Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali
Anno XL N. 6 • Giugno 2025
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Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali
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Dr. Emanuele Guidi
Prof. Andrea Strata
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La buona carne secondo Dalla bottega storica a quella nuova: la macelleria
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LA CARNE NEL MONDO
USA: le vendite di carne raggiungono livelli record
Le vendite di carne negli Stati Uniti hanno raggiunto il record di 104,6 miliardi di dollari nel 2024, con un aumento del 2,3% dei volumi venduti rispetto al 2023. In media i consumatori acquistano carne più di una volta a settimana (Circana), il che, secondo il XX rapporto annuale “Power of Meat”, pubblicato dal Meat Institute e da FMI – The Food Industry Association, rende quello delle carni il reparto dedicato ai prodotti freschi più grande nei supermercati statunitensi. Quasi la totalità (98%) delle famiglie americane acquista carne (Circana) e il 73% degli Americani la considera una scelta salutare in generale. Assumere una quantità sufficiente di proteine è molto/abbastanza importante per il 90% degli Americani. Altre motivazioni includono la semplicità e velocità di preparazione. L’americano medio fa la spesa per la carne 54 volte all’anno e spende 16,12 dollari per ogni spesa (Circana). La carne è presente nel 90% delle cene preparate in casa negli Stati Uniti. La carne bovina ha rappresentato il 55% del fatturato totale della carne fresca, raggiungendo i 40,1 miliardi di dollari, in aumento del 9,7% rispetto al 2023. Questo risultato è stato trainato dalla crescita dei volumi e da una spinta inflazionistica. Il volume venduto è stato di 6,0 miliardi di libbre (~2,72 milioni di t), in aumento del 4,5%. Il pollo ha registrato il volume di vendite più elevato, rappresentando il 38,4% del volume totale venduto, ovvero 6,3 miliardi di libbre (~2,86 milioni di t), in aumento del 2,9% rispetto al 2023. Il valore delle vendite è stato di 19,5 miliardi di dollari, in aumento del 3,9% rispetto al 2023. Le vendite di carne suina fresca hanno raggiunto gli 8,4 miliardi di dollari, in aumento del 3,4% rispetto al 2023 e dell’1% in volume, raggiungendo i 2,6 miliardi di libbre (~1,18 milioni di t; fonti: 3tre3.it – FMI The Food Industry Association, fmi.org).
Germania: aumenta leggermente il consumo di carne
Secondo i dati preliminari del Centro federale di informazione agricola (BZL), il consumo medio di carne in Germania è stato leggermente superiore rispetto ai due anni precedenti, attestandosi a 53,2 kg/persona (2022: 52,8 e 2023: 52,9 kg/persona). Nel 2024 la carne suina è stata ancora una volta la carne più consumata, con 28,4 kg pro capite (–100 g rispetto al 2023). La popolarità della carne avicola è nuovamente aumentata (+500 g) fino a raggiungere i 13,6 kg pro capite, carne di pollo soprattutto. Il consumo di carne bovina è rimasto stabile a 9,3 kg a persona nonostante l’aumento dei prezzi al consumo. Complessivamente, il consumo di carne nel 2024 è stato pari a 4,44 milioni di tonnellate, lo 0,8% in più rispetto all’anno precedente (fonti: 3tre3.it – ble.de).
Anche quest’anno sarà festa grande a Genazzano, il bel borgo medievale sito a soli 45 km da Roma, con l’evento Bue allo Spiedo, in programma per domenica 29 giugno. Organizzatore della giornata di festa all’interno del parco degli Elcini sarà il butcher Mario Angelucci che, in ricordo dell’amatissimo figlio Luca, devolverà l’incasso a AIL, Associazione Italiana contro le Leucemie, i linfomi e il mieloma che sostiene tanti pazienti e le loro famiglie. W i macellai, W la loro rete di eventi benefici che celebrano la carne e la voglia di trascorrere momenti di aggregazione, sostenendo progetti importanti per le proprie comunità. instagram.com/mario.angeluccii
I corsi a giugno con Felipe Faccio Dilda e Accademia Macelleria Italiana
AMI – Accademia Macelleria Italiana e il butcher italo-brasiliano Felipe Faccio Dilda, collaboratore di Dario Cecchini a Panzano in Chianti, hanno sviluppato nuove Masterclass, disponibili anche nel mese di giugno, in linea con una formazione professionale certificata ISO 9001. Per informazioni e iscrizioni: accademiamacelleriaitaliana.it
• Masterclass Tagli e Cotture. Dai tagli nascosti alle cotture perfette: il futuro della carne in mano al macellaio moderno
Il mercato della carne sta cambiando: sempre più ci sono nuove tendenze, i consumatori sono sempre più consapevoli e la necessità di ridurre gli sprechi è sempre più evidente. Macellai e cuochi devono aggiornarsi per restare competitivi. “Capire e valorizzare ogni parte dell’animale è il futuro della macelleria”.
• Il Boss della griglia
Il concetto è forte e chiaro: non bisogna saper solo grigliare. Prima bisogna saper tagliare nel modo corretto la carne. Questo è l’approccio “macellaiogrigliatore”, ovvero come la struttura muscolare influenza la cottura. Nel corso viene insegnato a sfruttare i tagli meno nobili (uno su tutti la pancia di manzo) e a lavorare su parametri come temperatura, tempo, direzione, taglio, ecc… Non manca un focus sulle marinature senza additivi chimici. Il corso è strutturato in 2 giornate:
• Giorno 1: anatomia della carne. Taglio dimostrativo di pollo, maiale, agnello, bovino: cottura e degustazione. Marinature “a secco” verso “umido”. Il sale. Laboratorio con preparazione di marinature e salse.
• Giorno 2: il fuoco. Legni, temperature, zone calde/fredde. Tipi di cottura sulla brace. Cotture dimostrative ed assaggi. Focus su churrasco brasiliano (tecniche e spiego), parrilla, produzione guarnizioni e grigliata italiana.
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MEAT PACK
Il benessere animale sul pack
“Il metodo di produzione biologico rispetta il benessere animale, segue sistemi naturali di allevamento” mette in evidenza l’azienda Querceta (www.quercetaselection.it) sul retro dello skin pack di costine di suino nero bio allevato allo stato brado. L’84,8% dei prodotti venduti in supermercati e ipermercati italiani racconta in etichetta di essere attento all’ambiente, all’impatto sociale o al benessere animale: si tratta di un paniere di circa 117.000 referenze che sviluppa 44,4 miliardi di vendite, in crescita annua di +3,6% a valore e in calo di –1,6% a volume, evidenziando un aumento di 1,6 punti nella percentuale di prodotti a scaffale. A rilevarlo è l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy che, nella sua 16a edizione, prosegue la lettura dei claim relativi alla sostenibilità sui prodotti di largo consumo, realizzata in collaborazione con l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Fra le tre aree identificate dall’Osservatorio Immagino, a prevalere è quella della sostenibilità ambientale riferita al prodotto o al suo packaging (116.950 referenze): le informazioni più diffuse riguardano le indicazioni pratiche (presenti sul 77,9% dei prodotti), le caratteristiche ambientali (67,1%) e le modalità green di produzione e approvvigionamento (14,9%). Seconda area per numero di prodotti e valore delle vendite, ma prima per performance, è quella relativa alla sostenibilità sociale. Infine, le indicazioni relative al benessere animale, presenti solo sul 2,0% dei prodotti rilevati dall’Osservatorio Immagino.
ANTEPRIMA
BBQ Expo 2026 arriva a Fiere
di Parma
È ufficiale, BBQ Expo 2026 si svolgerà a Fiere di Parma, nelle giornate dall’11 al 14 aprile. L’annuncio è stato dato durante la terza giornata di TuttoFood Milano in una conferenza stampa alla presenza di Antonio Cellie, AD di Fiere di Parma, Mauro Grandi, direttore di BBQ Expo-Area Fiera, Serafino Cremonini, presidente ASSOCARNI, e Haymo Gutweniger, rappresentante KCBS. Cellie ha sottolineato la portata strategica del progetto. «Essere leader nel Food & Beverage per noi vuole dire creare un ecosistema sempre più integrato, che comprenda le principali filiere e tendenze emergenti del comparto agroalimentare. La partnership con BBQ Expo si inserisce in questa visione: non si tratta solo di aggiungere un tassello, ma di consolidare una piattaforma fieristica che sappia interpretare il mercato a 360 gradi, dal prodotto alla modalità di consumo, dall’innovazione tecnologica alla sostenibilità, anche valorizzando il mondo dell’outdoor cooking, segmento in forte espansione sia in termini di consumo domestico che professionale». Per Serafino Cremonini: «il crescente successo del barbecue in Italia segna un’evoluzione nelle abitudini
alimentari, confermata dalla diffusione delle steakhouse su tutto il territorio nazionale. È una modalità di consumo che rispecchia l’interesse del consumatore italiano per nuovi stili di preparazione della carne, che continua ad occupare un ruolo centrale nella dieta italiana, anche attraverso forme di consumo più moderne e consapevoli. E ASSOCARNI continuerà a promuovere una filiera attenta alla qualità, a sostegno di un settore in continua evoluzione». «Porteremo a Parma un format ancora più ricco, per offrire un’esperienza completa capace di attrarre appassionati, professionisti e aziende ed essere sempre più un punto di riferimento per il comparto» ha aggiunto Mauro Grandi. «La collaborazione tra BBQ Expo e KCBS rappresenta un passo fondamentale per la crescita del barbecue competitivo in Europa» ha concluso Gutweniger. «Portare la Master Series a Parma, nel contesto di una fiera così dinamica, significa offrire alle squadre europee una piattaforma internazionale consolidando una cultura del BBQ fondata su regole chiare, competenza tecnica e grande passione». Info: BBQ Expo 2026, 11/14 aprile, Fiere di Parma (bbqexpo.it).
Il mercato biologico a confronto con il totale agroalimentare: carni in flessione
Nel 2024 si osserva un andamento di mercato affine tra i prodotti alimentari bio e i corrispondenti convenzionali, evidenziando tendenze di crescita del biologico più alte per la maggior parte delle categorie merceologiche, tra cui le più significative interessano gli oli e grassi vegetali (+31,8% bio vs +15,6% totale agroalimentare) e le uova fresche (+10,4% bio vs +2,6% totale agroalimentare). Risultano in flessione, per entrambi i gruppi di prodotti (bio e totale agroalimentare), gli acquisti in valore per le categorie dei derivati dei cereali, vino e spumanti, carni e salumi, con ribassi più marcati per le referenze biologiche. La dinamica della spesa mostra invece andamenti discordanti nel comparto latte e derivati e negli ittici, con variazioni negative per l’agroalimentare complessivo, e positive per il biologico. Il peso degli acquisti di biologico sulla spesa agroalimentare totale varia a seconda della categoria merceologica e nel 2024 risulta particolarmente elevata per i comparti miele e uova fresche, che incidono rispettivamente per il 15,1% e il 14,3% (fonte: Ismea – Biologico: gli acquisti alimentari delle famiglie. Spesa del 2024).
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OECD-FAO, RIPENSARE IL RUOLO DELLA CARNE NELLE LINEE GUIDA ALIMENTARI
Il rapporto OECD-FAO sulle prospettive agricole 2024–2033 offre un’analisi decennale dei mercati agricoli e ittici, evidenziando il ruolo cruciale della carne nel dibattito sulle linee guida alimentari
di Andrea Bertaglio
Negli ultimi anni, il forte aumento dei costi degli input agricoli ha sollevato notevoli preoccupazioni in merito alla sicurezza alimentare globale. L’ Outlook agricolo OCSE-FAO 2024–2033, giunto ormai alla sua 20a edizione, offre una proiezione completa a dieci anni dei mercati delle materie prime agricole e ittiche a livello nazionale, regionale e globale. Prodotto congiuntamente dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE, OECD in inglese) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), col contributo dei Paesi membri e di organizzazioni internazionali di settore, l’Outlook è diventato un punto di riferimento essenziale per la pianificazione delle politiche agricole.
Le recenti revisioni metodologiche nella stima del consumo di carne, che finalmente misura i consumi reali anziché i consumi apparenti, hanno rivelato un calo significativo, con riduzioni marcate per il pollame negli Stati Uniti (−17,2 kg pro capite) e nei Paesi OECD (−10,4 kg). Questo cambiamento, però, più che un’effettiva trasformazione delle abitudini alimentari, deriva appunto da una correzione che tiene conto di
perdite e sprechi alimentari lungo la catena di approvvigionamento. Tale evoluzione solleva interrogativi profondi sulla validità delle attuali raccomandazioni dietetiche e sul ruolo nutrizionale della carne in contesti globali diversificati.
Le linee guida esistenti sottovalutano l’importanza della carne
Un primo punto critico riguarda la possibilità che le linee guida esistenti sottovalutino l’importanza della carne come fonte di nutrienti essenziali, come proteine, ferro e vitamina B12, specialmente in regioni dove il consumo reale è già inferiore alle soglie raccomandate. I dati più accurati suggeriscono che in molte aree, specialmente nei Paesi a basso e medio reddito, l’assunzione di carne sia significati-
vamente inferiore rispetto a quanto stimato in precedenza. Questo pone la necessità di riconsiderare se le raccomandazioni dietetiche, spesso orientate a ridurre il consumo di carne per motivi ambientali, rischino di aggravare carenze nutrizionali in popolazioni vulnerabili. Ad esempio, nei Paesi a basso reddito, dove l’accesso a diete ricche di nutrienti è limitato da barriere economiche, le linee guida devono riflettere non solo gli obiettivi di salute pubblica, ma anche la reale disponibilità di alimenti di origine animale.
Serve bilanciare obiettivi nutrizionali e sostenibilità
Un altro aspetto fondamentale è il bilanciamento tra obiettivi nutrizionali e sostenibilità, ambientale e non solo. La carne, spesso al centro del
La carne è una componente chiave di diete equilibrate in molte culture. Le linee guida alimentari devono trovare un equilibrio che non scoraggi il consumo di carne nelle popolazioni con assunzioni già marginali, promuovendo al contempo pratiche produttive più sostenibili
La riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari emerge come una strategia chiave per affrontare sia le sfide nutrizionali che quelle ambientali. Il rapporto congiunto OECD-FAO stima che dimezzare gli sprechi entro il 2033 potrebbe ridurre del 4% le emissioni agricole e migliorare la sicurezza alimentare per 153 milioni di persone denutrite.
dibattito sul cambiamento climatico per il suo impatto in termini di emissioni di gas serra, rimane una componente chiave di diete equilibrate in molte culture. Le linee guida alimentari devono quindi trovare un equilibrio che non scoraggi il consumo di carne nelle popolazioni con assunzioni già marginali, promuovendo al contempo pratiche produttive più sostenibili, come l’allevamento a basse emissioni o la gestione efficiente delle risorse. Questo è particolarmente rilevante in regioni come l’India e il Sud-Est asiatico, che, secondo il rapporto, guideranno il 31% dell’aumento della domanda globale di carne e altri prodotti agricoli entro il 2033, superando la Cina grazie alla crescita economica e demografica.
«Un approccio olistico, che promuova l’efficienza della catena di approvvigionamento, sostenga i produttori e rifletta le specificità economiche e culturali di ogni regione, è essenziale» scrive Bertaglio.
La carne è un alimento di primaria importanza. Che, da almeno due decenni, è però soggetto a numerosi attacchi e critiche. Fra le principali accuse che le si rivolgono, spiccano il suo impatto ambientale e i supposti problemi a livello salutistico a essa collegati. Con la consapevolezza che la sostenibilità nel campo delle carni costituisce un argomento complesso e dibattuto, il Progetto Carni Sostenibili vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici. L’intento è quello di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente. Al dibattito sulla produzione e il consumo di carne partecipano organizzazioni e stakeholder di vario genere, caratterizzati da scopi differenti: associazioni animaliste e/o ambientaliste, centri di ricerca, media. In questo contesto non si è mai inserito, almeno in Italia, il punto di vista dei produttori di carne, che hanno invece sentito la necessità di partecipare al dibattito fornendo informazioni, dettagli e dati oggettivi utili a correggere, dove necessario, alcune posizioni, a volte pregiudiziali se non completamente scorrette. Per far questo, dal 2012 un gruppo di operatori del settore zootecnico (aziende e associazioni) si è organizzato per supportare studi scientifici che, in una logica di trasparenza pre-competitiva, hanno permesso di arrivare, oltre che alla pubblicazione dello studio “La sostenibilità delle carni e dei salumi in Italia“, all’avvio del progetto “Carni Sostenibili” e, quindi, del portale www.carnisostenibili.it. Nato dalla comunione di intenti delle tre principali associazioni di categoria, ASSOCARNI, ASS.I.CA. e UNAItalia, il sito si propone di trattare in modo trasversale tutti gli argomenti legati al mondo delle carni: un progetto senza precedenti, in Italia, che con un approccio formativo e informativo vuole contribuire a una informazione equilibrata su salute, alimentazione e sostenibilità.
>> Link: www.www.carnisostenibili.it
Andrea Bertaglio è un giornalista specializzato in sostenibilità, cambiamento climatico e temi ambientali. Da una decina di anni è molto attivo come relatore e moderatore in eventi legati a sostenibilità e green economy. Laureato in sociologia, fra i temi su cui focalizza il suo lavoro spicca l’impatto delle produzioni alimentari, zootecnia e cibi animali. Ha pubblicato il libro “In difesa della carne”, edizioni Lindau (2018).
Tuttavia, nei Paesi a basso reddito, l’incremento dell’apporto calorico derivante da carne e altri alimenti sarà solo del 4%, un progresso insufficiente per raggiungere l’obiettivo “Fame Zero” (SDG 2) entro il 2030.
La chiave è ridurre gli sprechi
La riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari emerge come una strategia chiave per affrontare sia le sfide nutrizionali che quelle ambientali. Il rapporto stima che dimezzare gli sprechi entro il 2033 potrebbe ridurre del 4% le emissioni agricole e migliorare la sicurezza alimentare per 153 milioni di persone denutrite. Le linee guida alimentari devono poi considerare l’impatto economico di raccomandazioni restrittive sul consumo di carne, soprattutto per le comunità rurali, valutando se tali misure apportino benefici nutrizionali e ambientali proporzionati o se, invece, rischino di danneggiare i mezzi di sussistenza degli agricoltori senza miglioramenti significativi
per la salute pubblica. Un ulteriore aspetto da approfondire è la necessità di approcci sistemici che tengano conto delle perdite lungo l’intera catena di approvvigionamento alimentare, non solo a livello del consumatore. Le attuali linee guida tendono a concentrarsi sulla riduzione del consumo individuale di carne, ma una gestione più efficiente della produzione, della distribuzione e della conservazione potrebbe avere un impatto maggiore. Ad esempio, migliorare le infrastrutture per il trasporto e lo stoccaggio della carne nei Paesi in via di sviluppo potrebbe ridurre gli sprechi e aumentare la disponibilità effettiva di questo alimento, senza richiedere un incremento della produzione che graverebbe sull’ambiente.
Servono politiche che garantiscano flussi commerciali stabili Il commercio internazionale, che rappresenta il 20% delle calorie globali scambiate, gioca un ruolo
cruciale nella sicurezza alimentare legata alla carne. Tuttavia, tensioni geopolitiche e crisi sanitarie hanno evidenziato la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento L’Asia e l’Africa, in particolare, aumenteranno la loro dipendenza dalle importazioni di carne e altri prodotti agricoli, mentre America Latina, Nord America ed Europa rafforzeranno il loro ruolo di esportatori. Questo scenario sottolinea l’importanza di politiche che garantiscano flussi commerciali stabili, soprattutto per i Paesi a basso reddito dove la carne importata può colmare lacune nutrizionali.
In conclusione, le linee guida alimentari devono evolversi per integrare i nuovi dati sul consumo reale di carne, riconoscendone il ruolo nutrizionale senza trascurare gli imperativi ambientali. Un approccio olistico, che promuova l’efficienza della catena di approvvigionamento, sostenga i produttori e rifletta le specificità economiche e culturali di ogni regione, è essenziale. Solo così si potrà garantire che le raccomandazioni dietetiche siano realistiche, inclusive e in grado di affrontare le complesse sfide nutrizionali, ambientali ed economiche del prossimo decennio.
Andrea Bertaglio Fonte: carnisostenibili.it
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NUOVI SCENARI PER L’AGRIFOOD ALLA LUCE
DEI NUOVI REGOLAMENTI EU
L’opinione di Paolo De Castro, neo presidente Nomisma
Iriflessi della riforma in materia di Indicazioni Geografiche hanno caratterizzato nei primi mesi del 2025 il dibattito in ambito UE sul comparto agroalimentare, delineando nuovi scenari di mercato.
Ne parla Paolo De Castro, neo presidente di NOMISMA ed ex eurodeputato, esperto di politiche agricole italiane ed europee.
