert precisamente perché, quando è stagionato e comincia a sciogliersi, assume esattamente la forma dei miei orologi molli». Credo che l’immagine sia azzeccata, così come quella di Niki Segnit: «Assaggiare un Camembert maturo a temperatura ambiente è come stare seduti su una balla di fieno fresco vicino a un cestino di funghi appena raccolti, mentre si mangia un uovo con burro al tartufo», proponendo infatti di toglierne la crosta, mettervi dei funghi leggermente sbollentati e infornare: che golosità!
Émile Zola infine diceva che «sa di cacciagione», ma a questo sinceramente non ho mai pensato, anche se so che il sapore burroso diventa molto più pungente quando il Camembert matura (Csaba Dalla Zorza ha scritto che lo mangia a 5 giorni dalla scadenza perché gli dà il tempo di «affinare perfettamente»).
A proposito di forno. I funghi non sono l’unica opzione. Appena uscito da quel caldo involucro il Camembert può essere gustato con confettura di mirtilli (o di ribes… hanno entrambi l’acidità che contrasta con la sua dolcezza naturale) o con noci (o mandorle tostate) e miele: è proprio il sapore perfetto per contrastare le stagioni più fredde dell’anno. Nelle quali può anche coprire un pasticcio al forno con finocchi croccanti e salsiccia.
In primavera ed estate si consuma molto meno per il suo sapore forse troppo corposo, ma direi che potete passarlo nell’uovo e nel pangrattato, friggerlo e metterlo nel vassoio dell’aperitivo (o
dell’apericena). In questo caso il formaggio deve essere però ben congelato, in modo da risultare poi ben morbido dentro e croccante fuori.
Il Camembert può quindi essere consumato tutto l’anno, con una moltitudine di ricette, dall’antipasto al dolce. Iniziate con l’insaporirvi fichi speziati e glassati al miele, poi avvolti nella pasta sfoglia; oppure usate la pasta per preparare una torta salata con pere, miele e granella di nocciole.
Può diventare il cuore morbido di un muffin salato. Benedetta Parodi dispone lo speck a fagottini (chiusi con erba cipollina) che racchiudono crema di formaggi (il Camembert sta benissimo con robiola, caprino e grana, conditi con pepe) e inforna.
Per un primo piatto originale, lo tagliate a dadini e lo usate come condimento per la pasta, assieme ad avocado marinato con sale e limone; oppure lo servite in salsa con i gnocchi. Come secondo piatto, Dana Carpender lo propone con pollo alle mandorle.
Il Camembert va consumato a temperatura ambiente accompagnato da pane, grissini, crackers, frutta fresca e verdura. Lo sapeva anche Salvador Dalì che si dice commentò: «Adoro il Camembert precisamente perché, quando è stagionato e comincia a sciogliersi, assume esattamente la forma dei miei orologi molli»
Camembert può essere consumato in una moltitudine di ricette, dall’antipasto al dolce.
Come contorno, abbinatelo a verza e/o patate. Come dolce, va bene un Camembert al forno cosparso di caramello e granella di frutta secca e servito con fettine di mele oppure con una farcitura di cacao e affinato al whisky. Ma potete anche stupire tutti e prepararne un gelato speziato, frullandolo con panna e tabasco.
Per un “oooh” generale, seguite invece la ricetta di Anne Cazor e Christine Liénard, che presentano un “Nido d’ape”: praticamente, usando l’agar agar, formano delle perle di miele e le
servono sul formaggio al forno, creando un magnifico effetto scenografico. O abbinatelo agli insetti.
A questo punto, ci si domanda come mai il sapore del Camembert sia tanto originale e goloso. Il responsabile è proprio il Penicillium camembertii, una muffa che crea la crosta bianca (si dice “fiorita”) e rilascia quei fantastici e unici aromi sul palato. Viene aggiunto al latte vaccino pastorizzato e coagulato con caglio e lasciato stagionare una quindicina di giorni in celle col 90% di umidità. Quanto al chi abbia avuto
l’idea geniale… beh, qui entriamo nella leggenda. Si dice sia stata una contadina normanna, Marie Harel, su indicazione di un sacerdote in fuga durante la Rivoluzione francese e proveniente da una zona dove la tecnologia casearia era ai massimi livelli.
Insomma, fin dall’inizio il Camembert viaggiava per il mondo protetto dalla sua scatola di legno di pioppo, come ha scritto Irene Berni. E direi che questo lo rende senz’altro unico e senza paragoni…
Giorgia Fieni
Il
Nasce la Giornata nazionale del formaggio: sarà il 12 luglio
È stata accolta la richiesta di ONAF e dei Consorzi di tutela: si celebrerà il 12 luglio, San Lucio, patrono dei casari, la Giornata nazionale del formaggio. «La data del 12 luglio è stata scelta per celebrare la tradizione e la cultura casearia italiana» ha dichiarato Pier Carlo Adami, presidente ONAF. Ad oggi sono 43 i comuni italiani che possono fregiarsi del riconoscimento di “Città del Formaggio”, una rete che unisce territori diversi per cultura e geografia, ma accomunati da un’identità forte fondata sulla produzione casearia di qualità. Povegliano, nel cuore del Trevigiano, ad esempio, celebra la sua storia attraverso formaggi simbolo come la Casatella Trevigiana DOP, il Morlacco e il Bastardo del Grappa. Casina, sulle colline reggiane, è una delle culle del Parmigiano Reggiano DOP. Massa Lubrense, perla della Penisola Sorrentina, lega la propria identità alla tradizione della mozzarella e della lavorazione del latte bufalino e vaccino, in un contesto di paesaggio e biodiversità unico. O Roma, Città del formaggio e Caput casei, che ha sul proprio territorio 85 aziende casearie, la produzione di 4 DOP (ricotta romana, pecorino romano, mozzarella di bufala campana e ricotta di bufala campana) e di 17 formaggi PAT. «Il progetto delle Città del Formaggio — ha puntualizzato Adami — è nato per valorizzare la cultura casearia italiana nei suoi legami con la storia, l’identità e il turismo. Ogni anno le 44 Delegazioni ONAF diffuse in tutta Italia propongono alcune città. Ogni nuova investitura è un passo avanti nella costruzione di una rete che unisce qualità, tradizione e capacità di attrarre visitatori attraverso l’autenticità dei territori» (fonte: EFA News – European Food Agency).
