Premiata Salumeria Italiana 5-2025

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

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Annuale (6 numeri):

Italia € 40,00 – Estero € 50,00

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Gruppo editoriale

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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food – Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale

Elena Benedetti

Redazione

Gaia Borghi – Federica Cornia –

Marco Credi

Segreteria di redazione

Gaia Borghi

Grafica

Federica Cornia

Prestampa

Marco Credi

EURO ANNUARIO CARNE 2026

Marketing e pubblicità

Luigi Credi

Chiara R. Zaccaroni

Fotografia Luigi Credi

Abbonamenti

Fioretta Fiorentin

Amministrazione

Andrea Tomassone

Collaboratori scientifici Dr. Giovanni Ballarini – Dr. Marco Cappelli – Dr. Emanuele Guidi

Euro Annuario Carne

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.

Edizione 2026

Copia cartacea: € 95,00

A pagina 98.
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
In copertina: è grande protagonista la Salsiccia Napoli (photo © Massimiliano Rella).
A pagina 45.
A pagina 58.
A pagina 54.
A pagina 36.

Carasau,

Olio da carne, olio da pesce Verace di Saracena: l’anima dell’olio nel cuore del Pollino

Olio Seggiano DOP: provatelo sul gelato!

Lo chef dell’olio Ma tu chi sei?

Gli assaggi di Max Rella Collio Brda, il valore del confine

Riccardo Lagorio

Fabrizio Bertucci

Massimiliano Rella

Massimiliano Rella
A pagina 124.

del Fondatore 24 mesi.

Le migliori cosce, pochissimo sale e due anni di riposo: un capolavoro destinato a soli intenditori.

L’armonia tra la dolcezza e gli intensi aromi scaturiti dai 24 mesi di stagionatura rende questo prosciutto unico nel panorama del Parma di Qualità.

AGENDA

Colonia, Germania

Appuntamento a Colonia dal 4 all’8 ottobre con Anuga e con il sottosalone Anuga Meat, che nei Padiglioni 6, 7 e 9 mostrerà i trend e le novità del settore agroalimentare e delle carni, carne rossa, salumi/carne trasformata, cacciagione e pollame. A livello globale, non ci sono esposizioni paragonabili per il comparto dell’industria della carne, che troverà nel salone una piattaforma completa con la presenza di aziende leader, grandi gruppi così come piccole e medie imprese. Anuga non solo offre una piattaforma per il networking, ma fornisce anche approfondimenti significativi sugli sviluppi di prodotto del settore. È infatti previsto un ricco programma di conferenze, workshop, aree esperienziali e sessioni con relatori. Data l’ampia superficie, si consiglia ai visitatori di pianificare per tempo le visite al fine di ottimizzare al meglio i tempi (photo © anuga.com). anuga.com

Bologna

Il più grande evento italiano dedicato esclusivamente allo champagne, Champagne Experience™, da quest’anno si trasferisce a BolognaFiere e sarà in calendario nelle giornate del 5 e 6 ottobre All’interno del padiglione 15 del quartiere fieristico bolognese, avrà luogo l’ottava edizione dell’evento diventato ormai il punto di riferimento per tutti gli amanti professionali e amatoriali delle bollicine più famose del mondo. Promosso e organizzato da Excellence Srl, Champagne Experience™ riunisce importatori, grandi maison e piccoli vignerons, dando vita a un’occasione unica per degustare centinaia di champagne e partecipare a Masterclass con vini e relatori di altissimo livello. Champagne Experience™ non è una fiera, è un’esperienza unica nel suo genere, pensata per esaltare passione e tecnica, in un contesto di alto livello professionale con oltre 700 etichette di champagne in degustazione e 140 espositori selezionati (photo © facebook.com/champagneexperienceclubx). champagneexperience.it

Udine

Appuntamento a Udine dal 16 al 19 ottobre con la XXVI edizione di Ein Prosit. Il programma è ghiotto tra cene con grandi chef e laboratori dei sapori, “un viaggio storico e gastronomico attraverso stili, forme e linguaggi di tutte le epoche, alla ricerca delle radici della tradizione popolare culinaria delle nostre regioni”. Non mancheranno le “degustazioni guidate”, con un ampio programma che spazia dai vini del Friuli Venezia Giulia a quelli delle più famose zone vitivinicole continentali ed extra-continentali: “Presentate da professionisti che daranno l’opportunità di apprezzare la storia, le caratteristiche e peculiarità dei vini proposti, dei loro territori e dei produttori, le degustazioni guidate hanno una durata complessiva di circa 90 minuti, tra momento teorico iniziale e degustazione dei vini”. Si consiglia la prenotazione. einprosit.org

Rho (MI)

Dall’automazione intelligente ai menù guidati dall’AI, passando per la sostenibilità che influenza scelte e consumi, l’ospitalità e il fuoricasa stanno vivendo un’evoluzione senza precedenti: per offrire ai clienti esperienze sempre più multisensoriali e immersive, le tecnologie all’avanguardia si fondono con design e funzionalità per dare vita a soluzioni hi-tech ma accoglienti. Tendenze che guidano la crescita del comparto della ristorazione professionale che registra un +8,6% rispetto all’anno precedente (dati: EXPORTPLANNING). È in questo scenario dinamico che Fiera Milano presenta Host 2025, la manifestazione leader mondiale per l’ospitalità, il fuoricasa e il food retail: il place to be per scoprire in anteprima le tendenze che guideranno il futuro dell’hospitality globale. In calendario dal 17 al 21 ottobre a Fiera Milano (Rho) sono oltre 1.700 gli espositori registrati — dai top player alle PMI d’eccellenza — dei quali il 44% internazionali da 54 Paesi. Tra i più attivi si segnalano, oltre all’Italia, Germania, Spagna, Francia, Paesi Bassi, Stati Uniti e Regno Unito. Tante le new entry dal Sud America e dal Sud-Est asiatico. Aziende che incontreranno oltre 700 hosted buyer provenienti da circa 75 Paesi, altamente profilati anche con il supporto di ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane Tra i principali settori target: distributori, rivenditori, esportatori/importatori; ristorazione, food service e fuoricasa; retail e GDO; attività ricettive; centri commerciali e location; chef, professionisti e consulenti. Le Americhe (35%), Medio Oriente e Africa (28%), Asia e Oceania (14%), oltre all’Europa e Paesi CIS (24%), sono le principali aree estere di provenienza. Host 2025 presenterà una panoramica completa dell’innovazione nel settore, coniugata con affondi verticali nei singoli comparti, organizzati per affinità di filiera: Ristorazione Professionale e Bakery-Pasta-Pizza; Caffè-Tea, Bar Macchine Caffè-Vending, Gelato-Pastry; Tavola-Tecnologia-Arredo Contract (photo © host.fieramilano.it). host.fieramilano.it

“Pane e salame ieri e oggi”: appuntamento a Roma al “Simposio trionfo del gusto”, nelle giornate del 18 e 19 ottobre

L’Accademia delle 5T ha lanciato il concorso “Pane e salame ieri e oggi”. Se “pane e salame” presenta indubbiamente un aspetto evocativo per le generazioni meno giovani, mantiene comunque un’attrattiva ancora oggi: è vero che in un bar che offre fast food a mezzogiorno è più facile trovare pane decongelato con un presunto speck e qualche pastrugno che un panino con il salame, ma vanno ancora alla grande i taglieri di salumi, meglio ancora se accompagnati da diversi tipi di pane, proprio nei bistrot, birrerie e wine bar alla moda frequentati dai giovani. Se l’abbinamento giusto tra un vino e un piatto è tema di dibattito da sempre, se sempre di più si discute sulla birra giusta da abbinare non solo in un pranzo da gourmet ma pure con una pizza o un fast food, se ogni cibo pretende l’olio extravergine più adatto a valorizzarlo, non è anche il caso di dare il giusto valore a pane e salame? Ovvero degustare un salame fatto secondo natura con il “suo” pane?”.

• Il concorso per panificatori bandito da Accademia delle 5T si svolge in collaborazione con “Simposio trionfo del gusto” nelle giornate del 18 e 19 ottobre presso il Salone delle fontane, a Roma Eur

>> Link: accademia5t.it

Parma

La mostra-convegno sulle tendenze delle tecnologie alimentari, CibusTec Forum, si svolgerà a Parma il 28 e 29 ottobre. L’evento offrirà a espositori e visitatori un’occasione di networking a favore di innovazione e collaborazione nei settori alimentare e tecnologico. In attesa della prossima di Cibus Tec, la manifestazione sulle tecnologie alimentari e delle bevande, in calendario, sempre a Parma, dal 27 al 30 ottobre 2026, CibusTec Forum offre una programmazione unica di workshop, dimostrazioni dal vivo, aree speciali e attività di formazione. cibustecforum.it

Bologna

La 14a edizione del Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti si svolgerà a BolognaFiere da sabato 15 a lunedì 17 novembre. Ad accogliere il pubblico saranno circa 1.000 vignaioli, provenienti da ogni regione italiana, insieme a diverse delegazioni di vignaioli europei in rappresentanza delle associazioni nazionali appartenenti a CEVI – Confédération Européenne des Vignerons Indépendants e a più di 30 soci di FIOI – Federazione Italiana Olivicoltori Indipendenti, con cui è confermata l’alleanza nel nome delle produzioni agricole territoriali e di qualità.

La centralità di Bologna permetterà al pubblico di raggiungere agevolmente il anche con i mezzi pubblici, a partire dal treno: una scelta di sicurezza e sostenibilità in linea con lo spirito della manifestazione. In questo senso, è rinnovata anche per il 2025, grazie alla convenzione con Trenitalia, l’offerta “Speciale Eventi”, per arrivare a Bologna sui Frecciarossa con sconti fino al 75% rispetto al biglietto Base

Bellissimo il manifesto ufficiale realizzato dall’illustratrice bolognese SARAH MAZZETTI, che ha messo il suo talento a disposizione dei Vignaioli Indipendenti grazie alla rinnovata collaborazione del Mercato dei Vini con CORRAINI EDIZIONI. Cose belle! mercatodeivini.it

LA MORTADELLA DI ALTISSIMA QUALITÀ

Ispirata alla tradizione Ferrarini, solo materia prima italiana, un processo produttivo artigianale e una lenta cottura, aromatizzata con la ricetta originale ed unica di Ferrarini.

Italica è stata premiata come Migliore Mortadella al pistacchio da una giuria di 15 chef.

Ferrarini è iscritta nel registro speciale dei “Marchi storici di interesse nazionale”, tenuto presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

SALUMI & CO.

Si mangia con

le mani

“Si mangia con le mani” nasce come piatto da pizza ma va benissimo anche per un panino gigante o una bella piada. In ceramica, con bordatura rialzata, diametro 31,5 cm, va tranquillamente in lavastoviglie. Disegnato in Italia, lo produce Simple Day e costa € 16,95. simpleday.it

Pane &

SALAME

Lo merenda perfetta per una t-shirt colorata e bella da indossare anche in bottega, sotto al grembiule da lavoro. Pane e salame, l’essenza della semplicità e del gusto, al di delle mode, senza tempo. Si può acquistare al prezzo di € 19,90. quellidellemagliette.it

Mix in stile

NORDICO

Vassoi e sottopiatti con un bel mix di colori e contrasti di materiali, tra ceramica, legno, vetro, tessuti. Materiali morbidi, materiali duri. Nuovi, vecchi, intermedi. Cose belle scelte da ELISABETH DUNKER, fondatrice di Fine Little Day, prima blog e poi studio di design e produzione di tessuti, prodotti lifestyle e complementi di arredo a Göteborg, Svezia. finelittleday.com

SUGGESTIONI DAL MONDO

Anche l’esposizione dei salumi al taglio, ordinata e ben curata, può fare la differenza nella percezione della qualità da parte del cliente.

BELLI DA VEDERE

Una parete dinamica che, nella parte inferiore, invita all’assaggio guidato di salumi e formaggi, incorniciata da salumi appesi di varie forme pronti per essere tagliati.

INVITO ALL’ASSAGGIO

LA COPERTINA ESPLOSA

La salsiccia piccante “Napoli” o “tipo Napoli” è un salume tipico italiano, diffuso e prodotto in tutto il Paese, caratterizzato da una spiccata piccantezza e dalla forma a ferro di cavallo. È prodotta con carne di maiale, sale, aromi e spezie, tra cui peperoncino, che le conferisce il sapore e il colore. Ideale per pizze, bruschette, condimenti per pasta, panini o anche semplicemente tagliata a fette. Una tira l’altra. In foto, la Salsiccia Napoli “forte” affumicata naturalmente del Salumificio Franchi di Borgosesia (VC) protagonista della nostra copertina autunnale (salumifranchi.com).

SALAME di manzo

Molto buono e profumato il Salame 100% manzo di alta qualità Südtirol Reifer Gourmet. Prodotto dalla Macelleria-salumeria NockerNew di Dobbiaco (BZ) con carne magra di manzo di provenienza UE, è lavorato artigianalmente con la ricetta tradizionale. Da provare! www.nocker-new.com

Mini snack DI PIADINA

Aroma’s– Qualità in barattolo è un azienda bresciana di Roncadelle specializzata in prodotti alimentari confezionati, appunto, in bei barattoli in banda stagnata. Noi abbiamo scelto La Piada, petali di piadina (farina di frumento, acqua, strutto, sale), fritti in olio di girasole altoleico. Meglio delle patatine! aromastasty.com

Sfogliatine

Simili alle streghe bolognesi, si chiamano “Una tira l’altra” e sono sfogliatine prodotte dal Caseificio Valsamoggia con gli stessi ingredienti delle loro tigelle, ovvero farina di grano tenero, latte intero, strutto, panna di latte, olio extravergine di oliva, lievito di birra e sale. Confermiamo la dipendenza! caseificiovalsamoggia.it

Pancetta del FRIGNANO

La pancetta arrotolata senza cotenna del Salumificio Sap di Pavullo nel Frignano (MO): sempre ottima! www.salumisap.com

Olio evo bio VINTAGE

Prodotto in Italia da olive coltivate in Italia, l’olio evo di oliva bio del BioAgriturism

La Quercia di Atri (TE) nella lattina con stampa vintage è buono e bello! info@laquerciabio.com

Gallette bio

DI GRANO SARACENO

Le gallette bio di grano saraceno Náttúra Eurofood Spa sono prodotte tramite la pressione a caldo del chicco, che mantiene pressoché invariati tutti i preziosi nutrienti della materia prima. Senza glutine e ricche di fibre, sono buonissime e povere di calorie. www.nattura.it

Coppa di testa

La texture di un salume è un indicatore della sua qualità e del processo di lavorazione a cui è stato sottoposto. Possiamo capirne gli ingredienti, soppesare la consistenza con lo sguardo e immaginare quale sarà il suo sapere all’assaggio. Per questo numero abbiamo scelto la Coppa di testa, un salume cotto tradizionale delle regioni Emilia-Romagna e Marche, ma presente in diverse varianti, di nome e ingredienti, anche in Toscana, Abruzzo, Umbria, Lazio, Piemonte e Liguria e Sardegna. La testa disossata del suino e la lingua sono i due tagli principali utilizzati per la sua produzione. Morbida e molto, molto saporita, si mangia affettata sottile, con pane rustico o altri prodotti da forno, ma è buonissima anche a cubetti su un tagliere da aperitivo.

Prodotti amarchio

FOOD PACK

Il mercato dei “superfood” — dalle bacche di goji al matcha alla papaya fermentata —, è un segmento dell’industria alimentare in costante crescita che, anche in Italia, conquista un numero via via crescente di consumatori. Noi abbiamo scelto questa Quinoa e riso basmati con lenticchiegialle e rosse della linea “Le Sfiziose” dell’azienda pisana Del Colle (delcolle.com).

ANTEPRIMA

Cheese, sempre una magia

Cosa succede quando centinaia di casari, pastori e appassionati si incontrano per celebrare il formaggio a latte crudo? La risposta, ancora una volta, l’abbiamo trovata a Cheese 2025, svoltosi a Bra (CN) dal 19 al 22 settembre scorsi. I visitatori della rassegna hanno potuto godere di un percorso espositivo ricco di spazi tematici, alla Slow Food maniera naturalmente: dalla Casa della Biodiversità all’area C’è un mondo intorno, il grande Mercato con oltre 400 espositori da tutta Italia e da 13 Paesi esteri. E ancora, i piatti dell’Osteria dell’Alleanza e più di 350 eventi che hanno animato le quattro giornate organizzata da Slow Food e dalla Città di Bra. Sul prossimo numero vi racconteremo qualche bella storia di produttori che hanno scelto Cheese 2025 per raccontare il proprio mondo (photo © Davide Greco / Archivio Slow Food).

TENDENZE

Gen Z e Alpha, cosa mangiano?

Per le Generazioni Z e Alpha, che mettono al centro benessere, praticità e consapevolezza, anche la merenda di metà mattina o il pranzo veloce diventano momenti chiave: pasti smart e bilanciati, capaci di dare energia senza rallentare la giornata. Ce lo dice il dossier intitolato “Gen Z e Alpha e il ruolo dei salumi nell’alimentazione per lo sviluppo muscolare e cognitivo”, promosso dall’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI), a cura di Nutrimi. «I salumi tornano protagonisti della vita dei ragazzi e delle ragazze e, se inseriti con equilibrio in una dieta varia, possono diventare i veri alleati del back to school: un panino con pane integrale e verdure, una piadina con hummus o un mix di frutta secca e cracker con qualche fetta di prosciutto crudo o cotto non sono solo merende pratiche da infilare nello zaino, ma un concentrato di energia per affrontare studio, sport e impegni quotidiani» commenta Marella Levoni, presidente IVSI. E se 1 giovane su 2 ha dichiarato di aver ridotto l’assunzione di carne o di averla completamente eliminata dalla propria dieta, il 36% afferma che potrebbe ridurne il consumo in futuro, mentre il 23% si definisce flexitariano, i dati reali mostrano un quadro più complesso: tra gli adolescenti italiani, infatti, il consumo di carne resta elevato, con una media di 143 grammi al giorno, che sale a 157 grammi tra i maschi. Le carni più consumate sono quelle trasformate (ossia i salumi), che coinvolgono il 59% del campione, seguite da carne bovina e avicola.

Un’indagine condotta da Ipsos su ragazzi tra i 16 e i 25 anni evidenzia ulteriori priorità nella scelta di acquisto degli alimenti, ovvero il made in Italy, la sostenibilità e l’assenza di antibiotici o ormoni, la provenienza della carne da allevamenti rispettosi del benessere animale. Un tema centrale, quest’ultimo, per le nuove generazioni, che dimostrano un’attenzione agli aspetti etici del cibo più marcata rispetto a quella delle generazioni precedenti.

>> Link: www.salumi-italiani.it – www.nutrimi.it

Siamo gli specialisti del San Daniele DOP

Il segreto è tutto

Allevamenti di proprietà

ostri a suini nati e cresciuti nei s ella osamente selezionati

Le carni dei nostri prosciutti di San Daniele DOP provengono da suini nati e cresciuti nei sei allevamenti della famiglia Aimaretti o da siti rigorosamente selezionati.

Benessere animale

ere e

dell’animale sono una priorità. I nostri allevatori controllano attentamente l’alimentazione, si assicurano che gli ambienti siano spaziosi e areati e riducono al minimo lo stress del suino.

Prosciutto di San Daniele DOP

Etichetta Nera SanDan. Inimitabile.

Solo le cosce migliori

ono una priorità tori o cono ess suino. o u enuinit e n inconfondibile s

I nostri mastri salumieri mettono al primo posto la genuinità delle materie prime e selezionano le cosce migliori per portare in tavola il gusto inconfondibile di un prodotto sano e naturale.

Con pa tra

Con pazienza, secondo tradizione

La salatura, a mano, e l mini vi d natura

La salatura, rigorosamente a mano, e la stagionatura minima di 18 mesi, danno vita ad un crudo dal gusto unico, naturalmente buono. men riet

www.sandanprosciutti.com

Salame Milano, buongiorno

di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)

Buongiorno

Il mondo per il quale siamo stati preparati non esiste più. È il finimondo.

È finimondo, quello che è partito da Milano questa settimana: Giorgio Armani muore, il Plastic chiude, il Circolo Leoncavallo viene sfollato. “E che sarà mai” direte voi, son simboli di un mondo effimero e superficiale! Eppure, per alcuni della mia generazione e di quella precedente, è davvero la fine del mondo.

Milano rimane simbolo e vessillo dell’Italia produttiva, alla moda e internazionale, eppure la vedo traballare dalle fondamenta, il benessere sembra esserci ancora ma il prezzo per viverlo è sempre meno sostenibile sia sul piano psicologico che sociale, le persone sono condannate ad una concorrenza profondamente distruttiva che consuma e fagocita tutto il romanticismo che dovrebbe nutrire il quotidiano minando inesorabilmente il bello vero, il divertente profondo e l’appartenenza impegnata alla socialità e alla società. Si sta svuotando a ritmo vertiginoso del realismo magico che l’ha sempre caratterizzata.

Il finimondo è un attrezzo che macina la carne a grana finissima, grana detta “a chicco di riso”, la grana che caratterizza il Salame Milano (non è passato alla storia chi ha dato questo nome a questo macinacarne, peccato).

Il Salame Milano nasce nella seconda parte nel 1800 per ingegno di Giuseppe Citterio che riesce a destagionalizzare e rendere costante la produzione del salame stabilizzandone la conservazione e consentendone lunghi viaggi Oltreoceano, verso l’America. Per gli emigrati italiani un legame gastronomico col proprio paese d’origine, nostalgia e conforto.

Il prodotto rimane indissolubilmente legato alla saga della Famiglia Citterio che, negli anni ‘60, inizia ad acquisire le piccole aziende familiari italiane rinforzandone il legame col territorio e proteggendone le produzioni locali, DOP e IGP. Di per sé non ha alcun riconoscimento di denominazione, ma è forse il salume italiano più tipico anche fuori dal confine nazionale

La ricetta prevede carne di maiale e di manzo, pepe, altre spezie segrete, poco vino rosso, zucchero. Dopo la macinatura viene insaccato nel budello naturale detto crespone che ne determina anche il diametro. La pasta è compatta e la stagionatura di circa 3 mesi.

Nel tentativo di digerire il susseguirsi di episodi milanesi e le amare constatazioni che ne conseguono, cerco pace nel sapore dolce e nocciolato di una michetta farcita di Salame Milano. Ogni morso, seppur buonissimo, mi traghetta oniricamente in un mondo in bianco e nero, di grandi speranze, smarrimento e forte disillusione che non mi è affatto estraneo. Un disincanto amaro e acido nei confronti del progresso e della vita urbana.

Scappiamo dalla provincia alla ricerca del riscatto, per un po’ galleggiamo e quando ci rendiamo conto di essere stati strumentalizzati dal “sistema” ormai è tardi, abbiamo perso buona parte di autenticità e ci destiniamo a rinunciare a noi stessi o ad accogliere insoddisfazione e rabbia, a vivere come parafulmini del compromesso.

Milano, bianca e nera: Il “torracchione”, l’insegna Cinzano, il vecchio Hotel Baviera, i bagni diurni, Piazza Duomo, il bar Jamaica, Jannacci, Tadini, Piero Manzoni, la Vita Agra e la condizione del collaboratore esterno, “uno che stia in terrazza quando tira vento e piove”.

Eppure ancora, di nuovo, ogni volta, ogni generazione, come in Miracolo a Milano di Zavattini e De Sica, alla ricerca di un luogo dove buongiorno voglia dire davvero buongiorno

1. Tartari

La Salumeria Bottega Tartari di Bondeno (FE) promuove, tra i tanti ottimi prodotti, anche l’iconica salama da sugo, protagonista delle tavole delle feste del territorio ferrarese. Un motivo in più per seguirli su instagram.com/salumeria_tartari (photo © @salumeria_tartari).

2. Paciotti Salumeria

La romana Salumeria Paciotti (paciottisalumeria.it) è una bottega tutta da scoprire e da seguire sulle sue pagine social, instagram.com/paciottisalumeria e facebook.com/paciottisalumeria. Belle le presentazioni dei nuovi prodotti attraverso i reel. Tutto molto curato e mai banale. Bravi! (photo © FB paciottisalumeria).

di Elena

FOOD

Benedetti

3. Salumeria Roscioli

La Salumeria Roscioli, insieme all’Antico Forno Roscioli, è a pochi passi da Campo de’ Fiori, nel cuore della Capitale. L’account instagram.com/rosciolisalumeria è sempre una scoperta di prodotti straordinari, come i capocolli in foto: quello di razza nera Mangalica, il capocollo di Cinta senese e il capocollo di Martina Franca (photo © @rosciolisalumeria).

4. Ai Monti Lattari dal 1984

Che passione infinita e quanta energia trasmettono i titolari della bella bottega napoletana Ai Monti Lattari dal 1984. Noi non ci perdiamo un solo post su instagram.com/ai_monti_lattari e non vediamo l’ora di andare a trovarli. Copiateci e seguiteli! (in foto, alcuni meravigliosi Provoloni del Monaco; photo © @ai_monti_lattari).

L’Italia a tavola. Storia di una cultura, in TV e in streaming

Dalla pasta alla pizza, dal pane al mondo vegetale, un percorso affascinante frutto di contaminazioni e identità sempre in trasformazione. Lo storico Massimo Montanari “viaggia” lungo dieci secoli per raccontare la storia dei cibi che rappresentano la fortunata tradizione gastronomica italiana nella serie di Rai Cultura “L’Italia a tavola. Storia in una cultura”. Regia di Fabrizio Marini, sono tre le puntate disponibili su RayPlay:

1. La pasta – La pasta, in origine una variante “sottile” del pane, si trasforma nel tempo in un genere alimentare autonomo fino a diventare uno dei piatti simbolo dell’identità gastronomica italiana. Un viaggio straordinario attraverso i secoli che ci porta a ricostruire il lungo percorso della pasta sia nella sua variante per uso domestico, quella fresca, che nella fortunata versione a vocazione industriale, essiccata, oggi presente nelle sue infinite varianti in ogni luogo: la vera sintesi della cucina italiana.

2. Il pane, le torte, la pizza – Accompagnare, contenere, sostenere. Sono le tre parole chiave per raccontare tre “oggetti gastronomici” fondamentali della cucina italiana: il pane, le torte, la pizza. Il pane è l’alimento fondativo dell’alimentazione nel suo valore di accompagnamento alle pietanze ma anche su un piano simbolico. Le torte salate invece sono il mondo gastronomico ereditato dalla cultura medievale e arrivato praticamente intatto fino a noi. Infine, la pizza, antichissimo supporto cerealicolo, che ha conosciuto la sua immensa fortuna in tutto il mondo da quando a Napoli si è sposata indissolubilmente col pomodoro.

3. Le verdure – Peperoni, melanzane, erbe selvatiche, legumi, odori. La cucina italiana si caratterizza più di altre per la valorizzazione dei vegetali, consumati non solo come contorni ma anche come pietanze principali del pasto.

>> Link: www.raiplay.it/programmi/litaliaatavolastoriadiunacultura

GRANDE SUCCESSO PER IL FESTIVAL DEL PROSCIUTTO DI PARMA

La 28a edizione del Festival del Prosciutto di Parma, il tradizionale appuntamento che ogni anno celebra questo emblema assoluto del patrimonio gastronomico del nostro Paese, si è svolta dal 5 al 7 settembre scorsi a Langhirano (PR). Come di consueto, la manifestazione è stata un’occasione imperdibile per conoscere da vicino il Prosciutto di Parma, le persone che ogni giorno lavorano con passione e dedizione per realizzare quest’eccellenza e il territorio unico a cui si lega in modo inscindibile.

Numerosi sono gli eventi che hanno animato il Festival nel corso dei tre giorni. La serata di inaugurazione ha visto la conduzione di Francesca Romana Barberini e la partecipazione di due ospiti d’eccezione: Giulia Ghiretti, medaglia d’oro di nuoto ai Giochi Paralimpici di Parigi 2024, con cui si è parlato di sport e alimentazione, e Francesco Panella, ristoratore e presentatore televisivo, che ha intrattenuto il pubblico con la versione live di “Che faccio, lascio?”, il quiz ambientato nelle salumerie italiane amatissimo dagli utenti social del Prosciutto di Parma.

Novità assoluta di questa edizione è stata la Prosciutto di Parma Experience, uno spazio in cui si sono svolti incontri, showcooking, dimostrazioni e nel quale è stato possibile effettuare un’esperienza davvero immersiva del prodotto grazie ad un percorso degustativo articolato, che ha visto tre diverse stagionature di Prosciutto di Parma, più una quarta variante ottenuta con il taglio a mano, affiancate a vini, birre e ad altre specialità gastronomiche del territorio.

Accanto a questa novità, una gradita conferma attesa da tutti: nei primi due week-end di settembre si è, infatti, svolta

L’inaugurazione dell’edizione 2025 del Festival del Prosciutto di Parma, con la conduzione di Francesca Romana Barberini e l’intervento di Giordano Bricoli, sindaco del Comune di Langhirano (PR).