Un testo unico della qualità che favorirà lo sviluppo del settore
Un tema di grande attualità per l’industria agroalimentare europea è quello delle Indicazioni Geografiche, un driver fondamentale per la promozione e la vendita delle eccellenze locali. «Il nuovo regolamento UE 2024/1143, relativo alle Indicazioni Geografiche di vini, spirits e dei prodotti agricoli, riunisce in un unico documento le disposizioni precedenti, razionalizzando il quadro normativo e rafforzando gli strumenti a supporto dei produttori. Stiamo parlando del mondo delle IG, compresi DOP e IGP, le specialità tradizionali garantite e le indicazioni facoltative di qualità per i prodotti agricoli.
I tre marchi suddetti, che rappresentano un preciso e univoco riconoscimento di territorialità, stabiliscono anche diritti di proprietà intellettuale per prodotti specifici, le cui qualità sono specificamente legate alla zona di produzione. Questo regolamento mira non solo a semplificare obblighi e procedure, ma supporta il ruolo e la crescita dei consorzi sul mercato, attribuendo
una serie di competenze e valenze collaterali, come ad esempio l’enoturismo e il turismo gastronomico. Quest’ultimo aspetto è molto importante, perché in Italia abbiamo una serie di “spacchettature” fra enti locali che rischia di disperdere risorse ed energie. Attraverso il regolamento, invece, è stato identificato nel consorzio la figura chiave per gestire queste iniziative» commenta De Castro. Accanto a questi aspetti, sono state introdotte norme che rafforzano le tutele sia sul mercato comunitario sia in rete rispetto ai prodotti fake. «A danno del nostro agroalimentare sono molteplici i
casi di clamorosa contraffazione, basti pensare al Prosek croato, in palese conflitto con il Prosecco DOP, al Parmesan. Il regolamento non solo ha innalzato i livelli di tutela ma ha anche attivato importanti iniziative contro i cosiddetti prodotti IG fake, diffusissimi on-line. In particolare, è stato istituito un alert system, affidato all’Agenzia di Alicante, che consente di controllare l’attività di siti che promuovono e vendono prodotti che non hanno nulla a che fare con le IG. In questo caso, il regolamento ha introdotto per la prima volta sul piano giuridico un sistema obbligatorio di oscuramen-
Paolo De Castro, già Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
to del sito all’interno dei confini EU. Aspetto molto importante, questa attività non è gestita dai singoli Stati Membri ma direttamente dalla Commissione europea» illustra De Castro.
Più tutela, più forza ai consorzi, più semplificazione sono i principi, quindi, sui quali gravitano le novità introdotte dal nuovo regolamento. «Registriamo anche una spinta verso la sostenibilità, ancorché non obbligatoria: ad esempio è stata introdotta la necessità di rafforzare all’interno delle singole denominazioni d’origine i rapporti di sostenibilità per promuoverla dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Un regolamento, dunque, molto ricco, composto da 95 articoli, che abbraccia l’intero settore agroalimentare, del cibo e del vino. Un vero e proprio testo unico della qualità che, una volta applicato, favorirà certamente l’ulteriore sviluppo di un settore che a livello europeo ha raggiunto volumi di fatturato importanti, circa 80 miliardi di euro per l’Europa e più di 20 miliardi per la sola Italia» ricorda De Castro. Un altro tassello del mosaico delle IG, emerso durante la Conferenza sulle Indicazioni Geografiche di Alicante, tenutasi lo scorso gennaio, riguarda la possibilità di trasformarlo da patrimonio di pochi stati a risorsa più ampia, capace di abbracciare tutti i membri dell’Unione.
«Oggi le circa 3.600 IG esistenti sono concentrate principalmente in Italia, Spagna, Francia, Grecia e Portogallo. C’è però la necessità di sviluppare il sistema delle IG in tutti i paesi europei, compresi quelli del centro e del nord Europa. A questo riguardo, il Commissario Hansen ha già annunciato l’avvio di un piano d’azione sul modello di quello adottato per il settore biologico: un action plan sulle Indicazioni Geografiche, che fra i compiti principali avrà quello di implementare campagne informative ai cittadini europei per far conoscere meglio il mondo delle indicazioni geografiche, che oggi rappresenta un asset importante per l’economia e potrebbe portare un contributo concreto allo sviluppo di aree interne o periferiche. Relativamente all’Italia, pensiamo alla montagna emiliana, che per decenni è stata quasi abbandonata: oggi, grazie alle DOP del Parmigiano Reggiano si sta ripopolando di insediamenti e piccole stalle per produrre latte. E in virtù del fatto che il latte necessario per questa eccellenza viene venduto ad un prezzo maggiore, va da sé che un piccolo allevatore può fare tranquillamente impresa anche con pochi capi di bestiame, proprio grazie alla valorizzazione del suo prodotto. Per altro questo approccio è replicabile per ogni altra filiera IG, in cui ogni segmento beneficia di questa menzione territoriale» conclude De Castro. Fonte: Nomisma Agroalimentare Ricerche di mercato, servizi e consulenza per il settore vinicolo e agroalimentare linkedin.com/showcase/nomisma-agrifoodagroalimentare-wine
Taglieri, quali sono i pro e i contro dei diversi materiali? Risponde con un video il Laboratorio comunicazione dell’IZSVe
Nel 77o video della serie “100 secondi” dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, ci sono i pro e contro dei vari materiali con cui possono essere fatti i taglieri dal punto di vista della sicurezza alimentare. Pratici e funzionali, professionali o di design, i taglieri possono essere di materiali differenti, ciascuno con ricadute importanti sull’igiene e la sicurezza degli alimenti. I diversi materiali possono infatti favorire o meno la proliferazione microbica o il rilascio di materiale sugli alimenti, a seconda delle caratteristiche specifiche di ciascun materiale, delle modalità con cui vengono usati o lavati o delle conseguenze derivanti dalla loro usura.
I MARINATI DI AMBROSINI: IL GUSTO CHE FA LA DIFFERENZA
La linea I Marinati di Ambrosini nasce per rispondere alle esigenze di un mercato sempre più attento al sapore, alla praticità e all’originalità.
Si tratta di un’esclusiva selezione di carni insaporite, speziate e pronte da cuocere, perfette per offrire ai consumatori una cena veloce ma ricca di gusto e creatività. Proposte in varianti che spaziano dagli agrumi alle erbe aromatiche, alla mediterranea fino al classico BBQ, queste marinature trasformano ogni taglio in un piatto irresistibile: carne tenera, succosa e saporita.
Le marinature non sono solo un elemento di praticità, ma un
vero e proprio valore aggiunto. Il consumatore moderno le ricerca per comodità, ma soprattutto per la varietà di sapori: speziate, piccanti, delicate, aromatiche o completamente innovative.
Ogni ricetta è studiata per valorizzare le caratteristiche della carne: la scelta degli ingredienti è tutt’altro che casuale. In base al tipo di taglio e alla modalità di cottura, viene selezionata la marinatura più adatta: dalle note fresche e agrumate, ideali per le carni bianche, alle spezie decise per tagli più robusti, fino ai tocchi agrodolci che bilanciano la sapidità e la grassezza.
Gli ingredienti? Sono quelli che fanno la differenza:
Ogni marinatura viene realizzata artigianalmente: la marinatura viene applicata e distribuita in modo uniforme per valorizzare al meglio le caratteristiche di ogni singolo pezzo.
Questo metodo permette di rispettare la struttura della carne e di insaporire con aromi e spezie, assicurando nel finale un prodotto dal gusto più intenso, equilibrato e visivamente accattivante.
Il risultato? Prodotti versatili e tutti SENZA GLUTINE
Per arricchire ulteriormente l’esperienza d’acquisto, anche per questa linea di prodotti, su ogni fascetta è presente un QR-Code che rimanda ad una videoricetta esclusiva, ideata e realizzata da uno chef. Un contenuto pensato per ispirare il consumatore, valorizzare al meglio ogni taglio marinato e offrire suggerimenti pratici su cottura, abbinamenti e presentazione del piatto. Un plus che rende il prodotto non solo pronto da cucinare, ma anche facile da trasformare in un’esperienza gourmet, anche a casa.
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Ceasar salad con straccetti di pollo alla mediterranea. Costine di maiale alle erbe con polenta taragna.
Tagliata di manzo alle erbe.
Arrosticini di maiale in salsa barbecue.
LE OCHE ROMAGNOLE DI MICHELE LITTAMÉ
di Gian Omar Bison
ASant’Urbano, nella Bassa padovana, terra di nebbie e di fiumi che tracciano il confine tra campagna padovana e il Polesine, l’azienda agricola di Michele Littamé rappresenta una delle realtà più curiose e singolari dell’allevamento italiano dedicato alle oche romagnole
La storia di Michele e della sua azienda inizia molto prima del suo coinvolgimento diretto, quando il nonno Attilio, tra gli anni ‘40 e ‘50, si insediò come fittavolo e iniziò a gestire l’azienda “Il Dosso”. Al
principio erano bovini da carne e coltivazioni di mais e barbabietola, ma, col passare dei decenni, la famiglia, dopo aver acquisito buona parte delle terre in affitto, imboccò un percorso diverso. In particolare la morte di papà Ugolino, occorsa nel 1995, segnò un passaggio importante per i figli Michele e Luca, i quali, pur già attivi in azienda, si trovarono a dover affrontare una nuova sfida. Il mondo dell’allevamento bovino da carne stava cambiando velocemente e le difficoltà si moltiplicavano. Fu proprio in quel
momento che la madre di Michele, Bruna, propose una via che avrebbe segnato una svolta: «Allevate oche», disse. Fu un consiglio semplice ma lungimirante, che avrebbe riscritto il loro futuro.
La carne d’oca, storicamente legata alla nobiltà e al ceto agricolo, aveva una lunga tradizione di allevamento e consumo nelle campagne venete, soprattutto nelle zone limitrofe a Padova. Michele racconta che, fino a metà del Novecento, il contratto di affitto delle terre spesso prevedeva la consegna di carne
Michele Littamé. Attualmente l’azienda Littamé alleva e lavora circa 9.000 oche romagnole ogni anno e pure qualche migliaio di anitre
d’oca ai proprietari terrieri, che in gran parte appartenevano a famiglie ebraiche, per le quali l’oca rappresentava una carne pregiata e rituale, oltre che un sostituto adeguato della carne suina che non potevano consumare. E così, tra i contratti agricoli del XIX secolo, si trovano precise richieste di fornitura di carni di oca, talvolta conservata “in onto”, cioè cotta nel proprio grasso, un metodo di conservazione che rispondeva alle necessità dell’epoca quando i frigoriferi non esistevano ancora.
L’approccio di Michele è stato quello di riportare in vita questa tradizione, valorizzandola e trasformandola in un’attività di nicchia. «Abbiamo scelto le oche romagnole non solo per la qualità della carne, ma anche per la capacità della razza di adattarsi al pascolo semibrado che abbiamo avviato e che consente agli animali di pascolare su ampi spazi erbosi, con rotazione delle aree di pascolo per salvaguardare la ricchezza del terreno e ridurre l’impatto ambientale. Ogni oca ha a disposizione almeno 10 metri quadrati di pascolo e non usiamo incubatori per far nascere i pulcini ma ci rivolgiamo ad una realtà che ci fornisce oche romagnole».
L’alimentazione è un mix tra ingredienti selezionati provenienti dalle coltivazioni aziendali (come mais e orzo) e scarti vegetali locali, come cocomeri, lattughe e frutta di stagione. Farine solo nella parte finale di ingrasso. Le oche vivono all’aperto, protette da ricoveri notturni che garantiscono loro comfort e sicurezza e dove l’acqua corrente, l’illuminazione e la lettiera di paglia sono essenziali per il loro benessere. «L’oca ha bisogno di spazio e tranquillità ed è così che riusciamo a ottenere una carne di qualità», continua Michele.
La trasformazione e la produzione artigianale di carne di oca va dalla carne fresca, cotta arrosto o preparata in saor (cipolle e aceto) ai salumi, salsicce, macinato, patè, tagliata, ciccioli, cosce, speck e
prosciutti. E poi oca farcita e collo d’oca ripieno. La vera specialità, tuttavia, è l’oca in onto, un prodotto, già Presidio Slow Food, che rappresenta l’anima dell’azienda: preparati i tagli anatomici con petti, cosce, ali e duroni, si mettono a marinare e poi si cucinano e si confezionano esclusivamente col grasso in sottovuoto così da avere una porzione pronta da mangiare dopo averla riscaldata. «Una preparazione — puntualizza Michele — che ha trovato una nuova vita nei piatti gourmet. Le carni riposano sotto sale per alcuni giorni o sono cotte con erbe, aromi e un poco di vino rosso. Nella versionecruda si alternano pezzetti di carne a grasso d’oca fuso e foglie d’alloro; nella versionecotta, invece, si completa l’ultimo strato con il grasso fuso e si chiude il vaso».
Dal 2001 al 2006 l’attività dell’azienda, che si estende su una superficie di 37 ettari — gran parte dei quali dedicati a seminativi per supportare l’allevamento —, è stata caratterizzata da un continuo aggiornamento e perfezionamento del sistema di allevamento, compreso quello per la produzione di oca “latte e miele”. E così è continuato negli anni. Attualmente, dopo aver abbandonato l’allevamento bovino e convertito le stalle, l’azienda Littamé alleva e lavora circa 9.000 oche romagnole ogni anno e pure qualche migliaio di anitre. «La nostra produzione è destinata principalmente alla vendita diretta, al mercato locale e alla ristorazione. Continueremo a crescere, ma sempre con l’obiettivo di mantenere la qualità che ci contraddistingue. L’unico pensiero resta l’influenza aviaria che ci ha colpito anche recentemente con focolai che ci hanno costretto agli abbattimenti preventivi: 4.000 animali in poche ore, anche se nella mia azienda non c’era alcun animale positivo al virus».
Le prospettive future arrivano dai figli impegnati entrambi in studi superiori dedicabili all’azienda di famiglia. Nicola studia agraria ed
L’Oca burger.
è già molto coinvolto nelle attività aziendali così come Elisa può avere un ruolo significativo nel seguire comunicazione e marketing.
Anche perché le idee non mancano e non solo sui prodotti, tra i quali l’Oca burger, che da anni riscuote successi e apprezzamenti tra le fiere paesane e gli eventi gastronomici che impegnano Michele ed il suo stand in attività di catering. «Ci stiamo muovendo molto con la ristorazione nella piazza di Milano e anche al seguito di eventi specifici che vedono l’oca protagonista, in particolare nelle Marche».
Il progetto di avviare un giorno un’attività agrituristica in azienda e, perché no, una trattoria specializzata in carne d’oca, entusiasma Michele come un bambino al parco giochi. «Certo che l’idea mi entusiasma e non poco. Vedremo se ne saremo in grado. Su tutto questo l’apporto di mia moglie Agnese, che è polacca, Paese in cui c’è una grande tradizione sull’oca, è sempre stato fondamentale». La sua specialità? La cucitura dei petti a mano da stagionare.
L’ERP CSB-SYSTEM RAFFORZA LA COMPETITIVITÀ DELLE AZIENDE ALIMENTARI
L’ industria alimentare già durante la pandemia si è distinta per la sua grande capacità di adattamento. Poi si sono aggiunte le catene di approvvigionamento sotto stress e i costi energetici alle stelle causati dal conflitto tra Ucraina e Russia. Ora la situazione torna ad essere tesa a causa delle nuove politiche sui dazi volute dagli USA. Il futuro è incerto e la pressione sui prezzi rischia di intensificarsi. L’impiego dell’ERP e di soluzioni
digitali CSB-System può aumentare la resilienza delle aziende alimentari perché garantisce 3 cose:
1. flessibilità: una gestione efficace dell’atteso e dell’imprevisto;
2. efficienza: soprattutto nei mercati just-in-time, i margini già ridotti non devono essere consumati da processi inefficienti;
3. trasparenza: un buon sistema KPI fornisce non semplici numeri ma vere e proprie informazioni per processi decisionali giusti.
CSB-System offre una vasta gamma di soluzioni
Il gruppo CSB-System mette a disposizione software, hardware, services e business consulting per l’ottimizzazione e la digitalizzazione dei processi: dalla produzione di materie prime fino al consumatore e dalla macchina al controlling, tutti i processi sono totalmente coperti nello standard secondo le best practices nazionali ed internazionali
Fase di lavorazione al CSB Rack, PC industriale specifico per il settore alimentare. Il gruppo CSB-System mette a disposizione software, hardware, services e business consulting per l’ottimizzazione e la digitalizzazione dei processi: dalla produzione di materie prime fino al consumatore e dalla macchina al controlling.
AROMI E INGREDIENTI ESCLUSIVI
Radici LOCALI, Visione GLOBALE.
SPEZIE ED ERBE SELEZIONATE BLEND FUNZIONALI
AROMI
ACCESSORI E BUDELLI COLTURE STARTER
Fratelli Pagani S.p.A. pioniera delle soluzioni clean label nel campo dell’industria alimentare, da oltre 110 anni rende unica e riconoscibile l’esperienza sensoriale dei prodotti alimentari, in un processo di continua innovazione.
Sempre al passo con gli ultimi trend del mercato, l’Azienda crea storie di gusto che uniscono tradizione locale e visione globale, offrendo soluzioni uniche e personalizzate per diversi settori: CARNE, PESCE, PASTA E RIPIENI, BIOLOGICO E VEGANO.
LE NOSTRE SOLUZIONI
ESCLUSIVE
Già nelle sue soluzioni standard, CSB fornisce una serie di processi aziendali ottimizzati, provati e testati nella pratica.
Processi di produzione più efficienti
La produzione è un’attività altamente complessa che non si può improvvisare. Il CSB-System offre scenari di pianificazione a lungo, medio e breve termine, tenendo conto degli ordini in entrata, della capacità produttiva e delle giacenze di magazzino. Questo garantisce la necessaria freschezza delle materie prime, l’impiego ottimale di risorse umane e macchine e un miglior servizio al cliente. Monitorando da remoto gli impianti, è possibile anticipare i problemi e pianificare i necessari lavori di manutenzione. Ciò riduce al minimo i tempi di fermo e consente il raggiungimento della massima efficacia dell’impianto (OEE).
Ricette migliori
L’ottimizzazione ricette dell’ERP CSBSystem calcola la composizione più vantaggiosa delle ricette tenendo conto delle restrizioni chimiche e tecnologiche, senza trascurare la qualità del prodotto. Ciò aumenta i margini di profitto per ciascun prodotto. Inoltre, per rispondere a prezzi delle materie prime forte-
mente fluttuanti, il CSB-System offre ricette variabili, che consentono la fl essibilità desiderata sull’intero processo di produzione.
Impegno di capitale inferiore
Oltre al monitoraggio intelligente dello stock di magazzino, il CSBSystem determina le quantità ottimali da ordinare e segnala automaticamente il raggiungimento di scorte minime di materie prime o dei prodotti finiti. Il risultato è una copertura al 100% dei bisogni con il minor impegno di capitale possibile.
Meno errori durante l’evasione ordini
L’impiego e l’integrazione delle tecnologie CSB-System consentono l’ottimizzazione dell’evasione ordini. A seconda della tipologia di prodotti, della struttura dell’ordine e degli spazi in uso, si può optare per metodi diversi di picking, quali Pickby-Light, Pick-to-Light, Pick-by-Voice, Pick-by-Vision oppure l’evasione con sorter per la preparazione di casse multiprodotto. Non di rado, una combinazione di questi è la scelta migliore.
Costi di trasporto più bassi
Apposite funzionalità dell’ERP CSB-System consentono di ottimizzare giri, utilizzo, peso e volume di carico dei veicoli, con conseguente razionalizzazione dell’impiego di personale e automezzi.
Rintracciabilità più veloce
Su questo tema le autorità, la GDO e i consumatori diventano sempre più esigenti. Ma una rintracciabilità sicura può avvenire quasi esclusivamente attraverso processi digitalizzati. La soluzione CSB-System è basata sul Sistema Informativo Lotti e copre l’intera filiera, “dal campo alla tavola”. Poiché nell’ERP CSBSystem anche le linee di produzione sono integrate, il risultato è una rappresentazione completamente trasparente di tutte le fasi di lavorazione di un prodotto, a seconda del grado di dettaglio che si vuole documentare.
Controllo dei costi
Riassumendo, processi digitalizzati fanno risparmiare tempo e garantiscono trasparenza su prodotti e processi. Grazie all’utilizzo di soluzioni digitali, i responsabili aziendali
sono in grado di reagire in modo flessibile alle richieste del mercato, alle fluttuazioni dei prezzi e ai desideri dei consumatori; i margini di profitto sono sempre sotto controllo e i costi si riducono.
