Eurocarni 11-2012

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EUROCARNI

Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXVII N. 11 • Novembre 2012

Eurocarni, 11/12

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11/12 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi

Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Comitato di redazione Paolo Falceri (Cooperazione) – Franco Ferrari – Clara Fossato (Uniceb) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Redazione Bruxelles Jean-Luc Meriaux: UECBV, rue de la Loi, 81/A Box 9 B 1040 Bruxelles, Belgio Tel. +32 2 230 4603 – Fax +32 2 230 9400 E-mail: uecbv@scarlet.be Redazione New York Stefano Spadoni – Alessandra Rotondi P.O. Box 569, New York, NY 10101-0569 Tel./Fax +1 212 956 8566 E-mail: stefanony@stefanospadoni.com Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli – Prof. Carlo Cantoni – Dr. Aldo Focacci – Prof. M. A. Paleari Bianchi – Dr. Alfonso Piscopo

ASSOCIATO A:

A.N.E.S. ASSOCIAZIONE NAZIONALE EDITORIA PERIODICA SPECIALIZZATA

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Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata – Prof. Sergio Ventura Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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Al Vostro servizio TönniesFleisch è sinonimo di servizio perfetto. Il nostro personale è sempre a Vostra disposizione con competenza ed affidabilità.

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EUROCARNI La prima rivista veramente europea

In questo numero: Immagini

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Agenda

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Naturalmente carnivoro

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Attualità

UNICEB e riforma della PAC: sostegno al comparto nazionale ingrasso bovini e produzione vitello a carne bianca Etichettatura volontaria, un valore da sostenere

18 Fortunato Tirelli

20

Legislazione

Vendita diretta da parte del produttore primario di alcuni prodotti alimentari di origine animale

Marco Cappelli

24

Slalom

Paese senza meritocrazia

Cosimo Sorrentino

34

Ambiente

Bord Bia per la sostenibilità

La carne in rete

Il meglio del web e delle app

Eventi

A cena col ministro

Commercializzazione

Pesci “extracomunitari”

Agostino Carli Lorenzo Martinello

48

Consumi

Il mercato dei prodotti carnei e dei piatti pronti ricettati surgelati

Roberto Villa

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Mercati

Inizia una nuova era per l’industria della carne in Scozia L’infinito universo del pet food

Sebastiano Corona

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36 Elena Benedetti

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Interviste

La macellazione rituale: perché macellare nel luogo giusto

Razze

La capra di Montecristo è sbarcata sul continente

Aldo Focacci

68

Butchers for Children

Tutti i macellai del Presidente

Elena Benedetti

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Macellerie d’Italia

La rivincita del somaro sul porco Reggiani di cognome, Piacentini di nascita

Riccardo Lagorio Fabio Butturi

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La carne in tavola

Oro in cucina

Trasformazione

I sanguinacci

Locali di gusto

La Granda in Mezzo al Pane: panino formato Eataly

Ristoranti carnivori

Suggestioni carnivore alla Locanda del Povero Enzo

Convegni

Tecnologie

Nunzia Manicardi Aldo Focacci

94 98 102

Riccardo Lagorio

106

L’agnello neozelandese e la produzione di gas serra

Giulia Mauri

108

Suini, cala la produzione europea ma aumenta la richiesta mondiale

Anna Mossini

112

Ricostruire la percezione del costo e del valore della carne

Gaia Borghi

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Tra caos e passione, il consumatore guarda anche fuori confine

Elena Benedetti

123

CSB-System: soluzione integrata di pesoprezzatura e preparazione ordini

128

Nuove forme

132

Sicurezza alimentare

Alimenti: temporale in arrivo? Ricette collaudate per la comunicazione del rischio

135

Statistiche

Macellazione del bestiame a carni bianche, anno 2011

Aurora De Santis

Storia e cultura

I numeri primi del bollito misto

Giovanni Ballarini 151

La terribile apparizione dell’esercito furioso

Cristina Casini

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In copertina: filetto di manzo. In Italia il consumo di carne risulta essere ancora molto forte (l’88% della popolazione italiana ha dichiarato di consumare carne bovina).

All articles are available in English in abstract format at our website www.eurocarni-online.com 8

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Immagini

Ampia l’offerta di carni gallesi Igp all’interno del reparto macelleria dell’ipermercato Grandemilia di Modena, visitato dal ministro Alun Davies nel corso del suo breve viaggio in Italia. Il servizio a pagina 43.

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Agenda

Cremona Organizzato da ANMVI, ASSALZOO e NFI-Nutrition Foundation of Italy, è in programma il 6 novembre a Cremona, presso Palazzo Trecchi, il convegno internazionale dal titolo “L’alimentazione animale nell’Unione Europea: fattore di salute e sicurezza alimentare. Aspetti normativi, scientifici e tecnici in materia di sicurezza, produzione, commercio e uso degli alimenti per animali”. L’efficacia e la sicurezza dei mangimi, sia quelli destinati agli animali di compagnia che alle produzioni zootecniche o ad altri animali, rivestono un’importanza fondamentale per la tutela della salute, oltre che degli animali, anche dell’uomo e per la tutela dell’ambiente. Non sorprende quindi la grande importanza attribuita dalla Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento europei e dalle autorità competenti degli Stati Membri dell’UE allo sviluppo, all’attuazione e al continuo aggiornamento della normativa in questo settore, nonché l’intenso lavoro svolto dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare per sviluppare approcci scientifici pragmatici e altamente innovativi. Il convegno ha l’obiettivo di promuovere l’analisi e la valutazione delle normative e delle relative implicazioni tecnico-scientifiche e operative, in un quadro globale e coerente. Destinata, oltre che agli accademici e ad altri professionisti, agli operatori del settore, questa conferenza si avvale della partecipazione di alcuni dei protagonisti degli sviluppi normativi e tecnici nell’Unione Europea e in Italia. Verranno trattati, tra l’altro, gli approfondimenti relativi agli approcci scientifici e regolatori in materia di igiene dei mangimi, all’immissione sul mercato e uso dei mangimi geneticamente modificati, medicati, destinati a particolari fini nutrizionali o biologici nonché alle sostanze indesiderabili o vietate, ai contaminanti e residui, agli additivi, all’etichettatura, al controllo ed autocontrollo ed alle sanzioni. www.nutrition-foundation.it

Sofia, Bulgaria Si svolgerà dal 7 al 10 novembre all’interno dell’Inter Expo Center di Sofia la 19ª edizione di MeatMania, la fiera specializzata sull’industria della trasformazione e lavorazione della carne. Si tratta di un evento annuale che chiama a raccolta gli operatori bulgari e i visitatori internazionali interessati a operare nell’Europa dell’Est. Oltre a MeatMania, nell’arco delle quattro giornate, avranno luogo saloni tematici sull’agroalimentare dedicati ai settori lattiero-caseario, vino, food multiprodotto e bevande. Attesi numerosi visitatori provenienti da Grecia, Turchia, Serbia, Macedonia, Romania, Cipro, Italia, Germania, Francia, Austria, Repubblica Ceca, Russia, Polonia, Ungheria e Ucraina. www.iec.bg

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Hannover, Germania La prossima edizione di EuroTier e World Poultry Show si svolgerà dal 13 al 16 novembre ad Hannover. Nel 2010 oltre 140.000 visitatori hanno avuto l’opportunità di ricevere informazioni su tecnologia, genetica, dispositivi e servizi per un allevamento di tipo moderno e sulle potenzialità nel campo della bioenergia e l’alimentazione energetica decentralizzata. Quest’anno si sono già registrati 2.300 espositori. La crescita degli espositori è del 40% in più rispetto alla passata edizione grazie al forte afflusso di espositori esteri. La maggior parte dei 1.137 espositori esteri giungerà ad Hannover dall’Olanda (193 aziende), Francia (139), Cina (97), Italia (90), Danimarca (85), Spagna (68), Inghilterra (64), Belgio (58) ed Austria (57). www.eurotier.com

Shanghai, Cina È giunta alla quarta edizione la fiera Meat China, il salone internazionale delle carni, dei prodotti a base di carne e delle attrezzature di lavorazione. L’appuntamento è sempre a Shanghai dal 14 al 16 novembre. Nel centro economico, finanziario, commerciale più trafficato e popoloso della Cina gli operatori mondiali si incontreranno per presentare le ultime novità in materia di attrezzature e tecnologie. Non mancheranno dimostrazioni di taglio delle carni, corsi di formazione e aggiornamento e seminari tecnici. www.fhcchina.com

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Naturalmente carnivoro

Quattro splendidi “naturalmente carnivori” che domenica 23 settembre hanno celebrato la carne e le sue virtù, anche a livello sociale, insieme a migliaia di amici nell’affollata via Spallanzani di Milano. Da sinistra, Vittorio Pellegrini, Roberto Papotti, Giorgio Pellegrini e Moreno Favaretto. Ampio servizio fotografico a pag. 75.

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Si chiama “Il buon spuntino da Paolino” ed è l’angolo dedicato alla preparazione di succulenti panini della pizzeria-trattoria La Vecchia Torre di Pian D’Alma, a pochi chilometri dalle località di Punta Ala e Castiglione della Pescaia, in provincia di Grosseto. Paolo Turchini gestisce questo storico locale da 27 anni (la “bottega” vanta però ben 80 anni di attività), offrendo ai golosi di passaggio i classici salumi toscani (prosciutto, salame, capocollo, lombo, pancetta, salsiccia, buristo, testa in cassetta) oltre a quelli di cinghiale (prosciutto, filetto, salame, salsiccia). In cucina Lorella è specializzata in piatti di carne: cotti alla brace “divorerete” pollo, maiale, bistecche, faraona e piccione, cinghiale in varie modalità e un coniglio fritto da leccarsi i baffi!

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Attualità

UNICEB e riforma della PAC: sostegno al comparto nazionale ingrasso bovini e produzione vitello a carne bianca

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iportiamo il documento con il quale la UNICEB (Unione Importatori Esportatori Industriali Commissionari Grossisti Ingrassatori Macellatori Spedizionieri Carni Bestiame e Prodotti Derivati, www. uniceb.it) ha ritenuto necessario significare alle maggiori Autorità del nostro Paese i rischi per il comparto nel caso in cui non vengano assunte specifiche misure di sostegno nell’ambito della futura riforma della PAC. In particolare, la UNICEB ha richiesto al Governo italiano che gli aiuti previsti dall’attuale riforma della PAC, che gli Stati Membri potranno concedere a livello nazionale in forma accoppiata (attuale art. 68

del Reg. CE n. 73/2009), siano per la massima parte riservati agli allevatori/ingrassatori di bovini, nonché ai produttori di carni di vitello. UNICEB è un’organizzazione che in campo nazionale, comunitario ed internazionale cura e tutela i legittimi interessi dei distinti momenti della filiera delle carni, che si dispiegano dall’allevamento del bestiame sino alla commercializzazione dei relativi prodotti. Costituita nel 1969, l’Unione, che non ha finalità di lucro, conta oltre 160 imprese associate, tra le più rappresentative dell’industria agroalimentare italiana nel settore dei prodotti di origine animale.

UNICEB – Unione Importatori Esportatori Industriali Commissionari Grossisti Ingrassatori Macellatori Spedizionieri Carni Bestiame Prodotti Derivati C.F. 80199290588 00144 ROMA – Viale dei Campioni n. 13 Tel. 06 5921241 (r.a.) Telefax 06 5921478 E-mail: uniceb@tin.it Sito internet: www.uniceb.it Roma, 26 settembre 2012

Renzo Fossato, Presidente UNICEB.