Finestre Aperte, l’iniziativa che permette ad appassionati, food lovers o semplici curiosi di entrare negli stabilimenti di produzione del Parma DOP e scoprire in prima persona i segreti e il metodo di lavorazione che rendono unico questo prodotto, grazie alla guida esperta dei produttori stessi.

«Il Festival del Prosciutto di Parma mette a segno un risultato più che positivo, con una affluenza di visitatori straordinaria, ben superiore alle attese», commenta Alessandro Utini, presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma. «Si conferma il momento particolarmente felice per il turismo DOP, che in questo territorio può godere di un’esperienza consolidatasi in decenni di attività dedicate al nostro prodotto e alle comunità

locali che ogni giorno, con coraggio e impegno, lo rendono possibile. La Prosciutto di Parma Experience, novità assoluta di questa edizione, si è rivelata una scommessa vinta, facendo registrare il tutto esaurito. Grande successo anche per Finestre Aperte, che è, come sempre, la punta di diamante della manifestazione, in grado di attirare turisti di ogni provenienza.

Col suo format aggiornato, capace di far vivere ai partecipanti un’esperienza ancora più immersiva, il Festival si è confermato un’occasione unica per far conoscere e valorizzare la nostra tradizione, i luoghi in cui vive e le persone che la tramandano da generazioni».

www.festivaldelprosciuttodiparma.com

LA PRIMA “NOTTE DEL GUSTO”

Great Taste premia le eccellenze della gastronomia made in Italy

Olio extravergine della Val di Noto, Parmigiano Reggiano DOP 48 mesi, birra ambrata da uva da mosto con profumo di Moscato ma anche bresaola della Valtellina e tacchino in

porchetta. Cinque i sensi in allerta dal primo all’ultimo assaggio per decretare i migliori prodotti del nostro patrimonio alimentare, durante la prima “Notte del Gusto” italiana targata Great Taste tenutasi il 2 settembre presso il polo culturale

gres art 671 di Bergamo. Oltre 200 i partecipanti tra produttori, giornalisti, istituzioni e operatori del settore che hanno assistito alla premiazione, da parte di una giuria di esperti, delle specialità di pregio del Belpaese, svol-

Tutti i vincitori dell’edizione 2025 di Great Taste in Italy.

La prima “Notte del Gusto” italiana targata Great Taste si è tenuta a Bergamo negli spazi di gres art 671, ex polo industriale trasformato in centro per l’arte e la socializzazione (photo © Paolo Biava).

Great Taste in Italy, i numeri

Great Taste in Italy rappresenta l’edizione interamente dedicata ai prodotti agroalimentari italiani dei Great Taste, uno dei più autorevoli sistemi di valutazione di cibi e bevande al mondo, organizzato dalla Guild of Fine Food. Da oltre 30 anni, in questo format vengono selezionati e premiati i migliori prodotti alimentari, coinvolgendo in ogni edizione più di 500 giudici e oltre 14.000 referenze provenienti da oltre 100 Paesi. Ai Great Taste 2025 hanno partecipato 14.340 prodotti: solo il 39,6% ha ottenuto almeno una Stella, mentre appena l’1,9% è riuscito a conquistare le ambite Tre Stelle Great Taste. La prima edizione italiana ha raccolto oltre 300 candidature da tutta la nazione, valutate da più di 40 giudici — tra giornalisti, chef e professionisti — che le hanno degustate attraverso il metodo dei blind tasting, restituendo poi ai produttori indicazioni preziose per valorizzare i propri punti di forza e migliorare eventuali criticità. Great Taste è un riconoscimento che certifica la qualità a livello globale e offre ai vincitori nuove opportunità di visibilità e posizionamento sul mercato nazionale ed internazionale. Con questa prima edizione, Great Tastein Italy ha offerto non solo un’esperienza di assaggio e incontro, ma anche un momento di dialogo intorno ai valori che rendono unico il made in Italy agroalimentare: qualità, autenticità e passione.

A sinistra: “Giovanna” pancetta in tre cotture del Salumificio Capitelli di Borgonovo Val Tidone (PC). La cottura del prodotto avviene in 3 fasi, ciascuna delle quali regala alla pancetta un qualcosa in più. Va servita sempre fredda e, se posta sopra a preparazioni calde guarnite solo un attimo prima di servire la portata, la fetta deve essere posizionata a forma di piramide. A destra: il lardo arrotolato di Bertelli Salumi di Montagnana (PD). Salume di forma cilindrica costituito mediamente da sei-sette strati di lardo pancettato, speziati uno a uno ed esaltati da oltre 20 spezie e serprino dei Colli Euganei.

tasi per la prima volta in trent’anni di storia dell’iniziativa proprio in Italia, a Bergamo, uno dei tre capoluoghi italiani riconosciuti da UNESCO Città creativa per la gastronomia

L’evento italiano di Great Taste è stato organizzato da GUILD OF FINE FOOD e l’associazione LA TAVOLA DI MECENATE con l’obiettivo di conoscere, certificare e promuovere i prodotti e le preparazioni alimentari italiane (dai formaggi ai salumi, dalla pasta al miele, dalle birre al caffè, dagli spiriti al cioccolato).

La serata si è aperta con gli interventi di Christabel Cairns e John Farrand, rispettivamente Associate managing director e CEO di GUILD OF FINE FOOD «GUILD OF FINE FOOD organizza Great Taste da oltre 30 anni. È un programma di riconoscimento conosciuto in tutto il mondo per la sua imparzialità e per il rigoroso processo di giudizio e quest’anno è stato un grande onore portare le sessioni di assaggio e valutazione in Italia» hanno detto.

Gli ospiti alla serata hanno degustato i prodotti premiati con le Tre stelle e assistere alle premiazioni dei migliori prodotti in concorso nelle categorie speciali. L’ultimo premio, “La Notte del Gusto”, è stato decretato dal pubblico.

Le Tre stelle italiane

Gian Mario Zana, de La Tavola di Mecenate, ha presentato i 13 prodotti nominati tra le oltre 300 candidature arrivate:

* Igor Nero Piccante di IGOR GORGONZOLA;

* Bresaola Zerozero® 100% naturale di SEP VALTELLINA – GIOPORRO GROUP;

* Brenta selezione Oro di LATTERIE VICENTINE;

* Lardo arrotolato di BERTELLI SALUMI;

* Parmigiano Reggiano DOP 48 mesi del CASEIFICIO SOCIALE ALLEGRO;

* “Giovanna” pancetta in tre cotture del SALUMIFICIO CAPITELLI;

* Fino de Aroma Cioccolato Fondente Extra 75% Hispaniola Bio di SLITTI CHOCOLATE;

* Tacchino in porchetta “Re Pavo” di BACALINI;

* Cacio di Afrodite del CASEIFICIO IL FIORINO;

* Orecchiette integrali Bio di Grano Varietà Cappelli di AMORETERRA;

* Pallone di Gravina del CASEIFICIO STELLA DICECCA;

* Caprino di Puglia dell’Azienda Agricola IL CARRO;

* Olio extravergine di oliva da varietà Tonda Iblea di SPEDALOTTO

Il riconoscimento per l’Eccellenza Regionale Nord Est è andato al Caseificio Sociale Allegro, per il Parmigiano Reggiano DOP 48 mesi, formaggio con gusto intenso, tostato, e note di funghi secchi e spezie. Da grattugiare o rendere protagonista di sofisticate degustazioni (caseificioallegro.it). Il premio Eccellenza Regionale Nord Ovest se l’è aggiudicato invece la Bresaola Zerozero® 100% naturale di Sep Valtellina – Gioporro Group (gioporro.com).

Il titolo di Eccellenza Regionale Centro è stato attribuito al tacchino in porchetta “Re Pavo” della marchigiana Bacalini (www.bacalini.it). Infine, per la categoria Eccellenza Regionale Sud, il premio è andato all’Olio evo Tonda Iblea DOP di Paternò di Spedalotto (www.paternodispedalotto.it).

Il premio conclusivo “La Notte del Gusto”, votato dal pubblico, è stato assegnato a Bresaola Zerozero® 100% naturale di Sep Valtellina – Gioporro Group (gioporro.com).

A concludere, il premio d’eccezione per Pèrsis Birra Italian Grape Ale (IGA) dell’Azienda Agricola Pagnoncelli Folcieri, riconosciuta “Eccellenza Città Creativa UNESCO Italy” con Due stelle Great Taste

Il Fiorino guida l’innovazione nei pecorini di grande pezzatura e lancia l’astro nascente Cacio di Afrodite

Il Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR) si sta affermando come pioniere nella produzione di pecorini di grandi dimensioni. L’azienda maremmana è infatti la prima, da vent’anni, ad aver percorso questa strada. Una tecnica difficile ma capace di esaltare il processo di stagionatura lenta nelle cantine scavate nella roccia e di restituire profili aromatici complessi e inimitabili. Grazie a questa scelta, ha ricevuto numerosi riconoscimenti per l’eccellenza dei suoi formaggi, come il pecorino Riserva del Fondatore o il Cacio di Afrodite. E proprio quest’ultimo ha ottenuto di recente le ambite Tre Stelle al Great Taste Awards, unico pecorino italiano a raggiungere questo traguardo. Solo 273 prodotti le hanno raggiunte, pari al 2% degli oltre 14.000 partecipanti.

Nato nel 2021, il Cacio di Afrodite ha già ottenuto l’oro ai World Cheese Awards di Oviedo, il titolo di Miglior Formaggio di Montagna del mondo agli International Cheese Awards 2025, la Golden Fork 2023 come Miglior prodotto italiano e a molti altri: 10 in appena 5 anni. Un pecorino che ha un profumo che ricorda il fieno d’estate, la frutta secca, la terra, e un gusto pieno, profondo, che cambia ad ogni morso. È sapido, ma mai eccessivo. Intenso, ma elegante. La sua pasta è compatta ma vellutata, burrosa al palato. Si scioglie lentamente e lascia dietro di sé una scia lunga, persistente. Ogni forma è il frutto di mesi di cura, attenzione, rispetto per il latte e per i suoi tempi. I giudici lo hanno definito “un formaggio delizioso, che unisce note animali e raffinatezza in un equilibrio sorprendente. Un pecorino dalle caratteristiche uniche, degno del massimo punteggio”. «Ci sono riconoscimenti — afferma Angela Fiorini, che guida l’azienda insieme al marito Simone Sargentoni (in foto) — che non premiano solo un prodotto, ma tutto ciò che c’è dietro: la dedizione quotidiana, l’amore per il territorio, il rispetto per la tradizione e il coraggio di innovare. Questi premi ci riempiono d’orgoglio. Afrodite ha saputo parlare al cuore e al palato dei giudici con la sua eleganza unica. Dopo una stagione di successi e apprezzamenti questa è una conferma importante per noi, il nostro team e per una filosofia produttiva in cui crediamo profondamente».

>> Link: caseificioilfiorino.it

IN DIFESA DEI PRODOTTI LOCALI E DEL MADE IN ITALY

Quando si tratta di scegliere i prodotti al supermercato, gli Italiani hanno pochi dubbi, l’italianità fa la differenza Questa è una delle principali evidenze che emergono dal Behavior Change Report di YouGov, il rapporto semestrale giunto alla 9a edizione dell’istituto di ricerca leader per quello che concerne il mondo del largo consumo e che illustra in dettaglio come si evolvono le esigenze, le scelte e le preferenze di oltre 15.000 acquirenti in 21 Paesi d’Europa. Entrando nello specifico, le rilevazioni appaiono sorprendenti perché in parte in controtendenza con la spensieratezza e la scarsa attenzione alla responsabilità che spesso si attribuiscono ai consumatori del nostro Paese: quasi 2 Italiani su 3 (64%), infatti, credono di influenzare la società con le proprie scelte quotidiane di acquisto, una percentuale ben al di sopra della media europea (44%).

In un contesto generale di timore per la stabilità politica ed economica globale (79%), in Italia i consumatori si dichiarano preoccupati soprattutto per il cambiamento climatico (45%, a fronte del 33% dei Paesi UE), ancor più che per il bilancio famigliare (40% vs 48%) o la salute (41% vs 36%). Depone ulteriormente a vantaggio delle famiglie

del Belpaese il fatto che questo attivismo si declini attraverso un atteggiamento positivo: rispetto alla media europea prevale il supporto, attraverso l’acquisto di prodotti locali (50% contro il 45%) o nazionali (46% vs 40%), a discapito di scelte come il boicottaggio (che, per ragioni diverse, sta tornando in auge in altri paesi del vecchio continente come la Danimarca o la Serbia), che in Italia raccoglie adesioni molto basse (19%).

Un’identità forte

nel carrello della spesa

Il 47% degli Italiani afferma che rafforzerà il proprio sostegno ai produttori locali nei prossimi sei mesi, un dato che migliora la percentuale già alta (39%) registrata lo scorso anno: non è un caso quindi che il 75% dei consumatori preferisca acquistare marchi locali e l’83% prodotti made in Italy, testimoniando un sentimento comunitario di appartenenza che, nel Paese dei mille campanili, è particolarmente forte nel Sud, dove si identificano con la propria regione il 33% degli intervistati (la media nazionale si attesta al 15%).

Questo legame emotivo, unito a una solida strategia di distribuzione e promozione ancorata alla narrazione regionale, è alla base del successo commerciale di alcuni brand fortemente radicati nel territorio: marchi di pasta come La Molisana e Rummo, per esempio, hanno visto la loro penetrazione crescere significativamente (rispettivamente dal 40,1% al 44,4% e dal 27,5% al 39,3%) tra il 2022 e il 2024. In un altro settore, la birra pugliese Raffo ha cavalcato con successo l’appeal locale scalando 53 posizioni nell’ultima classifica YouGov Brand Footprint per le bevande, con un valore aumentato del 170% e la penetrazione balzata dall’1,8% al 10,2% nell’ultimo anno. Una crescita impetuosa e travolgente che ricorda da vicino i casi della sarda Ichnusa e della siciliana Birra Messina, che hanno fatto leva sulle loro identità regionali per scalare le gerarchie di mercato anche a livello nazionale.

Nemmeno i big dell’industria rinunciano a celebrare i punti di forza del nostro paese, sebbene su scala industriale più ampia: è il caso di Ferrero, che ha la scorsa primavera ha lanciato un pack in edizione limitata

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per la campagna Nutella Buongiorno, 21 vasetti, ciascuno dedicato ad una regione italiana, con i diversi paesaggi avvolti dalla luce dell’alba.

Ma il fascino dell’italianità si estende anche oltre i confini nazionali, come dimostrano Mutti e Giovanni Rana, che comunicano un approccio legato alla nostra tradizionale sapienza in cucina.

Se la preferenza per i prodotti locali è la caratteristica più tipica degli Italiani, soprattutto con la funzione “sociale” descritta in precedenza, i principali fattori che influenzano il comportamento d’acquisto sono la qualità (41%), gli

Chi è YouGov e cosa fa

sconti e le promozioni (40%) ed evitare gli sprechi (38%). Da notare come un Italiano su cinque (21%) si dichiari aperto alle novità, con picchi per le referenze per la cura della persona (38%), i detersivi e i detergenti (37%), i dolciumi e i biscotti (37%), i prodotti lattiero-caseari (34%) e il pane e i prodotti da forno (28%). L’applicazione dell’intelligenza artifi ciale all’esperienza d’acquisto incontra ancora un certo scetticismo: la maggioranza dei consumatori (40%) chiede maggiori informazioni ma la quota di chi vorrebbe si fermasse (32%) prevale rispetto a quella che ne vede i benefici (28%).

Dal Behavior Change Report di YouGov, risultano in crescita i principali indicatori a salvaguardia del potere d’acquisto, come il controllo dei prezzi dei prodotti, l’attenzione alle promozioni, il tentativo di contenere il costo del carrello della spesa, cucinare in casa e abbandonare i marchi premium a favore di altri meno costosi.

• La percentuale di acquirenti italiani convinti che le scelte d’acquisto influenzino la società (64%) è ben al di sopra della media europea (44%).

• Metà degli acquirenti afferma di acquistare prodotti locali quando fa la spesa e il 46% sceglie marchi nazionali come mezzo per avere un impatto: nel nostro Paese l’atteggiamento propositivo prevale su altre scelte, come il boicottaggio, che stanno tornando invece in auge in Europa.

• A beneficiare di questa tendenza sono i marchi locali (scelti dal 75% degli Italiani, l’83% privilegia il made in Italy) e in particolare quelli fortemente identitari di una regione.

YouGov è un istituto di ricerca internazionale. “La nostra missione — si legge sul loro sito — è quella di fornire un flusso continuo di dati e di approfondimenti dettagliati su opinioni, comportamenti e abitudini delle persone, in modo che le aziende, i governi e le istituzioni possano prendere decisioni consapevoli basate su dati reali. Al centro della nostra piattaforma c’è una fonte di dati in continua crescita, accumulata nel corso dei nostri vent’anni di attività che chiamiamo Living Data. Tutti i nostri prodotti e servizi si basano su questa conoscenza dettagliata di oltre 27 milioni di membri del nostro panel proprietario, per fornire insight affidabili e precisi”.

>> Link: it.yougov.com/about

Il 75% dei consumatori preferisce acquistare marchi locali e l’83% prodotti made in Italy, testimoniando un sentimento comunitario di appartenenza che, nel Paese dei mille campanili, è particolarmente forte nel Sud, dove si identificano con la propria regione il 33% degli intervistati (la media nazionale si attesta al 15%).

Lo scenario europeo Prudenza e tradizione sembrano le parole d’ordine degli Italiani per far fronte a uno scenario diffuso di incertezza globale e difficoltà economiche, in cui gli acquirenti europei continuano ad adattare il proprio comportamento a un diffuso pessimismo. Fortemente preoccupati per la stabilità globale (71%), gli intervistati indicano le difficoltà economiche e la sicurezza personale e della propria famiglia come i principali timori, seguiti dal benessere fisico, il cambiamento climatico e l’immigrazione. Risultano in crescita i principali indicatori a salvaguardia del potere d’acquisto, come il controllo dei prezzi dei prodotti, l’attenzione alle promozioni, il tentativo di contenere il costo del carrello della spesa, cucinare in casa e abbandonare i marchi premium a favore di altri meno costosi.

Tutto questo si riflette inevitabilmente anche nella scelta dei canali, a beneficio degli hard discounter: questi sono gli unici a presentare un saldo positivo nel confronto tra il numero dei rispondenti che dichiara l’intenzione di utilizzare più spesso quel canale d’acquisto e quello di chi invece intende ridurre le occasioni di spesa lì.

Solo la qualità del prodotto risulta indirizzare gli acquisti più delle scelte a salvaguardia del risparmio. Gli acqui-

renti sono facilmente divisibili tra quelli che faticano a far quadrare il bilancio famigliare e quelli invece che ci riescono più comodamente, con comportamenti d’acquisto che naturalmente evidenziano priorità e necessità differenti: i primi si aspettano un peggioramento della propria situazione (65%) rivolgendosi volentieri verso la private label (62%) probabilmente in funzione di risparmio, poiché quasi tre su cinque (59%) fanno attenzione al prezzo della spesa quotidiana. Viceversa, i consumatori più tranquilli dal punto di vista economico mostrano una grande predisposizione nei confronti delle novità (70%) e fiducia che la loro capacità di risparmio rimarrà invariata (62%).

La polarizzazione in corso tra la popolazione europea e quanto l’aumento dei prezzi impatti in maniera differente sono evidenti anche dall’analisi di quanto incidano i generi alimentari nella distribuzione totale del bilancio famigliare, che varia dalle basse percentuali dei Paesi più benestanti (14% in Austria e 15% in Germania, Danimarca, Svezia e Olanda) al 44% dell’Ucraina, passando per il 35% della Romania e il 41% della Serbia.

L’attenzione verso il green sembra risentire di questo ridotto differente potere d’acquisto e sorprende che perfino i solitamente ecologici danesi

si aggiungano a bulgari, croati e serbi nella lista di coloro che si dichiarano meno disponibili a pagare per caratteristiche di sostenibilità.

C’è però una tendenza che unifica davvero gli europei: l’attenzione al benessere. Superano il 30% i consumatori che dichiarano di fare abbastanza esercizio fisico quotidiano e di rinunciare all’alcol; inoltre, tra le principali tendenze emerge la sugar free. Le bevande energetiche o funzionali rappresentano la categoria con la crescita più veloce in Bulgaria, Polonia e Romania ma anche in Belgio e in Austria, mentre si trovano al secondo posto in Olanda e Germania. La crescita di penetrazione negli ultimi due anni del marchio Le Naturelle in Italia (dal 34% al 40,7%) è praticamente sovrapponibile a quella di OnlyBio (dall’11,9% al 18,7%) in Polonia. In un anno il segmento della salute in Germania ha registrato un incremento del 10,3% con picchi per le polveri dimagranti e i frullati proteici (+25,1%) e gli sports/energy drinks (+12,9%). Essere “in forma” è quindi un obiettivo primario per molti europei e i consumatori indirizzano sempre di più le proprie scelte allo star bene individuale, probabilmente in risposta al clima di incertezza sul futuro.

Fonte: YouGov, business.yougov.com

Mortadella Bologna IGP: in crescita produzione e vendite. Bene l’export

La Mortadella Bologna IGP chiude il 1o semestre del 2025 in positivo. Con la produzione che passa dai 19 milioni e 200.000 chilogrammi del 1o semestre 2024 ai 19 milioni e 800.000 del 2025, registrando un aumento del 3,2%, e le vendite che passano dai 15 milioni e 665.000 chilogrammi del 2024 ai 16 milioni e 190.000 del 2025, con un aumento del 3,4%. Bene anche l’affettato che, col +4,3%, conferma il trend di crescita registrato negli ultimi 10 anni. Di rilievo il dato export, che registra un incremento dell’8,4% con performance a due cifre in Belgio (+64,3%), Svizzera (+34,4%), Spagna (+19,3%) e UK (+17%).

Da sottolineare, più in generale, come l’export costituisca un vero e proprio traino, registrando un aumento della quota delle vendite che passa dal 22% del 1o semestre 2024 al 24,3% del 1o semestre 2025.

«Siamo estremamente soddisfatti dei risultati ottenuti dalla Mortadella Bologna IGP nel 1o semestre dell’anno, in particolare dell’ottima performance dell’export e dei notevoli incrementi registrati in Belgio e Svizzera così come in Spagna e UK» afferma Guido Veroni, presidente del Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna. «Si tratta di mercati dove siamo impegnati in progetti di promozione triennali cofinanziati dalla UE che coinvolgono punti vendita e GDO. A ragione, possiamo dire che ciò che abbiamo seminato sta iniziando a dare i suoi frutti. Siamo sempre più convinti, infatti, che le prospettive di crescita siano nello sviluppo dei mercati esteri e l’incremento della quota export, dal 22% al 24,3 % ne è una evidente conferma. Significa, in pratica, che il consumatore europeo, una volta che ha l’occasione di degustare la Mortadella Bologna, la apprezza al punto tale da iniziare ad inserirla nel suo paniere di acquisto di beni alimentari».

In Italia, la GDO si conferma il principale canale di vendita con una quota del 55,6%, seguita dal normal trade col 26,4% e dal Discount col 18,0% (photo © facebook.com/MortadellaBologna).

>> Link: mortadellabologna.com

I SAPORI D’OGLIASTRA, DALLA TERRA DELLA LONGEVITÀ,

ALLA CONQUISTA DEL MONDO

Vito Arra rilancia e introduce il secondo prodotto IGP in azienda. Quando piccolo non

Sarebbe stato facile trincerarsi dietro la classica scusa: l’Ogliastra è tra le regioni più povere e spopolate d’Italia. E quindi non è possibile fare impresa. Un ritornello che si sente spesso da queste parti. Ma a questo destino già scritto da altri, Vito Arra non si è mai arreso. Al contrario, quando ha avviato la sua attività, oltre vent’anni fa, mettendosi a fare qualcosa di cui conosceva poco o nulla, ha pensato che la carta vincente fosse invece proprio quel territorio tanto bello quanto vituperato.

Convinto che bisognasse unicamente fare bene quello che già era nella tradizione locale, ha messo in piedi un pastificio fedele solo alle ricette che sua madre e sua nonna gli avevano consegnato. Culurgionis, Malloreddus, Sebadas, Ravioli, Pardule, Gnocchi di patate sono i pochi prodotti che fanno parte del suo ridottissimo catalogo. Tutte specialità tipiche che oggi varcano il Tirreno e raggiungono i supermercati di mezza Italia.

Non pago, il titolare del pastificio I Sapori d’Ogliastra ha ritenuto che quei prodotti, proprio perché così pregiati, dovessero acquisire un riconoscimento di un soggetto esterno che ne compro-

è solo bello, ma anche pregiato

In alto: Culurgionis d’Ogliastra. A pagina 55: Vito Arra, imprenditore, titolare dell’azienda I Sapori d’Ogliastra, e presidente del Consorzio di tutela dei Culurgionis d’Ogliastra IGP, fagottini ripieni di patate e formaggio chiusi a mano dalle “sfogline”.

vasse il valore, affinché anche il mercato avesse contezza di quanto acquistava. Morale: impegno e lavoro per avere un’azienda certificata BRC e IFS che oggi realizza due prodotti a indicazione geografica e cinque PAT

Le specialità isolane che orgogliosamente riportano in etichetta il logo dell’UE sono i Culurgionis d’Ogliastra IGP e le Sebadas di Sardegna IGP

Dei primi — deliziosi fagottini di pasta chiusa a mano a spighitta ripieni di patate e formaggio — Arra è stato tra i principali attori per il riconoscimento dell’Indicazione Geografica e tuttora è il presidente del Consorzio di tutela. Delle seconde, ravioloni tondi ripieni di formaggio e aromi, è uno dei soci fondatori del Comitato promotore e tra i primi a “marchiare” il prodotto. Anche le altre specialità sono tipiche sarde e richiamate nell’elenco ministeriale dei Prodotti Alimentari Tradizionali. I Malloreddus, che Arra propone freschi, sono un formato tra i più noti in assoluto nel panorama pastario nazionale. “Presi in prestito” da un notissimo nome della pasta secca italiana già decenni orsono, sono famosi ovunque anche come gnocchetti sardi

Le Pardule, l’unico prodotto da forno proposto da I Sapori d’Ogliastra, sono tortini di pasta con un delizioso ripieno di ricotta, formaggio, zucchero e aromi. Quelle di Arra hanno la caratteristica di essere ridotte nelle dimensioni e prive di lievito. Come le rinomate ciliegie di Lanusei, comune dove ha sede il laboratorio, vanno via velocemente perché una tira l’altra.

Delle Sebadas di Sardegna IGP si è già detto. Quello che non abbiamo precisato è che il prodotto, unico nel suo genere, nasce come formato di pasta, ma si consuma come dessert. È immancabile sulle tavole dei Sardi, soprattutto nei menu dei ristoranti. Si servono previa cottura nell’olio bollente e sotto una montagna di miele isolano. I Sapori d’Ogliastra, oltre alla versione classica, propone quella in dimensioni ridotte, irrinunciabile anche dopo un pasto importante. Impossibile lasciare l’Isola senza averle degustate almeno una volta.

I Ravioli sono quelli classici, quadrati, ripieni di ricotta e spinaci o con patate e menta.

Ma il core business aziendale sono e restano i Culurgionis, siano essi nella versione con la menta o senza. Pur

con un processo quasi completamente meccanizzato, vengono chiusi a mano uno ad uno, a dispetto delle importanti quantità prodotte. Osservare decine di sfogline che, come sarte, chiudono centinaia di pezzi in poco tempo, è un’esperienza indimenticabile. E fa venir voglia di imparare l’arte.

«Ho sempre pensato che la tradizione e il legame con il territorio fossero l’unica cosa che ci potesse far emergere nel mercato. Siamo un’isola nell’isola, viste anche le difficoltà nei trasporti, sia interni, sia con il resto del continente. Non possiamo dunque contare né su un servizio celere, né sul prezzo, essendo poco competitivi.

L’unica cosa che ci permette di stare nello scaffale e reggere il confronto con i colossi della produzione industriale di pasta fresca sono la qualità e il richiamo della tradizione. È la nostra identità a renderci unici. Ma questi elementi sono vincenti solo se sappiamo adeguatamente comunicarli: per questo ci siamo battuti in questi anni perché alcuni prodotti acquisissero importanti riconoscimenti come l’Indicazione Geografica Protetta» dichiara Vito Arra, che aggiunge: «ciò che più ci rende

I Culurgiones d’Ogliastra fritti, protagonisti dei taglieri per l’aperitivo, sono il nuovo irresistibile finger food identitario della terra di Sardegna. «Un successo inimmaginabile quando abbiamo iniziato il percorso per la IGP nei primi 2000» dice Vito Arra.

orgogliosi è che un prodotto come i Culurgionis, che sino a vent’anni fa era pressoché sconosciuto, noto quasi esclusivamente agli Ogliastrini, sia invece ora considerato il principe della cucina sarda, la specialità più iconica, pregiata e singolare del patrimonio enogastronomico isolano.