Semplificazione dei processi
L’M-ERP di CSB-System, funzionante su applicazioni Windows e Android, consente di personalizzare l’interfaccia grafica utente per semplificare l’inserimento dei dati e la gestione dei processi da parte del personale. L’M-ERP di CSB-System è comunemente utilizzato anche per la gestione del ricevimento merce, produzione, movimenti tra magazzini e gestione di inventari e picking.
IA per l’identificazione automatica dei prodotti
Alcuni clienti CSB già utilizzano il CSB Eyedentifier, un sistema di riconoscimento automatico delle
immagini basato sull’IA. Il CSB Eyedentifier “impara” ad identificare autonomamente i prodotti, per esempio i tagli di carne nelle casse, e ad indirizzarli ai magazzini automatici dell’azienda oppure al percorso successivo di lavorazione.
Automazione e robotica
Tecnologie CSB all’avanguardia nell’intralogistica, in particolare sistemi automatizzati di produzione e confezionamento, RFID, linee di peso-prezzatura, sistemi automatici di depallettizzazione, sistemi di smistamento e magazzini a scaffalature alte per pallet o singole scatole anche multiprodotto sono soluzioni consolidate nella pratica già da parecchi anni.
Sempre con uno sguardo al futuro Il gruppo CSB-System continua ad investire in R&S perché in questo settore si può fare ancora tanto.
MACELLERIA CON GASTRONOMIA
VENDESI
Intelligenza Artificiale (AI), Internet of Things (IoT), big data e blockchain giocheranno un ruolo sempre più centrale nei prossimi anni e l’ERP manterrà il ruolo di colonna portante verso la digitalizzazione. Sapientemente combinato, tutto ciò rinforzerà l’industria alimentare con chiari vantaggi in termini di margini più elevati e sicurezza alimentare.
Referente:
• Dott. A. MUEHLBERGER
CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR)
Telefono: 045 8905593
Fax: 045 8905586
E-mail: info.it@csb.com
Web: www.csb.com
ATTIVITÀ BEN AVVIATA E STRUTTURATA VICINO A VENEZIA
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Banco vendita da circa 18 metri lineari, con una proposta articolata in:
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Il restante suddiviso tra carni bianche, salumi, formaggi e gastronomia.
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Per maggiori informazioni contattare il dott. Paolo Favaro alla mail paolo.favaro@studiopaolofavaro.it
STAGIONELLO® MEAT CURING DEVICE: INNOVAZIONE E TRADIZIONE NELLA TRASFORMAZIONE DELLE CARNI
di Raffaele Arcuri
Nel panorama sempre più competitivo della trasformazione alimentare, la sfida per produttori, artigiani e operatori del settore carne è chiara: coniugare qualità, sicurezza alimentare e innovazione tecnologica, senza compromettere la tradizione. In questa direzione si inserisce con forza lo Stagionello® Meat Curing Device, una tecnologia brevettata e interamente made in Italy che rappresenta oggi una delle soluzioni più avanzate per la trasformazione e conservazione delle carni.
Una tecnologia che guarda al futuro ma con radici nella tradizione Lo Stagionello® Meat Curing Device è molto più di una cella di maturazione. È un sistema professionale multifunzione pensato per rispondere alle esigenze di chi vuole produrre alimenti ready to eat, salumi e prosciutti bovini, anche di tipo halal, stagionati e cotti, seguendo processi naturali e controllati. Grazie all’impiego di una tecnologia 4.0 e al Metodo Cuomo®, questo dispositivo consente di trasformare la carne in modo sicuro e certificato, senza l’utilizzo di additivi chimici o conservanti. Alla base della filosofia Stagionello® c’è la volontà di valorizzare la materia prima e il sapere artigiano attraverso un approccio scientifico che, pur nel rispetto della tradizione, consenta di ottenere prodotti standardizzati, sicuri e dal gusto autentico.
Stagionello® Meat Curing Device, una tecnologia brevettata e interamente made in Italy che rappresenta oggi una delle soluzioni più avanzate per la trasformazione e conservazione delle carni.
Fidatevi del Vostro Gusto e scoprirete la differenza. La bresaola e gli sfilacci di carne di cavallo di Giovanni Coppiello sono tutto il meglio e il buono che potete far provare ai vostri sensi. Scoprirete così un piatto unico dai pregi infiniti: ottimo antipasto, intingolo per condire paste bucate, oppure prelibato secondo.
Nella foto una delle nostre “Ricette Consigliate”: Bresaola di Cavallo con Perle di Verdure e Salsa Zafferano Esecuzione: con lʼapposito scavino realizzare le perle di verdure e lessarle. Condire con unʼemulsione di succo di limone, olio, zafferano, pepe ed un pizzico di sale. Servire la bresaola di cavallo su un letto di rucola e guarnire il piatto.
Ingredienti per 4 persone
200 gr. di Bresaola, 2 Zucchine, 2 Carote, 1 Limone 1 Bustina di Zafferano, 6 Cucchiai di Olio dʼOliva, Pepe in Grano, 20 gr. Sale al Sedano.
“Julienne” Di Bresaola di Equino
Sfilacci di Equino
Sfilacci di Manzo
Sfilacci di Tacchino
Bresaola di Equino
Salame di Equino
Metodo Cuomo®: scienza e sicurezza al servizio dell’artigianalità Il cuore della tecnologia Stagionello® risiede nel Metodo Cuomo®, una metodologia sviluppata in anni di ricerca che combina il controllo di parametri fondamentali come temperatura, umidità, ventilazione, pH dell’alimento e attività dell’acqua. Questi elementi, costantemente monitorati e gestiti dal sistema, consentono di maturare aerobicamente, cuocere, affumicare e conservare i prodotti in modo naturale e senza rischi microbiologici. In particolare, la gestione del pH in tempo reale rappresenta un elemento distintivo: attraverso la sua sonda, il dispositivo è in grado di rilevare eventuali criticità durante il processo di maturazione aerobica e intervenire per garantire la sicurezza alimentare e la corretta trasformazione del prodotto. Questa capacità di automazione consente anche ai piccoli produttori di avvicinarsi a standard di qualità tipici dell’industria, mantenendo però flessibilità e controllo artigianale.
Sicur Food Control®: l’affidabilità della scienza in ogni ciclo produttivo Ogni Stagionello ® Meat Curing Device è dotato del Sicur Food Control®, un software integrato che permette all’operatore di selezionare le diverse ricette climatiche validate scientificamente da diverse Università italiane, in base alla tipologia di prodotto da realizzare. Bresaola, pastrami, prosciutti bovini, würstel e tanto altro: ogni lavorazione può essere pianificata e replicata con precisione, garantendo uniformità di risultati e risparmio di tempo. La possibilità di archiviare i dati di produzione e monitorare ogni fase del ciclo in remoto rappresenta un valore aggiunto fondamentale in ottica HACCP, rendendo il dispositivo ideale anche per contesti dove la certificazione e il rispetto delle normative igienico-sanitarie sono requisiti imprescindibili.
Versatilità e modularità per ogni esigenza produttiva Lo Stagionello® si presenta in diverse configurazioni, con capacità che vanno dai 60 kg ai 5.000 kg/ mese, risultando adatto sia a piccoli laboratori artigianali sia a realtà produttive più strutturate. Soprattutto grazie alla possibilità di poter creare celle e su misura in base alle proprie esigenze. Tra i principali vantaggi riscontrati dagli utilizzatori vi sono:
• riduzione del calo peso: grazie all’ottimizzazione del processo di asciugatura e maturazione, è possibile contenere la perdita di umidità, massimizzando la resa del prodotto;
• prolungamento della shelf-life: i prodotti ottenuti possono rag-
giungere una conservabilità fino a 12 mesi;
• incremento dei valori nutrizionali: test di laboratorio confermano un miglioramento fino al 30% dei nutrienti disponibili, frutto di un processo di fermentazione controllata che valorizza la materia prima.
Ricerca e formazione:
una filiera dell’innovazione Accanto allo sviluppo tecnologico, Stagionello® si impegna anche sul fronte della formazione professionale, promuovendo corsi, workshop e percorsi di aggiornamento per trasmettere competenze tecniche e scientifiche legate al mondo della trasformazione delle carni e
Il Metodo Cuomo® consente di maturare aerobicamente, cuocere, affumicare e conservare i prodotti in modo naturale e senza rischi microbiologici.
della tecnologia Stagionello più in generale. La creazione di una filiera consapevole e qualificata è uno degli obiettivi dell’azienda, che collabora attivamente con Università, che, come partner del progetto, hanno validato i diversi processi di trasformazione effettuati dalle celle e armadi Stagionello.
Lo Stagionello® Meat Curing Device rappresenta oggi una delle soluzioni più avanzate per chi desidera unire artigianalità, sicurezza alimentare e innovazione tecnologica nel settore della trasformazione delle carni. In un mercato che premia l’eccellenza e la trasparenza, dotarsi di strumenti come questo non è solo una scelta tecnica, ma una vera strategia di valore. Per le aziende che operano in Italia e all’estero, per chi lavora nel canale HO.RE.CA. o nella GDO, o per i laboratori che vogliono evolversi in chiave moderna, Stagionello® si propone come partner tecnologico di fiducia, in grado di trasformare la qualità in identità.
Raffaele Arcuri
• Se anche voi volete saperne di più, scannerizzate il QR-code qui sotto e contattateci!
>> Link: stagionello.com
FRANCIA-ITALIA: UNA
COOPERAZIONE STRATEGICA
PER IL FUTURO DELLA FILIERA BOVINA AL CENTRO DEGLI INCONTRI DI VERONA
In occasione della 40a Giornata del Bestiame Francese quasi 180 operatori francesi e italiani si sono riuniti a Villa Quaranta per celebrare 40 anni di partnership e confrontarsi sulle sfide comuni legate al futuro della filiera bovina
Organizzata da Interbev , col supporto di Business France Italia e FranceAgriMer, questa edizione celebrativa della Giornata del Bestiame Francese (Journée du Bétail Français) è stata l’occasione per ribadire l’importanza storica e strategica delle relazioni franco-italiane nel settore dei bovini da carne. Una cooperazione che affonda le sue radici in più di due secoli di scambi commerciali e collaborazioni tecniche, oggi più che mai fondamentali per affrontare un contesto in continua evoluzione.
Un settore in trasformazione, una cooperazione da rafforzare In apertura del convegno, Emmanuel Bernard , presidente della sezione bovina di Interbev, ha sottolineato le criticità legate alla progressiva riduzione del patrimonio bovino francese, una tendenza
che ha ripercussioni dirette sulle esportazioni di vitelli da ristallo verso l’Italia, storico e primo partner commerciale della Francia. Bernard ha ribadito la volontà dell’interprofessione di difendere e valorizzare ulteriormente questi storici scambi. In linea con questo messaggio, Alessandro De Rocco, presidente dell’Organizzazione Interprofessionale INTERCARNE ITALIA,
ha auspicato la realizzazione di una strategia congiunta franco-italiana che si fondi sulla sostenibilità e sulla fiducia reciproca.
Numeri chiari, tendenze da seguire L’analisi dei flussi franco-italiani presentata da Ilona Blanquet, ingegnera agronoma presso IDELE, ha prodotto una stima “numerica”
La Francia vanta oltre 22 razze bovine, di cui 10 sono da carne (Aubrac Bazadaise, Blanc bleu, Blonde d’Aquitaine, Charolaise, Gasconne, Limousine. Parthenaise, Rouge des prés, Salers), a testimonianza della marcata diversità dei suoi territori. I verdi prati della Normandia o gli altipiani ventosi dell’Aubrac, i pascoli dei Pirenei o il “bocage” del Limosino, si distinguono tutti per avere un sottosuolo, un rilievo, un clima, o un ambiente particolare. Ognuna è peculiare, ma l’elemento che le accomuna è di essere state selezionate per la qualità e la finezza della loro carne. Una carne unica nel sapore, tenerezza, succosità, che rispecchia le peculiarità ambientali e il know-how degli allevatori.
della situazione: tra il 2017 e il 2024 la Francia ha registrato un calo di circa 900.000 nascite bovine e la perdita di oltre un milione di vacche, come conseguenza diretta della decapitalizzazione. Nonostante una diminuzione di 90.000 capi esportati nello stesso periodo, l’Italia rimane, nel 2024, il primo mercato di sbocco per i vitelli da ristallo francesi. «Il mondo ha bisogno di carne e noi dobbiamo garantirne la produzione, in particolare in Europa», ha sottolineato Blanquet, ricordando l’importanza di mantenere le complementarità produttive tra Francia e Italia.
Normativa, benessere animale, epizoozie: le grandi sfide del settore
Gli interventi hanno riguardato anche le normative sanitarie, spesso ritenute eccessivamente restrittive dagli operatori del settore. MarieChristine Le Gal e Ugo Della Marta, responsabili dei servizi veterinari nazionali rispettivamente di Francia e Italia, hanno sollecitato un approccio pragmatico e armonizzato a livello europeo, in particolare per una gestione più efficace delle malattie epizootiche, ormai stabilmente presenti nel continente. I professionisti del settore hanno
inoltre richiesto un alleggerimento delle restrizioni sanitarie, fondato su evidenze scientifiche solide, e una revisione del regolamento sul trasporto degli animali. L’obiettivo condiviso? Conciliare benessere animale e fluidità degli scambi, riconoscendo al contempo gli sforzi già compiuti dagli allevatori.
Verso una visione europea condivisa
In chiusura dei lavori, Maxence Bigard, presidente della Commissione Commercio estero di Interbev, ha richiamato l’attenzione sulle principali sfide che attendono la filiera:
riduzione del patrimonio bovino, pressione normativa crescente e gestione delle epizoozie. Ha quindi lanciato un appello per un’armonizzazione delle politiche sanitarie e vaccinali a livello europeo. A coronare questo momento di confronto, la proiezione di un video celebrativo che ha ripercorso qua-
rant’anni di collaborazione francoitaliana, seguita da un pranzo conviviale, durante il quale Emmanuel Bernard e Alessandro De Rocco hanno simbolicamente tagliato la torta che celebra i 40 anni di solida intesa tra i due Paesi.
>> Link: carnebovinafrancese.it
Interbev, il patto per un impegno sociale
Fondata nel 1979 su iniziativa delle organizzazioni rappresentative della filiera, Interbev è l’associazione Interprofessionale Francese del Bestiame e delle Carni. Riunisce e valorizza gli interessi comuni degli operatori del comparto francese dell’allevamento — bovino, ovino, equino e caprino —, attività artigianali, industriali e commerciali di questo settore che costituisce una delle prime attività economiche del Paese. Interbev è anche la prima filiera agroalimentare in Francia ad essere valutata e certificata dall’AFNOR (Associazione Francese per la Normazione), l’organizzazione che rappresenta la Francia presso l’Organizzazione Internazionale per la Normazione e il Comitato europeo di normazione.
>> Link: interbev.fr
LA DIFFERENZA FRA CIBI PROCESSATI E ULTRA-PROCESSATI
di Susanna Bramante
Nel dibattito sulla corretta alimentazione si tende spesso a confondere i cibi processati con quelli ultraprocessati, considerandoli indistintamente dannosi per la salute in quanto intrinsecamente poveri di nutrienti. Tuttavia, esiste una differenza fondamentale tra queste due categorie: mentre i primi comprendono alimenti trasformati in modo minimo per migliorarne la conservazione o la sicurezza, i secondi sono sottoposti a processi industriali intensivi che ne alterano profondamente la composizione.
Processati e ultra-processati: la classificazione NOVA
Per chiarire questa distinzione, possiamo fare riferimento alla classificazione NOVA, che suddivide gli alimenti in 4 gruppi in base al livello di trasformazione:
• Gruppo 1 – Alimenti non trasformati o minimamente trasformati (frutta, verdura, carne, pesce, latte, uova e legumi secchi);
• Gruppo 2 – Ingredienti culinari trasformati (olio, burro, sale, zucchero);
• Gruppo 3 – Alimenti processati (prodotti derivati dagli alimenti del primo gruppo, con l’aggiunta di ingredienti del secondo gruppo; includono pane, formaggi, verdure in scatola, pesce in scatola e salumi);
• Gruppo 4 – Alimenti ultra-processati (prodotti altamente trasformati con additivi artifi ciali, come snack industriali, bibite zuccherate, piatti pronti e surgelati, sostituti della carne e cibi vegetali ultra-elaborati).
NOVA è molto utile a livello intuitivo (il Gruppo 4 è il più problematico nella dieta occidentale), ma a volte fallisce negli aspetti più formali ed in alcune zone grigie. È certo una bussola utile che cerca di evidenziare gli alimenti che il buon senso ci dice essere problematici, ma non è certo perfetta. Nessun sistema semplificato lo è, soprattutto quando si parla di nutrizione.
Cosa sono gli alimenti ultra-processati?
I cibi ultra-processati sono in genere matrici alimentari disgregate, composte da ingredienti economici e lavorati come zuccheri, amidi, oli di semi e proteine isolate, combinati con numerosi additivi come coloranti, aromi, dolcificanti ed emulsionanti. La loro iper-palatabilità ne incoraggia il consumo eccessivo, contribuendo all’obesità e ai problemi metabolici, mentre la loro promozione con etichette ingannevoli di sostenibilità o salute confonde ulteriormente i consumatori. I cibi iper-processati sono dunque il risultato di lavorazioni industriali estreme, che modificano radicalmente la struttura degli alimenti freschi. Tra i processi più comuni troviamo:
• idrogenazione e idrolisi, per modificare grassi e proteine.
• estrusione e rimodellamento, per ottenere texture diverse da quelle naturali.
• aggiunta di additivi, tra cui coloranti, aromi artificiali, emulsionanti, conservanti e dolcificanti. Tra i prodotti di questa categoria rientrano burger vegetali, cotolette vegane e altre alternative alla carne, che spesso contengono più di cinque ingredienti (i più noti Veg Burger ne hanno oltre 20) e sono progettati per imitare il sapore e la consistenza degli alimenti originali. Numerosi studi hanno evidenziato che un consumo eccessivo di questi cibi è associato a obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, alcuni tipi di tumori e disturbi intestinali. Inoltre, per fare un esempio, se un prodotto di origine animale è ricco di zuccheri/carboidrati raffi nati (e ha un alto carico glicemico), ed è anche diluito e ricomposto in modo da essere povero di proteine e micronutrienti, c’è qualcosa di gravemente sbagliato. Di solito, questo è indice di un consumo da fast food.
Il punto di forza dei prodotti di origine animale tradizionali — che fanno dunque parte del patrimonio
enogastronomico di interi Paesi e regioni — come alimenti sani è che piccole porzioni sono in grado di apportare molti nutrienti preziosi senza eccesso di carboidrati/ calorie.
I consigli convenzionali sull’alimentazione sana non sono riusciti a guidare le popolazioni verso migliori abitudini alimentari. Nonostante l’abbondanza di opzioni alimentari nelle società ricche, c’è una crescente dipendenza dagli alimenti ultra-processati. Questi alimenti, spesso commercializzati in modo ingannevole come salutari, sono prevalentemente prodotti da grandi aziende per massimizzare i profitti, sostituendo i prodotti di origine animale più densi di nutrienti.
Cibi processati: non tutto ciò che è trasformato fa male Al contrario, i cibi processati subiscono solo modifiche minime, come cottura, fermentazione o conservazione, per migliorarne la durata e la sicurezza. Questi alimenti includono salumi, formaggi, pane fresco, yogurt, verdure sottolio o sottaceto e legumi in scatola. Un errore comune è considerare i salumi tra gli alimenti ultra-processati, quando in realtà fanno parte del Gruppo 3. Se consumati con moderazione e all’interno di una dieta adeguata, questi alimenti non comportano affatto gli stessi rischi dei cibi ultra-processati e possono benissimo far parte di un regime alimentare sano.
È fondamentale non cadere nell’errore di demonizzare tutti i cibi trasformati. Gli alimenti ultra-processati sono da evitare o ridurre al minimo, mentre quelli processati possono essere consumati in modo equilibrato. Per fare scelte più consapevoli, è importante leggere attentamente le etichette e informarsi sulla reale natura degli alimenti che acquistiamo.