ONAF, Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Formaggio nasce a Cuneo nel 1989. La sua attività è oggi imperniata sulla formazione degli Assaggiatori di Formaggi attraverso la realizzazione di corsi per Aspiranti Assaggiatori che si tengono in tutta Italia, con lo scopo di promuovere, diffondere, ampliare e valorizzare la cultura del formaggio e delle produzioni lattiero-casearie alla luce delle metodologie di assaggio più avanzate e della considerazione del prodotto caseario come espressione della tradizione e della realtà del proprio territorio. L’associazione, che conta oggi oltre 1.500 soci, opera sul territorio nazionale tramite la sua rete di Delegazioni che coprono buona parte delle province italiane. Inoltre, è impegnata nella collaborazione a livello europeo per lo studio delle tecniche di degustazione, la difesa delle produzioni di eccellenza e la realizzazione di manifestazioni leader del mondo caseario. Partecipa a mostre di settore ed eventi con il preciso scopo di promuovere la conoscenza dei prodotti caseari italiani a Denominazione di Origine, insieme alle produzioni minori, attraverso l’utilizzo della tecnica dell’assaggio volto a ricercare le caratteristiche che esaltano la qualità e l’anima del formaggio.
>> Link: www.onaf.it
LA VERDE UMBRIA L’EXTRAVERGINE DI QUALITÀ
E IL TURISMO DEDICATO
di Fabrizio Bertucci
“In Umbria la coltivazione dell’olivo è tra le più antiche d’Italia, dato che i primi a curare questa pianta fruttifera furono gli Etruschi. Una delle più potenti città dell’Etruria, l’antica Volsinio, oggi Orvieto, ricavava la sua ricchezza e prosperità proprio dalla produzione agricola, compreso il commercio dell’olio. Già nel primo secolo a.C. l’olio era tra le più rilevanti produzioni agricole della regione. Antichissimo porto dell’olio era Otricoli, posta in una antica e ampia ansa del fiume Tevere, da dove le anfore raggiungevano la Capitale dove, dai Romani, l’oro umbro veniva considerato tra i più pregiati…” (fonte: winenews.it).
Avrete capito che oggi, per la mia nuova Evo Experience, sono in Umbria, al Castellaro Country House, a Ponte Pattoli, a pochi chilometri da Perugia. Qui Andrea Paolo Caporali e Itziar Cebollada Piñero, con passione e lungimiranza, hanno saputo unire qualità di produzione ad ospitalità, dando l’opportunità ai visitatori di degustare il loro meraviglioso Olio extravergine di oliva DOP Umbria Colli del Trasimeno toccando con mano prima un percorso tra gli oliveti, per passare ad una puntata tecnico/didattica tra le apparecchiature del frantoio e goderne infine in sala degustazione. Dove si sperimentano i riconoscimenti organolettici guidati mediante analisi olfattiva e gustativa, per poi ancora, perché no, fermarsi qualche giorno per ristorare corpo e anima in piscina, al ristorante e nelle camere panoramiche.
In attesa del nuovo frantoio, Paolo mi racconta del suo girovagare per il mondo, acquisendo esperienze internazionali e formazione continua, per poi fermarsi in Spagna dove incontra Itzy con la quale, rientrati in Italia per il richiamo della terra, condivide la vita e questa meravigliosa avventura da produttori che già regala feedback positivi, riscontri in termini di qualità organolettica, vendite e riconoscimenti.
6.000 piante in 30 ettari, l’Azienda Agricola Fratelli Caporali riesce a realizzare questo blend di grande equilibrio tra le tre cultivar regine del Centro Italia (Leccino, Moraiolo e Frantoio) con nota polifenolica — amaro/ piccante — presente ma mai invasiva, raccogliendo le olive mai più tardi di
ottobre e andando in molitura entro le 24 ore dalla raccolta. La temperatura del ciclo continuo è controllata e mai al di sopra dei 27 °C (il famoso estratto a freddo). E, naturalmente, attento filtraggio al fine di rendere il prodotto cristallino a vantaggio della conservazione. Insomma, tecnica, competenza, sacrificio e tanta passione.
E poi ci troviamo in un contesto rurale ma elegante, in un angolo incontaminato di Umbria che consente di abbandonarci al silenzio e alla tranquillità per recuperare le energie in una irripetibile combinazione tra natura e benessere. La villa del 1575 sorge su un suolo intriso di storia e di antiche leggende, che per secoli ha fatto da sfondo alla magnificenza delle più insigni famiglie della nobiltà perugina. Con le loro straordinarie vicende e la loro personalità hanno modellato i terreni, lasciando un segno che ancora oggi ammanta di fascino ogni angolo della tenuta. Il giardino porta l’illustre firma di PIETRO PORCINAI, architetto paesaggista italiano, l’ultimo tra tanti importanti nomi che ne hanno calpestato la terra.
Al ritorno da questa esperienza unica, concludo ricordandovi che l’oleo-
turismo è una risorsa per i produttori, ma al tempo stesso una grande opportunità per i consumatori che hanno occasione di conoscere il prodotto nel contesto in cui si realizza. E l’Italia vi offre di queste perle in ogni regione.
Provate ad aprire una bottiglia di olio extravergine di oliva sul tavolo della vostra cucina, mettetela su una fetta di pane e mangiatela. Ora invece provate ad immaginare di farlo su una bruschetta, al tramonto, in oliveto, su una balla di fieno adibita a tavolino, con tovaglia a quadri bianchi e rossi e calice di vino del territorio, dopo aver trascorso una giornata a far trekking tra gli alberi, didattica in frantoio, riconoscimenti organolettici e un bagno in piscina…
Buona estate dal vostro Chef dell’Olio. Fabrizio Bertucci
Castellaro Country House
Strada Ponte Felcino – Ponte Pattoli 44/E 06134 Perugia
Nel mondo italiano dell’extravergine d’oliva la DOP Umbria ha avuto il merito di essere tra le prime Denominazioni D’origine Protetta ad entrare nel percorso di certificazione. La regione vanta poi il primato di una Strada dell’Olio dedicata (Strada dell’Olio Extra Vergine di Oliva DOP Umbria, www.stradaoliodopumbria.it) e iniziative come le Evo & Art Experience che, durante l’evento nazionale Frantoi Aperti (in programma dal 18 ottobre al 16 novembre, www.frantoiaperti.net), presenta 500 suggerimenti e proposte nell’arco di 5 fine settimana, con 30 frantoi coinvolti. Questi successi sono stati possibili perché il settore oleario umbro è cresciuto molto in qualità negli ultimi anni, ammodernandosi a livello tecnologico, e i casi di frantoi 4.0 di nuova generazione sono sempre più diffusi. «C’è stata una grande evoluzione nell’olio contemporaneo umbro, un prodotto completamente diverso rispetto a quello che si produceva 10-15 anni fa» sottolinea Paolo Morbidoni, presidente della Strada Olio DOP Umbria. «Quello che manca, però, è l’evoluzione in campo. C’è stata una grande trasformazione tecnologica, ormai i frantoi
sono tutti abbastanza moderni, ma in campagna troviamo tante coltivazioni tradizionali. C’è ancora molto da fare, anche se ultimamente sono entrati in produzione nuovi uliveti, più al passo con i tempi».
