Premiata Salumeria Italiana 2-2025

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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food – Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

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Euro Annuario Carne

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.

Edizione 2025 Copia cartacea: € 95,00

A pagina 98.
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
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Lo chef dell’olio L’Olio di Comunità Fabrizio Bertucci
Vino Langhe, vino, buon cibo e relax
Maria A. Dessì
Massimiliano Rella
Massimiliano Rella
Due libri Guida Salumi d’Italia 2025 – Salume. Arte italiana
A pagina 46.
A pagina 126.
A pagina 80.

AGENDA

Cremona

Cremona si prepara ad accogliere la 5a edizione di “Formaggi & Sorrisi – Cheese & Friends Festival”, in programma dal 28 al 30 marzo nel cuore della città. Il festival rappresenta un’occasione unica per scoprire e assaporare formaggi provenienti da tutte le regioni d’Italia, immersi in un’atmosfera festosa. Appassionati, esperti del settore e curiosi potranno partecipare a degustazioni guidate, momenti di intrattenimento e incontri con esperti per approfondire la cultura casearia. Tra i tanti appuntamenti, il Maxi Panino al Provolone lungo oltre 10 metri e la Grande Muraglia Lunare, una spettacolare installazione casearia con mezzelune di provolone. Il cuore pulsante della manifestazione sarà il Palacheese, che ospiterà alcuni degli appuntamenti più attesi. Protagonisti assoluti saranno il Grana Padano DOP e il Provolone Valpadana DOP, che durante le numerose degustazioni tematiche verranno presentati in diversi abbinamenti gastronomici. L’esperienza sarà arricchita dalla presenza di esperti ONAV, che guideranno gli ospiti nella scoperta di abbinamenti con vini, gin e sakè. Non mancherà il Premio Cuore Bianco che quest’anno va alla Cooperativa I Tesori della Terra di Cervasca, Cuneo, esempio virtuoso di come l’agricoltura biologica possa intrecciarsi con l’impegno sociale. www.formaggiesorrisi.it

Vinitaly è la prima fiera del vino e dei distillati rivolta agli operatori del business sui mercati internazionali. La 57a edizione è in programma a VeronaFiere dal 6 al 9 aprile prossimi. Quattro giorni dedicati allo sviluppo delle relazioni tra produttori, buyer e stakeholder per condividere esperienze e competenze. Con un debutto: i vini No-Low alcohol. Per il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo: «Vinitaly è crocevia delle tendenze che da sempre intercetta, monitora e analizza al fine di potenziare servizi e contenuti per le nostre aziende espositrici e per il settore. In questa ottica, da quest’anno, i vini NoLo entrano per la prima volta nel programma della rassegna per potenziare il ruolo di Vinitaly, che apre nuovi mercati e affronta le sfide dell’evoluzione della domanda». Ad oggi il programma “dealcolato” di Vinitaly 2025 contempla due focus: “Zero alcol e attese del mercato” (8 aprile) e “Tecnologia 0.0: produzione e innovazione a confronto” (9 aprile), realizzati in collaborazione con Unione italiana vini e col supporto dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly per la lettura dell’evoluzione di questo segmento del mercato. Ricordiamo che Vinitaly è anche “Vinitaly and the City”, il fuori salone di Vinitaly: dal 4 al 6 aprile tre giorni di degustazioni, incontri ed eventi nel cuore di Verona. Un viaggio alla scoperta dei migliori vini e dei luoghi più significativi del centro storico della città Patrimonio mondiale UNESCO. Vinitaly include infine l’evento esclusivo OperaWine, in programma presso le Gallerie Mercatali il 5 aprile, la super degustazione dei vini più iconici e rappresentativi del Belpaese secondo WINE SPECTATOR www.vinitaly.com

Verona

Cagli (PU)

Torna dal 25 al 27 aprile Distinti Salumi, la manifestazione della Città di Cagli (PU), realizzata in collaborazione con Slow Food Italia e Slow Food Marche, che celebra la migliore norcineria artigianale italiana. Una tre giorni di Laboratori del Gusto, incontri, conferenze e un mercato per portare nella cittadina marchigiana i più grandi interpreti dell’artigianato norcino nazionale, i custodi delle razze locali italiane e gli allevatori estensivi e di piccola scala. Tra i temi di questa edizione, l’obiettivo di preservare la biodiversità per un futuro di qualità e l’appello Salviamo le razze suine autoctone italiane, l’allevamento estensivo e di piccola scala (in foto, salsiccia e soppressata del Vallo di Diano, photo © Giuseppe Cucco). www.slowfood.it/distinti-salumi

Cittadella (PD)

La 13a edizione di Formaggio in Villa trova ospitalità nelle storiche vie del centro di Cittadella, dall’11 al 14 aprile Le mura antiche, le atmosfere medioevali, i palazzi storici, le piazze e le piazzette saranno la coreografia della rassegna dedicata ai migliori formaggi italiani, ai salumi e ai prodotti di tendenza per la cucina. In contemporanea andrà in scena infatti il Salone dell’Alta Salumeria, con le migliori specialità norcine italiane. Un’occasione per far conoscere i salumi e le produzioni di nicchia artigianali, con degustazioni guidate e momenti di approfondimento durante i quali gli espositori presenteranno i prodotti e la storia aziendale. L’evento ospita anche le semifinali dei formaggi in gara per la nomination del premio Italian Cheese Awards 2025 www.formaggioinvilla.it

Naturno (BZ)

Il 4 maggio Naturno, piccolo comune a 15 km a ovest di Merano, nel cuore del Parco Naturale Gruppo di Tessa, ospita la Giornata dello speck dell’Alto Adige. Sarà possibile gustare piatti innovativi a base di speck in un’atmosfera conviviale con showcooking e musica, oltre ad un piccolo mercato di specialità a base di speck altoatesino. L’evento inizierà alle ore 10:00 sulla piazza del municipio di Naturno e si svolgerà con qualsiasi condizione atmosferica. www.suedtirol.info

Milano

Il nuovo TuttoFood targato Fiere di Parma è in programma a Milano dal 5 all’8 maggio. L’evento dedicato all’ecosistema agroalimentare globale si propone come punto di riferimento nel mondo per la filiera del Food & Beverage, promuovendone l’innovazione. «Con TuttoFood Milano 2025 — sottolinea Antonio Cellie, AD di Fiere di Parma — abbiamo voluto capitalizzare le Buone Pratiche Fieristiche di Cibus Parma mettendo a disposizione delle aziende del settore e delle TPO di tutto il mondo il nostro patrimonio di conoscenze, la nostra capacità di fare business matching e creare relazioni, di intercettare e valorizzare le tendenze e i prodotti più interessanti (compresi quelli di nicchia), fornendo loro gli strumenti fieristici e digitali di cui necessitano per candidarsi presso gli assortimenti della Distribuzione (Retail e Ho.Re.Ca) internazionale. TuttoFood sarà una piattaforma innovativa, globale e immersiva, un vero e proprio hub culturale del cibo e delle bevande dove, in fiera e in città, fioriranno idee e nasceranno nuove tendenze. La combinazione di Cibus e TuttoFood auspichiamo diventi il punto di riferimento fieristico dell’intero settore agroalimentare. Un po’ come la nostra cucina lo è per quella mondiale». E per questa edizione, gli oltre 150.000 m2 di spazio espositivo Rho Fiera si amplieranno andando ad abbracciare l’intera area metropolitana di Milano grazie alla concomitante TuttoFood Week, che dalla settimana precedente (3-8 maggio), in collaborazione con Mondadori, promoverà una rassegna itinerante tra luoghi iconici della città, tra food show, tavole rotonde, eventi, degustazioni guidate, percorsi di mostra e rassegne cinematografiche. Con questa estensione, TuttoFood riunirà i grandi player globali e le start-up più interessanti della scena food mondiale, parte di un catalogo espositori che ospiterà oltre 3.000 brand. Una fucina di idee innovative che, tra le altre cose, presenterà modelli di economia circolare, applicazioni pratiche di gestione degli scarti di produzione e riduzione degli sprechi alimentari. www.tuttofood.it

E MANGIATI

Uova COLORATE

A Colà di Lazise (VR), nella sua The Garda Egg Co., Federica Bin alleva all’aperto razze speciali di galline ovaiole che producono uova buonissime e mirabilmente colorate: bianche, azzurre, verde pallido, marroni, rosa… La confezione classica contiene 6 uova fresche bio di calibro Medium – Large. A diversa colorazione, corrisponde una razza diversa e un aroma e un gusto differenti. Sorprendenti! thegardaeggco.com

Tiramisù

DA BERE

Il tiramisù, uno dei dolci più noti e amati in Italia e all’estero, è anche un liquore altrettanto goloso prodotto da Distilleria Bonaventura Maschio di Gaiarine (TV). Di un bel color nocciola, struttura cremosa e invitanti note tostate di cacao e caffè al naso e al palato, questo Tiramisù Di Casa contiene latte e derivati del latte e dell’uovo. Grado alcolico 16% vol., anche nella bottiglietta da 100 ml. Si gusta caldo, freddo o shakerato. tiramisudicasa.it

CROCCANTE DI FIUMALBO

È il dolce tipico del borgo di origine celtica sull’Appennino modenese al confine con la Toscana. Questo, prodotto da Supermercato Pettorelli, è disponibile in tre diversi gusti. Noi abbiamo scelto la versione “interamente mandorla”, ricca combinazione di mandorle granellate, lamellate e intere. Sfoglia sottilissima e forma arrotolata per un “peccato di gola” da gustare da solo, col gelato, il mascarpone o un bicchierino di Vin Santo. Fragilissimo, finirà in un baleno! www.supermercatopettorelli.com

Sopressa FRIULANA

La Sopressa è il fiore all’occhiello del Salumificio Lovison di Spilimbergo (PN). Preparata con carni di coscia, pancetta, collo e lombo, lavorata a caldo con l’aggiunta di spezie e aglio leggero, stagiona in cantina per almeno 4 mesi. Il salume risulta di grana media e gusto bilanciato. Perfetta sul tagliere accompagnata da formaggi locali e pane fresco. salumilovison.com

Crackers

Dal 2009 l’Azienda Agricola Le Faeta di Arpino (FR), tra le verdi colline ciociare, coltiva, senza pesticidi e concimi chimici, grani antichi, da cui ricava le farine per i propri prodotti che poi cuoce nel forno a legna. Come questi crackers — acqua, farina di grano duro Senatore Cappelli tipo 1, lievito madre, sale e olio evo —, che colpiscono per friabilità e croccantezza. Per un aperitivo genuino: aprite la busta e una bottiglia tenuta in fresco… contemporaneamente! @le_faeta_azienda_agricola

Acciughe

del Cantabrico

Un tuffo nel blu con questi filetti di acciuga “Serie Oro” di Conservas Codesa Per questa linea d’eccellenza l’azienda spagnola seleziona per freschezza e dimensioni le acciughe pescate nei mesi primaverili con la cianciola nelle acque del Mar Cantabrico. Le acciughe vengono fatte stagionare in sale marino naturale in cantina per circa un anno e poi sfilettate a mano. Saporiti, sodi, carnosi, i filetti sono perfetti con pane croccante e burro. Nulla di più. codesa.es

SALUMI & CO.

Piggy Bank Kintsugi

Tutta la bellezza dei prodotti kintsugi, realizzati in porcellana e impreziositi da oro vero 24k. La tradizione giapponese di riparare le ceramiche rotte con metalli preziosi rende ogni pezzo un’opera d’arte. Noi abbiamo scelto questo maialino portamonete, perfetto anche come oggetto d’arredamento.

€ 179,00 su seletti.it

Soft Deli Meats

Knitted Charcuterie? C’è e, oltre ad essere un’originale idea regalo, può diventare un elemento di arredo della bottega pensando ai più piccoli. Colette Bream è anche vincitrice del premio Etsy Design Award 2022 Kids. La selezione costa € 63,73 su etsy.com

Perfetta per una maxi parete, ecco questa illustrazione da stampare su carta: La Dolce Vita Italian sketch style by Suma. Su stock.adobe.com

SUGGESTIONI DAL MONDO

Abbiamo finalmente archiviato freddo e maltempo. Per accogliere i clienti in bottega un’idea facile da realizzare ma di grande effetto è questa parete fiorita, da sintonizzare al nostro mood. Questa proposta in foto proviene da un locale del Nord Europa, ambiente tipico, con tanto legno. Basta trovare una bella grafica e farla stampare su carta adesiva lavabile. E tutto improvvisamente cambia.

UNA PARETE DI FIORI
Un’altra idea facilissima da realizzare. Basta veramente poco: bottigliette di vetro riciclate e fiori recisi. Freschi. No plastica, please. Mai plastica!

LA COPERTINA ESPLOSA

Anno XXXVII N. 2 Marzo-Aprile 2025

La più piccola della famiglia PALMIERI, Favolina, mantiene intatta la qualità dell’impasto originale della mortadella Favola, prodotto identitario del Salumificio Palmieri di San Prospero (MO), racchiudendo in un formato ridotto tutta la sua bontà unica. Prodotta con carni di suini nati ed allevati in Italia e una leggera nota di miele d’acacia, viene cotta nei forni in pietra, per esaltare il suo sapore delicato, inconfondibile, ed insaccata in vescica naturale. palmierisalumi.it

IMMAGINI

Era il 1856 quando Domenico Dogliani decise di fare della passione per il vino il proprio mestiere. Ed è dal suo pseudonimo, “Il Generale”, che prende il nome la cantina nelle Langhe della sua famiglia, oggi alla quinta generazione in azienda. L’articolo di Maria Antonietta Dessì su questa bella realtà e la loro incantevole Tenuta Bussia Wine Relais & Spa è a pagina 130.

Pepperoni

Mi ricorderò del 2024 come un anno complesso, dove ho dovuto mettere in discussione tanto di quello che avevo faticato, alcune caratteristiche di quella che sono in profondità. Fiaccata da frustrazioni, delusioni ed ansie, ferita e spaventata, ho scelto di sedermi, prendere fiato e analizzare alcuni modelli femminili “di successo” che avevo attorno. Donne ambiziose che conoscevo nel quotidiano, delle quali potevo conoscere e ricostruire approccio, motore, determinazione e, infine, vederne i risultati. Non un paragone, ma una vera e propria analisi di casi studio alla ricerca di ispirazione, alla ricerca del significato intrinseco della parola ambizione e delle sue manifestazioni.

Nella mia città, Modena, è stato fondato da tre anni un Ristorante di qualità e, contemporaneamente, Impresa sociale. Si chiama Roots e la sua mission è “fornire risorse alle donne per mettere radici e prosperare” Roots è un ristorante-scuola che prepara le donne immigrate sul territorio modenese ad entrare nel mondo del lavoro come personale di cucina e di sala. Tra un modello mascolinizzato, competitivo e cameratesco ed uno esasperatamente femmineo, tutto tacco 12 e abnegazione, trovo in Caroline Caporossi, l’inventrice di Roots, profondo conforto, ammirazione e fascinazione; una donna che è capace di mettere assieme l’idealismo più sincero con il “materialismo” del cibo cucinato.

Mantenendo un approccio pratico ma umanamente empatico, nonché una certa umiltà mediatica, l’ho vista farsi largo in mezzo alla burocrazia squisitamente italiana e concretizzare, con granitica determinazione, il progetto di Roots senza sovrastrutture o utilitarismo mascherato, mettendo insieme, in perfetto dialogo, business e mission.

Oggi però non parliamo di Roots, ma della pizza preferita di Caroline, che ha la sua radice più sanguigna nel Sud Italia ma viene da Oltreoceano. In America la “Pizza Pepperoni “è LA PIZZA. «Le nostre pizze sono grandissime, sono per la condivisione. Di ogni pizza che ordiniamo, almeno mezza pizza è sempre Pepperoni Ho imparato che qui in Italia devo ordinare la Diavola oppure Salame piccante». Pepperoni, più precisamente Pepperoni sausage, è un salame piccante creato e diffuso dalla comunità italoamericana di fine ‘800. L’ispirazione è chiaramente quella degli insaccati piccanti tipici del Sud a base di carne di maiale e peperoncino, pepper, appunto. Leggermente affumicato e a grana sottile, la sua produzione supera la somma di tutti i volumi di salame prodotti nell’intera Italia.

Il Vecchio Mondo tradizionalista disapprova la Pepperoni sausage ma questo non ha assolutamente inciso sulla storia d’amore degli Americani con questo condimento. Le fonti su chi sia stata la prima persona a creare questo insaccato, oppure la prima a mettere il salame piccante sulla pizza americana, sono avvolte dal mito. Si parla di una pizza “stile Colombo” ma davvero è tutto molto frammentario e sparso.

La saga Pepperoni sausage/Pepperoni Pizza mi ricorda quel genere di intuizioni simultanee a persone o a civiltà diverse, che non hanno conoscenza l’una dell’altra, che inventano/scoprono/creano in maniera indipendente qualcosa di simile. Per contrappasso parlerò presto di spianata piccante o di soppressata calabrese nei prossimi articoli: promesso!

A me la storia di Caroline, con bisnonna calabrese volata in America in cerca di fortuna, che nel 2017, senza parlare italiano, si trasferisce a Modena e in pochi anni sfida il tradizionalismo dei tortellini in brodo a colpi di Jollof Rice, avendo nostalgia di Pepperoni Pizza, mi piace davvero tanto.

La trovo una storia profondamente ispirante, di successo profondo e corale, mi piace il modello di ambizione che rappresenta Caroline anche nelle quotidiane insidie e le umane fragilità di una giovane donna in un paese straniero.

La storia di Pepperoni sausage è principalmente una storia di Nostalgia. La nostalgia condivisa, la nostalgia come sentimento generalizzato e non per qualcosa di specifico, è un grandissimo motore di solidarietà autentica.

IL PASSAGGIO GENERAZIONALE NELLE IMPRESE DELL’AGROALIMENTARE

I dati sulla natalità certificano che nel nostro Paese, da qui a qualche anno, si assisterà ad un ulteriore invecchiamento della popolazione, con problemi sul fronte sociale, economico e lavorativo. E nelle imprese?

Il calo demografico è un dato oggettivo a cui è difficile porre rimedio nel breve e medio periodo ma le cui conseguenze si possono intravedere e toccare con mano in largo anticipo. Non cambierà solo la

struttura e la composizione delle nostre comunità, ma anche il tessuto imprenditoriale. Secondo C ONFARTIGIANATO IMPRESE, quella che viene definita non a caso Glaciazione demografica avrà effetti nefasti sull’economia nazionale e

influirà anche sulla forza lavoro: tra il 2024 e il 2050 la popolazione in età lavorativa (20-64 anni) diminuirà di 7 milioni (–20,4%), una somma enorme, corrispondente alla forza lavoro attuale del Nord Ovest del Paese. Calerà allo

stesso modo il peso dei giovani anche tra imprenditori e lavoratori autonomi. E se nel 2004 gli occupati indipendenti under 35 erano 1.512.000 e quelli con 60 anni e oltre erano 605.000, nel 2023 il rapporto si è invertito. I giovani indipendenti sono più che dimezzati, scendendo a 719.000 e venendo superati fin dal 2018 dagli imprenditori e lavoratori autonomi senior che nel 2023 sono saliti a 897.000 unità. Secondo l’Osservatorio AUB il 23% circa delle PMI italiane è attualmente guidato da titolari con oltre 70 anni.

L’invecchiamento della classe imprenditoriale è evidente e nelle realtà produttive dove ancora non si è avviato un vero e proprio passaggio generazionale si vive una lunga convivenza tra generazioni, sia titolari d’impresa, che dipendenti. Tra giovani che hanno difficoltà ad affermarsi alla guida dell’azienda e anziani che non vogliono o non possono mollare, la coesistenza può durare a lungo e non è detto che sfoci in passaggi di mano dal sicuro successo. Questa gestazione è infatti una fase particolarmente delicata della vita di un’impresa, soprattutto quando azienda e famiglia si sovrappongono. Una condizione diffusissima in Italia, dove le ditte a conduzione famigliare, piccole o grandi che siano, sono una parte importante del quadro economico complessivo

Sempre secondo C ONFARTIGIANATO (elaborazione dati ISTAT), nel 2018 le imprese italiane con almeno 3 addetti, controllate da una persona fisica o da una famiglia, erano il 75,2% del totale. Un dato che, nel 2022, si è incrementato sino all’80,9%. Tra il 2016 e il 2022, il 9,1% delle imprese dichiarava di aver affrontato almeno un passaggio generazionale, che includeva operazioni di trasferimento e successione nella conduzione dell’impresa tra soggetti legati da vincolo di parentela e/o affinità. In questi casi, il ruolo della famiglia proprietaria o controllante si è mantenuto in oltre 2/3 dei casi e rafforzato in meno di 1/5: nel complesso, nel 94,8% dei casi, dopo il passaggio generazionale si è mantenuto o rafforzato il ruolo della famiglia proprietaria o controllante.

Facendo invece una disamina territoriale del dato, si nota che le

Il passaggio generazionale va preparato per tempo e da ogni punto di vista. Al di là degli aspetti meramente formali, non è un semplice passaggio di consegne, ma la consacrazione di una nuova leadership che non può essere semplicemente sancita, ma piuttosto universalmente riconosciuta internamente ed esternamente, anche nelle imprese di modeste dimensioni.

regioni con la più alta propensione al passaggio generazionale negli ultimi 6 anni sono state la Provincia Autonoma di Bolzano, con l’11,9% di imprese che hanno affrontato questa fase, e a seguire Veneto (11,6%) e Lombardia (11,2%). Il fenomeno segna inoltre un marcato incremento anche in EmiliaRomagna e Molise. All’opposto, le regioni dove è più bassa la propensione al passaggio generazionale sono il Lazio (6,0%), la Campania (6,3%) e la Sicilia (6,6%).

Nel fenomeno in oggetto, il 67% delle imprese interessate erano di piccole dimensioni, il 33% medie. Nella quasi totalità delle aziende oggetto dell’indagine, la successione, totale o parziale, era già avvenuta e nel 44% dei casi non era stata programmata. Un fatto, questo, che dimostra che manca la consapevolezza che questo momento fisiologico nell’esistenza di aziende e persone, pur naturale e ovvio, vada preparato e che la mortalità in fase di successione d’impresa sia altissima.

Pertanto, è necessario programmare e prepararsi per evitare danni irreversibili, cessazione compresa.

In sintesi, c’è ancora una scarsa conoscenza del problema e questo fatto riguarda tutti i comparti.

Oltre agli ostacoli di natura burocratica, finanziaria e amministrativa, le insidie nelle successioni sono dovute alle dinamiche personali tra gli attori, i cui meccanismi risiedono molto spesso in ambito famigliare e poco hanno a che fare con l’azienda e il suo futuro. Enormi problemi possono sorgere in sede di conferimento delle proprietà, anche immobiliari, quando si tratta di società di persone o ditte individuali al subentro nella compagine societaria delle società di capitali e ad altre trasformazioni complesse che assorbono tempo e denaro.

Quando impresa e famiglia solo in parte coincidono, gli eredi estranei all’attività che hanno precedentemente preso un’altra strada professionale, rispetto a quella del lavoro nell’azienda di casa, possono pretendere di entrare a farne parte o di partecipare alla divisione degli utili o anche solo di essere liquidati.

E la diffusa consuetudine di saldare il parente indebitando la società può rivelarsi deleteria.

Anche per le imprese del comparto agroalimentare, il passaggio generazionale può essere una sfida certamente, ma anche un’opportunità per innovare e rafforzare il tessuto imprenditoriale.

Quando poi le dinamiche tra le mura domestiche varcano la soglia della serranda dell’azienda, altri problemi possono affacciarsi all’orizzonte. Affidare compiti decisionali ad eredi che non hanno capacità né preparazione, ma sono lì per diritto dinastico, può essere fatale. Eppure questi errori si riscontrano anche in contesti dove ci si aspetta una visione più razionale di un momento così delicato come il passaggio del testimone.

Tutti gli imprenditori che sanno che entro qualche anno l’azienda verrà guidata dai figli si dichiarano propensi a cedere il passo. Nella realtà non è però infrequente che i figli, pur apparentemente coinvolti nei processi

decisionali, subiscano la frustrazione di dover rimettere al padre la decisione finale, anche quando la maggiore età è raggiunta da tempo. Non solo c’è una scarsa propensione alla delega, ma in un Paese dove sembra regnare la gerontocrazia i giovani non sempre vengono correttamente responsabilizzati, con tutti i problemi che possono derivare sul medio e lungo termine. Gli eredi subiscono la mortificazione di non essere mai davvero all’altezza e maturano professionalmente nella scarsa autostima di chi non può stare nel ruolo come chi l’ha preceduto.

La tendenza alla resistenza verso nuove tecnologie e nuove metodologie, unita alla visione differente del mondo,

Le politiche europee e nazionali e i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR), tendenzialmente contengono misure per il ricambio generazionale, ma ancora si sta facendo troppo poco. L’Italia non può permettersi la cessazione massiccia di imprese in comparti come l’agroalimentare, dove una serranda che si abbassa si traduce in perdita di competenze, tradizioni, storia, cultura, economia e molto altro

normalmente genera già nella convivenza tra generazioni assenza di dialogo, frizioni e attriti che non aiutano.

Anche nelle aziende più grandi dove, oltre alla famiglia, partecipano alla vita aziendale collaboratori esterni, le fasi del passaggio generazionale si ripercuotono su tutta la struttura, sui ruoli e sulle funzioni manageriali più importanti, spesso impattando negativamente sui rapporti tra responsabili di funzione e proprietà. Quando l’impronta della famiglia è forte, si possono frequentemente riscontrare distorsioni nella definizione dei ruoli e delle funzioni ricoperte all’interno degli organigrammi aziendali, acuite dalla presenza di padri, madri e figli nei settori preminenti o a capo delle funzioni strategiche. Mediamente, nelle imprese accade che il padre o capofamiglia assuma il ruolo di amministratore e che di solito a questo si accompagni l’esercizio dell’attività commerciale. La madre, ove coinvolta in azienda, è normalmente, assieme alle figlie femmine, relegata alla gestione amministrativa. Ai figli maschi sono di norma riservati i ruoli commerciali o di marketing (in organizzazioni più evolute) o di responsabili della produzione quando gli eredi sono diversi.

Nelle imprese familiari è tipica l’invalidazione del sistema meritocratico

aziendale: la presenza di un figlio o nipote erede non viene meno nemmeno quando questo non mostra particolare spessore imprenditoriale. E quando gli eredi sono diversi, non è detto che il designato in famiglia sia effettivamente quello che incarna le migliori doti gestionali e di leadership. La conseguente svalutazione delle figure meritevoli, siano esse parenti o collaboratori che operano nell’impresa, può generare frustrazioni, disincentivazione a lavorare o aperti contrasti col componente della famiglia con cui non si conviene.

Dall’altra parte, il fatto di attorniarsi unicamente di yes man che nulla aggiungono alla gestione aziendale e che non concorrono di fatto alla sua crescita, riduce gli attriti ma, nel lungo termine, si rivela pericolosa. Non bastasse, il mancato dialogo tra figure importanti dello staff per tutelare ambiti di riservatezza famigliare può essere l’ulteriore elemento che genera problemi.

Il passaggio generazionale va quindi preparato per tempo e da ogni punto di vista. Al di là degli aspetti meramente formali, non è un semplice passaggio di consegne, ma la consacrazione di una nuova leadership che non può essere semplicemente sancita, ma piuttosto universalmente riconosciuta internamente ed esternamente, anche nelle imprese di modeste dimensioni.

I mutamenti nell’assetto societario influiscono talvolta anche sulla dimensione delle risorse finanziarie e sulla disponibilità da parte del mondo bancario, dei clienti e dei fornitori a dare continuità alle relazioni. In un contesto in cui molti istituti di credito hanno un forte radicamento nel territorio e in cui la reputazione di un imprenditore è ancora importante, i cambi ai vertici di un’impresa sono osservati con sospetto. Chi prende il testimone potrebbe non essere all’altezza di chi glielo ha ceduto e aziende che per decenni hanno avuto la stessa leadership potrebbero non sopravvivere a lungo ad un cambio alla guida.

Le imprese del comparto agroalimentare, siano esse dell’industria di trasformazione o agricole, non sono estranee al problema, tutt’altro. In ambito agricolo solo il 30% delle aziende sopravvive al passaggio alla seconda generazione e meno del 15% alla terza. Si pensi a quanto questo dato

sia deleterio in termini di patrimonio agroalimentare nazionale.

Le divisioni delle terre tra eredi generano dispersione che alla lunga, soprattutto in certe regioni, hanno portato alla parcellizzazione sotto soglia di sostenibilità agricola. Non a caso, certe aree del Paese sono ricche di terre incolte e necessitano di periodico riordino fondiario. I fondi finiscono spesso in mano a soggetti che non esercitano l’attività agricola, mentre i giovani agricoltori stentano a trovare nuove superfici da coltivare. La burocrazia, i vincoli normativi, il disamore per la campagna, il trasferimento delle proprietà, una fase complessa e costosa fa sì che quello che doveva essere un passaggio generazionale si risolva in una cessazione definitiva.

I giovani agricoltori non sempre trovano misure che facilitino questa fase e nell’agroalimentare, come in altri settori produttivi portanti del made in Italy, non esistono vere e proprie misure di sostegno. Le poche che avrebbero questo fine sono poco efficaci, tardive e inutili o quasi. È spesso nella fase del travaglio per il passaggio di consegne che i fondi di investimento si insinuano, invitando gli eredi a farsi da parte, millantando una vita più semplice a tutti o quasi.

Le politiche europee e nazionali e i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR), anche grazie al supporto di I SMEA , tendenzialmente contengono misure per il ricambio generazionale, ma ancora poco si sta facendo in un Paese dove l’invecchiamento della classe imprenditoriale è da tempo un fenomeno preoccupante. Eppure, in questo come in altri comparti, il passaggio generazionale può essere una sfida, ma anche un’opportunità per innovare e rafforzare il tessuto imprenditoriale

Servirebbero azioni specifiche di sostegno al passaggio, con supporto consulenziale, formazione, fi scalità agevolata, accesso al credito facilitato. L’Italia non può permettersi la cessazione massiccia di imprese in comparti portanti come quello agroalimentare, dove una serranda che si abbassa si traduce in perdita di competenze, tradizioni, usanze, specialità, storia, cultura, economia, immagine e molto altro.