In un paese come l’Italia, sempre più anziano e con difficoltà a inserire i più giovani nel mondo del lavoro, le fasce di età mature rappresentano un target di importanza fondamentale nel mercato dei beni di largo consumo (FMCG). Superano la metà del totale complessivo (51%) le famiglie dove il responsabile acquisti ha almeno 55 anni di età, con un impatto decisivo sia dal punto di vista economico (4.700 euro è la spesa media per acquirente, di gran lunga superiore ai 3.900 euro delle fasce più giovani,
che porta al 54% l’incidenza sulla spesa totale) sia sociale: oltre 4 su 10 infatti supportano le famiglie non conviventi dei figli adulti , acquistando prodotti FMCG per nipoti (42%) o figli (13%). Sono queste le principali evidenze che emergono dalla ricerca “Gli shopper 55+ e la spesa FMCG” condotta sul consumer panel di YOUGOV, leader del mercato nelle indagini rivolte ai consumatori. Lo studio è basato su una survey Why2Buy condotta tramite interviste on-line ad un campione rappresentativo di famiglie italiane
con responsabile acquisti di 55 anni e oltre, selezionato all’interno del consumer panel di YouGov. I dati ricavati restituiscono un quadro di riferimento piuttosto omogeneo, in cui casa e famiglia rivestono un ruolo fondamentale. I consumatori over 55 sono in generale persone dinamiche, che fanno vita sociale e trascorrono parte del loro tempo fuori dalle mura domestiche. Nelle loro spese sono più orientati alla qualità (che prevale sul prezzo come criterio di scelta per il 52%), all’acquisto di prodotti italiani (se
Oltre la metà delle famiglie Italiane (51%) ha il responsabile d’acquisti di oltre 55 anni, la cui spesa di beni di largo consumo è superiore alla media, sviluppando il 54% del valore del largo consumo. Ampie le preferenze per i prodotti italiani (81%) e di provenienza locale (73%). Lo shopper over 55 spende di più del suo omologo più giovane (4.700 euro vs 3.900 la spesa per buyer) e predilige la qualità al prezzo (52% vs 41%). Inoltre, sostiene i consumi delle fasce più giovani: il 42% acquista prodotti per i nipoti e il 13% per i figli non conviventi.
possono, comprano prodotti italiani l’81% a fronte del 70% dei più giovani) e di provenienza locale (73% vs 64%). Scelte meditate anche per il tempo a disposizione, con frequenze di spesa maggiori, che si riflettono anche sulla sostenibilità: i cosiddetti eco-dismissers, che dichiarano poco o nessun interesse per l’ambiente, scendono al 18,8% dal 23% della fascia 36-55 anni (20,5% il dato degli under 35).
La segmentazione basata su attitudini, stili di vita e comportamenti di acquisto ha individuato 5 categorie, 3 più giovani e 2 più mature, che si caratterizzano per comportamenti e scelte di spesa diverse tra loro. Rientrano tra i gruppi più giovani “I nuovi 40” (che rappresentano l’11% delle famiglie), con la percentuale maggiore di occupati e la vita sociale più attiva, “Risparmio e cautela” (26%), attenti ai costi, “Mi prendo cura di me” (23%) focalizzati sul benessere. I pensionati si trovano quasi totalmente rappresentati negli altri due insiemi che hanno nipoti di cui si occupano: “Nonni spesa e cucina” (18%), shopper premium con una predilezione per gli acquisti, e “Vita da nonni” (22%) dallo stile più prudente. Tra le analogie comuni a tutti e cinque i gruppi, l’atteggiamento nei confronti della spesa, giudicata divertente o non noiosa dalla maggioranza dei rispondenti nonostante una forbice importante tra il 73% dei “Nonni spesa e cucina” e il 60% de “I nuovi 40”, una diffusa attenzione ai prezzi e alle offerte (il 31% cerca gli sconti speciali, il 29% confronta sempre i prezzi) e una maggiore inclinazione alla pianificazione (il 37% scrive la lista della spesa, il 24% verifica regolarmente le offerte prima di fare la spesa) che prevale rispetto all’acquisto d’impulso: 8 shopper su 10 si informano utilizzando soprattutto il volantino (consultato dal 45%).
Tra le maggiori differenze, i “Nonni spesa e cucina” sono il gruppo che si contraddistingue per la maggiore spesa per acquirente
(5.061 euro), oltre il 10% in più del segmento più parsimonioso (“Risparmio e cautela”, 4.410 euro). A indirizzare gli acquisti per la famiglia convivente sono il maggiore orientamento ai prodotti golosi e innovativi per “I nuovi 40”, le promozioni e la convenienza per i segmenti “Risparmio e cautela” e “Vita da nonni”, la fedeltà alle marche per il gruppo “Mi prendo cura di me”. Mentre per “Nonni spesa e cucina” resta centrale l’origine degli ingredienti e il contenuto nutrizionale. Abitudini diverse anche nella scelta dei canali, con gli ipermercati sopra media nel segmento “I nuovi 40” e i discount scelti prevalentemente dal gruppo “Risparmio e cautela”.
Il sostegno ai più giovani
Le maggiori diversità tra i cluster si ravvisano — anche per ragioni anagrafiche — nell’acquisto di prodotti FMCG per le famiglie dei figli adulti non conviventi e dei nipoti. Se il dato medio attesta al 42% gli over 55 che hanno acquistato prodotti FMCG per i nipoti e le rispettive famiglie, la percentuale si impenna all’88% nel gruppo “Nonni spesa e cucina” e all’87% in quello “Vita da nonni”. Molto più bassi i numeri delle famiglie (13%) che hanno sostenuto con la spesa quelle dei figli adulti non conviventi senza figli (sopra media “Mi prendo cura di me” con il 19% e “Risparmio e cautela” con il 18%). Numeri che testimoniano l’incidenza economica e sociale degli shopper più maturi: le famiglie 55+ che acquistano prodotti FMCG per i nipoti lo fanno circa 5 volte al mese e 4 volte per i figli adulti non conviventi. Nella scelta, le caratteristiche che contano di più sono il gradimento da parte dei nipoti, l’assenza di additivi o conservanti, la provenienza (italiana) degli ingredienti; a seguire, viene prestata attenzione a marca, ingredienti biologici, sapore goloso, contenuto nutrizionale. Molto meno importanti rispetto alla spesa per la famiglia convivente promozioni e prezzi contenuti.
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ECCELLENZE SUINICOLE
E OVINE DAL PROFONDO SULCIS
La storia d’impresa di due giovani che ridanno una speranza ad un luogo afflitto da povertà e disoccupazione
di Maria Antonietta Dessì
«Per noi non è solo sacrificio, abbiamo fatto una scelta di vita, l’abbiamo fatta senza condizionamenti e oggi, a distanza di anni, ne siamo felici». Di questi tempi sentire una giovane allevatrice di bestiame che si esprime in questo modo non è solo cosa rara, ma è anche un piacere. «Non ci ha costretto nessuno a fare questo mestiere. Da ragazza ho lavorato a tempo determinato in un comune, ma ricordo che quando ero in ufficio non vedevo l’ora di abbandonare la scrivania
per andare in campagna a seguire gli animali. E quell’entusiasmo è rimasto immutato». Esordisce così e lo ribadisce più volte Linda Caddeo, comproprietaria con il marito Sandro Trullu di un allevamento di suini e ovini, a Perdaxius, nel cuore del Sulcis Iglesiente.
In un periodo storico in cui il ritorno alla campagna appare più nelle narrazioni giornalistiche che nella realtà, stupisce l’incontro con una donna così determinata a riconoscere e difendere il suo stato come una scelta consapevole
e non un obbligo dettato dalle circostanze. Chi conosce il mondo dell’allevamento di bestiame per esperienza diretta sa infatti quanto sia dura la vita in campagna: non ci sono ferie, né festività, non sono ammesse assenze, né rinvii degli impegni quotidiani.
Le condizioni climatiche non possono influenzare il ritmo della cura e delle attenzioni che gli animali richiedono, senza fine e senza sosta.
Un ritmo e uno stile di vita che fa scappare giovani e non solo e che,
soprattutto nelle aree più povere della nostra nazione — e il Sulcis senza dubbio lo è — genera spopolamento ed emigrazione.
A maggior ragione la storia di questa coppia non è bella solo perché va in netta controtendenza, ma anche perché la loro impresa è un patrimonio per il territorio e per la Sardegna tutta.
Sandro è figlio di allevatori e, anche grazie all’indispensabile impegno di Linda, ha ampliato e consolidato l’attività dei suoi, investendo, acquisendo spazi e aumentando sensibilmente il numero dei capi. Oggi l’impresa conta 180 ettari circa dove pascolano 400 pecore e include una trentina di ettari tra cui 25 recintati, dove poco meno di 150 suini di razza Sarda vivono en plein air.
Quando è iniziato il connubio tra Linda e Sandro, i suinetti — all’epoca una quarantina — erano quelli che provenivano dalla famiglia di lui, assieme alle capre, oggi ridotte al minimo e tenute giusto per autoconsumo.
Ben presto, e a suon di sacrifici, hanno acquistato e in parte preso in affitto le terre abbandonate della colonia ETFAS, una collina poco fertile, quasi completamente occupata dalla macchia mediterranea, in buona parte dedicata al taglio della legna, dove erano presenti anche le carbonaie. I vecchi proprietari erano emigrati all’estero e quelle terre sono rimaste per molto tempo senza cura. Gli spazi sono stati recintati e destinati ai suini; le stradelle, in buona parte fagocitate da una natura selvaggia, riportate a nuova vita.
I Trullu vanno ogni giorno in quella collina a controllare lo stato degli animali. Se è vero infatti che i suinetti sono autosufficienti, la loro alimentazione viene comunque integrata quotidianamente con mais, orzo e favino e, nonostante facciano una vita che in teoria non avrebbe bisogno del supporto dell’uomo, Lidia e Sandro si accertano di continuo che stiano bene.
a Perdaxius, nel Sulcis Iglesiente. A pagina 68: suini di razza 100% Sarda e iscritti al registro ANAS.
I verri girano indisturbati e sono liberi di accoppiarsi. Le scrofe che devono partorire vengono messe in loggette dove sostano sia per il tempo del parto che nei giorni successivi. E se da una parte questi spazi permettono al maiale di vivere e crescere come natura vuole, in un totale benessere animale, dall’altra la presenza dell’uomo, non solo è tollerata, ma è persino ben accetta. «I nostri suini sono abituati alla nostra presenza, ci conoscono, si lasciano toccare, loro stessi si avvicinano quando ci vedono arrivare e, come fossero animali domestici, mostrano sensibilità e affetto» ci riferisce Linda, che aggiunge: «l’allevamento non è sempre facile perché ha ritmi serrati e non ammette pause. Ma il nostro modo di crescere i suini ci lascia ampia libertà di movimento e ci lega molto meno di quanto accade in un allevamento intensivo. Quindi questa modalità non è un valore aggiunto solo per l’animale, ma anche per la nostra qualità della vita». E, per stare in tema di qualità, si può affermare
che il gusto di queste carni e di questi trasformati sia unico, perché fortemente legato all’esistenza che gli animali conducono e ovviamente al loro modo di alimentarsi.
Facilmente individuabili, questi maiali, mediamente più minuti e asciutti, sono coperti da un folto manto nero pece o più tendente al grigio. Rustici e resistenti, sono certificati di razza sarda 100% e iscritti al registro ANAS, oggi insigniti anche del Presidio Slow Food e talmente ricercati da essere completamente ritirati dal mercato locale.
D’altronde, le caratteristiche della razza, l’allevamento en plein air e un’alimentazione naturale rendono il prodotto particolarmente pregiato e conseguentemente richiestissimo.
Lo stesso gusto unico dell’Agnello Sardo IGP, anche questo allevato dai Trullu, al pari delle pecore, il cui latte è conferito dai giovani sulcitani ad un noto caseificio della Sardegna che lo trasforma in Pecorino Romano e Pecorino Sardo DOP.
Maria Antonietta Dessì
Linda Caddeo, titolare, insieme al marito Sandro Trullu, di un allevamento di suini e ovini
POLLO ROMAGNOLO: LA TRADIZIONE CHE RINASCE
di Chiara Papotti
Romagna, terra di mare e colline, tradizioni gastronomiche ed eccellenze culinarie. Come il Pollo Romagnolo, un tesoro nascosto che rischiava di svanire nel tempo. Una razza autoctona che, fino alla metà del secolo scorso, trovava spazio nelle aie di quasi ogni cortile della regione, ma che poi, lentamente, si è vista rimpiazzata da altre razze, ritenute più redditizie per l’allevamento intensivo.
Ma chi è in realtà il pollo romagnolo? Conosciuto per la sua resistenza, la rusticità e la carne saporita, questo pollo è simbolo di
una tradizione che ha saputo resistere alle sfide del tempo.
La sua storia affonda le radici nell’Ottocento, quando già veniva citato nelle cronache come parte integrante della vita agricola romagnola. Alla fine degli anni ‘20, la sua fama attraversò i confini regionali, arrivando addirittura al Crystal Palace di Londra nel 1930, dove il pollo romagnolo fu protagonista di una mostra avicola di rilievo. Ma il tempo e le esigenze dell’agricoltura industriale rischiarono di cancellare per sempre la sua presenza nelle campagne.
Il pollo romagnolo si distingue non solo per la sua eleganza, ma anche per la sua capacità di adattarsi a spazi ampi e liberi. La sua livrea variegata (sono comuni il mantello grigio argentato detto tecnicamente “argento fiocchi neri”, il rosso dorato “oro fiocchi neri”, il bianco, il perniciato, il barrato e molti altri) è segno di una natura selvaggia e indomita.
È un pollo che, diversamente da altre razze, non teme la libertà: abituato a razzolare in grandi spazi aperti, è capace di volare sugli alberi per proteggersi dai predatori.
Il pollo di razza Romagnola è un nuovo Presidio Slow Food.
Quando cala la sera, trova rifugio tra i rami più alti, dove trascorre la notte in attesa dell’alba. La sua natura lo rende quindi particolarmente adatto ad un ambiente naturale e non ad un allevamento intensivo. Il suo aspetto, con la cresta rossa e i bargigli sviluppati, si distingue anche per i tarsi, di un colore che varia dal grigio piombo al verde salice, che gli conferiscono un carattere unico. L’ossatura leggera e la taglia media, che varia tra i 2,5 e i 3 kg nel maschio e i 2-2,8 kg nella femmina, lo rendono ideale per chi ricerca un pollo con carne consistente e saporita, ma non troppo pesante. E non è solo la carne ad essere apprezzata: le sue uova, con tuorli grandi e di una qualità eccellente, sono particolarmente ricercate dai cuochi per la preparazione della sfoglia, piatto simbolo della tradizione emiliano-romagnola.
Tuttavia, con l’avvento dell’agricoltura industriale, il pollo romagnolo cadde progressivamente in disuso e le razze selezionate per una rapida crescita furono preferite per la maggior efficienza economica.
La presenza del pollo romagnolo si fece via via sempre più rara, fino a quasi scomparire dalle campagne. Fino al 1997, quando un pensionato di Ravenna, che per anni aveva conservato alcuni esemplari della razza, decise di metterli a disposizione dell’Università di Parma. Fu grazie a questo gesto che si avviò il programma di recupero e conservazione del pollo romagnolo. La ricerca scientifica e il lavoro dell’Università, insieme all’impegno di pochi allevatori custodi, consentì di moltiplicare gli esemplari e ripopolare le campagne romagnole, evitando che il pollo romagnolo scomparisse per sempre.
Il recupero della razza è stato possibile grazie alla passione e alla tenacia di allevatori che hanno continuato a selezionare e riprodurre i polli romagnoli con grande impegno. Questi allevatori, sostenuti anche dall’Associazione Razze e Varietà Autoctone Romagnole (ARVAR), hanno lavorato senza sosta per garantire che il pollo romagnolo rimanesse puro, preservando il suo patrimonio genetico ed evitando incroci che
ne avrebbero inquinato il valore. A supportarli è arrivato un presidio per la salvaguardia e la promozione della razza, con l’intento di sensibilizzare i consumatori e i ristoratori. La ristorazione, infatti, ha un ruolo fondamentale nella riscoperta e valorizzazione di questo pollo, che oggi è apprezzato soprattutto per la sua carne.
Uno degli aspetti più affascinanti di questo animale è il suo legame profondo con le figure delle donne contadine, le azdore. Queste donne, che gestivano le fattorie e le aie familiari, avevano un ruolo fondamentale nella selezione e nella cura delle galline ovaiole. Si occupavano personalmente della raccolta delle uova e della gestione della riproduzione, mantenendo un’attenta selezione delle razze migliori per garantire una buona produzione di uova e un pollame di alta qualità. Il loro sapere, tramandato di generazione in generazione, è stato essenziale per la sopravvivenza del pollo romagnolo nei decenni più difficili.
Oggi, in Romagna, ci sono poco più di 2.000 polli Romagnoli che razzolano liberamente all’aria aperta, e grazie al lavoro dell’ARVAR e dell’Università di Parma, il loro numero è in crescita. Questi polli sono il frutto di una selezione attenta e consapevole, che ha permesso di mantenere intatta la rusticità della razza, che oggi trova spazio principalmente in piccoli allevamenti familiari e in realtà che rispettano i principi di un’agricoltura sostenibile. E gli chef e i ristoratori più attenti alla tradizione hanno riscoperto questo pollo in grado di donare ai piatti una marcia in più, grazie alla sua carne saporita e alla sua versatilità in cucina. Ogni piatto che porta con sé questa carne è un tributo alla resilienza e alla passione degli allevatori, alla cura delle azdore che hanno mantenuto viva la tradizione e alla forza di un popolo che non ha dimenticato il valore delle proprie radici.
Chiara Papotti
BUONA CARNE NON MENTE
AZIENDA AGRICOLA MARCHI: L’IMPORTANTE NON È PARTECIPARE MA VINCERE
di Elisa Guizzo
Che cosa accomuna due settori tanto diversi fra loro come quello cosmetico e quello zootecnico? La risposta ha un nome e un cognome: Alessandro Bartoloni, che ne incarna la perfetta unione. Un ossimoro, un mugellano che dal lunedì al venerdì porta la cravatta e nei week-end gli stivali, Alessandro Bortoloni è un ingegnere che realizza macchinari per il confezionamento per l’industria cosmetica e farmaceutica ma con in tasca una passione smisurata per la zootecnia. «La “terra” rappresenta le mie radici, mio nonno aveva un piccolo allevamento di vacche da latte e con poco è riuscito a sfamare un’intera grande famiglia. Se ne è andato nel 2000, lasciando l’allevamento a mio padre ma da lì a poco io e mio fratello decidemmo di farlo crescere».
Alessandro, desideroso di conoscere il mondo zootecnico, si iscrisse, già durante gli studi ingegneristici, al corso di produzione animali della Facoltà di Agraria. L’interesse e la curiosità lo spinsero a capire quali fossero i criteri di selezione dei bovini da carne e ad entrare a far parte dell’ANACLI – Associazione Nazionale Allevatori Charolaise e Limousine, diventando uno dei massimi esperti della razza Limousine. «Da ingegnere avevo dimestichezza con le dimensioni e ciò mi ha permesso di comprendere il sistema di valutazione degli animali». Alessandro arrivò secondo al corso di esperto della razza Limousine e Charolaise; corso che lo portò
a valutare 3.000 animali all’anno e a presenziare come giudice esperto alle mostre zootecniche regionali e nazionali. Nel 2015 si aggiudicò il podio come esperto europeo della razza Limousine, sbaragliando i francesi.
Oggi Alessandro, oltre che un imprenditore, è un fautore della razza Limousine e, insieme alla moglie Cosetta Marchi , titolare dell’omonima azienda agricola, alleva bovini di razza Limousine.
La realtà dei Marchi è sita nel cuore del Mugello, nel comune di Scarperia e San Piero (FI), fondata 31 anni fa da Alvaro Marchi, che gestisce l’azienda insieme alla figlia e ai nipoti. L’allevamento che ospita 140 capi di razza Limousine, tutti in selezione ed iscritti al Libro Genealogico Italiano ANACLI, si distingue per l’attività di selezione genetica esplicata con rigore dalla famiglia.
La Limousine è una razza ad estensione internazionale che si trova dal Sudafrica alla Russia. Viene
detta la Ferrari della carne per le sue alte rese produttive che possono toccare anche il 70%, l’elevata capacità di adattamento a qualsiasi tipo di ambiente, allevatore e allevamento — dal brado al confinato —, e un incremento medio giornaliero di 1,6 kg: tutti elementi che la rendono una razza redditizia.
Alessandro e Cosetta amano gareggiare ai concorsi internazionali di genetica e vantano molti tori pluripremiati in stalla, tra cui il campione europeo che nel 2018 superò i tori francesi. «L’importante è vincere non partecipare» dichiara Alessandro che ad Agriumbria, la Mostra nazionale dell’agricoltura, zootecnia e alimentazione svoltasi lo scorso marzo a Bastia Umbra, ha portato a casa numerosi primi posti a partire da Unico, per la categoria maschi da 16 a 20 mesi, Ughetta, primo posto per la categoria femmine da 16 a 20 mesi, e record di riconoscimenti per Tracy, che si è aggiudicata il podio per la categoria manze gravide, diventando inoltre
Nel cuore del Mugello, in Toscana, l’allevamento dell’Azienda Agricola Marchi ospita 140 capi di razza Limousine, tutti iscritti al Libro Genealogico Italiano. Razza ad estensione internazionale e dall’elevata capacità di adattamento a qualsiasi tipo di ambiente, allevatore e allevamento, è considerata la Ferrari della carne per le sue alte rese produttive che possono toccare anche il 70%
Capi bovini di razza Limousine dell’Azienda Agricola Marchi di Scarperia e San Piero (FI).
campionessa senior e campionessa assoluta della 20a Mostra Nazionale del Libro Genealogico della razza Limousine. «Avere tori importanti in stalla significa migliorare la mandria» afferma Alessandro. «Nell’ultimo decennio l’attività di selezione genetica ha inciso moltissimo sulla razza Limosine e, contrariamente a quanto si pensa, non ha avuto effetti di contro».