La DOP Umbria è composta da 5 sottozone: Assisi-Spoleto, la più grande; Colli Martani, dove è presente la varietà San Felice, introdotta dai monaci durante il Medioevo; Colli del Trasimeno, intorno al lago che determina un microclima particolare; Colli Orvietani, una sottozona che ricade su terreni vulcanici; infine, Colli Amerini, dove troviamo una cultivar autoctona e particolare come il Rajo, molto resistente al freddo.
Oggi le caratteristiche degli oli sono cambiate grazie ai sistemi di trasformazione, quindi anche varietà che un tempo erano considerate meno strutturate con le tecniche di lavorazione moderne esprimono caratteri prima impensabili. Olive varietali come la Dolce Agogia o la San Felice, storicamente considerate dolci, se lavorate anticipatamente e con una giusta attenzione in frantoio, ci danno ora oli amari e piccanti e ricchi di note complesse.
Il Rajo, in particolare, è una cultivar complicata da gestire, con piante molto
grandi che normalmente entrano in produzione dopo anni rispetto ad altre varietà, i cui nuovi impianti sono già pronti in un triennio. Il Rajo va infatti in produzione dopo 10-12 anni.
Sui Colli Amerini sono presenti tante piante secolari di Rajo, un patrimonio unico. Da questa cultivar si ottiene un evo complesso, un fruttato medio con note di piccante e amaro abbastanza attenuate; una cultivar delicata e difficile da lavorare, ma se franta al momento giusto e correttamente trasmette note interessanti come il mallo di noce.
Un’azienda che ha puntato con risultati di eccellenza sulla varietà è il Frantoio Suatoni: agricoltura sostenibile, oltre 6.000 ulivi a conduzione biologica certificata, così come l’intera filiera produttiva. A guidarla oggi con approccio contemporaneo è una coppia affiatata e appassionata: Francesco Suatoni (terza generazione) e la moglie Giuditta Marsili. L’azienda fu creata nel 1949 da Franco Suatoni e nel 1967 il figlio Vincenzo creò un frantoio oleario insieme a tre soci.
La tenuta dei Suatoni vanta in particolare la presenza a 400 metri slm di un oliveto storico secolare di cultivar Rajo (Presidio Slow Food), 300 esemplari di piante di età compresa tra i 400 e i 600 anni secondo le stime del CNR di Perugia. Altri studi hanno dimostrato che l’antica varietà ha avuto la funzione di impollinatore di altri olivi secolari di cultivar Moraiolo presenti in azienda.
L’olio evo Monocultivar Rajo Suatoni trasmette sensazioni olfattive erbacee e note balsamiche di sottobosco, sentori di mallo di noce, cardo, pomodoro. Un evo con un bel bilanciamento tra amaro e piccante. Le olive sono raccolte nella prima decade di novembre e subito frante. Fruttato medio, si abbina a crostini caldi, insalate di ceci, zuppe di legumi, carne bianca, piatti di pesce azzurro, baccalà e zuppe marinare.
Ritroviamo infine la varietà anche nel blend dell’olio BIO San Valentino, insieme a Frantoio, Leccino e Moraiolo, un extravergine bilanciato tra amaro e piccante, con note verdi e di cicoria, lattuga e sentori speziati di pepe nero e noce matura.
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.
Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
Parroci e vigne
L’ESEMPIO DEL RUCHÈ CON DON GIACOMO CAUDA. UN APPROCCIO ORIGINALE AL VINO
di Riccardo Lagorio
A fine anni ‘90 nessuno, neppure a Torino, conosceva il Ruchè. Il primo a vinificarlo e venderlo in bottiglia fu Don Giacomo Cauda cinquant’anni fa
Un tema che risulta ancora poco trattato in letteratura è il rapporto tra vino e chiesa. Non per indagare le abitudini alimentari di chi ricopre il sacro ministero, quanto piuttosto per evidenziare il ruolo strategico che certi parroci hanno rivestito nel recuperare vitigni e vini sull’orlo della scomparsa, umili e fecondi operai nella vigna del Signore, per dirla con Benedetto XVI.
Sfogliando le cronache di parroci operai della vigna, in effetti, se ne incontrano numerosi: dal caso del riscatto del Prié Blanc portato a nuova luce da don Alexandre Bougeat in quel di Morgex alla meritoria opera di Papàs Elia Hagi nella promozione e nello sviluppo dell’odierna viticoltura arbëreshë sulle colline calabresi di antica cultura albanese o al salvataggio del Ruchè avvenuto negli anni ‘60 da don Giacomo Cauda
In alto: Luca Ferraris, a capo dell’omonima azienda agricola. “La filosofia che da sempre accompagna il mio lavoro è quella di riuscire a far combinare il rispetto della natura, della tradizione e della tecnologia per poter ottenere sempre il miglior risultato possibile, investendo tempo e non solo nella ricerca del massimo” scrive sul sito aziendale. Una delle priorità di Ferraris è stata quella di dare forte impulso all’enoturismo, organizzando eventi in vigna e fondando il Museo del Ruchè. In basso: la cantina “storica” dell’azienda Garrone per l’affinamento in legno. Nelle pagine 108 e 109: le colline con viti di Ruchè dell’Agricola Ferraris.
a Castagnole Monferrato (AT). L’anno da poco concluso ha peraltro coinciso per il Ruchè con il cinquantesimo anniversario della prima bottiglia voluta da don Cauda.
Ferraris Agricola, Castagnole Monferrato (AT)
La Vigna del Parroco è oggi condotta da un altro profeta del Ruchè, Luca Ferraris. Iscritto alla Facoltà di Agraria, trascorreva le estati nel vigneto del nonno. «A fine anni ‘90 nessuno, neppure a Torino, conosceva il Ruchè. Eppure, grazie al nostro importatore americano, nel 2003 ci fu la svolta. RANDALL GRAHAM era un appassionato di uve autoctone e rappresentò la nostra prima finestra sul mondo». L’incontro ha segnato profondamente Ferraris, tanto che l’azienda si concentra per oltre il 75% sul Ruchè.