Maria Antonietta Dessì

Salumeria Italiana, 2/25

LA SCOMPARSA DI LORENZO ROVAGNATI, EREDE DELL’AZIENDA

DEL GRAN BISCOTTO

Mercoledì 5 febbraio, intorno alle 19:00 a Castelguelfo di Noceto, Parma, un elicottero è precipitato e le tre persone a bordo sono morte. Tra di loro, Lorenzo Rovagnati, 41 anni, AD dell’omonima azienda salumiera fondata nel 1941 in Brianza dal nonno ANGELO FERRUCCIO ROVAGNATI. Aveva poi proseguito l’attività il padre Paolo, morto nel 2008 a soli 64 anni, lasciando agli eredi il compito di ampliare l’attività e rafforzarla all’estero. L’incidente si è verificato in un’area della tenuta del castello di Castelguelfo, di proprietà della famiglia Rovagnati. Oltre all’imprenditore hanno perso la vita i due piloti, Flavio Massa, 59 anni, e Leonardo Italiani, 30 anni. L’industriale raggiungeva spesso quel luogo, spostandosi da Biassono, in provincia di Monza, dove viveva con la moglie FEDERICA SIRONI. «L’azienda e la famiglia Rovagnati sono sempre stati un riferimento importante per l’associazione e per tutte le aziende che appartengono al nostro mondo. Il legame che ci unisce è vero e sincero, testimoniato da lunghi anni di lavoro comune per il bene della salumeria italiana» ha dichiarato LORENZO BERETTA, presidente di ASS.I.CA., Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi. «Oggi più che mai siamo vicini alla moglie Federica, ai bambini, alla mamma, la signora Claudia, sempre presente nella vita dell’associazione, al fratello Ferruccio e a tutti gli oltre 1.200 dipendenti dell’azienda di famiglia. Abbiamo tutti perso un amico, un imprenditore illuminato, che aveva saputo prendere in mano le redini dell’azienda facendola crescere e rafforzandone la posizione a livello internazionale».

Negli ultimi quindici anni, con Lorenzo e il fratello Ferruccio alla guida, Rovagnati ha esportato prosciutto cotto in Europa e aperto il primo stabilimento produttivo negli Stati Uniti. La famiglia Rovagnati ha firmato una piccola rivoluzione industriale iniziata di fatto con Paolo, papà di Lorenzo, che alla fine degli anni ‘60, quando lasciò gli studi per sostenere l’attività del padre, che in Brianza era produttore

di burro e formaggi, e la reinventò nel settore dei salumi. Negli anni ‘80 la Rovagnati compì il grande salto: Paolo Rovagnati inventò la marchiatura a fuoco e il prodotto di punta, il Gran Biscotto, diventò conosciuto e apprezzato ovunque.

La Redazione tutta di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA è vicina alla famiglia Rovagnati in questo momento di dolore. Marco Credi

1. Tosca

Bello l’account instagram.com/tosca.italia di Tosca – Eccellenze Toscane, che ha contribuito, attraverso i propri locali in Italia e ora anche in Francia, a far conoscere la schiacciata, una delizia della tradizione culinaria toscana. Ovviamente ripiena con ottimi salumi DOP e IGP (photo © @tosca.italia).

2. Antica Salumeria Marchigiana

È a Castelraimondo, in provincia di Macerata, e su IG con instagram.com/salumeriamarchigiana, questa salumeria, esempio perfetto di norcineria e bottega contemporanea, attiva sui social con la giusta ironia (#magnasticiauscoli) e anche con l’e-shop su salumeriamarchigiana.com. Bravissimi!

FOOD

Benedetti

3. Gustificio

“Ogni creazione ha una storia che inizia molto prima o forse non smette mai di evolversi”: come le colombe di Gustificio (gustificio.com), il progetto di ANDREA POLI a Carmignano di Brenta (PD), che è locanda, ristorante e pasticceria, eletto Miglior Bar dell’anno da GAMBERO ROSSO per il 2025. Da seguire su instagram.com/gustificio (photo © @gustificio).

4. Marco Seno, Creativity Taste

Conoscete M.G. Biscotteria Veneziana di Jesolo (VE)? Qui, a pochi passi dal mare, Marco Seno (marcoseno.com) produce biscotti dolci e anche salati. Da seguire su instagram.com/marcoseno_creativitytaste (photo © @marcoseno_creativitytaste).

“Il Taglio Giusto”: un podcast in dieci episodi per raccontare il mondo della carne suina e dei salumi by ASS.I.CA.

È on air “Il Taglio Giusto”, il nuovo podcast in dieci episodi realizzato da ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi) in collaborazione con ONEPODCAST (Gruppo GEDI – La Repubblica), nell’ambito della campagna europea Trust Your Taste, Choose European Quality, co-finanziata dall’Unione Europea. Si tratta di un vero e proprio viaggio alla scoperta del settore della carne suina e dei salumi italiani, tra tradizione, qualità, sostenibilità e verità scientifiche. A guidare gli ascoltatori le voci di Francesca Romana Barberini, conduttrice e autrice TV di programmi enogastronomici, e Giuseppe “Peppone” Calabrese, volto di “Linea Verde” (Raiuno), in un divertente e interessante talk sul mondo dei salumi e della carne suina, affrontato sotto diverse prospettive. I due conduttori, non saranno soli, ma accompagnati in ogni episodio da un ospite scelto per le sue competenze nel mondo della salumeria. Oltre a Davide Calderone, direttore di ASS.I.CA., ci sarà (in ordine di episodi) Marino Niola, antropologo della contemporaneità e docente all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli; Alessandra Scansani, tecnologa alimentare e docente all’Università di Parma; Giuseppe Pulina, professore ordinario presso l’Università di Sassari e presidente dell’Associazione Carni Sostenibili; Eleonora Cozzella, direttrice de Il Gusto di La Repubblica; Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista; Stefano Cavada, content creator. In ogni episodio si affronta un tema specifico che aiuta gli ascoltatori a fare chiarezza su alcuni argomenti, dai processi produttivi alle innovazioni tecnologiche che hanno reso un settore tradizionale come questo fra i più innovativi a livello europeo, dai consigli per una corretta conservazione dei salumi alle tecniche per una degustazione ottimale. Non mancheranno curiosi cenni storici, approfondimenti nutrizionali, il rapporto con i territori e la sostenibilità, ed anche come sfatare i falsi miti e le fake news che circolano su questi prodotti.

>> Link: www.onepodcast.it

FUMS, PROFUMS E SALUMS

APPUNTAMENTO A SUTRIO (UD) DOMENICA 27 APRILE. TORNA

IL CONCORSO PER IL MIGLIOR SALAME AFFUMICATO CARNICO

di Riccardo Lagorio

Già ANASSIMENE aveva individuato nei 4 elementi (Acqua, Aria, Terra e Fuoco) le radici di tutte le cose, eterne e immutabili. In ambito alimentare sembra che non sia cambiato nulla da allora: malgrado i necessari slalom tra paradossali regole sanitarie e la palpabile omologazione di saperi, questi stessi principi vengono in soccorso a chi desideri conservare oggi i cibi. Fumo dal Fuoco, sale dall’Acqua, vento dall’Aria con la complicità del Tempo, espressione del moto di rivoluzione della Terra, sono ancora qui a mostrarci l’ineluttabilità del destino, ma anche a fornirci il necessario aiuto, se utilizzati in dosi e rapporti mutevoli.

Ne sono convinti anche a Sutrio, in Friuli. La Pro Loco del borgo della Carnia ha messo in calendario per il 27 aprile Fums, Profums e Salums, un’iniziativa che dedica al meglio della norcineria e alle sue implicazioni socio-economiche

Caratteristica dei prodotti salumieri della tradizione carnica è l’affumicatura. Precursori furono i Celti, i quali, non conoscendo il sale, presero a conservare i prodotti usando erbe aromatiche e fumo. Ed ecco perché Fums, Profums e Salums 2025 ospiterà il concorso del miglior salame affumicato, aperto a macellerie, allevamenti e privati che vorranno mettersi in gioco e far valutare il proprio prodotto (in alto, Sutrio, photo © Nicola Simeoni; in basso, photo © www.albergodiffuso.org).

A Fums, Profums e Salums 2025 protagonisti delle degustazioni saranno i prodotti affumicati di qualsiasi tipologia: quindi accanto agli intramontabili salami, spazio alla trota, alle verdure delle aziende agricole locali, ai prodotti di selvaggina ed altro.

un’intera giornata. L’affumicatura è un’arte di cui la Carnia ha una sapienza antica, visto che era un sistema molto usato per conservare i cibi. Ad essere affumicati erano innanzitutto i salumi, di cui in Carnia si è creata nel tempo una grande varietà. L’isolamento dovuto alle montagne e alle vie di comunicazione disagevoli ha fatto sì che quasi ogni paese avesse la propria maniera nel prepararli.

Caratteristica costante di questi salumi è appunto l’affumicatura, nata per favorirne la stagionatura e la conservazione che, a seconda della zona, cambia per tempi, legni utilizzati e luoghi dove viene effettuata: modalità che vengono custodite e tramandate, ancora nella quotidianità, di generazione in generazione.

Il fumo come alternativa al sale, particolarmente raro e perciò prezioso, è stato sempre utilizzato e realizzato con l’impiego di erbe aromatiche. I protagonisti di questo sapere erano e sono i purcitars, i norcini, chiamati dalle famiglie per preparare i salumi

e ognuno di loro possiede una personale ricetta per insaporire le carni. Per questa ragione quei prodotti si caratterizzano per un sapore simile, ma mai uguale.

Non solo gli ingredienti, ma anche il luogo di conservazione, che ricopre un importante ruolo nel processo di maturazione, incide sul sapore del prodotto finale. Come altrove nella penisola il suino è — suo malgrado — protagonista di queste operazioni volte a sfamare i popoli. Largo quindi a pitine (le polpette di carne suina e ovina, un tempo selvatica, introdotte nell’omento e cosparse di farina di mais), prosciutti affumicati e speck, salsicce che hanno trascorso qualche ora accanto a tizzoni carbonizzati.

Tuttavia, nella manifestazione in programma a Sutrio si allarga lo spettro di interesse al pesce (la trota è l’interprete principale dell’acquacoltura friulana) e alla selvaggina (con salami di cervo, camoscio o cinghiale grazie alla cospicua presenza di cacciagione nelle foreste della regione), unitamente

alle verdure di accompagnamento come la Brovada DOP

L’impalcatura dell’iniziativa prevede, accanto ai produttori, la presenza di 8 ristoranti che preparano ricette in cui gli sbuffi di erbe e legni profumati concorrono a insaporire le vivande: si va dal Salame affumicato e affinato nel fieno, dall’accento erbaceo e floreale dell’Agriturismo Rendis di Piano d’Arta (UD) all’Hamburger di costine di maiale affumicate accompagnato da salsa verde, maionese al cren e cavolo cappuccio dell’Enoteca Marangon di Sutrio (UD).

C’è anche un concorso dal sapore pop, aperto a tutti coloro che producono salumi affumicati, anche hobbisti e privati. Prende il nome di Salat, fumat e mangjat che rende bene l’idea del repentino epilogo cui spettano le cose buone. Specie se… affumicate. Riccardo Lagorio

Note

Per informazioni sull’evento: prolocosutrio.com/fums-profums-e-salums

Zampone e Cotechino Modena IGP “Alla corte del Gusto”: le due specialità salumiere protagoniste delle tavole più raffinate ben oltre le festività grazie a maestria e ricette innovative e fantasiose

Ad un mese circa dalle festività natalizie, il Consorzio di tutela Zampone e Cotechino Modena IGP ha deciso di lanciare una sfida al luogo comune che vede i due prodotti IG consumati solo in tali occasioni, per poi dimenticarli in dispensa o non continuare ad acquistarli nei mesi di gennaio e febbraio, nonostante siano ancora presenti nei punti vendita. «Per far questo ci siamo affidati a Luca Marchini, chef del ristorante modenese “L’erba del Re” (1 stella Michelin), il quale, per l’occasione, ha ideato dei piatti originali, dove i due salumi diventano i protagonisti della tavola» ha dichiarato Sara Margiotta, responsabile marketing del Consorzio. «Ho aderito alla sfida del Consorzio con entusiasmo non solo perché Modena è ormai casa mia, ma anche perché mi veniva data l’occasione di dimostrare come queste due eccellenze del territorio, che vantano il riconoscimento della IGP, se lavorate adeguatamente, possano diventare protagoniste di ricette raffinate e innovative, combinando tradizione e modernità» commenta Luca Marchini. «Il primo piatto è una Pasta all’uovo servita con un ragù di zampone, fondo bruno e cioccolato fondente; il secondo è un Cotechino croccante accompagnato con zabaione semi salato, cipolle all’aceto balsamico di Modena ed emulsione». L’evento si è svolto a Milano negli spazi di “A Casa… Veronelli” e la padrona di casa, Maria Chiara Marmini Veronelli, ha accolto gli ospiti in un’atmosfera ispirata al film “Il pranzo di Babette”, a sottolineare come l’arte dell’accoglienza e dell’arredo con gusto di una tavola imbandita contribuiscano a comunicare il valore della calda convivialità, tipico della migliore tradizione che da secoli caratterizza la storia culinaria italiana. Per rafforzare la sfida, sono stati anche serviti degli antipasti e due dessert a base di Zampone e Cotechino Modena IGP, realizzati dalla chef resident di “A…Casa Veronelli” Chiara Maffioli. Il tutto accompagnato da Amarone della Valpolicella Tenuta Santa Maria Valverde e Lambrusco DOP Tenuta Venturini Baldini.

>> Link: www.modenaigp.it

“Il Piccolo Salumante”: al via il progetto didattico del Consorzio di tutela Salumi DOP Piacentini approvato dal MASAF

Ha preso recentemente avvio il progetto didattico “Il Piccolo Salumante”, promosso dal Consorzio di Tutela Salumi DOP Piacentini e approvato dal Ministero dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste, a cui sono state invitate a partecipare tutte le istituzioni scolastiche della Provincia di Piacenza. La prima ad aderire è stata la scuola primaria di Besenzone con la sezione A al completo (dalla prima alla quinta classe), a completamento di un percorso avviato dalle maestre durante il corrente anno scolastico riguardante i prodotti alimentari del territorio. Nella lezione riguardante i salumi DOP piacentini, la narrazione agli studenti è iniziata dai graffiti raffiguranti suini selvatici delle grotte di Altamira, per passare ad Annibale, che festeggiò con le carni salate di suino la vittoria avuta sul fiume Trebbia a danno dell’esercito romano, per arrivare al Cardinal Giulio Alberoni e ad Elisabetta Farnese che portarono alla Corte di Spagna, e nelle più importanti corti europee del tempo, i salumi piacentini. A seguire il direttore del Consorzio Roberto Belli ha illustrato il valore che ha il logo della DOP posto sui prodotti alimentari. Nello specifico, quali rigide regole devono seguire i salumifici piacentini per potersi fregiare di questo riconoscimento della Comunità Europea, ribadendo che Piacenza è l’unica provincia in tutta Europa a poter vantare ben tre salumi DOP. Il momento più gradito è stata la degustazione guidata tenuta dalla dott.ssa Alessandra Scansani, tecnologa alimentare, che ha spiegato la differenza che esiste tra il saper degustare un prodotto usando tutti e cinque i sensi e il mangiarlo velocemente (agli scolari che, per diverse ragioni, non hanno potuto degustare la Coppa piacentina, è stato proposto una degustazione di Grana Padano DOP). A tutti gli studenti sono state infine lasciate due dispense pensate appositamente per la scuola primaria e alcune confezioni del gioco didattico “Il Piccolo Salumante”con cui potranno sfidarsi a squadre per verificare chi risulterà più preparato sulla materia. Al termine dell’incontro, le Maestre hanno dichiarato: «L’esperienza è stata molto interessante — hanno detto le maestre a fine lezione — e i bambini hanno gradito molto il gioco (l’hanno provato subito!), e gli assaggi! Ringraziamo il Consorzio per la bella esperienza e speriamo in un nuovo incontro».

>> Link: welcome.salumitipicipiacentini.it

I Salamini Italiani alla Cacciatora DOP protagonisti irrinunciabili dell’aperitivo italiano

Nell’iconica cornice del Bar Basso di Milano si è tenuto lo scorso febbraio l’evento “Occhio al Gusto”, una degustazione al buio alla scoperta delle caratteristiche organolettiche uniche dei Salamini Italiani alla Cacciatora DOP, guidata dallo chef ambassador Daniele Reponi, che ha condotto i partecipanti in un percorso focalizzato sulle differenze sensoriali di aroma, consistenza e gusto, stimolando il palato attraverso abbinamenti inediti per piacevolezza ed armonia dei sapori. Nel dettaglio, ha proposto i Salamini Italiani alla Cacciatora DOP in 5 diversi abbinamenti: con crema di zucca e cipolline borettane all’aceto balsamico; con patata dolce croccante e julienne di verza alla salsa di soia; con crema di cavolfiore e mascarpone con aggiunta di scaglia di tartufo bianchetto; con kiwi fresco, due gocce di tabasco e semi di sesamo tostati; con robiola tre latti, songino, zest di arancia (omaggio al Negroni sbagliato).

Maurizio Stocchetto, proprietario del Bar Basso, iconico locale del rito milanese dell’aperitivo, ha ricordato la storia del Bar legato alla nascita del famoso Negroni sbagliato e proprio quest’ultimo cocktail è stato proposto come l’abbinamento ideale, insieme ad altri due studiati ad hoc: Skiwasser (analcolico) e Pomodoro Twist (Bloody Mary meno carico), per esaltare al meglio il sapore dei Salamini Italiani alla Cacciatora DOP. Spiega Paolo Beretta, presidente del Consorzio Cacciatore Italiano: «Dopo la merenda e il picnic, considerati da sempre momenti ideali per il consumo del nostro prodotto, abbiamo deciso quest’anno di puntare sul rito dell’aperitivo, fenomeno nato in Italia e sempre più diffuso, dal momento che il 48% degli Italiani dichiara di praticarlo e che, in termini di spesa, negli ultimi 12 mesi si stima siano stati serviti oltre 850 milioni di aperitivi in Italia, per una spesa complessiva di oltre 4,5 miliardi di euro, secondo una ricerca condotta dall’Istituto NIQ. Sono convinto che l’esperienza sensoriale odierna abbia dato prova del fatto che i Salamini Italiani alla Cacciatora, oltre alla merenda e al picnic, possano diventare protagonisti di qualità anche del rito dell’aperitivo italiano, valorizzando e arricchendo questa tradizione».

>> Link: salamecacciatore.it

In alto: Daniele Reponi. In basso: preparazione dei cocktails in abbinamento alle proposte gastronomiche. A sinistra: la degustazione al buio al Bar Basso.

FAVOLA, UNA MORTADELLA PUÒ FAR PRIMAVERA

Intervista a Margherita Palmieri, titolare con la famiglia

dell’omonimo salumificio produttore dell’iconica e originale

mortadella insaccata e cotta nella cotenna naturale

di Gaia Borghi

Èla protagonista della nostra copertina di primavera, fotografata tra i fiori e i dolci simbolo della Pasqua imminente, quegli ovetti di cioccolato di cui possiede lo stesso irresistibile richiamo in termini di golosità. Di un bel rosa invitante, morbida e sinuosa nelle sue forme rotondeggianti, la Favolina è la sorella minore dell’iconica mortadella Favola, prodotto identitario del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero, in provincia di Modena. Stessi ingredienti e stessa cura artigianale nella preparazione, solo il formato, più piccolo, la rende perfetta anche per essere trasportata nel cestino del coniglio pasquale. «Favola è il brand più importante della nostra azienda, il prodotto con cui la clientela ci identifica» mi dice Margherita Palmieri, che incontro negli uffici dell’azienda di famiglia. Margherita da qualche anno è entrata ufficialmente nello staff dirigenziale, a rappresentare la quarta generazione dei Palmieri insieme al

fratello Francesco e curando il marketing e la comunicazione del salumificio. «Favola è un prodotto che abbiamo proprio inventato noi, la mia famiglia, mio nonno Carlo per la precisione, superando con i fatti, e non scendendo mai a compromessi in termini di qualità di prodotto, lo scetticismo iniziale del mercato sul produrre una mortadella insaccata e cotta nella cotenna naturale. L’invenzione di questo involucro venne brevettata nel 1997: un’idea che ha trasformato un salume considerato “minore”, meno nobile rispetto ad altri, in un prodotto che si è guadagnato fama, premi e riconoscimenti, rivoluzionando il mercato della mortadella e scrivendo al contempo una pagina importante della salumeria italiana».

Favola è una mortadella diversa, semplice ma esclusiva nella sua ricettazione, con un impasto ricco di tagli nobili del suino nazionale — la carne proviene solo da maiali nati, allevati e macellati in Italia — sia nella parti

Margherita Palmieri, marketing manager del salumificio di famiglia. Rappresenta la quarta generazione in azienda insieme al fratello Francesco. Oggi il Salumificio Palmieri di San Prospero (MO) è riconosciuto sui mercati italiani ed esteri come marchio di riferimento nella produzione di mortadelle di qualità e precotti. Il rinnovato logo aziendale “Palmieri – Salumi di famiglia dal 1919” attesta e sottolinea la tradizione e storicità dell’azienda.

magre che nelle parti grasse, e un gusto delicato, armonico, con l’aggiunta di un tocco di miele d’acacia che regala rotondità al suo sapore.

La sartorialità è l’altra caratteristica identificativa di questa mortadella, tanto che in azienda c’è un vero e proprio reparto “sartoria” a lei dedicato, con relative macchine da cucire. È il luogo dove il “vestito” di Favola le viene cucito addosso, un vestito fatto su misura per lei, e su cui viene aggiunto anche un cartellino, sempre cucito a mano con ago e filo direttamente nella cotenna, a sottolineare ulteriormente la cura estrema con cui viene realizzato questo insaccato.

La legatura manuale, il timbro a fuoco che ne garantisce l’originalità e la cottura lenta di circa 23 ore negli storici forni in pietra sono gli altri elementi che la distinguono sul banco del salumiere, nelle gastronomie, come nell’HO.RE.CA., canali diversi, stessa identica altissima qualità.

Un lusso popolare accessibile

E il mercato dà ragione alla famiglia Palmieri, che in un momento in cui il settore di carni e salumi (e non solo) risente dell‘abbassamento della capacità di spesa dei consumatori, con Favola continua a crescere nei volumi produttivi e nella richiesta da parte della clientela affezionatissima, anche da quella più esigente… Non a caso, anche nell’edizione 2025 della GUIDA SALUMI D’ITALIA, indiscusso riferimento per le aziende e i prodotti eccellenti segnalati al suo interno, Favola Gran Riserva ha ottenuto il massimo riconoscimento, i Cinque Spilli, riconfermandosi Migliore Mortadella d’Italia, ma, soprattutto, Miglior Salume d’Italia, con la seguente motivazione: “Il premio è stato conferito a Mortadella Gran Riserva perché non si tratta di una comune mortadella. È un salume che incarna il lusso popolare e accessibile, realizzato grazie alla passione e all’amore della famiglia Palmieri e ad un’attenta e scrupolosa selezione delle materie prime (...). Un’opera morbida e irresistibile, dal gusto raffinato e leggero” E ancora, a Golosaria 2024 Favola Gran Riserva ha ricevuto il Luxury Food&Beverage Awards, mentre per il GAMBERO ROSSO Favola L’Originale è tra i Top Italian Food 2025. «La mortadella

è un salume popolare, tra i più amati e conosciuti al mondo. Noi lo abbiamo reso un prodotto premium nel gusto e nelle caratteristiche, mantenendone l’accessibilità, la popolarità appunto» prosegue Margherita Palmieri. «I tanti riconoscimenti ricevuti ci dimostrano la bontà del lavoro svolto e che la direzione intrapresa da anni, di autenticità, ricerca, mantenimento dei nostri valori fondativi, è quella giusta».

Ristoranti e American dream

Amata e ricercata in bottega e al banco taglio, Favola ha in cuochi e chef dei partner ideali per crescere ulteriormente, in Italia e all’estero. «La ristorazione è un canale in cui siamo molto presenti e in cui crediamo molto, perché ci dà la possibilità di accrescere la conoscenza del nostro prodotto attraverso la tavola e le proposte tradizionali come attraverso le creazioni più innovative e originali» aggiunge Margherita. «Ed ecco il perché della nostra partecipazione ad un congresso di alta cucina come Identità Golose Milano ad esempio». È dell’anno scorso anche l’avvio di una collaborazione con la storica AVPN –Associazione Verace Pizza Napoletana (40 anni nel 2024), al fine di rinsaldare il matrimonio felice e vincente in Italia e nel mondo pizza-mortadella. «Da

Marco Manzi Giotto, di Giotto Pizzeria Firenze, con la sua pizza “Mi si è aperto il tortellino”, creazione che unisce la pizza napoletana con il gusto di Mortadella Favola. Giotto Pizzeria fa parte della Associazione Verace Pizza Napoletana, con cui il Salumificio Palmieri ha messo in atto una collaborazione per valorizzare ulteriormente il connubio tra due simboli del made in Italy alimentare nel mondo, la pizza e la mortadella, in questo caso rappresentati al loro meglio (photo © @mortadellafavola).

questa collaborazione sono nate 10 pizze gourmet, create da altrettanti maestri pizzaioli, che inseriremo in un ricettario, e la presenza di Favola nelle masterclass e nei corsi organizzati da AVPN. In questo modo ci avviciniamo al mondo delle pizzerie, spiegando direttamente nel piatto, anzi, meglio, su una pizza, la bontà della nostra mortadella».

Anche perché, tra gli obiettivi del 2025 della famiglia Palmieri, c’è lo “sbarco” negli USA con Favola. «Ci stiamo abilitando per l’esportazione della mortadella negli Stati Uniti» mi dice Margherita. «Finora eravamo concentrati a coprire il territorio nazionale ma è arrivato il momento di ampliare e sviluppare il mercato estero». Non potrei pensare ad un alleato migliore della pizza per farlo.

Salumificio Mec Palmieri Spa

Via Canaletto 16/A

41030 San Prospero (MO)

Telefono: 059 735 0000

E-mail: info@mecpalmieri.com Web: palmierisalumi.it

Mortadella Favola @mortadellafavola

RENNA, UN VIAGGIO NEL MONDO DEL GUSTO

Dai tanti riconoscimenti ottenuti ai mercati internazionali.

Appuntamento a TuttoFood Milano, Pad. 5 – Stand M02

Il viaggio nel gusto dell’azienda Renna Srl inizia da molto lontano, dalla storia del fondatore Saverio Renna, che sin da piccolo osservava le nonne preparare — con le ricette tramandate da generazioni —, le conserve di verdure per l’inverno. Spinto dall’idea di far degustare a tutti i sapori più autentici della sua terra, la Puglia, negli anni ‘80 Saverio Renna decise di iniziare una piccola produzione artigianale di antipasti vegetali e prodotti ittici pronti all’uso. Oggi, a distanza di quarant’anni, l’azienda Renna dispone di una superficie di 6,000 m2 coperti per la lavorazione di prodotti ittici e vegetali eseguita con macchinari moderni. Il ciclo produttivo inizia con la scelta di prodotti di alta qualità e con le migliori proprietà organolettiche, che dopo un’accurata selezione vengono impegnati in due processi ben distinti che generano una linea ittica e una linea vegetale. Alla fine del ciclo di produzione, i prodotti vengono nuovamente controllati e imballati in base alle esigenze dei clienti, rispettando le norme e le istruzioni in conformità con la sicurezza igienica e ambientale.

Produzione e premi

Il prodotto “Sunpomò” è completamente lavorato nello stabilimento di Fasano (BR). I pomodori rossi — come tutta la materia prima alla base della produzione Renna — sono acquistati presso il mercato ortofrutticolo locale dove arrivano prodotti di coltivazione italiana.

In alto: le conserve vegetali Renna. A pagina 53: i pomodori “Sunpomò” in olio, che a gennaio hanno ricevuto le tre stelle del Superior Taste Award, e Saverio Renna.

Una volta raggiunto lo stabilimento, la materia prima viene lavata e selezionata per essere trasformata, passando in cottura in un forno disidratatore. Innovazione, tradizione, esperienza e autenticità si mescolano: infatti, parte dei processi produttivi è ancora oggi svolta a mano dagli addetti, come la pulizia del prodotto, il taglio ed il suo confezionamento in più di 40 tipologie di packaging.

Renna Srl negli anni è rimasta fedele all’idea di tradizione e del racchiudere nelle sue confezioni prodotti dal sapore peculiare: per questo è stata premiata più volte con riconoscimenti internazionali, tra cui quello rilasciato dall’International Taste Institute di Bruxelles. I pomodori rossi Sunpomò in olio, ad esempio, premiati più volte nel corso degli anni, hanno ricevuto l’ambito Diamond Taste Award 2023, a riconoscimento della passione, amore e dedizione che ogni giorno la famiglia Renna e il personale tutto dedicano al loro lavoro. A gennaio, inoltre, ai Sunpomò sono state assegnate le tre stelle del Superior Taste Award, un attestato di eccellenza che rende l’azienda ancora una volta orgogliosa del traguardo raggiunto. In ultimo, Renna Srl è stata inserita al 51o posto nella classifica stilata da IL SOLE 24 ORE e STATISTA che individua le 250 aziende Campioni dell’export 2023 — tra le 9.000 aziende candidate in ogni ambito — che si sono maggiormente distinte nella promozione e vendita dei propri prodotti sui mercati interna-

zionali. Altri riconoscimenti importanti che hanno segnato la storia di Renna Srl sono la certificazione ISO 22000; BRC; IFS; UNI/PDR 125, Parità di genere; ISO 45001.

Oggi Renna Srl è presente in più di 65 Paesi e il sogno del proprietario di portare sulle tavole di tutto il mondo il sapore e la bontà di prodotti della tradizione gastronomica pugliese si è realizzato.