Senatore GIORGIO NAPOLITANO Presidente della Repubblica Senatore MARIO MONTI Presidente del Consiglio dei Ministri Dott. Cav. VITTORIO UMBERTO GRILLI Ministro dell’Economia e Finanze Dott. MARIO CATANIA Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Senatore PAOLO SCARPA BONAZZA BUORA Presidente Commissione Agricoltura Senato della Repubblica On.le PAOLO RUSSO Presidente Commissione Agricoltura Camera dei Deputati On.le PAOLO DE CASTRO Presidente Commissione Agricoltura Parlamento europeo

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OGGETTO: Riforma della PAC – Assoluta necessità sostegno al comparto nazionale dell’ingrasso di bovini e alla produzione di vitello a carne bianca La scrivente UNICEB, che da oltre 40 anni rappresenta e tutela gli interessi dell’intera filiera della carne bovina, ritiene assolutamente necessario significare con forza alle SS.LL. i rischi per il settore nel caso in cui non vengano assunte specifiche misure di sostegno nell’ambito della futura riforma della Politica Agricola Comune, in discussione presso le istanze comunitarie, per l’ingrasso dei bovini. Il firmatario della presente istanza è colui che nel lontano 1967-68 studiò e sviluppò in Italia, con l’aiuto del Prof. Albertario e insieme a un gruppo di operatori di Tombolo (PD), l’ingrasso dei giovani bovini, in considerazione del fatto che non era più economicamente possibile allevare una vacca nella speranza di ottenere un vitello all’anno. Come noto, il nostro Paese è deficitario di circa il 45% del consumo di carni bovine che vengono importate. Sull’intero ammontare della carne prodotta in Italia, ben il 47% deriva dall’ingrasso di giovani bovini acquistati dall’estero. Il settore bovino sta vivendo una delle peggiori crisi mai registrate — ben oltre l’attuale pesantissima congiuntura economico-finanziaria globale — a causa: • dell’elevato costo della materia prima (vitelli) da acquistare all’estero (Francia in primis); • dell’ingente aumento dei costi di produzione legato all’impennata dei prezzi degli alimenti; • dello scarso livello dei prezzi riconosciuti al prodotto carne, in particolare dalla GDO. Purtroppo il nostro Paese non dispone di superfici da destinare a pascolo né tanto meno, per quanto detto in precedenza, di un patrimonio bovino da carne, e questo ci porta a dover acquistare dall’estero la materia prima vitelli per cercare di non appesantire ulteriormente la nostra già scarsa autosufficienza. Sulla base della situazione rappresentata, diviene assolutamente necessario che gli aiuti previsti dall’attuale proposta di riforma che gli Stati Membri potranno concedere a livello nazionale (attuale articolo 68 del Regolamento CE n. 73/2009) siano per la massima parte riservati agli allevatori/ingrassatori, con un premio di almeno 150 €/capo. In caso contrario, nell’arco temporale massimo di 2 anni, si registrerà la completa scomparsa dei nostri specializzati centri di ingrasso, che non potranno competere con gli altri operatori comunitari, la conseguente chiusura di oltre la metà delle strutture di macellazione e lavorazione delle carni e pesantissime saranno anche le ripercussioni legate alla perdita di migliaia di posti di lavoro. Dovremmo, quindi, acquistare per la maggior parte dall’estero le carni bovine da offrire ai nostri consumatori e dunque pesanti saranno anche gli effetti sulla nostra bilancia commerciale. Giova far presente che il comparto della carne bovina occupa il 5º posto nell’ambito dell’industria agroalimentare in termini di valore di fatturato (più di 6 miliardi di euro: dato ISMEA 2009), davanti a settori quali l’olio, la pasta, l’avicolo, conserve vegetali, ecc…, con un valore del mercato finale maggiore di 15 miliardi di euro (dato ISMEA 2009). L’unica possibilità che il comparto delle carni bovine ha di poter continuare a svolgere la propria attività è quella che gli venga riconosciuto uno specifico congruo sostegno, una vera e propria integrazione al reddito così come sono gli attuali premi PAC senza i quali la maggior parte delle strutture avrebbe già chiuso. Altresì, si ritiene vitale che nell’ambito delle suddette misure che gli Stati Membri potranno concedere in maniera accoppiata a diversi settori produttivi, sia tenuta nella debita considerazione la necessità di sostenere fortemente anche il comparto dei produttori di vitelli a carne bianca che, in mancanza di una adeguata integrazione al reddito, si troverebbero completamente fuori mercato con conseguente riduzione o abbandono dell’attuale produzione. In questo caso, oltre ai negativi effetti sull’occupazione e sulla bilancia commerciale dovuti alla necessità di acquistare dall’estero (Olanda in primis) le carni da consumare nel nostro Paese, si verificherebbe un grave danno per gli allevatori di vacche da latte a cui non verrebbero più ritirati i vitelli maschi nati in azienda (circa 8-900.000 capi all’anno). La scrivente ha il dovere di rappresentare alle SS.LL. la reale situazione del comparto e gli sviluppi a brevissimo termine, auspicando che il nostro Governo voglia sostenere e tutelare una produzione ancora molto importante per l’economia italiana, al pari di quanto già fatto da altri Paesi della Unione Europea, come la Francia (sostegno alle vacche nutrici) e l’Olanda (che da sempre assiste il comparto vitelli). Restando a completa disposizione per qualsiasi eventuale ulteriore informazione si rendesse necessaria, si coglie l’occasione per porgere i sensi della più alta stima. Il Presidente Renzo Fossato

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Etichettatura volontaria, un valore da sostenere Per la tutela del diritto alla sicurezza alimentare e la valorizzazione dell’industria di qualità di Fortunato Tirelli

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occiata l’etichettatura facoltativa sulle carni bovine: lo scorso 11 settembre il Parlamento europeo ha preso una decisione che non sembra essere in linea coi tempi, cancellando l’utilità dell’etichettatura volontaria per le carni bovine, strumento di trasparenza di cui l’Italia ha fatto una preziosa esperienza. “Un’assurdità” è stata definita dagli esperti, e l’affermazione che l’obiettivo sia la semplificazione degli adempimenti, cioè meno burocrazia, non regge, perché si cancella l’etichettatura per introdurre l’identificazione elettronica, con una moratoria di sette anni, dovendo ancora predisporre risorse e organizzazione, creando un vuoto che non gioverà al comparto bovino da carne. Viene spontaneo chiedersi se i deputati europei si siano resi conto che l’obiettivo centrale che si sono posti gli allevatori attraverso l’etichettatura volontaria è quello di massimizzare la sicurezza delle carni, avendo presente che, nonostante le misure adottate a tutti i livelli, esistono pericoli di smagliature che finiscono per mettere comunque in mora la sicurezza stessa. Non bisogna dimenticare, infatti, che non si è ancora spenta l’eco dello scandalo mucca pazza imputato all’uso delle farine animali, e che il ricorso agli stimolatori della crescita (ormoni, anabolizzanti) non è finito. Le multinazionali del farmaco non desistono dal tentare gli allevatori sfruttando il

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Secondo la Coldiretti “L’Italia è all’avanguardia nell’etichettatura facoltativa della carne in cui molti operatori hanno investito con successo, al fine di fornire informazioni utili quali la razza e il sesso dell’animale, l’alimentazione usata e l’età del bovino verso le quali i consumatori mostrano interesse ai fini di un acquisto consapevole e trasparente”.

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Etichettatura obbligatoria • Codice di rintracciabilità • Paese di nascita • Paese/i di allevamento • Paese di macellazione • Paese di sezionamento Etichettatura volontaria • Allevamento • Alimentazione • Razza • Età • Sesso dell’animale

Il sistema di etichettatura volontaria di Asprocarne Piemonte. Nella parte inferiore il codice identificativo del Disciplinare di etichettatura volontaria applicato. facile guadagno, infischiandosene della sicurezza che viene meno. E ora si avanzano serie preoccupazioni sull’utilizzo del mais nell’alimentazione del bestiame, per la presenza di aflatossine ritenute cancerogene per l’uomo. I parlamentari europei avrebbero dovuto cercare di reperire e ottenere notizie attendibili sugli allevatori e sull’etichettatura volontaria, sapere che si tratta di consorzi, forme associative autogestite, fondate sulla fornitura agli associati di assistenza tecnica e, al tempo stesso, con compiti di vigilanza sull’alimentazione praticata e le forme di contenimento in stabulazione. Infine, avrebbero dovuto sapere che si autofinanziano per raggiungere un obiettivo, il massimo della sicurezza, che diventa il brand con il quale conquistare i consumatori. Se alla base della decisione presa ci fossero state queste conoscenze, ci si sarebbe resi conto forse che la cancellazione dell’etichettatura volontaria rappresenta un contro-

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senso, un’illogicità che sottovaluta uno sforzo professionale meritevole invece di riconoscenza, non solo da parte dei consumatori, ma delle stesse istituzioni. L’etichettatura volontaria disturba la Grande Distribuzione? È questo un altro interrogativo che circola negli ambienti allevatoriali. La disturba perché mette in forse la sicurezza delle carni fuori del circuito? Ebbene, la Grande Distribuzione può superare questo handicap chiedendo ai fornitori di adottare le stesse regole che guidano gli allevatori associati ai consorzi, cioè concorrendo ad elevare il livello, anziché pretendere di fermarsi a livelli di sicurezza che non rassicurano in maniera certa i consumatori. Il buon senso suggerisce che l’etichettatura volontaria va sostenuta, ampliata per il bene sociale. Organizzazioni agricole e istituzioni pubbliche, con il MIPAAF in primo piano, non devono solo esprimere il loro disappunto, ma darsi da fare perché si ritorni rapidamente a riconoscere il sistema di etichettatura volontario, autogestito e autofinanziato, come espressione di una professionalità responsabile che supporta, con il suo obiettivo di garantire un prodotto sicuro, i consumi e quindi l’operatività di un comparto, la cui presenza non solo rende omaggio alla professionalità degli allevatori, ma aiuta l’economia e l’occupazione diretta e dell’indotto. Fortunato Tirelli

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Una lettera in difesa dell’etichettatura facoltativa Riportiamo il testo della lettera sottoscritta dal Consorzio L’Italia Zootecnica lo scorso 4 ottobre a Clermont-Ferrand, in occasione del Sommet de l’élevage, con i colleghi francesi, spagnoli ed irlandesi, per evitare l’abolizione dell’etichettatura facoltativa delle carni bovine. La lettera è stata inviata a Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Europeo, a Dacian Cioloş, commissario europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale, a Matthias Groote, presidente della Commissione ENVI Ambiente, Sanità pubblica e Sicurezza alimentare, a Paolo De Castro, presidente della Commissione AGRI Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento europeo, ai parlamentari europei e ai ministri dell’Agricoltura di Francia, Irlanda, Italia e Spagna (in foto: Fabiano Barbisan del Consorzio l’Italia Zootecnica, Bryan John di The Irish Farmers Association, Pierre Chevalier della Fédération Nationale Bovine e Javier Lopez di Asoprovac). Richiesta intervento per il mantenimento dell’etichettatura facoltativa delle carni bovine Reg. (CE) 1760/2000 Artt. 16, 17, 18 «Le scriventi Organizzazioni, riunite oggi al Sommet de l’élevage a Clermont Ferrand per sottoscrivere il manifesto “Posizione comune per la PAC post 2013 per il settore della carne bovina europea”, vista la discussione ancora in atto al Trilogo dell’Unione Europea sugli artt. 16. 17 e 18 del Reg. (CE) 1760/2000 relativi ai “sistemi di etichettatura facoltativa delle carni bovine”, CHIEDONO che tali articoli non vengano soppressi ed ogni Stato Membro possa utilizzare i sistemi di etichettatura facoltativa per poter comunicare ai consumatori le caratteristiche dei propri allevamenti e le informazioni certificate, lungo tutta la filiera, necessarie per conoscere, oltre la provenienza della carne, anche la razza, il sesso, l’età del bovino, l’alimentazione utilizzata, il nome e l’indirizzo dell’azienda di allevamento e numerose altre informazioni utili a distinguerla e confrontarla con la carne importata dai Paesi Extra UE che utilizzano sistemi di allevamento diversi da quelli europei ed hanno regole e controlli sanitari sottoposti ad una legislazione diversa». I firmatari: ASOPROVAC, CONSORZIO L’ITALIA ZOOTECNICA, THE IRISH FARMERS ASSOCIATION, FÉDÉRATION NATIONALE BOVINE

Addio a Sante Bortolamasi, re del Superzampone Sconfitto da un male incurabile, a soli 68 anni, il 23 settembre scorso ci ha lasciati Sante Bortolamasi, fondatore dell’Ordine dei Maestri Salumieri di Modena. «Il suo ritratto più vero è quello di un cittadino innamorato del proprio paese — ha detto il sindaco di Castelnuovo Rangone (Modena) Carlo Bruzzi — il suo impegno è sempre stato quello di valorizzare il suo paese anche all’estero. Cosa che lo aveva portato a fare tante amicizie e conoscenze». Un castelnovese da esportazione, le cui intuizioni lo hanno portato fino al Guinness World Record, legatissimo però al suo territorio, dove continuava a vivere e a lavorare nell’azienda familiare. Sante Bortolamasi era conosciuto infatti da tutti come l’inventore del Superzampone: nel 2000 i maestri salumieri avevano contribuito a creare uno zampone di 450 chilogrammi, record superato dalla stessa Castelnuovo nel 2006 con un insaccato da 751 chili. E di nuovo un record nell’edizione 2008 con l’incredibile peso di 942 chili. Il record stava per essere battuto nuovamente nel 2011 in occasione del “Cinquecentenario dello Zampone di Modena”, ma lo zampone si “restrinse”. Poco male visto che il suo peso era comunque di 810 chili. Insieme ai Maestri Salumieri, Sante era l’inesauribile motore della manifestazione, a cui dedicava energie e impegno per tutto l’anno. Grande appassionato di sport (in gioventù praticò il pugilato a livello agonistico), fu collaboratore e amico del noto pilota castelnovese Walter Villa e, negli anni, è sempre stato in prima linea per tenerne vivo il ricordo in diverse occasioni. La Redazione di Eurocarni è vicina a famigliari ed amici in questo triste momento di dolore.