La storia dell’Agricola Ferraris è una sorta di sogno americano al contrario. «Con i guadagni fatti Oltreoceano il bisnonno acquistò una cascina che il
nonno condusse, ma non trovò continuità con mio padre, che si trasferì a Torino. Tornai nel 1999, cercando di interpretare le potenzialità di questa terra». Tra il 2005 e il 2015 ingenti investimenti hanno trasformato il paesaggio delle colline intorno: gli ettari vitati passarono da 50 a 200, riconvertendo i gerbidi a vigneto e sancendo la conoscenza del Ruchè fuori dai confini monferrini.
Nella moderna sala ricevimento inaugurata 15 anni fa sono esposte le cinque declinazioni della DOCG Ruchè, di cui quattro originari da singoli appezzamenti. Tra queste anche Vigna del Parroco, interrata da don Cauda nel 1964, ovvero la vigna più vecchia interamente coltivata con questa varietà, rivolta a Nord-Est: un cru a tutti gli effetti. Ferraris ottiene da vendemmia manuale – «essendo stata piantata cinquant’anni fa, non è pensata per la vendemmia meccanica» — un vino luminoso, rubino e con sfumature porpora che regala al naso esaltanti aromi
di rosa e geranio, ciliegie e susine. Dal sapore asciutto, le annate dal 2010 al 2013 hanno evidenziato una notevole stoffa e buona persistenza.
A pochi chilometri, ma con esposizione a Sud-Ovest, Castelletto di Montemagno Riserva è una superba rappresentazione delle potenzialità del Ruchè: complesse sensazioni di rosa e spezie al naso sono seguite da un perfetto amalgama di note di tabacco e bosco al palato. «La storica etichetta Opera Prima è dedicata al fondatore e possiede grande appeal tra i consumatori. Le uve provengono dal Bricco della Gioia» e trasformate con cura forniscono un concentrato di sfumature rubiconde, sentori di rosa e marasca con brividi di erbe aromatiche in bocca.
Sant’Eufemia, da uve raccolte sulla omonima collina, e Clàsic, i cui grappoli provengono da più appezzamenti, sono le versioni più schiette e immediate, eppure complesse e raffinate.
Una delle priorità di Luca Ferraris tornato sulle colline degli avi è stata
A sinistra: Dante Garrone. Il primo ad impiantare un vigneto di Ruchè nel territorio di Grana. L’altro è nel territorio di Castagnole Monferrato. A destra: Fabrizia Caldera, il marito Roberto Rossi e il figlio Fabio. L’approccio artigianale in vigna e cantina è la stella polare che Fabrizia ha insegnato a Fabio, che inaugura la quinta generazione di una famiglia dedicata alla coltura delle vigne. Nell’etichetta del Ruchè Prevost anche qui è evidente il richiamo a don Cauda. Affinato per la maggior parte (70%) in acciaio, acquista al naso netti sentori di cardamomo e ciliegia.
quella di dare forte impulso all’enoturismo, organizzando nei fine settimana estivi un’oasi di riposo serale tra i vigneti con l’allestimento di una casetta mobile di legno, sdraio e balle di fieno su cui poter degustare un bicchiere di Ruchè accompagnato da stuzzichini. E, soprattutto, avere dato vita al Museo del Ruchè nella primigenia cantina in centro a Castagnole Monferrato. Si tratta di un percorso sensoriale con omaggi mirati alla memoria dei tanti che hanno lavorato per far conoscere queste colline, in particolare don Cauda e Randall Graham. Piccoli gruppi possono provare diverse annate di Ruchè al termine della vista nel salone al piano rialzato. ferrarisagricola.com
Azienda Agricola Garrone, Grana (AT)
La voce pacata e ferma di Dante Garrone rivela un’altra faccia del Ruchè, sempre profumato di fiori, specie rosa e lavanda, tuttavia più adatto alla bevibilità immediata. «È un vino barocco, ricco di sfumature, rappresentabili nei multicolori bicchieri dell’etichetta che ho adottato. A differenza dell’altro vitigno
locale, il Grignolino, gotico, ovvero caratterizzato da un accentuato verticalismo. Entrambi vini dal grande futuro, visto che le statistiche ci informano della crisi dei grandi rossi determinata dall’abbandono dei giovani». vinigarrone.it
Vini Caldera, Portacomaro Stazione (AT)
La cantina in mattoni di Fabrizia Caldera risale al 1902, opera del bisnonno Prospero. Si sdraia su una delle colline di Portacomaro Stazione e svela che l’antica usanza del vino sfuso non è ancora scomparsa. «Sempre meno, in verità, ma il fenomeno ancora regge grazie alle persone anziane e abituate ad avere la propria damigiana» spiega, indicando da lontano la casa della famiglia Bergoglio, gli avi di papa Francesco. L’approccio artigianale in vigna e cantina è la stella polare che Fabrizia ha insegnato al figlio Fabio, che inaugura la quinta generazione di una famiglia dedicata alla coltura delle vigne. Anche qui è evidente il richiamo al don Cauda nell’etichetta del Ruchè, Prevost. Affinato per la maggior parte
(70%) in acciaio, acquista al naso netti sentori di cardamomo e ciliegia, stupisce per la complessità e profondità in bocca virando da ricordi di susina a quelli più evoluti di spezie come la noce moscata. vinicaldera.it
Esse Erre Agricola, Castagnole Monferrato (AT)
Il viaggio alla scoperta del Ruchè può continuare tornando sui propri passi a Castagnole Monferrato dove Edoardo Rossi, Giulia Montina e Simone Serra con entusiasmo preparano un Ruchè morbido e vellutato al palato, attraente agli occhi per limpidezza e colore, gradevole al naso per la sottile speziatura. sragricola.it
Tenimenti Famiglia Cavallero, Scurzolengo (AT)
Necessita qualche istante un più di raccoglimento Genesi , il Ruchè di Franco Cavallero ottenuto da uve parzialmente appassite del Vigneto Mezzeta per tre settimane e affinando il vino per tre anni in botti di rovere. Rubino intenso, profumato di cardamomo e coriandolo rilascia anche aromi resinosi
La barricaia dell’azienda La Mondianese di Montemagno Monferrato (AT).