Appuntamento a Milano

L’azienda sarà presente a TuttoFood (Milano, 5-8 maggio), presso il Padiglione 5 – Stand M02, con un invito a scoprire tutti i prodotti realizzati e la nuova linea skin al banco degustazione.

RENNA Srl

Via Sant’Oronzo 139 72015 Fasano (BR) Telefono: 080 4426250

E-mail: info@rennasrl.com Web: www.rennasrl.com

Maiale Nero della Lomellina: il suo salame si guadagna i “5 Spilli”

Succulente, sapide al palato, ricche di Omega-3 e -6: le carni della linea Fumagalli dedicata al Maiale Nero della Lomellina hanno sapori e profumi ineguagliabili, perché vengono valorizzate attraverso un nutrimento sano, fatto di ingredienti naturali e di alta qualità. Tanto che la giuria della Guida Salumi d’Italia 2025 ha valutato di assegnare il massimo riconoscimento, ovvero i 5 Spilli, al Salame di Maiale

Nero della Lomellina Fumagalli. Recentemente riconosciuta dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e registrata all’interno del Libro Genealogico delle razze suine, quella del Nero della Lomellina è una delle razze riconducibili a caratteristiche morfologiche locali ormai estinte. Manto nero, setole scure, lista bianca sulla parte frontale della testa e sugli arti anteriori e posteriori, orecchie pendule e corpo allungato, con un ottimo rapporto tra massa muscolare e lardo, sono alcune delle caratteristiche dei suini di Nero di Lomellina, che si distinguono nettamente dalle altre razze nere presenti in Italia.

Dai salumi alle pancette, dai salami da taglio agli affettati misti, la macrofamiglia del Maiale Nero della Lomellina Fumagalli è passata dai 408.326,63 euro fatturati nel 2023 complessivamente nei vari canali ai 600.940,37 del 2024. «Abbiamo deciso di sposare questo progetto — commenta Pietro Pizzagalli, pronipote del fondatore della Fumagalli Industria Alimentari e direttore generale — per promuovere un modello di allevamento rurale, conservando la razza e rafforzandone gli elementi distintivi, nettamente distinguibili, per produrre e valorizzare referenze d’eccellenza, distinguibili da quelle ottenute con altri modelli di allevamento e tipi genetici. Tutti i prodotti che otteniamo dal Nero di Lomellina possono sfruttare la completa tracciabilità assicurata dall’iscrizione al Libro Genealogico e la certificazione dei prodotti con il nome della razza.

Si tratta di una linea cresciuta esponenzialmente nel tempo: in particolare, per quanto riguarda il canale Normal Trade nel 2022 ha rappresentato l’1,4%%, nel 2023 il 3,02% e nei primi 200 giorni del 2024 ha rappresentato il 5,7%. Così come l’e-commerce è passato dai 234,09 del 2023 ai 7.152,92 euro di fatturato nel 2024. L’intento è quello di sviluppare ulteriormente il progetto con la realizzazione di un allevamento ad hoc dedicato solamente alla riproduzione del Maiale Nero della Lomellina, garantendo così la conservazione di questa razza e il consolidamento delle sue caratteristiche distintive».

Coppa, prosciutto cotto, salame gentile, lardo, cotechino, pancetta tesa, prosciutto crudo — con osso e disossato — salame campagnolo: sono queste le referenze della linea Fumagalli Maiale Nero della Lomellina, valorizzate con un nutrimento a base di ingredienti naturali e di alta qualità, che garantisce una marezzatura unica e pregiata, molto fine, quasi impercettibile alla vista, che dona un sapore intenso e una caratteristica tenerezza.

>> Link: fumagallisalumi.it

La Guida Salumi d’Italia 2025 ha assegnato il massimo riconoscimento, ovvero i 5 Spilli, al Salame di Maiale Nero della Lomellina Fumagalli.

PASTA PICA: COME LA PASTA DELLA DOMENICA

Ma tutti i giorni! I 70 anni di passione e artigianalità di un pastificio romano nei 7 metri di banco Enixe by Criocabin

Uno stabilimento di produzione con punto vendita a Formello (RM) e un negozio appena rinnovato a Roma: per il Pastificio

Pica tradizione e artigianalità vanno a braccetto con impianti di ultima generazione e innovazione tecnologica, sostenendo un’offerta variegata di pasta artigianale, fresca e ripiena per il canale ristorazione e la vendita diretta ai privati. Un ampio assortimento di formati e impasti vanno a soddisfare ogni esigenza

Ipiatti che la vedono protagonista sono l’espressione verace della nostra gastronomia e le sue declinazioni in infinite ricette regionali un vero e proprio patrimonio dell’umanità! Ingrediente iconico che ci accompagna dallo svezzamento fino alla tarda età, interpretato dalla cucina più semplice di casa fino a quella delle brigate stellate, è espressione della convivialità, dello “stare a tavola” come vero e proprio modello culturale. Ed è un ottimo alleato per la preparazione di pasti al volo in questi tempi un po’ confusi e decisamente troppo accelerati.

Insomma, W la Pasta! Anche quella che racconta la storia del Pastificio Pica, realtà romana che dal 1950 opera nella Capitale. Fondata da Giulio Pica, poi sviluppata da Marcello Giovannetti, oggi questa azienda a conduzione familiare è giunta alla terza generazione alla guida con Alessandro Giovannetti,

insieme alle sorelle Anna e Donatella e a due nipoti. Con all’attivo uno stabilimento di produzione con punto vendita a Formello (RM) e un negozio appena rinnovato a Roma, il Pastificio Pica offre un vasto assortimento di pasta artigianale, fresca e ripiena, per il canale della ristorazione e vendita diretta anche ai privati, caratterizzandosi per l’ampio assortimento di formati e impasti così da soddisfare ogni esigenza. Per il recente rinnovo del punto vendita romano, ripensato proprio per accogliere al meglio la propria clientela, è stata scelta Criocabin Spa, azienda padovana leader nel design e nella produzione di banchi per la refrigerazione. Perché non si discutono la tradizione, la selezione delle materie prime, la lavorazione artigianale e tutta la passione che serve per portare avanti un progetto di questo tipo, ma oggi il focus è sull’innovazione tecnologica, sulla scelta di macchinari e impianti di ultima

generazione — come quelli installati nell’impianto produttivo di Formello — e sui giusti partner. «La nostra è un’attività che nasce artigianale e, nonostante oggi siamo attivi con uno stabilimento nella zona industriale di Formello e contiamo circa 25 dipendenti, restiamo artigiani, nel senso di cura maniacale del prodotto. Dalle nostre paste lunghe, che a Roma trovano la loro espressione nelle fettuccine, nei tonnarelli, nella pasta alla chitarra, alle lasagne pronte, molto apprezzate dalla clientela» sottolinea Alessandro Giovannetti.

A parte la fornitura di pasta all’ingrosso, com’è cambiata nel tempo da domanda dei privati?

«Oggi che vanno tutti di corsa si è alla ricerca di un prodotto buono e appagante che agevoli a casa. I clienti vogliono un’ampia varietà tra cui scegliere e sono molto attenti alle etichette e agli ingredienti. La nostra offerta è

Enixe è una linea innovativa di banchi refrigerati che unisce armoniosamente design e tecnologia. Progettata nei minimi dettagli, garantisce la massima valorizzazione degli alimenti, un’eccellente conservazione e una straordinaria versatilità di configurazione e utilizzo. Perfetta per macellerie, grazie a sistemi di refrigerazione sviluppati ad hoc, si adatta con la stessa efficacia ai concept più moderni di Gastronomie, Pasticcerie, Panetterie e Salumifici. La sua tecnologia avanzata e la grande flessibilità, la rendono una soluzione affidabile per chi necessita di attrezzature in grado di rispondere a diverse esigenze espositive e di conservazione, sia refrigerata che calda. Questa linea semplifica il lavoro dello staff, offrendo superfici facili da pulire e un allestimento pratico dei prodotti. I vetri apribili verso l’alto facilitano la manutenzione e garantiscono un accesso rapido al piano espositivo, permettendo una personalizzazione efficace del visual merchandising.

incentrata soprattutto su piatti pronti da cuocere o da rigenerare a domicilio.

Nel banco Enixe di Criocabin, lungo 7 metri — esteticamente bellissimo e perfetto per la tenuta del nostro prodotto che è molto delicato — oltre alle paste fresche e farcite non mancano mai verdure cotte, sughi e dolci. Si va sempre più verso la componente del servizio al cliente, con un’offerta che gli dia quel valore aggiunto di praticità e comodità. Per il futuro, la direzione potrebbe infatti essere anche quella del delivery».

La vostra realtà si distingue in un contesto di canali distributivi dove il prezzo basso va spesso e volentieri a discapito della qualità, anche quella percepita.

«Sì. E noi invece auspichiamo la riscoperta dei sapori al fine di rendere il nostro cliente partecipe della qualità che c’è alla base di tutto il processo di lavorazione di prodotto. Ci piace pensare che ogni nostro piatto sia come quello della domenica, attorno al quale si riunisce iconicamente la famiglia. Ogni nostro preparato ci piace pensarlo così, unico, speciale, anche se è quello da gustare nel quotidiano, tutti i giorni».

Buon lavoro a tutta la squadra di Pasta Pica e bravi per l’impegno che mettete nell’assortire quei 7 metri di Enixe… «Grazie, ma pensi che quei 7 metri già non ci bastano più».

Elena Benedetti

I banchi installati nel nuovo punto vendita romano del Pastificio Pica sono banchi Enixe 250 by Criocabin con ventole dimmerabili. Il nuovo allestimento è stato realizzato con il distributore Criocabin Micheletti Frigoriferi Srl (www.michelettifrigoriferi.it).

Pasta Pica – Pastai dal 1950 • V.le Angelico 59/61 – 00195 Roma • Via degli Olmetti 44 A/B1/B2/ B3 – 00060 Formello (RM) Web: pastapica.com Pasta Pica pasta_pica

Criocabin Spa

Via S. Benedetto 40/A 35037 Praglia di Teolo (PD) Telefono: 049 9909122

E-mail: info@criocabin.it Web: www.criocabin.com

ERGONomiA E ACCESSIBILITÀ

Un design innovativo che accresce la visibilità dei prodotti esposti avvicinandoli al cliente garantendo un accesso totale per l’allestimento e la pulizia.

di Raffaele Arcuri

Produrre mortadelle e altri salumi cotti in modo sicuro e controllato, senza rinunciare al gusto e alla qualità artigianale, è possibile grazie allo Stagionello® Salami Curing Device e al Metodo Cuomo®, un sistema scientifico sviluppato per garantire una trasformazione sicura e naturale delle carni

La mortadella è un simbolo della salumeria italiana, un prodotto che racconta secoli di tradizione e sapienza artigianale. Tuttavia, per rispondere alle esigenze moderne di sicurezza alimentare, standardizzazione e sostenibilità, anche la produzione di questo insaccato sta vivendo un’importante evoluzione tecnologica. Grazie allo Stagionello® Salami Curing Device e al Metodo Cuomo®, oggi è possibile produrre mortadelle e altri salumi cotti in modo sicuro e controllato, senza rinunciare al gusto autentico e alla qualità artigianale.

La rivoluzione tecnologica della mortadella

Lo Stagionello® Salami Curing Device è una tecnologia innovativa che consente di gestire con precisione i parametri di temperatura, umidità, pH e ventilazione durante le fasi di maturazione, cottura e asciugatura dei salumi. Grazie ad un sistema di controllo brevettato, è possibile replicare fedelmente le condizioni ideali di produzione, garantendo standard di qualità costanti e massima sicurezza alimentare. Uno dei principali vantaggi di questo dispositivo è la sua capacità di

automatizzare e digitalizzare processi che tradizionalmente richiedevano una lunga esperienza e un monitoraggio costante. Ciò consente di ridurre gli sprechi e ottimizzare i tempi di produzione

Metodo Cuomo: scienza e tradizione al servizio del gusto Alla base dello Stagionello® c’è il Metodo Cuomo®, un sistema scientifico sviluppato per garantire una trasformazione sicura e naturale delle carni, rispettando i parametri microbiologici e organolettici necessari per ottenere un salume di alta qualità. Questo metodo consente di controllare i processi di fermentazione, cottura e asciugatura, riducendo l’uso di additivi chimici e migliorando la resa del prodotto. Il risultato è una mortadella che mantiene il profilo aromatico tipico della tradizione, con una consistenza e un sapore impeccabili.

Sicurezza, standardizzazione e qualità

L’adozione dello Stagionello® Salami Curing Device consente agli artigiani e alle aziende alimentari di realizzare mortadelle e altri salumi cotti in modo sicuro, standardizzato e replicabile,

senza compromettere l’autenticità del prodotto. Questa tecnologia rappresenta una risposta concreta alle sfide dell’industria agroalimentare, permettendo di mantenere viva la tradizione della mortadella con gli strumenti dell’innovazione. La possibilità di controllare ogni fase del processo, anche in fase di cottura, garantisce infatti non solo una qualità costante, ma anche una maggiore sostenibilità produttiva. Quella della mortadella è solo una delle 30 ricette climatiche validate e certificate dalle università partner del progetto Stagionello®, all’interno del Sicur Food Control®. Una tecnologia che permette di ottenere un aumento del ROI fino al 500% per ogni ciclo di produzione, lo Stagionello® Salami Curing Device è disponibile in ben 3 diverse linee di impianti per soddisfare l’esigenza produttiva di ogni attività, da 60 kg a 5.000 kg di salumi al mese, con i modelli standard o con progetti su misura per ogni attività.

Le conce funzionali: il segreto di una produzione perfetta

Un altro elemento chiave che contribuisce alla qualità e alla sicurezza della mortadella realizzata all’interno degli impianti Stagionello®, è l’uso delle conce funzionali di Stagionello®. Queste speciali miscele di aromi e ingredienti sono studiate per ottimizzare ogni fase della lavorazione, assicurando la riproducibilità e il rispetto dei parametri microbiologici e organolettici. Le conce funzionali permettono di ottenere un prodotto dal sapore autentico, migliorando la resa e la stabilità del processo produttivo.

Grazie a queste formulazioni, la produzione di mortadelle e salumi cotti diventa ancora più efficace, mantenendo intatti i profumi e la consistenza della tradizione. Un perfetto equilibrio tra innovazione e artigianalità che rende ogni lotto un successo garantito.

L’adozione dello Stagionello®

Salami Curing Device consente agli artigiani e alle aziende alimentari di realizzare mortadelle e altri salumi cotti in modo sicuro, standardizzato e replicabile, senza compromettere l’autenticità del prodotto.

• Vuoi scoprire di più su Stagionello®?

Se sei un produttore o un appassionato di salumeria, scannerizza il QR-Code qui sotto per approfondire le caratteristiche dello Stagionello® Salami Curing Device e scoprire come questa tecnologia può rivoluzionare la tua produzione!

>> Link: www.stagionello.com

CSB IMAGE MEATER PER LA CLASSIFICAZIONE DELLE CARCASSE SUINE

Unico strumento automatico approvato in Italia.

Affidabile. Pratico. Veloce. Non invasivo

CSB-System è lieta di comunicare che il CSB Image Meater, con la sua nuova formula, può essere utilizzato in Italia dal 1o febbraio 2025 come da Decisio-

ne di esecuzione della Commissione UE del 22 gennaio 2025, Gazzetta Ufficiale 2025/122. Al momento è l’unico strumento automatico approvato in Italia

L’importanza della classificazione

Classificare le carcasse, ovvero determinare il loro valore commerciale a partire dalla qualità e dal loro peso netto dopo

• Monitor industriale touchscreen

• PC in alloggiamento impermeabile

• Doppia fotocamera

• Luce a destra e a sinistra

• Guide di posizionamento carcassa – per gancio doppio

la macellazione, è un requisito legale in parecchi Paesi, che ha il fine di evitare controversie tra gli allevatori e i macelli. Serve però anche a monitorare la qualità ed ottimizzare il sezionamento e la resa della carcassa in base alla previsione di massa magra e del peso del taglio principale.

In passato i suini venivano classificati con una valutazione visiva.

A partire dagli anni ‘60 sono stati sviluppati e adottati metodi meno soggettivi, come sonde ottiche, ultrasuoni e analisi fotografica, e sono state stabilite correlazioni tra lo spessore del

grasso dorsale, le sezioni trasversali di muscolo e la percentuale complessiva di massa magra della carcassa; quest’ultima è una misura fondamentale del valore di mercato della carcassa perché, nella maggior parte dei mercati occidentali, la carne magra vale più del grasso.

Molti macelli oggi si affidano alle sonde ottiche perché semplici da usare e relativamente poco costose. Qui l’accuratezza della misurazione dipende molto dal buon posizionamento della sonda e dall’inclinazione di inserimento da parte dell’operatore. Esiste, inoltre, il

rischio di contaminazione incrociata ed è richiesto un alto impiego di manodopera: sulle linee di macellazione veloci spesso sono necessari due operatori, con almeno un altro di riserva a coprire le pause. Questi limiti si superano con il CSB Image Meater, che effettua la classificazione automaticamente senza il supporto di personale, con una velocità di classificazione fino a 1.300 suini all’ora, in maniera non invasiva e con standard igienici avanzati.

Il valore aggiunto del CSB Image Meater

La tecnologia del CSB Image Meater comprende un software ad elevate prestazioni che registra ed analizza l’immagine della sezione trasversale nella zona lombare della carcassa ed è in grado di identificare e misurare le principali sezioni trasversali di muscoli, grasso e ossa. Queste misurazioni, 16 in tutto, sono utilizzate per stimare la percentuale totale di massa magra della carcassa e dei tagli principali, nonché peso, spessore del grasso e rapporto tra stato di grasso interno ed esterno.

La classe commerciale è ricavata dai punti di misurazione nella zona lombare e del Musculus gluteus medius (M.g.m.). Questo garantisce una determinazione precisa della classe e del valore commerciale in modo igienico e senza contatto. Con una procedura consolidata, CSB Image Meater misura ulteriori aree identificate nella regione lombare da cui si può derivare il valore commerciale di tutti i tagli nobili (coscia, spalla, pancia e lombo) per ottenere la massima resa dalla carcassa suina. Solitamente la classificazione va eseguita non oltre 45 minuti dopo la macellazione, al fine di ridurre al minimo la perdita di peso per sgocciolamento. Il CSB Image Meater, però, è in grado di valutare una carcassa anche a freddo dopo l’uscita dalla linea di refrigerazione nella linea di macellazione o anche in un altro punto di ricezione delle carcasse refrigerate.

Il CSB Image Meater documenta tutte le fasi del processo di classificazione: classe commerciale, valore commerciale, quota carne magra, data, identificativo del classificatore, codice progressivo di macellazione. Ulteriori criteri qualità, come ad esempio la

forma della coscia, vengono indicati in modo specifico.

Classificazione a norma di legge

Per ottenere equazioni di calcolo ufficiali del valore della quota magra, le agenzie governative hanno utilizzato l’analisi statistica delle misurazioni del dispositivo di classificazione e i dati delle prove di sezionamento degli stessi suini. Il grasso, il muscolo e le ossa sono stati accuratamente pesati. Le prove di taglio sono state supervisionate e approvate dagli enti di regolamentazione con “RMSEP” (errore quadratico medio che indica la discrepanza quadratica media fra i valori dei dati osservati e i valori dei dati stimati) inferiore a 2,5.

Integrazione e condivisione dati

Il CSB Image Meater si può integrare senza grandi stravolgimenti direttamente nel processo di macellazione ed è sufficiente uno spazio di circa 2x2 m È opportuno il posizionamento direttamente dopo la pesatura: ciò consente il trasferimento dati in tempo reale per i processi a valle. L’allineamento in altezza del CSB Image Meater è personalizzabile in base alle specifiche della linea di macellazione, sia per ganci singoli che doppi.

Il CSB Image Meater è stato progettato e realizzato come dispositivo autonomo in grado di funzionare stand alone senza l’ERP CSB-System. Ciò significa che può essere venduto e implementato indipendentemente da altre tecnologie CSB. Ma può essere sicuramente integrato nel CSB-System per la gestione della linea di sezionamento, così come in altri sistemi gestionali.

Referente:

• Dott. A. MUEHLBERGER

CSB-System Srl

Via del Commercio 3-5

37012 Bussolengo (VR)

Telefono: 045 8905593

Fax: 045 8905586

E-mail: info.it@csb.com

Web: www.csb.com

Salumeria Italiana, 2/25

BIORIGO, REGIME BIO E L’ARTE NORCINA POLESANA CHE RESTA

Sala di stagionatura salumi dell’Azienda Agricola BioRigo di Fiesso Umbertiano (RO).

Christian Rigolin e l’Umbertiana, birra che produce con l’orzo dell’azienda.

Un tempo il Polesine veniva associato a nebbia perpetua. Oggi si trova ancora, di tanto in tanto, intorno ai canali, verso il Delta. Ma spesso bisogna andarla a cercare. L’arte norcina no, quella ha superato indenne i decenni del cambiamento climatico ed esplode ancora in ogni angolo della provincia veneta. Per scovare uno dei luoghi dove si celebra nel migliore dei modi bisogna uscire da capoluogo e dirigersi per 25 km verso sud ovest, a Fiesso Umbertiano, Rovigo. Allo spaccio di BioRigo si viene accolti da due immense vetrate. Una si apre sulla sala di stagionatura, l’altra sul laboratorio. Gli occhi cadono in trance.

C’è Christian Rigolin ad occuparsi dell’andirivieni dei clienti. È nato, come molti suoi coetanei, in una famiglia di agricoltori dove i salumi si sono sempre prodotti in casa e per casa ma, nel 2013,

dopo avere frequentato l’istituto tecnico di Rovigo e una breve occupazione in un’officina di riparazione di autoveicoli come dipendente, nella sua vita avviene una svolta. Del resto, cosa c’è di più importante della libertà personale, della gestione del proprio tempo?

«Sentivo sempre dire che la gente era stufa di acquistare al supermercato delle uova che non avevano il gusto di uovo e che gli animali di bassa corte degni di questo nome sono sempre più introvabili. La terra da coltivare c’era, l’esperienza per far crescere un’attività agricola pure. Così mi sono lanciato in questa esperienza» racconta con entusiasmo.

Credeva e crede tuttora nel regime biologico, «che si può applicare nelle piccole realtà, quelle che al massimo coltivano pochissime decine di ettari di terra». Organizza in pochi mesi un ricovero e un macello per animali di bas-

sa corte, un ricovero per maiali adatto al massimo per una decina di soggetti che accedono direttamente ad un grande spazio dove possono passeggiare e divertirsi in pozze d’acqua e nei campi inizia a coltivare frumento, orzo, granoturco e pisello proteico, a cui si aggiunge quasi da subito la canapa, «per i volatili, che ne sono particolarmente ghiotti, garantendo anche un ottimo apporto di proteine vegetali».

Anatre, faraone, galline e, in stagione, capponi, vengono prenotati a mesi di distanza, «perché i clienti hanno riscoperto il gusto di questi animali di cortile». Viene da Christian anche chi cerca i salumi preparati con cura da animali allevati in proprio. «All’inizio della primavera acquisto una decina di suini dell’età di 6 mesi, quando il loro peso varia tra 70 e 80 kg, che vengono cresciuti fino ad un peso di 300 kg». La capannina e il recinto

che li ospitano sono a pochi passi dal laboratorio, così che i clienti abbiano davanti agli occhi la garanzia di come avviene la crescita e l’allevamento. Anche ciò, oltre alla bontà, favorisce di certo il grande successo dei salumi e della carne fresca.

Il salame è il prodotto più richiesto. Caratteristica è la presenza dell’aglio, «tritato finemente, lasciato a bagno 24 ore nel vino e poi filtrato con una fodera e strizzato nell’impasto. La stagionatura non è mai spinta: solo il 10% dei clienti vuole un salame stagionato. Il resto richiede un salame né troppo stagionato né troppo fresco: una via di mezzo caratteristica del nostro territorio».

Tra i prodotti più caratteristici e curiosi del territorio ci sono la bondiola e la bondola. Non ci si lasci trarre in inganno dall’assonanza tra i due, che sono salumi del tutto diversi pur essendo insaccati in vescica. La bondola veneta è un insaccato di carne suina macinata a 6 mm. Nella preparazione si aggiungono circa 10 litri di vino Friularo e la stagionatura si aggira intorno ai 12 mesi. Lo spessore dell’insacco garantisce che la stagionatura del salume non diventi mai troppo spinta. La legatura a meno è caratteristica, in otto… spicchi. C’è poi la bondiola, prodotta con le carni del cotechino, dalla forma assai simile, ma legata a quattro spicchi. «Va consumata in tempi rapidi e bisogna porre attenzione perché non irrancidisca, visto che i nostri salumi sono tutti senza conservanti».

Christian, aiutato talvolta dai genitori, prepara anche ossocolli e pancette. Guarda con pignoleria il grado di maturazione dei salumi, li tasta, capisce dalla presenza della muffa bianca e salubre l’andamento dell’invecchiamento. Con lui, malgrado la nebbia che cullava i salumi sia quasi sparita, l’arte norcina continua.

Azienda Agricola BioRigo

Via Trento 960/1

45024 Fiesso Umbertiano (RO) Telefono: 340 0727078

E-mail: rigochristian@alice.it

Web: aziendaagricolabiorigo.it

In alto: salami bio. In basso: la bondola.

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

ph: Franceschini Vincenzo

ALPE MAGNA, BONTÀ D’ALTA QUOTA IN VASETTO

di Federica Cornia

S i può racchiudere in comodi ed eleganti vasetti di conserva tutto il sapere gastronomico della tradizione trentina e non, raccolto in più di 70 anni di storia? Sì, si può. È quel che ha fatto e fa Alpe Magna, brand in cui confluiscono la storia e l’esperienza di Simonetto Carni, la macelleria fondata da Mario Simonetto a Castelnuovo, comune in provincia di Trento, nel 1953 e che nel 2014 ha ottenuto il riconoscimento di Bottega Storica Trentina

Siamo alle pendici della Catena del Lagorai, nel cuore delle Dolomiti. È qui che ha sede il laboratorio in cui avvengono tutte le fasi del processo di trasformazione di una materia prima scelta e lavorata con cura.

Condensato del know-how aziendale maturato sin dalle origini, il laboratorio è il risultato della continua evoluzione di un’attività guidata da una famiglia che in tre generazioni, da nonno Mario al figlio Stefano fino ai nipoti Andrea e Davide, ha saputo

sfruttare al meglio le condizioni e le tendenze di mercato. Prima la bottega negli anni ‘50, poi il macello, dotato di celle frigorifere e laboratorio per la lavorazione di carni e salumi, nel ‘98 l’apertura di un nuovo punto vendita e la realizzazione di celle di stagionatura per la produzione di speck e insaccati, nel 2002 la realizzazione di un reparto di cottura per la preparazione di prodotti di gastronomia e pronto cuoci a cui, nel 2011, si aggiungono nuovi laboratori per il sezionamento. Infine,

nel 2018, con Andrea e Davide, nasce una nuova grande avventura: quella di Alpe Magna.

Con le sue Bontà d’alta quota, collezione di sughi salse e ragù in vasetto della tradizione culinaria dolomitica e italiana, Alpe Magna porta in tavola ogni giorno il sapore delle cose buone di un tempo, fatte come una volta, con l’aiuto delle più avanzate tecniche di lavorazione.

Le carni e i salumi vengono scelti attentamente, preparati nei laboratori

dell’azienda e per le ricette vengono utilizzati olio extravergine d’oliva italiano, vini trentini, pomodori e verdure fresche scelte e lavorate a mano.

Quattro le linee di prodotto che mirano a diventare un punto di riferimento nel panorama italiano per quel che riguarda i sughi di alta qualità: Purezze , Memorie Alpine , Armonie e Memorie Italiane. Le prospettive ci sono, dal momento che Alpe Magna, in meno di cinque anni, ha saputo inserirsi nei mercati più prestigiosi del

panorama Italiano, posizionandosi con le sue specialità all’interno di botteghe storiche e specializzate e, dal 2023, anche in quello estero.

A febbraio l’azienda ha partecipato nuovamente a TASTE Firenze, selezionata tra le migliori espressioni dei prodotti di qualità artigianali d’Italia, nel 2022, al Merano Wine Festival, aveva ricevuto 5 awards prestigiosi per le seguenti ricette: Crostino toscano, Malga e pepe, Ragù di cinghiale, Sugo giallo salmerino e capperi, Sugo speck e finferli

A sinistra: la Catena del Lagorai, gruppo montuoso del Trentino orientale. In alto: Gulash suppe, Salsa verde, Ragù di cervo e Sugo speck e finferli.

Le linee

Partiamo per questo viaggio di immersione negli autentici sapori delle vette dolomitiche con Purezze, linea di sughi e ragù monocarne. Tra questi i più rappresentativi dell’azienda e del territorio sono i ragù di selvaggina, lepre, cervo, camoscio e capriolo. La linea comprende anche ragù di anatra, speck, ragù bianco di Chianina IGP e di sarde del Garda. Gulash, Gulasch di cervo, Malga e pepe, Gulasch suppe, a cui l’aggiunta di patate è d’obbligo, e Orto delle

Dolomiti sono le proposte della linea Memorie Alpine con le sue ricette di montagna.

Nella linea Armonie gli ingredienti si legano tra loro in combinazioni di gusto che abbinano speck e finferli, ortiche e pancetta, porcini e salsiccia, il tarassaco a guanciale e Aceto Balsamico di Modena IGP, coniglio e olive taggiasche, radicchio e speck, oppure il pomodoro giallo e i capperi alle carni delicate del salmerino alpino, per finire con il Pesto del Garda a base di broccolo di Torbole presidio Slow Food, sarde del

In alto: la cucina nei locali della sede di Alpe Magna.

A sinistra: salsa Malga e pepe della linea Memorie Alpine. Rivisitazione dolomitica della famosa Cacio e pepe, viene prodotta utilizzando un formaggio a lunga stagionatura fatto esclusivamente con latte di alpeggio delle Dolomiti, dai sentori floreali e pungenti a cui il pepe dona balsamicità e piccantezza. Consigliato l’abbinamento con un Santa Maddalena Fiano d’Avellino.

lago di Garda, formaggio stagionato e noci tostate.