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il meglio della carne di vitello Olandese Il gruppo VanDrie, leader nel mercato mondiale delle carni di vitello, offre una garanzia assoluta al consumatore grazie alla filosofia della “filiera integrata”. Dal principio alla fine, dagli allevamenti dei vitelli presso i quali gli animali crescono in gruppo, fino alle aziende produttrici di latte in polvere, si opera in stretta collaborazione sulla base del principio dell’approccio integrato, con il supporto dei sistemi di controllo più avanzati. La filiera produttiva integrata che ne deriva, oltre ad essere la risposta ideale alle richieste sempre diverse dei clienti, consente una produzione di carni di vitello responsabile e, soprattutto, sicura, senza alcun rischio.

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Legislazione

Vendita diretta da parte del produttore primario di alcuni prodotti alimentari di origine animale di Marco Cappelli

D

opo una panoramica della normativa generale relativa alla vendita diretta dei prodotti alimentari da parte dei produttori primari ai consumatori finali e ai dettaglianti (EUROCARNI n. 6/2012 e IL PESCE n. 3/2012), si vogliono affrontare specifici aspetti relativi ad alcune categorie di prodotti di origine animale. Carni fresche (bovine, suine, ovine, caprine, equine) La macellazione non rientra nella produzione primaria e non può essere effettuata nell’azienda agricola se questa non è dotata di un macello riconosciuto, vale a dire se non ha ottenuto l’assegnazione del numero di riconoscimento (numero CE). Riconoscimento che presuppone il rispetto dei requisiti di cui ai Regolamenti (CE) n. 852/2004 e 853/2004, con bollatura sanitaria delle carni dopo la visita veterinaria. Inoltre, l’Operatore del Settore Alimentare deve predisporre, attuare e mantenere procedure basate sul sistema HACCP, garantendo così la sicurezza alimentare con un’appropriata analisi dei pericoli e gestione del rischio connesso alla specifica attività svolta. L’azienda agricola che effettua l’allevamento di animali, oltre che poter vendere i propri capi allo stabilimento di macellazione che poi commercializza le carni nei propri canali di distribuzione, può vendere direttamente al consumatore finale o al dettagliante l’animale vivo, dotato

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della prevista documentazione; l’animale dev’essere trasportato a cura dell’acquirente, anche impiegando un’impresa di trasporto per conto terzi dotata di veicolo idoneo e in regola con il regime autorizzativo di cui al Regolamento (CE) n. 1/2005 e nel rispetto della normativa sul benessere animale, ad un macello riconosciuto ai sensi del Reg. 853/2004. Qui avviene la macellazione (ed eventualmente il sezionamento), con destinazione all’autoconsumo se il proprietario è un consumatore finale o alla vendita o somministrazione se il proprietario è un venditore al dettaglio o un ristoratore.

Il produttore primario può anche commissionare direttamente la macellazione al macello riconosciuto e vendere poi le carni al consumatore, dotandosi di un locale di vendita connesso all’azienda agrozootecnica in regola con i requisiti di cui al Reg. 852/2004, provvedendo alla notifica della specifica attività di vendita all’ASL territorialmente competente e applicando procedure basate sul sistema HACCP. In tutti i casi di trasporto delle carni dal macello verso un operatore commerciale (dettagliante o ristoratore o lo stesso allevatore/ rivenditore) dev’essere impiegato un veicolo registrato ai sensi dell’art.

Il produttore primario può commissionare la macellazione degli animali al macello riconosciuto e vendere poi le carni al consumatore, dotandosi di un locale di vendita connesso all’azienda agro-zootecnica in regola con i requisiti di cui al Reg. 852/2004.

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L’azienda agricola produttrice di uova può dotarsi di un proprio centro d’imballaggio applicando la marchiatura prevista dai Regg. (CE) n. 1234/2007 e n. 589/2008 per la successiva commercializzazione, oppure conferire le uova non marchiate a un centro d’imballaggio o all’industria alimentare per la produzione di ovoprodotti. 6 del Reg. 852/2004, in possesso dei requisiti di cui all’allegato II, cap. IV, dello stesso Regolamento e di un impianto che garantisca adeguate condizioni di temperatura, come previsto dall’allegato II, cap. IV, punto 7, del Reg. 852/2004 e dall’allegato III, cap. VII, del Reg. 853/2004 (quest’ultimo prevede +3°C per le frattaglie e +7°C per le altre carni). Non possono essere utilizzate autovetture o veicoli normalmente destinati ad usi diversi dal trasporto alimentare. Le Regioni prevedono la possibilità di macellazione tradizionale a domicilio di suini e, in qualche caso, di ovini e caprini, stabilendo i requisiti e le regole per l’effettuazione della visita sanitaria. Tali deroghe, tuttavia, sono limitate all’autoconsumo familiare (in ge-

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nere sono fissati limiti quantitativi in funzione di tale destinazione) e le carni così ottenute non possono essere commercializzate. È interessante il caso della Regione Lombardia, che prevede la possibilità di macellazione, sezionamento e trasformazione in salumi all’interno di strutture appositamente realizzate presso gli allevamenti, come servizio per i cittadini che possono acquistare l’animale e utilizzarne le carni pur non avendo disponibilità di stalle e terreni (DDUO 31 luglio 2002, n. 14572). Carni di pollame, lagomorfi e piccola selvaggina allevata Anche le carni di pollame e lagomorfi (conigli) devono essere ottenute in macelli riconosciuti.

Tuttavia, secondo l’art. 1, comma 3, lettera d) del Regolamento (CE) n. 853/2004, e le Linee Guida della Conferenza Stato-Regioni del 17 dicembre 2009, sono previste due deroghe all’applicazione del Reg. 853/2004, che interessano le aziende agricole: 1) è consentita la macellazione fino a 500 capi/anno di pollame, lagomorfi e piccola selvaggina allevata, senza strutture dedicate, purché si tratti di cessione occasionale che avviene nella stessa azienda agricola, a richiesta del consumatore finale o del dettagliante “a livello locale” (nella provincia o province contermini) e in sua presenza. Le modalità sono disciplinate dalle Regioni; 2) la macellazione di quantitativi fino a 50 Unità Bovine Equivalenti complessive annue, corrispondenti a 10.000 polli e 6.250 conigli (1 UBE = 200 polli o 125 conigli), può avvenire in un macello annesso all’allevamento, non riconosciuto ma semplicemente registrato a seguito di notifica di inizio attività; ciò purché la macellazione sia finalizzata alla cessione diretta delle carni al consumatore finale o a dettaglianti a livello locale (provincia e province contermini) che forniscono direttamente il consumatore finale. I quantitativi suddetti valgono fatti salvi eventuali limiti più restrittivi imposti dalle Regioni, anche se talvolta sono stati fissati limiti più ampi (Regione Lombardia, Decreto Direzione Generale Sanità n. 5593 del 27-05-2010: 10.000 polli e 7.500 conigli). Devono essere rispettati i requisiti di cui al Reg. 852/2004 e devono essere predisposte e attuate procedure basate sul sistema HACCP. Carni di selvaggina cacciata Si riportano le seguenti informazioni relative alla selvaggina derivante da attività venatoria, costituendo quest’ultima, in molti casi, un’attività integrativa dell’agricoltore, ed essendo fissate deroghe dalla normativa comunitaria.

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da 516 a 2.065 euro e gli organi addetti dell’accertamento sono la Guardia forestale, gli addetti alla Polizia venatoria e gli agenti della Polizia locale.

Secondo le Linee Guida Stato-Regioni del 29 aprile 2010, applicative del Reg. 852/2004, tutte le fasi di allevamento, raccolta, confezionamento e imballaggio in azienda del miele rientrano nella produzione primaria. Ad ogni cacciatore è consentita la cessione diretta al consumatore finale o al dettagliante a livello locale (provincia e province contermini) che rifornisca direttamente i consumatori finali di un capo di selvaggina grossa o di 100 capi di selvaggina piccola all’anno, da considerarsi come capi interi o come carni da essi derivati. Il Regolamento 853/2004 definisce: “selvaggina selvatica: ungulati e lagomorfi selvatici, nonché altri mammiferi terrestri oggetto di attività venatorie ai fini del consumo umano considerati selvaggina selvatica ai sensi della legislazione vigente negli Stati Membri interessati, compresi i mammiferi che vivono in territori chiusi in condizioni simili a quelle della selvaggina allo stato libero; selvaggina di penna oggetto di attività venatoria ai fini del consumo umano”. Scendendo più nel dettaglio: – “selvaggina selvatica piccola”: selvaggina di penna e lagomorfi che vivono in libertà; – “selvaggina selvatica grossa”: mammiferi terrestri selvatici che vivono in libertà, i quali non appartengono alla categoria della selvaggina selvatica piccola. Le carni degli animali selvatici soggetti a trichinellosi, come i suidi (cinghiali), sono soggetti ai provvedimenti sanitari relativi alla Trichinella. È interessante la disposi-

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zione della Regione Lombardia, che obbliga il dettagliante che acquista carni dal cacciatore a dimostrare in qualsiasi momento l’esito delle analisi (Decreto Direzione Generale Sanità n. 5593 del 27-05-2010). Le Linee Guida della Conferenza Stato-Regioni del 17-12-2009 prevedono che il cacciatore debba comunicare in forma scritta all’esercente l’attività di commercio al dettaglio o di somministrazione la zona di provenienza degli animali cacciati: pertanto il dettagliante venditore o ristoratore deve esibire tale dichiarazione in caso di controllo. I piani selettivi di diradamento, i programmi di abbattimento autorizzati e le battute di caccia organizzate rientrano nel campo di applicazione del Reg. n. 853/2010; in tali casi è previsto il trasferimento delle carcasse in un centro di lavorazione della selvaggina, ove viene effettuata la visita ispettiva veterinaria con successiva bollatura sanitaria. È il caso di richiamare l’art. 21, lettera t), della Legge n. 157/1992, di natura non sanitaria ma di protezione della fauna omeoterma, che così recita: “… è vietato a chiunque commerciare fauna selvatica morta non proveniente da allevamenti per sagre e manifestazioni a carattere gastronomico”. La violazione è perseguita penalmente con l’arresto da due a sei mesi o con l’ammenda

Uova L’azienda agricola produttrice di uova può dotarsi di un proprio centro d’imballaggio (autorizzato dalla Regione) applicando la marchiatura prevista dai Regolamenti (CE) n. 1234/2007 e n. 589/2008 per la successiva commercializzazione, oppure conferire le uova non marchiate a un centro d’imballaggio o all’industria alimentare (esclusi i servizi di ristorazione per collettività) per la produzione di ovoprodotti. Sono esonerate dagli obblighi sulle norme di commercializzazione le uova vendute direttamente dal produttore al consumatore finale nel luogo di produzione o nella “regione di produzione” (identificata nel territorio compreso in un raggio massimo di 10 km dal luogo di produzione), in un “mercato pubblico locale” (qualsiasi mercato di prodotti alimentari per la vendita al minuto) o nella “vendita porta a porta” (la vendita effettuata direttamente dal produttore presso il domicilio del consumatore finale). Le uova “esonerate” non sono classificate in base alla qualità e al peso e devono comunque essere marchiate con il codice del produttore, ai sensi dell’art. 4, comma 3 del Regolamento (CE) n. 1028/2006. Tale codice consiste, come affermato dal Decreto del MIPAAF 11-12-2009, nel codice rilasciato dal servizio veterinario dell’ASL a seguito di domanda di registrazione, secondo l’art. 4, comma 1, del DLgs n. 267/2003. Per gli allevamenti più piccoli, fino a 50 galline ovaiole, è prevista un’ulteriore deroga: il produttore può non marchiare le uova, ma deve comunque indicare il suo nome e indirizzo nel punto vendita mediante un cartello, o comunicare tali dati all’acquirente nel caso della vendita porta a porta (per esempio con un biglietto). Anche l’art. 8, comma 2, della Legge n. 34/2008 (Legge comunita-

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La carne di manzo ha una tradizione secolare nella storia della gastronomia dell’Inghilterra. Oggi questo prodotto è il risultato del connubio fra antiche conoscenze sul mondo bovino tramandate e fra metodi di allevamento innovativi. La qualità eccellente di questa carne è data da quattro componenti fondamentali: il costante lavoro di incroci fra razze, l’ambiente sano in cui crescono gli animali, i metodi modernissimi di macellazione e il processo di maturazione che dura almeno 7 giorni attestato dall’etichetta facoltativa delle carni maturate*.