Inoltre, se sino a qualche tempo fa si consumavano solo come primo piatto, oggi fritti sono protagonisti di taglieri, aperitivi, tavolate di finger food, con un successo inimmaginabile quando abbiamo iniziato il percorso per la IGP, nei primi anni 2000.

Oggi non c’è iniziativa in ambito alimentare che non ne richiami la forma e l’immagine, talvolta, pur troppo, persino a sproposito. A noi del Consorzio di tutela piace pensare che quella notorietà sia la conseguenza diretta e indiretta dell’acquisizione dell’IGP, a cui abbiamo

lavorato con convinzione per oltre un decennio».

Il patron de I Sapori d’Ogliastra non perde occasione per ribadire che le Indicazioni Geografiche — un “mondo” nel quale la Sardegna è purtroppo rappresentata con pochissimi prodotti — siano un lasciapassare di sicuro successo verso il mercato. Non solo consentono di tutelare il prodotto e i produttori, ma sono un eccellente biglietto da visita per l’azienda e una garanzia per il consumatore.

Non è un caso se anche la Distribuzione Moderna negli ultimi anni abbia virato verso l’introduzione di prodotti regionali, possibilmente certificati, meglio ancora se a denominazione. Aggiunge Arra: «la tradizione ci ha consegnato dei piatti speciali, pregiati per natura, ma nel nostro caso anche pienamente rispondenti alle esigenze della vita moderna caratterizzata per

lo più da mancanza di tempo, scarse abilità in cucina, necessità di occupare pochi spazi e non imbrattare tutto. Sarà fortuna anche questa, ma la pasta fresca è veloce da preparare e non richiede grandi competenze. Quella ripiena è da sola un piatto completo sul fronte nutrizionale. In più Malloreddus, Ravioli e Culurgionis richiedono solo qualche minuto di cottura. Il condimento, soprattutto per questi ultimi, deve essere il più leggero e semplice possibile. Non si disdegna un semplice filo d’olio con una spolverata di bottarga grattugiata». Ed è subito Sardegna! Sebastiano Corona

Pastificio Arra

I Sapori d’Ogliastra

Zona Artigianale (08045) Lanusei (OG) Telefono: 0782 40301

E-mail: info@isaporidogliastra.com

Web: isaporidogliastra.com

I tre compleanni della Famiglia Spigaroli

Sull’aia dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR) lo scorso 28 luglio si sono celebrati ben tre compleanni. Mezzo secolo di Massimo Spigaroli con la casacca da chef, 15 anni dall’inaugurazione di Antica Corte Pallavicina e 65 candeline per il Cavallino Bianco, dove tutto è iniziato grazie a mamma Enrica e papà Pirèn. Una festa importante, ben visibile negli occhi di coloro che sono saliti sul palco chiamati per nome, uno ad uno: cuochi, camerieri, agricoltori, preparatori di culatelli… Persone che hanno respirato l’aria di casa Spigaroli e poi sono volate via. New York, Copenaghen, Dubai. Persino monsieur Alain Ducasse ha voluto esserci. «Una casa incarnata in un territorio» ha detto di questo luogo. Una festa in cui c’erano anche la 94enne Carla, cugina di Massimo e Luciano, custode di memorie che sanno di pasta fatta in casa e domeniche in famiglia, e Benedetta, figlia di Luciano e Antonia, nipote di Massimo, che rappresenta il futuro di una tradizione che non ha paura del domani (photo © Paolo Gepri).

>> Link: anticacortepallavicinarelais.it – ristorantealcavallinobianco.it

UMAMI PROFUNDO

LA CECINA DE BUEY DI JOSÉ GORDÓN, IL VALORE

DEL TEMPO IN UN BOCCONE

di Gaia Borghi

La Bodega El Capricho di José Gordón si trova nel tranquillo paesino rurale di Jiménez de Jamuz, sulla Via dell’Argento (Via de la Plata), la storica strada romana che collegava nord e sud della Spagna, nel cuore della Castiglia y León, tra antichi boschi di querce. Considerato uno dei migliori ristoranti di carne al mondo (quest’anno, ad esempio, è al sesto posto della classifica World’s 101 Best Steak Restaurants, ma da anni è fisso nella top ten), è un luogo divenuto quasi una meta di pellegrinaggio per gli appassionati dell’universo carnivoro, per quello che offre ma, soprattutto, per quello che rappresenta. In fondo siamo molto vicini alla rotta principale del Cammino di Santiago e un’aura di spiritualità circonda inevitabilmente anche la Bodega, venendo definito dagli stessi autori della World’s 101 Best Steak Restaurants come “Il Sacro Tempio del Bue”.

L’edificio — basso e suddiviso in più ambienti, molti dei quali sotterranei — sembra emergere senza soluzione di continuità da un terreno che qui, perlo-

meno nel mese in cui l’ho visitato, agosto, ha tutte le calde sfumature dell’ocra, dal giallo al marrone. Come se le sue fondamenta fossero le radici di una pianta o, meglio, di un organismo vivente che da quel terreno trae l’energia e la ragione stessa della sua esistenza. José Gordón è infatti un uomo profondamente legato alla sua terra, con un grande rispetto per il passato, cosciente del valore di ciò che è stato: «questo per me significa che devo mettere tutto il mio impegno e la mia attenzione nel mio lavoro perché c’è sempre il rischio di perdere tutto» afferma in un documentario a lui dedicato.

A pochi chilometri dal locale — che offre a chi è interessato la possibilità di effettuare la visita guidata della finca —, vivono i 300 buoi di 15 razze diverse del ceppo iberico — Cacheca, Tudanca, Mirandesa, Parda, Barrosa, Rubia gallega… — che José alleva con una cura rara che lo ha reso un punto di riferimento nel comparto allevatoriale a livello internazionale.

Animali maestosi, lenti e docili nei movimenti i buoi, «magici, mistici» dice

Gordón. «I miei buoi sono la mia vita. Sono in grado di capirli, di sapere cosa pensano e provano, non so perché, non so da dove arrivi questa speciale connessione ma c’è, è lì, e io non posso ignorarla». E ancora: «io penso che tutto sia energia, tutto sia interconnesso. La vita dell’animale è ciò che mangia, il terreno, la cura che gli riserviamo; tutto è collegato e tutto influenza la resa finale della carne, la sua consistenza, la texture, persino le sfumature del suo sapore. Se maltrattiamo gli animali, ci nutriremo di quell’abuso, perciò è fondamentale che stiano bene».

Allevatore ispirato, appassionato, maestro asador, selezionatore, cuoco, imprenditore e produttore vinicolo: d’altronde, la Bodega e tutto ciò che le ruota attorno nasce proprio dall’attività di vignaiolo del nonno di José, Segundo Gordón, che piantò le viti sui terreni più poveri del villaggio di Jiménez de Jamuz agli inizi del Novecento e scavò personalmente la cantina interrata (nel paese ce ne sono oltre 200!) oggi utilizzata come sala di degustazione del vino e dei salumi autoprodotti.

Tra gli imperdibili assaggi al tavolo della Bodega El Capricho c’è la Cecina de Buey Selección José Gordón: un concentrato di umami. Da ammirare prima, per la bellezza dell’elevata infiltrazione di grasso che ne caratterizza la fetta, e che le dona quel sapore unico, e poi da mangiare, con le mani, senza niente altro ad accompagnarla. Il valore del trascorrere del tempo racchiuso in una fetta perfetta

Cecina, bocado de reyes

Salchichón, Chorizo, Lengua curada, Morcilla de buey ma, soprattutto, Cecina: tra i prodotti lavorati e stagionati che Josè Gordón ottiene dalla carne dei suoi buoi è quest’ultimo sicuramente il più rappresentativo, uno dei simboli della Bodega El Capricho e, ne sono certa, il “curado” che vale il viaggio, lunghissimo, per arrivare fin qui (per info, c’è anche lo shop on-line…). Prima ancora, però, la Cecina è uno dei trasformati a base di carne bovina più antichi, noti e apprezzati della provincia di León, che nel 1994 ha ottenuto anche il riconoscimento comunitario dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP). Le Cecinas identificate e tutelate con l’Indicazione Geografica europea sono prodotte secondo le indicazioni del Disciplinare specifico e ne hanno le caratteristiche distintive. Ma qui ci troviamo di fronte ad una Cecina speciale, un vero e proprio bocado de reyes, come la descrivono nel presentarla.

José Gordón nel suo laboratorio produce diverse Cecinas di bue; la carne proviene da animali di razze

Salumeria Italiana, 5/25

1) Lingua stagionata di bue. 2) Un tavolo nella “cava” della Bodega El Capricho. In cucina, la realizzazione dei piatti è guidata dallo chef Diego Zárate 3) I buoi selezionati da José Gordón tra le regioni della Spagna e del Portogallo e allevati rispettando i ritmi naturali. 4) Josè Gordón e Gaia Borghi all’ingresso del ristorante. In prima pagina: l’incredibile texture della Cecina de buey. I pezzi interi di questa Cecina possono arrivare a pesare fino a 20 kg (photo © facebook.com/BodegaElCapricho). A pagina 61: una Cecina appesa nella sala di degustazione della Bodega El Capricho.

differenti, tutte dei propri allevamenti. Più in particolare, ne sono disponibili tre tipi — premium, extra e la selección José Gordón —, che si distinguono in primis in base alla minore o maggiore marezzatura e alla durata dell’invecchiamento.

La Cecina si ottiene dalla coscia dell’animale, la “pierna”, sottoposta a 40 giorni circa di maturazione e poi sezionata nei tre tagli: tapa, contra e babilla. Gli stessi vengono coperti da una “montagna di sale”, poi si aspetta il tempo che il Maestro cecinero ritiene opportuno per ogni pezzo. Successivamente inizia la prima fase di essiccazione e riposo a temperatura costante e umidità controllata per circa 6 mesi. Nella seconda e ultima fase di essiccazione e maturazione, che avviene nelle vecchie cantine sotterranee, perfette a questo scopo — “dove nulla dall’esterno può influire, dato che siamo sotto terra” —, sono la capacità e l’esperienza del Maestro cecinero a decidere lo strato di grasso di bue con cui verranno ricoperti i tagli per proteggerne la superficie e la velocità e le tempistiche finali del processo. La stagionatura delle Cecinas va da un minimo di 2 anni fino a 4 anni o più. Come nel caso della Cecina Selección José Gordón, ottenuta, come dice il nome stesso, dalla selezione personale di José; selezione prima dei capi e poi dei tagli, che devono presentare una elevata infiltrazione di grasso, che è ciò che le donerà quel sapore unico. Un prodotto di grande complessità gustativa, un concentrato di umami già al naso e poi in bocca, che si mangia con le mani, senza niente altro ad accompagnarla.

In Bodega si stanno sperimentando produzioni di Cecinas anche da altri tagli, sempre al fine di utilizzare ogni parte dell’animale, e quindi nella direzione del rendere omaggio al sacrificio che è la macellazione, e invecchiamenti differenti. Perché è proprio il tempo a volte l’alleato migliore dell’artigiano che vuole ottenere il migliore prodotto.

Bodega El Capricho

Calle Carrobierzo 28

24767 Jiménez de Jamuz (León), E Web: bodegaelcapricho.com @bodegaelcapricho

Premiata Salumeria Italiana, 5/25

TENUTA DEL LAGO SI EVOLVE

La filiera chiusa caratterizza la lavorazione della Mozzarella di Bufala

Campana DOP, che ora si può degustare nel nuovo punto vendita aziendale, insieme ad altri prodotti freschi a km 0

Tenuta del Lago nasce nel 2014 a Caiazzo, nel cuore delle colline caiatine, in Campania. Il progetto prende vita dalla volontà di valorizzare il territorio e la tradizione bufalina con un approccio moderno e sostenibile grazie

alla visione condivisa di Carlo Morgese, responsabile commerciale e marketing, e Ferdinando Spina, responsabile della produzione. L’attività unisce le competenze della famiglia Spina (già presente in passato nel settore lattiero-caseario) e quelle della famiglia Morgese (da oltre

50 anni attiva nel settore della GDO campana con la rete di supermercati Euroesse e nel mondo HO RE CA. con il Cash&Carry Eurocash). «Io e Ferdinando siamo amici di lunga data, con una profonda passione per l’agricoltura e il nostro territorio, che sognano di portare

in alto il valore del prodotto made in Italy» afferma Morgese. «Proveniamo da esperienze diverse, ma complementari. Come dice sempre il mio socio, “abbiamo unito le nostre competenze per creare un progetto che valorizzasse il lavoro agricolo con una visione moderna e rispettosa della tradizione”. La nostra forza è la complementarità: sappiamo ascoltarci e valorizzare le competenze reciproche».

La sede, Caiazzo, è stata una scelta naturale: una terra ricca di storia rurale e gastronomica che negli ultimi anni ha attirato sempre più attenzione da parte di imprenditori del settore food. Il luogo in cui sorge la tenuta è immerso nel verde, con un lago naturale generato da un’ansa del fiume Volturno.

Controllo di ogni fase

della produzione

Negli anni, Tenuta del Lago è cresciuta e da semplice azienda agricola si è trasformata in una realtà a filiera integrata, in cui ogni fase della produzione della mozzarella di bufala — dalla coltivazione dei foraggi alla mungitura fino alla trasformazione del latte — è interna.

I formaggi di Tenuta del Lago in degustazione nei nuovi spazi aziendali riservati all’assaggio e alla vendita con “vista” sulla zona di produzione.

«La filiera chiusa garantisce controllo totale, tracciabilità e qualità costante in ogni fase del processo. Coltiviamo direttamente i foraggi con cui nutriamo le bufale, curiamo l’allevamento in modo etico, gestiamo internamente la mungitura con tecnologie che rispettano i ritmi fisiologici degli animali e, infine, trasformiamo il latte nel nostro caseificio aziendale. Ogni fase è attentamente monitorata e questo approccio ci permette di offrire al consumatore un prodotto fresco, sano, trasparente, rispettoso dell’ambiente e del benessere animale». Il benessere delle bufale, infatti, è fondamentale per Morgese e Spina: le mungiture avvengono due volte al giorno nel rispetto dei ritmi fisiologici, gli animali sono seguiti fin dalla nascita, l’alimentazione è basata su foraggi autoprodotti e, quando possibile, le bufale pascolano liberamente.

ai vini campani e alle altre eccellenze gastronomiche scelte per valorizzare il territorio. «È un modo per raccontare la qualità della nostra filiera attraverso l’esperienza diretta. Il consumatore ha l’occasione di vedere con i suoi occhi come nasce la nostra mozzarella, di assaporare i prodotti in un contesto naturale e di conoscere il valore della cura quotidiana che dedichiamo agli animali e alla lavorazione artigianale. Per noi il cibo è anche relazione e cultura. Nel punto vendita è possibile osservare a vista, dietro un vetro, la zona di produzione, passeggiare tra gli allevamenti, incontrare le bufale e arrivare fino al lago naturale, fulcro della tenuta».

Oltre alla vendita diretta in azienda, i prodotti di Tenuta del Lago sono distribuiti in canali specializzati attenti alla qualità e alla tracciabilità del prodotto. «Collaboriamo con distributori in diverse città e aree d’Italia (Milano, Udine, Torino, Brescia, Sicilia, NdR) e all’estero: Polonia, Francia, Ungheria, Londra, Stoccolma, Panama. In Campania siamo presenti nei canali Ho.re. ca., Normal Trade e GDO».

Molteplici specialità di bufala Il prodotto di punta di Tenuta del Lago è la Mozzarella di Bufala Campana DOP, realizzata con metodi artigianali e latte fresco di bufala. A questa si affiancano altre specialità come la ricotta e lo yogurt di bufala, la mozzarella affumicata con paglia naturale, il burro di bufala e una gamma selezionata di altri prodotti caseari, tutti realizzati con cura e secondo tradizione. «Tra i nostri prodotti c’è anche la mozzarella di bufala frozen, che sta riscuotendo grande successo nei mercati esteri» puntualizza Morgese. «Infatti, mantiene intatte le caratteristiche organolettiche, garantendo qualità e freschezza anche a lunga distanza. La prossima novità sarà la versione senza lattosio, pensata per chi cerca leggerezza e digeribilità senza compromessi sul gusto».

Degustazioni e nuove esperienze

Recentemente i due soci hanno rilanciato l’identità dell’azienda, introducendo un nuovo spazio dedicato alla vendita diretta e alle degustazioni, con l’obiettivo di accorciare le distanze tra produttore e consumatore. All’interno del nuovo spazio aziendale è possibile acquistare tutti i prodotti freschi e degustarli in loco: dalla gamma di prodotti della filiera bufalina alla selezione di salumi artigianali fino ai prodotti da forno locali,

Ma i progetti non finiscono qui. Carlo e Ferdinando stanno lavorando per arricchire l’esperienza in Tenuta con attività legate al turismo gastronomico e, in futuro, per sviluppare anche il turismo naturalistico e lacustre, con percorsi di visita attorno al lago, aree relax, picnic e attività per famiglie e scuole. «Prevediamo visite guidate agli allevamenti e al caseificio, laboratori esperienziali e momenti educativi per scoprire il “mondo della bufala” e la produzione del latte e dei formaggi» annuncia Morgese. «Un’esperienza immersiva pensata per tutti, dagli appassionati ai professionisti del settore. Uno dei nostri punti di forza è il lago naturale, attorno al quale vogliamo sviluppare percorsi naturalistici, passeggiate, aree didattiche e relax. Puntiamo anche a nuovi mercati internazionali, sempre nel rispetto della nostra identità, e all’ampliamento dell’offerta bufalina. Vogliamo rendere Tenuta del Lago un punto di riferimento per chi cerca qualità, autenticità e connessione con il territorio».

Veronica Fumarola

>> Link: www.tenutadellago.com

CASEIFICIO NEVE DELL’ETNA, CIRCOLARITÀ, TRADIZIONE E MODERNITÀ

Con l’innovazione della tecnologia Criocabin, porta il prodotto artigianale dal pascolo alle tavole dei siciliani di Elena Benedetti

In un’epoca in cui il cibo industriale domina gli scaffali, scegliere prodotti come quelli del Caseificio Neve dell’Etna significa fare una scelta consapevole, etica e gustosa. Significa sostenere chi lavora ogni giorno per mantenere viva la cultura alimentare siciliana, proteggere la biodiversità locale e valorizzare le eccellenze di un territorio unico al mondo.

Il Caseificio Neve dell’Etna coniuga passione, competenza, sostenibilità e innovazione tecnologica.

In alto: il murale refrigerato Criocabin Elios EI700S da 187.5, capolavoro di sinergia tra design ed elevata visibilità dei prodotti esposti. In basso: il retrobanco ventilato Eride di Criocabin raddoppia la superficie espositiva in maniera dinamica. Posto dietro al banco a servizio assistito, è studiato per attirare su prodotti, posizionati in maniera accattivante, l’attenzione del cliente che, di fronte all’operatore, attende di essere servito. Ciò lo rende ideale per la vendita di salumi e formaggi.

In Sicilia, la valorizzazione del territorio passa spesso attraverso la filiera corta e artigianale: processi produttivi che si snodano dall’allevamento locale alla vendita diretta, garantendo trasparenza, freschezza e genuinità. Un modello virtuoso per l’economia del territorio e la tutela del paesaggio agrario. Questo tipo di sistema rispetta i ritmi naturali degli animali e delle produzioni casearie tipiche, preservando varietà del luogo, tradizioni secolari e il legame profondo tra territorio e cultura gastronomica. In un contesto in cui l’agroindustria tende a standardizzare le produzioni, l’artigianalità garantisce unicità, qualità sensoriale, gusto e anche valori nutrizionali elevati, come dimostrato dai formaggi freschi e dagli stagionati siciliani. Inoltre, le filiere chiuse favoriscono la sostenibilità ambientale, riducono gli sprechi e permettono un’equa distribuzione del valore tra allevatori, casari e consumatori.

Un bell’esempio di circolarità è rappresentato dal Caseificio Neve Dell’Etna, avviato una quindicina di anni fa da Giuseppe Sgroi a Mascali, alle pendici del vulcano, nella provincia catanese, luogo ideale per i pascoli e la produzione di latte di qualità. Con alle spalle oltre 30 anni di esperienza come allevatore di ovini e caprini, Sgroi prosegue la tradizione familiare nella lavorazione del formaggio e della

Situato a Mascali, alle pendici del vulcano, il Caseificio Neve dell’Etna è molto più di un laboratorio di trasformazione lattiero-casearia: rappresenta infatti un esempio di filiera corta e produzione artigianale radicata nel territorio. Frutto della passione di Giuseppe Sgroi, allevatore con oltre 30 anni di esperienza, che ha trasformato il proprio sapere in un’impresa familiare che coniuga tradizione e innovazione

sua celebre ricotta. Il Caseificio Neve dell’Etna si distingue per l’uso esclusivo di latte italiano, proveniente da pascoli siciliani, lavorato secondo sapere artigianale e con alti standard qualitativi. La filiera parte dall’allevamento diretto e di proprietà, con circa 500 capi tra pecore e capre. Il latte prodotto viene quindi lavorato nel laboratorio interno, garantendo freschezza e tracciabilità. Il caseificio offre una vasta selezione di formaggi freschi e stagionati: ricotta, mozzarelle, scamorze, burrata, stracciatella, caciocavallo, provola, oltre a prodotti caseari aromatizzati o speciali come il formaggio al finocchietto, al pistacchio, al vino, alla cipolla, fino al “Nero di Sicilia” prodotto con latte ovino e caprino crudi e pepe nero. Tra i prodotti di punta c’è sicuramente la ricotta infornata — riconosciuta tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali — lavorata con latte misto ovino e caprino e cotta al forno ad alta temperatura.

Il Caseificio Neve dell’Etna non è solo un luogo di produzione, ma anche di accoglienza del cliente e di vendita, con due sedi. In quella di Mascali, è possibile assistere alla produzione della ricotta e assaggiarla fresca e calda, come si faceva un tempo nelle masserie. Un’esperienza autentica, che permette di scoprire il gusto vero del latte appena cagliato.

Per l’allestimento dei suoi negozi Giuseppe Sgroi ha scelto di affidarsi a Criocabin, azienda padovana leader nel design e nella produzione di banchi per la refrigerazione. Latticini, formaggi e persino gelati sono conservati ed esposti al meglio grazie alla tecnologia Criocabin, dal murale refrigerato Elios EI700S da 187.5 al retrobanco ventilato Eride ED700 N da 125. Design moderno ed essenziale per una tecnologia espositiva e di conservazione che punta alla valorizzazione massima dei prodotti, rendendo “onore” alla loro bellezza esterna e interiore.

Elena Benedetti

Caseificio Neve Dell’Etna

Via Giarre Nunziata 43 95016 Mascali (CT)

Mob.: 349 6689205

Web: caseificionevedelletna.com @caseificio_neve_delletna

Criocabin Spa

Via S. Benedetto 40/A

35037 Praglia di Teolo (PD) Telefono: 049 9909122

E-mail: info@criocabin.com

Web: www.criocabin.com

ERGONomiA E ACCESSIBILITÀ

Un design innovativo che accresce la visibilità dei prodotti esposti avvicinandoli al cliente garantendo un accesso totale per l’allestimento e la pulizia.

INNOVARE ATTRAVERSO LA DIGITALIZZAZIONE CON L’ERP

CSB-SYSTEM

Che si tratti di modernizzazione di uno stabilimento già esistente o della costruzione di uno nuovo, vantaggi competitivi si raggiungono solo se tecnologie, processi e desideri dei clienti sono in perfetta sintonia. In qualità di specialista IT per il settore alimentare, il gruppo CSB-System è il partner giusto per realizzare tutto questo.

L’ERP è il cuore della digitalizzazione

Grazie all’esperienza accumulata in oltre 45 anni di implementazioni all’avanguardia, di cui la maggior parte nel settore carne, oggi l’ERP CSB-System offre funzionalità estese per tutte le aree aziendali ed è impiegato a livello globale in oltre 50 Paesi, essendo disponibile in più lingue, anche in cloud e app In virtù della sua struttura modulare, il CSB-System include la possibilità di un ampliamento flessibile nel tempo, a seconda delle esigenze aziendali, che sono in continua evoluzione. Proprio per questo CSB-System è adatto anche alle piccole e medie industrie che abbiano piani ambiziosi e fiducia nel futuro.

Cockpit Management

Utilizzando unità di misura a scelta, indici e KPI esatti, e grazie all’integrazione di tutte le aree aziendali, CSB-System controlla le performance dei processi e fornisce in ogni momento alla direzione aziendale informazioni corrette e aggiornate su:

• ricevimento merci, per una valutazione dei fornitori e una corretta lavorazione delle materie prime;

• produzione , che a causa della crescente complessità del mercato e della pressione dei costi, è necessario rendere sempre più flessibile ed efficiente;

• intralogistica, con l’indice di OEE (Overall Equipment Effectiveness) per misurare l’efficienza di macchine, impianti o interi reparti;

• giacenze di magazzino, per ottenere una copertura completa dei fabbisogni di materie prime con un vincolo di capitale il più ridotto possibile;

• margine di contribuzione, per reagire meglio alle oscillazioni dei mercati delle materie prime senza incidere sulla capacità di consegna anche per ordini minimi.

Flusso completo dei dati

Grazie alla quantità e alla qualità dei dati raccolti durante i flussi di lavorazione, CSB-System gestisce in maniera efficace:

• etichettatura e identificazione di articoli, casse, pallet tramite codici a barre, RFID, collegamenti a pesoprezzatura e persino attraverso il riconoscimento automatico delle immagini basato su IA tramite CSB Eyedentifier;

• comunicazione tra hardware, software e persone attraverso M-ERP, interfacce grafiche semplificate e tecnologie basate sul linguaggio (si pensi ad esempio alla soluzione pick-by-voice per l’evasione ordini);

• collegamento in rete tra software e macchine per avere una manutenzione predittiva senza lacune perché interruzioni involontarie nella produzione possono causare disservizi difficili da recuperare.

Automazione robotica

Soluzioni di automazione e robotica servono a perfezionare l’interazione di dati e flussi merci. CSB-System ha

Acquisizione dati al CSB Rack.

sviluppato proprio in quest’ambito standard altamente innovativi, in particolare nella gestione di impianti di produzione e confezionamento, delle linee di pesoprezzatura, nei sistemi semi-automatici di evasione ordini, negli impianti automatici di depallettizzazione e smistamento e nei magazzini a scaffalature per pallet o singole casse, oltre all’uso di dispositivi mobili sempre e ovunque che dialogano con l’ERP centrale.

Trend e innovazione

Intelligenza artificiale e algoritmi hanno conquistato nuovi campi di applicazione nella lavorazione della carne e sono contemplati ormai da tempo nell’ERP CSB-System. Vale la pena menzionare il CSB Image Meater, primo strumento automatico approvato in Italia per la classificazione automaticamente delle carcasse suine senza il supporto di

personale, con una velocità di classificazione fino a 1.300 suini all’ora, in maniera non invasiva e con standard igienici avanzati. E ancora il CSB Eyedentifier, un sistema di riconoscimento automatico delle immagini basato sull’IA, che “impara” ad identificare autonomamente i prodotti, per esempio i tagli di carne nelle casse, per indirizzarli verso i magazzini automatici o allo step di lavorazione successiva.

Integrazione globale

oltre i confini dell’azienda

La trasformazione digitale ha aperto nuove possibilità per ridurre i costi, aumentare la competitività e garantire la sicurezza alimentare. Con software, hardware service e business consulting, tutto in un’unica soluzione, l’ERP CSBSystem già oggi fornisce la migliore soluzione per le sfida di aziende di qualsiasi dimensione.

Referente:

• Dott. A. MUEHLBERGER

CSB-System Srl

Via del Commercio 3-5

37012 Bussolengo (VR)

Telefono: 045 8905593

Fax: 045 8905586

E-mail: info.it@csb.com

Web: www.csb.com

H.E.I., la nuova frontiera del Metodo Cuomo e di Stagionello®: innovazione basata su conoscenza ed esperienza

AHostMilano 2025 , Stagionello ® presenterà H.E.I. – Human, Experiential, Intelligence , nuova fi losofi a applicata alla trasformazione alimentare, sviluppata da Alessandro Cuomo, ideatore del Cuomo Method® e della tecnologia brevettata Stagionello®. Il principio fondante è l’integrazione di scienza, esperienza professionale e innovazione tecnologica per garantire sicurezza alimentare, qualità certificata e sostenibilità produttiva.

Gli impianti Stagionello® non sono concepiti come semplici macchine di produzione, ma come veri e propri centri

di conoscenza. Ogni fase operativa, dalla gestione climatica alla regolazione microbiologica, è supportata da protocolli di validazione scientifica e da percorsi di formazione professionale continua.

La Stagionello® Academy, sviluppata in collaborazione con le Università di Bologna, Milano e Napoli, rappresenta il fulcro di questa visione. Qui si applicano metodologie basate su evidenze scientifiche e si validano processi, sistemi e ingredienti attraverso studi condotti da docenti ed esperti di medicina veterinaria, biologia e tecnologie alimentari.