Nelle razze da carne la pesa è l’unico strumento che ci aiuta a capire se stiamo andando nella giusta direzione, quindi fare selezione genetica equivale a pesare gli animali alla nascita e durante lo svezzamento. «Il peso del vitello è il primo indicatore clinico che ci dice in quale verso stiamo andando» spiega Alessandro. «La pratica di pesare i vitelli è normale routine per un allevatore francese: ogni allevatore possiede il proprio bilancio genetico che custodisce come un tesoro, uno strumento essenziale in grado di fornire indicazioni come lo spessore delle ossa, la muscolatura, i caratteri funzionali, così da poterlo aiutare nella scelta del toro adatto alle proprie vacche».
Ciascun allevatore deve avere il proprio modello genetico: questo è ciò che spiega Alessandro durante
i suoi meeting che gli permettono di girare l’Italia in lungo e in largo. «L’obiettivo dell’allevatore è il reddito ma per realizzarlo occorre analizzare i tre mercati di riferimento delle razze da carne: la vendita dei vitelli da ristallo, quella dei soggetti da vita e il ciclo chiuso. Tutto ciò deve però essere spinto dal modello genetico che ogni allevatore deve avere, oltre alla conoscenza del mercato, così da offrire animali di qualità diverse in termini di morfologia, sviluppo muscolare, apparato scheletrico e caratteri funzionali quali larghezza del musello (più largo è quest’ultimo e maggiore sarà la capacità di ingestione), appiombi anteriori, appiombi posteriori, linea dorsolombare e docilità (quest’ultimo di rilevanza ordinaria poiché permette di lavorare in sicurezza)».
Un animale docile mangia e trasforma perché riposa e non vi è competizione tra i componenti della mandria. In Francia il rapporto uomo-mandria è pari a 1:100, ergo un solo allevatore è in grado di tenere a bada 100 vacche al pascolo; in Italia solo poche realtà si avvicinano a questo modello. Di contro, la troppa docilità, tipica della razza Charolaise, genera vitelli molto dut-
tili e poco reattivi al punto di non riuscire ad attaccarsi alla mammella e non prendere il colostro, cruciale nelle prime ore di vita. Selezionare per docilità è anche avere il coraggio di eliminare dalla mandria i soggetti problematici.
Alessandro seleziona le future vacche nutrici per difetto inserendo il toro che meglio corregge quell’imperfezione, creando dei gruppi omogenei e attenuando i difetti. I criteri di selezione delle vacche riguardano diversi aspetti: istinto materno, produzione di latte, qualità del colostro, grande equilibrio musco-scheletrico, larghezza del musello, buona conformazione della mammella e chiaramente docilità. Più si prosegue con il lavoro di miglioramento genetico all’interno di un allevamento e più diventa difficile scegliere i riproduttori in grado di mantenere ciò che si ha in stalla. «Il toro per tutti non esiste, esiste il toro per le vacche presenti in stalla» puntualizza Alessandro. «Il toro va scelto quando non ce n’è bisogno e non quando ci si trova in situazioni di emergenza, altrimenti si rischia di accontentarsi di quello che offre il mercato».
Alessandro conosce perfettamente tutte le linee genetiche francesi e questo gli permette di recarsi regolarmente in Francia e scegliere i migliori riproduttori.
L’allevamento Marchi vende bovini da vita, in particolar modo riproduttori; i bovini appartengono a più linee genetiche capaci di soddisfare le diverse esigenze degli allevatori. I maschi sono venduti ad un’età che va dai 12 ai 18 mesi mentre le manze dai 12 ai 16 mesi.
I bovini hanno a disposizione 300 ettari di pascoli che si estendono fino ai 1.000 metri slm, le fattrici presenti sono circa una settantina che fanno altrettanti vitelli in un anno e che rimangono con la madre per 6 mesi; ci sono poi cinque tori divisi in tre mandrie. Le vacche che partoriscono in autonomia sono fecondate dopo i 20 mesi, questo perché de-
Alessandro e Cosetta, il figlio Simone e Alvaro Marchi ad una premiazione.
L’Azienda Agricola Marchi conta circa 400 ettari distinti in pascoli, produzione di foraggi e coltivazioni di cereali necessari all’allevamento e alla produzione di farina. L’alimentazione dei capi è prettamente di matrice biologica.
vono aver raggiunto uno sviluppo tale da supportare la gravidanza e il parto. Le vacche Limousine sono molto longeve, la loro carriera dura anche diciassette anni.
La realtà dei Marchi conta circa 400 ettari distinti in pascoli, produzione di foraggi e coltivazioni di cereali necessari all’allevamento e alla produzione di farina biologica di grani antichi. L’alimentazione dei bovini è prettamente di matrice biologica e si compone di mais, orzo, favino, sali minerali e vitamine per il giovane bestiame, fieno polifita e medica per gli svezzati, erba e pascolo per le vacche.
Da pochi anni l’azienda ha cominciato a lavorare anche con il gene Polled, un carattere qualitativo e dominante che permette la selezione di animali acorni. I Marchi vendono gli animali prevalentemente in Italia ma anche in Slovenia, addirittura qualche soggetto in Francia e tra gli obiettivi
a breve termine vi è quello di poter raggiungere paesi come la Romania, il Nord Africa, il Kazakistan e Uzbekistan che in questi ultimi anni stanno crescendo moltissimo e hanno necessità di soddisfare l’enorme richiesta di carne.
L’Azienda Agricola Marchi è anche un laboratorio che trasforma e vende i prodotti del bosco in gustose confetture, grappe e liquori aromatizzati e un agriturismo dove si possono assaggiare ricette locali come il tortello mugellano, la pasta e il pane realizzati con farine ottenute dai grani antichi macinate a pietra, tutto prodotto e cucinato dalle mani sapienti di Cosetta, il vero portento dell’azienda. «Non sarei niente senza di lei», dichiara Alessandro. «Le persone che vengono al nostro agriturismo assaggiano la cucina di un tempo, cosa sconosciuta da molti purtroppo, mangiare bene è utile. Noi siamo fortunati perché viviamo in un luogo magico ed incontami-
nato e abbiamo saputo trasmettere la passione ai nostri figli».
Alessandro quali sono i tuoi sogni? «Far sì che la mia azienda di macchine per la preparazione e il confezionamento industriale di prodotti cosmetici e farmaceutici diventi tra le più importanti al mondo, per un riscatto verso i miei genitori venuti a mancare troppo presto. L’altro è poter lasciare ai nostri figli una zootecnia migliore; l’ultimo, ma non per ordine di importanza, è non perdere mai di vista l’amore per questo settore, ingrediente fondamentale della creatività».
La zootecnia è passione, unione e confronto. La zootecnia riguarda tutti noi ed è essenziale per l’alimentazione, per l’ambiente e perfino per il turismo.
Elisa Guizzo Meat specialist
>> Link: www.aziendamarchi.it
MACELLERIE D’ITALIA
FRATELLI PAPALOTTI
testi e foto di Massimiliano Rella
Qualità controcorrente in una città che ama la brace e la carne non certo povera di grasso, una piazza dove sua maestà la Piemontese non gioca certo in casa, però se finisce nelle mani del macellaio giusto si fa di gran lunga rispettare. Roma, quartiere Appio Latino, mercato rionale di piazza Epiro: il Mercato Latino, da inizio ‘900 tra le eleganti palazzine della zona. Un mercato di riferimento per chi cerca carne di prima scelta, il dry aging, la varietà delle razze. Merito anche della famiglia Papalotti, nota macelleria “rionale” che da qualche mese si è pure dotata di un laboratorio di trasformazione.
Facciamo un salto indietro. Emilio Papalotti, romano, 79 anni, entrò da garzone al Mercato Latino quando aveva appena 12 anni. «Aiutavo il principale in tutto, dalle consegne alle pulizie; ero appena un ragazzino», ci racconta Emilio durante la nostra visita a quella che oggi, grazie anche ai figli Marco e Roberta è diventata un punto di riferimento nel quartiere, in città e nella ristorazione capitolina, per chi
cerca carni selezionate e di qualità. A partire proprio dalla Piemontese, di cui la macelleria Fratelli Papalotti vanta l’unica iscrizione nella capitale al Coalvi, il Consorzio di Tutela della razza Piemontese.
Ma riavvolgiamo il nastro e ascoltiamo ancora dalle parole del signor Emilio come tutto è nato e cresciuto. «Sono qui da 67 anni — ricorda — ad un certo punto, a fine anni ‘60, quando avevo 33 anni, il titolare volle cedere l’attività e mi propose di rilevarla. Insieme all’allora socio Mario Spaziani (da anni non più in quota, NdR) decisi di acquistarla».
Passano gli anni e subentrano le nuove generazioni. Marco entra in
macelleria in pianta stabile all’età di 16 anni e lentamente stravolge tutto puntando su carni selezionate e di qualità, andando anche contro corrente rispetto alle abitudini alimentari dei romani, che amano molto la carne ricca di grasso, la griglia, i barbecue e le grigliate miste. Cosa c’era dunque di meglio per contraddire questa preferenza?
La carne di razza Piemontese, notoriamente povera di grassi.
Marco non si scoraggia, capisce che per convincere i clienti del mercato, in gran parte oggi fidelizzati, deve raccontarla la carne, sottolineare le proprietà di una razza piuttosto che di un’altra, suggerire tagli diversi a seconda delle occa-
La macelleria Fratelli Papalotti è un punto di riferimento nel quartiere Appio Latino e nella ristorazione capitolina, per chi cerca carni selezionate e di qualità. E l’unica iscrizione nella capitale al Coalvi, il Consorzio di Tutela della razza Piemontese, di cui promuove la carne
Emilio con i figli Marco e Roberta Papalotti e Flavia De Luca.
Carni fresche e frollate al banco dei Fratelli Papalotti. La macelleria nel 2024 si è dotata di un laboratorio di lavorazione e trasformazione dal quale escono hamburger, tartare, carpacci e vari pronti a cuocere.
sioni e delle esigenze di consumo e alimentari. «Capii immediatamente che era una scommessa — ricorda Marco — e così puntai a descrivere le proprietà della carne, a suggerire come mangiarla, a proporre cotture lunghe di bolliti, ma anche tartare, carpacci e crudi di carne. Oggi a Roma chi ama la Piemontese chiede spesso i crudi». E non è un’abitudine molto comune in città.
Parlare e comunicare in questo modo implica l’ascolto del cliente, ma per far diventare un punto di riferimento la sua macelleria dentro ad un mercato rionale, nascosta tra banchi di ortaggi, pochi macellai concorrenti e qualche pescheria, l’altro filone su cui Papalotti jr. ha cominciato a muoversi è stata la selezione di allevatori e razze per arrivare a costruirsi una rete fidata di fornitori.
Al primo posto, per quantità e qualità delle relazioni, c’è una vecchia conoscenza di Eurocarni, la Procarni di Gaetano Ciani (MASSIMILIANO RELLA, Procarni, storia di famiglia, in EUROCARNI n. 3/2025), da cui i Papalotti attingono a piene
mani carni di Fassona, almeno 1 manzo a settimana. Lavora poi in collaborazione con piccoli allevatori laziali per altre razze, come l’Angus e la Frisona e sempre da Procarni acquista altri tagli selezionati di Rubia gallega e Wagyu.
C’è infine un terzo aspetto qualificante nel banco dei Papalotti ed è la frollatura. La famiglia è stata infatti tra le primissime in Italia a introdurre ben due frigoriferi per il dry aging in un mercato rionale, dove si osano frollature molto lunghe per clienti particolarmente esigenti, anche oltre i 100 giorni. Brevi frollature in frigo, invece, e non oltre i 20 giorni, per una carne magra come la Piemontese.
Nel 2024 — e questa è la novità — i Papalotti hanno aperto accanto al banco macelleria uno spazio di stoccaggio con celle frigorifere e laboratorio di trasformazione, per preparare hamburger, tartare, carpacci e vari pronti a cuocere; un’offerta che da allora è cominciata a crescere ulteriormente. «È un servizio che offriamo alla clientela, ma come un qualcosa
Le birre Papalotti con una simpatica etichetta a fumetti dei Papalotti Bros. A produrre per loro la Pils in lattina è il Birrificio Rurale, di Desio (MB).
in più» tiene a precisare la sorella Roberta. «Lo consideriamo una parte importante del banco, ma senza snaturarlo, poiché la nostra attività è basata sulle carni fresche, di razza e da taglio».
Un buon 60% del banco è occupato dai tagli — praticamente tutti — della Piemontese; tra ottobre e novembre fioccano le richieste di Bue Grasso per la stagione dei gran bolliti. Ma non mancano altre razze internazionali e un po’ di carne avicola. Tra le curiosità, infine, ci sono la salsiccia cruda di Bra preparata su richiesta, qualche prodotto gourmet, le uova biologiche e di recente le birre Papalotti con una simpatica etichetta a fumetti dei Papalotti Bros. A produrre per loro la Pils in lattina è il Birrificio Rurale di Desio (MB).
A sinistra: Fausto Corsini con un taglio di Sashi. Oltre alla carne di bovini nostrani, troviamo a banco della macelleria anche Wagyu, Angus, Yugena e Irish cow. A destra: tramezzino rock and roll.
“L’amor che move il sole e l’altre stelle”, scriveva D ANTE A LIGHIERI nell’ultimo verso del Paradiso e della sua Divina Commedia. La passione muove il mondo.
Fausto Corsini non poteva immaginare che quella per il suo lavoro sarebbe diventata per lui una «passione pazzesca», tanto da eguagliare quella per la fotografia, suo primo grande amore. E invece… E invece oggi è titolare, insieme al fratello Silvano, della Macelleria Adelchi (www.adelchicarni.com) di Pavullo nel Frignano (MO). Macelleria storica, acquistata dal padre Adelchi nel 1987 e che nel 2018 i due figli hanno rilevato facendone negli anni una macelleria particolare, una macelleria gourmet. Il tutto è avvenuto sotto il segno di quella passione che cantava il Sommo Poeta. Perché di amore, in questo lavoro, ne hanno messo un po’ tutti in famiglia, a partire dal nonno Dario, che negli anni ‘70 era uno dei quattro soci di una cooperativa agricola in cui, dopo un apprendistato come salumiere, è arrivato anche Adelchi, entrato poi in società più tardi, quando l’amore, sempre lui, ci ha messo lo
zampino e si è sposato con Ileana, la figlia di Dario.
Dopo i primi anni in cui Fausto gravita attorno all’orbita paterna, dando sì una mano in macelleria, ma ancora tutto teso alla realizzazione del suo sogno di dedicarsi alla fotografia, pian piano si lascia assorbire dall’attività del padre e avvia una ricerca gastronomica complementare alla vendita del prodotto carneo. Inizia così a rovistare nella costellazione di piccole aziende che arricchiscono il panorama del gusto in Italia e lo fa così bene e con tanta passione che nel 2021 la Macelleria Adelchi è tra le Migliori Gastronomie d’Italia. «Il lato bello del mio lavoro è non smettere mai di imparare».
Dopo anni si sente ancora all’inizio Fausto, tanto sono sconfinate la sua curiosità e la sua passione per il cibo. Tanto sconfinate che hanno generato, qualche civico più in là dei locali della macelleria, una sala mostra dalle cui vetrine fanno capolino pasta, prodotti dolciari, passate, sottoli, sottaceti, vino, birra e liquori. Saltano agli occhi nomi come La Fabbrica della Pasta di Gragnano, Mancini Pastificio Agricolo, Marco Giacosa Pasta all’uovo, le birre 32 Via dei birrai e di Birrificio del Forte
(ne abbiamo parlato su EUROCARNI n. 6/2023), solo per dirne alcuni. Ma torniamo in macelleria, dove appena entri lo sguardo viene catturato dalla profusione di salumi appesi: culatta, culatello, prosciutto crudo, pancetta arrotolata, pancetta stesa, salsicce, salami, sotto ai quali si srotola il banco frigo con, da una parte, i tagli tradizionali freschi, dall’altra, i pronti a cuocere e i formaggi. Dietro il banco si muovono in quattro, ognuno secondo le proprie inclinazioni. Nonostante sia in pensione, Adelchi gira ancora per le stalle a valutare i capi pronti per il macello — in zona ancora resiste qualche piccolo allevatore con sole 5, 6, 7 scottone in stalla — e la mamma aiuta a banco, Silvano gestisce il laboratorio e Fausto cura l’offerta gastronomica.
Vediamo i freschi: per quel che riguarda la carne di manzo la scelta locale ricade sulle scottone del territorio e per le carni estere su Wagyu, Angus, Yugena (selezione frutto dell’incrocio tra bovini di razza Holstein e Black Angus, allevati nella Polonia orientale), Irish cow. In base al taglio e all’utilizzo si sceglie se frollare o meno la carne: la carne da brodo, per esempio, esce
in due giorni dalla macellazione. Per lombata, venduta senz’osso, e posteriore, la frollatura può andare dai 30 agli 80 giorni. «La frollatura giusta è intorno ai 60 giorni. È uno spettacolo cotta alla piastra» sottolinea Fausto.
Anche per la carne di maiale si cercano capi nostrani, allevati e cresciuti in Italia. Special guest, in vetrina, la carne di Tigrinto by Ferri Group, da suini bianchi e neri allevati al pascolo che grufolano sulle colline modenesi. «È carne di maiale che permette di fare frollature di 1520 giorni. Per esempio, il lombo di Tigrinto lo vendo dopo una frollatura di 15 giorni, completo di cotenne e grasso». L’hanno sempre fatta la frollatura i Corsini, anche prima che andasse di moda: la Fiorentina non è mai uscita dalla macelleria se non dopo una frollatura di almeno venti giorni. «La nostra filosofia è fornire il prodotto finito» sottolinea Fausto. «È come se un fotografo facesse una fotografia e poi la facesse stampare a un altro».
Altri capisaldi in macelleria sono la grande attenzione alla materia prima, utilizzo completo dell’animale, frollature sì, in cella statica, ma valutate in relazione alle proprietà della carne e al tipo di allevamento, e il benessere ani-
male: «Per noi è imprescindibile l’attenzione al benessere animale per avere un prodotto eccellente. La nostra ricerca fondamentale si basa sul rispetto. Se diamo da mangiare carne ai bambini la nostra carne deve essere perfetta perché devono crescere bene».
Per le carni avicole si riforniscono da Demaria, che alleva polli a lenta crescita, e dall’Azienda Agricola Scudellaro, che annovera più di un centinaio di razze allevate a pascolo.
Da Scudellaro e The Garda Egg Co., dove le galline razzolano libere, si riforniscono anche di uova.
E mentre Adelchi tutte le settimane prepara pronti a cuocere e salsiccia, che poi è l’evergreen della macelleria, alla quale da ottobre affianca la produzione di cotechini freschi, in negozio Fausto, oltre occuparsi della vendita al dettaglio, fa consulenza per i ristoratori della zona. Li aiuta a comporre i menu e a scegliere le parti dell’animale più adatte alle varie portate, preparando i tagli in modo che siano poi facili da lavorare per lo chef.
Visto che da vent’anni bazzica anche nel mondo del vino, saprà poi consigliarti un toscano, un nobile di Montepulciano, poco impegnativo, per una fiorentina di scottona frollata 40 giorni, oppure,
per chi preferisce una bella bevuta strutturata, un Cerasuolo o un Dolcetto D’Alba.
Chi entra da Adelchi per una fettina e incontra Fausto può uscirne con tutto il menu per la cena impostato. Il consiglio per noi ad esempio è: «Antipasto, grissino artigianale con un buon prosciutto di Parma, due fettine di salame Spigaroli, un pezzetto di Parmigiano Reggiano e aceto balsamico di Modena. Da bere, una bollicina, un Franciacorta Letrari o un Trento DOC. Ah, per la versione vegan, si sostituiscono i salumi con pesto e sughi. Primo: una gramigna con salsiccia, con un buon guancialetto di speck del Prosciuttificio Castagneto di Pavullo. Come secondo una fettina di Angus frollata abbinata ad una bella giardiniera in agrodolce e se hai finito il Letrari, la accompagni con un Nobile di Montepulciano». A completare c’è anche il suggerimento per qualche dolcetto. «Questa è la versione invernale. Ma ho anche la versione estiva per le grigliate: cotechino massaggiato con senape dolce, tartufo e poi grigliato al barbecue abbinato ad un Lambrusco di Sorbara». Quest’ultimo consiglio ce lo appuntiamo per l’estate che si avvicina.
Federica Cornia
Fausto e i genitori in macelleria.