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* etichettatura fa facoltativa ai fini degli adempimenti previsti dal Titolo II della Sezione II del Reg. CE n° 1760 del 17/07/00, dal D.M. 30/08/00


Ad ogni cacciatore è consentita la cessione diretta al consumatore finale o al dettagliante a livello locale (provincia e province contermini) che rifornisca direttamente i consumatori finali di un capo di selvaggina grossa o di 100 capi di selvaggina piccola all’anno, da considerarsi come capi interi o come carni da essi derivati. ria 2007) afferma che le disposizioni di cui al comma 1 (autorizzazione dei centri d’imballaggio) non si applicano, ai sensi dell’art. 4 del Regolamento (CE) n. 1028/2006, ai produttori aventi fino a 50 galline ovaiole, a condizione che il nome e l’indirizzo del produttore siano indicati nel punto di vendita con un cartello a caratteri chiari e leggibili. Latte crudo La vendita del latte crudo è consentita ai sensi del Reg. 853/2004. Le Linee Guida della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome (il cui rispetto è richiamato dall’Ordinanza Ministeriale del 10 dicembre 2008, prorogata in ultimo al 31-12-2012) affermano che il latte crudo può essere venduto attraverso macchine erogatrici o “direttamente nell’azienda di produzione al consumatore finale, configurandosi in tale caso la fattispecie di cessione diretta di piccoli quantitativi di

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prodotti primari dal produttore al consumatore finale o a dettaglianti locali, esclusa dal campo di applicazione dei Regolamenti CE n. 852 e 853/2004”. È comunque di fatto escluso l’acquisto da parte dei dettaglianti, non potendo questi vendere a loro volta il latte crudo sfuso; tale possibilità è infatti riservata esclusivamente all’impresa agricola. In caso di cessione diretta di latte crudo dal produttore al consumatore finale, il produttore è tenuto ad informare il consumatore con idonei mezzi sulla necessità di consumare il prodotto previa bollitura (OM 10-12-2008). Tale disposizione rafforza la possibilità di cessione diretta occasionale di piccoli quantitativi sul luogo di produzione su espressa richiesta del consumatore finale. Inoltre, secondo l’Intesa StatoRegioni, “le aziende che intendono intraprendere la commercializzazione di latte crudo (uscendo quindi dal caso della vendita diretta

occasionale di piccoli quantitativi) devono: • essere conformi all’all. III, sez. IX, cap. I del Reg. 853/2004; • essere conformi all’all. I del Reg. 852/2004 (tenuta delle registrazioni nella produzione primaria); • predisporre e gestire un piano di autocontrollo con controllo analitico dei parametri previsti dalla normativa (carica batterica, cellule somatiche, ecc…), con almeno due prelievi al mese e altri controlli che di volta in volta si rendano opportuni (es. aflatossine); procedure di pulizia e sanificazione dei locali, delle attrezzature, dei contenitori, dei mezzi di trasporto e dell’erogatore; procedure dei tempi e temperature di trasporto”. Il latte crudo non può essere somministrato nella ristorazione collettiva (case di cura, case di riposo, ospedali, ecc…) comprese le mense scolastiche (OM del 1012-2008). Nessun divieto è reperibile per la somministrazione nella ristorazione pubblica, categoria alla quale è assimilabile anche quella agrituristica, nella quale comunque devono essere date garanzie di sicurezza alimentare mediante procedure basate sul sistema HACCP. Miele Secondo le Linee Guida Stato-Regioni del 29 aprile 2010, applicative del Reg. 852/2004, tutte le fasi di allevamento, raccolta, confezionamento e imballaggio in azienda del miele rientrano nella produzione primaria. Come si è visto nella parte generale, il Regolamento stesso non è applicabile “alla fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale o a dettaglianti locali che forniscono direttamente il consumatore finale”. Pertanto, anche la vendita occasionale di piccoli quantitativi, su richiesta dell’acquirente e in ambito locale (rivolta cioè ad acquirenti della provincia e province contermini), sarebbe consentita senza l’obbligo di rispettare i requisiti di cui al Reg.

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852/2004, cioè senza l’attivazione di un laboratorio con i requisiti previsti e la relativa registrazione, ma solamente con la registrazione come produttore agricolo e con un sistema di autocontrollo che non prevede la predisposizione obbligatoria di procedure basate sul sistema HACCP, ma limitato alla tenuta di registri relativi alle operazioni svolte. Tuttavia si ritiene che l’ambito di vendita a tali condizioni dovrebbe essere ristretta al solo consumatore finale, escludendo il dettagliante, in quanto l’apicoltore che vende occasionalmente è un produttore per autoconsumo che fornisce a terzi una piccola eccedenza di miele e non è attrezzato per sviluppare il necessario livello di garanzie tra cui l’etichettatura, obbligatoria nella vendita al dettaglio. Nel caso di vendita in un territorio più ampio (si ricordi che, secondo la Legge n. 59/1963 modificata dalla Legge n. 477/1964, la vendita al dettaglio da parte del produttore agricolo può avvenire senza licenza commerciale “in tutto il territorio della Repubblica”), o comunque non più in maniera occasionale ma con la proposizione dei prodotti all’acquirente secondo le normali pratiche commerciali all’interno di locali di vendita connessi all’azienda apistica, in mercati e fiere, oppure mediante la cessione sistematica ad imprese commerciali, decade l’esenzione dall’applicazione del Reg. 852/2004: è quindi necessario applicare le norme comunitarie che riguardano non solo la produzione primaria (obbligo di registrazione, rispetto dei requisiti di cui all’allegato I), ma anche le fasi successive (requisiti di strutture, attrezzature, procedure per il trasporto e la vendita, ecc…, di cui all’allegato II), con predisposizione ed applicazione di procedure basate sul sistema HACCP. Prodotti della pesca Il pescatore professionista e l’allevatore di acquacoltura sono produttori primari. Secondo l’allegato III, sezione VIII, punto 4, del Reg. 853/2004, “la produzione primaria comprende l’allevamento, la pesca e

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la raccolta di prodotti vivi della pesca in vista dell’immissione sul mercato”, nonché le operazioni connesse svolte a bordo delle navi da pesca quali: macellazione, dissanguamento, decapitazione, eviscerazione, taglio delle pinne, refrigerazione e confezionamento”. Rientrano nella produzione primaria anche: “1) il trasporto e il magazzinaggio di prodotti della pesca la cui natura non sia stata sostanzialmente alterata, inclusi i prodotti vivi della pesca, nelle aziende acquicole di terra; 2) il trasporto dei prodotti della pesca la cui natura non sia stata sostanzialmente alterata, inclusi i prodotti vivi della pesca, dal luogo di produzione al primo stabilimento di destinazione”. Il campo di esclusione dall’applicazione del Reg. 853/2004 per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura è identificato, oltre che dal limite territoriale generale della provincia e province contermini, da quello del “piccolo quantitativo, pari a un quintale per sbarco giornaliero da un peschereccio o per cessione giornaliera da un allevamento di acquacoltura” (Linee Guida StatoRegioni del 16 novembre 2006). Entro tali limiti, quindi, il pescatore o l’allevatore possono cedere direttamente i loro prodotti a consumatori finali o dettaglianti, senza doverli necessariamente trasferire ad un impianto collettivo per le aste, ad un mercato all’ingrosso o ad uno stabilimento riconosciuto. In ogni caso, il produttore primario, ai fini della rintracciabilità, “è tenuto a produrre, contestualmente alla cessione ad un dettagliante locale o ad un esercizio di somministrazione, un documento datato e firmato attestante l’origine e la tipologia del prodotto ceduto, in duplice copia di cui una va rilasciata all’acquirente ed una va tenuta dal cedente; dette copie vanno conservate per almeno tre mesi dalla data della cessione”. Pescatori e produttori di acquacoltura devono inoltre rispettare gli obblighi in materia di etichettatura previsti dal Regolamento (CE) n. 104/2000, indicando nome della


specie, zona di produzione e metodo di produzione, con unica esclusione per piccoli quantitativi pari a un valore massimo, fissato dal Regolamento CE n. 2065/2001, di 20 euro per ciascuna vendita ad un consumatore. La Circolare del MIPAAF n. 21329 del 27 maggio 2002, nel ribadire tale limite massimo, puntualizza che il riferimento è al consumatore finale. La vendita può avvenire dall’imbarcazione o in strutture a terra, secondo quanto consentito dagli enti preposti: la Capitaneria di Porto in relazione alle zone di attracco e sbarco, il Comune per quanto riguarda la disponibilità di aree mercatali riservate ai pescatori. Il pescatore deve inoltre rispettare l’obbligo di eviscerazione di determinate specie (Ordinanza del Ministero della Sanità del 12 maggio 1992) ed effettuare un controllo sulla presenza di parassiti: controllo che lo stesso dettagliante acquirente deve effettuare, soprattutto se non ha provveduto il pescatore. Deve comunque essere garantita la sicurezza alimentare mediante adeguate procedure igieniche dal momento della pesca a quello della vendita, in particolare per quanto riguarda la conservazione (celle frigorifere a bordo del peschereccio, uso del ghiaccio prodotto con acqua potabile o acqua di mare pulita, protezione dai raggi solari al momento dell’esposizione per la vendita). Il Decreto Legislativo n. 4/2012 contempla tra le attività connesse alla pesca e all’acquacoltura la trasformazione dei prodotti. In tal caso, tuttavia, devono essere rispettati i requisiti previsti dai Reg. 852/2004 e 853/2004, come più sotto specificato. Lo stesso DLgs afferma che “sono vietati, sotto qualsiasi forma, la vendita e il commercio dei prodotti della pesca non professionale”. Quindi al pescatore sportivo, a differenza di quanto avviene per il cacciatore, è sempre inibita la possibilità di vendere il pescato. Prodotti trasformati I prodotti trasformati di origine

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animale (come del resto quelli di origine vegetale) possono essere elaborati all’interno dell’azienda di produzione primaria e venduti al consumatore finale o al dettagliante, in piena applicazione del Reg. 852/2004 e, se del caso, del Reg. 853/2004. Per queste attività sono necessari: • l’allestimento di un laboratorio, che può essere anche multifunzionale; in alcuni casi esistono normative regionali che rendono possibile, nelle aziende agricole e agrituristiche, l’utilizzo delle cucine della famiglia dell’agricoltore, stabilendo limiti e requisiti minimi; • il rispetto dei requisiti generali e specifici previsti, con attenzione alle specifiche norme regionali; • la registrazione di tale laboratorio mediante notifica all’ASL competente; • la predisposizione e applicazione di procedure basate sul sistema HACCP. Alcune Regioni, con loro atti normativi (leggi regionali, regolamenti, decreti o deliberazioni della giunta), sono intervenute su alcune produzioni locali, semplificando procedure e requisiti: per esempio la Regione Liguria, con propria Delibera della Giunta Regionale 856 del 15 luglio 2011 (“Produzione marginale di prodotti lattiero-caseari e relativi requisiti igienico-strutturali”), ha regolamentato la produzione di formaggi con il latte crudo, dando anche un’interessante definizione di “azienda zootecnica marginale”: l’azienda che alleva bovini e che non può al contempo garantire un adeguato livello di reddito al titolare se non a fronte di praticamente indispensabile integrazione delle fasi di trasformazione e commercializzazione del latte. Considerando il costo medio di produzione del latte, la numerosità della mandria e la produttività delle bovine, viene considerato pari a 50 bovine il limite tra l’azienda in perdita (< 50) e quella in attivo (> 50) qualora venga venduto il latte secondo i canali convenzionali, rendendo necessaria la valorizzazione mediante trasformazione in

laboratori aziendali. Nell’allegato B le unità bovine equivalenti al di sotto delle quali l’azienda è da considerarsi “marginale, localizzata e ristretta” sono fissate nel numero di 30, corrispondenti a 30 bovine adulte (con deroga a 50 per la razza Cabannina, razza tradizionale e poco produttiva, in purezza) o a 300 pecore o capre. Conclusioni Come si è visto, la regolamentazione della vendita dei diversi prodotti alimentari di origine animale da parte dei produttori primari vede un fitto intreccio di normative sanitarie, comunitarie e nazionali, e di normative commerciali e di settore (agricoltura, pesca, caccia). I produttori devono quindi essere ben informati per non intraprendere, anche involontariamente, attività illecite e per evitare il rischio di incorrere in sanzioni. È molto importante il ruolo delle organizzazioni di settore, istituzionali e associazionistiche, per garantire supporto e informazione a questi operatori nella loro esigenza di valorizzare i prodotti del proprio lavoro È importante anche il ruolo dei servizi delle ASL che si occupano, in qualità di “autorità competente”, del controllo ufficiale per la sicurezza alimentare: non solo per l’utilità della vigilanza, ma anche per la collaborazione che possono fornire agli operatori, alle loro organizzazioni e agli enti di formazione. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione ASL n. 5 – La Spezia Bibliografia • MARCO CAPPELLI, Vendita diretta di prodotti alimentari da parte del produttore primario, EUROCARNI, anno XXVII, n. 6, giugno 2012, p. 21-26; IL PESCE, anno XXIV, n. 3, giugno 2012, p. 24-29. Riferimenti normativi 1. Regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari (rettifica in GUUE L 226 del 25-06-2004).