e pungenti. L’armonia e la complessità di sapori esaltano il palato, «come nel mistero della genesi rappresentato dall’etichetta, volutamente ermetica e speculativa». Pro Nobis è un’altra versione di Ruchè da uve del Vigneto Sant’Agata e passa due anni in botte di quercia. Le spiccate doti organolettiche del vino si ritrovano ancora nell’arguzia dell’etichetta, ricca di simbolismi legati alle quattro stagioni della natura e ai quattro apostoli. Na Vota è il primo Ruchè vinificato, la prima esperienza che ha guidato gli esperimenti di cui s’è appena scritto. È il vino legato alle origini contadine del territorio, armonico, piacevole e sempre pronto per essere versato: sia una merenda, un aperitivo o un pasto. La speziatura sostenuta consente di avvicinare anche qualche dolce a pasta secca. tenimentifamigliacavallero.com
La Mondianese, Montemagno
Monferrato (AT)
A Montemagno Monferrato la passione di Daniela Petino, coadiuvata dall’enologa Giancarla Domini, ha permesso di sviluppare Oniro, un gradevole Ruchè dai tannini vellutati che accompagna i picnic in vigna durante il periodo estivo. La sperimentazione è andata a buon fine con A tutto Rosa, vino rosa ottenuto da Ruchè e Grignolino dall’invitante colore di buccia di cipolla e dall’aroma di fragola e con Barù, acronimo di Barbera e Ruchè, floreale e caldo. Noah, assemblaggio di Cabernet, Shiraz e Ruchè, col suo finale emblematico di liquirizia dimostra l’equilibrio sartoriale della cantina. lamondianese.com
Deo gratias
Si narra che don Cauda anteponesse la vigna al suo ministero e avesse ricoperto la parrocchia di debiti. «Che Dio mi perdoni per aver a volte trascurato il mio ministero per dedicarmi anima e corpo alla vigna. Finivo la messa, mi cambiavo in fretta e salivo sul trattore. Ma so che Dio mi ha perdonato, perché con i soldi guadagnati dal vigneto alla fine ho creato l’oratorio e ristrutturato la canonica» diceva nei suoi ultimi anni di vita. Se oggi vedesse queste colline ordinate avrebbe tanto altro da aggiungere per il suo perdono.
Riccardo Lagorio
Salumeria Italiana, 3/25
COLLIO, MAREMMA E MONFERRATO
Testi e foto di Massimiliano Rella
A destra: Ribolla gialla della Linea Collio di Borgo Conventi e Filare 23, il Viognier Toscana IGT della famiglia Casadei. In basso: Ursula e Ulisse, i due cavalli da tiro Comtois usati come aiuto nelle lavorazioni dei vigneti alla Tenuta Casadei di Suvereto.
BORGO CONVENTI, FRIULI-VENEZIA GIULIA
La Ribolla gialla della Linea Collio di Borgo Conventi si distingue per il colore giallo paglierino e il bouquet intenso e caratteristico, con note olfattive floreali marcate, sfumature di caprifoglio e un leggero sentore di frutta tropicale. Al palato è fine, fresca, elegante, con vivace acidità e piacevole sapidità. Il retrogusto è persistente. Questo vino Collio DOC è ottenuto esclusivamente da uve Ribolla gialla e ha un buon potenziale d’invecchiamento, potendo affinare per alcuni anni in bottiglia. La vinificazione prevede una pressatura soffice seguita da una fermentazione di 10 giorni in tini di acciaio inox a temperatura controllata. In alcuni casi, una piccola percentuale di uve selezionate è sottoposta ad una breve macerazione a freddo prima della pressatura. Dopo la fermentazione, riposa sulle fecce fini per l’inverno fino all’imbottigliamento in primavera. Versatile, raffinato, è un vino perfetto come aperitivo e si abbina
con eleganza a piatti di pesce, insalate ricche, primi piatti a base di verdure e carni bianche.
A produrlo è la famiglia Moretti Polegato. La storia di Borgo Conventi cominciò con un nobile proprietario terriero, un frate e un appezzamento di terra destinato ad ospitare il primo monastero di Farra d’Isonzo, secondo l’antica leggenda che ne ispira il nome. Fondata nel 1975, l’azienda ha da sempre l’obiettivo di produrre vini raffinati ed eleganti grazie ad una viticoltura dalle radici profonde.
Per secoli, Villanova di Farra fu un feudo dei conti Strassoldo di Villanova e proprio uno di loro, detto “il Rizzardo”, donò nel ‘600 un appezzamento di terra ai padri domenicani, che vi costruirono il primo convento della zona. Nel 1975, Gianni Vescovo fondò l’azienda con la promessa di produrre vini di grande finezza. Un impegno rinnovato nel 2019 con l’acquisizione della tenuta da parte della famiglia Moretti Polegato, che ha rafforzato la cura del vigneto e la ricerca della qualità. www.borgoconventi.it
TENUTA CASADEI, TOSCANA
Filare 23 è il Viognier Toscana IGT della famiglia Casadei, un bianco elegante di colore giallo paglierino brillante con sfumature dorate, al naso esuberante e complesso, con intense note di frutta a polpa gialla matura, succo d’uva, pesca e albicocca, che si evolvono in richiami floreali ed erbacei con una maggior ossigenazione. Un Viognier in purezza che esprime la ricchezza del terroir di Suvereto, incantevole borgo in provincia di Livorno. Vinificato e affinato in legno, questo bianco strutturato si distingue per la freschezza vivace e una profondità salina che ne esalta il finale. Con una gradazione di 14%, ha un ottimo potenziale d’invecchiamento, dai 4 agli 8 anni. Si abbina perfettamente a guazzetti di pesce, carni bianche arrosto e piatti della cucina orientale.
Circondato dal tipico paesaggio maremmano di cipressi, pini, sughere e olivastri, il vigneto aziendale si estende per 16 ettari coltivati con vitigni internazionali e offre diverse esperienze enoturistiche. Seguendo un protocollo BioIntegrale, la gestione del suolo prevede pratiche sostenibili, ad esempio l’impiego di due cavalli da tiro – Ursula e Ulisse — per evitare di stressare la terra e altre pratiche nel rispetto di un approccio che valorizza l’integrazione tra
uomo e natura. La vinificazione avviene in anfora e cemento. I frutti marcescenti lasciati tra i filari testimoniano l’assenza di lieviti selezionati: si usano solo quelli indigeni, in un processo biodinamico certificato. Gli insetti trasportano i saccaromiceti tra le vigne, garantendo in vendemmia un pool di lieviti autoctoni che arricchiscono la fermentazione. L’azienda coltiva anche un piccolo orto di camomilla e ortica, utilizzate per decotti nei trattamenti fitosanitari, e dispone di una centrale biodinamica dedicata alla preparazione dei composti (500 e 501) per la dinamizzazione del suolo.