Cuomo Method®: validazione scientifica e innovazione tecnologica

Frutto di oltre vent’anni di ricerca, il Cuomo Method® è il tratto distintivo delle tecnologie Stagionello®. Permette di gestire e monitorare parametri fondamentali come pH dell’alimento, temperatura, umidità e ventilazione, preservando proprietà organolettiche e nutrizionali. La filosofia operativa non sostituisce l’uomo con la macchina: al contrario, la tecnologia potenzia le capacità decisionali dell’operatore, fornendo dati precisi per scelte mirate e sicure. Ogni processo è continuamente

Protagonista ad HostMilano 2025 sarà la tecnologia brevettata (EP2018806897) dello Stagionello® Salami Curing Device. Gli armadi e le celle per la stagionatura aerobica e la fermentazione dei salumi tradizionali sono dotati di un sistema di pHmetria integrato che assicura il mantenimento del range del pH ideale per una fermentazione sicura e controllata. Grazie al monitoraggio preciso dei processi di stufatura, cottura, asciugatura, fermentazione, affumicatura e stagionatura, la tecnologia Stagionello® garantisce una gestione ottimale dell’attività dell’acqua, prolungando la shelf-life dei salumi fino a 12 mesi.

validato in collaborazione con istituti di ricerca di eccellenza, così da assicurare innovazione sostenibile e standard di sicurezza elevati.

La soluzione presentata a HostMilano 2025: Stagionello® Salami Curing Device

Protagonista ad HostMilano 2025 sarà la tecnologia brevettata (EP2018806897) dello Stagionello® Salami Curing Device

Gli armadi e le celle per la stagionatura aerobica e la fermentazione dei salumi tradizionali sono dotati di un sistema di pH-metria integrato, che assicura il mantenimento del range del pH ideale per una fermentazione sicura e controllata. Grazie al monitoraggio preciso dei processi di stufatura, cottura, asciugatura, fermentazione, affumicatura e stagionatura, la tecnologia Stagionello® garantisce una gestione ottimale dell’attività dell’acqua, prolungando la shelf-life dei salumi fino a 12 mesi

La progettazione degli armadi e delle celle Stagionello® è pensata per

In alto: la progettazione degli armadi e delle celle Stagionello® è pensata per assicurare massima igiene e sicurezza alimentare. In basso: alla Stagionello® Academy si applicano metodologie basate su evidenze scientifiche e si validano processi, sistemi e ingredienti attraverso studi condotti da docenti ed esperti di medicina veterinaria, biologia e tecnologie alimentari.

Le Masterclass a Host saranno dedicate alla trasformazione e maturazione dei salumi. Chef, norcini e professionisti del settore guideranno i visitatori, mostrando dal vivo come sia possibile ottenere salumi di alta qualità, sicuri e privi di additivi artificiali.

assicurare massima igiene e sicurezza alimentare. Realizzati in acciaio inox

AISI 304, i dispositivi includono il sistema integrato Fumotic®, che permette di: eseguire un’affumicatura aromatizzata, controllare umidità e calo di peso dei salumi e ottimizzare l’asciugatura degli insaccati grazie a una ventilazione avanzata che regola la termodinamica. La pulizia è resa semplice dal sistema Cleaning in Place (C.I.P.), che automatizza il lavaggio, la sanificazione e l’asciugatura della camera microclimatica, riducendo i tempi di manutenzione e prevenendo contaminazioni batteriche. Con il Registro HACCP, i parametri di sicurezza alimentare sono costantemente monitorati, visualizzabili sul display, scaricabili e stampabili.

Cosa puoi fare con Stagionello®

Salami Curing Device

Con il sistema Sicur Food Control® e il Ricettario Climatico®, hai a disposizione 30 ricette climatiche preimpostate per fermentazione, asciugatura, affumicatura, stagionatura e cottura, ideali per produrre salumi, prosciutti e mortadelle tradizionali italiani. I processi microclimatici programmabili del Ricettario Climatico® consentono di realizzare

salami, speck, coppe e guanciali in armadi, vetrine e celle frigorifere dal design esclusivamente italiano.

Le Masterclass a HostMilano

Allo stand Stagionello® (Pad. 4P | Stand L09 – M10), durante tutta la manifestazione, verranno organizzate Masterclass esclusive dedicate proprio alla trasformazione e maturazione dei salumi. Chef, norcini e professionisti del settore guideranno i visitatori, mostrando dal vivo come sia possibile ottenere salumi di alta qualità, sicuri e privi di additivi artificiali. Le sessioni saranno anche un’occasione di confronto diretto con formatori, tecnologi alimentari e operatori, creando un momento unico di aggiornamento professionale e scambio di competenze

Innovazione orientata all’uomo

Con la filosofia H.E.I., Stagionello® ribadisce che la vera innovazione non consiste nella sostituzione dell’uomo con la macchina, ma nella creazione di tecnologie che amplificano competenze e conoscenze, mettendo al centro la professionalità dell’operatore.

Raffaele Arcuri

• Per informazioni e prenotazioni alle Masterclass di HostMilano 2025 è possibile scansionare il QR-Code e richiedere una consulenza dedicata. Il futuro della trasformazione alimentare passa dalla conoscenza e dall’esperienza: i pilastri alla base della filosofia H.E.I.

>> Link: www.stagionello.com

EUROCRYOR FIRMA A CASAL DI PRINCIPE UN ESCLUSIVO CASEIFICIO D’AUTORE

Eurocryor, marchio del Gruppo Epta specializzato nella progettazione e realizzazione di vetrine frigorifere dall’alta valenza estetica e prestazionale, firma il progetto Firme di Bufala, il Caseificio d’Autore recentemente inaugurato a Casal di Principe, Caserta

Firme di Bufala, il Caseificio d’Autore recentemente inaugurato a Casal di Principe, in provincia di Caserta, è il primo punto vendita della famiglia Schiavone, che vanta decenni di esperienza nel settore dell’allevamento bufalino, e che promette di raccontare il territorio attraverso il gusto autentico dei suoi prodotti, tra cui spicca una delle eccellenze più rinomate del patrimonio alimentare campano: la mozzarella di bufala DOP.

Nel negozio, l’innovazione tecnologica delle soluzioni di refrigerazione incontra la tradizione casearia e salumiera, confermando il ruolo degli arredi refrigerati quale garanzia di qualità dell’intera filiera, fondata sulla passione per il lavoro artigianale e rigorosamente a km o.

Dalla definizione di un’alimentazione nutriente ed equilibrata per i bovini, a base di foraggio coltivato in loco, alla lavorazione del latte di bufala, fino alla conservazione dei preparati, ogni fase è infatti concepita per soddisfare i consumatori più esigenti.

Comfort incontra il gusto: l’arredo su misura dell’atelier dei sapori

In un progetto tanto ambizioso, anche la modalità di esposizione e conservazione degli alimenti riveste un ruolo strategico. Con l’obiettivo di valorizzare il ricco assortimento di eccellenze gastronomiche locali e trasformarsi in un vero e proprio atelier dei sapori, Firme di Bufala ha optato per il modello Comfort Maxi della famiglia Elementi di Eurocryor, concepito per coniugare eccellenti performance di refrigerazione con una disposizione accattivante delle referenze.

Ideale per arredare i negozi di prossimità, il banco tradizionale si contraddistingue per una lunghezza e profondità della vasca maggiorate, ampie vetrate e illuminazione LED interna, tale da garantire la massima visibilità di ogni dettaglio. Tra i punti di forza del modello figurano, inoltre, la presenza di una cella refrigerata nella sezione inferiore, per incrementare lo spazio di stoccaggio e agevolare la fase di rifornimento, e l’apertura Windows

Con l’obiettivo di valorizzare il ricco assortimento di eccellenze gastronomiche locali e trasformarsi in un vero e proprio atelier dei sapori, Firme di Bufala ha optato per il modello Comfort Maxi della famiglia Elementi di Eurocryor, concepito per coniugare eccellenti performance di refrigerazione con una disposizione accattivante delle referenze. In dettaglio, il frontale selezionato presenta una scritta luminosa dal design raffinato, che sottolinea l’identità del marchio direttamente sull’arredo.

Opening, che semplifica le operazioni di servizio: entrambi accorgimenti studiati per ridurre gli sforzi degli operatori e migliorare l’ergonomia sul posto di lavoro.

In aggiunta, il banco si configura come una soluzione estremamente flessibile, sia in termini funzionali, con il ripiano superiore pensato per ospitare i secchi, incentivando abbinamenti tra prodotti complementari e il cross mer-

chandising, sia in termini estetici, grazie alla personalizzazione di ogni elemento. In dettaglio, il frontale selezionato presenta una scritta luminosa dal design raffinato, che sottolinea l’identità del marchio direttamente sull’arredo, con grande efficacia comunicativa.

Grazie all’esclusivo allestimento firmato Eurocryor, e alla collaborazione con il loro partner Angelo Piscopo, la mozzarella di bufala, autentico

oro bianco campano, entra in scena per conquistare gli appassionati con un’esperienza di gusto indimenticabile.

>> Link: www.eurocryor.com

I NUOVI SALUMI PUGLIESI VENGONO DAL VERSANTE IONICO

Con il brand “Il Grigliator – Gli Stagionati” di Angelo Losavio

di Gianluca Bianchini

Nel panorama norcino italiano Angelo Losavio, classe 1989, ristoratore di Palagianello in provincia di Taranto, rappresenta un’eccezione. Non nasce come artigiano o come commerciante, bensì come cuoco. Il suo percorso professionale parte dall’istituto alberghiero di Castellaneta (TA), che gli dà la possibilità di lavorare per attività ristorative di un certo livello, dove impara tanto. Tanto ai fornelli quanto al banco carni, dove i macellai gli insegnano i tagli anatomici e il loro impiego in cucina.

A dire la verità, però, la sua passione per i salumi risale all’infanzia. «Da ragazzino assistevo alla macellazione dei maiali, perché dalle mie parti resiste l’usanza di produrre salumi per uso familiare» racconta Angelo.

Con questo background, è naturale per lui, in quanto organico allo staff dei secondi, affiancare i macellai e, poco per volta, iniziare a frequentare corsi di formazione — sul disosso, sui tagli anatomici, sui preparati e sulle cotture — specializzandosi sempre più nella cosiddetta ristorazione carnivora. Uno dei corsi decisivi è quello sulla frollatura tenutosi a Roma con Braciamiancora di MICHELE RUSCHIONI nel 2019. «Grazie a quel corso — afferma Angelo — ho compreso l’importanza delle muffe nobili, un ingrediente fondamentale

Gli stagionati di manzo realizzati da Angelo Losavio con carne di Wagyu allevato in Basilicata: la bresaola (a sinistra), la pancetta e il capocollo (a destra). I salumi sono stati così apprezzati e richiesti nel suo ristorante di Palagianello, che il cuoco ha deciso di avviare una produzione maggiore con il marchio Il Grigliator – Gli Stagionati.

per produrre salumi di grande qualità, in particolare gli stagionati di manzo».

Oltre a capocolli, lonzini, salsicce e salami spalmabili, infatti, il prodotto di punta del ristoratore di Palagianello è la pancetta di Wagyu e nel loro insieme tutte queste prelibatezze sono così apprezzate e richieste in provincia che Angelo ha deciso di avviare una produzione salumiera con il marchio: Il Grigliator – Gli Stagionati.

Il Grigliator è anche il nome del suo ristorante. Si tratta di un tipico fornello pugliese, ammodernato e successivamente ampliato, e che riflette sia la sua personalità sia il carattere dei luoghi in cui è nato. «Quella di Palagianello — spiega Angelo — è una realtà rustica, vocata all’agricoltura, dove si pensa più alla sostanza che alla forma. Non è un caso se i miei impiattamenti sono molto semplici».

Attorno al paese si aprono le gravine, depressioni calcaree scavate dall’acqua, dove crescono le erbe tipiche della macchia mediterranea: il timo, il rosmarino, la salvia, il finocchietto selvatico. Sono queste erbe, assieme ai frutti degli agrumeti, anch’essi tipici del territorio, che vanno a insaporire i salumi di Angelo.

Salumi che nascono, grazie a un’ottima materia prima e ad una tecnica particolare, frutto del suo estro e

della sua esperienza. La materia prima viene da esemplari di Duroc o incroci (particolarmente saporiti) di Duroc con suino Nero pugliese e lucano. Per la precisione si tratta di scrofe, allevate allo stato semibrado, che seguono una dieta volta ad evitare l’accumulo di acqua nei muscoli. Queste scrofe vivono minimo due anni, raggiungendo un peso di almeno 110 kg, grazie ad un finissaggio a base di mais, carrube e altri alimenti biologici. Solo con queste premesse le carni possono essere lavorate con la salatura a freddo. «Questo tipo di lavorazione, che esiste da tempo, io l’ho appresa spontaneamente nel corso del mio lavoro» afferma Angelo. «In pratica, faccio essiccare le bucce degli agrumi (limoni e arance) e le erbe della macchia mediterranea, ci aggiungo del sale integrale e poi macino tutto ottenendo una sorta di rub che vado a strofinare sul salume».

La differenza fra la salatura a freddo e quella tradizionale è che quest’ultima viene realizzata con sale grosso ad una

temperatura compresa fra i 9 e i 12 °C, mentre la salatura a freddo avviene a una temperatura compresa tra 0 e 4 °C utilizzando del sale integrale. «La differenza fra queste due tecniche di salatura si vede a occhio nudo» fa notare il ristoratore. «La salatura classica è più aggressiva: produce, infatti, una linea scura attorno alla superficie del salume per via del sale che rompe i tessuti, un difetto assente con la salatura a freddo che invece è molto più delicata».

Anche per gli stagionati di manzo Angelo utilizza femmine. Parliamo di manze o scottone, le cui carni sono lavorate con la stessa tecnica appena descritta. Tutto è nato qualche anno fa, grazie a una collaborazione con un’azienda della Basilicata che alleva Wagyu. Per questa azienda (la Ma.Bi. Farm) Angelo funge da rappresentante, quindi, per acquistare il Wagyu, allevato in Basilicata, bisogna interfacciarsi con lui e «siccome si tratta di una carne che si vende poco per volta e ce ne è tanta — una carcassa arriva a pesare mezza

tonnellata —, ho pensato di fare gli stagionati di manzo». Ottenuti ora con la picanha ora con la pancetta. «La pancetta è il prodotto di punta — continua — quando la assaggi le papille gustative ti esplodono letteralmente in bocca, per via del sapore intenso e tendente al dolce, tipico del Wagyu».

La bontà di questi salumi ha conquistato tutti in paese, sia i clienti in sala che i colleghi ristoratori, i quali gli hanno chiesto una cortesia: di poterli vendere anche nei loro locali. Prodotti prelibati, molto apprezzati e che hanno mercato: così è nato il marchio Il Grigliator. «I salumi di maiale sono più facili da proporre, perché si possono mangiare da soli, senza particolari abbinamenti —- puntualizza Angelo — invece, per gli stagionati di Wagyu il discorso cambia. Per via del loro sapore intenso, che si amplifica al palato, consiglio di accompagnarli con i tarallucci o con un pane ai cereali che vada a sgrassare la bocca».

Riguardo ai prezzi, il capocollo di maiale è venduto a 25,00 €/kg, mentre la pancetta di Wagyu si può acquistare a 32,00 €/kg. In entrambi i casi parliamo di prodotti dal gusto inedito, arricchito dalle ricette di Angelo e in particolare dai suoi rub. «Ad esempio, il nostro capocollo, rispetto a quello di Martina Franca, è meno sapido e somiglia più ad un prosciutto dolce, tipo quello di Parma. Anche se, prosciutti crudi per problemi di spazio non li posso produrre». Al momento infatti Angelo usa uno stagionatore a doppia anta, dove non c’è spazio per una coscia di maiale, quindi al massimo lavora le spallette, ma non è detto che in futuro non si possa lavorare anche il prosciutto crudo.

«Nel mio locale c’è una cantina scavata nel tufo. Il progetto è quello di trasformarla, con l’ausilio di un motore, in uno stagionatore ad umidità e temperatura controllata e lavorare così anche il prosciutto crudo». Nel frattempo, ci si deve accontentare, per modo di dire, del prosciutto cotto, che è un altro prodotto di una bontà infinita, perché arrostito alla brace e affumicato con legna di ulivo.

Gianluca Bianchini

Il Grigliator

Angelo Losavio con i suoi salumi.

I SALUMI COTTI: UN PRODOTTO SPESSO SOTTOVALUTATO

Sembra che i salumi cotti siano meno considerati di quelli crudi. Forse a ragione, forse no, un tour alla scoperta di alcuni prodotti di nicchia cotti e di chi li produce artigianalmente

di Lara Abrati

Isalumi cotti non hanno la stessa attenzione che si dedica a quelli crudi e agli insaccati. Considerati spesso di minor valore, forse per la facilità (erroneamente percepita come tale) nel nascondere i loro difetti, forse per l’assenza della fase dedicata alla stagionatura e la velocità nella loro produzione. Eppure, anch’essi richiedono cura e attenzione, sia nella scelta della materia da cui partire che nel processo di produzione, trasformazione e cottura. Vero però è che, forse, sono i più adatti per la produzione industriale: basta acquistare la materia prima e avere i macchinari per la trasformazione e… voilà, il gioco (sembra) fatto. Ma osservando la nostra Penisola e le sue produzioni artigianali, possiamo facilmente capire che così non è, soprattutto per i salumi cotti del Nord e Centro Italia. Pensiamo ai più famosi, dal prosciutto cotto alla mortadella, ma anche alla spalla cotta. Questi sono tra i prodotti salumieri più conosciuti e consumati. Uniti alle produzioni più piccole, come i würstel, la pancetta cotta o lo speck cotto ad esempio, diventano una fetta importante del cibo che scegliamo di portare sulla nostra tavola.

Perché, allora, come per altri prodotti, non puntare all’eccellenza? Perché, a differenza della GDO, nelle piccole botteghe artigianali e salumerie specializzate, non puntare ad un prodotto che non vada nemmeno in concorrenza con quelli industriali che comunemente si trovano al supermercato?

In un periodo dove l’attenzione alla qualità del cibo che portiamo in tavola, ma anche e soprattutto alla sua quantità, è sempre maggiore, forse questa potrebbe essere la scelta più difficile, ma anche quella che, alla lunga, porterà a grandi soddisfazioni.

La differenza sul banco salumi Esistono tantissime produzioni artigianali di salumi cotti nel nostro Paese, basta discostarsi dalle grandi produzioni industriali e avvicinarsi alle piccole distribuzioni e selezioni di buoni prodotti. Dall’Alto Adige fino alla Valle d’Aosta, con il suo Saint Marcel, prosciutto cotto con le erbe di montagna (ne esiste anche una versione cruda), ma anche il Jambon alla brace di Saint-Oyen, cotto sullo spiedo sopra le braci e anch’esso cosparso di erbe di montagna.

Sempre in Nord Italia, dal Piemonte al Piacentino, esiste anche il salame cotto, preparato con carni macinate, insaccate e cotte. Spostandoci in Alto Adige, troviamo i famosi würstel, ma anche lo speck cotto, noto per la sua tenerezza e i suoi aromi confortevoli. Spostandoci verso le zone del Sud, famosa e celebre è la porchetta, da affettare e mettere nel panino, ma anche la coppa di testa, preparata in diverso modo in base alla zona. Ovvio che non bisogna trascurare i prosciutti cotti, ma anche la spalla cotta, spesso ridotta a mera farcitura poco costosa per la pizza, ma anche la mortadella Anche per queste produzioni celebri esistono tanti produttori artigianali, che potranno far fare la differenza al vostro banco dei salumi.

Come i salumi cotti di Bettella, allevatore suinicolo conosciuto per portare i suini a una dimensione rilevante, anche 300 kg, e per il marchio registrato Maiale Tranquillo®. Dal prosciutto cotto alla mortadella, alla spalla cotta, fino al prodotto nato per valorizzare le carni e il grasso di suini così grandi: il Cotto di gioia (www.salumibettella.it)

Poi la mortadella firmata Artigianquality, un laboratorio con sede a Bologna dove viene prodotto il salume in esclusiva, dalla variante classica a quelle più speziate, il salame rosa,

l’antenato della mortadella, con le parti tagliate a punta di coltello e cotto a lungo, fino a 24 ore, e la mortadella di Mora Romagnola.

Sempre restando in tema mortadelle, merita menzione per la sua grande bontà Favola, del modenese Salumificio Palmieri, l’unica insaccata e cotta lentamente in cotenna (palmierisalumi.it).

Tra i prosciutti cotti, c’è il Nustràn di Italprosciutti (www.italprosciutti.it), prodotto con suini del territorio e filiera locale, e la linea dei prosciutti cotti Alta Qualità del Salumificio Villani, che produce anche la culatta cotta e la pancetta cotta, così come le mortadelle La Santo, La Ghiotta, La Festa e La Sbagliata, che prevede l’utilizzo di tutte le parti classiche con l’aggiunta di carne di coscia (www.villanisalumi.it).

Infine, una menzione meritano i prodotti a firma Angelo Capitelli, con tutti i salumi cotti artigianali fuori stampo (cottocapitelli.com). Insomma, c’è un mondo di opportunità anche per i salumi cotti artigianali: prodotti spesso sottovalutati, ma che possono regalare grande soddisfazione gastronomica, andando così oltre il “solito” prosciutto cotto o la “solita” mortadella.

Lara Abrati

Nota

Photo © Matteo Zanardi.

A sinistra: Nustràn, “Prosciutto Cotto Alta Qualità del Territorio” di Italprosciutti. In alto: il Cotto di gioia Bettella da Maiale Tranquillo®.

DODICI STRATI DI CARTA E UN PROSCIUTTO COTTO… NELL’ASFALTO

di Riccardo Lagorio

La Val de Travers si allunga obliqua dalle sponde del lago di Neuchâtel, in Svizzera, fino al confine francese. Una delle attrazioni turistiche delle valle sono le miniere di asfalto costituite da calcari bituminosi che si formarono 120 milioni di anni fa per impregnazione, evaporazione e ossidazione del petrolio di un antico giacimento. Per quasi tre secoli, dal 1717 al 1986, dai fianchi della montagna è stato estratto un minerale ricco di bitume, creando un labirinto di gallerie lunghe quasi 100 km.

L’asfalto di Travers fu scoperto da tale Eirini d’Eyrinys, professore di greco e sedicente medico, uomo di cultura e di grande curiosità scientifica. Con cocciutaggine iniziò a scavare in una delle regioni minerarie più povere d’Europa, forse alla ricerca di carbone perché colpito dalla presenza di masse calcaree nere e untuose accanto al fiume Areuse. Presto si accorse che da quelle miniere (le prime erano a cielo aperto) avrebbe potuto estrarre solo asfalto, gettando per esso le basi per l’applicazione in epoca moderna nel

suo “Dissertation sur l’asphalte ou ciment naturel” stampato a Parigi nel 1721. Intorno al 1830 iniziò lo sfruttamento del giacimento La Presta, che si trova sul versante meridionale della valle.

Impiegato già prima del 1850 nei centri urbani più importanti per la pavimentazione di ampie superfici (marciapiedi, ponti e vie), l’asfalto fu in seguito adottato anche per le strade. Così, tra il 1960 e il 1986, l’estrazione fu in capo a uno dei più potenti gruppi europei di costruzioni stradali, la società britannica Tarmac. Nella fabbrica a due passi dalla miniera, i ciottoli di bitume naturale venivano frantumati e poi riscaldati per essere riversati in stampi esagonali da 25 kg, in modo da essere trasportati in ogni angolo del mondo.

Oggi in disuso, le miniere de La Presta sono diventate un’attrazione turistica. E anche se attualmente l’80% delle gallerie è inondato, quel che resta può essere visitato. Ma, soprattutto, grazie all’intuizione di alcuni minatori, dal 1935 è possibile assaggiare il prosciutto cotto nell’asfalto. La specialità

che viene servita ai turisti è stata creata il 4 dicembre di quell’anno, in occasione della festa di Santa Barbara, protettrice dei minatori. Il personale della miniera intuì le potenzialità del calore del bitume e avvolse un prosciutto prima nella carta di giornale, poi in un sacco usato per la farina che infine veniva ricoperto di asfalto fuso.

«Oggi il prosciutto arriva direttamente dal macellaio avvolto in 12 strati di carta da salumiere e 2 grossi sacchi di carta usati per conservare la farina» spiega Nicole Perret, che gestisce il Café des Mines. «Poi viene deposto in una cesta di metallo e immerso in un contenitore a forma di parallelepipedo, in cui si trova dell’asfalto liquido, a una temperatura che oscilla tra i 180 e i 200 °C. Qui resta per un periodo variabile tra le 4 ore e le 4 ore e mezzo in ragione del peso, che varia tra i 7,5 e i 9,5 kg. Lo stesso intervallo di tempo serve per rendere liquida la pietra polverizzata. A fine cottura il prosciutto viene tolto dal cesto, liberato dai numerosi strati di carta e lasciato a riposare per una mezz’oretta». La confezione viene infine

Nicole Perret, che gestisce il Café des Mines, con il prosciutto cotto nell’asfalto (le jambon cuit dans l’asphalte).

tagliata con cura per evitare di perdere il succo, che viene messo da parte e, una volta raffreddato, sgrassato. Il risultato finale è un prosciutto più saporito, più tenero, e gli umori della carne che irrorano il coscio tagliato a fette da 10 mm di spessore conferiscono un aroma

caratteristico. «La gente oramai conosce più questa nostra specialità che le miniere», dice con un sorriso.

Insomma, costruire strade e servire da strumento da cucina è il doppio uso dell’asfalto della Val de Travers. Riccardo Lagorio

CAFÉ DES MINES

Site de La Presta

2105 Travers (Svizzera)

Telefono: +41 32 8649064

E-mail: info@gout-region.ch

Web: www.mines-asphalte.ch

La salsiccia a catena di Cancellara

Tagliata a punta di coltello, è conciata con sale, polvere di peperone dolce, semi di finocchio selvatico e peperoncino piccante

Ètipica del Sud Italia: dolce, piccante o dolce rossa, presenta il caratteristico insacco con intreccio a forma di catena da cui deriva il nome. Ad esso si abbina, quando il prodotto è tradizionale, il taglio a punta di coltello, il che significa che la carne di suino non è tritata ma tagliata con un coltello molto affilato. Tra le salsicce a catena una delle più rinomate è quella di Cancellara, piccolo comune lucano della provincia di Potenza famoso proprio per questo prodotto ricco di storia e di qualità, che Slow Food ha da tempo inserito nel suo Presidio di tutela e valorizzazione delle produzioni alimentari tradizionali a rischio di estinzione e a cui è dedicato anche un Festival che si tiene nel borgo il primo week-end di settembre.

La “catena” è composta da budello naturale di maiale ricavato dall’intestino tenue. Gli animali sono suini pesanti nutriti in modo naturale, allevati preferibilmente allo stato brado o semibrado e macellati evitando il più possibile lo stress. Ancora oggi diverse aziende locali allevano il maiale Nero Lucano, una razza autoctona che si è conservata, integrando il pascolo con granaglie autoprodotte (orzo, avena, grano tenero, farro, granoni). La carne fresca, selezionata privilegiando al 70% la spalla tagliata in pezzi, viene stesa su un tavolaccio di legno chiamato “tompagno” e conciata con sale, polvere di peperone dolce, semi di finocchio selvatico ed eventualmente peperoncino piccante. Ogni budello, lungo circa 1 m, è riempito completamente con l’impasto,

legato alle due estremità con spago di medio calibro, strozzato a metà e, alla distanza di 15-18 cm dalla strozzatura, pressato e accavallato per formare un anello. Ripetendo l’operazione, si ottengono 3-4 anelli che formano la catena e che si forano per eliminare eventuali sacche d’aria. La stagionatura avviene in specifici locali, preferibilmente con camino ma soprattutto con finestrelle esposte a nord per consentire temperatura fresca e una non eccessiva aera-

In alto: borgo di Cancellara. A sinistra: le salsicce a catena di Cancellara da capi di suino Nero Lucano allevati allo stato brado da Bioagrimar, di San Procopio – Genzano di Lucania, Potenza (photo © @bioagrimar).

zione. A fine stagionatura il prodotto, ripulito con cura per evitare la muffa, risulta piuttosto morbido, poco elastico e con prevalenza del colore rosso della parte magra su quello giallo-rossiccio del grasso con il peperone.

Nel sito della Regione Basilicata dedicato al Patrimonio culturale locale si legge che “La salsiccia cancellarese ha origini antichissime, ma le prime notizie sulla sua produzione risalgono al 1700. In una statistica del regno di Napoli del 1811 sulle abitudini alimentari nel circondario di Cancellara si parla dei ‘contadini che fanno uso di carne di porco, che ingrasciano nelle loro case in tempo di carnevale. In questo prezioso documento storico si spiega anche il modo di produrre la salsiccia: si salano le carni di maiale e si affumicano’, che come salsicce stesse si conservano fino al tempo delle messi” (fonte: patrimonioculturale.regione.basilicata.it).