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2. Regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale (rettifica in GUUE L 226 del 25-06-2004). 3. Regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio del 22 dicembre 2004 sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate che modifica le Direttive 64/432/CEE e 93/119/CE e il Regolamento (CE) n. 1255/97 (GUUE L 003 del 05-01-2005). 4. Decreto del Dirigente di Unità Organizzativa, Direzione Generale Sanità, 31 luglio 2002, n. 14572 (BUR Lombardia, Serie ordinaria n. 35 del 26-08-2002). 5. Accordo, ai sensi dell’articolo 4 del Decreto Legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e delle Province autonome relativo a “Linee Guida applicative del Regolamento n. 85312004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti di origine animale”, Rep. Atti 253/CSR del 17-12-2009 (GURI n. 14 del 19-01-2010). 6. Decreto Direzione Generale Sanità Regione Lombardia n. 5593 del 27-05-2010 – Definizione dell’ambito di applicazione dei Regolamenti (CE) n. 852/2004 e 853/2004. 7. Legge 11 febbraio 1992, n. 157 – Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio (GURI n. 46 del 25-02-1992, SO n. 41) modificata dalla Legge 4 giugno 2010, n. 96 (GURI n. 146 del 25-06-2010, SO n. 138). 8. Regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007 recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (Regolamento unico OCM; GUUE L 299 del 16-11-2007). 9. Regolamento (CE) n. 589/2008 della Commissione del 23 giugno 2008 recante modalità di applicazione del Regolamento

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(CE) n. 1234 /2007 del Consiglio per quanto riguarda le norme di commercializzazione applicabili alle uova (GUUE L 163 del 2406-2008). 10. Regolamento (CE) n. 1028/2006 del Consiglio del 19 giugno 2006 recante norme di commercializzazione applicabili alle uova (GUUE L 186 del 07-07-2006). 11. Decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali 11 dicembre 2009 – Modalità per l’applicazione di disposizioni comunitarie in materia di commercializzazione delle uova, ai sensi dei Regolamenti (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, n. 589/2008 della Commissione e del Decreto Legislativo 29 luglio 2003, n. 267 (GURI n. 111 del 14-05-2010). 12. Decreto Legislativo 29 luglio 2003, n. 267 – Attuazione delle Direttive 1999/74/CE e 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento (GURI n. 219 del 20-09-2003). 13. Legge 25 febbraio 2008, n. 34 – Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2007; GURI n. 56 del 6 marzo 2008, SO n. 54). 14. Ordinanza del Ministro della Salute 10 dicembre 2008 – Misure urgenti in materia di produzione, commercializzazione e vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana (GURI n. 10 del 14-01-2009). 15. Ordinanza del Ministro della Salute 12 novembre 2011 – Proroga delle misure urgenti in materia di produzione, commercializzazione e vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana (GURI n. 288 del 12-12-2011). 16. Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome relativo a “Linee Guida applicative del Regolamento n. 852/2004/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari”, Rep. Atti n. 59/CSR del 29 aprile 2010


(GURI n. 121 del 26-05-2010). 17. Legge 9 febbraio 1963, n. 59 – Norme per la vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti (GURI n. 44 del 16-02-1963) e succ. modifiche. 18. Legge 14 giugno 1964, n. 477 – Modificazione della Legge 9 febbraio 1963, n. 59, recante norme per la vendita al pubblico in sede stabile di prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti (GURI n. 164 del 07-07-1964). 19. Provvedimento 16 novembre 2006 della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano – Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della Legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, relativa alle Linee Guida sui

prodotti della pesca e la nuova regolamentazione comunitaria (Repertorio atti n. 2674). 20. Regolamento (CE) n. 104/2000 del Consiglio del 17-12-1999 relativo all’organizzazione comune dei mercati del settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura (GUCE L 17/22 del 21-01-2000). 21. Regolamento (CE) n. 2065/2001 della Commissione del 22-102001, che stabilisce le modalità d’applicazione del Regolamento (CE) n. 104/2000 del Consiglio per quanto concerne l’informazione dei consumatori nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura (GUCE L 278/6 del 23-10-2001). 22. Circolare del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Dipartimento delle Politiche di Mercato, Direzione Generale per la Pesca e l’Acquacoltura, n. 21329 del 27 maggio 2002 – Reg.

n. 2065/2001 della Commissione del 22 ottobre 2001 recante modalità di applicazione del Reg. CE 104/2000, relativamente all’informazione ai consumatori nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, Decreto Ministeriale 27 marzo 2002. 23. Ordinanza del Ministero della Sanità 12 maggio 1992 – Misure urgenti per la prevenzione delle parassitosi da Anisakis (GURI n. 121 del 25-05-1992). 24. Decreto Legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 – Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell’articolo 28 della Legge 4 giugno 2010, n. 96 (GURI n. 26 del 01-02-2012). 25. Deliberazione della Giunta Regionale della Liguria n. 856 del 15 luglio 2011 – Produzione marginale di prodotti lattierocaseari e relativi requisiti igienico-strutturali.

UNICEB: applicazione dell’articolo 62 sui termini di pagamento. Carni fresche e congelate e prodotti a base di carne classificati come prodotti deteriorabili con pagamento a 30 giorni La UNICEB rende noto alle ditte associate che dal 24 ottobre è entrato in applicazione quanto previsto dall’articolo 62 della Legge 27/2012 in materia di termini di pagamento nelle transazioni commerciali di prodotti agroalimentari. Il citato articolo 62, al comma 4, prevede le definizioni di prodotti deteriorabili per i quali è previsto un termine di pagamento di 30 giorni (a partire dalla fine del mese di ricevimento della fattura).In particolare, la lettera c) del Decreto individua, tra i prodotti deperibili, tutti i “prodotti a base di carne” che presentino le seguenti caratteristiche fisico-chimiche che, per opportunità, riportiamo integralmente: • aw superiore a 0,95 e pH superiore a 5,2; oppure • aw superiore a 0,91; oppure • pH uguale o superiore a 4,5. Tale definizione è stata integralmente ripresa dal decreto 13 maggio 2003 emanato a seguito della Legge 231/2003 che prevedeva dei termini di pagamento nelle transazioni commerciali. A seguito di tale decreto fu emanata dal Ministero delle Attività Produttive (attuale Sviluppo Economico) la Circolare n. 3560/C del 23 maggio 2003 (riportata in allegato alla presente), con la quale fu chiarito che nell’ambito dei prodotti a base di carne rientravano, ai soli fini della normativa sui termini di pagamento, anche le carni tal quali, a condizione che rispondessero alle caratteristiche chimico fisiche sopra indicate al punto c). Vista la recente entrata in vigore del provvedimento legislativo, abbiamo effettuato delle verifiche presso il Ministero dello Sviluppo Economico per avere chiarimenti in merito ai termini di pagamento a cui assoggettare le carni fresche e le carni congelate. Sulla base di quanto disposto dall’articolo 62 della Legge 27/2012 e dalla Circolare esplicativa del 2003 (tuttora vigente), le transazioni commerciali che riguardano tutte le tipologie di carni (fresche e congelate) ed i prodotti a base di carne che abbiano le caratteristiche chimico fisiche sopra indicate, dovranno essere assoggettate al termine di pagamento di 30 giorni. (Fonte UNICEB)

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Slalom

Paese senza meritocrazia di Cosimo Sorrentino

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i eravamo ripromessi, nello scorso numero di questa Rivista, di svolgere alcune considerazioni in merito al grave problema che sta affliggendo, tra gli altri, il nostro Paese: la disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Non abbiamo la pretesa di indicare ricette valide per risolvere un problema di così vasta portata, che finora nessuno, a tutti i livelli, ha saputo bene come affrontare. Si sono sentite solo voci confuse soprattutto sulla crescita del Paese, che non riesce a partire, e su posti di lavoro che non si sono creati. Proprio l’occupazione, per i suoi risvolti di carattere sociale, dovrebbe costituire la prima urgenza della crisi in atto e l’obiettivo principale da risolvere, che oggi, purtroppo, si è mescolato con le tante altre emergenze che hanno sollecitato l’azione del Governo. Certamente è la crisi che continua a mordere e

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a far chiudere le aziende, perché la gente non consuma, le banche non prestano più soldi, perché la fiducia nel futuro si va sempre più indebolendo e il sistema produttivo è in panne. I recenti dati ISTAT sull’andamento dell’occupazione descrivono un quadro a dir poco impressionante: nel secondo trimestre di quest’anno gli occupati di età compresa tra i 15 e i 34 anni sono diminuiti di quasi un milione e mezzo di unità rispetto allo stesso periodo del 2007. Ancora più basso risulta il tasso di inattività dei giovani tra i 15 e 24 anni, un calo spiegato dalla contrazione di quanti indicano lo studio o la formazione professionale come principale ragione della mancata partecipazione al mercato del lavoro. All’emorragia dei posti di lavoro per i giovani fa però da contraltare la situazione più positiva delle fasce di età più avanzate. Infatti, tra

il secondo trimestre del 2007 e lo stesso periodo di quest’anno, per le persone di età fra i 55 e i 64 anni i posti di lavoro sono aumentati del 26%, con 626.000 unità, mentre nel giro di un solo anno, tra il secondo trimestre del 2011 e l’analogo periodo di quest’anno, il rialzo è stato di 226.000 unità, rialzo dovuto, probabilmente, alle recenti riforme previdenziali, che hanno allungato l’età pensionabile. Così, a livello generale, sono proprio i giovani al di sotto dei 35 anni quelli che più ricercano lavoro e che ammontano ad un milione e 386 mila unità. La crisi del lavoro giovanile non è però un problema solo italiano, tanto che EUROSTAT ha di recente puntato il dito contro il “dramma” delle nuove generazioni, dopo aver certificato che a luglio il tasso di disoccupazione nella UE a 17 Paesi ha raggiunto il tasso dell’11,3%. Si tratta di un

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record assoluto: con 25,2 milioni di cittadini europei senza lavoro, la disoccupazione giovanile è arrivata al 22,6% nell’Eurozona e al 22,5% nell’intera Unione Europea, per un totale di quasi cinque milioni e mezzo di persone sotto i 25 anni senza lavoro. Fin qui la situazione è nota, ma ci preme ora sottolineare alcune anomalie che caratterizzano la situazione della “generazione perduta” italiana, come è stata definita da più parti. Anomalie, che sono, a nostro parere, di duplice ordine: lavori snobbati e inesistente meritocrazia. Da un nuovo rapporto dell’Unione delle Camere di Commercio si può rilevare come, anche in presenza di lavori disponibili, questi vengono ritenuti non adatti ad aspettative malamente riposte. Molti giovani, spesso, si sentono già “arrivati” senza aver fatto nessun tirocinio, e pretenziosamente esigono posti che vanno invece guadagnati con spirito di sacrificio. Il citato rapporto mostra come molte aziende in

Italia fatichino a trovare personale, perché nel nostro paese moltissimi giovani continuano a impegnarsi in professioni ormai inflazionate rispetto alle reali necessità del Paese, come quelle di avvocato o psicologo, trascurando le richieste del mercato. Le ragioni di questa situazione sono soprattutto di natura culturale: permane infatti nella maggioranza della popolazione ancora la convinzione che l’operaio o il tecnico siano meno “considerati” di laureati o diplomati, che possono accedere a impieghi e libere professioni ritenute di maggior prestigio. Oggi, invece, si richiedono sempre più operai e meccanici specializzati, tecnici della sanità e dei servizi socioassistenziali, tecnici informatici, per non parlare poi della manodopera in agricoltura, lavori trascurati se non addirittura ignorati perché ritenuti non qualificati e non qualificanti. L’altro principale aspetto è la mancanza di un sistema di competizione che ha portato l’economia

al deterioramento: l’assenza di un sistema basato su valori come la meritocrazia ha prodotto una classe dirigente debole, causa principale del citato declino. I nostri giovani (non tutti ovviamente, ma certamente la maggior parte) preferiscono affidarsi ad altri piuttosto che intraprendere iniziative in prima persona, così spesso languono a carico delle loro famiglie, complice un sistema nel quale rientra anche la scuola, che non riesce ad orientarli nella scelta del loro avvenire. Per la famiglia e per la scuola, appunto, per il benessere di tutti, è necessario cambiare passo, prima ancora che per l’economia. Cosimo Sorrentino Nota A pagina 34 la nuova campagna pubblicitaria Benetton. Si chiama “Unemployee of the year”, che significa “disoccupato dell’anno”, e vede come protagonisti non modelli ma giovani disoccupati provenienti da tutto il mondo.