Stefano Casadei, il proprietario, enologo e fondatore di Tecnovite, si occupa di progettazione di nuovi vigneti, lavorazioni manuali e meccanizzate e ricerca e sviluppo nel settore. Ha sviluppato una centralina sperimentale per il monitoraggio ambientale, in grado di rilevare temperatura, umidità, vento, piovosità, bagnatura fogliare, qualità dell’aria e altri parametri fondamentali per la gestione della vigna. famigliacasadei.it
AZIENDA AGRICOLA
GARRONE, PIEMONTE
La cantina Garrone Evasio & figlio, in Monferrato, produce tre rossi meno conosciuti fuori regione rispetto ai
più blasonati Barolo e Barbaresco. Sono il Grignolino d’Asti, il Ruchè di Castagnole Monferrato e la Freisa. Cominciamo con il Grignolino. Se fino ad una trentina d’anni fa questo vitigno rischiava di sparire, oggi ha numeri per ritagliarsi una fetta crescente di mercato. C’è chi intravede i segnali di un fenomeno emergente, forse con ottimismo, di sicuro il prodotto ha riconquistato una buona reputazione tra i critici, soprattutto per la sua identità organolettica particolare.
Il Grignolino d’Asti è infatti un po’ diverso da altri rossi piemontesi: ha corpo sottile, un tannino spiccato, l’acidità altrettanto pronunciata; caratteristiche che lo rendono versatile e adatto ad abbinamenti anche con piatti di pesce e focacce.
Il motivo di questa rinascita ce lo spiega Dante Garrone , presidente dell’Associazione Produttori Grignolino d’Asti DOC e Piemonte Grignolino Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato e produttore di lungo corso: «Forse un tempo si erano lanciati in troppi a produrlo e spesso senza raggiungere risultati lusinghieri. Questo, alla lunga, ha avuto l’effetto di inflazionare il mercato, fino ad affossarlo.
Di conseguenza, alcuni espiantarono i vigneti abbandonando un vino considerato non più remunerativo.
Dante Garrone, produttore a Grana (AT).
In anni recenti, però, tante cantine si sono riavvicinate al Grignolino, che sta dimostrando di avere spazi di mercato interessanti, dove si premiano quei vini di corpo più sottile, rossi più giovani e freschi, e se vogliamo anche estivi, non di facile beva ma certamente meno impegnativi rispetto ad altri rossi piemontesi» conclude Garrone.
La degustazione
Di colore rubino brillante, il Grignolino d’Asti Doc all’olfatto si presenta con stuzzicanti note di viola e geranio, al palato ha aromi di ciliegia, lampone, mirtillo. Non lasciatevi ingannare dal colore “scarico” e abbinatelo anche a piatti di sostanza, addirittura ad una saporita zuppa di pesce.
Passiamo ad un vino autoctono e particolare come il Ruchè di Castagnole Monferrato, una DOCG poco conosciuta tra i non intenditori e molto caratterizzata da profumi di ciclamino e geranio, sottili note di rosa e menta, insomma da un insieme di aromi floreali che sorprende all’istante chi lo approccia per la prima volta.
L’area di produzione del Ruchè è circoscritta a 7 Comuni della provincia di Asti: il paese “simbolo” di Castagnole Monferrato e le vicine Montemagno, Grana, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi. Colpisce al volo,
Salumeria Italiana, 3/25
dicevamo, eppure nel ‘900 il vitigno Ruchè fu abbandonato a vantaggio di varietà più semplici da coltivare come la Barbera, meno costose e impegnative nella lavorazione in vigna e in cantina. Fu riscoperto soltanto negli anni ‘70 da un parroco di campagna, Don Giacomo Cauda, che tra un sermone e una preghiera dedicava “quote” della sua fede al mondo di Bacco, tanto da scusarsene con il Signore.
Godiamocelo allora un calice di Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG, che Garrone coltiva in due vigneti, tra Grana e Castagnole Monferrato. Affinato in acciaio, ha suadenti profumi di rosa appassita e viola, note di ciliegia e mora e un palato piacevolmente speziato. Ottimo con primi e secondi piatti delicati, per non offenderne l’eleganza…
Infine il Freisa d’Asti DOC, un altro rosso “minore” del Piemonte, un vino giovane che fa solo acciaio, con una piacevole e leggera “effervescenza” di sottofondo, ottenuta con breve fermentazione in autoclave e imbottigliamento a freddo. Rosso granato con riflessi rubini, all’olfatto spiccano le note di rosa e i sentori di viola e geranio, al palato un bel fruttato di ciliegia, mora, mirtillo e note vegetali, dal timo ai chiodi di garofano. www.vinigarrone.it
Freisa d’Asti, Ruchè e Grignolino d’Asti di Garrone Evasio & figlio.
Nasce il pane Slow
Obiettivo: riunire tutta la filiera per promuovere un pane di qualità, fatto con grani tradizionali locali prodotti con metodi agroecologici
Forse nessun altro alimento ha una valenza sentimentale e di appartenenza così forte come il pane, in tutte le sue declinazioni. Semplice e speciale al contempo, con una filiera in cui è essenziale il saper fare del panettiere
Ogni anno, il 16 ottobre, la Giornata Mondiale dell’Alimentazione — istituita dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) nel 1979 — mira a sensibilizzare l’opinione pubblica su una delle sfide ahimè ancora tragicamente attuali del nostro tempo, ovvero garantire un accesso equo e sostenibile al cibo per tutti. Dal 2006, è stata istituita nella stessa giornata anche la Giornata mondiale del pane, un’occasione per riflettere sul ruolo centrale di questo alimento, uno dei più antichi e amati,
nella nostra cultura e nelle nostre abitudini alimentari. Una ricorrenza che mira anche a rendere omaggio alle abilità dei panificatori e all’arte tradizionale della panificazione. Slow Food Italia ha deciso di celebrarla con il Manifesto del pane Slow, cibo di base quotidiano che rappresenta identità culturale e, al contempo, condivisione, solidarietà, scambio tra le comunità. Una sorta di ponte di pace tra i popoli. Eppure il pane è anche uno dei cibi più sviliti, ultraprocessato, farcito con additivi, preparato con grani coltivati facendo uso massiccio di chimica…
Un pane come strumento per vincere la sfida dell’accesso e del diritto al cibo per tutti «La grande sfida di garantire il diritto al cibo per una vita e un futuro migliori, come indica la FAO per questa Giornata Mondiale, per noi parte dal modo in cui gli alimenti sono prodotti, trasformati e distribuiti, anche il pane» sottolinea Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia. «C’è un cibo che fa male, frutto di un sistema preciso, dove spreco, sfruttamento e fame sono elementi necessari, l’altra faccia del consumo e del profitto. E poi c’è un cibo che fa bene alle persone e ai territori, fatto di storia, cultura, convivialità, piacere.