GARBIN, UN DESIGNER DIETRO AL BANCONE
di Gian Omar Bison
William Garbin, geometra di formazione, è l’attuale titolare della storica omonima macelleria di Monselice (PD), un’eredità che affonda le radici nel passato, con il nonno Mario “Sinesio” e il padre Vanni a tracciare la via. Oggi William sta conducendo la bottega di famiglia verso inediti carnosi orizzonti, all’insegna di una nuova estetica e una rinnovata attenzione alla qualità tra la braceria inaugurata quattro anni fa e le attività di catering e gastronomia.
La storia della bottega inizia negli anni ‘60 quando nonno Mario rileva l’attività, apprendendo i segreti del mestiere. Un’eredità che inevitabilmente coinvolge il figlio Vanni, il quale, pur impegnato in altre professioni, continua a coltivare la passione di famiglia, subentrando alla guida nel 1969 e ampliando la struttura con un laboratorio per la lavorazione dei salumi. Le mutate normative portano all’abbandono della vecchia stalla, con la conseguente scelta di fornirsi da allevamenti esterni selezionati.
Il percorso di William segna la svolta. Dopo esperienze lavorative distante dal mondo della macelleria decide di dedicarsi all’attività di famiglia, portando con sé una visione più fresca e moderna. «Sentivo l’esigenza di un cambiamento, di una bottega più versatile e che rispecchiasse di più e meglio i nuovi tempi» spiega. La ricerca di partner affidabili lo porta a collaborare con l’Azienda Agricola Pozzan –La Bottega della Sorana di Paolo e Alberto Pozzan a Pressana (VR) e con l’Azienda Agricola Zago di
Pontelongo (PD) per quanto riguarda i bovini. «Allevamenti che lavorano i nostri capi secondo le nostre precise indicazioni — sottolinea William — soprattutto per quanto riguarda la possibilità che gli animali dispongano di uno spazio recintato dove poter pascolare al di fuori delle stalle e sull’alimentazione garantita per la quasi totalità da quanto coltivato e raccolto nelle campagne di proprietà.
La macelleria lavora annualmente circa 70 bovini, integrando l’offerta con tagli specifici e quinto quarto per i clienti più tradizionalisti. Un approccio complessivamente in linea con la sensibilità media dei consumatori che a questi aspetti prestano sempre più attenzione».
Per quanto riguarda il maiale, che acquistano a vivo e poi fanno macellare sul posto, collaborano con produttori umbri che riforniscono la totalità della carne suina e che poi i Garbin lavorano e propongono, preparando anche salumi e insaccati. La porchettona, sullo stile di quella di Ariccia, è in assoluto uno dei punti di forza: quella cotta al forno è regolarmente in carta mentre quella cotta allo spiedo si trova solo su prenotazione e per eventi. La carne avicola, infine, proviene dall’Azienda Agricola Scudellaro di Candiana oltre che da piccole aziende locali.
Chef dietro il banco e preparazioni in vaschette ATM da portare a casa: creatività, praticità e sicurezza
L’introduzione della gastronomia, la modernizzazione del laboratorio e l’installazione di una cella di frollatura a vista, il lancio della braceria sono i segni tangibili di una evoluzione portata avanti negli anni. «Abbiamo mantenuto la nostra cura artigianale ma l’abbiamo presentata in modo nuovo e diverso» precisa. «In questi ultimi anni, abbiamo iniziato a fare anche molti eventi esterni per diverse cantine, cene in vigna, collaborazioni con le strade
In alto: scottadito. In basso: la porchettona. A pagina 84: William Garbin. È lui oggi che guida la macelleria di famiglia.
del vino, ecc… È un lavoro che ci impegna molto, al punto che quest’anno la braceria, 45 coperti tra giardino estivo e bottega, non sarà aperta al pubblico dal venerdì al sabato come gli altri anni ma
solo su prenotazione per eventi e serate a tema.
Tante attività, compresa la piena fornitura di carne a due alberghi, ci hanno sobbarcato di una mole di lavoro eccessivo anche da un
punto di vista organizzativo. Magari un giorno torneremo al classico orario di apertura, ma al momento abbiamo scelto di non “scoppiare”. Sono arrivato al punto negli ultimi mesi di dover rimpiazzare dei bravi dipendenti che non hanno retto allo sforzo. E questo, tra l’altro, mi ha fatto orientare diversamente rispetto alle categorie professionali a cui rivolgermi per assumere il personale, ovvero cuochi formati e non più macellai.
Molti chef non hanno più voglia di fare il lavoro classico con i soliti orari, anche serali e i fine settimana e i giorni festivi impegnati. Per loro lavorare in una gastronomia, potendo essere a casa tutte le sere ad un certo orario, sabato compreso, disporre di due pomeriggi liberi e la domenica a casa, è una miglioria. A me forniscono la conoscenza sulla preparazione delle pietanze ed io insegno loro a lavorare di più e me-
glio di coltello. E intanto la clientela apprezza i suggerimenti di questi professionisti su come preparare piatti sfiziosi».
Una novità importante riguarda la gastronomia che sta crescendo molto. E proprio per questo i Garbin hanno deciso di proporre tutto in vaschette in atmosfera modificata Niente più gastronomia sfusa. «Spieghiamo al cliente che è vero che il ragù caldo e profumato al bancone ha il suo perché ma lo si deve consumare subito. E invece le vaschette, nonostante non siano altrettanto belle esteticamente, garantiscono salubrità del prodotto e allungano i tempi di conservazione e consumo: vaschette pastorizzate che possono durare in frigorifero anche 4 settimane. Ai miei clienti fa comodo acquistare una monoporzione di alta qualità e ottima serbevolezza e non più la classica vaschetta di lasagna da un chilo che sono obbligati a
consumare in quattro giorni. Uscirò ora con un messaggio promozionale proponendomi ad enoteche e bistrot. Ho fatto un ragionamento di questo tipo: un’enoteca, un bar, un bistrot che fanno pranzi veloci o apericene non hanno l’incasso classico del ristorante che fa pranzi e cene. E non possono permettersi un cuoco e una gestione ordinaria della cucina con tutte le attenzioni in particolare igieniche e sanitarie che vengono richieste. Se si sbaglia a cucinare e a proporre qualcosa ad un cliente si finisce sul penale. Ecco allora che ritengo vincente la scelta di avere uno chef preparato in cucina per cucinare e poi proporre vaschette in ATM di alto livello che basta aprire e riscaldare con una qualità sovrapponibile al piatto espresso. Capita si rivolgano a noi per la fornitura di determinate pietanze anche alcuni ristoranti rinomati».
L’olio d’oliva arriva direttamente dalla famiglia Garbin, proprietaria di un uliveto con 300 ulivi che portano a frangere al frantoio di Cornoleda o di Valnogaredo. «Per quanto riguarda i vini — continua William — abbiamo 80 etichette selezionate con il sommelier Silvano Bizzaro. Una scelta mirata al giusto abbinamento con le nostre carni. I vini sono divisi per questo motivo in bollicine, bianchi fermi, rossi giovani, medi e strutturati, del territorio limitrofo. Complessivamente una carta molto ricercata con produttori francesi, istriani, toscani e piemontesi e molto Veneto, in particolare Verona e i Colli Euganei. Ho clienti che mi chiamano prima per chiedermi di aprire loro determinati vini che devono ossigenare per qualche ora prima della mescita e del consumo».
Gian Omar Bison
Macelleria Garbin
Via Valli 13 Località Carmine 35043 Monselice (PD) Telefono/Fax: 0429 73526
I Garbin lavorano e propongono salumi e insaccati.
DALLA BOTTEGA STORICA A QUELLA NUOVA: LA MACELLERIA EQUINA PODESTÀ GUARDA AL FUTURO
di Lara Abrati
La provincia di Brescia è una zona in cui il consumo di carne equina, con la conseguente presenza di macellerie dedicate, è abbastanza diffuso. Nonostante, in termini generali, il consumo di questa tipologia carnea abbia
subito una flessione in negativo, sopravvivono tante piccole realtà artigianali che da decenni si dedicano a questa tipologia di carne in via quasi esclusiva, con profonda passione e dedizione. Una carne a livello nutrizionale diversa dalle
altre comunemente consumate, come manzo, maiale o pollo. Una carne molto magra, il cui grasso presente esternamente al muscolo possiede delle caratteristiche gustative molto particolari e non da tutti apprezzate, da eliminare con
A Palazzolo sull’Oglio, Brescia, ha sede l’antica macelleria equina Podestà. Dino Podestà, classe 1991, ha deciso di dare nuova linfa all’attività di famiglia iniziata dal bisnonno, proseguita dal nonno e dal papà. Dino ci mette le mani, il tempo, la faccia, la passione ma, soprattutto, il cuore
La macelleria Podestà resta una piccola attività artigianale, in cui Dino si occupa di tutto: dalla ricezione delle merci alla lavorazione delle carni, alla produzione di insaccati equini e suini e di pochissimi pronti a cuocere. Il bancone della macelleria, così come il laboratorio, è perfettamente organizzato, ordinato e pulito. Le carni equine in vendita sono di origine francese.
cura, così come le parti tendinee. Una carne che va conosciuta nel profondo e lavorata per bene; non solo, la carne equina va acquistata dall’artigiano macellaio di cui si ha profonda fiducia, in quanto la sua provenienza non è tracciata e garantita come per altre tipologie carnee.
Dino Podestà, classe 1991, lo sa bene. Ha appreso l’arte della selezione e della lavorazione delle carni equine da papà Claudio , purtroppo mancato precocemente alcuni anni fa.
Dino è l’ultimo (e unico) discendente della famiglia di macellai, che ha preso le redini dell’attività iniziata dal suo bisnonno, poi portata avanti dal nonno e dal papà. La sua bottega storica era uno di quei luoghi che tutti noi abbiamo almeno una volta frequentato: pareti ricoperte di compensato color legno, banco in acciaio, rumore dei frigoriferi accesi, lavagnetta nera con le letterine di plastica colorate ad indicare prodotti venduti e relativi prezzi al chilo e la scritta MACELLERIA come insegna esterna.
Un luogo d’altri tempi che, soprattutto per motivi legati all’evoluzione del paese e alla sua viabilità, è stato abbandonato qualche mese fa per aprire una moderna bottega con un piccolo laboratorio di lavorazione delle carni in una zona di passaggio e più comoda rispetto alle necessità di movimento moderne.
La macelleria Podestà rimane una piccolissima attività artigianale, in cui Dino si occupa di tutto: dalla ricezione delle merci, alla lavorazione delle carni alla produzione di insaccati equini (ma anche suini) e dei pochissimi pronti a cuocere, come gli hamburger di equino e manzo, arrosti, stufati e arrotolati, ma anche spiedini di maiale, cavallo pesto già condito (soprattutto d’estate) e poco d’altro.
Ci mette le mani, il tempo, la faccia, la passione e, soprattutto, il cuore
Andare a fare la spesa da Dino vuol dire capire e rispettare ciò che sta dietro alla professione artigiana del macellaio. Un invito a rallentare, ad uscire dalle logiche del tutto e subito imposte dalla Grande Distribuzione e a cui molti artigiani macellai si son dovuti adeguare per garantirsi il proseguo della loro attività. Forse, con le carni equine, la concorrenza della Grande Distribuzione si sente meno e ci si può ancora permettere di lavorare a ritmi più umani.
Ogni giorno Dino ha precise attività da portare avanti, dal disosso del martedì alla produzione di insaccati del mercoledì (o altro giorno della settimana secondo necessità) e così via. Per questo motivo, alcuni tagli particolari vanno prenotati al martedì se si vuole avere certezza di trovarli per la propria spesa i giorni successivi.
Il bancone della sua macelleria, così come il laboratorio, è perfettamente organizzato, ordinato e pulito. Ad oggi ospita anche una piccola proposta di salumi selezionati (equini, ma anche di suino) e carni di maiale, manzo e pollo, anch’esse rigorosamente scelte con cura e di origine italiana, tutte provenienti da allevamenti virtuosi. Le carni equine proposte da Dino invece sono di origine francese.
Un luogo dove fare la spesa è ancora un piacere, dove ogni piccolo elemento trasuda una cura maniacale. Dove tornare alla semplicità e dove, in fondo, tornare ad apprezzare la bellezza di essere esseri umani.
Lara Abrati
Macelleria equina Podestà
Via Romana 16/D Palazzolo sull’Oglio (BS) Telefono: 340 6530357
CARNE BIO SENZA INTERMEDIARI: LA SCELTA DI JÜRGEN PARDELLER A NOVA LEVANTE
di Riccardo Lagorio
Tutti almeno una volta nella vita si sono avvicinati ad una macchina automatica dispensatrice di bevande o panini. Semplici e affidabili: scegli il prodotto, inserisci il denaro (oggi spesso sostituito dal gesto di avvicinare la carta di credito ad un occhio elettronico) e un preciso meccanismo fa cadere nell’apposito spazio la merce che è resa facilmente disponibile. Ma a pochi sarà capitato di acquistare con le stesse modalità una bistecca o un pezzo di carne per il bollito. Bisogna salire a Carezza, nel comune sudtirolese di Nova Levante, per incontrare una di questi ancora rari dispositivi in Italia. «È stato installato a dicembre del 2024 e per il momento dà buoni risultati» racconta Jürgen Pardeller nel maso poco lontano dal celebre laghetto difeso dalla Sirenetta. Un allevamento in regime biologico che conta oggi 20 fattrici mentre fino agli anni ‘80 il maso, che risale al 1582, contava su 70 vacche da latte.
A 1700 metri l’allevamento e ogni attività agricola in generale non sono facili. «Esistono fattori oggettivi come il clima che rendono complicato l’allevamento. Fino a maggio gli animali non possono cibarsi liberi, talvolta c’è neve e comunque l’erba non è ancora a loro disposizione. Tanto è vero che riusciamo a malapena a fare due tagli per stagione». E, anche se la pertinenza del maso è di circa 45
Jürgen Pardeller davanti al distributore automatico della carne del suo allevamento a Carezza, nel comune di Nova Levante, provincia di Bolzano. «Con i miei numeri non posso contare su grandi introiti dalla vendita della carne. Ciò mi ha spinto a pensare come poter vendere al prezzo da macelleria senza intermediari. Questa è la ragione dell’installazione del distributore».
Attraverso il display touch screen del distributore automatico è possibile selezionare i tagli che poi vengono erogati. Sul pannello dell’espositore ad ogni taglio corrisponde anche un suggerimento per l’uso in cucina.
ettari, la quantità di erba raccolta (e di conseguenza di fieno) rimane esigua. E poi ci sono gli ostacoli creati dagli uomini. Detti ostacoli, con il nobile obiettivo di preservare l’ambiente, tuttavia impediscono di svolgere molte delle attività necessarie per il funzionamento ottimale dei lavori agricoli: «il verde alpino è protetto nella sua totalità al di sopra dei 1600 metri, così che la costruzione di recinti diventa difficoltosa».
Degli animali si coglie il senso di rilassatezza e di indifferenza alla presenza dell’uomo. Le vacche sono di razza Grigio alpina, «dalla carne molto buona, ma dalla resa scarsa», incrociate con un toro Limousine, con l’obiettivo di accrescere la massa muscolare dei nascituri. Lo svezzamento è assai lungo, visto che «dopo il parto, il vitello rimane con
la madre per un anno», mentre la vacca viene accoppiata alla volta di due mesi e mezzo per poter garantire un parto all’anno. «Dopo essere stato allontanato dalla madre, il vitello trascorre ancora un anno e mezzo nella nostra stalla» precisa Pardeller.
La macellazione avviene così ad un’età compresa tra i 24 e i 28 mesi, con l’obiettivo di ottenere una marezzatura evidente nel tessuto. Il ciclo delle nascite viene accuratamente programmato per poter contare su due vitelloni che giungono a maturazione contemporaneamente per un totale di 10 animali macellati l’anno.
Gli animali vanno al macello quando raggiungono il peso di circa 600 kg. «Con questi numeri non si può contare su grandi introiti dalla vendita della carne. Ciò mi ha spinto
Quando le mezzene tornano dal mattatoio, trascorse due settimana di frollatura, si effettua il sezionamento per ottenere i tagli e procedere a congelamento e sottovuoto. I tagli sono perlopiù di piccole dimensioni “
a pensare come poter vendere al prezzo da macelleria senza intermediari. Questa è la ragione dell’installazione del distributore».
Così, quando le mezzene tornano dal mattatoio, in regola per poter vantare una carne finale biologica, trascorse due settimana di frollatura, si effettua il sezionamento per ottenere i tagli e procedere al congelamento e al sottovuoto. Si tratta di tagli perlopiù di piccole dimensioni, all’incirca di 500 grammi. Sul pannello dell’espositore ad ogni taglio corrisponde anche un suggerimento per l’uso in cucina. «I clienti che provengono dalla provincia di Bolzano sono solo il 20% del totale. Gli altri sono turisti che vivono negli appartamenti del comprensorio turistico, a partire da coloro che occupano i nostri cinque appartamenti. L’appartenenza al circuito del Gallo Rosso, l’associazione contadina sudtirolese, è stata in tal senso assai utile».
Riccardo Lagorio
Angerle Alm Famiglia Pardeller
2 Schönblickstraβe 39056 Nova Levante (BZ) Telefono: 329 8627703
E-mail: info@angerlealm.com Web: angerlealm.com
SALSICCIA DI BRA, FRESCA TUTTO L’ANNO
testi e foto di Massimiliano Rella
La Salsiccia di Bra è uno dei prodotti simbolo della norcineria/macelleria piemontese. In una regione dove la produzione di insaccati varia a seconda delle abitudini locali, quella di Bra si distingue per l’uso di carni magre di bovino unite a pancetta di suino. In origine, la preparazione prevedeva esclusivamente carne bovina, una scelta legata alla presenza, nel vicino comune di Cherasco, di una numerosa comunità ebraica che si riforniva al mercato braidese e richiedeva prodotti senza carne di maiale. Questa particolarità fu sancita anche da un Regio Decreto, emanato dopo lo Statuto Alberti-
La Salsiccia di Bra, conosciuta anche nella versione dialettale di “Salciccia”, è oggi inserita nell’Atlante dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali del Piemonte. Diversamente da altri salumi, si consuma fresca tutto l’anno, cruda, senza necessità di stagionatura
no, che autorizzava i macellai di Bra a produrre “salciccia” fresca solo con carne bovina, vietando altrove la produzione di insaccati non suini.
“ ”
La Salsiccia di Bra, conosciuta anche nella versione dialettale appunto come “salciccia”, è oggi riconosciuta ufficialmente dall’Atlante dei Prodotti Agroalimentari
Salsiccia di Bra alla Macelleria Carena di Bra (CN).
Marco Carena, macellaio e presidente sia del Consorzio Salsiccia di Bra che del Consorzio dei macellai Braidesi.
Tradizionali del Piemonte. Diversamente da altri salumi, si consuma tutto l’anno, cruda e fresca, senza necessità di stagionatura. Si potrebbe anche mangiar cotta, ma è un po’ come snaturare questo prodotto di grande delicatezza e armonia, da assaporare così come lo fa il norcino/macellaio. Prodotta senza conservanti, ha una durata di 2-3 giorni, motivo per cui è anche difficile distribuirla fuori regione.
«È composta per l’80% da carne di vitello, per il 20% da pancetta di maiale, più sale, pepe bianco e droghe naturali, secondo uno specifico disciplinare di produzione. È una salsiccia molto magra, cuocendola si asciuga, va quindi mangiata cruda», assicura il macellaio Marco Carena, della Macelleria Carena di Bra, anche presidente del Consorzio dei macellai Braidesi e del Consorzio Salsiccia di Bra. Il nome Salsiccia di Bra è riservato solo al prodotto conforme ai
requisiti stabiliti dal Disciplinare di produzione vigente, che impone una filiera radicata esclusivamente nel Comune di Bra e l’utilizzo di carni bovine fresche provenienti da allevamenti piemontesi.
La lavorazione prevede l’unione di carne magra di bovino e pancetta suina finemente macinate, condite con acqua, sale, pepe, spezie naturali e zuccheri. Alcune varianti moderne ammettono l’aggiunta di vino bianco secco o formaggio vaccino grattugiato, sempre nel rispetto della normativa sugli additivi alimentari. L’insacco avviene in budelli naturali edibili di agnello, montone o pecora.