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Ambiente

Bord Bia per la sostenibilità Abbassare i consumi di energia, minimizzare l’impronta di CO2 e mitigare l’impatto sull’ambiente: l’industria agroalimentare irlandese aderisce al programma “Origin Green”

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ostenibilità, se ne discute parecchio oggi. Sostenibile è un processo o uno stato che può essere mantenuto nel tempo, indefinitamente. Nel suo impiego in ambito agricolo, consiste nel creare un sistema di sostegno alla vita dell’uomo che si protragga nel tempo, in quel “futuro” che verrà dopo di noi. Tante parole, quindi, ma c’è anche chi è già passato ai fatti e ha già tradotto il pensiero in una realtà. È il caso dell’Irlanda, con il programma di sostenibilità dell’Irish Food Board per il settore food & beverage, il primo passo verso lo sviluppo sostenibile. I numeri sono elevati: ad oggi il 45% degli esportatori irlandesi ha già aderito al programma “Origin Green”, la carta che sottoscrive l’impegno dell’industria food & beverage irlandese a raccogliere la sfida delle sostenibilità in maniera diretta e forte: abbassando i consumi di energia, minimizzando l’impronta di CO2 e mitigando l’impatto sull’ambiente. Che cos’è Green Origin? Si tratta di un programma di sviluppo volontario ideato da BORD BIA e sottoscritto da allevatori, trasformatori, produttori di alimenti e bevande irlandesi per la sostenibilità.

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Qual è l’approccio? A livello internazionale l’Irlanda è riconosciuta come un Paese dalle ricche risorse naturali e dall’elevata qualità delle sue materie prime agricole, prodotte in un ambiente non inquinato. Recenti ricerche attestano che l’industria casearia irlandese registra le più basse emissioni di gas serra a livello europeo. Nonostante queste ottime premesse, le autorità hanno studiato un programma denominato “Origin Green” attraverso il quale vengono sviluppati piani di sostenibilità applicati all’industria zootecnica e agroalimentare, fino al retail e al foodservice. Alla base del progetto c’è l’adesione da parte di tutti i partecipanti agli obiettivi di riduzione dell’energia impiegata, minimizzazione dei gas serra e adozione di politiche di tutela dell’ambiente. In questo modo si persegue un obiettivo di sostenibilità massimizzando l’efficienza e la competitività. A che punto siamo oggi? Nel 2011 BORD BIA ha introdotto il monitoraggio dell’emissione di gas serra per tutti gli allevatori aderenti al suo programma Quality Assured Beef. Ad oggi questa è l’unica l’attività che opera a livello nazionale e che

coinvolge un così grande numero di operatori. Come funziona? L’azienda sottoscrive l’adesione ad un piano pluriennale di sviluppo e implementazione dei processi di monitoraggio e controllo attività. L’Irlanda ha già valutato le emissioni di 27.000 aziende zootecniche dedicate all’allevamento di bovini con una prima raccolta di dati su CO2, risorse idriche e biodiversità. Obiettivo di BORD BIA è raggiungere un tasso di partecipazione del 75% tra le aziende esportatrici entro il 2014, consentendo all’Irlanda di ottenere la certificazione di sostenibilità più completa e verificabile rispetto a qualsiasi altro paese al mondo. Le aziende aderenti Tra le aziende che hanno sottoscritto lo sviluppo di un piano di sostenibilità “Origin Green” ricordiamo KERRY GROUP, GLANBIA (Dairy Ingredients Ireland), MARINE HARVEST, COUNTRY CREST, DAWN FARM FOODS, FLAHAVANS, IRISH DISTILLERS, ABP FOOD GROUP ed ERRIGAL SEAFOOD. >> Link: www.irishfood.it www.bordbia.ie

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La carne in rete

Il meglio del web e delle app di Elena Benedetti

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Carni piemontesi a Milano

Il mercato delle carni ovine negli USA

La macelleria diventa virtuale

Molto bello il sito web della macelleria milanese di BRUNO REBUFFI e MAURO BRUN, eredi del “re della carne” Ercole Villa. Il negozio è in via dell’Annunciata a Milano. Attraverso le pagine web si entra nel mondo di questi macellai, che mettono impegno e passione nella scelta delle migliori carni piemontesi. In negozio si possono trovare la scottona (o vitello piemontese), le carni del Bue Grasso o il vero sanato di Fassone, vale a dire il vitello di sei mesi, ingrassato a latte e uova. Il sito racconta la genesi della macelleria, presenta i tagli e i prodotti di carne, arricchendoli con alcune ricette. Belle le immagini e la grafica, molto curata in ogni dettaglio. info@pregiatecarnipiemontesi.it

È il sito web dell’AMERICAN SHEEP INDUSTRY ASSOCIATION, l’organismo che riunisce aziende, industria e operatori delle carni ovine statunitensi. Disponibile all’indirizzo www. sheepusa.org e solo in lingua inglese, questo portale raccoglie informazioni aggiornate su dati di mercato, statistiche, formazione, assistenza, notizie e marketing. Caratterizzato da una grafica ben curata e facile da navigare, il sito contiene i link ai social network Facebook e Twitter, molto utilizzati negli Stati Uniti. Nella sezione “Eventi” è indicata la prossima convention annuale, che si terrà dal 23 al 26 gennaio 2013 a San Antonio, Texas. Form on-line

Sembra una macelleria virtuale e vi si accede per comprare tagli di carne, appunto, via web. Il prodotto è imballato in scatole 100% riciclabili e impermeabili, ricoperto da blocchetti di ghiaccio secco. Si può scegliere una scatola già definita con tagli e offerte oppure crearne una propria, personalizzata. All’arrivo dell’ordine attraverso il sito web i macellai preparano le confezioni e spediscono il materiale il giorno successivo. Il cliente riceve un avviso di spedizione via SMS con indicati i tempi di consegna. Che sia il futuro del business delle carni? Forse no, però è certamente un portale interessante e magari utile per chi preferisce gli acquisti on-line alla classica visita in macelleria o al banco carni del supermercato. Tutto made in England. Form on-line

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Eventi

A cena col ministro La visita del ministro gallese Alun Davies per sostenere le vendite di agnello gallese Igp, tra sopralluoghi in GDO e presso i distributori, è terminata con una cena super chic al Ristorante Cracco. A suggellare gli ottimi risultati che queste carni stanno ottenendo sul mercato italiano

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l ministro dell’Agricoltura, della Pesca, dell’Alimentazione e dei Programmi europei del Governo gallese ha visitato Milano il 6 e il 7 settembre scorso, accogliendo l’invito di HCC-Hybu Cig Cymru, ente promotore delle carni gallesi in Europa, che nel Belpaese sta ottenendo eccellenti risultati di export soprattutto grazie al rinomato agnello gallese IGP. La visita è stata organizzata in collaborazione con il Consolato Generale Britannico di Milano e UK Trade & Investment

(UKTI), l’agenzia governativa per lo sviluppo del commercio internazionale e degli investimenti esteri. Con l’obiettivo di incontrare i protagonisti di un mercato più che positivo e di sostenere l’avvio delle vendite per la prossima stagione, la due-giorni italiana del ministro Davies ha avuto in programma importanti appuntamenti, a cominciare da una cena a base di Welsh lamb che, per l’occasione, è stata preparata da Carlo Cracco, chef pluristellato, star televisiva

dei reality gastronomici e da sempre estimatore della carne ovina. A Cracco il compito di cucinare un menu esclusivo per un selezionato numero di commensali che, insieme al ministro, hanno potuto assaporare piatti davvero speciali. EUROCARNI era presente alla degustazione di piatti che dall’antipasto al secondo avevano come comune denominatore il Welsh lamb. Oltre alla tradizionale lasagnetta al ragù bianco e alla nocetta allo spiedo con caponata e salsa pic-

Nocetta di agnello gallese allo spiedo con caponata e salsa piccante, firmata da Carlo Cracco.

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A sinistra: Dai Davies, presidente HCC, lo chef Carlo Cracco e il ministro Alun Davies. A destra: Costantino Costa, direttore Divisione Bovino Danish Crown, ufficio di Chiasso, Carlo Cracco e Pasquale Pizzuti, direttore commerciale di Quartiglia Spa.

Vailati, la carne ovina per lui non ha segreti È da anni un grande estimatore del Welsh Lamb Ambrogio Vailati (in foto a lato insieme ad Alberto Gaboardi della F.lli Gaboardi di Cremona), titolare della Vailati Srl di Cernusco sul Naviglio, l’azienda specializzata nell’importazione e commercio di ovini e caprini. Anche lui era presente al Ristorante Cracco per dare il benvenuto al ministro Davies. La Vailati Srl lavora e commercializza carni ovine e capretti di provenienza italiana ed estera: ogni mercato di riferimento garantisce caratteristiche funzionali alle esigenze del consumatore finale. Queste ultime sono dettate da abitudini alimentari, festività o precetti religiosi. Ambrogio Vailati lavora con i macelli gallesi già da alcuni anni, apprezzandone le carni sia per la qualità che per la varietà dei tagli (cosciotto, spalla, carré, filetti), che possono essere preparati e adattati secondo la stagione e le diverse necessità della clientela.

Siciliani punta sul Welsh Lamb La Siciliani di Palo del Colle, moderna e dinamica industria del settore delle carni, ha recentemente sottoscritto un accordo con la F.lli Gaboardi, l’azienda cremonese specializzata nella lavorazione e distribuzione di carne ovicaprina. Alla luce anche di questa nuova partnership cresce sempre più l’interesse dell’azienda barese per l’agnello gallese IGP, un prodotto che da subito si è dimostrato affidabile e costante nella qualità. Carlo e Saverio Siciliani, entrambi presenti alla cena di benvenuto al ministro Davies (in foto a lato), hanno rappresentato alcuni tra gli operatori più fedeli al prodotto made in Wales.

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Il ministro Davies visita il reparto carni dell’ipermercato Grandemilia di Modena con Mario Zucchelli, presidente di Coop Estense.

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Il banco carni del Grandemilia di Modena offre un’ampia varietà di tagli di agnello gallese IGP. cante, tanti i giochi di antipasti. Il più straordinario? Un prosciutto di agnello gallese realizzato lavorando il carré d’agnello con una marinatura di sale, zucchero, aglio e timo. Nella sua semplicità, un vero capolavoro. Prima di ripartire per il Galles, Alun Davies ha visitato anche alcuni punti vendita italiani che, da anni, hanno dimostrato piena fiducia nei confronti di questo prodotto, tra cui l’ipermercato Grandemilia, alle porte di Modena. Nel 2011 le

esportazioni di Welsh lamb verso il mercato italiano sono aumentate del 30% (pari a 1.000 tonnellate di carne) rispetto all’anno precedente e — secondo le stime di HCC — le prospettive di vendita per il 2012 sono ancora migliori. Il motivo del successo di questo pregiato prodotto risiede anzitutto nelle sue eccellenti qualità organolettiche, quali la tenerezza e il gusto naturale e genuino. Il marchio di indicazione geografica protetta, inoltre, costituisce

un importante riconoscimento che rafforza ulteriormente l’immagine di una carne ormai ampiamente apprezzata dai gourmet come dai consumatori italiani. L’IGP è la conferma ulteriore del merito dei produttori di agnello gallese per gli elevati standard qualitativi che sono tenuti a rispettare in tutta la filiera, dall’allevamento alla lavorazione. Standard che conferiscono al Welsh lamb una garanzia di origine, qualità e metodo di produzione.