La linea Memorie Italiane, infine, è un viaggio nell’arte culinaria del Belpaese: Crostino toscano, Sugo all’amatriciana, Salsa verde, Cacio e pepe, Sugo alla carbonara, Ragù storico bolognese e il Ragù di cortile, che propone le carni bianche tipiche della corte italiana: anatra, faraona, gallina, coniglio, tacchino e pollo. Federica Cornia

>> Link: www.alpemagna.com

LA MORTADELLA DI ALTISSIMA QUALITÀ

Ispirata alla tradizione Ferrarini, solo materia prima italiana, un processo produttivo artigianale e una lenta cottura, aromatizzata con la ricetta originale ed unica di Ferrarini.

Italica è stata premiata come Migliore Mortadella al pistacchio da una giuria di 15 chef.

Ferrarini è iscritta nel registro speciale dei “Marchi storici di interesse nazionale”, tenuto presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

SCARPON, DALLA PIANTA AL VASETTO

LA GIUGGIOLA È IL LORO BIGLIETTO DA VISITA E IL SIMBOLO DI ARQUÀ PETRARCA. POI CI SONO SOTTOLI E SOTTACETI, PASSATA DI POMODORO E FRUTTA SCIROPPATA, CONFETTURE, CIOCCOLATINI, GRAPPE, LIQUORI, “BRODO” IN PRIMIS

di Gian Omar Bison

Nel pittoresco borgo di Arquà Petrarca (PD), l’ azienda agricola Scarpon è una delle realtà più affermate nel settore dei trasformati agroalimentari artigianali tipici della zona. Fondata nei primi anni ‘90 dai genitori di Alberto e Alessandro Callegaro, l’attività ha saputo crescere ed adattarsi ai tempi, mantenendo intatta la passione e il rispetto per le tradizioni locali.

L’idea iniziale era semplice ma vincente: trasformare i frutti e le erbe spontanee del territorio in prodotti di qualità. Franca Girotto aveva ereditato la passione per le conserve dalla nonna materna e si occupava principalmente della parte artigianale, mentre Giancarlo Callegaro , pur non essendo agricoltore di professione, disponeva dei terreni. Scarpon è il soprannome di famiglia, che, come tradizione di queste parti, veniva attribuito ai diversi nuclei parentali.

Nel 2013, Alberto e Alessandro hanno preso le redini dell’azienda, portando con sé non solo l’esperienza accumulata negli anni, ma anche un forte desiderio di innovazione. «Era-

vamo già molto coinvolti nell’attività di famiglia, soprattutto nei periodi di raccolta e nella vendita diretta», racconta Alberto. «Quando siamo subentrati, abbiamo cominciato a diversificare e ad ampliare quest’ultima, portando i nostri prodotti in gastronomie, enoteche e ristoranti. Adesso come adesso, e così da qualche anno, la ricerca e la qualità delle materie prime vegetali e animali e l’artigianalità unica dei trasformati è il nostro tratto distintivo in un settore dove, a volte, anche piccolo è bello oltre che adeguatamente redditizio.

Non vendiamo nulla di fresco se non a qualche cliente e solo le rimanenze perché, normalmente, lavoriamo tutto il raccolto, innanzitutto la prima scelta di frutta e verdura, che poi andiamo a trasformare. E non acquistiamo nulla da altri fornitori: lavoriamo quanto coltivato da noi o erbe e frutta spontanee, per raccogliere le quali abbiamo un permesso specifico dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei. Tutto ciò garantisce la miglior qualità e la tracciabilità piena del prodotto, dalla pianta al vasetto». I due fratelli hanno cercato di portare avanti innanzitutto la tradizione dei

nonni che raccoglievano e facevano di tutto con le erbe spontanee tipo tarassaco, rosole, carletti o sciopettini (Silene Vulgaris), bruscandoli (luppolo selvatico), cipolle selvatiche, asparagine e aglio delle vigne. Poi, col tempo, hanno ampliato e diversificato le coltivazioni aziendali: carciofini, corbezzolo, sambuco, fichi d’india e asparago Montina, antichissima varietà recuperata dalla specie selvatica che era stata abbandonata perché poco produttiva e con tanto scarto in fase di lavorazione. Coltivano soprattutto il lanterna che è dolce e piccolino, zucchine, scalogni, ecc…

«Abbiamo anche 400 piante di ulivo — sottolinea Alessandro— varietà classiche come Leccino e Rasara. Le olive le conferiamo al frantoio locale Evo del Borgo, dal quale otteniamo il nostro olio. Inoltre, da un po’ di anni abbiamo iniziato a produrre il miele dalle nostre arnie. Non troppe cose: un millefiori e poi ci concentriamo sul miele ai fiori del giuggiolo che è raro se non inesistente in Italia e di solito si trova in Yemen o Azerbaigian ed è considerato tra i più pregiati».

La giuggiola, piccolo frutto di origine asiatico e siriano molto usato in Cina, dove è un componente della medicina tradizionale da oltre 4.000 anni, è il simbolo di Arquà Petrarca, borgo medievale a due passi da Padova.

Il Brodo di Giuggiole Scarpon, nella versione classica e in quella celebrativa da 10 cl realizzata lo scorso anno a 650 anni dalla morte del poeta Francesco Petrarca.

In brodo di giuggiole

La giuggiola è il loro biglietto da visita. «Non pensavamo ci fosse un mondo così vario dietro. Innanzitutto abbiamo sviluppato il giuggioleto, che vanta diverse piante plurisecolari — ricorda Alberto — immaginando di conferire il nostro liquore alla clientela dell’entroterra. Poi, però, hanno iniziato ad usarlo in pasticceria, forni, ristoranti. Spesso i prodotti a base di giuggiole ci servono per acquisire clientela alla quale poi forniamo tutta la nostra gamma. È una varietà di frutta di origine asiatica e siriana e molto usata in Cina, dove è una componente della medicina tradizionale da oltre 4.000 anni. Ora come ora non abbiamo ancora una raccolta adeguata a soddisfare tutta la domanda».

Le prime prove per il cosiddetto “Brodo di Giuggiole” le hanno fatte nel 2000. È un liquore prodotto con un mix di frutta: giuggiole soprattutto (ne hanno 400 piante), poi mele cotogne, melagrana (300 piante) e uva. «Stiamo continuando a piantare tante varietà di uva, autoctone per quanto possibile, tutte destinate se non al Brodo alle confetture o ai sugoli, che da noi è uso preparare con mosto e farina fiore. Proprio i sugoli sono stati un successo

e abbiamo iniziato a prepararli esattamente come ci ha insegnato la nonna, usando non il mosto ma direttamente il succo dell’uva».

In campo aperto

Tutto viene coltivato in campo aperto, le serre sono utilizzate soltanto per fare le piantine. L’azienda dispone di un laboratorio dove viene lavorata la materia prima che, pur ampliato con gli anni, ad oggi risulta inadeguato. Per ovviare a questa necessità è stato acquistato un terreno distante 500 m dalla sede attuale ed lì che ne verrà costruito uno nuovo, più grande, dove integrare nuovi macchinari adatti anche per altri prodotti a base di frutta, verdura ed erbe officinali. «Uno spazio che sarà dotato anche di cucina — evidenzia Alberto — e che, in prospettiva, potrebbe essere usato con tavoli e sedie per organizzare brunch o aperitivi coi nostri prodotti piuttosto che per serate a tema promosse con altre aziende. Inoltre, stiamo cercando di acquistare i terreni limitrofi con l’obiettivo di mantenere un corpo aziendale unico e affrontare adeguatamente le difficoltà derivate dai cinghiali che scorrazzano tra le coltivazioni distruggendole e le

sfide legate alle necessità irrigue. In stagione abbiamo raccolte quotidiane a partire dalle 5:30 del mattino e il laboratorio deve essere vicino alle superfici coltivate».

Per le confetture raccolgono a piena maturazione e lavorano sottovuoto, non ad alte temperature, aggiungendo zucchero, se serve, secondo le disposizioni di legge. «Da tutta questa attenzione risulta il mantenimento di un colore vivace e la conservazione del gusto e delle proprietà nutrizionali. Sulle etichette scriviamo confettura extra perché non è ancora chiara la differenza tra confettura extra e composte. Le nostre comunque sarebbero composte perché tutte hanno un contenuto di frutta compresa tra il 70 e l’80%. Sono tante le confetture che abbiamo inventato combinando frutta, verdura ed erbe spontanee diverse. Tra queste mi piace ricordare quella a base di cachi e anice stellato piuttosto che prugne e lavanda».

E poi ci sono i sottoli, i sottaceti, la passata di pomodoro, la frutta sciroppata, i cioccolatini, le grappe aromatiche. Altro capitolo importante per i Scarpon riguarda il liquore Estregone a base di erbe officinali. «Per anni una signora ce lo ha dato nelle bottigliette da succo di frutta. Prima di morire ci ha dato una piantina di Artemisia (Asteraceae Artemisia dracunculus L.) e la ricetta. Mia madre ne faceva due litri all’anno. Tra il 2012 e il 2013 abbiamo iniziato a farne qualche litro in più per sondare il mercato. Da allora abbiamo registrato il nome Estregone e ogni anno duplichiamo le piante coltivate. Attraverso i nostri liquori abbiamo allacciato collaborazioni con diverse realtà. Tra queste, oltre a pasticcerie e gelaterie, col Caseificio Morandi di Borgoforte (caseificiomorandi.it), che produce un Pecorino affinato nell’Estregone, e col birrificio Monterosso di Montegrotto Terme (www.birrificiomonterosso.it), per la Birra alle giuggiole».

Gian Omar Bison

Azienda Agricola Scarpon Via Fonteghe 27

35032 Arquà Petrarca (PD)

Telefono: 0429 718215

E-mail: info@scarpon.it

Web: www.scarpon.it

@scarpon_arquapetrarca

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Speck Alto Adige IGP, un super 2024

+12,8% di produzione certificata sul 2023, crescita del preaffettato (+7,3%) e un export che tocca il 32,7%. Prosegue l’impegno del Consorzio per la tutela degli standard qualitativi e la salvaguardia del marchio

Il 2024 è stato un anno positivo per lo Speck Alto Adige IGP, caratterizzato da un incremento significativo della produzione certificata, che cresce del 12,8%, e un’espansione costante sui mercati internazionali, col 32,7% della produzione destinata all’export. Germania, Stati Uniti e Francia si confermano i principali mercati: lo Speck Alto Adige IGP si conferma uno dei salumi più esportati Inoltre, nel 2024 è stato registrato un aumento delle vendite dello Speck Alto Adige IGP del 3,4% (a volume) rispetto all’anno precedente. La crescita del preaffettato (+7,3% sul 2023) risponde alle esigenze dei consumatori moderni, rafforzando il posizionamento dello

Speck Alto Adige IGP come prodotto di alta qualità e praticità, nonché come secondo piatto sano e nutriente: un concetto, quest’ultimo, che è stato al centro della campagna TV lanciata ad ottobre 2024 e che ha riportato l’eccellenza altoatesina sugli schermi dopo 20 anni con la campagna uneSPECKted e il claim “Un secondo che non ti aSPECKti”.

Produzione

Lo scorso anno un totale di 2.815.390 prosciutti ha ottenuto il marchio di qualità Speck Alto Adige IGP, cifra che rappresenta un aumento del 12,8% rispetto al 2023. Ciò significa che la crescita della quota di speck certificato IGP è continuata con successo nel 2024.

Ogni anno vengono prodotti circa 2,8 milioni di Speck Alto Adige IGP, per un valore stimato tra i 160 e i 170 milioni di euro. La produzione ha mostrato negli ultimi anni una tendenza costante al rialzo. Dopo un significativo aumento tra il 1997 e il 2003, la produzione è rimasta stagnante nei successivi dieci anni. Tra il 2003 e il 2013, la quantità è rimasta pressoché invariata. Negli ultimi anni, tuttavia, si è registrata una crescita continua — ad eccezione del calo nel 2023 — che è proseguita anche nel 2024. Questa evoluzione positiva sottolinea il successo dello Speck Alto Adige IGP come prodotto di qualità sul mercato e la crescente domanda di alimenti certificati.

La produzione dello Speck Alto Adige IGP ha mostrato negli ultimi anni una tendenza costante al rialzo.

Export e mercati

Il 67,3% della produzione di Speck Alto Adige IGP viene venduto in Italia, con una concentrazione nelle regioni dell’Alto Adige e del Nord Italia. Negli ultimi anni, tuttavia, la domanda è aumentata sensibilmente anche nel Centro e Sud Italia. A livello internazionale, lo Speck Alto Adige rimane un prodotto molto richiesto. Con una quota di export del 32,7%, è tra i salumi italiani più esportati. Il mercato estero più importante è la Germania, che assorbe il 23,2% della produzione.

Altri mercati di rilievo sono gli Stati Uniti (4,75%), dove la domanda è cresciuta notevolmente negli ultimi anni, la Francia (2,0%), la Svizzera (0,9%) e l’Austria (0,6%). Lo Speck Alto Adige viene commercializzato in oltre venti altri Paesi, tra cui Belgio, Slovenia, Svezia, Paesi Bassi e Canada, che insieme rappresentano circa lo 0,7% della produzione totale.

I canali distributivi in Italia

In Italia, la distribuzione avviene principalmente attraverso i supermercati, che rappresentano il 65% delle vendite totali. Altri canali di distribuzione includono i discount (21,0%), il commercio all’ingrosso (3,0%), la ristorazione (6,0%) e il commercio al dettaglio (5,0%). Nella provincia di Bolzano, il commercio al dettaglio gioca un ruolo particolarmente importante: circa il 33% dello speck venduto nella provincia viene distribuito attraverso questo canale. Inoltre, il 14% viene consegnato direttamente al settore della ristorazione, mentre circa il 20% viene commercializzato attraverso il commercio all’ingrosso.

Portale di certificazione: l’innovazione salvaguarda l’IGP Nel 2024 è stato lanciato con successo il nuovo portale di certificazione dell’organismo di controllo, sviluppato in collaborazione con il fornitore di servizi IT Beantech. Dall’inizio dell’anno, tutti i 26 produttori utilizzano questo portale. Il portale di certificazione è uno strumento lungimirante che rafforza la cooperazione tra i produttori e il consorzio e apre la strada a standard ancora più elevati.

>> Link: www.speck.it

Culatello di Zibello DOP: il preaffettato segna un valore record

Il valore del preaffettato del Culatello di Zibello DOP supera per la prima volta la soglia del 50% dell’intera produzione annua: lo comunica il Consorzio di tutela insieme ai dati economici relativi al 2024, un anno che si chiude con un fatturato al consumo di 18,5 milioni di euro. Un valore storico, quello legato alle vaschette, mai raggiunto nei 15 anni dalla fondazione del Consorzio: nel 2024, su 73.550 culatelli sigillati, ben 38.004 sono stati destinati al preaffettato, toccando così il 51,6% del totale. E, guardando ai dati storici, a volume, solo nell’anno record del 2022 (con 102.591 culatelli marchiati quando la produzione ripartì completamente post Covid) ne erano stati destinati di più, con 40.171. Complessivamente, su un fatturato al consumo di 18,5 milioni di euro, 10,2 arrivano proprio dal preaffettato (nel 2019 erano 7,3), con 1,07 milioni di vaschette immesse sul mercato

La crescita assume ancor più importanza in un anno dove il reperimento di materia prima per il prodotto certificato è stata quanto mai difficoltosa. Rispetto al 2023, il calo nelle marchiature è del 9,5%, con 294 kg destinati rispetto ai 325.000 dell’anno precedente. Una contrazione che risente soprattutto dell’aumento dei costi. «Nel 2020, il prezzo medio della coscia di suino con osso era di 3,73 €/kg; attualmente, dato 2024, siamo arrivati a 6,08: quasi il doppio» commenta Romeo Gualerzi, presidente del Consorzio di tutela. «Sono quotazioni stratosferiche che si traducono in una inevitabile riduzione dei consumi legata al minor potere di acquisto. Inoltre, come Consorzio abbiamo applicato regole ancor più stringenti sul Disciplinare, con controlli moderni in grado di garantire maggiori garanzie; applicazioni che in parte riducono la disponibilità di cosce sul mercato». E comunque, secondo Gualerzi, «siamo ben oltre la media storica di 60.000 culatelli marchiati: il 2022 ha rappresentato un’eccezione, visto che dopo lo stop dovuto dal Covid avevamo esaurito le scorte, ma da quest’anno puntiamo a raggiungere gli 80.000. La cosa più importante sarà comunque stabilizzare il mercato. Oltre ad intensificare sempre di più l’attività promozionale in Canada, Cina, Giappone e USA dove il consumo di suini è molto elevato». Il Consorzio di tutela del Culatello di Zibello DOP racchiude tutte e 21 le aziende produttrici della DOP per un comparto da oltre 250 addetti e un fatturato alla produzione di 11,5 milioni di euro. Nei dati economici 2024 inoltre la quota export si attesta su un 25%: i Paesi dell’area UE (in primis Francia e Germania), insieme con la Svizzera, rappresentano l’88% della quota estero, ma cresce anche il Nord America, con Canada e Stati Uniti (6% complessivo), oltre ai paesi asiatici (4%). Infine, per quanto riguarda il canale di commercializzazione, il normal trade si conferma quello principale, con una quota pari al 60% del comparto, mentre la Grande Distribuzione Organizzata rappresenta il restante 40%.

>> Link: www.consorziodituteladelculatellodizibello.com

Mortadella Bologna IGP: 2024 in crescita trainato dall’export

Nel corso del 2024 sono stati venduti 33 milioni di kg di Mortadella Bologna IGP e prodotti quasi 39 milioni di kg. Rispetto al 2023, le vendite sono cresciute dell’1,6% e la produzione dello 0,9% e (dati forniti dall’organismo di controllo IFCQ certificazioni). L’affettato in vaschetta, dopo la crescita esponenziale degli ultimi 10 anni (+240%) si è sostanzialmente stabilizzato registrando un –0,1%. Da riscontrare, infine, l’exploit del formato tranci, che ha registrato un aumento del 27,6%. In Italia, la GDO si conferma il principale canale di vendita, con una quota del 55,1%, seguita dal normal trade (26,9%) e dal Discount (17,9%). Le vendite sono prevalentemente destinate ai consumi interni; tuttavia, la quota destinata alle esportazioni, nel 2024 pari al 20,1%, è in progressiva crescita (+6,2% rispetto al 2023). La maggior parte delle esportazioni è verso i Paesi UE; tra questi, Francia e Germania rappresentano i principali mercati di riferimento, seguiti da Spagna, UK e Belgio. «Siamo contenti dei risultati conseguiti dalla Mortadella Bologna IGP nel corso del 2024, anno particolarmente difficile per le famiglie italiane, costrette ad una parziale diminuzione dell’acquisto di generi alimentari. Ciononostante, i dati ottenuti confermano il buon andamento del prodotto, che ha registrato incrementi di produzione e vendite, trainate anche quest’anno dai mercati esteri. Di particolare rilievo gli incrementi ottenuti in UK (+8,3%), Francia (+8,7%), Svizzera (+7,5%) e, soprattutto, Spagna (+13,9). Tutti Paesi dove siamo impegnati con programmi triennali europei di promozione, ben articolati sul territorio» commenta Guido Veroni, presidente del Consorzio di tutela.

>> Link: mortadellabologna.com

LA “CICOLANA” NELLA TRADIZIONE PASQUALE ABRUZZESE

di Chiara Papotti

La Pasqua rappresenta un momento in cui le tavole italiane si arricchiscono di piatti tipici che raccontano storie antiche di territori e sapori lontani nel tempo. Nella provincia de L’Aquila, in Abruzzo, una prelibatezza locale emerge come simbolo di autenticità e storia: è la salsiccia di fegato o cicolana, un insaccato che, purtroppo, rischia di scomparire. Tuttavia, grazie alla dedizione di pochi artigiani e alla nascita di un Presidio Slow Food che vuole tutelarla, questa tradizione potrebbe ritrovare nuova linfa, tornando ad essere protagonista della tavola pasquale.

La salsiccia di fegato aquilana Nei boschi e nelle montagne abruzzesi l’allevamento dei maiali ha da sempre rappresentato una risorsa importante per i suoi abitanti. Tradizionalmente, la macellazione dei suini avveniva tra dicembre e gennaio, sfruttando il freddo invernale che favoriva la frollatura naturale e la conservazione delle carni. Era un momento centrale della vita di comunità, sia per il consumo immediato delle carni fresche che per la preparazione di salumi che sarebbero stati gustati durante l’anno. Tra questi, la cicolana si distingue come uno degli insaccati più rappresentativi della zona,

frutto di una tradizione che ha saputo valorizzare anche le parti meno nobili dell’animale. La cicolana si prepara infatti con fegato, cuore, lingua e, in alcuni casi, un po’ di carne magra e grasso di maiale. La speziatura, che varia in base alle famiglie e ai produttori, è fondamentale per esaltare il sapore delle frattaglie.

Due sono le principali varianti: piccante, arricchita con pepe, peperoncino e aglio, e dolce, più delicata, che prevede l’aggiunta di miele e una minima quantità di pepe per bilanciare la ricchezza del fegato e addolcirne il gusto.

A sinistra: la salsiccia di fegato aquilana o cicolana dalla caratteristica forma a ferro di cavallo (photo © Regione Abruzzo). In alto: le salsicce di fegato appese a essiccare (photo © www.gransassolagapark.it).

Nel periodo che va da novembre ad aprile le salsicce vengono insaccate in budelli naturali e legate a mano con una particolare torsione che dona loro la tipica forma a ferro di cavallo. Ogni passo della preparazione, dalla scelta delle spezie alla legatura, è tramandato di generazione in generazione, rendendo ogni salsiccia un prodotto unico. L’impasto viene poi appeso ad una pertica a seccare, prima vicino ad una stufa o ad un camino per una settimana e, successivamente, per un periodo di un mese circa in ambienti freschi, nei quali la temperatura naturale permette una stagionatura ideale.

Le famiglie aquilane consumavano e consumano tuttora la cicolana la mattina di Pasqua, a colazione, insieme alla pizza pasquale, una pagnotta semidolce e le uova sode. Questo momento di condivisione è carico di significato, poiché la preparazione e il consumo della cicolana segnano il culmine di una tradizione che unisce la terra, il lavoro e la famiglia.

Oggi, la produzione è limitata a pochi artigiani che lavorano per preservarne la qualità e la tradizione, ma la sfida rimane ardua. Il Presidio Slow Food si propone di riunire i produttori locali sotto un Disciplinare rigoroso che prevede la preparazione artigianale

senza conservanti né additivi, l’utilizzo di una filiera corta basata su suini allevati in Abruzzo e, ove possibile, il recupero del maiale abruzzese a pelo nero, una razza antica che sta scomparendo. L’obiettivo è quello di mantenere intatti saperi e tecniche tradizionali, permettendo a questo prodotto di nicchia di raggiungere un pubblico più vasto. Per salumieri, produttori di salumi e ristoratori, la cicolana rappresenta un’opportunità unica, che può rispondere alla crescente domanda di alimenti genuini e autentici. Essere in grado di offrire un prodotto così ricco di storia e sapore, che si distingue per l’uso di ingredienti locali e la lavorazione artigianale, può infatti essere un punto di forza per chi opera nel settore delle carni e dei salumi, permettendo di valorizzare la qualità e la tipicità delle produzioni locali, soprattutto durante periodi festivi come la Pasqua, quando le tradizioni rivestono un’importanza speciale. I produttori e gli artigiani di oggi hanno l’importante compito di mantenere viva questa tradizione, trasmettendo alle generazioni future un sapere che non solo arricchisce il patrimonio gastronomico, ma fa anche parte di una memoria collettiva che merita di essere valorizzata e tutelata. Chiara Papotti

LE STELLE DI TASTE BRILLANO IN FORTEZZA

La 18a edizione del salone di Pitti Immagine ha richiamato negli spazi della Fortezza da Basso 12.300 visitatori in 3 giorni e 8.483 compratori italiani ed esteri, che hanno avviato o consolidato rapporti con 770 produttori selezionati del Food & Beverage

“Nato sotto il segno del gusto”: le stelle dell’edizione 2025 di TASTE illuminano le sale e gli spazi della fortezza medicea nel cuore di Firenze.

Un firmamento luminoso di realtà, esperienze e tentazioni dolci e salate tutte da scoprire, da mangiare e da bere, per mappare l’universo del miglior food contemporaneo e tornare a casa sorridenti

TASTE 2025 non ha tradito le aspettative: con 770 espositori e 8.483 buyer (892 dei quali esteri, +23.5% rispetto all’edizione del febbraio scorso), la manifestazione di Pitti Immagine dedicata alle piccole imprese italiane — familiari, artigianali, industriali — di eccellenza registra un nuovo record di presenze e consolida la sua leadership tra gli eventi di settore.

«Se mi guardo indietro, anche solo di qualche stagione — commenta Raffaello Napoleone, AD di Pitti Immagine, alla chiusura del salone — quasi non credo a questi risultati, pur vivendo tutti i giorni l’impegno e la cura che le nostre persone mettono nell’organizzare e comunicare TASTE. E i numeri, per quanto straordinari, non dicono tutto, non danno l’idea dell’atmosfera di questi giorni in Fortezza. Bisognava esserci per capirlo: la cosa che mi ha dato più soddisfazione è il senso di energia allegra, del piacere di lavorare e incontrare, il rispetto e la curiosità che si sono stabiliti ad ogni tavolo tra il produttore e il suo cliente, potenziale o già fedele, e tra gli espositori stessi. Credo che le nostre scelte di allestimento, grafica, selezione, alternanza di merceologie e

storie, servizi e occasioni di formazione, diano un grande contributo, ma la verità è che questo è un mondo con qualità umane di grande spessore».

Sull’affluenza dei compratori (negozi specializzati, distributori e importatori, department store, professionisti dell’H O .R E .C A ., ristoratori, chef) va detto che l’aumento del 19% rispetto all’edizione numero 17 riproduce lo stesso aumento che lo scorso anno venne registrato rispetto al 2023… E i quasi 900 compratori esteri hanno fatto un balzo addirittura di quasi il 24%, in rappresentanza di oltre 60 Paesi. Ai primi posti troviamo Francia, Germania, Stati Uniti, Svizzera, Gran Bretagna, Spagna, Austria, Belgio, Olanda, Turchia; da segnalare anche le presenze dell’Est europeo e di tanti mercati extra continentali: Australia, Giappone, Canada, Corea del Sud, Singapore, Thailandia, Emirati Arabi e Arabia Saudita, Messico, Brasile, Nuova Zelanda.

Complessivamente, quindi, considerando anche agenti, rappresentanti e fornitori, gli oltre 600 tra giornalisti e operatori media e il pubblico di appassionati entrati in Fortezza nei tre giorni, TASTE ha superato quota 12.300

1) Il nostro TASTE inizia con un Violino di camoscio firmato Fratelli Corrà, il più antico salumificio del Trentino. What else? 2) Il lampredotto e le altre specialità in vaso e nelle box di Ditta Eredi L. Nigro. Quinto Quarto di terza generazione. 3) Antonio e Romina di Norcineria Bianculli di Montesano sulla Marcellana (SA). Per i loro salumi solo carni provenienti dall’allevamento di proprietà. Da provare quelli di Antico Suino Nero Lucano e la Salsiccia e Soppressata del Vallo di Diano Presidio Slow Food. 4) Speck, salami, kaminwurzen e altre bontà da Tito Speck del Maso dello Speck a Daiano (TN), in Val di Fiemme.

1) Margherita e Marcello Palmieri, Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO), e la loro FAVOLA! 2) Nicolò e Mileto Savigni, l’allevamento sostenibile in Fortezza da Basso. 3) «Ogni prodotto ha la sua mostarda». Parola di Paola Calciolari dell’azienda Le Tamerici di San Biagio di Bagnolo San Vito, Mantova. Di pere, mele campanine, di anguria bianca, melone viadanese, di arance, zucca, fichi, peperoni… e tante altre ancora. 4) Tutto il gusto della Sicilia nelle produzioni artigianali firmate Il Chiaramontano – Salumificio degli Iblei di Ragusa. Mortadella e salame di asino, salame al pistacchio, al Nero d’Avola Sicilia Doc…

1) Dino Negrini, Andrea Casolari e Pierluigi Porzi di Bonfatti Salumi – Gianni Negrini: mortadella, salame rosa e altre bontà da Renazzo di Cento (FE). 2) Gaia Borghi di Premiata Salumeria Italiana e Sergio Falaschi di Macelleria Falaschi, bottega di San Miniato (PI) che quest’anno festeggia i suoi 100 anni! 3) Paolo Tucci di MEAT Japan, per la prima volta a TASTE con i tagli, la linea Ho.Re.Ca. e la Charcuterie Wagyu. 4) I salumi di Mangalica allevata in Italia con cura e passione da Solobrado.
1) Lo zabaione più buono è quello allo Zibibbo (o al Marsala) di Bottega Broletto, Reggio Emilia, e ha il sorriso di Margherita. 2) Mariangela Grosoli, presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, a Firenze con la sua azienda Aceto Balsamico del Duca di San Vito di Spilamberto (MO). 3) Eugenio Picchi e Donna Enrica, titolari di Pachineat, a TASTE con tutte le incredibili sfumature del pomodoro! 4) I bacoli, i grissini artigianali di Marta Maistrello, disponibili in 16 varianti, classiche e gourmet.

1) I lavorati in vasetto, sughi, ragù, e i piatti pronti firmati Scudellaro, realizzati presso il laboratorio di Candiana (PD), a base di carni di pollo, faraona, anatra, cappone. Menzione speciale per la “Gallina in saor” e i salumi di oca e anatra. 2) Allo stand dell’Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti, Caterina

e i salumi firmati I Malafronte.

Bencistà Falorni e Stefano Lisi. 3) Le “follie” toscane buonissime di Carlo Giusti, prosciutto di piccione e non solo, a Lajatico (PI). 4) Il prosciutto di Mora romagnola

I Malafronte, artigianalità e territorio, affinati e Mora romagnola super star

Per il terzo anno consecutivo I Malafronte, marchio del Salumificio di Consandolo (FE), di proprietà del Gruppo Spadoni, è tornato a Firenze con le sue proposte salumiere. Due le linee di questo storico brand, che fa di territorialità e artigianalità i suoi valori distintivi.