La salsiccia a catena viene prodotta tradizionalmente nel periodo invernale che, per le condizioni climatiche, è il più adatto. Un tempo era quindi pronta per Carnevale quando la Chiesa cattolica, qui fedelmente osservata, consentiva — prima delle rinunce quaresimali — di mangiare di grasso. Ma la si poteva consumare anche dopo Carnevale,

conservandola a lungo nella sugna o nell’olio e diventando così anche una provvista per il resto dell’anno, in particolare per il momento della mietitura. Attualmente, oltre a questi due metodi di conservazione ancora utilizzati a livello domestico, la salsiccia stagionata si conserva anche sottovuoto. Era utilizzata anche in molti modi e piatti tradizionali. Una volta, quando si usava abitualmente il camino, si avvolgeva ogni pezzo di salsiccia fresca in foglie di verza cruda per arrostirla sotto la cenere calda oppure se ne utilizzavano dei pezzetti stagionati, insieme con la ricotta, per il ripieno di calzoni pasquali e ravioli. Si preparavano anche delle polpette di salsiccia con mollica di pane, uova e formaggio. A volte la si impiegava insieme alla cotica in zuppe di verdure campestri, mentre la cottura nel sugo di pomodoro per condire la pasta fatta in casa è più recente perché in precedenza a tale scopo si usava il salame pezzente. La salsiccia, infatti, essendo prodotta con tagli di carne più nobili veniva riservata ad occasioni più importanti, soprattutto quando c’erano ospiti.

Il metodo di produzione della salsiccia a catena in passato era ampiamente diffuso in diverse aree del Potentino (comuni dell’alto Basento e dell’alto Bradano). A livello domestico ci sono ancora parecchie famiglie che continuano a produrla secondo il metodo tradizionale, ma norcini e aziende si trovano soltanto in alcuni comuni dell’alto Bradano e, nello specifico, nel comune di Cancellara. Queste aziende hanno dovuto necessariamente adeguarsi alle maggiori esigenze produttive e alle norme igieniche attualmente vigenti che vietano per esempio, a causa di mancanza di deroghe, di utilizzare gli strumenti in legno e i locali naturali per l’asciugatura. Ciononostante, cercano di continuare a mantenersi il più possibile aderenti alla tradizione sia per le carni (anche se la resa di quelle autoctone allevate allo stato brado o semibrado è nettamente inferiore, benché di migliore qualità), sia per gli altri ingredienti.

Per continuare a sopravvivere, però, sarebbe necessaria e urgente una seria politica di tutela delle razze autoctone e di approvazione di deroghe normative. Nunzia Manicardi

Salumeria Italiana, 5/25

Il rosa dei salumi: salame rosa e lyon, le voci dimenticate della Bologna norcina

Certe storie si leggono nei libri, altre si assaporano. E ci sono storie, invece, che rischiano di scomparire se non si ha il coraggio di metterle di nuovo in bocca. Il salame rosa e il lyon appartengono a quest’ultima categoria: salumi cotti bolognesi, che un tempo animavano i banconi delle salumerie, nei giorni di festa e nei pranzi di famiglia, compagni quotidiani di una civiltà gastronomica che non aveva fretta.

Nel cuore dell’Emilia, tra i portici e i colli, la sapienza norcina di Bologna non ha dato solo i natali alla mortadella: ha saputo lavorare le carni suine con una tale maestria da generare una gamma variegata e raffinata di salumi cotti, oggi quasi del tutto dimenticati. Due di questi — il salame rosa e il lyon — sono finalmente riemersi dal silenzio grazie al lavoro degli artigiani più fedeli alla tradizione e al sostegno del Presidio Slow Food, che ne tutela storia, qualità e dignità.

Il salame rosa non è solo un nome evocativo: è una piccola opera d’arte norcina, una scultura di carne rosa punteggiata da venature bianche, come se fosse marmo di Carrara appena affettato. A differenza della mortadella, la carne non viene tritata finemente, ma tagliata a coltello in pezzi più grandi: si usano spalla, sotto spalla e prosciutto, ma solo le ultime due sono macinate, mentre la spalla resta in cubetti, a vista. Il risultato? Una testura mossa, viva, rustica ma elegante, che si scioglie in bocca pur mantenendo una masticabilità decisa, quasi carnivora.

L’impasto viene condito con pepe, aglio fresco pestato e poco sale, insaccato in vesciche naturali di suino o bovino, e infine cotto lentamente in stufe ad aria calda. La cottura — lenta e graduale — è una liturgia che può durare fino a 24 ore, con una temperatura che sale piano fino a raggiungere 75 °C al cuore, ma mai oltre: l’equilibrio è tutto. Ne deriva un salume dal gusto pieno ma delicato, speziato quanto basta, con una nota gentile di carne cotta al vapore, e un profumo che evoca cucine calde, antiche, rassicuranti.

Un tempo era considerato alla pari — se non superiore — della mortadella. Fino a metà del Novecento si trovava in tutte le gastronomie bolognesi, ta-

gliato in fette spesse, servito con panini morbidi o accompagnato da ricotte e mostarde. Oggi la sua produzione è appannaggio di pochissimi artigiani, che lo lavorano ancora con carni di suino pesante italiano, allevato senza OGM, e con minime quantità di nitriti, per garantire un prodotto pulito, genuino e profondamente territoriale. Il lyon è un nome che tradisce le origini francesi della mortadella, ma in realtà è un prodotto tutto bolognese. Noto anche come mortadella fina o salame cotto, nasce dall’abitudine, già in uso nel Settecento, di insaccare l’impasto della mortadella in budelli più piccoli, soprattutto nel budello gentile, e di cuocerlo in modo simile, ma con un risultato più compatto e intenso. È il fratello minore della mortadella, sì, ma ha un carattere tutto suo: più asciutto, più deciso, con una persistenza aromatica sorprendente. Le carni usate — spalla, gola (in piccoli cubetti), ritagli di prosciutto, trippino e magro di gola — sono miscelate in modo sapiente, insaporite anch’esse con aglio e pepe, poi cotte lentamente fino ad assumere una consistenza pastosa e compatta.

Il lyon si affetta come un salame, ma al naso e al palato racconta un mondo a parte: non ha il profumo rotondo e dolce della mortadella, ma una nota più rustica, quasi fumé, e una bocca decisa, che ricorda i salumi delle feste contadine.

Abbinamenti e plus valore Salame rosa e lyon non si trovano facilmente, ma chi già li conosce e li ama sa che sono salumi da meditazione, da raccontare mentre li si affetta. Dal punto di vista gastronomico, i due salumi sono perfetti per l’abbinamento con formaggi e vini.

Il salame rosa, più delicato e aromatico, dialoga magnificamente con formaggi a pasta molle come la Robiola di Roccaverano o il Brie de Meaux leggermente stagionato. Si abbina anche a caprini freschi e a pecorini giovani, magari con una goccia di miele di castagno o mostarda di mele cotogne. È ottimo servito tiepido, su pane tostato, con un velo di burro di malga.

Il lyon, più sapido e strutturato, si sposa con formaggi stagionati a pasta dura: dal Parmigiano Reggiano 36 mesi

In queste pagine, il salame rosa e la mortadella lyon di Bonfatti Salumi (www.gianninegrini.com/bonfatti).

a un Pecorino di fossa, passando per un Comté o un Cheddar affinato. La sua anima decisa lo rende perfetto anche con salumi secchi, come la coppa di Parma o il culatello di Zibello, in una sinfonia di contrasti e rimandi.

E se si parla di vino, entrambi i salumi trovano compagni ideali nei rossi leggeri frizzanti dell’Emilia, come un Lambrusco di Sorbara, un Barbera vivace o addirittura un Pignoletto frizzante secco, capace di ripulire il palato e valorizzare le speziature.

Quella del salame rosa e del lyon non è solo una storia di gastronomia, ma anche di resistenza culturale. La loro quasi estinzione è figlia della standardizzazione industriale, che ha trasformato la mortadella da regina della salumeria a prodotto anonimo da scaffale. Il Presidio Slow Food vuole invertire questa tendenza: non solo salvando due prodotti d’eccellenza, ma sostenendo la filiera corta, il lavoro degli artigiani, l’allevamento etico e la conoscenza dei consumatori.

La sfida non è solo quella di produrre questi salumi, ma anche di insegnare a riconoscerli, valorizzarli, difenderli. Perché in un’epoca in cui tutto sembra replicabile, la memoria non lo è. E questi salumi non sono solo affettati: sono capitoli di una storia da masticare lentamente, con la stessa pazienza con cui vengono cotti.

Chiara Papotti

L’aperitivo cambia VOLTO

1 Italiano su 2 premia l’abbinamento gourmet tra F&B.

No-low alcol le alternative apprezzate dalla Gen Z

Viva l’aperitivo, ma che sia un aperitivo di qualità anche nell’abbinamento Food & Beverage, volentieri fuori casa, ma non solo: da Nord a Sud, infatti, 1 Italiano su 2 (51%) spende in media oltre 50 euro per l’aperitivo tra le pareti domestiche. È quanto emerge da un’analisi sul consumo condotta da CGA by NIQ, in grado di fornire uno scenario completo ed esaustivo sul rapporto tra consumatori e l’aperitivo. Gli Italiani, insomma, si confermano un popolo amante del buon bere e della cura nell’abbinamento con il cibo, dei veri e propri Aperitaster. Il 37% degli intervistati dichiara di averne consumato almeno uno negli ultimi tre mesi — dato con 7 punti percentuali in più rispetto al 2015 — e di questi il 46% non rinuncia ad almeno un aperitivo al mese. «L’aperitivo italiano è una tradizione consolidata fin dai tempi più antichi, fondata sull’abbinamento tra Beverage e Food», commenta Federico Gordini, founder di MWW Group e ideatore del World Aperitivo Day, giunto alla sua quarta edizione che è in programma a Milano il prossimo 26 maggio 2026. «Quando nel 2022 abbiamo creato il Manifesto dell’Aperitivo italiano insieme a istituzioni, Consorzi e grandi marchi del Food & Beverage, abbiamo voluto offrire una visione chiara dell’italianità di questo rito, sottolineando la necessità di chiamare “aperitivo” quel momento in cui l’abbinamento beverage-food fosse centrale. Dai risultati della ricerca emerge chiaramente come questo abbinamento rappresenti oggi il criterio distintivo più importante per gli Italiani. È su questo che abbiamo costruito il nostro Manifesto: l’aperitivo è, prima di tutto, armonia tra gusto e cultura gastronomica».

All’aperitivo non si rinuncia

Anzi. Il 77%, ovvero 3 intervistati su 4, ama concederselo nei bar diurni (39%), nei cocktail bar o locali dedicati (34%), seguiti da enoteche, trattorie e discobar (15%), ristoranti (13%) pub e birrerie (10%). Non solo. L’attenzione all’abbinamento è una caratteristica imprescindibile nella selezione della destinazione. Insomma, l’esperienza di un buon drink va di pari passo con la ricerca di una proposta culinaria all’altezza, tanto che l’85% del campio-

ne intervistato ammette di considerare importante la proposta di abbinamenti con il food. Si guarda al km 0, alle certificazioni come la DOP, al territorio, alla cura nella preparazione che parte dalle materie prime. L’importanza dell’offerta gastronomica nella golden hour supera perfino l’attenzione alla qualità del bere (41% di fan del cibo contro il 38% di fan del beverage nel criterio di scelta del locale). «La ricerca ci restituisce l’immagine di un’Italia profondamente innamorata dell’aperitivo, sempre più attenta alla qualità, al piacere e alla cura dell’abbinamento con il cibo, ma anche alla moderazione e a una convivialità consapevole», continua Gordini. «Un’evoluzione generazionale, a cui il mercato del Food & Beverage Risponde con una varietà crescente di proposte di alto livello, sia negli ingredienti che nel gusto». Addirittura, 4 persone su 5 (81%) sono disposte a pagare un sovrapprezzo per una lista di prodotti e appetizer premium durante l’aperitivo. In particolare, il 45% sarebbe pronto a spendere fino a 5 euro in più, il 44% tra i 5 e i 10 euro e il 12% oltre i 10 euro. Il fenomeno coinvolge trasversalmente uomini e donne, rispettivamente il 56% e il 44% tra coloro che hanno dichiarato di aver consumato un aperitivo nell’ultimo mese in casa o fuori casa.

Parliamo di consumatori sempre più attenti e consapevoli: attivi, curiosi, sensibili al benessere fisico e informati sulle novità, gli Aperitaster sono pronti a scegliere anche alternative analcoliche (15% solo analcolico, 61% anche analcolico). La frequenza è varia: il 13% degli Italiani si concede questo rituale più di una volta a settimana, il 17% una sola volta a settimana, il 46% almeno una volta al mese, mentre il 23% più sporadicamente. Insomma, l’aperitivo è un’abitudine a cui 3 italiani su 4 non possono rinunciare almeno mensilmente. Per quanto riguarda le bevande consumate, tra quelle alcoliche più apprezzate, il primo posto in classifica va allo Spritz (33%), seguito dal Prosecco (29%), sul podio anche la birra con il 26% delle preferenze. Tra le analcoliche, invece, al primo posto spiccano gli aperitivi in bottiglia (56%), i cosiddetti ready to drink, seguiti dai cocktail 0 alcol sempre in bottiglia e dai succhi di frutta (ambedue col 12% di preferenze).

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L’aperitivo rimane un must, ma a vincere, almeno tra le generazioni più giovani, sono i mocktail, ovvero i cocktail analcolici. Il termine deriva dall’inglese “mock” (finto) e cocktail, ma definire queste creazioni come “finte” sarebbe riduttivo. Si tratta infatti oramai oggi di bevande analcoliche con aspetto, gusto e complessità simili a quelli dei cocktail tradizionali, preparate con tecniche di mixology raffinate che fino a poco tempo fa erano riservate esclusivamente agli alcolici.

Nel mondo dell’aperitivo soffia il vento del cambiamento

Una cosa è certa: i consumi si stanno diversificando, complice, se vogliamo, il nuovo Codice della Strada. Entrata in vigore il 14 dicembre 2024, la normativa ha introdotto regole e sanzioni più severe per chi guida in stato di ebbrezza, con controlli più frequenti per i recidivi. Un cambio di rotta, questo, che potrebbe influenzare significativamente le dinamiche di consumo all’interno del canale HO RE CA., secondo le dichiarazioni raccolte da CGA by NIQ. Circa

la metà degli italiani, infatti, dichiara di voler ridurre o modificare il proprio modo di fare aperitivo, un trend che si allinea perfettamente con la tendenza a valorizzare il cibo tanto quanto il beverage nei pairing al bancone. A prestare maggiormente attenzione sono Gen Z e Millennials. Sono proprio i più giovani ad orientarsi prevalentemente verso le opzioni a basso o 0 gradazione alcolica, come la birra 0% alcol o i mocktail (parliamo del 27% contro un 20% del campione generale). Sempre 1 giovane su 3 opta solo per l’analcolico, scelto dal 25% degli intervistati.

Cosa bevono i nativi digitali?

E i consumi home made? Per l’aperitivo in casa, cresce in valore la vendita di gin, spumanti e ready to drink (+4,2%).

Anche all’estero, in mercati come Francia e Germania, si nota un’attenzione crescente verso l’aperitivo made in Italy, e verso le varianti leggere e profumate, come i liquori floreali che vanno a comporre i cocktail. Lo Spritz, in particolare, ha conquistato brillantemente nuovi spazi diventando simbolo dell’Italian Style

Fonte: MWW Group, aperitivofestival.com

L’aperitivo più in voga tra la Gen Z — ovvero le persone nate indicativamente tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2010, in altre parole i primi veri “nativi digitali”, cresciuti in un mondo già dominato dal web, dagli smartphone e social media — include opzioni analcoliche come i mocktail (i cosiddetti “finti cocktail”) e bevande come la birra. Si riscontrano però anche scelte più tradizionali come lo Spritz e trend emergenti come i drink a base di mezcal (un distillato messicano ottenuto dalla pianta dell’agave) e tequila. Si osserva infatti una maggiore curiosità verso ingredienti esotici e una tendenza a preferire distillati e cocktail di qualità superiore, con la possibilità di pagare di più per tali prodotti. Accanto alla crescente preferenza per le bevande “no-low” (soluzioni a basso o nessun contenuto alcolico), la tendenza generale è orientata verso un aperitivo sociale da gustare più spesso e in compagnia.

ANTICA CORTE PALLAVICINA

Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO”

43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.

Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.

INDAGINI

Latte, questo sconosciuto

Iconsumatori italiani conoscono (molto) poco il latte che bevono. È questo il quadro allarmante che emerge da un’indagine condotta dall’Osservatorio di CremonaFiere, attivato lo scorso anno tramite il Comitato scientifico di Fiere Zootecniche Internazionali. La ricerca, che ha coinvolto oltre mille residenti nella provincia di Cremona con un questionario a risposte multiple, aveva l’obiettivo di sondare la reale consapevolezza dei cittadini su temi cruciali del settore lattiero-caseario: dal benessere animale alla sostenibilità ambientale, dall’innovazione tecnologica alla nutrizione, fino ai prodotti vegetali e alla sicurezza alimentare.

I risultati sono tutt’altro che rassicuranti. Le conoscenze dei consumatori appaiono spesso superficiali e, in alcuni casi, addirittura fuorvianti, più influenzate da strategie di marketing che da informazioni oggettive e corrette. Se da un lato il 72% degli intervistati identifica correttamente la libertà da fame e sete come principio base del benessere animale, e il 90% sa che si tratta di rispettare le esigenze fisiche e psicologiche degli animali.

Nonostante il 65% dei consumatori si dichiari molto sensibile al benessere animale al momento dell’acquisto, solo una minima parte, appena il 5%, si dice disposta a pagare fino al 5% in più per prodotti certificati in tal senso.

Un divario ancora più marcato emerge sul fronte della sostenibilità ambientale: pur essendo un tema considerato importante da molti, l’80% ammette di non voler contribuire economicamente alle spese sostenute dalle aziende per

rendere le proprie attività più ecologiche. Appena il 3% si dichiara disponibile a spendere qualcosa in più.

Preoccupanti anche i dati relativi alla conoscenza delle tecnologie impiegate in agricoltura e negli allevamenti: molti consumatori sono convinti che strumenti come collari intelligenti, sistemi GPS e chip RFID, servano unicamente ad aumentare i profitti. Alcuni arrivano persino ad immaginare che i droni vengano utilizzati per trasportare il cibo agli animali, una visione decisamente lontana dalla realtà. La confusione è diffusa anche riguardo ai prodotti vegetali alternativi al latte. Le loro caratteristiche nutrizionali, anallergiche ed etiche risultano pressoché sconosciute alla maggioranza degli intervistati, evidenziando una carenza informativa significativa su un segmento di mercato in forte crescita. Dall’indagine emerge, inoltre, una forte diffidenza verso allevatori e industrie di trasformazione Questi attori della filiera sono percepiti come più attenti al profitto che alla qualità nutrizionale, etica e sanitaria dei prodotti destinati ai consumatori.

L’Osservatorio di CremonaFiere continuerà a monitorare queste tematiche e presenterà tutti i dati raccolti ed elaborati durante l’evento “Il Gusto di Saperlo”, in programma il prossimo 28 novembre presso le Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona. Sarà un’occasione per approfondire i risultati e stimolare un dibattito con i principali attori della filiera sulla necessità di una maggiore informazione per i consumatori.

Fonte: EFA News – European Food Agency

Dall’indagine condotta dall’Osservatorio di CremonaFiere emerge che i consumatori italiani conoscono molto poco il latte che bevono, mentre hanno idee spesso superficiali e confuse sul comparto allevatoriale e industriale

La confusione è diffusa anche riguardo ai prodotti vegetali alternativi al latte. Le loro caratteristiche nutrizionali, anallergiche ed etiche risultano pressoché sconosciute, evidenziando una carenza informativa anche su un segmento di mercato in forte crescita

IL METODO Classico

DELLE API

Da oggi tutti sapranno che le api producono Spumante

Metodo Classico ! Certo, si tratta di un’iperbole, ma che risulta molto vicina alla realtà…

Per assistere a questo miracolo della natura bisogna recarsi a Parcines, in Val Venosta, e salire a mezza costa all’apiario di Bert Innerhofer, incastonato

tra maestose cime e rigogliosi frutteti. Orgoglioso apicoltore, da qualche anno si è cimentato in un’impresa del tutto esclusiva come la produzione di una bevanda alcolica e frizzante derivante dal miele. «Il mio spumante al miele, frutto di anni di cure attente e dell’arte tradizionale dell’apicoltura, unisce la ricca diversità della flora di Parcines

in ogni bollicina. Le api, mie fedeli collaboratrici, contribuiscono a produrre un miele straordinario, che costituisce la base per questo spumante».

Ogni sorso rivela gli aromi dei prati alpini, degli alberi da frutto in fiore e dei vigneti baciati dal sole. È facile farsi ammaliare da questa combinazione unica che unisce un sapore delicato

e dolce come il miele ad una discreta alcolicità. Innerhofer cominciò ad occuparsi di api all’inizio degli anni Dieci del nuovo secolo con pochi apiari e tanta passione per un mondo che non aveva mai conosciuto da vicino. «Quando, più di dieci anni fa, avviai la mia attività di apicoltura, l’attenzione cadde non solo sul semplice miele, ma soprattutto sulla raffinazione dei vari prodotti delle api. Dopo diversi anni di esperienza nella fermentazione del miele per ottenere l’idromele, la bevanda alcolica a base di miele, è nata l’idea di sottoporlo a un’ulteriore fermentazione in bottiglia per ottenere un piacere… frizzante». Per circa un anno l’idromele viene conservato in botti di rovere. Poi, per ottenere l’idromele frizzante, la materia prima è sempre miele: una cuvée di fiori primaverili, fiori di montagna e miele di bosco, a cui si aggiunge succo di mele non filtrato per innescare il processo fermentativo e dell’acqua di sorgente. Seguendo l’esempio dei produttori locali

di Metodo Classico, Innerhofer procede poi a selezionare i lieviti necessari per la seconda fermentazione in bottiglie chiuse con tappo a corona. Trascorso un anno e mezzo in bottiglia, dove quei lieviti lavorano a circa 15 gradi di temperatura, le bottiglie sono pronte per la sboccatura. «La prima bottiglia è datata 2016, ma c’è voluto del tempo per affinare il risultato e renderlo apprezzabile per quanto riguarda l’acidità e la persistenza delle bollicine».

Questo idromele frizzante viene sviluppato come Brut. Una volta stappato colpisce per l’equilibrata acidità e per un’esperienza gustativa di lunga durata. Possiede colore giallo dorato, limpido e presenta un perlage sottile e continuo. Il profumo si annoda intorno a sentori di mandorla e fragola. La gradazione alcolica è di 11,5% e la pressione in bottiglia è di circa 5 bar.

Essendo un prodotto naturale, ogni annata ha un sapore irripetibile e originale, poiché la natura non fornisce

sempre la stessa selezione di fiori alle api. Un abbinamento gradevole è con gli Schlutzkrapfen (la pasta ripiena di farina di segale a forma di mezzaluna e ripiena di spinaci), la zuppa d’orzo o gli Strauben (le frittelle di latte e farina a forma di chiocciola create con l’apposito imbuto e fritte in olio bollente).

Innerhofer non fa mancare in tutto ciò un aspetto pittoresco e fantasioso: «Grazie al suo effetto afrodisiaco, il nostro HoneyGourMet viene spesso gustato in occasioni romantiche, come frizzante aperitivo o semplicemente per celebrare la vita».

Riccardo Lagorio

Honey GourMet 18 Sonnenbergweg

39020 Parcines (BZ)

Telefono: 3487430707

Web: www.honeygourmet.it

Note

Photo © www.suedtirol.info

APICOLTURA RONDINELLA, miele nomade e Honey Spa

testi e foto di Massimiliano Rella

Miele di qualità da apicoltura nomade, ma anche Honey Spa, camere per la notte e un home restaurant di specialità lucane e casalinghe, a base di carne locale, salsicce, baccalà e prodotti tipici; a partire dall’immancabile peperone crusco. È la formula vincente di una coppia di agricoltori e apicoltori, Franco Rondinella e la moglie Maria Assunta, lei dedita oltre che alla produzione di miele e derivati anche alla gestione della cucina e dei piatti per gli ospiti.

Dalle pendici del Vulture alla costa ionica del Metaponto, passando per Maratea e le Dolomiti Lucane, la Basilicata si rivela in effetti un territorio straordinario anche attraverso i suoi mieli e originali e autentiche proposte, come questa, per curiosi e viaggiatori. In prima linea, nel borgo di Ripacandida, Potenza, con vista sul vulcano Vulture c’è proprio Apicoltura Rondinella, azienda agricola a conduzione familiare con le confezioni a marchio L’Oro dei Fiori

Miele Biologico

Fondata nel ‘98 da Franco e dalla moglie Maria Assunta, l’azienda è un microcosmo che affianca alla produzione apistica di eccellenza anche un B&B con 9 camere, un home restaurant di cucina lucana e persino una Honey Spa con trattamenti a base di miele, con vista sul Vulture.

Tra le specialità di casa delle ottime Mafaldine con sugo di suino nero, mollica di pane e noci; gli Strascinati con rape e peperoni cruschi; ma anche i “Cavatelli freschi con fagioli borlotti” e tra i secondi il tenero “Arrosto di salsicce al finocchietto, capocollo di maiale e patate”

Il cuore dell’attività famigliare resta tuttavia lui: il miele, frutto di un’apicoltura nomade e consapevole, che segue la fioritura spostando 400 arnie attraverso la Basilicata e parte della Puglia settentrionale. La varietà è impressionante: si va dal millefiori al castagno, dall’acacia all’eucalipto, passando per rarità come il miele di asparago o di trifoglio.

Ogni tipologia nasce in un habitat specifico: il miele di arancio arriva dalla costa ionica, quello di castagno dalle alture del Vulture, il miele di sulla dai terreni meno battuti dell’entroterra. A differenziarlo sono l’origine e la filosofia

Nella pagina a fianco: controllo alveari nell’Apicoltura Rondinella a Ripacandida (PZ). In alto: home restaurant nell’Apicoltura Rondinella & Honey Spa, con l’apicoltore Franco Rondinella e la moglie e cuoca Maria Assunta.

di produzione: niente stress per le api, attenzione alla qualità e un approccio sostenibile e trasparente.

La famiglia Rondinella ha portato il miele oltre il vasetto. Il laboratorio produce caramelle alla propoli, pappa reale, polline, torroncini, creme spalmabili a base di miele e cioccolato, confetture con miele e una linea cosmetica con creme e unguenti naturali. Tutto in nome della qualità e della multifunzionalità dell’alveare. «Ogni ape ha un ruolo preciso» racconta Franco Rondinella. «C’è l’ape che cerca il polline, quella che lo trasporta, l’ape ventilatrice per regolare la temperatura. E poi c’è la regina, che può deporre fino a 2.000 uova al giorno. È un’organizzazione perfetta, che ci insegna molto anche sul piano umano».

Non a caso, Rondinella è anche presidente del Consorzio regionale di tutela e valorizzazione del Miele lucano, che oggi raccoglie una trentina di apicoltori. Tra i progetti avviati c’è un monitoraggio ambientale in collaborazione con il Parco del Vulture, per analizzare l’aria, la flora e la qualità

complessiva dell’ambiente attraverso i raccolti delle arnie.

Ma il vero colpo d’ala è la Carta dei Mieli della Basilicata, realizzata insieme al GAL – Sviluppo Vulture Alto Bradano: 23 varietà descritte per caratteristiche organolettiche e abbinamenti consigliati, per educare il consumatore e stimolare chef e pasticceri.

«Tutti i mieli possono essere usati in pasticceria — spiega Maria Assunta — ma la scelta va fatta in base al tipo di dolce. Per i ristoranti, invece, il miele è un ingrediente versatile, utile per esaltare arrosti, sughi, formaggi e condimenti agrodolci».

Con alcuni ristoratori lucani è in corso una collaborazione per portare in tavola piatti che valorizzino questo “oro” naturale. Non solo dolcezza, dunque, ma identità, cultura gastronomica e racconto del territorio. Perché il miele, in Basilicata, non è solo buono: è un modo per conoscere il territorio.

Massimiliano Rella

>> Link: www.mielerondinella.it www.honeyspa.org

La merenda, storie e regole

L’usanza di mangiare la merenda è diventata quasi specificamente un fenomeno legato alla scuola, uno spuntino veloce a metà mattina o a metà pomeriggio riservato ai bambini e ragazzi. Una volta si riferiva invece ad un vero e proprio rito con le sue regole e i suoi significati.

Ma qua è l’origine di questa usanza? Come dice il termine stesso, “merenda”, gerundio del verbo latino merere, ossia

meritare, rappresenta un momento informale di sospensione dalle fatiche fisiche o, per gli scolari, da quelle intellettuali, durante la ricreazione. I lavori nei campi cominciavano molto presto e duravano tutto il giorno, interrotti spesso solo metà pomeriggio per rinfrancarsi con qualcosa portato da casa e mangiato all’aperto.