HCC Hibu Cig Cymru – Meat Promotion Wales è l’ente responsabile per lo sviluppo, la promozione e la distribuzione delle carni del Galles. Tra i compiti di HCC vi sono: la promozione di tutti i prodotti di carne provenienti dal Galles, l’evidenziazione delle caratteristiche che differenziano i prodotti di carne gallese, la collaborazione con le aziende agricole per diffondere la qualità, ridurre i costi e migliorare la salute degli animali, la collaborazione con tutta la catena di fornitori per migliorare l’efficienza e sviluppare la garanzia di qualità, l’attività per la diffusione ed il miglioramento della comunicazione della qualità di questo settore. HCC rappresenta per vasta parte l’industria agricola del Galles e trae esperienza dai diversi componenti dei suo Board of Directors e dalle aziende a cui essi appartengono. >> Link: www.hccmpw.org.uk

46

Eurocarni, 11/12


Campagna finanziata con il supporto dell’Unione Europea e Hybu Cig Cymru – Meat Promotion Wales (HCC)

Il suo bis, bis, bis, bis, bis, bisnonno gli ha insegnato tutto quello che sa. La carne di agnello gallese viene allevata da centinaia di anni; generazioni di allevatori di questo tipo di carne hanno perfezionato e tramandato le loro capacità di allevamento nel corso dei decenni. Questa è solo una delle ragioni per cui la carne di agnello gallese ha ottenuto la denominazione IGP, il tanto ricercato marchio che garantisce l’acquisto di un prodotto di qualità. Passaparola.

Per saperne di più su come diventare rivenditore di PGI Welsh Lamb visita agnellogallese.it

Eurocarni, 11/12

È tempo di qualità 47


Commercializzazione

Pesci “extracomunitari” Un’indagine condotta in alcune macellerie cosiddette “islamiche” evidenzia la necessità di maggiori controlli da parte degli organi competenti di Agostino Carli e Lorenzo Martinello

N

egli ultimi anni si è assistito ad una crescita vertiginosa del numero di macellerie cosiddette “islamiche”. Molti di questi negozi, oltre a commercializzare normalmente carni e spezie, vendono anche prodotti ittici congelati/ surgelati in confezioni originali, spesso in quantità assai rilevanti rispetto alle dimensioni dei punti vendita e a quanto ci si potrebbe aspettare. Scopo di questo lavoro è stato pertanto il rilevamento delle tipologie di prodotti ittici venduti, la verifica della conformità delle rispettive denominazioni commerciali, oltre che dell’origine e provenienza. L’indagine A tale proposito sono stati ispezionati, nella città di Bolzano, complessivamente 7 esercizi di vendita controllando in totale 84 prodotti ittici. Sono state rilevate 54 diverse specie, il maggior numero delle quali d’acqua dolce (64%), sia pescate che allevate. L’origine più frequente è risultato essere il Bangladesh (43%), paese di appartenenza comune a molti gestori dei negozi ispezionati, seguito dalla Cina, mentre la provenienza di regola è documentata da importatori con sede in Italia o in altri paesi europei. La denominazione di specie (nomenclatura italiana e latina) è risultata corretta — ovvero corrispondente a quella prescritta dal Decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali — in 28 casi, mentre era assente o illeggibile (alternativamente la versione italiana o quella

48

latina), in altri 10; nei rimanenti 46 prodotti ittici ispezionati, essa risultava incompleta o semplicemente imprecisa nella traduzione; in alcuni casi, infine, la denominazione in uso nella lingua del Paese d’origine compariva accanto alle altre. I risultati sono riassunti nella Tabella 1 e nei Grafici 1 e 2. Conclusioni Contrariamente alle carni vendute negli stessi esercizi, i prodotti ittici vengono acquistati quasi esclusivamente da clienti “extracomunitari”, sia a causa della tradizionale abitudine, da parte dei clienti italiani,

di consumare prevalentemente pesci di mare possibilmente freschi, sia probabilmente per una scarsa visibilità — in questa tipologia di negozi — dei prodotti ittici venduti, essendo essi conservati in surgelatori a banco chiusi, situati spesso nel retrobottega, e quindi non “esposti” per la vendita. Le condizioni igieniche di conservazione dei prodotti esaminati sono risultate sempre rispettate per quanto riguarda le temperature, mentre sono risultate a volte carenti le modalità di confezionamento (sono state riscontrate alcune confezioni non perfettamente chiuse,

Dalle ispezioni effettuate i prodotti ittici, conservati in surgelatori situati spesso nel retrobottega, vengono acquistati in questi particolari esercizi di vendita quasi esclusivamente da cittadini extracomunitari.

Eurocarni, 11/12


Tabella 1 – Elenco dei prodotti ittici N.

Denominazione latina in etichetta

Denominazione italiana in etichetta

Origine dichiarata in etichetta

1

Glossogoius giuris

Ghiozzo indopacifico

Bangladesh

2

Ababas testudineus

Pesce rampicante

Tailandia

3

Hilsa ilisha

Alosa di fiume indiana

Myanmar (Birmania)

4

Mystus tengra

Siluro asiatico

Bangladesh

5

Eutropiichthus vacha

Pesce gatto

Bangladesh

6

Mugil parsia (Ham)

Carpa

Bangladesh

7

Macrobrachium rosenbergii

Gamero blu

Bangladesh

8

Clarias hatrachus

Pesce gatto

Bangladesh

9

Neotropius acutirostris

Batasi

Myanmar

10

Corica suborna

Papalina asiatico

Bangladesh

11

Heteropneustes fossilis

Pesce gatto asiatico

Bangladesh

12

Puntius titius

Barbo Asiatico Minuto

Bangladesh

13

G. fasciatus, G. giuris, P. ticto, ecc…

Ghiojjo indopacifico, Barbo asiatico minuto

Bangladesh

14

Amblypharyngodon mola

Carpa panpiuta

Myanmar (Birmania)

15

Labeo rohita

Labeo

Myanmar (Birmania)

16

Pangasius sutchi

Pangasio

Thailand

17

Macrobrachium rosenbergii

non riportato

Thailand

18

Wallago attu

Siluro asiatico

Bangladesh

19

Pama Pama

Pesce pama asiatico

Bangladesh

20

Hisha Hisha

Alosa di Fiume

Myanmar (Birmania)

21

Wallago attu

Pesce gatto asiatico

Myanmar (Birmania)

22

Pangasius sutchi

Pangasio

Thailand

23

Harpadon nehereui

Harpadon Nehereu

Bangladesh

24

Macrobrachium styliferus

Gamerettini

Bangladesh

25

Corica soborna

Papalina asiatico

Bangladesh

26

Mastacembelus armatus

Grongo asiatico

Bangladesh

27

Harpadon Nehereui

Harpadon Nehereu

Bangladesh

28

Macrobrachium rosenbergii

Gamero blu

Thailandia

29

Macrobrachium rosenbergii

non riportato

Thailandia

30

Labeo rohita

Labeo

Myanmar

31

Clarias macrocephalus

Pesce gatto asiatico

Thailand

32

Metapeanos monoceros

Gamberetti di acqua dolce

Bangladesh

33

Oreochromis niloticus

Tilapia/Tilapia

Thailand

34

Hilsha ilisha

Alosa indiana di fiume

Bangladesh

35

Dentex dentex

Dentici

FAO n. 34

36

Hilsha ilisha

Alosa di Fiume

Myanmar (Birmania)

37

Labeo rohita

Labeo

Myanmar (Birmania)

38

illegg.

Pesce persico

Bangladesh

39

Puntius sarana

Piccolo carpa

Bangladesh

40

illegg.

Code di mazzancolle tropicale

Ecuador

Eurocarni, 11/12

49


41

Portunus pelagicus

Granchio granchio

non riportato

42

Scylla serrata

Pezzi di granchio crudo indopacifico

Madagascar

43

Lepidopus caudatus

Pesce sciabola

India

44

Pseudoscianea polyactis

Corvina secca salata

Cina

45

Pseudoscianea polyactis

Corvina di mare

Cina

46

Harpadon nereus

Pesce dragon

Cina

47

Sardina pilchardus

non riportato

Cina

48

Sepia esculenta

Seppie secche

non riportato

49

Pseudoscianea polyactis

Corvina congelata

Cina

50

Metapeneus affinis

Gamberi indopacifici

India

51

Coilia Nasus Lacepede

Pesce topo pelagico

India

52

Miichtys miiuy

Corvina secca salata

Cina

53

Coilia Nasus Lacepede

Pesce topo pelagico

Cina

54

Argyrosomus argentatus

Tiraglino

Cina

55

Litopenaeus vannamei

Gamberetti di acqua dolce

India

56

Sepia esculenta

Seppia indopacifica

non riportato

57

Lophius piscatorius

Rana pescatrice orientale

Cina

58

Thunnus obesus

non riportato

Ecuador

59

Scarus spp.

non riportato

Vietnam

60

Acetes Chinesis Hansen

Gamberetti secchi

Cina

61

Oncorhynchus keta

non riportato

USA

62

Penaeus monodon

Gambero gigante indopacifico

Indonesia

63

Lepidopus caudatus

Pesce sciabola

India

64

Metapenaeus ensis

Gamberi essiccati

Thailand

65

Loligo spp

Calamari secchi

Thailand

66

illegg.

Sgombro cotto a vapore congelato

Thailand

67

Penaeus vannamei

Mazzancolla tropicale

Vietnam

68

Channa striatus

Ghiozzone asiatico

Bangladesh

69

Notopterus notopterus

Pesce stella

Bangladesh

70

Lates calcarifer

Pesce barramudi

Bangladesh

71

Pama Pama

Pesce umbrina

Bangladesh

72

Alia coila

Siluro asiatico minuto

Bangladesh

73

Neotropius acutirostris

Batasi

Myanmar (Birmania)

74

Oxygaster phulo

Pesce alneon dello scure

Bangladesh

75

Lates calcarifer

Barramundi

Bangladesh

76

Pomadasys hasta

Pesce imperatore

Myanmar (Birmania)

77

Channa striata

Testa serpente striato

Myanmar (Birmania)

78

Nandus nandus

Nando asiatico provv. Parca asiatico

Bangladesh

79

Amblypharyngodon mola

Carpa panciuta

Bangladesh

80

Heteropneustes fossilis

Pesce gatto asiatico

Bangladesh

81

Heteropneustes fossilis

Pesce gatto asiatico

Myanmar (Birmania)

82

Mystus aor

Tipo pesce gatto

Bangladesh

83

Sperata seenghata

Pesce gatto di fiume

Bangladesh

84

Pampus argenteus

Fleto argenteo

Bangladesh

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Eurocarni, 11/12


Grafico 1 – Origine per zona di cattura FAO 34 1%

FAO 51 5% FAO 71 2%

FAO 87 1%

acqua dolce 64%

FAO 61 15%

FAO 57 12%

Grafico 2 – Origine per paese Vietnam 2,47%

Altri (Madagascar, Ecuador, USA, Indonesia) 4,94%

India 4,94% Thailandia 13,58%

Bangladesh 43,21%

Birmania 14,81% Cina 16,05%

apparentemente già all’origine). I volumi di vendita stimati sulla base dei documenti di trasporto visionati, e secondo le stesse dichiarazioni degli esercenti, confermano le importanti dimensioni di questo commercio (oltre 5 quintali al mese in alcuni negozi) e assumono particolare rilievo soprattutto se considerati sotto il profilo della scarsa consapevolezza che si ha in generale di questo fenomeno. Pur

Eurocarni, 11/12

essendo stata sempre dimostrabile l’origine del prodotto da stabilimenti autorizzati, nondimeno si ritiene opportuna una maggiore sensibilizzazione degli organi di controllo rispetto a questa specifica realtà. Dott. Agostino Carli Medico veterinario AS Alto Adige Dott. Lorenzo Martinello Tecnico prevenzione AS Alto Adige


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Eurocarni, 11/12


Consumi Positivo l’andamento del mercato nazionale nel 2011

Il mercato dei prodotti carnei e dei piatti pronti ricettati surgelati di Roberto Villa