Il Manifesto del pane Slow ha l’obiettivo di riunire contadine e mugnai, fornai e pastaie, ma anche cuochi, tecnici e istituzioni che in esso si riconoscono e lavorano per coinvolgere una comunità sempre più ampia di cittadini. Nelle
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aree interne, in particolare, i grani tradizionali prodotti con pratiche agroecologiche possono rappresentare una leva di sviluppo importante».
Una storia fatta di grani
Il Manifesto è frutto di un percorso importante dell’associazione della chiocciola: «Era il 2016 quando, con la prima edizione di Sementia, a Benevento, Slow Food cominciava a mettere a punto i principi di una rete nata dal basso che valorizzasse i grani tradizionali locali, rafforzasse le filiere e con esse i territori, le culture e le professionalità» ricorda Mimmo Pontillo, referente della rete Slow Grains
«Oggi la rete conta oltre 150 aziende che in tutta Italia producono, trasformano e offrono prodotti a base di grani che fanno bene ai territori, alle comunità, alla salute di chi li produce e di chi li mangia».
LA DIGITALIZZAZIONE È UN’OPPORTUNITÀ: CON L’ERP CSB-SYSTEM VERSO IL FUTURO
L’obiettivo di qualsiasi azienda è lavorare in modo sempre più efficiente e più flessibile al fine di aumentare la sicurezza alimentare e i margini di guadagno. Oggi più che mai, digitalizzazione e automazione possono essere la ricetta del successo per tutte le aziende del settore alimentare, indipendentemente dalle dimensioni. Uno sguardo alle aziende leader dimostra quanto le tecnologie digitali e l’automazione conducano a miglioramenti decisivi. Ma qual è la ricetta per il successo? Sicuramente non è necessaria una strategia elaborata fin nel più piccolo
dettaglio. Si tratta piuttosto di migliorare passo per passo processi, metodi e tecnologie già esistenti. Con piccoli progetti pilota si acquisisce la capacità e l’esperienza per favorire la creazione di un’infrastruttura tecnica idonea e poi la si amplia pian piano fino alla fabbrica intelligente. Punto di partenza è sempre l’ERP, strumento centrale per la gestione dell’azienda.
L’ERP CSB-System
L’ERP CSB-System è stato sviluppato specificatamente per il settore alimentare ed offre funzionalità estese per tutte le aree aziendali. Disponibile anche
in cloud, è integrato ed estendibile in maniera modulare e flessibile secondo step liberamente definibili. Lo stesso software può essere usato a livello globale per gestire in maniera centralizzata più stabilimenti presenti anche in paesi diversi. Grazie all’applicazione MES, la funzione produttiva è sempre sotto controllo. «Il nostro software ERP è la piattaforma dati dove tutto converge; perché se non si dispone di dati affidabili, non è nemmeno pensabile di affrontare la trasformazione digitale. I dati — spiega Andrè Muehlberger, dal 2000 direttore della filiale italiana CSB-System — sono il “carburante”.
Ma per implementare l’ERP bisogna avere una visione d’insieme e una conoscenza dettagliata del business aziendale. Il nostro approccio è lo stesso di quando abbiamo cominciato, 40 anni fa. Individuiamo i processi e le aree coinvolte, svolgiamo assieme al cliente un’analisi dei flussi di materiali e dati, procediamo con proposte di ottimizzazione e razionalizzazione per poi passare all’implementazione dei nuovi flussi. Solo sommando i singoli risultati si può ottenere il massimo effetto, in stabilimento come in ufficio. Ma questo lavoro non finisce mai. Le esigenze dei nostri clienti crescono e un buon software gestionale deve crescere con loro o addirittura anticipare le soluzioni per future richieste». «Nell’ultima versione del CSB-System — continua Guido Girardelli, sales manager — abbiamo consolidato le app per essere al passo coi tempi. Abbiamo ampliato i dashboard specifici per le vendite, la produzione e il controlling, per poter richiamare informazioni precise e KPI aziendali; con l’obiettivo di facilitare il lavoro del personale di vendita, dei controller e dei dirigenti, migliorando al tempo stesso produttività ed efficienza. Abbiamo inoltre messo a punto un nuovo configuratore di processi».
I vantaggi per l’area direzionale
Il management può accedere in qualsiasi momento e dovunque si trovi a tutte le informazioni essenziali per sé, per i dipendenti o le autorità di controllo. Misurare la performance giornaliera di tutti i reparti aziendali e i margini di contribuzione dei prodotti diventa più semplice. In un contesto del genere, è anche più facile prendere le decisioni giuste, innescare miglioramenti e aumentare i margini.
I vantaggi per l’area produzione
Pianificare le capacità produttive e ottimizzare l’utilizzo delle linee di produzione, guadagnando addirittura in flessibilità: il CSB-System offre un enorme contributo in questa direzione, grazie all’integrazione completa della logistica interna ed esterna. Tecnologie come gli impianti di produzione e confezionamento, linee di peso-prezzatura,
In alto: una volta assegnato l’ordine di produzione, il CSB-System ne sorveglia l’avanzamento. In basso: acquisizione dati al CSB Rack.
impianti di smistamento e magazzini a scaffalature per pallet o singole casse forniscono soluzioni pratiche per rispondere in modo ottimale a richieste quali l’incremento degli assortimenti, o cicli brevi di ordini-consegne. L’allestimento di impianti con sensori e connettività consente una manutenzione predittiva di processi e macchine, che evita costosi tempi di inattività.
I vantaggi per l’area commerciale
Digitalizzare via CSB B2B Webshop o EDI i processi di vendita integrati nel CSB ERP consente di ridurre i margini di errore e aumentare il servizio verso clienti e partner commerciali. Statistiche e report liberamente definibili, inoltre, eseguono un controllo puntuale delle vendite per ottenere trasparenza sui margini di contribuzione e sul calcolo di provvigioni, incentivi e premi di fine anno. Il gruppo CSB-System mette a disposizione ERP e soluzioni tecnologiche concrete già consolidate in innumerevoli
progetti di successo. «In qualità di fornitori di soluzioni IT all’avanguardia per le aziende del settore alimentare — conclude Muehlberger — ci vediamo tra i player principali della digitalizzazione. Grazie alla combinazione di software, hardware e consulenza proiettiamo i nostri clienti nel mercato del futuro».