• Antiche Tradizioni si rifà al saper fare contadino del passato e comprende di verse referenze iconiche: la salsiccia passita della Romagna, i salami con e senza lardello, la coppa, il lombetto, il guanciale, la pancetta, i ciccioli, la mortadella, i prosciutti, la sculatta e i salami all’aglio di Voghiera DOP. Ogni prodotto è frutto di una scrupolosa selezione di materie prime e di una meticolosa cura di ogni fase della produzione, risultando così essere una gustosa espressione della tipicità gastronomica del meraviglioso territorio da cui provengono.

• Antibiotic Free è una linea di salumi realizzati prestando un’attenzione speciale alle condizioni in cui vengono allevati gli animali, garantendo loro condizioni igieniche e spazi adeguati e una dieta equilibrata. Il rigoroso controllo della filiera e l’uso responsabile degli antibiotici sono garanzia sul piano sanitario e sulla qualità dei prodotti con la massima trasparenza. Un’attenzione scrupolosa quella del Gruppo Spadoni, che è rivolta certamente alla lavorazione delle carni, ma prima ancora agli allevamenti.

Quello della Mora romagnola è un punto di forza della famiglia Spadoni, che si è occupata di tutelare questa preziosa razza autoctona di suino nero investendo, a partire dagli anni 2000, nella ricostituzione della sua genetica attraverso un lungo e minuzioso lavoro. Oggi questa razza che rischiava l’estinzione conta oltre 1.200 esemplari. Proprio il prosciutto di Mora romagnola è stato tra i protagonisti allo stand del brand a TASTE, per l’occasione tagliato al coltello dall’abile cortador Geppino Bronzetti, tra i finalisti alla gara di taglio che Gambero Rosso organizza all’evento Salumi da Re presso Antica Corte Pallavicina

In degustazione al salone fiorentino anche i Mori, salami aromatizzati all’aglio di Voghiera DOP, al tartufo nero estivo e al peperoncino di Calabria, e gli Affinati, prosciutti lavorati con cura e poi affinati con il Sangiovese e l’erba medica disidratata, in grado di arricchire sapientemente il gusto della carne. Come il Giovin Bacco, prosciutto stagionato affinato al Sangiovese e decorato con vinaccia di uva nera: sapore delicato, profumo unico.

>> Link: www.imalafronte.it

visitatori. «Ogni stagione miglioriamo — aggiunge Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine — anche ascoltando con attenzione le esigenze di espositori e buyer. Nei mesi scorsi ci sono arrivate molte domande di prima partecipazione, la maggior parte meritevoli di risposta positiva, ma dobbiamo crescere con giudizio e gradualità. L’esperienza e la conoscenza che abbiamo consolidato, grazie anche al contributo di Davide Paolini, sono decisivi per selezionare le nuove domande e mantenere un alto livello di qualità e identità del salone.

TASTE 2025, proprio come le costellazioni, che sono state il tema ispiratore di questa edizione, ha creato ancora una volta connessioni e nuovi abbinamenti intercettando le tendenze più vive del mercato e della cultura del food contemporanei.

La spinta verso l’internazionalità era uno degli obiettivi che ci eravamo posti e i risultati di questa edizione sono significativi, grazie anche al lavoro in stretta sinergia con Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e Agenzia ICE, che ci ha permesso di portare in Fortezza un

nutrito e qualificato gruppo di operatori da tutto il mondo.

Concludo citando il successo e i tanti apprezzamenti per gli eventi e le partecipazioni speciali di questa edizione, il focus sui vini eroici da terre estreme, gli Spirits, i temi caldi dei Taste Talk e dei Taste Ring di Paolini e le presentazioni nella UniCredit Taste Arena. E i seguitissimi quasi 70 eventi in città per il FuoriDiTaste, che hanno reso protagoniste le nostre aziende in luoghi speciali di Firenze».

>> Link: taste.pittimmagine.com

1) Meggiolaro, salumificio a conduzione familiare di Stra (VE), a Firenze con i suoi arrosti e salumi artigianali. In foto, i fratelli Alessandro e Gessica Meggiolaro. 2) Ma quanto ci piacciono i salami naturali di Giovanni Bazza di Terrassa Padovana (PD)! 3) Giorgio Franci, titolare del frantoio di Montenero d’Orcia (GR) che porta il nome di famiglia, tra i più prestigiosi e premiati. 4) Benedetta Spigaroli e i salumi artigianali Antica Corte Pallavicina – I salumi di Massimo e Luciano Spigaroli: i culatelli e i salami come l’Antico Spigaroli, ottenuto da maiali pesanti dai 180 ai 230 kg e una stagionatura minima di 2 mesi (photo © Antica Corte Pallavicina IG). 5) Novità librarie, classici e conferme nella libreria di TASTE. 6) I pecorini e gli altri caci de Il Fiorino, caseificio pluripremiato di Roccalbegna (GR). L’azienda è sempre attenta ai trend del mercato e i suoi prodotti oggi si trovano sugli scaffali delle botteghe di gran parte d’Europa, USA, Australia, Giappone (photo © FB Caseificio Il Fiorino).

Antica Macelleria Falorni: Finocchiona IGP, salame da Cinta Senese DOP, novità e classici toscani sul banco di TASTE 2025

La Finocchiona IGP e i salami prodotti con carne di Cinta Senese DOP sono stati i protagonisti del TASTE di Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti (FI), roccaforte del gusto toscano. Da oltre 200 anni sono le antiche ricette e il sapere artigiano delle lavorazioni, i segreti di famiglia che fanno sì che, scegliendo i salumi di questa bella bottega toscana, si porti in tavola una proposta di altissima qualità. Come il salame da Cinta Senese DOP, che proviene dalla carne dei suini di questa razza autoctona nati e allevati allo stato semibrado e poi trasformati tra le colline fiorentine della Fattoria di Maiano: un prodotto particolarmente pregiato nelle sue componenti grasse e magre. Sul banco Falorni anche la Finocchiona IGP, Cinque spilli sulla Guida Salumi d’Italia 2025. Un prodotto dalla consistenza morbida e vellutata, gusto intenso ma equilibrato, aromatizzata con semi di finocchio selvatico, stagionata lentamente, insaccata in budello naturale e legata a mano. “Tre giorni intensi, pieni di incontri, assaggi e tanta passione per il buon cibo. Abbiamo condiviso i nostri salumi artigianali, raccontato la nostra storia e, soprattutto, visto tanti di voi assaporare il vero gusto della tradizione toscana. Grazie a tutti quelli che sono passati al nostro stand e a chi ha scoperto (o riscoperto) il mondo di Antica Macelleria Falorni” fanno sapere da Antica Macelleria Falorni.

>> Link: falorni.it

Un po’ di cose belle e buone. 1) I ragù della Salsamenteria Giò e Giuà di Pontassieve (FI). 2) La Mora, la crema spalmabile Sabadì che, essendo lavorata a freddo, ci fa sentire in parte i cristalli di zucchero di canna all’interno. Da provare anche con il Parmigiano Reggiano! 3) Sugo pronto e sorridente di Verde Abruzzo Srl – Fragassi. 4) Cotechino al tartufo firmato Bazza.

ANTICA CORTE PALLAVICINA

Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO”

43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.

Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.

MONDO PAGANÌ:

“QUELLO DEL FORMAGGIO”…

E NON SOLO

Può una piccola bottega di montagna sopravvivere, avere una sostenibilità economica e avere futuro? Probabilmente sì, a patto che ci sia la voglia di far bene, con pazienza, dedizione, creatività e passione di Lara Abrati

In vent’anni Daniele Cavagna ha selezionato i migliori produttori della provincia di Bergamo e ne ha iniziato a commercializzare i formaggi. Per alcuni di loro si è anche dedicato alla fase di affinamento e stagionatura. In questa pagina, il locale aperto da Daniele nel 2023 a San Pellegrino Terme. A banco formaggi e salumi artigianali locali.

A San Pellegrino Terme, in viale Papa Giovanni XXIII, la bottega di Daniele è affiancata dalla cantina a vista, dove avviene la fase finale della stagionatura del formaggi. Qui è possibile fermarsi per un aperitivo, una cena o una merenda con un tagliere di salumi e formaggi abbinati a verdure in conserva, frutta disidratata e altri snack salati, o con un panino gourmet, accompagnato da birra artigianale o vino.

San Pellegrino Terme (BG) è un luogo meraviglioso. Luogo di villeggiatura fin dal secolo scorso, è conosciuto in tutto il mondo grazie all’omonima acqua. Ma chi arriva in questo paese della Valle Brembana, non può non notare lo stile liberty che caratterizza il suo centro storico, col Grand Hotel di inizio ‘900 (ormai in disuso) che svetta al di là del fiume Brembo. Oggi è meta turistica anche per le sue belle terme, rinnovate pochi anni fa.

Ma le valli bergamasche sono conosciute anche per un altro motivo: la presenza di alpeggi e montagne, naturale scrigno di una produzione di formaggi tra le più buone e varie del Nord Italia, dai vaccini agli ovini e ai caprini.

Animali che vivono in queste zone e, nel periodo estivo, sono spesso portati in alpeggio o nutriti con erba fresca e fieno locale.

Questo è il contesto in cui nascono alcuni tra i migliori prodotti caseari della

provincia di Bergamo: dallo Storico Ribelle al Branzi, lo Strachitunt DOP, lo Stracchino all’antica, il Formai de Mut DOP e molto altro ancora.

In Italia, a differenza ad esempio della Francia, siamo grandi produttori, ma non sempre affinatori all’altezza: molti scrupoli sono dedicati alla produzione e pochi alla corretta evoluzione e stagionatura. Il formaggio non solo si produce: c’è un gran bisogno di chi se ne prenda cura, lo stagioni e affini in modo corretto e lo valorizzi

E Daniele Cavagna qui è il protagonista. In vent’anni ha selezionato i migliori produttori della provincia e non e ne ha iniziato a commercializzare i formaggi, avendo cura anche di dedicarsi (per alcuni) alla fase di affinamento e stagionatura. Nella sua bottega storica di Serina (in via Dante Alighieri) ha dato il via a questa attività che ormai da diversi anni si dedica anche al commercio elettronico e, soprattutto, alla valorizzazione della cultura del formaggio.

Tutto questo ha reso possibile un sogno: l’apertura più recente, nel 2023,

di un locale dove scoprire, acquistare e assaggiare i formaggi locali proprio nel cuore di San Pellegrino Terme.

Uno stile moderno, alcuni posti a sedere e un bel bancone che accoglie i formaggi, ma anche i salumi artigianali locali. Qui è possibile fermarsi per un aperitivo, ma anche per una cena o una merenda a metà pomeriggio: tanti i taglieri per tutti i gusti. Da quelli proposti da Daniele, per esperti e meno esperti, fino a quelli che vorrai comporre tu. Tutto abbinato a verdure in conserva, frutta disidratata e altri snack salati. Ma anche un’interessante lista di panini gourmet. Birra artigianale e vino selezionato.

Per momenti da condividere, tutti da gustare.

Un locale che continua l’esperienza della bottega di Serina (a tutt’oggi operativa e sede della storica cantina di affinamento), senza snaturare quello che è stato.

A San Pellegrino Terme la bottega è affiancata dalla cantina a vista, dove avviene la fase finale della stagionatura. Un luogo dove puoi acquistare il buon

formaggio locale, dove puoi gustarlo, ma anche dove puoi fermarti per “assaporare” tutto ciò che sta dietro a questo prodotto: un posto dove l’ambizione è quella di valorizzare il formaggio, raccontarlo e farlo vivere.

Da queste premesse viene naturale la valorizzazione del territorio e dei suoi protagonisti anche attraverso la cultura, con eventi musicali o dedicati alla lettura, per stimolare testa, anima, cuore e pancia.

Un approccio che ha stimolato la sopravvivenza della bottega storica, arricchendola di contenuti e uscendo dal mero obiettivo della vendita

Diversificando i canali, sfruttando ciò che il mondo digitale mette a disposizione senza dimenticare il contesto in cui ci si inserisce. Un valore che negli anni è cresciuto in modo esponenziale.

>> Link: www.paganiantichisapori.it

Nota

© Lara Abrati e Matteo Zanardi.

Photo

Pizza di Pasqua di Civitavecchia: un tesoro di tradizione e GUSTO

La Pizza di Pasqua di Civitavecchia è un prodotto che si trova nelle botteghe del territorio nel periodo che precede Pasqua, un’esplosione di sapori che racconta l’intreccio tra farina, uova, burro, ricotta di pecora, cannella, semi di anice e vaniglia.

Civitavecchia, cittadina affacciata sul Mar Tirreno, custodisce tra le sue strade e nei suoi cuori un dolce che sa di storia, riti e tradizioni. La Pizza di Pasqua, che si prepara con cura e attenzione durante il breve periodo che precede la Pasqua, non è solo un prodotto da forno, ma un racconto che si tramanda di generazione in generazione. Ogni ingrediente, ogni gesto nella sua preparazione, è infatti parte di una narrazione che va oltre la cucina, che si intreccia con la vita e le tradizioni di chi, in questa città, ha sempre celebrato questa festività con un rito speciale: la colazione pasquale

Non tutto l’anno

La Pizza di Pasqua di Civitavecchia è un prodotto che non si trova sugli scaffali tutto l’anno. La sua produzione è infatti legata, come dice il nome stesso, ad un tempo preciso: il periodo che precede la Pasqua. Il consumo avviene solo nei giorni successivi alla sua preparazione, quando ancora il profumo di cannella e semi di anice si diffonde nell’aria e la dolcezza della sua mollica si sposa perfettamente con uova sode, salame e coratella con carciofi, protagonisti della colazione pasquale.

Ma la Pizza di Pasqua non è solo un dolce. È un simbolo di famiglia, di legami profondi e di condivisione. Era, ed è ancora per molti, il regalo che ci si scambia con affetto, un dono che racconta l’importanza della Pasqua e che arricchisce le tavole con un sapore unico, fatto di semplicità e di attenzione agli ingredienti.

Ha una forma cilindrica, che può variare tra i 15 e i 24 cm di diametro.

La superficie è lievemente rigonfia, la crosta sottile e morbida, di un bel marrone scuro. Ma la vera magia accade quando si affonda il coltello e si scopre la mollica compatta, di un colore chiaro che risplende di finezza.

Ogni morso è un equilibrio perfetto tra dolcezza e speziatura, un’esplosione di sapori che racconta l’intreccio tra farina, uova, burro, ricotta di pecora e un tocco segreto di cannella, semi di anice e vaniglia.

E poi c’è l’ingrediente che rende ogni Pizza di Pasqua unica: l’alcol

Che sia vino, vermouth, rum o sambuca, l’aggiunta di liquori — ognuno

Il salame, e in generale un buon tagliere di salumi locali, uova sode e coratella con carciofi sono un abbinamento perfetto per la Pizza di Pasqua di Civitavecchia. Che, ribadiamolo, è molto più di un dolce. È il simbolo di una cultura che resiste al passare del tempo, un racconto che si può assaporare con ogni morso e che ci invita a fermarci, a riflettere sulla bellezza delle tradizioni che troppo spesso rischiano di essere dimenticate.

con una sua storia — dà alla pizza una profondità di sapore che non si trova altrove.

E la lievitazione? Un rito che veniva rispettato con devozione. Un tempo, l’impasto veniva trattato come un bambino, avvolto in coperte di lana per mantenerne il calore, mentre le donne vegliavano la notte, in attesa che la magia della lievitazione accadesse. Oggi non è più così comune vedere le famiglie impegnate in questa preparazione casalinga, ma la tradizione resiste ancora in alcuni angoli della città.

La Pizza di Pasqua è un tesoro che viene conservato gelosamente, spesso nascosto tra le pagine di quadernetti di ricette tramandate di madre in figlia. La Pizza di Pasqua di Civitavecchia, purtroppo, sta affrontando una battaglia contro la modernità e l’omologazione dei gusti. Altri dolci, più facili da produrre e acquistare, stanno lentamente mettendo in ombra questa prelibatezza. Ma c’è ancora chi, con passione e dedizione, continua a prepararla nei forni artigianali e nelle pasticcerie della città, mantenendo viva una tradizione che rischia di svanire.

Nonostante la sua importanza, non è un dolce che troviamo facilmente al di fuori della zona di Civitavecchia. La vera pizza, quella che racchiude tutta la storia e la passione del popolo civitavecchiese, è quella fatta in casa, preparata con tempo e cura. La sua vera essenza si sprigiona solo dopo una settimana di riposo, quando il dolce è pronto a raccontare tutto il suo sapore. Immaginate di accompagnarlo con un bel tagliere di salumi locali, uova sode e coratella di agnello con carciofi: un abbinamento perfetto che celebra la cucina tradizionale in tutta la sua autenticità. Ogni volta che se ne mangia una fetta, si compie infatti un piccolo viaggio nel tempo. Si assapora un pezzo di storia, sacrifici, ritualità, che hanno reso unica questa cittadina. Per noi che lavoriamo ogni giorno nel mondo delle carni, dei salumi e dell’artigianato, è importante non solo preservare, ma anche valorizzare questi tesori. Perché, dietro ogni prodotto autentico, c’è una storia che merita di essere raccontata e tramandata. La Pizza di Pasqua è uno di questi tesori.

I FRITTI NAPOLETANI, GIOIA E DELIZIA DEGLI OCCHI E DEL PALATO

Un elenco senza fine per una delle città regine mondiali dello street food

di Nunzia Manicardi

In alto: fiori di zucca fritti. Detti anche “sciurilli”, sono una prelibatezza tipica della cucina napoletana. A sinistra: “a pall’ e ris”, le palle di riso napoletane, sono una rivisitazione degli arancini/arancine siciliani, rispetto ai quali sono più rotonde e più piccole. Solitamente si riempiono con ragù, piselli e mozzarella ma il ripieno può variare.

Friggere è un’arte di cui la città di Napoli è unanimemente riconosciuta caposcuola. È difficile quindi, per non dire impossibile, selezionare alcuni fritti partenopei scartandone altri perché in realtà tutto a Napoli può essere (e viene) fritto, compresa la pizza, e fritto nel migliore e più gustoso dei modi facendo della città, a livello mondiale, anche una delle regine dello street food, il nostrano “cibo da strada”. Volendo però tentare di redigere una sorta di elenco dei fritti almeno fra i più conosciuti anche al di fuori della città, osiamo avventurarci a segnalare i seguenti, chiedendo fin d’ora venia se ne abbiamo tralasciati alcuni considerabili come altrettanto interessanti.

Partiamo proprio, non per ordine di importanza ma seguendo l’estro del momento, dalla appena nominata pizza fritta, che si realizza col classico impasto della pizza, farcendo un disco di questa pasta lievitata con ricotta, cicoli (o salame) e mozzarella (fiordilatte o misto bufala), e chiudendolo in una forma a mezzaluna che si gonfia molto quando viene fritta in olio bollente. Allo stesso modo si può preparare il calzone fritto, con pomodoro e mozzarella.

Più piccole sono le pizzelle fritte (o montanare, montanarine) che conservano invece la forma rotonda della pizza e, a differenza delle pizzette cotte al forno, vengono condite ma soltanto dopo essere state fritte, con sugo di pomodoro, parmigiano o pecorino romano e basilico fresco.

Rimanendo nell’ambito della pasta troviamo le zeppoline di pasta cresciuta. Queste frittelline che sembrano palline dalla forma irregolare si preparano in cinque minuti grazie alla pastella di farina, acqua e lievito particolarmente molle e idratata (“cresciuta”). La si preleva a cucchiaiate che vengono fatte scivolare direttamente nell’olio bollente, dove si gonfiano immediatamente.

I crocchè sono crocchette dalla forma cilindrica e dal cuore filante, a base di patate bollite e schiacciate, uovo, formaggio grattugiato, prezzemolo, sale e pepe, che prima di essere fritte vengono passate nell’uovo sbattuto e poi nel pangrattato.

Anche gli sciurilli, i fiori di zucca, sono prima pastellati e poi fritti. Per la loro forma con apertura superiore sono adatti anche ad essere farciti, con ricotta o fiordilatte. In tal caso si chiamano sciurilli ‘mbuttunati

Gli scagliuozzoli sono triangolini di polenta fritta molto gustosi anche perché salati in superficie e pepati. L’ingrediente, unico, è la farina di mais, meglio se “fioretto”, perché fornisce una macinatura a grana fine. Si possono arricchire a piacere con dadini di pancetta affumicata o ciccioli di maiale, prezzemolo, pecorino o parmigiano. Anticamente, friggendo due di questi triangolini sovrapposti, si ottenevano i libretti.

Le palle di riso (“a pall’ e ris”) sono una rivisitazione degli arancini siciliani rispetto ai quali sono più rotonde e più piccole. Si riempiono con ragù, piselli e mozzarella. Le melanzane alla pullastiello sono fettine di melanzane fritte due volte. Tra una frittura e l’altra si farciscono con salame, provola e basilico. Rispetto alle semplici melanzane indorate e fritte diventano quindi non solo più croccanti ma anche con quel cuore filante che piace tanto ai napoletani e non solo a loro. Devono probabilmente il nome al ristorante ‘O Pullastiello in cui veniva servito un pollastrello farcito in modo più o meno simile.

Si friggono, ma soltanto una volta e senza farcitura, al naturale o impastellati, anche altre verdure e ortaggi scelti a seconda della stagione: zucchini, carciofi, peperoni… Inoltre, si friggono impanati i latticini come ricotta, provola affumicata e, soprattutto, mozzarelline e si friggono pure le frattaglie (cervello, animelle, fegato). Ma a Napoli si può davvero impanare e friggere di tutto, anche la frutta (fettine di arancia e mela).

Quasi tutte le preparazioni appena descritte, oltre ad essere mangiate singolarmente, vanno a formare il famosissimo cuoppo, che letteralmente indica il cartoccio a forma di cono, di carta gialla o marrone, adatta ad assorbire l’unto, che si degusta passeggiando per strada. Questo insieme costituisce il Fritto misto di terra Analogamente, sempre per il cuoppo, si prepara il Fritto misto di mare, con alici, triglie, calamari.

Con gli avanzi della tavola, ma per lo più cucinate a parte appositamente per questa ricetta, si preparano le frittatine di pasta con besciamella,

Le graffe, il più importante dolce fritto napoletano. Si tratta di sofficissime ciambelle rese ancora più soffici dall’impiego della patata all’interno dell’impasto. Quando sono ancora calde vengono passate nello zucchero.

provola, prosciutto, piselli e pepe, ma anche ragù o funghi e pangrattato prima di friggere.

Impossibile non citare la mozzarella in carrozza. Questo fagottino di forma quadrata o tagliato a triangolo si prepara con fette di pane in cassetta o raffermo, mozzarella e una leggera impanatura. Si frigge in olio bollente fino a raggiungere consistenza croccante all’esterno e cuore filante all’interno.

Davvero impossibile, prima di concludere, è non ricordare almeno il più importante dolce fritto napoletano: la graffa, una sofficissima ciambella “monodose” (anche se… extralarge!) resa ancor più soffice dall’impiego della patata all’interno dell’impasto e passata nello zucchero quando è ancora calda.

Ora non resta che recarsi a Napoli e verificare di persona tutte queste ricette e le tante altre ancora che l’illimitata fantasia della città e dei suoi abitanti ha creato ed elaborato nel corso dei secoli e, probabilmente, anche dei millenni. Nunzia Manicardi

della Carne e del Salume dal 1806

Da oltre 200 anni Antica Macelleria Falorni produce nel cuore del Chianti salumi di alta qualità, tramandandosi di padre in figlio i segreti di antiche ricette e il sapere artigiano delle lavorazioni. https://falorni.it

Pancia o PANCETTA?

Chiariamoci subito, di cosa stiamo parlando? Di una parte del corpo (sì, quella che, da “umani”, controlliamo ogni giorno sperando che si “asciughi” magicamente regalandoci il fisico dei nostri sogni) o di un saporito salume? Nel dubbio, io direi tutte e due. Iniziamo dalla parte del corpo, partendo dal presupposto che invece, sugli animali, la pancia ci piace grassa e succulenta, così da poterla cucinare in molti modi diversi e trarne la massima goduria. Quella di maiale, per esempio, ha un gusto dolce, per cui contrasta con sapori acidi e affumicati, come la paprika (Carlo Cracco, quale accompagnamento, preferisce appunto cavolo cappuccio e verze) ed è ottima arrosto (costituendo dunque un taglio di carne alternativo ai soliti che portiamo in tavola — potendo contare sulla cotenna croccante — e perfetta con un contorno di zucchine o radicchio) e negli spiedini (alternata con cipolle, peperoni e carne di manzo o fegato o creste o rognone). È una specialità anche della città di Hangzhou, dove è cotta con vino di riso, salsa di soia, zenzero e cipolle per molte ore. Gualtiero Marchesi farciva la pancetta di vitello con arrosto (anche avanzi) di manzo, mortadella di Bologna, salsiccia di Monza, amaretti di Saronno, noci, salvia, prezzemolo, aglio e la faceva bollire, prima di servirla calda o tiepida. E Juri Chiotti propone l’originale Pancetta di capra con peperonata e melissa

Parlando del salume, invece, verrebbe da pensare che sia molto più semplice da maneggiare… si affetta

Involtini di carne con pancetta cotti al forno.

e si gusta, no? Beh, sì, avete ragione. D’altronde in tutta Italia (alcune hanno pure ottenuto la DOP) si produce questa specialità in cui la suddetta parte del corpo viene trattata con sale e pepe (ma anche con chiodi di garofano e/o cannella e/o noce moscata e/o bacche di ginepro), lasciata almeno 15 giorni in frigorifero, lavata, raschiata e fatta stagionare (per un periodo di 50-120 giorni).

Ma, a seconda di come si presenta al termine della procedura, può avere diversi usi culinari: quella “arrotolata” (ovvero con la parte grassa all’esterno) si avvolge attorno alle carni — anche ai gamberi — per ammorbidirle e dar loro ancora più sapore; la “coppata” non ha cotenna, quindi è magra e adatta ai piatti con un ridotto contenuto di grassi; la “tesa” (ottenuta da un taglio squadrato e rifilato) è tra l’altro sinonimo di Rigatino (con cui si possono preparare ricette toscane famosissime).

La pancetta è un ottimo ingrediente per un piatto di pasta e verdure (pomodorini o zucchine o carciofi), per un ragù o una zuppa o per una omelette al formaggio o una quiche o una piadina (o una pizza). Si aggiunge nell’impasto di una focaccia e nel ripieno degli involtini o si serve da sola, croccante. A me piacciono molto gli involtini di prugne e pancetta per l’originalità: sono un antipasto (o un amuse bouche) veloce, che fa fare bella figura.

Un mondo a parte è la pancetta “affumicata” (il bacon), perché, col suo sapore originale, arricchisce tantissime ricette, dall’hamburger al risotto, dalle bruschette alle uova. Ne riparleremo!

Ma un mondo a parte è anche la scelta vegetariana. Ho letto di Sarah Joyce che ha preparato una pancetta vegetale in cui, anziché il classico seitan, ha usato farina di riso, fecola di patate, amido di mais, lievito alimentare, olio evo, concentrato di pomodoro, polvere di barbabietola, paprika, timo, rosmarino e salsa di soia (suggeriva sale affumicato, per l’effetto bacon). Questa versione si può provare per dirimere la questione di partenza: mangiare pancetta e avere la pancia più piatta… Certo, forse manca la golosità e la succulenza che amiamo, ma ricorderete il vecchio detto“per abbellire bisogna soffrire”?

Giorgia Fieni

L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA

Unico. Autentico. Di Modena.

di M O D ENA A C ETO B A L SAMI C O
CONSORZIO TUTELA

PREPARIAMOCI A TUTTOFOOD

Pensata per promuovere su scala globale i nuovi modelli alimentari,

TuttoFood 2025 è la

fiera

dei grandi player alimentari, che sposa produzioni sostenibili, consumi responsabili e innovazione

Hub di tendenze e innovazione

TuttoFood è la fiera B2B per l’intero ecosistema agroalimentare. Globale e innovativa, è punto di riferimento nel mondo per produttori e distributori dei prodotti di qualità dell’intera filiera del Food & Beverage che incontrano in manifestazione i buyer con effettivo potere d’acquisto come: distributori, importatori, GDO, negozi di prossimità, negozi gourmet, food service, Out of Home, chef. Come hub internazionale e osservatorio del mercato mondiale,

TuttoFood monitora costantemente tutte le filiere del comparto e gli stili di consumo per presentare approfondimenti su tematiche di attualità, best practice, scenari e aiutare le aziende a prendere le giuste decisioni, anche grazie alla pubblicazione di osservatori periodici che offrono una visione globale del comparto Food & Beverage

Il programma per i buyer

TuttoFood si prepara ad ospitare migliaia di buyer accuratamente selezionati per rispondere ad un’offerta espositiva unica e variegata. Gli inviti alla mani-

festazione si rivolgono ai principali importatori e distributori e alle più rilevanti catene di ristorazione e food retail. La città di Milano supporterà l’efficacia del Buyers Program con le sue enormi potenzialità in termini di centralità geografica e di logistica, ma soprattutto attraverso la capacità di offrire ulteriori momenti di networking, tra attività fuori salone, itinerari di visite guidate a punti vendita e ristorazione all’avanguardia, oltreché a siti produttivi. Particolare attenzione sarà riservata al circuito retail e HO.RE CA. nazionale con un programma di accoglienza su misura.