Esisteva (ed esiste, ma spesso il termine indica semplicemente un aperitivo più ricco, NdR) in Piemonte la

“merenda sinoira” riservata ad occasioni particolari, quando il lavoro era tale da dover coinvolgere anche tutto il vicinato oltre ai soliti lavoranti. Sina, in piemontese, significa cena. In effetti, questa merenda si prolungava fino alla sera e poteva sostituire la cena a casa. Mietitura e trebbiatura, la fine della costruzione di una casa, il ritorno dalla caccia, tutte occasioni per festeggiare la fine di un duro lavoro in convivialità. La merenda diventava allora non solo ristoro ma anche simbolo dell’amicizia, della condivisione e della riconoscenza. Consumate assieme al pane, si succedevano varie pietanze di produzione locale, ad esempio salumi e formaggi, e casalinga, come frittate e insalate. Non mancava mai una minestra tiepida fatta con erbe dell’orto e la frutta fresca affettata, spesso innaffiata con vini dolci e da mangiare insieme ai biscotti. Lasciamo la campagna piemontese per scoprire i famosi piquenique dell’aristocrazia sin dal XVII secolo. Questa espressione, oramai diffusa nell’inglese picnic, è di origine francese, da piquer, rubacchiare, nique, poca cosa. Un pranzo leggero portato da casa in cestini particolari consumato nella natura con il progressivo allentamento delle rigide regole di comportamento e bon ton riservate alla tavole. Nell’arte non mancano le rappresentazioni di famosi pittori dell’epoca come Le déjeuner sur l’herbe di ÉDOUARD MANET del 1863. E in effetti, nel corso del 1800, la pittura en plein air va di pari passo con questa nuova moda delle scampagnate. La luce naturale, la libertà e la spontaneità delle persone, la loro serenità e allegria, tutto viene valorizzato e ricordato grazie a tanti capolavori. Sfumature, ombre, gio-

Dalla merenda a casa ai picnic, la fantasia resta l’ingrediente essenziale per riuscire a rendere speciale questo momento di svago e riposo per corpo e mente.

chi di colori dei cibi, persino P poi BOTERO hanno ripreso e reinterpretato questo tema.

Col passare del tempo è proseguita la tradizione della “gita fuori porta” soprattutto quando l’Italiano medio ha potuto, attorno agli anni ‘60, rendersi indipendente con l’acquisto di piccole macchine Fiat a basso costo. Non era allora più limitato alle uscite in gruppo, in treno, gite organizzate dalle Società Operaie o dal Regime. Queste fughe individuali verso il mare o la montagna, lungo un corso d’acqua o in aperta campagna, rappresentavano la libertà… del tempo e dello spazio. Non mancava certamente la pastasciutta mangiata anche a bordo strada.

Il picnic è divenuto poi qualcosa da consumare freddo, spesso limitandosi a panini imbottiti di prosciutto, salame o mortadella, frittata fredda, frutta. Senza parlare delle ghiacciaie portatili che garantiscono tutta la freschezza del cibo e del bere, è interessante vedere l’evoluzione del corredo apposito. Dicevamo, all’origine, aristocratico, quindi con persino piatti di porcellana, bicchieri di cristallo, tazze e teiere, si è poi evoluto con normali ceste di vimini e, poco a poco, ha subito l’invasione della plastica tendenzialmente sostituita, oggi, da stoviglie usa e getta in materiali ecocompatibili. Borse termiche e contenitori sottovuoto sono senz’altro più igienici e maneggevoli per questi momenti di relax.

Non ho fatto accenno al barbecue che caratterizza certe date sul calendario come il Lunedì di Pasqua ma diffuso in tutte le stagioni. Se a volte in giro si trovano postazioni già pronte per poter arrostire la carne, c’è chi invece si porta appresso l’attrezzatura sempre più sofisticata ma altri trovano ancora piacere ad accendere il fuoco tra quatto pietre. Inutile precisare quanta alta deve essere l’attenzione di chi accende un fuoco nella natura…

Il picnic è vissuto come un anticipo di vacanze, nel segno della convivialità e dell’amicizia, della libertà ma anche della fantasia, sia nella scelta della location che in quella delle proposte culinarie. E se i salumi sono “re”, la “regina” è chi sa proporli in varie e nuove versioni per esaltarne il sapore. Josette Baverez Blanco

Salumeria Italiana, 5/25

SLAVONIA FOOD

testi e foto di Massimiliano Rella

C’è una parte di Croazia che pochi conoscono ma che vale un viaggio per chi cerca sapori tradizionali e insoliti. È la Slavonia, una vasta regione orientale tra il Danubio e la Drava, al confine con la Serbia e l’Ungheria, dove convivono eredità slave, ottomane e austro-ungariche. E dove il cibo racconta storie di popoli e contaminazioni.

In Slavonia ogni pasto inizia con un gesto semplice: un bicchierino di Rakija,

un distillato artigianale di prugne, mele o mele cotogne. Ogni famiglia ha una ricetta propria, tramandata come un bene prezioso. È l’apertura del convivio, che poi si allunga con una serie di piatti che mescolano carne, paprika, pesce, spezie e una cura lenta per la preparazione di tante pietanze. Tra i classici di queste terre troviamo i Ćevapi, dei bastoncini di carne mista speziata alla griglia, simili ad un kebab ma in formato balcanico. Arrivano infatti dalla Bosnia ma sono diventati

di casa in tutta la Slavonia. C’è poi il Burek, una sfoglia croccante ripiena di formaggio, carne o patate: lo spuntino di metà mattina per eccellenza.

I piatti forti, però, parlano la lingua della terra e dei fiumi. Il Fiš-paprikaš, ad esempio, è uno stufato di pesce d’acqua dolce — carpa, siluro o lucioperca — cotto a fuoco vivo con abbondante paprika, aglio e peperoncino. Si serve con i Rezanci, una pasta fresca lunga fatta a mano. Una ricetta rustica, perfetta per raccontare il legame tra la Slavo-

nia e i suoi fiumi. Altrettanto tipico è il Gulasch di cervo, variante selvatica del gulasch ungherese, oppure la Sarma, involtini preparati con foglie di cavolo fermentato ripiene di carne e spezie. Tra le zuppe, la Krem juha od bundeve è la classica crema di zucca con olio di semi di zucca e semi di zucca tostati che accompagna l’autunno come un rito. E per finire, i dolci: Knedle sa Šljivama, gnocchi dolci con ripieno di prugne, e la Pita od jabuka, torta di mele, semplice e delicata.

Il cuore enoturistico della Slavonia è la Baranja, zona collinare e fertile, divisa tra Ungheria e Croazia. Qui nascono alcuni dei migliori vini del Paese, grazie ai terreni di löss – sedimenti eolici portati dal vento in milioni di anni – che nutrono le vigne. Le cantine storiche sono vere e proprie istituzioni: l’azienda vitivinicola di Kutjevo, Kutjevački podrum (kutjevo.com), del 1232, o Vina Belje (www.belje.hr), del 1526, sono tappe obbligate per chi cerca etichette locali come il Traminer o il Graševina.

Il Kulen

Nel villaggio di Karanac, la taverna Baranjska kuća della famiglia Škrobo è un esempio virtuoso di ritorno alle radici (www.baranjska-kuca.com). Ex rifugiati della guerra dei Balcani, gli Škrobo hanno riaperto nel ‘97 la vecchia casa di famiglia, trasformandola in una taverna con museo contadino a cielo aperto. Oggi è una delle mete gastronomiche più autentiche della regione.

In tavola: il Kulen fatto in casa, un salame di suino nero della Slavonia, speziato e affumicato. Questo salume casereccio è ricco di paprica, dolce o piccante, ed è ottenuto con le parti più nobili del suino nero di Slavonia, oppure di Duroc o Landrace, a cui vengono aggiunte un mix di spezie (sale, aglio, pepe nero e paprika), il tutto insaccato in budello di intestino cieco. Il maiale nero della Slavonia, incrocio tra Mangalica e Duroc, è il simbolo della carne locale: meno grasso, più sapore. «In Voivodina, regione autonoma della Serbia, aggiungono un pizzico di zucchero per accelerare la fermentazione. Qui in Croazia solo pepe nero» mi racconta il signor Škrobo. «Noi utilizziamo carne suina di animali di almeno 18 mesi, con una giusta quantità d’acqua nella carne. Il prodotto stagiona minimo 6

In alto: cottura della carpa allo spiedo alla taverna Baranjska kuća, a Karanac. A sinistra: il Kulen, un insaccato casereccio ricco di paprica, preparato dagli Škrobo.

mesi, affumicato a freddo con legno di faggio, oppure con rami di ciliegio o prugno, che gli conferiscono un colore più scuro. Può essere mangiato a fette crudo oppure la carne viene fritta per sprigionare i suoi aromi».

Alla taverna Baranjska kuća sono molto popolari anche i piatti di selvaggina, a base di pesci del Danubio e gli ortaggi coltivati nel proprio orto. Dal kulen allo Štrudla od sira (strudel salato al formaggio), la cucina ruota attorno a materie prime allevate e coltivate secondo ritmi lenti e sostenibili.

Anche le città offrono angoli interessanti. A Osijek, capitale della Slavonia, il Mercato centrale Tržnica (trznicaos.hr) ospita banchi di contadini e allevatori locali. Funghi, salumi, pesce d’acqua dolce, conserve, formaggi, carne: tutto arriva da un raggio di 50 km. Tra i prodotti curiosi, i funghi “pollo del legno”

(Laetiporus sulphureus). Impanati e fritti, ricordano il petto di pollo.

Sempre a Osijek, sulla Drava, il ristorante galleggiante Projekt 9 propone cucina di fiume moderna e ben eseguita (projekt9.hr). Tra i piatti: spiedini di siluro avvolti nel bacon, stufato di siluro con spätzle alla crema acida e funghi impanati e gulash di pesce speziato.

Insomma, la Slavonia non ha bisogno di effetti speciali. Qui si mangia quello che offre il territorio: foreste, fiumi, allevamenti familiari e mani che sanno lavorare. Il risultato è una cucina contadina e concreta, con radici profonde e sapori che raccontano di fatica, accoglienza e identità.

Non sarà una cucina da cartolina, ma in un mondo sempre più omologato trovare qualcosa di veramente diverso è un bel colpo.

Massimiliano Rella

La magia delle Langhe

Vino, tartufo, cioccolato, nocciole, carne, formaggi, pasta: la patria del mangiare e bere bene è questa qui di Maria Antonietta Dessì

Tartufo bianco e tajarin, un abbinamento perfetto! Formato di pasta tipico del Piemonte, i tajarin possono essere serviti anche asciutti o in brodo. Nascono nelle cucine delle cascine langarola e già nel ‘400 rappresentavano un piatto molto ricco per via del numero elevato di tuorli necessari per prepararli. L’altrettanto piemontese tartufo bianco d’Alba sarà l’elemento che renderà il piatto indimenticabile.

Si dice che il periodo migliore per visitarle sia la primavera, ma noi preferiamo i colori dell’autunno e il post vendemmia, sperando di incrociare gli ultimi carrelli d’uva che attraversano le colline. O, meglio ancora, di scorgere i grappoli più tardivi fare bella mostra di sé nei campi prima che passino, inclementi i vignaioli, a fare l’ultimo taglio.

Cercando di raggiungere un comune da una via un po’ meno battuta, abbiamo la fortuna di perderci in mezzo alla campagna e chiediamo informazioni ad alcuni anziani i cui cani tartufai, trattati come piccoli lord, attendono vicini al proprio padrone, la ricompensa per il prezioso servizio che hanno reso poco prima. Perdersi qui è infatti una grande occasione di scoprire anfratti e angolini indimenticabili.

Le Langhe non sono semplicemente un luogo bellissimo in cui noccioleti si alternano a vigne, piccoli centri storici, antiche dimore, castelli e aziende agricole. Sono il silenzio e la nebbia, la morbidezza delle colline, il cullare delle curve per andare da un luogo ad un altro, l’incanto di piccole chiesette sparse ovunque, il profumo di tartufo che si confonde con quello del mosto

Le Langhe sono l’ordine, il bello, la raffinatezza di ambienti e i cibi locali, il semplice, il soffuso, il discreto incedere dei suoi abitanti, la cortesia e la caparbietà di chi ha costruito tutto nel

silenzio e nel sacrificio contando solo su sé stesso.

Di tutto ciò che questa terra offre, i Piemontesi hanno fatto tesoro e, anziché fuggire e andare verso territori più industrializzati, che decenni fa offrivano di più ed erano una garanzia per chi voleva portare subito un piatto a tavola, si sono rimboccati le maniche per costruire dove c’era poco. O almeno così pareva.

Si è dunque fatto di quell’orribile vicenda che fu lo scandalo del vino al metanolo, un motivo in più per voltare pagina. Una ragione in più per lasciare un prodotto da mensa e da prezzo, per uno di qualità, più remunerativo da ogni punto di vista.

Nel contempo, quei luoghi che un tempo erano stalle o dimore di campagna, sono diventati templi dell’ospitalità per un turismo alto-spendente, rispettoso dei luoghi, dell’ambiente e delle persone. Le campagne sono divenute una vetrina e la ristorazione il veicolo principale dove canalizzare prodotti del territorio. Per questo nei menu non mancherà quasi mai la battuta cruda di bovino di razza Piemontese come antipasto, il tartufo, le nocciole, proposte in mille declinazioni, i formaggi di montagna, la pasta semplice o ripiena, i baci di dama o le paste di meliga e il cioccolato.

Il tartufo bianco è disponibile in quantità e qualità in decine di negozi specializzati, che propongono anche

prodotti trasformati a base del pregiato fungo ipogeo. Ma, soprattutto, è proposto fresco in ogni locale che si rispetti. L’abbinamento è a scelta o suggerito dallo chef nei classici primi come i tajarin, gli agnolotti al plin, fondute di formaggio vaccino o il risotto. Oppure viene servito sull’uovo o una tagliata di Fassona.

Sempre di Fassona, vietato rinunciare al vitello tonnato o all’insalata russa, che qui non conosce crisi. La bagna cauda invece non è solo piatto tipico ma anche povero e magari lo si lascia all’ultimo giorno del viaggio.

A Barolo vale la pena di visitare la Cantina Vajra (www.gdvajra.it), non tanto e non solo per la quindicina di vini frutto di coltivazioni che si estendono in un centinaio di ettari nelle colline del noto comune delle Langhe, ma anche per sentire direttamente da ALDO, MILENA, ISIDORO, GIUSEPPE e FRANCESCA VAJRA la storia di questa bellissima azienda che con la famiglia si intreccia sin dagli inizi. Una coppia che ha lasciato la città di Torino per la campagna e che, partita dal nulla, è riuscita a creare un patrimonio per il territorio, dove tradizione e riscoperta si intrecciano e danno vita ad una proposta importante tra Barolo, Dolcetto d’Alba, Barbera, Chiaretto, Barolo Chinato, Moscato e molto altro ancora.

Qui il diktat è che a finire in tavola siano solo o soprattutto prodotti km 0. I dolci, non è nemmeno necessario spe-

cificarlo, sono quasi esclusivamente a base di nocciola o al cioccolato, talvolta come rivisitazioni dei noti Baci di Dama o del Bunet. Ottime anche le paste di meliga, biscotti tipici della pasticceria piemontese a base di mais, burro, uovo, zucchero e limone, talvolta intinte nel cioccolato. Cioccolato che, qui nelle Langhe, patria della più famosa crema alla nocciola e cioccolato al mondo, non manca di certo, in ogni sua versione, dalle più semplici alle più raffinate.

L’apoteosi del prodotto locale sono le Nocciole al tartufo, un mix equilibrato e sorprendente allo stesso tempo, che impedisce ad un ingrediente di prevalere sull’altro.

Se le nocciole diventano creme spalmabili con diversi gradi di purezza, le confetture sono ai marroni, ma anche ai frutti di bosco o ai mirtilli. Persino nel cesto del pane, che potrebbe essere semplice, si impongono focaccia salata e grissini aromatizzati.

In alto: i vini rossi piemontesi sono un’eccellenza enologica italiana, tra cui spiccano Barolo e Barbaresco, e i classici Baci di dama, due biscotti con nocciola IGP Piemonte uniti da una morbida crema gianduia. In basso: grazie alla disponibilità di pascoli, anche in alta quota, e all’abbondanza di acqua che ha sempre caratterizzato il territorio piemontese, nei secoli si è sviluppata una grandissima varietà di prodotti caseari, tra i più buoni d’Italia.

Una menzione speciale meritano i formaggi. E non è un caso che Slow Food abbia scelto Bra — il comune dove è nato il movimento della chiocciola — per Cheese, l’appuntamento internazionale biennale più importante che celebra i migliori formaggi a latte crudo del mondo e i produttori, i pastori e gli affinatori che permettono di conoscerli e assaggiarli. Imperdibili, Toma, Castelmagno, Sora (o Sola), Testun e Robiola. Maria Antonietta Dessì

IL BUON “FORMAGGIO” DI PANNA

Il mascarpone in cucina

Si tratta di un latticino grasso, lo dico subito. Quindi, se state controllando la vostra dieta per le calorie o il colesterolo, fate attenzione. Attenzione in ogni caso a non esagerare, anche se va tutto ok. Ma non posso non parlarvene. Perché è scioglievole, cremoso, morbido, goloso, perfetto a tutto pasto. E non può essere altrimenti, visto che il mascarpone è come un matrimonio riuscito tra formaggio e panna

In pratica è appunto panna, fatta bollire, aggiunta di acido citrico (quindi tecnicamente non è un formaggio perché avrebbe bisogno di caglio), lasciata riposare e privata del siero.

Siccome la condizione primaria per il consumo è che il mascarpone sia freschissimo (perché si usa perlopiù a crudo), bianco, omogeneo e profumato, lo si può preparare anche in casa, usando panna, succo di limone, una casseruola, un termometro da cucina (per controllare le temperature di ebollizione), un colino e un telo bianco di cotone… sappiate però che è un processo piuttosto lungo.

A compierlo per prima è stata la regione Lombardia (in particolare le zone di Lodi e Abbiategrasso), dove questo prodotto lattiero-caseario è noto fin dal XII secolo. Il nome invece, secondo la leggenda “ufficiale”, pare di origine spagnola, quando un no-

bile, assaggiandolo, disse “Más que bueno”, ovvero “Più che buono”, e tale espressione venne storpiata fino alla denominazione attuale.

Un’altra leggenda ufficiale riporta alla parola dialettale “ Mascherpa ” che in lombardo vuol dire “ricotta”… probabilmente per la loro somiglianza. Sono infatti quasi intercambiabili.

Il punto però è questo: provate a mettere la ricotta al posto del mascarpone nel tiramisù (o nella Red velvet cake) e vedrete (e sentirete) la differenza!! A renderlo infatti uno dei dolci preferiti è proprio la miscela perfetta di mascarpone, tuorli, zucchero (nella versione semplice, eventualmente arricchita con qualche liquore: rum o cognac). Questa crema si può anche servire al bicchiere, magari con un crumble, o come farcia nei dolci classici natalizi o della frutta fresca in estate. O sostituirsi a quella di formaggio nel cheesecake.

Se la crema di mascarpone fosse salata, la versatilità non cambia. Si può insaporirla con le spezie (il wasabi al miele, per essere originali) o crearne una spuma coi peperoni, la cipolla e il prezzemolo. Sta benissimo su crostini e bruschette, con la focaccia, nei buns e anche per un’originale pizza. Come quella di cui ho letto, con una salsa di carote in purea, vino bianco, mascarpone e pepe di Caienna al posto della classica salsa di pomodoro e fontina e

cipolla rossa al posto della mozzarella (e per la quale mi è venuta subito l’acquolina!).

Il mascarpone tale e quale può arricchire di consistenza e sapore molte ricette, tra cui la polenta (con salsiccia), il millefoglie (con salmone), la pastasciutta (in abbinamento con la frutta secca o, come Gwyneth Paltrow, solamente con noce moscata e pepe — è una versione velocissima che consiglio), gli gnocchi al gratin (l’idea è di Nigella Lawson, che lo aggiunge anche per arricchire il purè!), le lasagne, le polpette, le bistecche, il risotto, le verdure, ecc… ma soprattutto le crostate e la torte (come copertura o farcia, al posto della crema al burro).

Luisanna Messeri, per esempio, lo mette nella Torta fichi e scamorza affumicata, con prosciutto crudo e pasta brisée e Benedetta Rossi con le zucchine (e la pancetta e l’Emmentaler nell’impasto). Valentina Leporati invece prepara la torta dolce, caramellando i fichi e usando una base di frolla. Molte ricette che ho trovato abbinano il mascarpone alla frutta (per esempio pesche, fragole e frutti di bosco) in una torta.

Se poi volete provare una variazione gourmet, andate pure a cercare come riprodurre il Mottarello di pollo e peperoni di Alessandro Borghese (frullate il mascarpone con cosce di pollo alla salvia e rosmarino, patè di fegato al

peperoncino e cognac, patate all’aglio, create un gelato con lo stecco e passate nella granella fatta con pelle di pollo croccante e prezzemolo), il Macaron di biscotto Charlotte al karkadè con crema al mascarpone e lamponi o lo Spumone al mascarpone con cuore morbido al caffè in salsa di zabaione (entrambe preparazioni di Luca Montersino), i

Fiori di zucca ripieni (di mascarpone, ricotta, basilico) e fritti di Kristi Carlson (direttamente dalla serie “Una mamma per amica”), la Crostata con mascarpone al cocco e lime di Vatinee Suvimol, gli Involtini di mascarpone con frutta secca e sedano candito di Carlo Cracco e il Tramonto italiano di Davide Malizia (croccante al cioccolato bianco

e arancia, dacquoise alle nocciole, crema leggera al mascarpone e vaniglia, composta di albicocche e lime).

Potrei continuare per pagine e pagine ma so di avervi ormai incuriosito con questo buon formaggio alla panna e direi che sulla parola “tramonto” posso anche concludere. A presto! Giorgia Fieni

Tiramisù in bicchiere.

NUOVA SEDE E NUOVE DATE PER IMEAT 2026

Non più Modena ma Bologna, non più marzo ma ottobre: 11,12 e 13. Una scelta ben precisa fatta dagli organizzatori al fine di valorizzare e offrire migliori opportunità ad espositori e visitatori. E crescere ancora

Grandi novità in casa iMEAT. A partire dal 2026, infatti, la prima fiera in Italia dedicata alle macellerie/gastronomie e ristorazione specializzata non si svolgerà più a Modena ma nel complesso fieristico di Bologna. Una nuova location che intende valorizzare il percorso di crescita che ha accompagnato l’evento negli oltre 20 anni di attività di Ecod e nei 13 anni dalla nascita del salone.

Si cambia perché si è cresciuti e per crescere ancora

Frutto dell’esperienza di Ecod — casa editrice di riviste specializzate nel campo alimentare e organizzatore di eventi e convegni scientifici e divulgativi — iMEAT fiera si è rivelata negli anni un’intuizione di successo, diventando la prima e unica fiera professionale, in Italia, dedicata al mondo della macelleria, della gastronomia, del settore

HO.RE.CA. e della piccola industria del settore carni, salumi e alimenti affini Come annunciato, dal prossimo anno iMEAT si svolgerà a BolognaFiere, polo fieristico tra i più importanti e prestigiosi del nostro Paese, ai primi posti nella classifica delle fiere italiane per location, struttura, organizzazione, logistica e viabilità. Una fiera, iMEAT a Bologna, che potrà accogliere i visitatori con tutti gli onori, migliorandone l’esperienza e

Più di 200 espositori suddivisi su 3 padiglioni, oltre 9.000 visitatori professionali provenienti sia dall’Italia che dall’estero, 14.500 m2 di esposizione e intrattenimento: questi in sintesi i dati dell’edizione 2025 della fiera iMEAT. Protagonisti assoluti dell’evento, svoltosi a Modena, i professionisti del settore carni.

favorendo l’incontro tra professionisti. E cambieranno le date: la prossima edizione — la decima, traguardo importante — si svolgerà nei giorni 11, 12 e 13 ottobre 2026. «Una scelta dettata dalla volontà di consentire la visita e la partecipazione in un periodo dell’anno favorevole ai più, secondo i numerosi impegni lavorativi di ognuno, senza alimentare concorrenza con altre manifestazioni — afferma il patron Luca Codato — perché la competizione non ci interessa poiché siamo ben certi della nostra competenza e di come questa sia riconosciuta dai nostri sostenitori». Il cambiamento, infatti, è il risultato e la dimostrazione di una crescita costante, dovuta fin dall’esordio all’impegno degli organizzatori e dei suoi sostenitori, primo tra tutti Federcarni. Dichiara Codato: «Un’evoluzione continua che è frutto della professionalità espressa e percepita dai numerosi visitatori che hanno onorato iMEAT nelle 9 edizioni che si sono svolte sinora e, adesso, ne attendono una decima in grande stile, non per volontà del caso ma per aprire nuovi orizzonti e possibilità di sviluppo». Un cambiamento ponderato e progettato allo scopo di favorire un’ulteriore crescita alla manifestazione, a tutto vantaggio dei sempre più numerosi espositori e dei visitatori il cui target si è allargato grazie alle naturali diramazioni e sviluppi del settore. La macelleria e

Salumeria Italiana, 5/25

il retail sono alla base dell’evento, l’Ho. re.ca. e la piccola industria a supporto, ma iMEAT ha dimostrato anche una visione che tende ad abbracciare diversi comparti fino a sfociare in quelle attività che vanno a completare la professionalità dell’operatore del settore di base. iMEAT offre sbocchi di grande interesse anche per il visitatore attento, dalla ristomacelleria alla ristorazione specializzata, dalla norcineria al barbecue e prodotti affini e collaterali, approfondendo altresì l’aspetto tecnologico e strumentale, fondamentale per l’applicazione di tecniche e metodi di lavorazione moderni e al passo coi tempi. «La piccola industria strumentale — conclude Codato — ha sempre avuto a iMEAT un ruolo di primo piano e continuerà ad essere protagonista con le sue novità e l’evoluzione che l’imprenditoria italiana, e non solo, da sempre rivela e sostiene».

iMEAT 2026

BolognaFiere, 11-13 ottobre imeat.it

Il mio ERP. Così ho tutto sotto controllo.

Per saperne di più sulle nostre soluzioni per il settore Carne:

Uno scatto all’interno dello spazio Federcarni durante iMEAT 2025 con gli studenti dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (TN).

LA TRADIZIONE FINLANDESE INCONTRA LA TECNOLOGIA BELGA

Flexifam 55 di FAM STUMABO perfeziona il taglio del mettwurst di Huhtahyvät Oy

Da oltre 30 anni, l’azienda fi nlandese a conduzione familiare Huhtahyvät Oy (huhtahyvat.fi)—fondata nel 1988 da Raimo Vilska e con la terza generazione attualmente in attività — porta sulle tavole scandinave prodotti a base di carne e ricche insalate a base maionese. Huhtahyvät Oydistribuisce ogni anno oltre 5 milioni di chilogrammi di prodotti alimentari, attraverso i marchi Lihamestari e Gourmet

La sfida: tagliare alla perfezione un salame finlandese, più morbido e grasso Nell’ottica di migliorare il proprio salame per pizza, il mettwurst, l’azienda doveva affrontare la sfida di ottenere un taglio preciso e uniforme su un prodotto caratterizzato da una consistenza più morbida e grassa, tipica del salame finlandese. Le soluzioni di taglio tradizionali non garantivano la precisione richiesta, così Timo Mustaniemi, responsabile dello stabilimento, ha coinvolto il partner finlandese di FAM STUMABO, Forsfood Oy. «Il salame finlandese ha un contenuto di grassi superiore rispetto ad altri prodotti europei» spiega Vincent Van Brussel, responsabile vendite per l’Europa settentrionale e orientale di FAM STUMABO. «Per questo è necessario operare a temperature più basse, così da preservare la consistenza ideale per la lavorazione».

Test su misura per risultati eccellenti

Un campione del salame è stato inviato al laboratorio di FAM STUMABO in Belgio, dove i test hanno identificato

la Flexifam 55 come la macchina più adatta allo scopo. Inizialmente, si è ricercata la temperatura di taglio ideale, per poi affinare i parametri della macchina, passando dalle lame circolari dentate a quelle lisce per evitare che il budello dei salumi si incastrasse.

«Disponiamo di due laboratori completamente attrezzati per testare tutte le nostre macchine con i prodotti dei clienti» afferma Van Brussel. «Oltre agli strumenti standard, disponiamo anche di attrezzature specifiche per applicazioni complesse, che ci permet-

Grazie a test personalizzati e all’ingegneria di precisione di FAM STUMABO, Huhtahyvät ha raggiunto tagli uniformi e di alta qualità per il suo mettwurst, utilizzando la Flexifam 55. La macchina si distingue per facilità d’uso, manutenzione ridotta e un basso costo totale di gestione di proprietà.