A difesa della qualità e dell’autenticità del prodotto, a maggio 2003 è stato fondato il Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione della Salsiccia di Bra, che ha debuttato ufficialmente in occasione della settima Rassegna braidese della carne di razza Piemontese. Promosso dal Consorzio Macellai Braidesi e
dall’ASCOM di Bra, il Consorzio ha come scopo principale quello di preservare la tradizione sancita dallo storico Regio Decreto. Attualmente sono 8 le macellerie associate, tutte a Bra, che continuano a produrre secondo i metodi tramandati e codificati. Alla salsiccia di Bra è dedicata da cinque edizioni la manifestazione Bra’s, che si tiene ad anni alterni con la rassegna Slow Food dedicata ai formaggi Cheese, a settembre; vi partecipano circa 10.000 persone, nella rocca del paese. Nell’anno alterno, a Torino, si svolge invece Waiting for Bra’s I due eventi sono organizzati dal Consorzio della Salsiccia di Bra in collaborazione con Ascom. Massimiliano Rella
Macelleria Carena
Via Vittorio Emanuele 55 12042 Bra (CN) Telefono: 0172 379553 – 331 2684415
E-mail: macelleriacarena2@gmail.com Macelleria Carena Bruno
Il banco della Macelleria Carena a Bra.
PESTÀT DI FAGAGNA: L’ARTE DELLA NORCINERIA
CHE RACCONTA IL FRIULI
di Chiara Papotti
Fagagna, piccolo comune incastonato nella verde e collinare regione del Friuli, conserva le tradizioni agricole e zootecniche radicate in un passato segnato dall’allevamento e dall’agricoltura. Oggi, come in molte altre zone rurali, l’economia di questa area sta lentamente cedendo spazio alla piccola industria e agli insediamenti artigianali. Tuttavia, tra le pieghe di questo cambiamento, alcune antiche tradizioni gastronomiche
continuano a vivere, tramandandosi di generazione in generazione. Una di queste è il Pestàt, una conservacondimento di carne e verdure che non solo resiste al passare del tempo, ma rappresenta un esempio di come la norcineria possa unire la qualità delle materie prime locali alla cultura culinaria di un intero territorio.
La sua peculiarità risiede nel fatto che, a differenza di molti insaccati, non viene consumato
come prodotto finito, ma come ingrediente base per diverse preparazioni culinarie. È un concentrato di sapori che conserva nel lardo suino i profumi e i sapori delle erbe e delle verdure coltivate negli orti friulani durante il periodo autunnale.
L’elemento distintivo del Pestàt è il suo metodo di preparazione: il lardo, proveniente da maiali allevati localmente in regime semibrado, viene macinato e miscelato con un trito finissimo di carote, cipolla,
sedano e una selezione di erbe aromatiche tra cui salvia, rosmarino, aglio, porro, prezzemolo e pepe. La combinazione degli odori che sono aggiunti a piacere secondo ricette tramandate di padre in figlio arricchisce ulteriormente l’impasto, che viene poi insaccato in budelli naturali e messo a stagionare in cantine fresche e umide. Le fasi di asciugatura e stagionatura consentono ai sapori di concentrarsi e amalgamarsi in un equilibrio perfetto.
Il Pestàt rappresenta un esempio di come l’economia rurale e l’ingegno contadino si siano incontrati per risolvere un bisogno primario: la conservazione del cibo durante i mesi più freddi. In un’epoca in cui la refrigerazione non esisteva, il maiale era l’animale da carne per eccellenza e ogni sua parte veniva utilizzata per sopperire alle necessità alimentari dei nuclei familiari più poveri. Il lardo, in particolare, era impiegato per conservare i sapori delle erbe e delle verdure che si raccoglievano in autunno, quando la produzione degli orti raggiungeva il suo apice.
Il processo di stagionatura del Pestàt si distingue per la sua capacità di mantenere inalterati i sapori nel tempo. Grazie alla combinazione di lardo, sale, e pepe, le verdure non sviluppano processi fermentativi e l’acqua presente nell’impasto viene progressivamente ridotta, favorendo la conservazione. Il prodotto, infatti, può essere consumato anche a breve distanza dalla produzione, ma raggiunge il suo apice di sapore e complessità dopo circa un anno di stagionatura. Questo processo non solo preserva il prodotto, ma ne migliora la qualità, creando un condimento ricco e aromatico, pronto a donare nuova vita ai piatti della tradizione regionale.
Nonostante la sua origine umile e contadina, il Pestàt è un condimento estremamente versatile, che si adatta ad una varietà di preparazioni. La sua principale modalità di utilizzo è nella preparazione dei
piatti in umido, dove viene soffritto delicatamente per sciogliere il grasso senza bruciare le verdure. In questo modo si trasforma in una base saporita che arricchisce piatti come il minestrone e la brovada, una preparazione a base di rape conservate in vinacce, che si sposa perfettamente col musetto in umido, piatto tipico della tradizione friulana.
Ma le applicazioni del Pestàt non si fermano qui. La sua ricchezza aromatica lo rende ideale per insaporire carni in umido, patate al tegame e una varietà di piatti che richiedono un condimento ricco e avvolgente. Grazie alla sua componente grassa e speziata, il Pestàt è capace di esaltare anche i piatti più semplici, trasformandoli in esperienze gustative uniche.
Oggi la produzione di questa specialità è rimasta in mano ad un ristretto numero di artigiani e al rispetto delle tecniche secolari. Per questo motivo dal 2017 è un Presidio Slow Food. In un mondo gastronomico in cui le tradizioni rischiano di scomparire sotto il peso della modernità, il Pestàt rappresenta una delle tante eccellenze che, pur nel cambiamento, riescono a mantenere viva la storia e la cultura di un popolo. Non solo un condimento, ma una parte di un patrimonio che si rinnova, attraverso le mani esperte dei norcini locali, per portare in tavola il sapore autentico di una terra che, pur cambiando, sa mantenere viva la propria identità.
Il Presidio Slow Food rappresenta non solo un atto di tutela di un patrimonio gastronomico unico, ma anche un impegno concreto per il futuro dell’allevamento locale e della norcineria regionale.
La creazione di un Disciplinare di produzione rigoroso è la dimostrazione di come sia possibile coniugare tradizione e sostenibilità, assicurando che il Pestàt resti fedele alle sue origini e, al contempo, contribuisca al mantenimento di una filiera locale di alta qualità.
Chiara Papotti
LA CARNE IN TAVOLA
IL FONDO? VE LO SPIEGO
di Giorgia Fieni
Avete mai pensato al fatto che tutto ciò che sta in basso sembra più buono? Mi spiego. Pensate a quando fate la torta e rimane dell’impasto nella ciotola: non è meraviglioso raccoglierlo con le dita e mangiarlo a crudo? O all’ultimo goccio di vino che spesso è più “vino” di tutto quello già bevuto? O al sugo che tende a poggiarsi sull’ultima porzione che risulta quindi più golosa delle altre? Ecco, è proprio questo il segreto del fondo in cucina. A rischio bruciatura, ma da ricercarsi perché è sapore concentrato. Tant’è che l’idea è quella di usarlo per fare qualcos’altro. Mi spiego.
Magari preparate un arrosto o un polpettone o un pesce e questi, assieme ad un grasso (burro o olio), alle verdure e agli odori, creano un sughetto. Lo si può riutilizzare come condimento per il contorno o la pasta o il risotto o gli gnocchi o per un’altra ricetta o trasformarlo in una salsa di accompagnamento, magari aggiungendo vino o olio o brodo o panna o miele o succo di agrumi o liquore. Oppure lo si può fare apposta, non usando il sughetto ma prodotti ittici e le ossa e/o gli scarti (e in questo caso prende il nome di “fondo bruno” o “fondo bianco” a seconda del tipo di carne usata), lasciando che sia il collagene a trasformarsi in gelatina, la quale dà consistenza alla preparazione. Ovviamente esiste anche il “fondo vegetale”, di sole verdure… anche perché quello animale contiene molti grassi saturi, che sappiamo non essere affatto in cima alla classifica degli alimenti più salubri.
Un’altra denominazione che si usa è “ristretto”: significa che è rimasto troppo liquido e va fatto
bollire ancora in modo da ridurne la quantità e concentrarne il sapore (ed eventualmente aggiunto di maizena o fecola o farina).
Il fondo può anche essere congelato e aggiunto in un secondo momento (può durare un paio di mesi ed è meglio farlo bollire un attimo prima di usarlo) a una ricetta, esattamente come un dado.
Vi faccio alcuni esempi sul come è stato utilizzato dagli esperti. Jamie Oliver usa il fondo di cottura (li tiene in vasetti separati, tranne quello di agnello, che ha un sapore troppo forte) non solo per uno stufato, una zuppa o un ragù, ma anche per le focacce e per le patate al forno.
Hervé This condisce cannelloni disposti in verticale con fondo di pesce e scrive: “Addentando questa struttura ‘fibrosa’ percepiremo la consistenza dei cannelloni e poi la fluidità della gelatina”. Nigella Lawson diluisce il fondo dei fegatini di pollo con aceto di sherry e sciroppo d’acero e commenta con: «Ok, so che suona strano — addirittura ripugnante — ma è una meravigliosa abbinata: solo fugacemente dolce, ma intensa e affumicata». A proposito di agrodolce, Gualtiero Marchesi creò un ricco fondo “dolceforte” per la lingua di vitello con aceto, cioccolato amaro, uva sultanina, pinoli, cedro candito, zucchero a velo.
Mélanie Dupuis invece prepara una salsa con senape di Meaux, fondo di vitello in polvere, aceto balsamico e fecola di patate per degli spiedini di anatra e mango (e questa è solo una delle tante varianti che propone). Trovo originale la proposta di Liz Moody che crea una pizza con una base di tortillas e una copertura di salsa di pomodoro, cheddar, fondo di pollo arrosto, salsa barbecue, cipolla rossa. Il fondo o ristretto entra anche nei titoli delle ricette. Marco Ambrosino serve “Hummus di fave secche, ritagli di pesce, verdure fresche e fermentate, fondo bruno vegetale, sommacco”, dove i ritagli sono code, teste e pance e le verdure carote, cetrioli, cavolfiore, rape di Chioggia. Massimiliano Mascia il “Riso mantecato con cipolla tostata, ristretto di sugo d’arrosto caramellato allo zucchero di canna” Davide Scabin il “Risotto cetriolo, ostrica e ristretto di Guinness”
C’è un’ultima cosa che vi devo dire sul fondo, importantissima (anche se penso l’abbiate già capita): la vera goduria è la scarpetta! Ovvero finire la pietanza e poi prendere del buon pane e raccoglierlo tutto, pian piano, degustando ogni singolo sapore…
I puristi del bon ton mi perdoneranno se dico che non so resistere, ma so che molti gourmand capiranno. Tipo Sonia Peronaci: «Intingolo, salsina, fondo…. chiamatelo come volete, ma prendete il pane e imbibitelo senza ritegno. Un secondo secco è meno voluttuoso, non c’è niente da fare. In Italia non siamo assi delle salse ma sui fondi degli arrosti non ci batte nessuno. Mia nonna addirittura li creava ad hoc se la carne non li rilasciava naturalmente… Quindi mano alla padella, fate addensare e vedrete che meraviglia!». Mi sono spiegata?
Giorgia Fieni
IL CUZ DI CORTENO GOLGI
Questo spezzatino di pecora della Valle Camonica
è ritenuto il piatto più antico della Lombardia, iscritto tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione
di Roberto Villa
Storia e legame col territorio
Che gli insediamenti umani in Valle Camonica siano tra i più antichi della Penisola tutti lo sanno: a ricordarcelo ci sono le famosissime incisioni rupestri di Capo di Ponte, patrimonio UNESCO sin dal 19791, che coprono un periodo dalla fine del Paleolitico superiore (tra 13.000 e 10.000 anni fa) all’Età del Ferro (I millennio a.C.) sino ad arrivare alla dominazione romana. Pochi però sanno che c’è un piatto tramandato di generazione in generazione se non da quei remoti periodi almeno da qualche millennio, tanto che è ritenuto da molti studiosi come il piatto più antico della Lombardia. L’allevamento dei pascoli migliori era riservato alle vacche e alle manze e così nei secoli è stata selezionata una razza in grado di valorizzare le poche risorse rimanenti e ben adattata al territorio.
La pecora di Corteno Golgi: tra integrazione di reddito, protezione ecologica e paura del lupo Senza la razza di pecora locale questo piatto forse non sarebbe mai nato o forse avrebbe avuto caratteristiche diverse da quelle attuali. Si tratta di una razza autoctona con poche esigenze alimentari, che le consentono di sfruttare i pascoli più magri. I soggetti appartenenti alla popolazione ovina di Corteno sono animali di taglia media — le femmine presentano un’altezza
media al garrese di 73 cm e un peso medio di 60 kg, mentre i maschi hanno un’altezza media di 77 cm ed un peso medio di 70 kg — che ben si differenziano da altre razze giganti come la Bergamasca. Il vello è bianco e la testa sempre priva di corna. Il profilo fronto-nasale è moderatamente montonino. Le orecchie sono pendenti, con una leggera inclinazione in avanti e non sono mai di dimensioni esagerate. Il tronco è compatto, abbastanza profondo a profilo rettilineo; le masse muscolari sono ben sviluppate, soprattutto nella zona dei glutei; presentano ossatura leggera. Peculiarità della razza è il parto gemellare (2 volte all’anno); la pecora di Corteno è tipicamente poliestrale, con tre parti in due anni. Gli agnelloni, che raggiungono un peso di 40-50 kg a 12 mesi, sono utilizzati per la produzione del cuz. L’allevamento, oltre che nel comune di Corteno Golgi, è diffuso in quelli limitrofi di Edolo, Malonno, Paisco Loveno. Dal 1992 la pecora di Corteno è stata inserita nell’elenco regionale delle razze autoctone a rischio di estinzione: il numero di capi attuali è infatti stimato in 500, anche se in passato erano scesi a 300. In estate utilizza i pascoli d’alpeggio, in parte con greggi custoditi, in parte con greggi lasciati liberi, mentre in inverno viene stabulata vicino ai centri abitati.
La pecora di Corteno non ha un’attitudine produttiva specializzata che giustifichi ricoveri, spese di personale, impiego di cani da protezione. Fornisce un reddito integrativo e viene allevata perché sfrutta piccoli ricoveri (vecchie stalle di vacche da latte) e tiene puliti i prati-pascoli intorno ai paesi. Uno dei fattori che più preoccupano gli allevatori di questa razza riuniti in associazione2 sono i lupi, che hanno sempre più fatto notare la loro presenza nell’alta Valle e, già nel 2014, erano stati segnalati sul passo del Mortirolo al confine con la Valtellina, con diversi capi trovati morti o scomparsi negli anni seguenti.
Descrizione del piatto
La carne della pecora di Corteno è ricca di tessuto adiposo: questa caratteristica in passato era apprezzata per poterla conservare durante il periodo invernale immersa nel suo stesso grasso. Il piatto si presenta come uno spezzatino di carne cotta a lungo in un paiolo di rame senza essere mescolata, se non dando qualche colpo al paiolo. A cottura ultimata, la carne può essere trasferita, coperta dal grasso di cottura, in otri di legno o terracotta, all’interno dei quali viene conservata fino al consumo. In una pentola capiente dal fondo spesso si mette il grasso della pecora tagliato sottile, la pentola si pone sul fuoco basso e vi si adagia la carne tagliata a piccoli pezzi sopra il grasso; la cottura deve essere molto lenta e dura in media quattro ore in funzione dell’anzianità della pecora. Si aggiunge l’acqua e afferrando i manici della pentola si muove la carne con gesti circolari in modo da non farla attaccare sul fondo, la carne non deve essere mescolata. Questa operazione va ripetuta più volte, soprattutto nella prima ora di cottura, in modo da non fare bruciare il grasso.
I “mastri cuzzieri”, nella originale preparazione con paiolo di rame e cottura sul fuoco, infilano al centro del paiolo un bastone di ginepro per agevolare la risalita del grasso. Nella seconda ora di cottura va verificato che l’intingolo sia fluido, così da permettere un’agile rotazione della carne con
i soliti movimenti sopra descritti. Si prosegue per almeno altre due ore a fuoco lentissimo col tegame coperto, aggiungendo un poco di acqua tiepida se dovesse risultare troppo densa. A dieci minuti dalla fine della cottura si aggiunge il sale grosso e si ruota la pentola con la carne per un’ultima volta. Quando la carne è morbida e tende a disfarsi è il segno che è cotta a puntino.
Modalità di consumo e abbinamenti enologici
La carne cotta, che deve risultare molto morbida, si serve su un letto di polenta con il suo intingolo. A piacimento si può cospargere con ricotta di pecora o formaggio grana grattugiato. Se il cuz avanza, non ci sono problemi: il grasso è un conservante naturale, che permette di mantenere intatta la bontà della carne per molti giorni e per la preparazione di ricette gustose come la minestra di cuz, patate bollite e cuz… Tra i vini sono consigliabili rossi fermi di gradazione alcolica sostenuta e buon corpo come uno Sforzato DOCG della Valtellina3 o come il Valpolicella Ripasso DOC Classico superiore. Roberto Villa
Aromatizzato con zafferano, pepe nero o noce moscata, mirto, timo, menta, rosmarino, viene cotto allo spiedo ma, se possibile, si privilegia ancora oggi la “cottura sottoterra”
di Nunzia Manicardi
Non è un “normale” porcello, anche se appartiene alla medesima specie animale: infatti su porceddu è un re. Il Re della Sardegna, dove domina incontrastato sulle tavole di qualunque ceto sociale, interpretando con straordinario e perdurante successo il ruolo principale di un singolare tipo di gastronomia democratica. Nella “Scheda identificativa dei prodotti tradizionali della Regione Sardegna” (art. 8 Decreto Legislativo n. 173/98, art.
2 Decreto Ministeriale n. 350/99), la sua denominazione ufficiale è “Suinetto sardo da latte o porcetto sardo da latte” ma la definizione in lingua sarda è quella tipica e da tutti utilizzata, che siano isolani o turisti provenienti dalle più lontane località. Tutt’al più si utilizzano i nomi geografici abbinati, cioè su porceddu nel Campidano e su porcheddu, “su proheddu” o su porcheddeddu nel Nuorese (su, ovviamente, è l’articolo italiano maschile “il”). Si tratta di
leggerissime differenze linguistiche che nulla tolgono alla diffusione generalizzata e con pressoché le medesime caratteristiche su tutto il territorio di Sardegna di questo piatto rientrante nella categoria “Carni e frattaglie fresche e loro preparazione”. Il suinetto sardo da latte è un maiale giovane in quanto, alla data della macellazione, deve avere tra i 30 e i 45 giorni. Il peso della carcassa, comprese le coratelle, non deve essere inferiore a 5 kg e non supe-
La cottura del porceddu avviene indirettamente, mantenendolo a distanza dalla brace, sopra alla quale viene fatto girare per almeno 4 ore. Si sala a metà cottura per ottenere cotenna croccante e carne tenera.
riore ai 9. Ha carni sode, compatte, sapide, con buona colorazione del muscolo, grasso di copertura consistente di colore bianco o rosato e leggera marezzatura. La “scheda” succitata descrive dettagliatamente anche le metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura in base alla quali su porceddu deve essere allevato con alimentazione pressoché esclusiva costituita dal latte materno, con una integrazione in ragione del 15% massimo sulla intera razione alimentare di prodotti naturali di origine biologica, ad esempio farina di granaglie, erbe, bacche, ecc… È inoltre importante che, dopo la prima settimana di vita, possa muoversi liberamente all’interno di recinti controllati e di adeguata ampiezza. Non sono richiesti materiali o attrezzature specifiche utilizzabili per la preparazione e il condizionamento, però i locali di lavorazione, conservazione e stagionatura devono essere conformi e rispondenti alle vigenti disposizioni di legge in materia di macellazione e conservazione delle carni macellate (a quest’ultimo proposito va evidenziato che finora non sono mai state avanzate richieste di deroghe). Una volta perfettamente pulito sia all’interno che all’esterno, viene tagliato longitudinalmente, infilato nello spiedo e, come vuole la tradizione, aromatizzato e speziato con zafferano, pepe nero o noce moscata, mirto, timo, menta e rosmarino.
Il segreto della fama del porceddu sardo, però, è la cottura, che avviene indirettamente: il porceddu viene tenuto a distanza dalla brace e sopra di essa viene fatto girare per almeno 4 ore. Si sala soltanto solo a metà cottura per ottenere cotenna croccante e carne tenera, condite sia prima che dopo con i profumi della terra sarda.
L’inserimento tra i prodotti tradizionali è basato, in genere, sulla presenza di elementi che comprovano che le metodiche sono state praticate in maniera omogenea e secondo regole tradizionali per un
periodo non inferiore ai 25 anni. Nel caso di su porceddu il dato storico di maggiore attendibilità di questa specialità che non trova similari in tutto il territorio nazionale e comunitario è riscontrabile nel testo “Dei costumi dell’Isola di Sardegna comparati cogli antichissimi popoli orientali” di ANTONIO BRESCIANI, Edizioni di Napoli, 1850, pag. 94.