Attività da non perdere

• TuttoFood Street Experience: un’area viva e ricca di contenuti legati ai grandi temi dell’agroalimentare che si estende lungo tutto il Corso Italia;

• Italian Specialty Selection: area dedicata all’eccellenza gastronomica italiana, con prodotti di nicchia provenienti da diversi settori;

• Bellavita Expo: speciale collettiva che celebra il bon vivre italiano e le sue grandi potenzialità sui mercati del food;

• Start-up area: curata da Le Village by CA, con l’obiettivo di favorire il massimo incontro tra le aziende startup presenti e i potenziali visitatori quali distributori e grandi player del settore;

• TuttoFood Academy by APCI: area interattiva che ospita una serie di eventi live volti a promuovere prodotti, specialità, preparazioni gastronomiche da tutto il mondo. A TuttoFood Milano i visitatori avranno a disposizione un programma di

contenuti da non perdere: analisi degli andamenti e grandi temi dal mondo delle filiere, ESG, innovazioni e nuovi modelli di consumo nel retail e nell’HO.RE.CA saranno i temi al centro del dibattito, che si svilupperà nelle diverse arene tematiche disseminate lungo la fiera. Ecco alcune delle aree convegni che saranno attive in fiera:

• TuttoFood Hall: grande sala che ospiterà convegni e conferenze istituzionali;

• Better future arena: agorà compatta dedicata a innovazione e sostenibilità che ospiterà il Better Future Award;

• Cibus Link Arena by Cibus Link: collocata sul Corso Italia, sarà dedicata ad interviste e tavole rotonde sulla filiera alimentare.

Orari della manifestazione

TuttoFood è in programma da lunedì 5 a venerdì 8 maggio, dalle ore 10:00 alle ore 18:00, eccetto l’ultimo giorno, 8 maggio, quando l’ultimo ingresso consentito sarà alle 15:00 (chiusura manifestazione 17:00).

Dal 5 all’8 maggio 2025, Milano diverrà piattaforma di riferimento per i professionisti della food community. La città di Milano supporterà l’evento grazie alle sue potenzialità in termini di centralità geografica, logistica e la capacità di offrire ulteriori momenti di networking.

>> Link: tuttofood.it

SLOW WINE FAIR E SANA FOOD ‘25

Una sinergia vincente per un’agricoltura amica della salute e dell’ambiente

Slow Wine Fair e SANA Food chiudono il primo anno insieme con un bilancio molto positivo. Al doppio appuntamento hanno partecipato infatti 15.000 visitatori e 300 buyer internazionali, in arrivo da 20 Paesi: Austria, Bosnia, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Giappone, Lituania, Montenegro, Nord Macedonia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovenia, Singapore, Svezia, Svizzera, UK e USA. Sono stati oltre 2.000 gli incontri B2B, con più di 1.050 cantine presenti a Slow Wine Fair (720

delle quali biologiche o biodinamiche) e le 250 aziende di SANA Food, organizzati nel corso della tre giorni. «Siamo molto soddisfatti per il successo di Slow Wine Fair, nata 4 anni fa con 400 cantine, e che oggi può contare su più di 1.000 realtà vitivinicole rappresentate» ha commentato Gianpiero Calzolari, presidente BolognaFiere. «La novità di quest’anno, il suo abbinamento con SANA Food, manifestazione concentrata sui temi del biologico, del naturale e dell’alimentazione sana e sostenibile, si è rivelata un successo: abbiamo imboccato una buona strada, confermata

anche dal grande apprezzamento da parte degli espositori».

Per Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia: «Le 1.050 cantine selezionate per Slow Wine Fair rappresentano valori ambientali, sociali, economici, ma anche culturali e identitari. Esprimono un’agricoltura di qualità, rigenerativa e virtuosa, che lavora con e non contro la natura, e che tutela la biodiversità e la fertilità dei suoli, senza le quali non ci sarebbe agricoltura e quindi cibo. Mantengono in vita quelle zone, che impropriamente chiamiamo marginali, le proteggono dal rischio

interessati alle proposte di Slow

e

food: 87 di essi sono stati premiati nell’ambito del Premio Carta Vini Terroir e Spirito Slow, a sottolineare la fondamentale alleanza tra mondo della ristorazione — e non solo — e il lavoro delle vignaiole e dei vignaioli di qualità.

ambientale e dallo spopolamento. Sono infatti proprio gli agricoltori — in questo caso viticoltrici e viticoltori — i protagonisti di questa narrazione, eppure gli stessi ricadono nell’80% delle imprese che in Italia, a livello di sostegno economico, catalizzano solo il 20% delle risorse europee. Questo è un paradigma che va ribaltato. Il presente ha un urgente bisogno: che questo tipo di agricoltura sia sostenuta, in quanto capace non solo di valorizzare il made in Italy, ma anche di garantire la sovranità alimentare. Per avere cibo e vino felici ci servono agricoltori felici».

Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio: «Da Slow Wine Fair, SANA Food e Rivoluzione Bio è emerso in modo chiaro che il futuro dell’agricoltura e del cibo è biologico. Queste manifestazioni sono importanti momenti di incontro e confronto che mettono al centro i produttori agricoli, che lavorano per la sostenibilità e la tutela della biodiversità, riconoscendone e valorizzandone il ruolo cruciale nella transizione agroecologica.

Il biologico sta vivendo una crescita significativa, sia in termini di superfici coltivate che di produzione, con un aumento sia dei consumi interni sia delle esportazioni, che nel 2024 hanno raggiunto un valore complessivo di circa 10,4 miliardi di euro.

La denominazione di origine per vini e prodotti DOP e IGP, abbinata alla sostenibilità garantita dal marchio biologico, rappresenta un punto di forza sul mercato estero e anche su quello interno, dove il 75% degli Italiani ritiene che il logo bio e l’origine italiana rappresentino una garanzia aggiuntiva. A questo proposito, l’imminente uscita del marchio biologico italiano contribuirà a rafforzare ulteriormente il settore, grazie anche al supporto di campagne di comunicazione collegate».

Matteo Zoppas, presidente ICE –Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane: «L’export dell’agroalimentare biologico, che dal 2012 ad oggi è cresciuto del +200%, rappresenta una nicchia importante dell’agrifood. All’edi-

zione 2025 di Slow Wine Fair e SANA Food, piattaforme fieristiche che completano l’offerta e creano un ulteriore valore di mercato, partecipano 1.360 aziende. ICE ha ospitato circa 130 buyer, quasi la metà del totale degli operatori internazionali, che già prima dell’inizio dell’evento avevano prenotato oltre 1.000 incontri B2B, poi raddoppiati nel corso della fiera.

Molto spesso le aziende espositrici non sono consapevoli del grande lavoro che l’Agenzia svolge: selezioniamo e portiamo in fiera buyer, importatori e distributori qualificati, offrendo alle aziende italiane un accesso diretto a nuove opportunità di business. Accompagniamo le imprese nella costruzione di relazioni durature con i mercati esteri e favoriamo una crescita solida e strutturata.

Il nostro lavoro si estende oltre i confini della promozione. ICE in coordinamento con la diplomazia all’estero, affianca il Governo e gli imprenditori nella tutela del settore agroalimentare, contrasta ogni tentativo di criminaliz-

Tanti ristoratori ed enotecari
Wine Fair
SANA

zazione dei prodotti italiani e rafforza il posizionamento del made in Italy nel mondo. Continueremo a investire risorse ed energie per garantire il giusto riconoscimento alla nostra tradizione e innovazione».

Michele De Pascale, presidente Regione Emilia-Romagna: «Siamo molto soddisfatti dell’esito di questo doppio appuntamento. Felici di ospitarlo nel nostro territorio e felici che l’EmiliaRomagna abbia una così significativa rappresentanza di aziende e operatori nel settore, capaci di farsi apprezzare in Italia e all’estero. Da un lato, vogliamo continuare a distinguerci per alcune esperienze produttive che in tutto il mondo sono studiate per la loro capacità di creare prodotti di eccellenza, esportati a livello internazionale; dall’altro, vogliamo valorizzare tutta

la filiera del territorio e fare ancora di più, continuando a migliorarci.

Viviamo con preoccupazione le dinamiche internazionali riguardanti i dazi per il loro impatto su tutto il settore agroalimentare. L’Italia e l’Unione Europea hanno affrontato grandi sacrifici negli ultimi anni e non è accettabile che un colpo di spugna cancelli tutto e che si analizzino le bilance commerciali con questa crudezza. Per la sua coerenza, il nostro Paese ha pagato un prezzo molto alto in termini di competitività del sistema delle imprese. Soprattutto nel caso della filiera del vino serve rispetto per produzioni di eccellenza che di sicuro non investono sull’abuso del consumo, ma sulla qualità. Il vino e le produzioni di qualità sono in sintonia con un consumo responsabile, corretto e rispettoso della salute delle persone.

«La denominazione di origine per vini e prodotti DOP e IGP, abbinata alla sostenibilità garantita dal marchio biologico, rappresenta un punto di forza sul mercato estero e anche su quello interno. E l’uscita imminente del marchio biologico italiano contribuirà a rafforzare ulteriormente il settore, grazie anche al supporto di campagne di comunicazione collegate» dice Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio

Queste nostre realtà vanno supportate e tutelate».

I numeri

Slow Wine Fair e SANA Food chiudono con 15.000 ingressi, con una crescita di almeno il 20% rispetto allo scorso anno. Tanti gli appassionati (ingresso riservato solo alla domenica) e gli operatori del settore che hanno potuto conoscere e degustare una selezione unica di vini espressione del Manifesto del vino buono, pulito e giusto e approfittare della sinergia tra le due manifestazioni, visitando entrambe. Sul fronte B2B, oltre duemila gli appuntamenti professionali tra cantine e operatori del settore bio e tanti contatti informali con 300 buyer internazionali selezionati anche grazie alla collaborazione con ICE e alla piattaforma B2Match, che ha permesso ai professionisti di profilare in maniera dettagliata le aziende e le etichette corrispondenti ai propri interessi. Né vanno dimenticati i tanti ristoratori ed enotecari: 87 di essi sono stati premiati nell’ambito del Premio Carta Vini Terroir e Spirito Slow, a sottolineare la fondamentale alleanza tra mondo della ristorazione — e non solo — e il lavoro delle vignaiole e dei vignaioli di qualità. Arrivederci al 2026, sempre a BolognaFiere, dal 22 al 24 febbraio!

>> Link: slowinefair.slowfood.it www.sana.it

Hanno partecipato SANA Food 250 espositori, il 15% dei quali provenienti dall’estero.
GUALERZI S.p.A Via Torrechiara, 25 Pilastro di Langhirano (PR) tel.0521 639125

Al Sirha 2025 di Lione il Prosciutto di Modena DOP si posiziona come prodotto di indiscussa eccellenza

“Excellent” è stato il riscontro più frequente all’assaggio del Prosciutto di Modena DOP durante i 5 giorni di partecipazione del Consorzio di tutela al Sirha di Lione, evento da sempre riferimento a livello internazionale per la ristorazione e l’ospitalità, che si è tenuto dal 23 al 27 gennaio scorsi. Rilevante la presenza del mondo dell’Ho.Re.Ca., e in particolare di ristoratori che, grazie alle degustazioni hanno potuto conoscere un prodotto di cui hanno percepito l’alta qualità e apprezzato il legame col territorio di origine, uno degli elementi che conferisce al Prosciutto di Modena DOP quel sapore dolce e intenso e la riconoscibile delicatezza già al primo assaggio. Importante anche la presenza di scuole di cucina che hanno preso parte a momenti formativi gestiti dal Consorzio, con l’obiettivo di far conoscere attraverso l’assaggio le caratteristiche inconfondibili di questo prosciutto e approfondirne gli aspetti legati alla sua storia e produzione. «Il Sirha è un evento che anticipa i trend del settore e non potevamo quindi mancare» ha commentato Giorgia Vitali, presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena. «La Francia si colloca per l’esportazione della DOP ai primi posti tra i Paesi dell’Unione Europea e riteniamo sia stato strategico per noi avere un contatto diretto con le realtà ristorative locali, anche di piccole dimensioni, per avere consapevolezza delle loro esigenze e aspettative sui prodotti di qualità italiani e, di conseguenza, individuare la giusta chiave di accesso, anche a livello commerciale e logistico, per penetrare in questo nuovo mercato. L’interesse degli operatori verso il nostro prodotto conferma e avvalora l’impegno che il Consorzio profonde quotidianamente per tutelare e diffondere la qualità del Prosciutto di Modena DOP anche fuori dai confini nazionali».

Il Consorzio del Prosciutto di Modena, che raggruppa oggi 10 produttori, ha sempre avuto una costante attenzione al prodotto, tanto da modificare il Disciplinare di produzione in senso restrittivo per migliorare ancora di più il già alto livello qualitativo. La prima modifica ha riguardato la ricetta, solo cosce di suino e sale, senza l’aggiunta di spezie e conservanti; l’aroma è dato dalla prolungata stagionatura. La seconda modifica ha stabilito una stagionatura minima di 14 mesi. La materia prima utilizzata per la sua produzione è ottenuta esclusivamente da suini di origine italiana, nati e allevati in 10 regioni d’Italia centro-settentrionale.

>> Link: consorzioprosciuttomodena.it

LONDRA ESALTA IL MIGLIOR PARMIGIANO REGGIANO

di Josette Baverez Blanco

Quale sede più bella e significativa del British Museum per onorare il formaggio per eccellenza che attraversa i tempi e gli spazi? Uno dei più grandi e importanti musei della storia, fondato nel 1753 per ospitare e presentare al pubblico reperti e cimeli di tutto il mondo, colonne greche e statue egizie, è stato lo scrigno del premio dedicato ai 13 caseifici vincitori dei Palii del Parmigiano Reggiano 2024. «Dopo l’Ambasciata d’Italia a Parigi, sede della prima edizione, abbiamo scelto come palcoscenico lo splendido British Museum di Londra, la capitale del nostro quarto mercato estero, con oltre 6.500 tonnellate importate all’anno e un sell-in 2024 che ha segnato una crescita del +17% rispetto all’anno precedente» ha dichiarato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio. «La DOP è un prodotto sempre più internazionale, con una quota export che ha quasi raggiunto il 50%. Ma è fondamentale esportare

non solo il prodotto quanto anche la cultura di prodotto ed eventi come questo rappresentano occasioni importanti per far emergere le distintività della nostra DOP, sensibilizzando i consumatori di tutto il mondo».

Durante la serata una giura internazionale composta da chef, ristoratori, giornalisti, personaggi televisivi, scrittori di cucina ed esperti del settore, ha premiato i 13 vincitori e attribuito due Menzioni speciali per il Parmigiano Reggiano con miglior struttura e per quello con miglior profilo aromatico, entrambe andate al 4 Madonne Caseificio dell’Emilia, stabilimento di Varana di Serramazzoni (MO).

In Italia, da 12 anni, nella zona d’origine della DOP, si svolgono gare annuali denominate “Palio del Parmigiano Reggiano”, in cui i campioni di prodotto inviati dai caseifici consorziati sono valutati da una giuria composta da assaggiatori certificati della APR –Associazione Assaggiatori Parmigiano

Reggiano. Il 4 Madonne Caseificio dell’Emilia ne aveva vinti ben 4: GustiaMo (Modena), con la stagionatura di 40 mesi prodotta nello stabilimento di Baggiovara e quella di 24 mesi prodotta nello stabilimento di Medolla, Palio di San Petronio (Bologna) con il Parmigiano Reggiano 24 mesi prodotto nello stabilimento di Valsamoggia, e Palio Città di Casina con il prodotto stagionato 24 mesi uscito dallo stabilimento di Varana di Serramazzoni.

Proprio quest’ultimo, uscito vincitore anche a Londra, è guidato dal 2016 da una donna casara, Alessia Zini, che ha trionfato sbaragliando tutti i concorrenti. «Quella del Parmigiano è una tecnica antica che si rinnova continuamente e il premio alla nostra casara è la dimostrazione del ruolo crescente delle donne nell’industria casearia, anche in posizioni tradizionalmente ricoperte da uomini» ha commentato il presidente del 4 Madonne Caseificio dell’Emilia Andrea Nascimbeni

Ma voi lo sapevate che senza i monaci francesi non ci sarebbe il Parmigiano Reggiano? Nel Medioevo, arrivati da Cluny, i Benedettini costruirono abbazie a ridosso di territori con acque di sorgenti, in particolare nelle zone appenniniche fresche d’estate e non troppo fredde d’inverno. Il foraggio pronto a marzo permetteva di allevare i bovini nelle grange, animali impegnati nelle grandi opere di bonifica e di dissodamento delle terre incolte. La produzione di latte era molto superiore al fabbisogno dei monaci che decisero di trasformarlo in burro e formaggio. Nell’area padana antica si producevano allora solo formaggi caprini e ovini. Furono quindi i monaci francesi ad introdurre la trasformazione del latte vaccino in formaggi di grandi dimensioni e di lunga stagionatura e conservazione, costruendo piccole casette, o caselli, dove eseguire questo procedimento.

Nel XII secolo è nato un formaggio al cui interno, ancora oggi, i lenti processi

di maturazione portano alla formazione di piccoli granellini (formati di tirosina e calcio), il “grana”, poi caratterizzato come Lodigiano, Piacentino, infi ne Parmigiano e poi anche Reggiano. Grattugiato, libera i componenti di cui è ricco, come l’acido glutammico che esalta gli altri sapori.

Nel 1200 si riscontrano le prime testimonianze della sua commercializzazione: in un atto notarile redatto a Genova nel 1254 gli viene dato il nome di caseus parmensis (il formaggio di Parma), comprovando la sua notorietà in una città distante da quella di origine e la conseguente necessità di doverlo definire in modo chiaro ed inequivocabile.

Nel 1344, Boccaccio lo cita nel suo DECAMERONE, quando Maso, volendo descrivere a Calandrino le meraviglie della città di Bengodi, parla di “una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che

Il Consorzio ha celebrato la seconda edizione dei Casello d’Oro Awards lo scorso 4 febbraio negli spazi meravigliosi del British Museum, alla presenza dell’ambasciatore d’Italia in UK, Inigo Lambertini. «Per il Parmigiano Reggiano DOP il Regno Unito è, storicamente, un mercato di primaria importanza, dove continua a riscuotere grandi successi nonostante le sfide poste da Brexit e nuove regolamentazioni doganali entrate in vigore nel corso dell’anno. Nel Regno Unito il Parmigiano Reggiano DOP è oggi un ingrediente imprescindibile, che rafforza i legami gastronomici e culturali tra i due Paesi».

far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi”. Nel 1612 la famiglia Farnese siglò il Parmigiano come prodotto di origine parmense per difenderlo da quello lodigiano e piacentino. La produzione contemplava anche tutto il Ducato di Modena ma a causa di conflitti nel Rinascimento la parte “modenese” di questo formaggio non venne resa esplicita nel suo nome. Tuttavia, secondo il Disciplinare del Parmigiano Reggiano la zona ufficiale di produzione include le province intere di Parma, Reggio Emilia, Modena, sfiora Mantova, nella zona sulla sponda destra del Po, e Bologna, nella zona sulla sponda sinistra del fiume Reno.

Il Parmigiano Reggiano è cultura, ha detto Inigo Lambertini, ambasciatore d’Italia in UK, ma soprattutto è passione, come ha affermato Alessia Zini: «Ho avuto tanta passione, determinazione, forza di volontà e ancora passione». E con la passione si riesce a fare tutto. Josette Baverez Blanco

DOP UMBRIA EN PRIMEUR

di Riccardo Lagorio

Mostrare tutto il valore dell’olio extravergine d’oliva: è stato questo il filo conduttore dell’Anteprima

Olio DOP Umbria

Presentata ufficialmente l’annata olearia 2024

La presentazione dell’olio extravergine di oliva DOP Umbria en primeur, avvenuta a Spoleto il 20 e 21 gennaio scorsi e mediata dal mondo del vino, ha dato valore all’olio rimarcandone l’importanza dell’origine e del fattore umano che sta dentro ogni bottiglia. Sono infatti oltre 8 milioni le piante che assicurano di tramandare l’antica consuetudine frantoiana, etrusca prima e poi romana, che vede l’Umbria tra i maggiori produttori dello Stivale. Lo

stesso Maestro di San Francesco non rimase indifferente alla moltitudine di ulivi quando si apprestava ad affrescare la Predica agli uccelli nella Basilica inferiore, disegnando piante rigogliose.

L’olio prodotto sull’intero territorio regionale risulta leggero e gustoso e, a un palato educato, permette di apprezzare un’infinità di profumi e gradazione di sapori. Insomma, un olio complesso, che si inserisce nelle categorie degli oli fruttati con sensazioni

Castello e acquedotto di Spoleto (photo © Richard Semik).

Per evidenziare l’indissolubile connubio tra la valorizzazione dell’olio extravergine di oliva e del paesaggio da cui proviene, gli oliveti umbri, la Strada dell’Olio DOP Umbria organizza nei sabati pomeriggio di aprile e maggio 2025 le “Pedalate & Buon Gusto. Tra borghi, ulivi e fattorie”, pedalate guidate tra i paesaggi olivati che si concluderanno con una visita in azienda, una degustazione, una merenda e un aperitivo al tramonto. Info: stradaoliodopumbria.it

di amaro e piccante di varia intensità. Tanto che la DOP Umbria si declina in cinque sottozone, sulla base delle varietà prevalenti, garantendo un ampio spettro organolettico e, di conseguenza, un’ampia versatilità in cucina. In comune le cinque sottozone hanno l’acidità massima totale espressa in acido oleico non superiore a grammi 0,65 per 100 grammi di olio e il punteggio minimo al panel test, eseguito da sessioni di esperti, pari a 7.

Le condizioni ambientali e di coltura sono rimaste quelle tradizionali. Le operazioni di oleificazione devono essere effettuate nell’ambito dell’area di produzione. L’estrazione è solo a freddo, azione che permette di produrre un olio senza alterare le caratteristiche qualitative del frutto.

DOP Umbria Colli Amerini

La DOP Umbria Colli Amerini è ottenuta dalla varietà Moraiolo in misura non inferiore al 15% e per il restante da Rajo, Leccino o Frantoio, presenti da sole o congiuntamente. L’odore ricorda le erbe aromatiche e la mela verde mentre il sapore si caratterizza per note vegetali amare e piccanti come la rucola di campo. Il Frantoio Suatoni di Amelia (TR) lo suggerisce per condire la purea di ceci e l’insalata di farro freddo con pomodorini. ilfrantoio.com

DOP Umbria Colli Martani

La DOP Umbria Colli Martani prevede la presenza di Moraiolo in misura non inferiore al 20%, e la San Felice, il Leccino e il Frantoio presenti da sole o congiuntamente per un massimo dell’80%. La particolare composizione del suolo determina oli dal fruttato accentuato e dal sapore ammandorlato con una media sensazione di amaro e piccante. Giulia Trabalza Marinucci , che conduce l’azienda agricola di famiglia, spiega che l’olio è indispensabile per la preparazione dei picchirilli, spaghettoni di patate, farina e noce moscata conditi con guanciale e cipolla. lafontedibevagna.it

DOP Colli del Trasimeno

Il miglior abbinamento per la DOP Colli del Trasimeno sono le anguille e il pesce persico del lago alla griglia. Ne è

Con 8 milioni di ulivi, l’Umbria è tra i maggiori produttori di olio in Italia. Leggero e gustoso, l’olio umbro si inserisce nelle categorie degli oli fruttati con sensazione di amaro e piccante di varia intensità. Sulla base delle varietà prevalenti, la DOP Umbria si declina in 5 sottozone (photo © Metelli).

le caratteristiche qualitative del frutto.

convinto anche Giovanni Batta, storico produttore di Perugia che coltiva prevalentemente Moraiolo e Dolce Agogia e in percentuali minori Leccino, Frantoio oltre a qualche pianta di Nostrale di Rigali come prevede il disciplinare di produzione. L’ammandorlato e la buccia di pomodoro sono le due sensazioni più rilevanti all’olfatto mentre al palato si denota una sensazione di amaro e piccante media. frantoiobatta.it

DOP Umbria Colli Orvietani

Leccino, Frantoio e Moraiolo entrano invece a far parte della DOP Umbria Colli Orvietani. È l’unica sottozona dove prevalgono terreni d’origine vulcanica che garantiscono oli fruttati al naso, con prevalenza di sensazioni di mandorla fresca e carciofo. La particolare combinazione di Moraiolo non inferiore al 15%, Frantoio in misura non superiore al 30% e Leccino in misura non superiore al 60% conferisce una piacevole piccantezza e un gradevole amaricante erbaceo finale.

Maurizio Cecci spiega che l’olio DOP è ideale per le fave in insalata,

preparate con aglio, menta, sale, pepe e aceto. frantoiocecci.it

Colli Assisi Spoleto

La fascia appenninica tra Assisi e Spoleto è l’altra sottozona della DOP Umbria. Qui allignano il Moraiolo in misura non inferiore al 60%, il Leccino e il Frantoio in misura non superiore al 30%. L’olfatto coglie vigorose note fruttate e in bocca prevalgono nette sensazioni di amaro che ricordano il cardo e si completano con note piccanti. In sintesi: assai complesso, come lo definisce Francesco Gradassi del frantoio Marfuga. Quest’olio sposa bene pietanze saporite come carni alla griglia e zuppe di legumi. marfuga.it

Strade e nuovi progetti

Grazie alla Strada dell’Olio DOP Umbria ( stradaoliodopumbria.it ) si possono inoltre scoprire luoghi inconsueti della regione: abbazie, castelli e dimore storiche animandole con voci e idee. Oltre a ciò bisogna evidenziare che a novembre 2024 ha preso il via anche il

progetto di realizzazione di un marchio territoriale del comprensorio amerino, narnese e orvietano per valorizzare l’olio extravergine d’oliva, frutto di un territorio importante per la biodiversità, ricco di tradizioni legate a questo prodotto. Il marchio intende unire i frantoiani, gli olivicoltori, i produttori agricoli in modo di combinare territorio, arte, storia, tradizioni con l’avanguardia tecnologica e la sostenibilità.

Nel regolamento l’olio deve avere parametri chimici e sensoriali più elevati degli standard usuali della DOP. Inoltre, ciò che caratterizzerà il marchio come i polifenoli superiori a 270 e un punteggio sensoriale superiore a 8. I frantoi fondatori del Consorzio sono il Frantoio Brizi di Orvieto, la Cooperativa Oleificio Coltivatori Diretti Guardea, il Frantoio Italyheart di Amelia, il Frantoio Perotti di Narni e il Frantoio Ricci di Montecchio che, già dalla campagna olearia 2024, hanno prodotto l’olio nel rispetto del disciplinare DOP e del regolamento autoimposto. Aprendo un altro avvincente capitolo che ha come protagonista l’olio.

Riccardo Lagorio

Olive in frantoio. Le operazioni di oleificazione dell’olio DOP Umbria devono essere effettuate nell’ambito dell’area di produzione. L’estrazione è solo a freddo, azione che permette di produrre un olio senza alterare

Frantoio Franci tra le “100 Eccellenze” di Forbes Italia

Frantoio Franci è stato inserito nella prestigiosa classifica “100 Eccellenze” 2025 di Forbes Italia, un riconoscimento che celebra le realtà più innovative e di successo del panorama italiano. La selezione, curata da Forbes, mette in luce le aziende, gli imprenditori e i professionisti che si distinguono per eccellenza, innovazione e visione nel proprio settore. «Questo riconoscimento è una testimonianza dell’impegno e della passione che mettiamo ogni giorno nel nostro lavoro, portando avanti una tradizione di famiglia con uno sguardo sempre rivolto all’innovazione» ha dichiarato Giorgio Franci (in foto durante la serata di premiazione che si è svolta lo scorso 6 marzo presso l’Hotel Principe di Savoia a Milano)

Fondato dai fratelli Franco e Fernando Franci nel 1958, portato alla ribalta nazionale ed internazionale dal figlio Giorgio, il nome di Frantoio Franci spicca nel panorama olivicolo mondiale per la professionalità impareggiabile, la straordinaria sensibilità nell’assaggio e la cura maniacale per il dettaglio. Un amore viscerale ed imprescindibile lega questa famiglia al territorio di appartenenza, la collina di Montenero d’Orcia, paesino della provincia di Grosseto, punto di incontro tra Monte Amiata, Val d’Orcia e Maremma Toscana. Da qui è iniziata la loro storia di successo e di eccellenza, alla ricerca della Qualità senza compromessi, una mission che li ha portati ad esportare i loro meravigliosi extravergini in tutta Italia ed in altre 45 nazioni.

Ad oggi la lista dei riconoscimenti conseguiti dall’azienda è impressionante e senza eguali: Giorgio Franci è tra i migliori oil-maker al mondo ed il Frantoio Franci, oltre a detenere il record di vittorie in numerosi concorsi, è l’unico produttore ad essere entrato per 18 volte nella Top 20 / Hall of Fame di Flos Olei, la più famosa e prestigiosa guida ai migliori extravergini del mondo, conquistando il punteggio perfetto di 100/100 per 6 anni consecutivi

Franci oggi propone più di 20 etichette differenti: da una parte la linea Everyday, oli versatili, adatti all’utilizzo quotidiano in cucina e a tavola, dall’altra Selezioni e Cru, extravergini dal profilo elegante e complesso, diversi per profumo ed intensità, che sono non più solo condimento, ma ingrediente speciale, anzi, “ingrandiente”, che esalta e celebra il piatto di cui fa parte. Nasce così il concetto di olio sartoriale, olio che deve calzare a pennello, come un guanto, come un completo da sera cucito su misura da un sarto esperto, capace di valorizzare i punti forti di chi lo indossa. Espressione massima di questa filosofia è Villa Magra Grand Cru, monocultivar Frantoio dall’eleganza sinuosa. Un olio che è un viaggio, un’evoluzione di sensazioni: all’inizio offre note delicate, morbide, dolci di frutta rossa; si apre poi in un verde armonico, complesso, che ricorda il kiwi, la mandorla verde, il carciofo e in chiusura sorprende con una sensazione speziata, calda, persistente, nei toni chiari di pepe nero. Protagonista nel 2003 di un celebre scambio, 100 bottiglie di Villa Magra Grand Cru per 100 bottiglie di grandi Bordeaux dopo la vittoria alla degustazione internazionale dei migliori extravergine al mondo organizzata a Château Branire dal Grand Jury Européen.