Il successo di Huhtahyvät, grazie all‘installazione di Flexifam 55 nelle proprie linee di lavorazione, dimostra il valore della collaborazione: l’esperienza locale di Forsfood unita alla ricerca globale di FAM STUMABO ha permesso di migliorare qualità e consistenza del prodotto selezionato, rafforzando la posizione del produttore finlandese sul mercato.

tono di perfezionare ogni dettaglio». I risultati hanno confermato la Flexifam 55 come la scelta migliore per Huhtahyvät, fornendo report dettagliati con foto e video che hanno rassicurato il cliente prima del passaggio alla fase di test in condizioni di produzione reale.

«La consistenza del salame richiedeva un approccio preciso» racconta Marko Försti, responsabile dello sviluppo di Huhtahyvät. «I test nel laboratorio di FAM STUMABO sono stati fondamentali per individuare la combinazione ottimale di macchina e temperatura». Sono seguite prove pratiche direttamente nello stabilimento di Huhtahyvät, utilizzando una Flexifam 55 a noleggio per adattarsi ai lunghi tempi di polimerizzazione del prodotto. Dopo test rigorosi è stato scelto un taglio di 5x5x15 mm.

Il team di FAM STUMABO ha offerto supporto in loco: «Siamo stati presenti con il nostro partner Forsfood per assistere Huhtahyvät, spiegando nel dettaglio l’utilizzo della macchina per ottenere i migliori risultati. Questo ha giocato un ruolo chiave nella loro decisione finale». «Poter testare sia in laboratorio sia sul campo ci ha dato piena fiducia»

conferma Päivi Uotila, responsabile di produzione di Huhtahyvät. «La Flexifam 55 si è dimostrata subito la soluzione perfetta per le nostre esigenze».

Integrazione efficiente e risultati duraturi

Da allora, la Flexifam 55 è integrata nella linea di produzione del mettwurst di Huhtahyvät. Il salame viene pretagliato e tagliato a strisce con precisione, poi trasferito alla linea di confezionamento con soluzioni di output firmate Forsfood. Il risultato è stato un aumento della produttività, minima usura delle lame e tagli costantemente di qualità. La Flexifam 55 si è dimostrata efficace anche con altri tipi di carne tenera, garantendo versatilità e affidabilità a lungo termine.

Una partnership che punta all’eccellenza

Il successo di Huhtahyvät dimostra il valore della collaborazione: l’esperienza locale di Forsfood, unita alla ricerca globale di FAM STUMABO, ha permesso di migliorare qualità e consistenza del prodotto selezionato, rafforzando la

posizione del produttore finlandese sul mercato. Con Forsfood in espansione, anche grazie ad un nuovo test center a Kauhajoki, nella regione dell’Ostrobotnia meridionale, i produttori finlandesi possono contare su strumenti di livello mondiale per crescere in un settore sempre più competitivo.

A proposito di FAM STUMABO FAM STUMABO è specializzata nella progettazione di tagliatrici industriali e nella produzione di lame di alta precisione per l’industria alimentare. “Forniamo ai nostri clienti le soluzioni di cui hanno bisogno per tagliare in fette, strisce e cubetti frutta, verdura, frutta secca, formaggio, prodotti carnei e pollame, pesce, pet food, patatine fritte e patatine” si legge sul loro sito fam-stumabo.com/it. “Negli ultimi sessant’anni abbiamo instaurato una stretta e duratura collaborazione con aziende, clienti e partner di grande rilevanza e affidabilità nel mercato della lavorazione industriale degli alimenti. Siamo presenti in tutti i continenti e disponiamo di centri di prova per i clienti e altri servizi a vostra disposizione”.

Primo workshop del Progetto MEAT-ICO: il coinvolgimento e l’interesse del settore salumiero

Il 2 luglio scorso si è svolto a Piacenza, presso la sede del LEAP Scarl (Laboratorio Energia Ambiente Piacenza), il primo workshop di presentazione dei risultati del Progetto MEAT-ICO, Innovative Circularity Options in MEAT processing Industry, finanziato nell’ambito dell’Azione 1.1.2 dell’Obiettivo specifico 1.1 del bando PR-FESR Emilia-Romagna 2021-2027. Il progetto ha l’obiettivo di sviluppare nuove strategie di valorizzazione promovendo l’economia circolare dei sottoprodotti dell’industria delle carni. Attraverso l’uso integrato di tecnologie innovative, dalla digestione anaerobica alla gassificazione fino alla biodigestione con larve di insetti, il progetto mira a trasformare i residui di lavorazione in risorse utili, come biometano, biochar e hydrochar, contribuendo alla sostenibilità ambientale, energetica ed economica dell’intera filiera. Il progetto, della durata di 30 mesi, è coordinato dal Centro BioDNA dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e annovera tra i partner la Divisione Ambiente della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA), il Centro Interdipartimentale sulla Sicurezza, Tecnologie e Innovazione Agroalimentare (SITEIA.Parma) dell’Università di Parma e il Laboratorio Energia Ambiente Piacenza (LEAP Scarl). Il progetto prevede il coinvolgimento anche di due aziende del comparto di trasformazione delle carni, Fratelli Tanzi Spa (Parma) e Capitelli F.lli Srl (Piacenza) e due aziende tecnologiche quali Agrosistemi Srl (Piacenza) e Iridenergy Srl (Parma), oltre al forte interesse dimostrato da parte di ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi) in merito alle possibili ricadute. L’incontro è stato utile per presentare i risultati ottenuti dai partner del progetto agli stakeholder e programmare le attività future.

Dopo i saluti del dott. Daniele Di Bona (LEAP Scarl), il dott. Lorenzo Di Benedetto (ART-ER) ha illustrato il ruolo dell’ecosistema regionale dell’innovazione e della Strategia di Specializzazione Intelligente per l’Agroalimentare, fornendo il quadro istituzionale e strategico entro cui si inserisce MEAT-ICO. Successivamente, la prof.ssa Lucrezia Lamastra (Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza) — coordinatrice del progetto MEAT-ICO — ha introdotto il progetto nel contesto dell’industria delle carni, evidenziandone finalità, approccio e impatti attesi. La seconda parte del workshop è stata dedicata alla presentazione delle attività sperimentali e dei primi risultati ottenuti:

• il prof. Nelson Marmiroli (SITEIA.Parma, Università di Parma) ha illustrato le prove di produzione di biochar a partire dai residui dell’industria delle carni, soffermandosi sulla caratterizzazione chimico-fisica e agronomica del prodotto;

• il dott. Riccardo Rossi (SSICA) ha presentato i risultati preliminari delle prove di digestione anaerobica, utilizzando come matrice i residui stessi, valutandone l’efficienza e le potenzialità energetiche;

• il prof. Emanuele Mazzoni (UCSC) ha invece mostrato l’approccio sperimentale basato sulla digestione tramite larve di insetti (Hermetia illucens), quale fase preliminare di trattamento biologico dei sottoprodotti;

• è seguita la sessione dedicata all’analisi di processo e valutazione degli scenari, presentata dal dott. Antonio Conversano (LEAP), dal dott. Davide Imperiale (SSICA) e dalla prof. Lucrezia Lamastra (UCSC), con focus sulle ricadute potenziali in termini di sostenibilità ambientale, energetica ed economica;

• la prof.ssa Augusta Caligiani (Clust-ER Agrifood) ha infine approfondito il ruolo del Clust-ER come ecosistema di innovazione tra ricerca e impresa e il supporto offerto ai progetti regionali ed europei in ambito agroalimentare.

Le evidenze scientifiche riscontrate durante le fasi di sviluppo del progetto hanno suscitato molto interesse fra i partecipanti e il dibattito della tavola rotonda è risultato particolarmente utile al fine di inquadrare i risultati ottenuti dai ricercatori nelle reali necessità delle aziende del comparto agroalimentare. Per questa ragione, l’attuazione di progetti pilota per lo sviluppo di protocolli applicati alle specifiche filiere risulta la strada da intraprendere per perseguire gli obiettivi del passaggio da un sistema lineare di produzione ad un’economia di tipo circolare. Per farlo, è sicuramente necessaria una maggiore consapevolezza, conoscenza e capacità delle aziende di mettere in pratica soluzioni innovative e sostenibili, ma occorrono maggiori sforzi da parte del mondo della ricerca scientifica per garantire una effettiva fattibilità delle soluzioni testate e proposte all’interno di specifici contesti aziendali. Il progetto si concluderà nel 2026, con l’obiettivo di validare e finalizzare le soluzioni tecnologiche più promettenti (fonte: SSICA News).

Da metà luglio Sarah Vanessa Kröner (in foto) ha assunto la carica di presidente della software house CSB-System SE subentrando a suo padre, il dott. Peter Schimitzek. Per lei questa è più di una semplice crescita professionale: si tratta di un impegno sincero per guidare l’azienda di famiglia che da quasi 50 anni fornisce soluzioni gestionali alle industrie del settore alimentare.

La visione per il futuro è già chiara: espandere in modo strategico la presenza internazionale di CSB-System e guidare l’innovazione nell’ERP, nella robotica e nell’intelligenza artificiale verso la smart factory. «Sono molto lieta del mio nuovo ruolo e orgogliosa di guidare e rappresentare quest’azienda. È bello poter contare su un forte team internazionale e su un portfolio prodotti all’avanguardia» afferma Kröner. Peter Schimitzek, fondatore dell’azienda, resterà al suo fianco in qualità di membro del consiglio d’amministrazione. «Fin dalla fondazione, assieme a mio fratello Karl-Heinz, nel 1977, ho dato a questa azienda anima e cuore. Ancora oggi sono presente ogni giorno a dare il massimo. A 76 anni mi rende particolarmente felice sapere che, con questo passaggio di testimone, il successo di CSB come azienda familiare resta garantito». Con il cambio generazionale, l’azienda mette in atto un piano di successione a lungo termine. Lo scopo è quello di garantire il futuro di CSB-System SE sia come fornitore internazionale di ERP per l’industria alimentare sia come leader e partner tecnologico di riferimento per i suoi clienti.

>> Link: www.csb.com

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Marcatori per packaging con ROSSI ELETTRONICA

Lo scorso anno ha festeggiato i primi 40 anni di attività, ma è un’impresa dallo spirito sempre giovane e innovativo nel ricercare soluzioni efficaci ai problemi della clientela. È Rossi Elettronica Srl, azienda emiliana operante nel settore impiantistico elettrico, in quello dell’automazione, nei sistemi telematici e di networking. L’esperienza, il know-how tecnologico, la capacità di intercettare le esigenze del cliente attraverso le più avanzate tecnologie offerte dal mercato, ne fanno un partner affidabile. Una delle sue specialità, nel comparto carni, è la

fornitura di sistemi di marcatura delle carcasse suine, grazie alle stampanti della tedesca REA. Quest’ultima è leader nei sistemi di marcatura industriale, etichettatura e codifica e copre un’ampia serie di settori, superfici e applicazioni: dalla marcatura degli alimenti a quella degli imballaggi, dalla marcatura del legno a quella degli pneumatici.

In questo contesto si inserisce Rossi Elettronica che, forte di un’esperienza maturata negli anni, riesce a proporre alla propria clientela un sistema automatizzato e personalizzato di marcatura dei suini. Ma non solo.

Marcatura per packaging

«La nuova generazione dei marcatori a getto d’inchiostro ad alta definizione REA JET può essere utilizzata in maniera versatile ed è in grado di incidere caratteri alti fino a 100 mm su materiali porosi e assorbenti, come cartone, legno e plastica» sottolinea Cesare Rossi, titolare di Rossi Elettronica Srl.

I marcatori REA sono strumenti affidabili per il packaging, dove la qualità della marcatura e la tracciabilità sono determinanti per la logistica e la conformità normativa. Nel contesto industriale moderno, la tracciabilità e

In alto: Cesare Rossi, titolare della Rossi Elettronica, con la collaboratrice Sabina Bruzzi, responsabile dell’ufficio Acquisti. A sinistra: REA si occupa di sistemi di marcatura industriale, etichettatura e codifica e copre un’ampia serie di settori, superfici e applicazioni tra cui la marcatura degli alimenti e degli imballaggi.

la marcatura dei prodotti sono elementi fondamentali per garantire qualità, conformità e sicurezza lungo tutta la filiera produttiva. Al prodotto spesso è necessario applicare informazioni fondamentali come Codici a barre o QR-Code, dati di produzione (lotto, data, ora) e/o Marchi di conformità o certificazione.

Manutenzione da remoto

Tra le novità dell’azienda emiliana c’è anche l’attivazione della manutenzione dei sistemi di marcatura da remoto. Un bel servizio per la clientela che riesce ad avere un’assistenza in tempi molto rapidi, senza dover attendere l’arrivo e la presenza dei tecnici in loco.

Rossi Elettronica Srl

Via Montegrappa 28 (41014)

Solignano di Castelvetro (MO)

Telefono/Fax: 059 797398

E-mail: commerciale@rossielettronica.it

Web: www.rossielettronica.it

Al fine di ottimizzare e migliorare i servizi sui clienti attuali, Rossi Elettronica si è strutturata per intervenire da remoto nella soluzione degli eventuali problemi, implementando la teleassistenza, sia in relazione all’automazione che alla stampa.

CARASAU, ICONA DI SARDEGNA

Il patrimonio panario isolano è sconfinato ma un pane su tutti è immediatamente riconducibile nell’immaginario collettivo a questa regione e a nessun’altra

Posta al centro del Mar Mediterraneo, la Sardegna si colloca nel crocevia delle Terre del grano, dove si considera fondamento della vita, come altrove lo sono altri cereali come il riso, il mais o i tuberi, solo per fare alcuni esempi. Qui il pane non è solo l’alimento base, ma è fondamento dell’identità

di un popolo, protagonista tanto della tavola quanto delle pratiche religiose, tradizioni, linguaggio, storia e quotidianità, elemento che più di ogni altro scandisce i cicli dell’anno, delle stagioni e della vita. Non a caso, in un tempo nemmeno così lontano, al pane si portava rispetto, era considerato cosa santa e lo si realizzava in tante forme

diverse, di fiori e di frutti e altri preziosi e significativi simboli.

Ogni festa aveva il suo pane, non solo perché venisse consumato, ma anche come ornamento domestico, buon auspicio per il futuro e orgoglio della padrona di casa.

Anche la conservazione del lievito madre aveva un suo rito: veniva preleva-

to, rinnovato, riposto con cura come un neonato da proteggere. Si conservava gelosamente per essere regalato a chi ne era degno, come si fa con un dono prezioso che, anziché consumarsi con l’uso, si rigenera col tempo.

Da quello fresco, normalmente cotto una volta alla settimana, a quello biscottato, che invece durava mesi, il patrimonio panario sardo annovera centinaia di tipologie tanto particolari e lavorate quanto gradevoli al palato. Da quelli semplici come grosse focacce a quelli decorati come il Coccoi Pintau, per le occasioni più importanti, l’Isola non si è risparmiata in fatto di dimensioni, decori, miscele di grani e altri ingredienti e metodologie di lavorazione e cottura.

Ma se ce n’è uno che, anche oltremare, è considerato il pane dei sardi per eccellenza, questo è il Carasau Una sfoglia sottilissima, cotta più volte, che per la singolarità del processo produttivo, rito che ne caratterizza la preparazione, ha meritato di divenire simbolo vero e proprio di una regione. Non solo la sua forma è unica e diversa da ogni altro prodotto panario, ma anche la preparazione è peculiare: una lavorazione e una cottura che si considerano un vero e proprio rituale, capace di ipnotizzare chi osserva, come se si trattasse di un gioco di prestigio che affascina, sconcerta e lascia senza parole.

Una lamina sottile si sdoppia dentro il forno, diventando improvvisamente una palla colma di vapore che danza senza sfaldarsi, per essere delicatamente mossa e riadagiata. Mani sapienti si affrettano a tagliarla in due, per poi infornarla nuovamente e garantire un prodotto unico: grandi fogli di pane croccante, da consumare tal quali o da impiegare per ulteriori ricette.

Una specialità creata per durare e che si può conservare in dispensa per mesi, senza perdere fragranza e gusto. Non a caso nasce per garantire sostentamento ai pastori che durante la transumanza lasciavano casa per settimane e avevano necessità di portare con sé una certa quantità di provviste. Mentre oggi è prezioso alleato di chi non può andare a comprare pane fresco al forno ogni mattina.

Ma quel prodotto iconico, ideato per rispondere anche all’esigenza precisa

di durare nel tempo, oggi è rivisto nella forma, nell’utilizzo e nelle varianti.

Quella classica continua a mietere successi e ad attirare l’interesse di mercati sempre più vasti, anche fuori Sardegna. Ma le variazioni sul tema sono ormai innumerevoli: si sono ridotte le dimensioni e modificate le forme

Se un tempo il Carasau era solo circolare e di ampio diametro, ora si va sempre più verso un dimensionamento o il taglio. Le cucine moderne, infatti, strette e minimali, richiedono confezioni modeste e possibilmente rettangolari e non circolari, più facili da impilare tanto nel pensile di casa, quanto nello scaffale del supermercato.

Inoltre, quello che prima veniva consumato prevalentemente al posto del pane, oggi è preferito come snack, che non si riduce al semplice Guttiau, un Carasau con olio sgocciolato e sale, irresistibile. Le proposte si moltiplicano e sono tutte graditissime ad ogni fascia di età: con olio e rosmarino, cipolle, pomodoro, paprika, nero al carbone vegetale, piccante al peperoncino e molto altro.

Un’impresa di Thiesi, nel Sassarese, in collaborazione con un panificio di Fonni, dopo lunghe sperimentazioni ha iniziato a produrre il Marasau, il primo Carasau impastato al 100% con grani isolani e acqua di mare della Sardegna. Una sperimentazione che vede da una parte una serie di prove per la realizzazione di un prodotto ottimale dal punto di vista organolettico e, dall’altra, un brevetto che riguarda l’estrazione e la depurazione delle acque del Golfo di Cagliari con un processo

di ultrafiltrazione e sterilizzazione a freddo, in modo da trattenere inalterata la composizione salina. Risultato: un Carasau privo di sali aggiunti, ricco di magnesio e calcio e povero in sodio. Un gioiello gradevole al palato, che può essere utilizzato in mille modi e che unisce tradizione e innovazione in un connubio perfetto.

E chi crede che il pane Carasau si possa consumare solo come surrogato del pane fresco o in alternativa a crackers o grissini, si sbaglia di grosso. Le ricette per un suo utilizzo a tavola o in cucina, sono innumerevoli. Spesso leggermente bagnato per poter essere modellato a piacere, è utilizzato per fare involtini, cestini per piatti composti o tartine. Immancabile come base nei guazzetti di cozze e arselle, è ormai utilizzato in pietanze tra le più disparate, dall’aperitivo al dolce, così come la fantasia dello chef suggerisce.

Il piatto classico, è il pane Frattau, composto da diversi strati di Carasau che si arrendono sotto un’abbondante mano di sugo di pomodoro cosparso di pecorino grattugiato, su cui viene adagiato un uovo in camicia. Un piatto povero, divertente, bello da vedere, semplice da fare, gradevolissimo e nutriente.

L’alternativa è consumarlo tal quale. Il suono che genera quando viene spezzato è unico e inconfondibile ed è probabilmente quello che gli ha fatto guadagnare il nome alternativo di Carta da musica. Ma attenzione, il suo consumo crea dipendenza. Provare per credere.

Maria Antonietta Dessì

Pane Carasau con olio tartufato, mortadella e pomodorini freschi.

VERACE DI SARACENA: L’ANIMA

DELL’OLIO

NEL CUORE DEL POLLINO

Tra le colline e gli ulivi che si arrampicano sul versante calabrese del Parco Nazionale del Pollino, a Saracena (CS), l’Azienda Agricola Diana custodisce una storia che intreccia memoria contadina, ricerca e visione. Una realtà familiare che oggi porta avanti Biagio Diana, terza generazione di agricoltori, con una passione che affonda le radici nei campi lavorati, un tempo, dai nonni.

Fondata ufficialmente nel 2008, l’azienda si estende oggi per 22 ettari: 2,5 di vigna, 11 dedicati all’olivo, il resto tra seminativi e pascoli. Le prime bottiglie di vino sono arrivate nel 2008, mentre l’olio extravergine della famiglia Diana ha iniziato il suo percorso nel 2002, disegnando un cammino di crescita costante.

La viticoltura resta parte dell’identità, con 4 etichette e una produzione contenuta, ma l’anima dell’azienda batte soprattutto tra gli ulivi. Qui convivono 12 cultivar, con esemplari secolari di 600-700 anni dai tronchi nodosi e imponenti.

Accanto a questi “giganti” figurano nuovi impianti di 30-40 anni d’età e giovani piantine nate dal recupero dei polloni, quei getti spontanei che Biagio Diana coltiva con cura per trasformarli in nuovi alberi produttivi.

La sua scommessa più grande è però la Verace di Saracena, una cultivar autoctona che nel 2020 è stata valorizzata anche da Slow Food. «Una varietà rara, che non si riproduce in vivaio e che si tramanda recuperando polloni da alberi abbandonati», sottolinea. Un olivo resiliente e perfettamente adattato al territorio, oggi al centro di un’associazione di 6 produttori guidata dallo stesso Diana. La sua duplice vocazione — olio o olive da mensa — ne esalta la versatilità

Il frantoio, moderno e all’avanguardia, lavora esclusivamente per l’azienda. Qui la tecnologia si traduce in qualità: gramole sotto azoto per limitare l’ossidazione, frangitura immediata dopo la raccolta, massima attenzione a preservare gli aromi. Ne deriva un olio che racconta in purezza il legame tra cultivar e paesaggio.

All’assaggio l’extravergine di Verace si presenta come un fruttato medio: profumi di mandorla, erba medica, carciofo e pomodoro; al gusto mostra

A sinistra: il produttore di olio evo Biagio Diana tra gli ulivi secolari della sua azienda, a Saracena (photo © Massimiliano Rella). In alto: le 3 etichette dell’olio Diana.

un equilibrio fine tra amaro e piccante, con un finale lungo e speziato.

La produzione olearia dell’azienda conta 3 etichette: oltre alla Monocultivar di Verace, troviamo il Blend di Verace, Nocellara del Belice, Coratina e Roggianella, a cui si affiancano di anno in anno altre varietà per arricchirne il profilo aromatico. Infine, un Olio evo aromatizzato al limone di Rocca Imperiale, fresco e leggermente agrumato, ideale per piatti di pesce e insalate.

L’impegno di Diana non si ferma alla produzione: dal riuso di noccioli, potature e tralci, insieme al fotovoltaico,

l’azienda genera energia pulita, garantendo quasi totale autosufficienza. Un modello che unisce tradizione, sostenibilità e innovazione, tenendo insieme la sapienza dei nonni e la spinta verso il futuro.

Olio e vino, nel segno di un territorio unico, anche se è soprattutto l’olivo, con la sua longevità e la sua capacità di rigenerarsi, a rappresentare meglio lo spirito dell’Azienda Agricola Diana: radici forti, sguardo avanti e il Pollino come orizzonte quotidiano.

Massimiliano Rella

>> Link: www.aziendaagricoladiana.it

Seggiano DOP: provatelo sul gelato!

C’è un olio in Toscana che è simbolo della biodiversità e specchio della segmentazione del mercato dei prodotti tipici. Del resto ogni prodotto tipico, per di più protetto da marchi europei, dovrebbe avere in sé l’aspetto della riconoscibilità tra cento, mille altri prodotti simili. Non sempre ciò è vero. Avviene invece per l’Olio Seggiano DOP, che «si ottiene dalla lavorazione delle olive della cultivar locale, l’Olivastra seggianese» spiega Luciano Gigliotti, presidente del Consorzio di tutela. L’unicità della cultivar sta nella resistenza sia a climi rigidi, che costituisce un deterrente naturale contro l’attacco dei parassiti, sia a estati particolarmente calde, frutto di un adattamento millenario che è uno degli aspetti fondamentali dell’importanza della biodiversità. «Sino a qualche decennio fa Seggiano, ai piedi del monte Amiata, viveva 5 mesi l’anno sotto la neve e alcuni esemplari si presentano a altitudini inusuali, anche 800 metri. Peraltro, se la raccolta delle olive da determinate particelle avviene a quote superiori ai 600 metri, sarebbe possibile imprimere la dicitura Prodotto di montagna sulla bottiglia».

Oltre alla provenienza da una specifica cultivar, l’olio presenta numerose peculiarità. Non ultime, le proprietà nutritive e curative, caratterizzate da un’alta percentuale di sostanze antiossidanti e vitamina E.

«Fino agli anni Ottanta del secolo scorso l’olio rappresentava un grande valore economico per Seggiano e i territori circostanti. Nella sede del Consorzio custodiamo una ricevuta del 1974 che presentava lo straordinario prezzo di

La coltura dell’olivo nell’Amiatino ha concorso a delineare, nei secoli, l’attuale configurazione del paesaggio agrario, modellando non la morfologia delle pendici del massiccio e l’eredità storica dell’area (photo © www.facebook.com/seggianodop).

8.000 lire al kg! Di conseguenza, una famiglia poteva vivere degnamente con 300 piante di ulivo, ovvero una superficie di circa 3 ettari. Oggi, fatte le debite proporzioni, una famiglia dovrebbe allevare 3.000 piante. A metà degli anni Settanta si contavano 24 frantoi; nel 2008 non ce n’era rimasto nessuno».

La svalutazione in termini reali dei prodotti agricoli e dei minifondi agricoli non è una novità (si legga ad esempio Capitale umano e stratificazione sociale nell’Italia agricola secondo il 6o censi-

mento generale dell’agricoltura 2010 curato da CORRADO BARBERIS per ISTAT, 2013), ma il segnale in questo caso risulta ancor più preoccupante proprio perché il venir meno dell’olivicoltura è il presupposto per la modifica del paesaggio: da uliveti pettinati alla foresta il passo è breve.

I sette Comuni dove è possibile la registrazione dell’Olio DOP Seggiano sono, oltre questo, Cinigiano, Castel del Piano, Arcidosso, Santa Fiora, Roccalbegna e Semproniano. Borghi di origine

medievale appesi alle pendici della montagna e che sono testimonianza di ricchezza culturale. Né si può negare che in questo territorio molto si stia facendo anche per la promozione dei prodotti tipici perché, oltre all’Olivastra seggianese, sono state intraprese politiche a favore della Castagna IGP, del vino Montecucco DOCG e del miccio amiatino (una razza di asino), più interventi sul turismo rurale. «La dote si contava in piante di ulivo e tutti possedevano piccoli appezzamenti con olivi piantati ovunque: un fazzoletto di terra risultava appetibile per la coltivazione dell’ulivo». Una pianta… a misura di popolo insomma.

Risale ai primi anni Duemila la riscossa dell’Olio di Seggiano e l’intervento del Consorzio si è intensificato nel decennio successivo sensibilizzando gli scolari all’utilizzo dell’olio e intraprendendo vigorose attività di promozione. L’OleoSanber è una di queste. Ricollegandosi all’identità spirituale lasciata da San Bernardino da Siena nel suo periodo di noviziato a Seggiano, si è voluto recuperare e valorizzare i luoghi e i simboli religiosi a lui legati come l’Antico Convento francescano del Colombaio, la Chiesa di San Bernardino, il Sasso di San Bernardino e l’Oliveta secolare, con la produzione di olio extravergine di Oliva Seggiano DOP proveniente da quelle centenarie piante.

Ultimamente, su proposta del Gigliotti, si è inoltre proceduto a creare un cofanetto che racchiude le bottiglie da 100 ml di oli DOP e IGP toscani. Sotto il profilo tecnico si è invece andato organizzando l’accurato monitoraggio degli ulivi. «Il progetto realizzato con la

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L’olio evo Seggiano DOP si presenta di colore verde con toni giallo dorato; l’odore è fruttato fresco, con note erbacee di carciofo e aromi di frutta bianca, il sapore è pulito e netto di oliva (photo © www.facebook.com/seggianodop).

Regione Toscana ha messo in luce che il 65% degli ulivi era in stato di abbandono. In pochi anni la percentuale è scesa a meno del 50%. Questi esemplari si concentrano soprattutto intorno ai torrenti. La vegetazione cresce incontrollata intorno all’olivastro che, non potendosi impollinare, muore».

Un altro importante tassello nella valorizzazione dell’Olio Seggiano DOP è stato il percorso intrapreso per individuare in quale momento esatto della trasformazione delle drupe si riduce la qualità. Attraverso un complicato sistema di sensori, è stato dimostrato che né lo stoccaggio (mantenendo sempre le drupe in condizioni ideali) né la gramolatura sono circostanze sensibili quanto la frangitura. «Pochi minuti in più modificano le caratteristiche organolettiche anche del 20%».

Caratteristiche organolettiche che si distinguono a tavola: il Seggiano DOP possiede odore fruttato, dalle note erbacee e note di pesca bianca dove la carica amaricante e la piccantezza lo rendono ideale per condire zuppe e arricchire il pesce. Una goccia di Olio Seggiano DOP sul gelato alla frutta o alla crema ne migliora la piacevolezza.