Referente:
• Dott. A. MUEHLBERGER
CSB-System Srl
Via del Commercio 3-5
37012 Bussolengo (VR)
Telefono: 045 8905593
Fax: 045 8905586
E-mail: info.it@csb.com
Web: www.csb.com
FAZZINI TECHNOLOGY: LAVORARE CON COLTELLI CHE TAGLIANO È QUANTO DI PIÙ PIACEVOLE
POSSA CAPITARE
Lavorare con coltelli che non tagliano o tagliano male è quanto di più fastidioso possa capitare. Quando il coltello scivola o schiaccia significa che ha bisogno di essere affilato. Bisogna portarlo dall’arrotino o aspettare che passi lui. Sì, ma quando? «Acquistando una macchina affilatrice professionale
Fazzini Technology avete deciso di risolvere in modo definitivo il problema dell’affilatura ed avete scelto di acquistare un prodotto di alta qualità interamente prodotto in Italia. Da 38 anni produciamo e vendiamo macchine affilatrici che si distinguono per robustezza, qualità, semplicità di utilizzo» ci dicono alla Fazzini.
Le macchine affilatrici più vendute nei ristoranti, macellerie, salumerie, pizzerie, pescherie, trattorie, bar e pub, mense per piccole comunità sono i modelli Micra K2 per coltelli, Small KS5, che permette di affilare coltelli e forbici, e Compact K10 per coltelli.
• Micra K2: questa “piccola professionale” è consigliata per aziende
MICRA K2
con volume di attività medio/basso come ristoranti, pizzerie, piccole macellerie, salumerie, gastronomie, pescherie, aziende di catering, piccole mense, case di cura, enoteche e osterie con cucina;
• Small KS5: questo modello permette di affilare coltelli e forbici ed è consigliato per ristoranti, macellerie, salumerie, salumifici, mense, case di cura, aziende agricole, pescherie, supermercati ed industria in genere;
• Compact K10: questo modello permette di affilare coltelli. Progettata per lavorare con frequenza, è consigliata per aziende con volume di attività medio/alto come ristoranti medio/grandi, catering, comunità, macellerie, salumifici, aziende agricole, mense, case di cura, industria alimentare, laboratori affilatura e industria.
Tutte le macchine sono realizzate in acciaio ed alluminio. Le mole sono in acciaio C40 rivestite in C.B.N. (Nitruro di Boro Cubico). Questa particolare composizione consente la lavorazione a secco senza problema di surriscaldamento.
Le mole per l’affilatura dei coltelli sono a vite elicoidale, una contrapposta all’altra compenetranti e formano fra loro un angolo costante, permettendo di ottenere un’ottima affilatura semplicemente appoggiando la lama e facendola scorrere fra le due mole. Le mole sono bilanciate e fissate con calettatore. Questo permette massima robustezza e riduzione al minimo delle vibrazioni.
La manutenzione è semplice e ridotta al minimo, incluso il cambio mole da effettuarsi una volta consumato il rivestimento.
Fazzini Technology Sas Via Vittorio Veneto 9/D
23815 Introbio (LC)
Telefono: 0341 981440
Fax: 0341 983097
E-mail: commerciale@fazzinitechnology.com
SMALL KS5
COMPACT K10
R.P.S KS5
R.P.S
Senza alcol
Tutto il mondo del bere analcolico
Edizioni: Slow Food
336 pp – € 35,00
ISBN: 9788884998842
VITTORIA GUERINI
Food
Strumenti grafici per il trasferimento della conoscenza
Edizioni: Centro Studi Assaggiatori
84 pp – € 30,00
GIANFRANCO ALLARI, PAOLA CALCIOLARI
Magari un che di formaggio
Grana Padano nella cucina di casa mia
Illustrazioni: Umberto Mischi
Edizioni: Corraini
112 pp. – € 30,00
ISBN 9788875702564
Sono sempre più numerose le persone che, per diverse ragioni, scelgono di ridurre se non azzerare il consumo di alcol. Nei bar e nei ristoranti vengono perlopiù invitate a consultare la lista delle bibite. Eppure, le bevande analcoliche si declinano oggi oramai in una vasta gamma di proposte interessanti, eguagliando la varietà del vino, della birra o dei superalcolici. NICOLE KLAUSS espone i principi scientifici alla base delle bevande analcoliche: come prepararle correttamente, a quali pietanze abbinare e quali sono gli elementi indispensabili per un buon drink. Questo imperdibile libro si rivolge a bartender, ristoratori e chiunque altro sia pronto a scoprire le nuove frontiere del bere senza alcol
In un settore come l’alimentare dove la formazione è fondamentale per garantire qualità e competenza, le tradizionali modalità di trasmissione della conoscenza — come corsi, visite aziendali e training — si stanno trasformando per adattarsi a un pubblico sempre più digitale e interattivo. Questo libro esplora come strumenti grafici e strategie comunicative possano migliorare la comprensione delle informazioni, assicurando che maestranze, agenti di vendita e clienti le assimilino e le utilizzino in modo efficace. Attraverso un’analisi approfondita, supportata dagli studi del professor Luigi Odello sull’analisi sensoriale, il testo mette in luce l’importanza di integrare metodi classici con nuove strategie, dall’uso dei social media alle esperienze immersive La proposta di un modello innovativo – ibrido, corale e continuo – offre una prospettiva concreta su come rinnovare il trasferimento della conoscenza, trasformandolo in un processo dinamico e strategico. Un punto di riferimento per chi opera nel settore e vuole affrontare le sfide della comunicazione con strumenti più efficaci e moderni.
Abbinato a mostarde e confetture, cucinato da protagonista o comprimario, ma anche come semplice comparsa, il Grana Padano è per tradizione parte della nostra quotidianità in cucina. Questo libro lo racconta nella spontaneità delle numerose ricette giunte ai fornelli del concorso “Grana Padano nella cucina di casa mia”. Testimonianze di gente comune, idee ed intuizioni di non professionisti che ci accompagnano dalla colazione al pranzo e ancora dalla merenda alla cena (fermandosi prima, per un aperitivo a base di finger food). Le ricette di questo volume sono state pubblicate così come sono state presentate dagli autori, senza emendarle delle loro coloriture colloquiali né uniformarle in schemi e lessico omogenei, per ritrovare quello stesso clima coinvolgente di festa e originalità creatosi proprio all’azienda di mostarde Le Tamerici a San Biagio (MN) nella giornata delle premiazioni.
NICOLE KLAUSS
Non è tenera, è SUPER TENERA!
Una bresaola finalmente diversa, grazie ad un processo produttivo unico, completamente ripensato per ottenere una texture morbida e succosa ed un gusto ancora più rotondo. Una novità che ridefinisce gli standard di settore, con caratteristiche organolettiche di altissimo profilo e ottimi valori nutrizionali.
Storie di persone, territori e sapori www.ibis-salumi.com