>> Link: frantoiofranci.com

PREMIATA AZIENDA MARFUGA

Più quantità e qualità per l’evo Umbria DOP nella campagna di raccolta e spremitura 2024, adesso nelle nostre cucine e a tavola, e che si presenta con valori superiori su tutti i fronti rispetto all’anno precedente: circa 1,3 milioni di litri di olio “atto” a diventare DOP (il doppio del 2023) e parametri qualitativi in miglioramento, con una media di antiossidanti superiore di 3 volte rispetto ai requisiti minimi del Disciplinare, nei campioni finora testati. Insomma, un evo eccezionalmente fresco, con un’acidità molto bassa.

È questo quanto emerso alla quarta edizione dell’Anteprima dell’Olio Extravergine d’Oliva DOP Umbria, svoltasi lo scorso gennaio a Spoleto (PG). Dati che rivelano grande attenzione alla qualità, ma anche all’ambiente. Ad esempio Monini, noto marchio della GDO, ma meno conosciuto per la sua di nicchia di qualità (tre monocultivar di Nocellara, Coratina, Frantoio), ha lanciato nel 2020 il Bosco Monini, con l’obiettivo di piantare 1 milione di ulivi entro il 2030 e abbattere le emissioni di CO2 del 50%. Traguardo vicino: sono già 750.000 quelli tra Umbria e Toscana.

Una bella scoperta di questa Anteprima è stata poi la visita alla premiata azienda Marfuga, di Campello sul Clitunno (PG), pioniera in Umbria e in Italia nel turismo dell’olio, con una struttura pensata già vent’anni fa per accogliere i turisti e fare cultura dell’ulivo e della buona Dieta Mediterranea.

Fondata nel 1817, Marfuga è oggi alla quinta generazione. Negli anni ‘80’90 c’era la moda degli oli dolci, però cominciarono a caratterizzare i loro prodotti esaltando il carattere del terroir umbro. «Una regione non bagnata dal mare, incastonata nella fascia appenninica, con inverni molto freddi, estati molto secche, terreni calcarei, quindi abbastanza al riparo dagli attacchi della mosca. In Umbria poi è cresciuta in modo esponenziale la qualità: nelle guide è la regione con le punte di qualità medie più alte», ci spiega il produttore Francesco Gradassi, che con Federica, la moglie pittrice, ha creato questa eccellenza dell’Italia dell’olio Azienda biologica, Marfuga produce 700 quintali di olive e varie tipologie di olio. Le tre “punte di diamante” sono

In alto: le tre “punte di diamante” firmate Marfuga, ovvero il Marfuga DOP Umbria Riserva, L’Affiorante e il Sassente. L’azienda ha vinto 6 volte il premio Ercole Olivario. A sinistra: Francesco Gradassi e la moglie Federica.

il Sassente, monocultivar da Frantoio in purezza, con note di mandorla e mela verde, in chiusura amaro e piccante equilibrati, che lo rendono elegante; ottimo a crudo su legumi, carni rosse e pesci saporiti.

Il secondo è L’Affiorante, un evo da cultivar Moraiolo in purezza, della zona di Trevi, da uliveti a 600 metri slm con raccolta tra ottobre e novembre. Molto verde, profumi e sensazioni di erba tagliata, note di carciofo e mandorla acerba, amaro e piccante decisi ma equilibrati; è anche Presidio Slow Food. È consigliato a tavola su patate, lenticchie, zuppe di verdure e carni rosse.

Infine, il blend delle due varietà, un evo complesso e molto premiato, il Marfuga DOP Umbria Riserva, da Moraiolo e Frantoio raccolte esclusivamente per brucatura a mano negli uliveti di proprietà fra Campello sul Clitunno e Trevi. Fresco, erbaceo, con note dominanti di carciofo e cardo, al palato è ampio, contraddistinto da note piccanti e amare equilibrate. Un evo complesso, perfetto per condimenti a

crudo — il pane caldo! — ma anche carni rosse e zuppe. Marfuga ha vinto 6 volte l’Ercole Olivario, esporta in 26 Paesi, mercati principali USA e Giappone. In Oriente i suoi oli sono usati anche per abbellire e curare la pelle dei bambini. Ha inoltre una linea di cosmetici e ha lanciato da poco tre magnum per la ristorazione dei suoi tre oli di punta.

Presente solo sul canale HO.RE.CA., durante il Covid ha creato una linea di negozi monomarca e cominciato a sviluppare il web (12% del fatturato circa). Ha inoltre dei suoi negozi a Cortona (AR), Assisi e Montefalco (PG). «Questo ti permette di avere un contatto diretto con i consumatori ed è un volano turistico» conclude Gradassi. «Abbiamo un vecchio mulino del ‘400, ristrutturato. Lo utilizziamo per eventi e brunch». Visite e degustazioni € 5,00; brunch minimo 10 persone con varie formule a partire da € 25,00 pp.

Massimiliano Rella

>> Link: www.marfuga.it

L’Olio di COMUNITÀ

L’UNIONE FA LA FORZA

di

L’Abruzzo. Terra di MICHETTI e D’ANNUNZIO, di CROCE e SILONE, nonché dell’adorato FLAIANO. Perché in fondo questa regione è così. Un misto di arte, filosofia e poesia fusa a senso pratico ed ironia. Rispetto del passato con un occhio al futuro. E se, come diceva verso la fine dell’800 il compositore austriaco GUSTAV MAHLER, “la tradizione non è il culto delle ceneri, ma la custodia del focolare…”, ebbene questo meraviglioso popolo l’ha preso seriamente in parola.

Oggi a Tocco da Casauria, territorio vocato per l’olivicoltura in provincia di Pescara. 150.000 piante di olivo tra altitudine 200 m e 400 m sul livello del mare. 70.000 alberi di varietà Toccolana , talmente autoctona che se la pianti altrove non cresce. Ed è soltanto per colpa della gelata del ‘56 che i restanti sono in maggior numero di varietà Leccino, perché all’epoca le olive e l’olio erano sostanzialmente il sostentamento delle famiglie e, una volta gelate le prime, andavano sostituite con altre che crescevano e producevano frutti più velocemente possibile e senza troppi problemi di gestione.

Come leggete è già iniziato il racconto di Stefano Di Giulio, un importante produttore locale che ha fatto del suo extravergine di qualità l’emblema del territorio. La sua Toccolana dalla connotazione di fruttato medio si apre al naso

con sentori immediati di erba falciata, cardo e carciofo, che si riconfermano all’assaggio con aggiunta di una nota di mandorla. Piccante e amaro in grande equilibrio.

Riconoscimenti in guide. Premi. Ma a lui non basta. Nel 2014 partecipa a Terra Madre Salone del Gusto, entra in contatto con il mondo delle Comunità e dei Presidi Slow Food e, da lì, l’illuminazione.

Getta le basi per trasferire il suo know-how agli altri, in un contesto territoriale e agronomico che sta smarrendo identità, che col passare del tempo lascia parti di oliveto in abbandono. E sa farlo cogliendo il momento storico del ricambio generazionale. Dai nonni conservatori ai nipoti evoluti. Il momento in cui “l’abbiamo sempre fatto così…” lascia la strada al “dimmi cosa posso fare per migliorare”

Non a caso in questa Comunità di Prodotto e anche di Territorio, ma soprattutto di UOMINI, appoggiata dal GAL Terre Pescaresi, la maggior parte degli iscritti sono piccoli giovani produttori.

La Comunità si prefigge, attraverso un rigoroso Disciplinare di produzione, di livellare in alto gli extravergine degli associati, promuovendone le azioni commerciali senza trascurare la visione futura di oleoturismo, accoglienza, assaggi in oliveto, merende, eventi. Insomma, cultura. Una Comunità vera,

con visione condivisa. Non quelle che servono solo per dividere la spesa dello stand alle fiere, dove poi, però, ognuno pensa a sé.

Tutto questo impegno, appena dopo dieci anni dall’idea, dà il suo primo importante frutto. L’olio che esce con l’etichetta di Comunità riceve la menzione speciale dalla Guida agli Extravergini 2024 di Slow Food. Avanti così.

Oggi ho avuto il privilegio di assaggiarlo in oliveto. Tra le piante secolari. Alla luce di un sole che sapeva già di primavera. E, tra una confidenza ed l’altra, Stefano mi ha raccontato del progetto del Frantoio di Comunità, pregandomi di non dirlo ancora. Ma in realtà non lo sto dicendo. Lo sto scrivendo.

È già tutto fatto. Location, macchine Mori di ultimissima generazione, impegno economico e quant’altro.

Sono onorato di raccontare le storie di queste persone che mettono in campo ogni giorno se stesse a vantaggio di risultati comunitari futuri che eleveranno un luogo, dei colleghi giovani e i loro consumatori, tornando a regalare Identità

Identità che troveremo in un’etichetta unica, con quella “T” che sa tanto di Territorio quanto di Toccolana e che garantirà l’alta qualità del contenuto, pronto a regalare piacere ed arricchire le nostre pietanze.

Grazie Stefano Di Giulio. Un esempio da seguire.

Degustazione in oliveto di Fabrizio Bertucci con Stefano Di Giulio.

LANGHE, VINO, BUON CIBO E RELAX

La famiglia Dogliani conferma il suo impegno per il territorio in una zona tra le più belle e suggestive del Nord Italia

di Maria Antonietta Dessì

Inumeri sono questi: 16 ettari di vigneto, 12 vini autoctoni, 140.000 bottiglie all’anno, 168 anni di esperienza. E ancora: cinque generazioni di viticoltori legati alla propria terra, fedeli al lavoro artigianale, alla cura sartoriale della materia prima, forti di una lunga tradizione familiare che ha lo sguardo rivolto al futuro.

Le sue origini meritano una precisazione, perché questa meravigliosa realtà economica nacque nel 1856 ad opera di Domenico Dogliani, il quale decise di fare della passione per il vino il proprio mestiere. Ed è dal suo pseudonimo, “Il Generale”, che oggi prende il nome la cantina. Dogliani, infatti, non è solo il cognome della famiglia, ma anche un vitigno autoctono, un comune delle Langhe e una DOCG, e questa sovrapposizione in passato ha generato confusione ed equivoci che andavano superati. Così si è deciso di recuperare quello che è anche il nome col quale i Dogliani sono comunemente noti nella zona, richiamando il fondatore della

cantina, il cui ritratto stilizzato è oggi riportato nelle etichette.

Sono Ilario, Alberto e Mauro a guidare l’azienda, ma la nuova generazione è già in trincea, con tutta la forza e l’energia che si richiede ad un’impresa come questa. La cantina è, infatti, pronta a passare in mano alla quinta generazione che già annovera un responsabile di produzione, un dottore in enologia, viticoltura e agronomia e una manager per lo sviluppo estero.

I giovani appaiono con la giusta determinazione e l’entusiasmo che ci vuole per continuare un’attività che può riuscire e migliorare solo se c’è tanta passione quanto impegno. Quello che non manca a Eleonora Dogliani, che guida personalmente le visite in cantina e nei vigneti.

Qui si coltivano Nebbiolo, Barbera, Dolcetto, Arneis, Chardonnay e Favorita, alcuni dei quali certificati biologici ed è tra i filari che Eleonora racconta

168 anni di esperienza per cinque generazioni di viticoltori legati alla propria terra e alla cura sartoriale della materia prima. Nei 16 ettari di vigneto della cantina Il Generale si coltivano Nebbiolo, Barbera, Dolcetto, Arneis, Chardonnay e Favorita, alcuni dei quali certificati bio, ed è tra i filari che Eleonora Dogliani racconta la storia della famiglia e i suoi vini

La cantina Dogliani Il Generale custodisce all’interno di Tenuta Bussia i suoi gioielli più preziosi. Dal 1856, infatti, la famiglia Dogliani produce e commercializza alcune delle eccellenze vinicole del territorio. Nel cuore del cru Bussia, nell’antica Tenuta, avviene il processo di affinamento dei vini più pregiati (photo © Dario Dinocca).

con orgoglio la storia della famiglia e dei vini del Generale con un approfondimento sulle tecniche di produzione, lo stoccaggio e l’invecchiamento, soffermandosi sull’affinamento dei vini più rappresentativi.

È sempre lei che — senza aver ancora compiuto trent’anni — corre ad animare le degustazioni in cantina e che, ultimo ma non ultimo, cura il marketing, l’immagine e le relazioni esterne dell’azienda.

Eleonora Dogliani fa notare che, nonostante la presenza on-line, gli ospiti arrivano sempre o quasi tramite il passaparola, che giungano solo per il vino o anche per il soggiorno in collina. Il marketing è fondamentale, lei lo sa bene, eppure il tipo di visitatori che giungono qui lo fanno prevalentemente

su indicazione di chi già c’è stato o ne ha sentito parlare positivamente.

Da qualche tempo, e dopo anni di ristrutturazione, la famiglia ha realizzato il sogno di completare quella che oggi prende il nome di Tenuta Bussia Wine Relais & Spa, un luogo incantato immerso nei vigneti, dove è possibile soggiornare e rilassarsi nella pace delle colline delle Langhe, ma allo stesso tempo assaporarne le specialità locali.

Le degustazioni comprendono vini prodotti dalla cantina, tra cui Barbera Superiore, Nebbiolo d’Alba, Barolo Bussia, il Rosé di Nebbiolo, Nebbiolo d’Alba Spumante e altri ancora, abbinati a taglieri di salumi come coppe o salame cotto locale, cui si aggiungono formaggi tipici come Bianco di Langa, Valcasotto,

ma anche nocciole e confetture o cugnà, una riduzione di mosto cotto con pere, mele cotogne e quant’altro l’autunno offra di gradevole abbinamento ai formaggi. La proposta può essere varia, purché sia locale: il territorio prima di tutto.

Dogliani Il Generale

Vignaioli di Langa dal 1856

Località Bussia Soprana 77 12065 Monforte D’Alba (CN) Telefono: 0173 1950476

E-mail: info@doglianivini.com Web: www.doglianivini.com

Tenuta Bussia Wine Relais & Spa

E-mail: info@tenutabussia.com Web: www.tenutabussia.com

Bologna nuova capitale italiana dello Champagne. E il 5 e 6

Una nuova location, un’immagine rinnovata, un sito web ancora più efficiente, ma gli stessi contenuti di grande livello che l’hanno resa la manifestazione di riferimento per tutti gli operatori del settore e gli appassionati di champagne presenti in Italia. Sarà BolognaFiere ad ospitare domenica 5 e lunedì 6 ottobre prossimi l’edizione VIII di Champagne Experience, l’evento organizzato da Excellence Srl SIDI Società Italiana Distributori e Importatori, realtà che riunisce 21 tra i maggiori importatori e distributori italiani di vini e distillati d’eccellenza. «Se Modena è stata una sede accogliente per le prime sette edizioni, la crescente affluenza di operatori, provenienti non solo da tutta Italia ma anche dall’estero, ci ha spinto a cercare un luogo ancora più strutturato e facilmente raggiungibile» dichiara Luca Cuzziol, presidente di Excellence SIDI. «Bologna ci consente tutto questo grazie alla sua posizione strategica per i trasporti e al suo sistema integrato di autostrade, aeroporto, ferrovie che facilitano il transito delle persone». Per due giorni, il padiglione 15 di BolognaFiere diventerà il palcoscenico per poter approfondire la conoscenza del mondo dello champagne grazie alla ormai consueta presenza di centinaia di etichette in degustazione di storiche Maison e piccoli vigneron. Anche la suddivisione espositiva dei vini, in base alla loro appartenenza geografica, corrispondente alle diverse zone di produzione della Champagne – Montagne de Reims, Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Aube – oltre alle Maison classiche riunite in una specifica area, è confermata e troverà a Bologna uno spazio ancora più accogliente e ideale per consentire una perfetta visita della manifestazione. «Le oltre 6.000 presenze dell’ultima edizione modenese certificano la presenza di una platea sempre più numerosa e qualificata pronta a dedicare attenzione e tempo alla conoscenza e all’approfondimento dello champagne» aggiunge Pietro Pellegrini, vicepresidente di Excellence SIDI. «La decisione di spostare la manifestazione a Bologna rappresenta un passo importante nel piano di sviluppo non solo di Champagne Experience, ma anche delle attività di Excellence SIDI, presenti e future». E anche quest’anno la manifestazione sarà arricchita da un programma di masterclass di alto livello, condotte da giornalisti e divulgatori esperti, che offriranno un’opportunità unica di approfondire la conoscenza dello champagne.

>> Link: www.champagneexperience.it

ALTO ADIGE,

VINI DA RICORDARE

Abbazia di Novacella e Cantina Pacherhof

testi e foto di Massimiliano Rella

In alto: a sinistra, gli orti dell’Abbazia di Novacella con il piszinum. Poiché nei giorni di digiuno la carne era vietata, la cucina del monastero doveva avere sempre a disposizione una ricca provvista di pesce fresco. Il pesce si teneva in vasche coperte da una tettoia che un tempo attorniavano il padiglione a torre del giardino, risalente al XVII secolo, il cosiddetto piszinum. Sul suo soffitto sono raffigurate alcune scene della vita di Sant’Agostino. A destra, botti nella cantina dell’Abbazia, annoverata tra le più antiche cantine attive al mondo e la seconda in Italia per data di nascita, fondata un anno dopo il Castello di Brolio (1141).

ABBAZIA DI NOVACELLA

Sono tre le novità che abbiamo assaggiato all’ Abbazia di Novacella, in Alto Adige, la seconda cantina più antica d’Italia. La prima etichetta è il Perlae, spumante Metodo Classico della linea Insolitus, un pas dosé (dosaggio zero, 1,4 g/l di residuo zuccherino) alla sua seconda sboccatura, 36 mesi di affinamento sui lieviti, da uve Sylvaner: elegante, dal perlage finissimo, una raffinata bollicina di appena 2.500 bottiglie che dal prossimo anno cambierà nome e diventerà lo spumante ufficiale dell’Abbazia di Novacella (5.000 bottiglie previste).

Il secondo vino è l’Alto Adige Valle Isarco DOC Sylvaner Stiftsgarten 2019, della linea Prepotitus, che identifica un vigneto d’alta qualità, di 2.000 m2, piantato nel ‘72 dietro l’abbazia e da cui si ottengono 1.100 bottiglie

di questo bianco interessante che matura in barrique per 24 mesi e fa la fermentazione malolattica, un processo successivo alla fermentazione alcolica e che trasforma l’acido malico in acido lattico, col risultato enologico di ridurre l’acidità e potenziare i profumi. A differenza del Sylvaner “classico”, si tratta di un bianco che non gioca sulle note di frutta e sulla freschezza tipiche del vitigno, ma su uno stile più francesizzante, in cui le note di legno risultano più evidenti mentre il fruttato viaggia in tono minore. Potenziale di longevità: un ventennio.

Il terzo è l’Alto Adige DOC Pinot Nero Riserva “Vigna Oberhof” 2019, ottenuto da uve coltivate in un vigneto di 20 ettari, ad Appiano (BZ), 8 dei quali a Pinot nero. Qui è stata individuata una vigna di alta qualità di 4.000 m2, leggermente esposta a nord e ben ventilata, a 450 metri slm. Sono appena 1.600 bottiglie, in commercio

dal 2023: un rosso elegante, morbido, di personalità.

L’Abbazia di Novacella, fondata nel 1142, era un tempo un ospizio per i pellegrini. Nella struttura del convento si ritrovano elementi architettonici di epoche diverse, boschi, prati, terreni coltivati a frutta e vigne. La sua economia conta oggi per la maggior parte sulla produzione di vino e le visite turistiche, le degustazioni e la vendita. Produce, inoltre, tisane alle erbe di montagna e dell’orto, succhi di mela, liquori, grappe e amari (da pigne e germogli di pino mugo). In Abbazia è presente una scuola pubblica in lingua tedesca per 90 studenti, con collegio privato obbligatorio, campi di calcio, basket, palestra, una sorta di “campus” in una struttura medievale.

L’abbazia vanta, dicevamo, una tra le più antiche cantine attive al mondo e con le vigne più settentrionali d’Italia, dal fondovalle (600 metri slm) a 900 metri slm. Tra i vitigni troviamo varietà caratteristiche dell’area tedesca e alsaziana, adatte ai climi freddi, il Kerner, il Sylvaner, il Riesling, il Grüner Veltliner.

Con la secolarizzazione dell’800, l’Abbazia di Novacella perse parte dei vigneti, ma mantiene tuttora una rete di fornitori di uve, per un totale di 90 ettari.

Produce vini dal 1142 ed è la seconda cantina più antica d’Italia dopo il Castello di Brolio, che fu fondato un anno prima, nel 1141. All’epoca, però, faceva vino da messa. www.abbazianovacella.it

PACHERHOF

Tra le novità di Cantina Pacherhof, sulle colline di Varna (BZ), troviamo un Riesling, il Vigna Vecchia 2022, un bianco al momento giovane ma con buone premesse e un bel potenziale di longevità, note appena accennate di idrocarburi, tipici del vitigno sul lungo affinamento (e ci torneremo sicuramente tra qualche anno per verificarne l’evoluzione). Nel frattempo attendiamo anche un Metodo Classico, questo tra qualche mese, da un blend di Pinot nero, Pinot bianco e Chardonnay, coltivati in un vigneto a 1.000 metri slm.

La cantina, d’altra parte, è nota per i suoi bianchi, di cui suggeriamo: il Grüner Veltliner Alto Adige Valle Isarco DOC, naso leggermente speziato di pepe

La Cantina Pacherhof, a Varna (BZ), una realtà che è un piccolo gioiello della Valle Isarco. A gestire la cantina oggi c’è Andreas Huber, supportato dalla sorella Monika e dal cognato Michael Laimer per la parte relativa all’accoglienza.

Cantina Pacherhof è sia un hotel con Stuben tirolesi dell’XI secolo, tutelate come monumento storico, che un’importante cantina, in cui l’antico e il moderno si incontrano perfettamente, con cura quasi maniacale.

bianco, al palato fresco e beverino, e il Sylvaner, dalle note di frutta tropicale, ananas, banana e pesca gialla.

Pacherhof è una cantina interessante anche sotto il profilo dell’architettura, uno spazio storico e moderno in cui l’antico e il contemporaneo si incontrano in un equilibrio originale, senza mai toccarsi.

Letteralmente, in effetti, poiché secondo una legge provinciale dell’Alto Adige, a tutela dell’integrità dei monumenti protetti — nello specifico un maso del XI secolo —, gli interventi di architettura moderna fatti in queste strutture di pregio storico-culturale devono essere ben distinti e mai toccare fisicamente le parti “sensibili”. Così il vecchio e il nuovo sono vicini e mai a contatto, separati da piccole intercapedini, vuoti riempiti di scaglie di pietre locali, da piccoli supporti che tengono a distanza, di centimetri, di millimetri, anche un cavo elettrico dal muro; insomma, tutto al minimo dettaglio.

La famiglia Huber, che possiede il maso per linea diretta da oltre due secoli (quando Maria Pacher sposò Josef Huber), nel 1849 introdusse la vite. Oggi la struttura è gestita dai discendenti Andreas Huber, per il vigneto e la cantina,

Salumeria Italiana, 2/25

la sorella Monika e il marito Michael Laimer, per l’accoglienza, ovvero il ristorante/maso di cucina altoatesina e un albergo da poco rinnovato con criteri di sostenibilità ambientale e che è inserito nel circuito dei Vinum Hotels altoatesini (www.vinumhotels.com).

Compito principale di Andreas è di preservare le peculiarità del terroir e di vitigni che qui hanno trovato un ambiente ideale, tutti a bacca bianca: Kerner, Grüner Veltliner, Gewürtztraminer, Sauvignon Blanc, Sylvaner, Pinot grigio, Riesling e Müller Thurgau.

Le vigne, 8 ettari in più corpi, si trovano tra i 620 e gli 800 metri slm su terreni poveri e molto minerali, sottoposti a forte escursione termica, condizione che favorisce l’acidità. Il Kerner, in particolare, è un incrocio di Riesling e Schiava sviluppato in Germania e introdotto in Alto Adige dal padre di Andreas e Monika nel ‘73. Iniziò la coltivazione con 300 viti. Oggi la varietà è preminente in Valle Isarco e per la cantina rappresenta un terzo della produzione, che si aggira complessivamente sulle 140.000 bottiglie l’anno. www.pacherhof.com

Massimiliano Rella

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VALLE ISARCO MASO KUENHOF

testi e foto di Massimiliano Rella

Il Maso Kuenhof è citato per la prima volta in documenti risalenti XII secolo, quando faceva parte dei possedimenti del vescovo di Bressanone. Da quasi 200 anni la sua gestione è invece nelle mani della famiglia Pliger che l’ha trasformato a poco a poco in una prestigiosa azienda vinicola. In foto, la bottaia.

TRENTINO ALTO ADIGE

BRESSANONE

CANTINA KUENHOF

Al maso Kuenhof la viticoltura ha una lunga tradizione famigliare e radici profonde, anche in senso letterale: scavano fino a 3 metri sotto il suolo per cercare nutrimento in terreni di scisto, quei suoli che si sfaldano in lastre sottili e che ci ricordano la Mosella, la zona vitivinicola più pregiata della Germania. Ma il Kuenhof è in Alto Adige, in Valle Isarco per la precisione. La tenuta, originaria del XII secolo, apparteneva all’arcivescovo di Bressanone, ma 200 anni orsono fu acquistata da un antenato dei Pliger. Situata tra pendii vitati, è un’azienda agricola gestita con attenzione all’ambiente e alla qualità. Per anni, l’uva fu utilizzata per il maso e venduta alla cantina dell’Abbazia di Novacella. Nel ‘88, però, una bottiglia per uso personale finì nelle mani di KARL MAIR, del ristorante Pretzhof di Prati, in Val di Vizze, un esperto di vini che incoraggiò i Pliger a intraprendere un nuovo percorso. E loro, nel ‘90, decisero di tentare la strada dei produttori, avvalendosi dell’esperienza dell’enologo IGNAZ NIEDRIST

Riavvolgiamo il nastro: cominciano presto i lavori di restauro, la ristrutturazione dei vigneti e della cantina storica; gradualmente recuperano le terrazze vitate, alcune incolte da decenni, e con fatica ricostruiscono i muretti a secco, poi ampliano negli anni la superficie a vigneto, passata da 2,5 a 6,5 ettari complessivi e dislocata in più punti del territorio. È l’inizio di una nuova avventura: Peter, falegname, e Brigitte, commessa, diventano vigneron e trasmettono la passione per la natura ai tre figli Katrin, Hanna e Simon, il più giovane, che allora studiava per diventare elettricista, ma la vigna presto spinse anche lui a cambiar strada. Completerà gli studi come enotecnico, a Weinsberg, in Germania, per poi lavorare con i genitori.

Le vigne sono situate tra i 550 e gli 890 metri slm, sui ripidi pendii della Val d’Isarco, e richiedono un lavoro prevalentemente manuale, dalla potatura alla vendemmia. I suoli sono ricchi di scisto e le viti affondano fino a 3 metri di

profondità, «ma in estate, a causa della siccità, nelle zone più alte del vigneto dobbiamo irrigare», sottolinea Peter. Sono comunque vigne terrazzate, protette da muretti a secco ricostruiti interamente o recuperati, e molto ripide, insomma le cosiddette vigne “eroiche”, solo in parte meccanizzabili con piccole macchine intrafilare.

I grappoli sono selezionati con cura per raggiungere la maturazione ottimale. La pigiatura avviene in modo delicato e la fermentazione con l’uso di lieviti naturali.

Complessivamente il Kuenhof produce 45.000 bottiglie, per il 70% vendute in Italia, soprattutto al Nord. Le sue cantine storiche, protette come patrimonio culturale, offrono condizioni ideali per l’affinamento dei vini, che riposano sui lieviti fini per 5-7 mesi, imbottigliati la primavera successiva.

Sono 4 le etichette: Riesling renano, Sylvaner, Grüner Veltliner e Traminer aromatico. I Pliger furono pionieri in Val d’Isarco con il Riesling, impiantato nel ‘93, e i primi a conquistarci i 3 Bicchieri dalla Guida del GAMBERO ROSSO. «La nostra produzione maggiore è di Riesling — ci spiega Peter — un bianco che, con sorpresa, abbiamo scoperto che può reggere anche 20 anni. Purtroppo, però, ci sono rimaste poche bottiglie delle prime annate. È una varietà che necessita di una certa età della pianta per darti un prodotto che regga un lungo affinamento» puntualizza. «La nostra vite più vecchia ha 30 anni, ma la media del vigneto, che è condizionata dalle viti piantate successivamente, è ancora bassa e non ci permette di esprimere a pieno il potenziale del Riesling».

Un vitigno, lo ricordiamo, da cui si ottiene un vino che nel tempo acquisisce aromi e profumi terziari complessi, note minerali e di idrocarburi.

Un altro bianco interessante e più versatile negli abbinamenti a tavola è il Sylvaner. Le vigne di Sylvaner, al contrario, hanno un’età d’impianto che rientra nella media e riescono ad assicurare al momento maggiore omogeneità espressiva.

Ma non finisce qui: al Kuenhof si vanno perfezionando due novità, cioè due riserve, un Riesling, in commercio nel 2026, e un Sylvaner, dal 2027.

Peter Pliger e il figlio Simon tra le ripide vigne e i muretti a secco della cantina Kuenhof.

A destra: in alto, tre vini della cantina, il Veltliner, il Sylvaner e il Riesling. In basso, il maso Kuenhof, casa e cantina della famiglia Pliger, a Bressanone (BZ).

Sono affinati 18 mesi in botte e 1 anno in bottiglia; contro i 6 mesi in legno d’acacia (30%) e in acciaio (70%), più 1 mese tutto in acciaio, delle versioni “classiche”.

Per le due riserve i Pliger stanno utilizzando inoltre un tipo di botte di legno di ultima generazione, la Pyramitt, realizzata da una piccola azienda di Bolzano, la Mittelberger. Sono botti di legno la cui forma ricorda l’anfora o l’uovo, costruite sui principi matematici della scala di Fibonacci. Sono impiegate per affinare interamente la riserva del Sylvaner e parzialmente il Riesling (1/3 di Pyramitt e 2/3 in botte grande d’acacia dello stesso bottaio). «La loro forma genera movimento del liquido e crea un alto livello di energia vitale nel vino in maturazione, con il risultato che all’assaggio ti dà una sensazione di tensione, una freschezza più evidente», assicura Simon. «È un vino quasi elettrico, trasmette una sorta di vibrazione, un po’ come mettere la lingua sul polo di una batteria. Ti dà la scossa», conclude il padre Peter.