Sono tanti i testi riguardanti la gastronomia sarda editi in tale lasso di tempo, a cui si potrebbe affiancare la disamina storica fino a 25 anni or sono dei menù in uso nei più celebrati ristoranti dell’isola dove fra gli arrosti spicca sempre il porcetto sardo da latte. Ma la tradizione di su porceddu è sicuramente molto, molto più remota, in quanto elemento distintivo di quella cultura pastorale che domina nell’isola da tempo immemorabile e che, anche da questo punto di vista, avvicina la Sardegna ad alcuni popoli e Paesi dell’area balcanica e del Medio oriente. Lo dimostra anche a carraxiu, la “cottura sottoterra”, che personalmente ho visto fare pure in Giordania. Questa cottura è oggi meno diffusa perché non da tutti è facilmente praticabile, tuttavia rimane apprezzatissima, oltre ad essere molto suggestiva in tutte le sue fasi di preparazione. Rinviamo per questo motivo anche alla visione di un breve filmato pubblicato su YouTube1, dove sono fornite tutte le spiegazioni secondo le quali per cuocere il maialetto sotto terra
bisogna scavare una buca di almeno 70 cm e predisporre 2 fuochi, uno dentro la buca e uno fuori che servirà per coprirlo. La legna deve essere forte (va bene anche quella tipo bancale). Su porceddu viene massaggiato e riempito con il trito di erbe aromatiche, tra cui parecchie foglie di mirto, che è anch’esso tra gli elementi più tipici del territorio sardo. Sale abbondante e ricopertura dell’intero animale con mirto. Per motivi di igiene nel video di presentazione viene calato nella buca avvolto nella stagnola, mentre un tempo lo si metteva dentro direttamente: “Adagiatelo con amore. Copritelo con la brace fatta nel fuoco esterno alla buca, coprite di terra delicatamente e poi accendete un altro fuoco sopra la terra”. La cottura, com’è evidente, richiede tempi lunghi: ben 6 ore per un maialino da 11 kg. L’estrazione può essere facilitata con l’aiuto di qualche giro di fil di ferro e la predisposizione di una specie di maniglie. L’importante è che venga estratto tutto intero. Il porcheddu ammurtau viene infine ancora ricoperto in foglie di mirto durante il periodo di raffreddamento. Nell’attesa, e durante la successiva conviviale degustazione, vino Cannonau a volontà.
Nunzia Manicardi
Nota
1. Il video di YouTube si può visionare a questo link: www.youtube.com/ watch?v=rFVW83TNHSk
Bacche di mirto, il profumo e il sapore della Sardegna.
NUTRIZIONE
PROTEINE PER TORNARE IN FORMA: COME SCEGLIERE LE CALORIE GIUSTE?
Parla la nutrizionista Elisabetta Bernardi: le calorie non sono tutte uguali. E le carni saziano di più
Tornare in forma si può, optando per modelli dietetici sani ed equilibrati, senza sottovalutare il ruolo benefico delle proteine, preziose alleate. «Di tutti i miti legati all’alimentazione, quello delle calorie è uno dei più diffusi. Si pensa, infatti, più alla quantità di calorie da assumere, che al tipo di alimenti che le forniscono. E questo accade nonostante le calorie fornite da una caramella siano profondamente diverse da quelle fornite da una bistecca» afferma Elisabetta Bernardi, biologa nutrizionista, specialista in scienze dell’alimentazione e docente di Biologia della nutrizione presso l’Università degli Studi di Bari. «Le proteine sono grandi alleate della linea perché, quando vengono metabolizzate, forniscono, a conti fatti, meno calorie per grammo rispetto ai carboidrati e donano un prolungato senso di sazietà».
Una cattiva nutrizione può portare alla riduzione della nostra risposta immunitaria, aumentando la suscettibilità alle malattie e compromettere lo sviluppo fisico e mentale. «Non esistono alimenti che sottraggono calorie, non c’è cibo che bruci il grasso corporeo — spiega la dottoressa Bernardi — ci sono invece cibi che possono aiutare ad ottimizzare una dieta dimagrante. Quando si vuole perdere peso bisognerebbe per esempio consumare più spesso quegli alimenti che aiutano la sazietà, stimolano il metabolismo, oltre a essere ricchi
di macronutrienti e con pochi zuccheri e grassi aggiunti».
Le proteine saziano rapidamente e mantengono a lungo la sensazione di “pienezza”, richiedendo anche più energia per essere digerite e aiutano a mantenere e aumentare la massa muscolare magra, la massa metabolicamente più attiva in grado di aumentare il metabolismo.
L’alimentazione e l’esercizio fisico regolare sono entrambi molto importanti per lo sviluppo muscolare e gli alimenti ad alto contenuto proteico svolgono un ruolo chiave nel mantenimento e nella costruzione della massa muscolare. La fibra alimentare rallenta, poi, la digestione e garantisce un aumento graduale dei livelli di glucosio nel sangue con conseguente rilascio più lento dell’insulina, l’ormone che favorisce l’immagazzinamento del grasso. Inoltre, mentre la fibra si muove attraverso il sistema digestivo, vengono rilasciati i vari ormoni della sazietà che inviano segnali al cervello per ridurre la fame e regolare l’assunzione di cibo.
Anche il pesce è una fonte eccellente di proteine di alta qualità che possono aumentare il senso di sazietà e il metabolismo. È stato dimostrato, inoltre, che anche le uova aiutano a ridurre l’appetito e, quando possono essere inserite nei piani alimentari, possono favorire la perdita di peso, così come le proteine del latte e derivati, che contribuiscono a stimolare il rilascio
di ormoni della sazietà, promuovere la perdita di grasso e migliorare la composizione corporea.
Contrariamente a qualsiasi pregiudizio, anche i salumi rappresentano degli alleati per tornare in forma, specialmente se accompagnati dalla frutta. Gli alimenti ricchi di fibre aiutano, infatti, a sentirsi sazi più a lungo.
«Per digerire un alimento il nostro corpo deve spendere energia. Ma quanta ne spende?» conclude Bernardi. «Prendiamo il nutriente principale dei salumi, le proteine. Le proteine al pari dei carboidrati apportano 4 chilocalorie per grammo, ma parte delle calorie derivate dalle proteine viene persa sotto forma di calore quando vengono metabolizzate dall’organismo. Per digerire i grassi si perde solo il 2% dell’energia, per i carboidrati l’8% e per le proteine ben il 20-30%.
Le proteine, dunque, richiedono molta più energia per essere metabolizzate rispetto ai grassi e ai carboidrati. Questo vuol dire che 100 calorie provenienti da un salume come il prosciutto cotto, prosciutto crudo privato del grasso e la bresaola (calorie che derivano quindi quasi totalmente dalle proteine) a conti fatti corrispondono a circa 75 kcal. E a questo va aggiunto l’effetto sulla sazietà».
Fonte: EFA News European Food Agency efanews.eu
Le proteine saziano rapidamente e mantengono a lungo la sensazione di “pienezza”, richiedendo anche più energia per essere digerite e aiutano a mantenere e aumentare la massa muscolare magra, la massa metabolicamente più attiva in grado di aumentare il metabolismo.
MARCA POLAND: ESORDIO DI SUCCESSO A POZNA Ń
90 espositori, oltre 900 visitatori e una significativa rappresentanza di buyer della GDO dai paesi dell’Est Europa hanno animato l’edizione zero di Marca Poland. Frutto della collaborazione tra BolognaFiere e MTP Grupa, il nuovo appuntamento fieristico punta alla piena valorizzazione della Marca del Distributore in Polonia e nell’Est Europa, offrendo alle aziende italiane un accesso privilegiato ad un mercato con un grande potenziale di crescita
Marca Poland ha debuttato con soddisfazione a Pozna ń , presentandosi come nuovo punto di riferimento
per la Marca del Distributore in Polonia e nell’Europa dell’Est. Nata dalla sinergia tra BolognaFiere e MTP Grupa, Marca Poland
costituisce un passo decisivo nel processo di internazionalizzazione di MARCAbyBolognaFiere, evento leader dedicato alla Marca del
La due giorni ha offerto un interessante programma di approfondimenti e convegni esclusivi, arricchendo l’evento con trend e informazioni di scenario per la Marca del Distributore.
Marca Poland ha accolto 90 espositori italiani e internazionali appartenenti alle principali categorie del Food, Non Food e Pet food. Gli oltre 900 operatori in visita hanno vivacizzato i due giorni di manifestazione.
Distributore, oggi geoclonato con successo all’estero grazie all’ultraventennale know-how.
L’evento ha accolto 90 espositori italiani e internazionali appartenenti alle principali categorie del Food, Non Food e Pet food, con la significativa partecipazione di Lidl, presente in fiera con un proprio spazio espositivo. Gli oltre 900 operatori in visita, tra cui alcune delle principali catene della GDO dell’Est Europa, hanno vivacizzato i due giorni di manifestazione.
Sono stati 32 i buyer che hanno aderito all’International Buyers Program, con una rappresentanza di retailer di primo piano provenienti da 20 Paesi diversi, tra cui Germania, Belgio, Francia, Estonia, Azerbaijan, Kosovo, Kazakistan, BosniaErzegovina e Romania.
Oltre agli stand espositivi, ha suscitato notevole apprezzamento la mostra dedicata all’IPLS-International Private Label Selection 2025, con 320 prodotti della MDD proposti in esposizione da 140 aziende che avevano anticipato le loro novità a MARCAbyBolognaFiere (15-16 gennaio).
La due giorni ha inoltre offerto un interessante programma di ap-
profondimenti e convegni esclusivi, arricchendo l’evento con trend e informazioni di scenario per la Marca del Distributore.
Grande interesse ha suscitato il convegno inaugurale curato da Circana dal titolo “Analisi e presentazione dei dati sulle private label dei principali paesi europei”, con un focus sul contesto tedesco. È stata molto apprezzata anche la presentazione dei dati di settore a cura di IPLC “Marche Private e Marche del Distributore: scenari straordinari per un rapporto di successo tra produttori e distributori”
«Con il successo di Marca Poland e la partnership con MTP Grupa, continua la strategia di internazionalizzazione del nostro ecosistema dedicato alla marca privata» ha dichiarato Antonella Maietta, Exhibition Manager di MARCAbyBolognaFiere & ADM. «Dopo l’avvio di Marca China, questa nuova manifestazione rafforza ulteriormente il nostro network globale».
I trend globali ed europei della MDD: uno zoom sulla crescita Nel 2024 il mercato globale della private label ha guadagnato quasi 8% punti quota tra i beni di largo
consumo rispetto all’anno precedente. Non solo: il 40% dei consumatori si dichiara pronto a passare a un prodotto MDD di qualità, anche se più costoso, mentre il 50% afferma che probabilmente in futuro acquisterà sempre più prodotti a marchio privato.
La popolarità della MDD è in forte crescita anche in Polonia dove il 53% dei consumatori è favorevole all’acquisto di prodotti a Marchio del Distributore, con una quota di mercato della MDD che si attesta al 20% (fonte: NIQ Retail Measurement Services).
I prossimi appuntamenti per la MDD firmati BolognaFiere
• Marca China, 4a edizione, in programma il 25-26 settembre al Poly World Trade Expo di Guangzhou;
• MARCAbyBolognaFiere & ADM, in programma il 14-15 gennaio 2026 a Bologna
>> Link: www.marca.bolognafiere.it
SOLUZIONITECNOLOGICHEPERL'INDUSTRIADELLACARNE
DNC-Macchinaperildisossoinverticaledell’ancabovina p
FAZZINI TECHNOLOGY: LAVORARE CON COLTELLI CHE TAGLIANO È QUANTO DI PIÙ
PIACEVOLE POSSA CAPITARE
Lavorare con coltelli che non tagliano o tagliano male è quanto di più fastidioso possa capitare. Quando il coltello scivola o schiaccia significa che ha bisogno di essere affilato. Bisogna portarlo dall’arrotino o aspettare che passi lui. Sì, ma quando? «Acquistando una macchina affilatrice professionale FAZZINI TECHNOLOGY avete deciso di risolvere in modo definitivo il problema dell’affilatura ed avete
scelto di acquistare un prodotto di alta qualità interamente prodotto in Italia. Da 38 anni produciamo e vendiamo macchine affilatrici che si distinguono per robustezza, qualità, semplicità di utilizzo» ci dicono alla Fazzini.
Le macchine affilatrici più vendute nei ristoranti, macellerie, salumerie, pizzerie, pescherie, trattorie, bar e pub, mense per piccole comunità sono i modelli Micra K2
per coltelli, Small KS5, che permette di affilare coltelli e forbici, e Compact K10 per coltelli.
• Micra K2: questa “piccola professionale” è consigliata per aziende con volume di attività medio/ basso come ristoranti, pizzerie, piccole macellerie, salumerie, gastronomie, pescherie, aziende di catering, piccole mense, case di cura, enoteche e osterie con cucina;
MICRA K2
• Small KS5: questo modello permette di affilare coltelli e forbici ed è consigliato per ristoranti, macellerie, salumerie, salumifici, mense, case di cura, aziende agricole, pescherie, supermercati ed industria in genere;
• Compact K10: questo modello permette di affilare coltelli. Progettata per lavorare con frequenza, è consigliata per aziende con volume di attività medio/alto come ristoranti medio/grandi, catering, comunità, macellerie, salumifici, aziende agricole, mense, case di cura, industria alimentare, laboratori affilatura e industria.
Tutte le macchine sono realizzate in acciaio ed alluminio. Le
mole sono in acciaio C40 rivestite in C.B.N. (Nitruro di Boro Cubico). Questa particolare composizione consente la lavorazione a secco senza problema di surriscaldamento. Le mole per l’affilatura dei coltelli sono a vite elicoidale, una contrapposta all’altra compenetranti e formano fra loro un angolo costante, permettendo di ottenere un’ottima affilatura semplicemente appoggiando la lama e facendola scorrere fra le due mole. Le mole sono bilanciate e fissate con calettatore. Questo permette massima robustezza e riduzione al minimo delle vibrazioni. La manutenzione è semplice e ridotta al minimo, incluso il cambio mole da effettuarsi una volta consumato il rivestimento.
Fazzini Technology Sas
Via Vittorio Veneto 9/D
23815 Introbio (LC)
Telefono: 0341 981440
Fax: 0341 983097
E-mail: commerciale@fazzinitechnology.com
>> Link: www.fazzinitechnology.com
SMALL KS5
COMPACT K10
R.P.S KS5
R.P.S
TECNOLOGIE CRIOGENICHE
PER IL CONFEZIONAMENTO DELLA CARNE: INNOVAZIONI LINDE NELLO SKIN PACKAGING
Il confezionamento in skin dei prodotti a base di carne rappresenta oggi una tecnologia in rapida espansione nel settore alimentare. I vantaggi che offre sono molteplici e strategici:
• significativo aumento della shelflife del prodotto;
• ottimizzazione dello spazio a scaffale nei punti vendita;
• presentazione visiva che valorizza le caratteristiche della carne;
• mantenimento ottimale delle proprietà organolettiche.
Questa tecnologia avanzata di confezionamento richiede però
specifici pretrattamenti per garantire risultati ottimali ed è qui che entrano in gioco i processi di crostatura criogenica.
Il processo di crostatura criogenica: principi e benefici per i prodotti a base di carne La crostatura criogenica, nota anche come crust-freezing, è un processo che crea uno strato temporaneamente congelato (2-4 mm) sulla superficie del prodotto. Il trattamento conferisce alla carne una struttura compatta e resistente, fondamentale per le successive fasi di lavorazione. Questa
tecnologia risulta particolarmente efficace per prodotti come:
• hamburger e polpette;
• tartare di carne;
• tagli pregiati e bistecche;
• preparati di carne macinata. Il principale vantaggio è la capacità di preservare l’integrità strutturale della carne durante la fase di tiraggio del vuoto nel processo di skin packaging. Senza questo pre-trattamento, prodotti con temperatura inadeguata o consistenza insufficiente rischierebbero deformazioni e perdita di compattezza, compromettendo l’aspetto e
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la qualità del prodotto finale. Un elemento fondamentale è che il processo è completamente “reversibile”: una volta completato il confezionamento, il prodotto ritorna alle sue caratteristiche originali senza alcun deterioramento qualitativo, problema invece comune con altre tecniche di indurimento.
Rivoluzione produttiva
nelle temperature ultra-basse
L’impiego di temperature estremamente basse, fino a –100°C, ha trasformato radicalmente i processi produttivi nell’industria della carne. Questo approccio innovativo consente alle aziende di realizzare un rapido raffreddamento dei prodotti occupando spazi notevolmente ridotti e mantenendo una linea di produzione continua.
Le soluzioni tecnologiche Linde per lo skin packaging: versatilità ed efficienza
Linde Gas Italia offre una gamma completa di tecnologie criogeniche, specificamente adattate alle esigenze dell’industria della carne.
Tunnel lineari
Sono surgelatori a flusso continuo ideali per hamburger e prodotti a base di carne macinata. Il prodotto viene trasportato su nastro attraverso una zona di raffreddamento ad azoto liquido. I parametri di tempo e temperatura vengono personalizzati in base alla pezzatura e alle caratteristiche specifiche della carne. La capacità produttiva è determinata dalla lunghezza del tunnel, con possibilità di adattamento a diverse esigenze produttive.
Tunnel a spirale
Questi impianti criogenici continui si sviluppano verticalmente con un nastro trasportatore a spirale, particolarmente indicati per grandi volumi di produzione come nelle industrie di trasformazione della carne. Offrono ampie superfici di lavoro e conseguentemente elevate capacità produttive, ideali per
Linde Gas Italia offre una gamma completa di tecnologie criogeniche specificamente adattate alle esigenze dell’industria della carne come tunnel lineari, a spirale e armadi criogenici.
aziende che lavorano con un’ampia gamma di prodotti carnei.
Armadi criogenici
Rappresentano la soluzione ideale per macellerie industriali o produzioni artigianali con volumi più contenuti. Sono surgelatori a lotti (batch) in cui i prodotti a base di carne vengono caricati manualmente su carrelli e inseriti nella camera di surgelazione, garantendo flessibilità per piccole e medie produzioni di alta qualità.
Vantaggi operativi e commerciali per i produttori di carne
Le soluzioni criogeniche Linde presentano numerosi punti di forza specifici per il settore della carne:
• estrema versatilità operativa per diverse tipologie di prodotti carnei;
• facile installazione in spazi contenuti, ideale per modernizzare impianti esistenti;
• possibilità di diversificare la
produzione con nuove referenze (hamburger premium, carni macinate IQF, bistecche porzionate, ecc…);
• miglioramento significativo della qualità visiva dei prodotti confezionati;
• riduzione dello scarto produttivo grazie alla maggiore integrità dei prodotti durante il confezionamento;
• disponibilità anche a noleggio, senza necessità di investimenti iniziali.
• Per ulteriori dettagli potete contattare Linde Gas Italia: marketing.it@linde.com
>> Link: www.linde.it
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Niederwieser, Dow e Kuraray presentano le buste sottovuoto riciclabili
In una collaborazione strategica tra settori, Niederwieser, azienda leader a livello europeo nelle soluzioni di buste sottovuoto, Dow, multinazionale delle scienze dei materiali, fornitore di resine PE ad alte prestazioni che combinano rigidità e resistenza, migliorano le proprietà ottiche e ottimizzano i costi, e Kuraray, specialista nelle tecnologie barriera grazie a soluzioni EVOH che prolungano la shelf-life e mantengono la freschezza degli alimenti, uniscono le forze per promuovere soluzioni di packaging sottovuoto sostenibili per l’industria alimentare. L’obiettivo? Sviluppare buste sottovuoto a base di polietilene (PE) con barriera EVAL™ EVOH, in grado di garantire riciclabilità e al contempo prestazioni elevate richieste dalle applicazioni alimentari. Con l’imminente entrata in vigore del Regolamento europeo su imballaggi e rifiuti di imballaggio (PPWR), destinato a trasformare il settore, questa collaborazione rappresenta una risposta proattiva al nuovo scenario normativo, offrendo un’alternativa completamente riciclabile in polietilene alle tradizionali buste multistrato, capace di preservare l’integrità dell’imballaggio e la qualità degli alimenti lungo tutta la filiera. I vantaggi principali delle buste sottovuoto in polietilene:
• progettate per la riciclabilità: la struttura in polietilene è più compatibile con i flussi di riciclo meccanico;
• maggiore integrità dell’imballaggio: garantisce la conservazione e la sicurezza alimentare lungo l’intera filiera;
• durata di conservazione prolungata: l’elevata barriera all’ossigeno consente di conservare la freschezza degli alimenti più a lungo;
• ottimizzazione dei costi: rappresenta un’alternativa economicamente comparabile alle buste tradizionali, senza compromessi sulle prestazioni;
• riduzione dell’impronta di CO2: un passo avanti verso la decarbonizzazione del ciclo di vita degli imballaggi (sono attualmente in corso valutazioni di impatto da parte di enti terzi).
>> Link: www.niederwiesergroup.com
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produzione di pari passo con il rispetto dell’ambiente