L’Olio Seggiano DOP prende parte a Vetrina Toscana (vetrina.toscana.it), organismo che crea contatti e valorizza i prodotti toscani nel mondo. Riccardo Lagorio

Consorzio di tutela

Olio Seggiano DOP

Loc. Colonia(58031) Arcidosso (GR) Telefono 0564965259

E-mail: info@consorzioolioseggiano.it Web: www.consorzioolioseggiano.it

MA TU chi sei?

Lo Chef e il Sommelier dell’olio

In attesa della campagna olearia 2025 oramai alle porte, dove continuerò ad accompagnarvi in giro per l’Italia dell’EVO, vi regalo qualche riga atta a chiarire esattamente di che cosa mi occupo insieme con altri miei colleghi di settore, naturalmente senza fare la troppo spesso e fasulla premessa da social “… mi chiedete in tanti…”, al fine di rendere fruibili i miei servizi, le mie consulenze fino ai semplici consigli richiesti a titolo di amicizia e ricambiati, anche solo telefonicamente, in tempo reale. E, perché no, per indurvi ad approfondire fino a divenirne parte in causa.

Lo Chef dell’olio e il Sommelier dell’olio sono figure professionali nate dalla incontenibile passione nutrita nei confronti dell’oro verde, atte valorizzarne lo studio, la divulgazione culturale, le tecniche di cucina dedicate senza prescindere dal condividerne le note sensoriali mediante degustazioni guidate che, a mio parere, sono alla base del progetto. In pratica, il lavoro consiste in ciò che sintetizza la foto qui a fianco.

Assaggio un extravergine di qualità, contatto il produttore e, appena posso, vado a trovarlo in campo, laddove — se tutto è fatto con attenzione — si è a metà dell’opera. Mi godo gli alberi e seguo lo sviluppo delle olive dall’infiorescenza o mignola fino all’invaiatura delle drupe con relativa successiva raccolta, documentandola, raccontandone i sacrifici dedicati in termini di tecniche

agronomiche, trattamenti, protezione dagli agenti esterni e quant’altro.

Poi si passa in frantoio. Qui si decide il resto della stagione. Ciclo continuo, due fasi, tre fasi, lavaggi, defogliazioni, gramolatori, centrifughe, separatori. Fino ad ottenere quel nettare che una volta filtrato, imbottigliato in vetro scuro, sigillato da tappo antirabbocco, etichettato e conservato con dovizia (NO luce, NO calore, NO ossigeno) regalerà quei 18 mesi di profumi e sentori indescrivibili.

Tecnicamente il mio lavoro partirebbe da qui. Da quella bottiglia. E allora via con serate conviviali dedicate, dove i miei ospiti verranno guidati con i bicchierini tecnici a riconoscere quel naso di erba tagliata, di foglia di pomodoro, di erbe aromatiche. Poi il palato. Dove stupire con sentori di mandorla, carciofo, mallo di noce, rucola e quella meravigliosa nota polifenolica di piccante e amaro che tanto fa bene al nostro organismo. Ogni extravergine esprimerà qualcosa di diverso. E sarà un piacere confrontarli al fine di ipotizzare abbinamenti specifici.

Terminato il lavoro di Sommelier inizia quello da Cuoco. In Italia abbiamo 500 varietà di olive e, credetemi, ogni olio è funzionale alla realizzazione corretta di un piatto. E quell’olio che metterete in pentola durante la cottura della pietanza sarà lo stesso che troverete a crudo per chiudere quel piatto prima di servirlo. Da qui nasce l’esigenza di Masterclass per ristoratori e colleghi di

cucina e di sala. E ciò perché, amici miei, siamo ancora lontani anni luce da quelle tanto meravigliose quanto affollate Carte dei vini con cui ci confrontiamo quotidianamente negli stessi locali. Quei locali dove, se chiediamo un extravergine, ce lo portano quasi sempre aperto, con l’etichetta unta e il tappo salva goccia. Incapaci di raccontare il perché dell’abbinamento con quel piatto e, tanto meno, senza accennare a un sentore organolettico.

Contattatemi. Senza alcun tipo di problema risponderò alle vostre domande, via social, via mail o via telefono. Organizziamoci. Muoviamoci tutti nella stessa direzione e guadagniamo centimetri, giorno dopo giorno.

Produttori, distributori, ristoratori, sommelier, cuochi, responsabili e addetti alla sala, nutrizionisti, ospiti, consumatori o semplici appassionati, organizziamo eventi e raccontiamo queste storie avvincenti di sacrificio e qualità. Soltanto così il “quanto costa” verrà sostituito dal “quanto vale”

A presto dal vostro Chef dell’olio, con un ringraziamento particolare a questa rivista che mi regala da anni il privilegio di divulgare e documentare l’operato. Grazie davvero.

Contatti

Mobile: 348 6004196

E-mail: fbertucci2011@gmail.com Fabrizio Bertucci @fabriziobertucci_official

Chi è e di che cosa si occupa Fabrizio Bertucci? Lo vedete nelle immagini che compongono questo collage. Lo Chef dell’olio e il Sommelier dell’olio sono figure professionali che nascono dalla “incontenibile passione” nutrita dall’autore di questa rubrica nei confronti dell’oro verde, atte valorizzarne lo studio, la divulgazione culturale, le tecniche di cucina dedicate senza prescindere dal condividerne le note sensoriali mediante degustazioni guidate. Contattatelo.

COLLIO BRDA, IL VALORE DEL CONFINE

testi e foto di Massimiliano Rella

A sinistra: vigne sulle colline di San Floriano del Collio (GO).

A destra: Sinefinis, un Metodo Classico ottenuto dall’assemblaggio di due basi spumanti, quella delle cantine Gradis’ciutta e Ferdinand, con affinamento di 36-60 mesi sui lieviti e una produzione di circa 25.000 bottiglie l’anno. Un vino che non è né italiano né sloveno, ma orgogliosamente europeo.

Ancora per pochi mesi e settimane, Gorizia e Nova Goriča condividono il titolo di Capitale europea della Cultura 2025. Un evento che non si limita alle arti e agli spettacoli, ma che racconta anche una nuova geografia di relazioni, superando linee di confine che per decenni hanno separato persone e storie. Oggi l’enogastronomia diventa parte di questo percorso comune e il vino del Collio Brda è uno dei simboli più autentici di una terra unica e indivisibile, anche se la politica del ‘900 l’ha forzatamente spezzata.

PROGETTO SINEFINIS: CANTINE GRADIS’CIUTTA E FERDINAND

In questo contesto il Progetto Sinefinis rappresenta una delle esperienze più emblematiche: un Metodo Classico nato dall’amicizia tra l’italiano Robert Prinčič, alla guida della Cantina Gradis’ciutta di San Floriano del Collio (GO), e lo sloveno Matjaž Četrtič della Cantina Ferdinand. I due sono cresciuti a poche decine di metri di distanza, divisi da un confine che fino agli anni Novanta rendeva impossibile anche solo

I vini della Cantina Tiare di Dolegna del Collio — la nuova etichetta Masserè, Pinot grigio, il Sauvignon, che da 11 anni consecutivi riceve i Tre Bicchieri del Gambero Rosso, e la Ribolla gialla — sono ambasciatori del Collio italiano.

incontrarsi. L’occasione arrivò durante un master in wine business a Trieste: lì nacque un’amicizia e la volontà di trasformare un progetto di studio in realtà. La loro idea era creare un vino europeo, capace di travalicare non solo i confini nazionali, ma anche quelli delle denominazioni. Un vino borderless, che riconosce nella Ribolla — o Rebula, come la chiamano in Slovenia — il filo conduttore di un territorio che non ha mai conosciuto barriere naturali.

Le bollicine Sinefinis sono un Metodo Classico ottenuto dall’assemblaggio di due basi spumanti, quella di Gradis’ciutta e quella di Ferdinand, con affinamento di 36-60 mesi sui lieviti e una produzione di circa 25.000 bottiglie l’anno.

Non è né italiano né sloveno, ma orgogliosamente europeo. È stato presentato qualche anno fa anche a due ex presidenti della Repubblica, Giorgio Napolitano e Danilo Türk,

come best practice di collaborazione transfrontaliera, simbolo di un Collio reintegrato almeno nello spirito, seppur ancora sottoposto a regimi normativi differenti.

Ma Gradis’ciutta non è solo Sinefinis. La cantina di Prinčič è da sempre interprete raffinata del Collio, un territorio segnato dai terrazzamenti in pietra a secco e dal suolo di ponca, marne e arenarie che conferiscono ai vini una vena minerale inconfondibile. Tra le etichette di spicco troviamo la Rebula Sveti Nikolaj, che nasce da vigne di oltre cinquant’anni e affina in botti grandi: è una Ribolla complessa, profonda, che coniuga freschezza e struttura, capace di raccontare il lato più autentico e longevo di questo vitigno.

Accanto a lei il Collio Riserva, blend delle varietà più rappresentative della zona, affina a lungo prima di uscire in bottiglia e incarna l’eleganza classica

del territorio, con una trama gustativa ricca e mineralità persistente.

Insieme a questi vini di tradizione, il progetto Sinefinis porta un messaggio che va oltre l’enologia: dimostra che ciò che la storia ha diviso può oggi ritrovarsi in una sintesi nuova. Nel cuore di una Capitale europea della Cultura che è la somma di due città, un vino senza frontiere diventa simbolo di dialogo, condivisione e identità comune. www.gradisciutta.eu

STORIE DI VINO, RINASCITA, SPERIMENTAZIONE, CANTINA TIARE

Nel dopoguerra quasi il 70% del Collio Brda ricadeva in territorio iugoslavo. Un confine che ha segnato la storia e lo sviluppo di questa regione: il modello socialista, pur limitando la libera impresa, ha permesso di conservare un’agricoltura promiscua, fatta di vigne, frutteti e uliveti. Un paesaggio che oggi è considerato un punto di forza. «Fino agli anni Novanta era tutto fermo — ricorda Sebastian Mauric della Cantina Belica (www.belica.si/it) — poi i primi vignaioli di Medana, sei piccoli produttori, hanno iniziato a imbottigliare. Oggi il Brda è una destinazione enoturistica riconosciuta, con decine di aziende e accoglienza diffusa».

La storia recente di questo territorio parla di rinascita e di progetti comuni, come le Vespe gialle del Collio per accompagnare i turisti tra i vigneti, le Panchine gialle del Collio e quelle arancioni dei 7 produttori di Ribolla di Oslavia, simbolo di una varietà che ha fatto scuola con i vini macerati. Un modo creativo per trasformare i confini in luoghi di incontro e di contemplazione.

L’eterogeneità del Collio, con i suoi suoli di ponca e i suoi panorami legati alla memoria della Grande Guerra, ha spinto produttori da entrambe le parti del confine a sperimentare e innovare. La ponca è un suolo tipico del Collio, chiamato flyschoide, cioè composto principalmente da rocce di natura eocenica e paleocenica, portate in superficie dal sollevamento dei fondali marini. Ecco perché spesso si ritrovano nei vigneti fossili marini. Ma torniamo al vino.

La Cantina Ronco dei Tassi, ad esempio, con il Fosarin Collio Bianco DOP

ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi (roncodeitassi.it). Nel paese sloveno appena oltre confine di Šmartno, invece, iniziative come Art Circle trasformano le cantine in ambasciate culturali temporanee, con artisti ospitati che lasciano opere permanenti.

Un’altra tappa di confine è Dolegna del Collio, dove il produttore Roberto Snidarcig guida la Cantina Tiare insieme alla moglie Sandra. I loro vigneti si estendono proprio lungo i cippi di confine tra Italia e Slovenia e i loro vini sono diventati ambasciatori del Collio italiano. Da 11 anni consecutivi il Sauvignon di Tiare riceve i Tre Bicchieri del GAMBERO ROSSO: un bianco intenso e verticale, che unisce eleganza aromatica e freschezza minerale.

La nuova etichetta Masserè, Pinot grigio nato quasi per caso da un imprevisto in cantina, è diventata una firma distintiva di Tiare: colore ramato brillante e profumi di frutta secca e spezie; un sorso ampio che coniuga tradizione e modernità. Completa la triade la Ribolla gialla, che nella versione di Snidarcig esprime la tipicità varietale con note agrumate e floreali, grande bevibilità e una spiccata impronta territoriale. www.tiaredoc.com

CONDIVISIONE

Questi vini raccontano la doppia natura del Collio, sospeso tra rigore e creatività, memoria e sperimentazione. E se i 7 produttori di Ribolla di Oslavia lavorano oggi ad uno studio innovativo sui vini macerati, quelli del Brda sloveno e del Collio italiano continuano a cercare strade comuni, consapevoli che solo unendo le forze si può valorizzare un territorio che la geopolitica aveva diviso ma che la viticoltura ha sempre considerato unico. La direttrice dell’ente turistico del Brda, Tina Novak Samec, lo sintetizza bene: «Tutto ciò che facciamo è transfrontaliero e rispecchia il nostro modo di vivere. L’obiettivo è riunire sotto tante forme un territorio che è sempre stato insieme».

Collio e Brda, coi loro paesaggi vitati e la loro comunità di vignaioli, dimostrano che il confine non è più linea di separazione, ma una traccia da trasformare in valore condiviso.

Massimiliano Rella

Salumeria Italiana, 5/25

TRAMEZZINO

FOOD DESIGN IN EVOLUZIONE

Il tramezzino, del quale si celebrerà a breve un secolo di vita, è uno dei primi esempi italiani di Food Design. Usato come “intermezzo” tra la colazione e il pranzo in locali di lusso, si è diffuso nel dopoguerra e negli ultimi decenni ha guadagnato popolarità diventando un classico della cucina italiana, in una sempre più ampia varietà di occasioni, ampliando al contempo progressivamente le proprie caratteristiche.

Panino prima del pane

Il pane accompagna la storia dell’uomo da migliaia di anni. Ma è difficile stabilire una data certa per la sua invenzione. Si può solo supporre che una donna, raccoglitrice di cibi, con due pietre macinò chicchi di cereali ottenendo una farina, la mescolò con acqua formando una pasta e la appoggiò su una pietra calda ottenendo una prima rudimentale focaccia, che poi con la lievitazione sarebbe diventata pane. È l’uomo cacciatore che prende in mano la focaccia, vi mette sopra un pezzo di carne appena arrostita, la piega in due e inventa il panino!

Da quando la notte dei tempi è rischiarata dal fuoco che arroventa pietre e si ha una pasta di cereali si mangiano panini delle più diverse composizioni, forme, qualità, nomi popolari. In Italia c’è la rosetta con la mortadella bolognese, il panino col lampredotto di Firenze, il pane con la vastedda (milza) e quello con le panelle di Palermo. Tutti conoscono il sandwich, che trae nome da JOHN MONTAGU, IV CONTE DI SANDWICH (1718-1792) e che PELLEGRINO ARTUSI (1820-1911), nella sua La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, denomina Sandwics (“Possono servir di principio alla colazione o di accompagnamento a una tazza di thè. Prendete pane finissimo di un giorno, o pane di segale, levategli la corteccia e tagliatelo a fettine grosse mezzo centimetro e all’incirca lunghe 6 e larghe 4. Spalmatele di burro fresco da una sola parte e appiccicatele insieme mettendovi framezzo una fetta sottile o di presciutto cotto grasso e magro, o di lingua salata”). Il Club Sandwich è datato 1894 e agli inizi del Novecento nel suo Giornalino di Gian Burrasca, LUIGI BERTELLI (1860-1920) scrive del panino gravido.

Moltissimi sono gli esempi di panini nel mondo tra i quali basta citare l’Hot Dog americano.

Tramezzino, invenzione italiana Il Tramezzino è composto da due fette di pane in cassetta morbido, senza crosta, a forma triangolare, farcito abbondantemente nel centro. Tra i ripieni più diffusi vi sono prosciutto cotto con funghi, carciofi, formaggio; mozzarella con pomodoro e basilico; tonno, salmone, gamberetti o granchio; salame e uovo sodo; rucola e bresaola; pollo e insalata. La maggior parte delle varianti prevede la presenza di maionese che contribuisce a conferire umidità al pane rendendolo particolarmente morbido. Infinite sono le varianti, con i recenti abbinamenti più moderni come la combinazione di salmone e avocado e tramezzini con forme diverse, anche in versione arrotolata. Le ricette più comuni lo prevedono freddo, ma esiste una variante scaldata.

“Usato” come momento di pausa tra la colazione e il pranzo, consumato come spuntino o merenda, il tramezzino nasce a Torino nel 1926 come piccolo tea sandwich da mangiare in un paio di bocconi all’ora del tè, poi si diffonde a Venezia, dove con gli aperitivi mattutini e pomeridiani si propaga nei bar con il nome di El tramesin, e da qui anche nel resto del Veneto. Nel luglio 1936 il giornale La Cucina Italiana lo ufficializza scrivendone la prima ricetta.

Tramezzino, nome dal costo segreto

Siamo nel 1926 e ANGELA DEMICHELIS, sposata ad ONORINO NEBIOLO, donna audace e determinata, dopo una vita avventurosa in America, con un’attività anche di contrabbando di liquori, torna a Torino. Qui, con i propri guadagni, acquista il Caffè Mulassano in Piazza

Castello. E proprio in questo caffè, da più di un secolo raffinato punto di ritrovo per chi è in cerca di una pausa in città, una targa commemorativa recita “In questo locale nel 1926 la signora Angela Demichelis Nebiolo inventò il tramezzino”. Per la precisione, la signora importò dagli Stati Uniti quello che in Italia si chiamava panino ripieno o sandwich e lo confezionò, o fece confezionare, unendo pane morbido, senza crosta, a forma di triangolo, a diversi contenuti. Al “prodotto” ottenuto però bisognava dare un nome nuovo anche perché, nel luglio del 1923, il Governo fascista aveva emesso un provvedimento con cui si eliminava ogni parola straniera dalla lingua parlata italiana. Ora, non sappiamo in che modo, nella questione intervenne Gabriele D’Annunzio (1863-1938), che propose il nome di tramezzino

Diverse sono le versioni sull’origine del termine. La prima sostiene che la forma a triangolo delle fette di pane ricordò a D’Annunzio i tramezzi di legno della casa in Abruzzo. La seconda che il nome nacque dal fatto che il tramezzino è un piccolo intermezzo per spezzare la fame tra la colazione e il pranzo. La terza è che la parte migliore del cibo è in mezzo tra le due fette di pane, per questo altri avevano proposto il termine un poco difficoltoso di “tra i due”

Un fatto è però certo e cioè che D’Annunzio si fece pagare, come sempre avvenne in altre occasioni simili (non lo sappiamo da documenti e tanto meno da lui o dalla signora, certe cose non si dicono in pubblico). Furono infatti molti i nomi inventati dal poeta, che, oltre a coniare neologismi, fu un pubblicitario coniando il nome Saiwa per l’azienda di biscotti e quello de La Rinascente, lanciò una propria linea di profumi e fu testimonial di prodotti quali l’Amaro Montenegro o l’Amaretto di Saronno

Il tramezzino nasce a Torino nel 1926 come piccolo tea sandwich da consumare in un paio di bocconi all’ora del tè, poi si diffonde a Venezia negli aperitivi mattutini e pomeridiani come “El tramesin” e da qui nel resto del Veneto. Nel luglio 1936 La Cucina Italiana lo ufficializza scrivendone la prima ricetta

“L’Altro”,

il locale cult del tramezzino veneziano a Milano

Dopo aver trascorso 11 anni nei pressi del Duomo, il locale di Marta Matilde Favilli si trasferisce in Porta Romana (in via Mantova 13). Dal nome del locale è sparito “Tramezzino”ed è rimasto solo “L’Altro” per lasciare «spazio alla nostra creatività e completarlo ogni volta con ciò che ci appassiona» ha raccontato Favilli a Living Corriere. «Il nostro “tramesin” è 100% artigianale, fresco di giornata e frutto di continue ricerche di materie prime e abbinamenti nuovi. Offriamo un menù stagionale con proposte gourmet sempre diverse e aggiornate, questo perché ci riforniamo ogni giorno da produttori locali, selezionando ingredienti freschi e di stagione. E abbiamo a cuore l’ambiente: il nostro packaging è 100% plastic free , utilizziamo solo materiali eco-sostenibili». I tramezzini restano protagonisti e il nuovo format ne esalta la versatilità: da consumare al volo o da assaporare con calma nel nuovo spazio. Tra questi il Ca’pero con il baccalà mantecato della Gastronomia Battaggia, patate bio, capperi e maio o il vegano Ratatouille con humus e verdure bio dell’Azienda Agricola Monastero al forno.

Lady Tramezzini

Un’idea che cresce senza perdere le radici. Oggi L’Altro è un bar di quartiere, una cucina sincera, un format da pausa pranzo, uno spazio eventi — brunch, happening gastronomici — e un catering creativo. Era il 2014 quando nel centro di Milano nasceva un piccolo locale dall’anima pop e divertente. Lì prendeva forma un’idea nuova di tramezzino: più buono, più bello, più pensato. Un paninetto bianco, morbido e panciuto, che sa essere colazione, merenda, aperitivo, un simbolo della cultura veneziana portato per la prima volta in città. Dietro il suo successo Marta Matilde Favilli, classe ‘91, veneziana trapiantata a Milano, studi di fashion business al Marangoni, che si autodefinisce ironicamente Lady Tramezzini. «Il tramezzino resta, ma intorno succederanno un sacco di cose».

In alto: tramezzini con pack sostenibili. In basso: un allestimento per catering (photo © @laltrotramezzino).

Tramezzino Food Design

Diversamente da tutti gli altri panini che lo precedono, il Tramezzino è l’espressione di una progettazione del cibo, il cosiddetto Food design contemporaneo. Questo termine recente racchiude il processo di studi progettuali e ricerche che portano alla nascita di nuovi prodotti legati al cibo. La progettazione nasce dalla considerazione del cibo come oggetto di design e gli ingredienti che lo compongono sono visti come materiali, mirando a generare oggetti nuovi. Tre sono gli elementi del Food design del tramezzino: il tipo di pane morbido e senza crosta, la novità della forma triangolare, la specifica nuova denominazione.

Tramezzini freschi, la tecnica

Il pane in cassetta va scelto tra quelli più morbidi e umidi; in commercio esistono anche formati senza crosta. Se si usa pane integrale in cassetta, è necessario scegliere quello con la crosta morbida e usare condimenti più grassi e abbondante maionese che inumidiscano la mollica o fette di mozzarella fresca. Più tempo passano in frigorifero, più i tramezzini (la farcia) risulteranno saporiti, ma il pane tenderà a seccare. Un segreto per tramezzini sempre freschi sta nella farcitura: la maionese o il formaggio spalmabile devono coprire bene tutta la superficie di entrambe le fette, fino agli angoli e ai bordi. Per conservare tramezzini freschi e morbidi in frigorifero si possono sistemare su un vassoio con alla base 1 o 2 fogli di carta assorbente da cucina bagnata e ben strizzata. Sistemati i tramezzini, coprirli con carta assorbente senza scordare i bordi. I tramezzini possono essere preparati in anticipo e conservati in frigorifero avvolti con pellicola trasparente.

Tramezzini dei supermercati I tramezzini dei supermercati sono conservati in modo da garantire freschezza e sicurezza alimentare, confezionati in pellicole trasparenti o in scatole di plastica sigillate che aiutano a prevenire l’esposizione all’aria e all’umidità, riducendo così il rischio di deterioramento. La maggior parte è conservata in frigorifero per mantenere la freschezza degli ingredienti, in particolare delle verdure, delle salse e delle proteine. La temperatura ideale per la

Radio e tramezzini a Firenze da Amblé

Su chiama Amblé, si trova a pochi passi dal Ponte Vecchio, in piazzetta dei Del Bene a Firenze, ed è un sacco di cose: ristorante, bistrot e cocktail bar Perfetto per fare un brunch, un aperitivo, mangiarsi una pinsa ma, soprattutto, i suoi tramezzini, anche gluten free e per vegetariani. E poi Amblé è anche una web radio accessibile su amble. it/radio. “Per dare voce alle nostre passioni, abbiamo creato radioamblé, un salotto letterario contemporaneo dove si parla di tutto e si ascolta buona musica, tra cocktail e tramezzini” scrivono gli amici di Amblé. Da seguire su: instagram.com/ amblefirenze (photo © amblefirenze).

conservazione è solitamente intorno ai 4 °C. I tramezzini confezionati hanno una data di scadenza o un termine di consumo che indica fino a quando possono essere consumati in sicurezza ed è importante controllare questa data prima dell’acquisto.

Uso dei tramezzini oggi

Negli anni il tramezzino ha guadagnato popolarità diventando un classico della cucina italiana, spesso consumato in occasioni sociali, come aperitivi o festeggiamenti, oltre a essere un’opzione comoda per molte e diverse occasioni. I tramezzini sono ideali per un pranzo rapido e nutriente, perfetti per eventi, feste e buffet, facili da trasportare quindi un’ottima scelta per un picnic. Possono anche essere usati in cene informali come piatto principale, da soli o accompagnati da una insalata o patatine.

Nuove tendenze

L’evoluzione del tramezzino segue le nuove tendenze che riflettono l’attenzione crescente verso ingredienti freschi, salutari e creativi o gourmet, come salumi artigianali, formaggi stagionati e salse fatte in casa. I tramezzini vege-

tariani e vegani stanno guadagnando terreno, con ripieni a base di verdure grigliate, hummus, avocado e tofu. La crescente attenzione verso la sostenibilità comporta l’uso di ingredienti locali e biologici e molti ristoranti e bar stanno cercando di ridurre gli sprechi usando prodotti a km 0. Anche i tramezzini fusion che combinano ingredienti e sapori di diverse cucine del mondo iniziano a divenire popolari. Con l’aumento delle intolleranze alimentari e della domanda di scelte più sane vi sono locali che offrono opzioni senza glutine e tramezzini a basso contenuto calorico e ricchi di proteine. Iniziano anche a comparire tramezzini dolci con ripieni a base di creme, frutta fresca, cioccolato, confettura, da usare per la merenda o come dessert.

Infine, l’estetica è importante e anche i tramezzini sono presentati in modi creativi utilizzando colori e impiattamenti per attrarre visivamente i clienti. Queste tendenze evidenziano come il tramezzino possa essere un piatto versatile e innovativo, capace di soddisfare i palati più diversi.

Prof. Giovanni Ballarini

Università degli Studi di Parma

Il gusto del formaggio

Conoscere le forme del latte

Editore: Slow Food

Collana: Manuali Slow

384 pp. – € 22,00

GRIGSON

Charcuterie and French Pork Cookery

Editore: Grub Street

320 pp. – € 17,99

ISBN-13: 978-1902304885

GIANFRANCO ALLARI, PAOLA CALCIOLARI

Magari un che di formaggio

Grana Padano nella cucina di casa mia

Illustrazioni: Umberto Mischi

Edizioni: Corraini

112 pp. – € 30,00

ISBN 9788875702564

Il mondo dei formaggi è uno dei più ricchi all’interno della produzione alimentare. Ecco una nuova edizione, rinnovata e ampliata, del manuale indispensabile per conoscere in profondità e orientarsi nei meandri dell’universo caseario. Con la sua esperienza trentennale, Slow Food accompagna i lettori nel viaggio alla scoperta delle forme del latte. Un racconto che esplora ogni aspetto del comparto, dalle famiglie agli ingredienti delle migliori produzioni artigianali, dalle tecniche di lavorazione agli usi gastronomici.

Pubblicato per la prima volta nel 1967, ma introvabile per molti anni, Charcuterie and French Pork Cookery di JANE GRIGSON è una guida completa ai prodotti della salumeria francese, ormai considerato un classico dell’editoria gastronomica. Quattro anni di ricerche hanno portato l’autrice a descrivere tutti i salumi e le preparazioni a base di carne di maiale della tradizione culinaria francese, fornendo tantissime ricette. Testi in lingua inglese. “Si potrebbe dire che la civiltà europea — e anche quella cinese — sia fondata sul maiale. Facile da addomesticare, onnivoro, “spazzino” domestico,del villaggio e di sterpaglie e sottobosco, divoratore di ghiande nella foresta, ma contento di stare in un porcile, e delizioso quando cucinato o stagionato, dal muso alla coda”

Abbinato a mostarde e confetture, cucinato da protagonista o comprimario, ma anche come semplice comparsa, il Grana Padano è per tradizione parte della nostra quotidianità in cucina. Questo libro lo racconta nella spontaneità delle numerose ricette giunte ai fornelli del concorso “Grana Padano nella cucina di casa mia”. Testimonianze di gente comune, idee ed intuizioni di non professionisti che ci accompagnano dalla colazione al pranzo e ancora dalla merenda alla cena (fermandosi prima, per un aperitivo a base di finger food). Le ricette di questo volume sono state pubblicate così come sono state presentate dagli autori, senza emendarle delle loro coloriture colloquiali né uniformarle in schemi e lessico omogenei, per ritrovare quello stesso clima coinvolgente di festa e originalità creatosi proprio all’azienda di mostarde Le Tamerici a San Biagio (MN) nella giornata delle premiazioni.

JANE

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