La famiglia gestisce l’azienda nel rispetto dell’equilibrio naturale, fi n dagli inizi con pratiche di agricoltura sostenibile e niente erbicidi per favorire lo sviluppo di microrganismi e flora spontanea. Ha ridotto al minimo le sostanze chimiche e sintetiche, ispirandosi agli studi di Rudolf Steiner, secondo principi biologici e biodinamici, pur senza ricorrere a certificazioni ufficiali. La qualità e la cura dell’ambiente non sempre hanno bisogno di carte bollate.

Kuenhof

Via Lahner 12 39042 Bressanone

Telefono 0472 850546

E-mail: info@kuenhof.com

Web: www.kuenhof.com

CODE 420, UNO SPUMANTE STUPEFACENTE

Triste sorte ha accompagnato negli ultimi decenni la canapa. In tempi antichi, veniva utilizzata in Asia centrale per scopi medici, spirituali, religiosi e ricreativi. Poi i Greci le preferirono il potere inebriante del vino, ma venne riabilitata nel mondo musulmano, dove è vietato l’alcol. Tollerata dal Cattolicesimo nel Medioevo, papa INNOCENZO VIII emise una bolla che ne vietava l’uso ai fedeli. Nell’Ottocento la cultura francese riscoprì l’hashish a scopo ricreativo e diventò un’autentica moda tra intellettuali come VICTOR HUGO, CHARLES BAUDELAIRE e ALEXANDRE DUMAS

Dal canto suo, l’Italia è stata per secoli importantissima produttrice di canapa, sia per il clima, sia perché la pianta cresce su terreni difficili, soprattutto come necessità di piante oleose (l’olio di canapa è un ottimo condimento), fibrose (per ottenere tessuti, carta e corde) e mangime (foglie) per il bestiame o come concime naturale. MELITTA WEISS ADAMSON ha raccolto una lunga serie di ricette medievali che menzionano zuppe a base di canapa consumate nei monasteri europei (ROUTLEDGE, 2002).

A differenza dell’alcol, l’avversione nei confronti della canapa si cela negli interessi economici, politici e sociali degli Stati Uniti degli anni ‘30: mentre l’alcol fu reintegrato dopo il fallimento del proibizionismo, la canapa fu demonizzata non per motivi di salute pubblica, bensì per proteggere l’indu-

stria farmaceutica. In quegli anni la canapa aveva un contenuto di THC (il tetraidrocannabinolo, alla base degli effetti psicotropi) che la metteva in diretta concorrenza con i barbiturici e gli analgesici di sintesi.

Anche l’industria della carta vedeva nella canapa un ostacolo alla propria espansione: economica e sostenibile, avrebbe potuto sostituire il legname nella produzione della carta. Le aziende petrolchimiche come la DUPONT stavano inoltre proponendo sul mercato fibre plastiche e nylon derivati dal petrolio che vedevano la canapa come una diretta antagonista e anche il nascente settore automobilistico con HENRY FORD stava per proporre carrozzerie in bioplastica di canapa che era in chiara contrapposizione col sorgere delle plastiche non biodegradabili. Per proteggere questi interessi furono lanciate campagne di disinformazione che portarono al Ma-

rihuana Tax Act del 1937, una legge che imponeva severe restrizioni anche sull’utilizzo della canapa industriale. Sotto la spinta delle lobby americane pure l’ONU si adeguò alle regole del proibizionismo nel 1961.

Va detto che oggi la canapa iscritta nel catalogo europeo, risultato di moderna selezione genetica, non produce THC e per questo il suo consumo è stato riammesso, avendo la Commissione europea stabilito il 2 giugno 2023 che le foglie della pianta di cannabis possono essere considerate un prodotto alimentare tradizionale. Il recente DDL Sicurezza ne vieta invece coltivazione e commercio e costituirebbe un’aperta violazione delle norme comunitarie alla libera concorrenza e circolazione delle merci.

Tema del resto archiviato in alcuni Paesi, come in Slovenia, dove Bogdan Mak, sulle colline di Vodole, non distan-

In Slovenia, sulle colline di Vodole, Bogdan Mak ha creato uno spumante esclusivamente grazie alla fermentazione della canapa. Dal colore verdolino, ha un gusto che ricorda il succo di sambuco, erbaceo e dal finale amaricante. Nella sua tenuta vengono prodotti e venduti anche il Vermut alla canapa e un amaro realizzato con canapa e assenzio al 70%

te da Maribor (www.stajerska.si), ha creato uno spumante esclusivamente grazie alla fermentazione della canapa «Non è facile cambiare l’atteggiamento del mercato nei confronti della canapa industriale» afferma Mak, che però ha collocato praticamente tutte le prime 25.000 bottiglie prodotte nella primavera 2024. Ovviamente, poiché la bevanda non è prodotta dall’uva, non può essere chiamata vino. Questo spumante dal gusto che ricorda il succo di sambuco, erbaceo e dal finale amaricante, è prodotto senza solfiti ma aggiungendo

solo zucchero di canna per innescare la fermentazione. Il nome della bevanda dal colore verdolino è code 420. «Si tratta del codice della cannabis, usato negli USA negli anni ‘70, quando gli studenti si davano appuntamento per gli incontri dedicati al relax con la canapa. Il 20 aprile (4/20) è internazionalmente riconosciuto come il giorno della canapa» racconta Mak.

La tenuta Sunny Paradise (Sončni Raj) produce e vende anche Vermut alla canapa. In questo caso, l’alcol deriva dalla frutta e vengono messe in infusione

buccia di limone, cardamomo, cannella, camomilla, assenzio e canapa. E chi ama gli amari che siano amari, trova a Vodole un’ottima alternativa nell’Amaro 420. In questo caso gli ingredienti sono davvero pochi: assenzio al 70% e canapa, ma il gusto è… stupefacente. Riccardo Lagorio

Sunny Paradise Estate

Vodole 2, 2229 Malečnik

Telefono: +386 (0) 51 472 554

E-mail: bogdan@sonce.je Web: www.fontanavin.com

Bogdan Mak con il suo spumante alla canapa code 420.

PASTIFICIO NELLA, IL SAPORE DELLE TRADIZIONI SIPONTINE

In alto: i locali della bottega a Manfredonia (FG). A sinistra: Gaetana Guerra. Classe 1990, è lei oggi alla guida del Pastificio Nella, storica attività avviata dalla nonna. È stato papà Francesco (venuto a mancare nel 2020) a trasferire a lei e al marito Marco Villani le competenze necessarie per diventare dei bravi artigiani. A cominciare dalla selezione delle materie prime, rigorosamente del territorio. «Acquistiamo tutto a km 0 da aziende locali, dalla carne ai prodotti ittici e caseari».

Nella a Manfredonia, in provincia di Foggia, è un nome che profuma di pasta fresca e taralli appena sfornati. Nella, nell’immaginario collettivo sipontino, è il nome di una massaia che ha tanti volti e questi volti sono tutti buoni come le specialità che prepara. Nella è una nonna che regala ai suoi nipotini biscotti e pizzarelle da inzuppare nel latte caldo. È una mamma che impasta troccoli e orecchiette per la famiglia che si riunisce a tavola la domenica. È una zia che a Carnevale mette sul piatto i malembande intinti nel sugo rosso. È una ragazza appassionata di cucina che si inventa ricette gourmet per Pasqua, Natale e Capodanno. Nella per tutti questi motivi e per tutti i sentimenti che suscita in chi la conosce è molto amata a Manfredonia.

Nella è un “pastificio-tarallificio” aperto da una signora che si chiamava Gaetana Valente (classe 1921) nel 1970. A causa della scomparsa del marito Antonio, Gaetana dovette rimboccarsi le maniche per mantenere i suoi sei figlioli. Preparava quindi scaldatelli, farrate e cavatelli per una clientela di nicchia. Poi, resasi conto che la richiesta era alta e la domanda continuava a crescere, decise di aprire un negozio in Via della Croce.

Sull’insegna la scritta Nella, che poi è il diminutivo con cui la titolare era conosciuta nel quartiere e, da allora, questo negozio ha servito una clientela affezionata. Una clientela che negli

anni è diventata sì più esigente, ma trovando sempre in Nella un punto di riferimento ideale.

Un contributo importante allo sviluppo di questa attività storica di Manfredonia va senz’altro ai figli Francesco e Raffaele Guerra. Il primo si è preso cura del pastificio portandolo a livelli gourmet; il secondo, invece, ha preso in gestione il tarallificio arrivando a produrre anche panettoni artigianali. Le due attività per tanti anni hanno camminato assieme, gomito a gomito, poi nel 2023 si sono divise, ma con i rispettivi punti venditi rimasti sempre lì dov’erano, uno accanto all’altro.

Per quanto riguarda il pastificio, da qualche anno è gestito dalla figlia di Francesco, che, guarda caso, si chiama come la nonna. Quindi oggi è Gaetana Guerra, classe 1990, che porta avanti il nome del pastificio; è lei la Nella del nuovo millennio. «Devo tanto a mio padre, è lui che mi ha trasmesso la passione per la pasta fresca» racconta Gaetana. «Spesso lavorava fino a tardi e, non appena poteva, visitava le fiere di settore per assaggiare vari tipi di pasta: è così che si faceva venire l’ispirazione per le sue creazioni. Negli Anni ‘80, ad esempio, andò a Bologna e il suo soggiorno nella città emiliano-romagnola gli risultò utile per inventarsi il suo tortellino, che ha un ripieno misto di salumi, carne di vitello e di maiale.

Gli piaceva anche cucinare, tanto che i ravioli li preparava in vari modi,

ora con un cuore di pesce spada, ora con un ripieno di burrata, ora con una farcitura al gorgonzola e alla fine con questa sua fantasia ha contagiato tutti in famiglia».

Dunque è stato papà Francesco, venuto a mancare nel 2020, a trasferire a Gaetana e a suo marito Marco Villani tutte le competenze necessarie per diventare dei bravi artigiani. A cominciare da un’attenta selezione delle materie prime, che devono essere rigorosamente del territorio. «Acquistiamo tutto a km 0 da rinomate aziende locali, dalla carne ai prodotti ittici e caseari» afferma la pastaia, che in negozio è aiutata anche dalla madre Vittoria. «Mamma conosce tutti i segreti della pasta fresca, è un’autentica enciclopedia vivente; in più sa prevedere quanta pasta verrà venduta in un certo periodo» afferma Gaetana, che se dalla mamma riceve insegnamenti preziosi sugli aspetti organizzativi dell’attività, dal padre invece ha appreso l’ispirazione gourmet. Un’ispirazione importante, necessaria a mettere sui vassoi un’offerta più ampia, che al menu della tradizione, già ricco di suo, affianca ricette originali e piatti più raffinati. «La proposta gourmet — spiega Gaetana — è nata per andare incontro alle richieste dei nostri clienti che, col passare degli

anni, cucinano sempre meno a casa e frequentano volentieri i ristoranti. Una tendenza che a Manfredonia si è manifestata negli ultimi 20/30 anni e che è ancora più evidente nelle nuove generazioni».

Ecco, quindi, che, a fianco a cavatelli, fusilli e creste di gallo, compaiono anche gnocchi, tortellini e cannelloni, pronti per il forno, oppure ci sono le proposte innovative, come i ravioli ai gamberi con pesto di agrumi su un letto di datterini gialli e fiocchi di stracciatella o quelli farciti con mortadella e pesto di pistacchi su una fonduta di burro e salvia, senza dimenticare le limited edition, tra le tante i ravioli al brasato. Ovviamente non mancano i piatti tipici, quelli che vanno a braccetto con le festività, ad esempio, i malembande, chiamati anche mille infranti, una pastina di semola con uova, parmigiano e prezzemolo con nel sugo una puntina di maiale. Oppure ci sono quelle specialità che si preparano in determinati momenti dell’anno, ad esempio, i troccoli con le seppie ripiene, un classico manfredoniano che unisce i sapori del mare con quelli della terra, proposto in particolare fra marzo e aprile, quando questi molluschi prosperano nelle acque del Golfo. «I troccoli sono una pasta di semola a forma allungata che accompagna le seppie intinte nel

sugo di pomodoro e farcite con mollica e uova più altre spezie e aromi» spiega Gaetana.

Un altro classico sono le orecchiette che in Capitanata hanno una forma più a “cappello” rispetto a quelle baresi, che invece sono più “strascinate”. Ad ogni modo, condite con il ragù o con le cime di rapa, le orecchiette in tutta la Puglia portano sempre tanta gioia a tavola.

Il Pastificio Nella, dunque, custodisce il rapporto con le tradizioni e, pur avendo sviluppato un business importante che si serve di 7 dipendenti per rifornire ristoranti, supermercati e mercati rionali, mantiene una dimensione artigianale. Il negozio, infatti, si presenta come una piccola bottega, attenta al rapporto con tutti i suoi clienti, giovani e anziani, residenti e turisti e quindi anche con quei manfredoniani che, trasferitisi nelle città del Nord Italia, non sanno rinunciare alle delizie sipontine.

Gianluca Bianchini

Pasta Fresca Nella

Via della Croce 47 71043 Manfredonia (FG) Telefono: 0884 581447

Pasta Fresca Nella pastafrescanella

Pasta fresca Nella è attenta a tutta la propria clientela, che va dai ristoranti, trattorie e aziende che offrono servizio di catering all’utente finale, residenti e turisti di passaggio in città.

Pastaria Festival ad Ipack-Ima il 28 e 29 maggio

Ipack-Ima, la fiera internazionale specializzata in packaging, processing e materiali innovativi, in programma a Fiera Milano Rho dal 27 al 30 maggio, lancia una nuova collaborazione che mira a rafforzare il dialogo con il mercato della pasta con un evento imperdibile per il settore: il Pastaria Festival. Promosso da Pastaria, la rivista internazionale di riferimento per i produttori di pasta, il festival è in programma all’interno degli spazi di Ipack-Ima nelle giornate del 28 e 29 maggio. Un evento nell’evento, con l’obiettivo di offrire ai produttori di pasta un’occasione unica per aggiornarsi, confrontarsi con esperti e scoprire le ultime novità. «Il mercato che ruota attorno alla pasta e al grain based food fa parte di una filiera molto ampia che spazia dal food processing al bakery, dal packaging machinery al fine linea, senza dimenticare automazione, robotica, tracciabilità, labelling e i materiali innovativi, strategici per un prodotto di largo consumo come la pasta», dichiara l’AD di Ipack-Ima Simone Castelli. «Con un evento di questa portata, Ipack-Ima mira ad aprire un dialogo ancor più stretto e proficuo con un comparto che è da sempre protagonista in fiera, con la prospettiva di esserlo sempre di più». «Il Pastaria Festival nasce con l’obiettivo di offrire ai produttori di pasta un’occasione unica di aggiornamento e confronto: quest’anno lo farà in un contesto internazionale di eccellenza come Ipack-Ima» aggiunge Lorenzo Pini, direttore ed editore di Pastaria. «L’industria pastaria si evolve rapidamente e il nostro obiettivo è creare un momento di scambio qualificato, dove tecnologia, mercato e know-how si incontrano per offrire nuove prospettive di sviluppo». Giunto alla 9a edizione, il festival rappresenta il principale appuntamento internazionale per l’industria pastaria, con un programma di convegni e incontri di alto livello, proposti in italiano e inglese (con traduzione simultanea) e arricchito dal contributo di università, aziende e specialisti del settore. I temi spaziano dall’innovazione tecnologica alla sostenibilità, dalla sicurezza alimentare alle dinamiche del mercato globale, per offrire strumenti concreti per affrontare le sfide del futuro. Essendo parte integrante di Ipack-Ima, il festival permetterà non solo di seguire un ricco programma di convegni, ma anche di esplorare le più recenti innovazioni tecnologiche presentate dagli espositori della fiera ed entrare in contatto diretto con fornitori di soluzioni per la produzione e il confezionamento della pasta, creando nuove sinergie di business. La partecipazione è gratuita e riservata ai produttori di pasta (fonte: EFA News – European Food Agency).

>> Link: www.pastaria.it

ACETO BALSAMICO DI MODENA, NOVITÀ NEL DISCIPLINARE

DI PRODUZIONE

Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta lunedì 3 febbraio scorso, del Decreto del 22 gennaio 2025, sono entrate in vigore alcune importanti novità per il Disciplinare di produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP. Il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena IGP si dichiara soddisfatto per questo passaggio storico che introduce, oltre ad alcuni miglioramenti regolamentari, una nuova categoria di Aceto Balsamico di

Modena, individuato con l’espressione significativa di “Riserva”. «Le modifiche al Disciplinare di produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP rappresentano un ulteriore passo per garantire la qualità e la tutela del nostro prodotto, simbolo di eccellenza e tradizione» ha commentato Mariangela Grosoli, presidente del Consorzio. «L’Aceto Balsamico di Modena IGP non è infatti solo un prodotto alimentare, ma un patrimonio culturale e un segno distintivo del nostro territorio.

Il nostro impegno, come Consorzio, è quello di salvaguardare questa identità, proteggendo i consumatori e rafforzando la nostra posizione sui mercati internazionali. Le modifiche sono il risultato di un lavoro lungo e condiviso con le istituzioni e gli operatori del settore — prosegue la presidente — volto a garantire che ogni goccia di Aceto Balsamico di Modena IGP rispetti i più alti standard di qualità e continui a raccontare la storia di un territorio unico al mondo».

Ra

fforzare la tutela dell’IGP e migliorarne la percezione

Le principali modifiche al Disciplinare includono una sua revisione generale, un aggiornamento nei principi in materia di etichettatura e l’introduzione della categoria “Riserva” per i prodotti invecchiati oltre 5 anni. Più in particolare, il testo del Disciplinare è stato sottoposto ad una revisione complessiva per garantire una normativa più chiara, completa e facilmente interpretabile. Questo aggiornamento ha l’obiettivo di semplificare la lettura delle regole, migliorare la gestione e la tracciabilità del prodotto e rendere più facile l’applicazione delle norme da parte degli operatori del settore.

Sono stati introdotti anche nuovi principi per l’etichettatura, con l’obiettivo di valorizzare il toponimo “Modena”, sottolineando la provenienza e la tradizione di un prodotto che affonda le sue radici nel territorio modenese appunto. L’etichettatura rivisitata tutela i consumatori contro l’uso di espressioni ambigue che rischiano di minare la garanzia di trasparenza.

Una delle novità più significative infine, riguarda l’introduzione di una nuova categoria di Aceto Balsamico di Modena IGP, la “Riserva”, dedicata a prodotti che sono invecchiati per oltre 5 anni. Questa nuova denominazione, che identifica una selezione particolarmente pregiata e di alta qualità, consentirà ai produttori di differenziare ulteriormente i loro prodotti sul mercato, esprimendo l’eccellenza e la lunga tradizione di questo aceto. La categoria “Riserva” rappresenta un passaggio storico perché introduce nella gamma dell’IGP il concetto di verticalizzazione qualitativa basata sul periodo di invecchiamento. La possibilità di degustare diverse annate darà l’opportunità ad esperti e appassionati di apprezzare le sfumature e le differenze organolettiche che maturano nei lunghi tempi di invecchiamento in pregiati contenitori di legno restituendo un’esperienza immediata della complessità che caratterizza il mondo variegato dell’Aceto Balsamico di Modena IGP. Un passo fondamentale per consolidare la reputazione del prodotto, rendendolo ancora più riconoscibile e apprezzato in tutto il mondo.

>> Link: www.consorziobalsamico.it

Enrico Corsini confermato presidente

del Consorzio Aceto Balsamico Tradizionale

L’assemblea annuale dei soci del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena ha confermato all’unanimità il presidente uscente Enrico Corsini (in foto) e tutti i membri del precedente mandato, a riconoscimento del grande lavoro svolto in questi anni dal Consiglio. «Ho sempre lavorato per rappresentare gli interessi del territorio e del mondo dell’Aceto Balsamico e continuerò a farlo con l’aiuto di tutto il Consiglio» ha dichiarato Corsini.

Questo è un periodo di grandi successi per tutto il settore, a cominciare dai volumi di imbottigliamento di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, che hanno raggiunto un livello record con 165.653 bottigliette da 100 ml nel formato “Giugiaro” unico per tutti i produttori, di cui 91.346 di affinato “12 anni” e 74.307 di “extravecchio 25 anni”, facendo registrare sul 2023 per la filiera dell’Aceto Balsamico Tradizione di Modena DOP un +16,43%, con una percentuale di crescita del 27,2% per l’extravecchio e +8,93% per l’affinato 12 anni, per il Consorzio Tutela +37,66% di imbottigliamento. «È un risultato importante, che trasmette fiducia nel futuro e premia l’impegno dei produttori certificati ABTM nel trasferire la storia e l’esclusività di questo prodotto» commenta il presidente. «Il 2024 è l’anno migliore di sempre sia per la produzione che per la promozione e speriamo che anche il prossimo anno siano altrettanto proficue».

La DOP gode quindi di buona salute e guarda al domani con la consapevolezza che occorre impegnarsi sempre più per creare valore sul prodotto e su ciò che rappresenta nel panorama economico modenese e del made in Italy. A questo proposito, insieme al Consorzio di secondo livello “Terre del Balsamico” e al Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, è confermata la presenza a fiere di rilevanza internazionale come TuttoFood e Summer Fancy Food di New York, occasioni imperdibili per raggiungere nuovi mercati e di consolidare i legami con i partner internazionali. E, nell’ultimo fine settimana di settembre, ritorna l’ormai immancabile appuntamento con Acetaie Aperte — evento realizzato in sinergia sempre con il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena IGP — che nel 2024 ha registrato la partecipazione di migliaia di visitatori, suggellando un anno record per il turismo nelle acetaie del territorio modenese.

>> Link: www.balsamicotradizionale.it

Con la schiscetta è sempre Mezzogiorno!

Crescono sempre più l’interesse e la diffusione di questo comodissimo contenitore per alimenti che, grazie anche alla versione più moderna elettrica o con presa USB, permette di nutrirsi sul posto di lavoro in modo autonomo ed economico e conservando anche le proprie abitudini domestiche

di Nunzia Manicardi

Mangiare bene quando e dove ci pare e piace, spendendo poco e, soprattutto, nutrendoci con ciò che preferiamo o che riteniamo per noi più salutare. Potendo concederci, oltretutto, di godere di un corroborante pasto caldo anche in mezzo ai rigori invernali. Tutto questo oggi è più che mai realtà grazie alla schiscetta in versione moderna, il contenitore per i cibi della pausa pranzo che ora è commercializzato anche nella versione elettrica facilmente riscaldabile ovunque, anche con presa USB o tramite l’accendisigari dell’autovettura.

Il termine schiscetta, oramai entrato nel vocabolario italiano, appartiene al dialetto milanese e deriva da schiscià,

che significa “schiacciare”, in quanto il cibo viene appunto schiacciato nel contenitore. Corrisponde alla “gavetta” o “marmitta” o anche “portavivande”, più conosciuti generalmente con riferimento alla vita militare. Con la schiscetta si è invece sempre indicato l’utilizzo da parte di operai, impiegati e studenti.

Il termine milanese è prevalso rispetto, per esempio, al barachìn piemontese, forse perché Milano è stata la città in cui l’industrializzazione è stata più veloce e diffusa, coinvolgendo anche con più urgenza l’aspetto del nutrirsi fuori casa da parte dei suddetti gruppi di persone.

Il mercato offre oggi moltissime proposte, adatte a tutte le esigenze e comunque poco costose.

Ma chi e come si è avuta l’idea di dotare questo contenitore di una chiusura ermetica, soluzione che ne ha sancito l’affermazione definitiva e a tutti gradita? Il primo fu il signor Renato Caimi. Era su un tram che collegava i dintorni di Milano al capoluogo e che lui, come tanti altri, prendeva tutti i giorni per motivi di lavoro quando una gavetta appoggiata sulla cappelliera si rovesciò sporcandogli il cappello. Da lì l’intuizione, che ebbe anche la determinazione di trasformare in realtà progettando “La 2000”, da lui prodotta industrialmente a partire dal 1952, in società con il fratello Mario, dalla Pentolux di Nova Milanese e in seguito dalla Caimi Brevetti

A destra: in alto, Renato Caimi, Disegno allegato al brevetto originale del 1952 del modello “La 2000”, Archivio storico Caimi Brevetti. In basso, schiscetta “La 2000” di Caimi Brevetti, esposta al Museo del Design della Triennale di Milano.

Ebbe subito grandissimo successo, diventando una vera e propria icona del boom economico non solo milanese e lombardo ma anche italiano, tanto che il modello “La 2000” è esposto permanentemente al Museo del Design della Triennale di Milano. È stata inoltre celebrata da ASSOLOMBARDA nel gennaio 2018, mentre il brevetto originale è stato esposto a Roma presso l’Ara Pacis. Nel 2021, infine, la delegazione di Museimpresa in visita al Quirinale in occasione del ventennale dell’associazione ha donato al presidente della Repubblica SERGIO MATTARELLA una schiscetta “La 2000” originale del 1952 come “simbolo del lavoro, dell’impegno di uomini e di donne nella rinascita post

bellica, oggetto della memoria che, scandendo un momento della giornata, quello dedicato al pasto in fabbrica, racconta quel fare impresa che fin da allora è innovazione, creatività e inclusione sociale”. Va sottolineato, tra l’altro, che la Caimi Brevetti fondata da Renato Caimi (morto nel 2023 all’età di 97 anni), tuttora con sede a Nova Milanese, non è, come evidenziato anche da IL SOLE 24 ORE, una piccola azienda, perché ha un fatturato di 15 milioni e una cinquantina di dipendenti.

Le prime schiscette erano in metallo, di solito di forma rotonda e a un piano solo; in seguito sono andate sempre più evolvendosi nel numero dei piani, due per contenere il primo e il secondo

piatto, poi oggi anche tre e, soprattutto, divisi in scomparti o in contenitori più piccoli per frutta o salse. Possono davvero contenere di tutto, dal minestrone all’insalata e a qualsiasi altro cibo. Di solito sono anche accessoriati con le posate. I materiali sono acciaio inossidabile o plastica.

Che cosa mettere, in conclusione, nella schiscetta? Ovviamente tutto quello che si vuole. Sono stati scritti anche appositi libri di ricette, anche da chef rinomati, concepite appositamente per resistere alcune ore nel contenitore, essere trasportate, eventualmente riscaldate e consumate, il più delle volte, nel contenitore stesso.

SABATINO SORRENTINO (a cura di)

Guida Salumi d’Italia 2025

Guide to Italian Salumi

Edizioni: Maretti (marettimanfredi.it)

176 pp. – € 34,00

Una nuova edizione bilingue per continuare a raccontare il meraviglioso mondo della salumeria italiana. Fino ad oggi sono centinaia le aziende censite e raccontate dalla Guida Salumi d’Italia che, a partire dal 2012, ha saputo dare continuità a un progetto che in oltre dodici anni di lavoro sul campo ha dimostrato attenzione, rispetto e professionalità a favore di un comparto unico al mondo per tipicità, varietà e qualità dei salumi prodotti. Per questa 6a edizione, sono oltre 220 i produttori valutati e più di 50 sono le eccellenze che hanno ottenuto il massimo riconoscimento — i “5 Spilli” — a cui si aggiungono i premi speciali per i migliori operatori del settore: Migliore Salumeria d’Italia; Carta dei Salumi; Premio alla Carriera; Maestro di Lama… e così via. Troverete una sezione dedicata a salumi DOP e IGP, Animal Welfare, BIO, Suino Nero italiano ed europeo, GDO e tanto altro ancora.

CLAUDIO CIMARDI, FEDERICO SCALICI

Salume. Arte italiana

Edizioni: Maretti (marettimanfredi.it)

312 pp. – € 45,00

Seppur l’arte norcina nel nostro Paese sembri derivare dall’omonima città di Norcia, lungo tutto lo Stivale svariati salumi e insaccati sono di casa da molti secoli, grazie ad una forte identità culturale, pur frammentata, ma anche grazie ad una spiccata e diffusa propensione alla qualità, caratteristiche enfatizzate da una tecnica da sempre votata all’innovazione. Il volume si propone di offrire, per la prima volta, un quadro dettagliato della salumeria italiana, sia dal punto di vista storico che geografico, oltre ad illustrare le attuali procedure produttive, presentando tutta la filiera, passo dopo passo, prodotto per prodotto. Uno strumento in grado di raffigurare lo “stato dell’arte” del grande mondo dei salumi italiani, con l’obiettivo di far comprendere appieno il patrimonio di cultura gastronomica che abbiamo ereditato, e che è necessario preservare e accrescere. Un libro che quindi si inserisce, con autorevolezza scientifica, all’interno del dibattito sulla sostenibilità delle carni e dei salumi e che mette in gioco non solo la salute dell’uomo, ma anche la sicurezza ambientale, il benessere animale e la lotta allo spreco, per il relativo mantenimento dell’ecosistema, un dibattito spesso non privo di scarsa conoscenza specifica, oltre che di pregiudizi verso un comparto che, ai suoi livelli produttivi più seri, è impegnato nello sviluppo di piani sempre più efficienti, non legati a semplici interessi economici.

L’introduzione è del critico gastronomico Andrea Grignaffini; il racconto della parte storico-geografica è curata dal professor Giovanni Ballarini, già presidente dell’Accademia della Cucina Italiana; la parte legata agli aspetti salutistici del consumo responsabile dei salumi è redatta da Luca La Fauci, biologo nutrizionista e dottore in Scienze e Tecnologie Alimentari; il cuore del libro, il Vademecum della tecnica produttiva dei salumi italiani, è frutto del lavoro svolto da Federico Scalici e Giorgia Colella all’interno di UNISAFO, percorso di Formazione Superiore alla conoscenza di Salumi e Formaggi, strutturato in collaborazione con la Scuola di Studi Superiori Alimenti e Nutrizione dell’Università di Parma. Il volume è suggellato dalla post fazione dell’artefice del percorso formativo UNISAFO, Claudio Cimardi, da quasi mezzo secolo figura di spicco nel mondo della salumeria italiana.

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