I

l settore delle carni surgelate (rossa e bianca) ha chiuso il 2011 in modo ampiamente positivo; il segmento della carne bianca ha evidenziato un aumento pari al 3,7% che, se sommato al dato registrato nel quadriennio 2007-2010 (+27,1%), porta ad un aumento globale nel quinquennio prossimo al 31%. Il segmento della carne rossa ha confermato un deciso progresso nel 2011, avanzando del 3,5% rispetto all’anno precedente; in questo caso è utile sottolineare il forte balzo degli hamburger, referenze dal profilo salutistico e a basso potenziale di grassi, che hanno certamente rappresentato un’opzione conveniente in un momento di difficile congiuntura. Tale decisa crescita conferma come il consumatore mostri piena fiducia nel sistema di controllo di filiera ed evidenzia che tali prodotti stanno entrando a pieno titolo nelle sue abitudini d’acquisto, anche grazie alla recente tendenza sostenuta dai nutrizionisti più affermati, la quale tende a privilegiare piatti leggeri ed equilibrati. Piatti pronti all’insegna della stabilità, la crisi fa segnare il passo Nel 2011 il segmento dei piatti pronti ricettati ha proseguito in una generale tendenza di poca dinamicità, a motivo in primis del periodo di recessione economica e della conseguente attenzione al prezzo da parte del consumatore; in questo secondo caso, il perdurare delle difficoltà economiche — con tutte le componenti aggregate di pressione psicologica da parte dei media e dell’opinione pubblica — ha certamente inciso sulle scelte finali, sepEurocarni, 11/12

pure in un settore ad alto valore aggiunto come quello dei piatti pronti. La stasi degli acquisti può però essere spiegata anche con il basso numero di nuovi lanci di prodotti, che hanno contribuito a “cristallizzare” le scelte di questa categoria di consumatori, notoriamente attratta dalla componente innovativa. Se proviamo comunque ad allargare il nostro punto di vista sul settore, è possibile individuare, in prospettiva, alcuni segnali che permettono di ipotizzare un futuro più in linea con quelli che sono stati gli indici di incremento del settore negli anni passati. Anzitutto va considerato che la concorrenza dei piatti pronti freschi (anche se in realtà ci riferiamo a prodotti refrigerati, quindi conservati nei banchi frigo a +4°C) va facendosi meno pesante, in quanto, pur rappresentando un’alternativa di consumo, in realtà non riescono ad intaccare quelle

che sono le caratteristiche vincenti delle referenze surgelate: il livello di servizio e la possibilità di lunga conservazione. Il mercato dei piatti pronti surgelati — che rappresenta in ogni caso circa l’8% del totale — è un segmento che sino a poco tempo fa ha fatto dell’innovazione, promossa sempre e solo dalle grandi marche, il suo motore principale. Un’auspicata ripresa dei consumi in questo segmento non è dunque da escludere e sarà tanto più decisa quanto più i principali attori del settore mostreranno la capacità di cogliere tempestivamente le tendenze emergenti e di trasformarle in prodotti interessanti e rilevanti per il consumatore. Da notare, comunque, che dopo alcuni anni di flessione il consumatore sta tornando con maggiore frequenza verso referenze classiche della tradizione culinaria italiana, come ad esempio le lasagne al ragù di carne. In questo

Sempre più positivo il settore delle carni surgelate. 53


Nelle famiglie con figli è molto più alto il consumo di paste semilavorate. atteggiamento è possibile cogliere un tratto di criticità che le aziende del settore devono comprendere al più presto: il segmento nel suo complesso sconta un percepito in termini di servizio meno elevato rispetto al passato. Il consumatore, quindi, in un momento di congiuntura riflessiva, riconsidera i propri acquisti alla luce di un assoluto rapporto valore aggiunto/prezzo. Come detto, il segmento dei piatti ricettati ha sinora basato il proprio successo sull’innovazione, che punta da un lato sulla ricerca di nuove ricettazioni, dall’altro sull’enfatizzazione del valore aggiunto e del contenuto di servizio. È giunto il momento di dedicare maggiore attenzione alle mutate esigenze di consumo; il rapporto ISTAT 2010 parla chiaro: la categoria dei single, che può contare su circa sei milioni di persone, è in costante crescita ed anche il mercato degli alimenti surgelati sta iniziando ad adeguarsi. Ai consumatori non basta più il solo servizio; vogliono qualità, valore aggiunto e prezzi giusti. Negli ultimi tempi i più importanti produttori hanno iniziato a ridurre i formati in quasi tutte le categorie merceologiche: per raggiungere risultati sostanziali, è però necessario prevedere un ampio ventaglio di alternative in grado di soddisfare una domanda emergente, che tende sempre più a ricercare praticità di consumo e una preparazione

54

in grado di esaltare il gusto della pietanza. Visti i diversi mutamenti ormai in corso di realizzazione nella società attuale, appare ovvio che una tale richiesta non potrà ancora per molto tempo essere considerata soltanto di nicchia. Gli Italiani e gli alimenti surgelati I consumi pro capite di surgelati in Italia si attestano intorno ai 15 kg, a fronte di un consumo medio europeo di circa 23 kg: tale dato indica l’esistenza di un discreto potenziale di crescita per il settore in ambito nazionale. Nel 2011 il settore dei surgelati ha sostanzialmente mantenuto le posizioni; questo importante segmento dell’alimentare ha, infatti, archiviato l’anno con una sostanziale parità a volume a livello di vendita al dettaglio (+1,0% nel settore catering). Gli alimenti sotto zero piacciono al 67% degli Italiani e spopolano addirittura tra i giovani, dove l’86% li consuma abitualmente, apprezzandone praticità e varietà. Ma il frozen food, che mostra le percentuali di gradimento più elevate al Nord (32% nel NordOvest), piace molto anche ai single, che lo utilizzano in misura maggiore della media per entrambi i pasti principali (44%). L’apprezzamento mostrato dai consumatori italiani esemplifica alcune tendenze ormai consolidate: su tutti l’assoluta conoscenza dei vantaggi qualitativi e di servizio

che tendono ad associarsi ad un ottimo percepito in termini di rapporto qualità/prezzo. Si tratta di tendenze strettamente correlate, che evidenziano il gradimento del consumatore per una serie di tecnologie sempre più d’avanguardia, in grado di preservare e rendere immediatamente disponibili gusti, fragranze e proprietà nutrizionali prossimi al prodotto fresco. I prodotti surgelati si ritagliano oggi uno spazio sempre più deciso sulle tavole degli Italiani: i dati GFKEURISKO certificano che nel 2011 ben 24 milioni di famiglie hanno acquistato almeno un prodotto al banco freezer. L’evoluzione del comparto si accompagna alla volontà delle aziende più rappresentative di puntare sul miglioramento continuo della qualità delle materie prime e sulla presentazione di nuove offerte a più alto, o diverso, contenuto nutrizionale. Una ricerca, commissionata dall’Istituto Italiano Alimenti Surgelati (IIAS) all’Istituto Astarea, ha mostrato che la presenza dei surgelati sulla tavola degli Italiani appare pressoché totale (92%) e trasversale, con le dovute distinzioni in relazione alla composizione della famiglia e alle variabili anagrafiche e culturali. Nelle famiglie con figli piccoli è molto più alto il consumo di alimenti gratificanti come pizze e snack, paste semilavorate, ma anche vegetali e carne bianca. Al contrario i meno giovani — per necessità o scelte salutistiche — fanno minor ricorso a patate fritte, pizze, snack, hamburger, carne impanata e optano per pesce e verdure, mentre le donne risultano forti utilizzatrici di vegetali semplici. L’incremento del consumo dei surgelati negli ultimi cinque anni riguarda soprattutto le categorie oggi più valorizzate dai nutrizionisti italiani e dai media per il loro aspetto salutistico come i vegetali e i prodotti ittici, con una forte propensione all’acquisto di referenze innovative, oggi ancora non molto diffuse (prodotti pronti con ricette originali, solo da rinvenire nel forno a microonde), il che è indice della crescente familiarità verso la categoria e di un forte in-

Eurocarni, 11/12


teresse a sperimentare nuovi gusti. Gli alimenti surgelati guadagnano un riconoscimento molto positivo presso gli Italiani: il voto medio sui diversi elementi di valutazione è sensibilmente alto, sempre o quasi sopra il 3 di media (su scala massima 4). Ad essi si riconoscono un valore funzionale (praticità e servizio) e un valore più culturale, la sicurezza (intesa come igiene e controllo). Se pure con un consenso meno esteso, ma comunque rilevante, al surgelato viene riconosciuto un altro vantaggio tipico degli stili di vita contemporanei: la riduzione degli sprechi di prodotto. Seguono due componenti di carattere più gastronomico: la gustosità e la varietà. Al medesimo livello di consenso si riconosce la capacità informativa comunicata dalle confezioni. La ricerca ha inoltre analizzato il rapporto tra gli Italiani e l’alimentazione in generale. Agli intervistati sono state sottoposte 15 specifiche domande attinenti alle tendenze alimentari, le quali hanno consentito di dividere la popolazione in quattro diversi segmenti, di cui sono state analizzate le risposte riguardo al consumo e le opinioni nei confronti degli alimenti surgelati; in tal modo sono state evidenziate le attitudini rispetto agli alimenti surgelati, in relazione ai diversi stili alimentari. I pragmatici risparmiosi (31,3% della popolazione) vivono l’alimentazione in chiave più nutrizio-

nale che gastronomica. Persone di età media, risiedono in ampia misura nei capoluoghi e nei grandi centri urbani. Rappresentano la tipica famiglia italiana media. Molto orientati al risparmio negli acquisti, amano i prodotti pronti all’uso, non disdegnano la buona cucina e usano molto internet per le informazioni sull’alimentazione. Dichiarano un’altissima frequenza di consumo dei surgelati, privilegiando i vegetali, le patate fritte, gli hamburger; fanno registrare un tasso di incremento del consumo dei surgelati negli ultimi cinque anni particolarmente rilevante. I frugalisti smart (24,5%), di gusti essenziali e qualificati, sono i veri militanti dell’alimentazione “sostenibile” e risultano poco inclini alle componenti ludiche della gastronomia. Maggiore la rappresentanza delle donne rispetto agli uomini, degli adulti rispetto ai più giovani, ma in pari misura sia laureati, sia di scolarizzazione medio-bassa. Esprimono una forte cultura ambientalista e del biologico, una predilezione per i negozi di quartiere, una forte valorizzazione delle marche “trasparenti” e un deciso orientamento verso le diete salutiste e vegetariane. Anch’essi si rivelano buoni consumatori di prodotti surgelati, se pure con un atteggiamento più selettivo dei pragmatici risparmiosi: non amano patate fritte e hamburger, di conseguenza incrementa-

no il consumo di vegetali surgelati. I basici disimpegnati (22,9%), buone forchette senza troppe pretese, con gusti alimentari poco sofisticati, vengono guidati nelle scelte soprattutto da istanze di semplificazione. Più uomini che donne, più giovani che adulti, prediligono i piatti pronti e cercano di risparmiare il più possibile, con un forte interesse al cibo anche a scapito di diete e controllo nutrizionale. Leggermente sotto media nel consumo dei surgelati, soprattutto del pesce e di prodotti da “cucina” come la pasta sfoglia, dimostrano anche un trend di consumo inferiore agli altri, così come una minore valorizzazione culturale dei surgelati. I gourmand contemporanei (21,3%) amano molto la gastronomia, anche a dispetto delle istanze salutiste. Soprattutto giovani e adulti dai 25 ai 44 anni, adorano cucinare personalmente, sono aperti alla sperimentazione di nuovi prodotti e ricette, e sono fortemente orientati alla ricercatezza e alla qualità dei prodotti. Quanto ai surgelati, evitano accuratamente i prodotti fast food tipo pizze e patate fritte, ma anche quelli preparati. Esprimono un tasso di incremento del consumo più basso degli altri e anche un atteggiamento culturale un po’ meno favorevole alla categoria nel suo complesso, così come all’offerta dei surgelati nelle mense. Roberto Villa

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Eurocarni, 11/12

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Campagna ďŹ nanziata con il patrocinio dell’Unione Europea.

Eurocarni, 11/12


Mercati

Inizia una nuova era per l’industria della carne in Scozia Annunciata a settembre la fusione tra Scotbeef, Scotch Premier e Mathers, le tre principali aziende scozzesi del settore della lavorazione delle carni. In programma un nuovo stabilimento al Thainstone Agricultural Centre

C

on una comunicazione a sorpresa, le più importanti aziende scozzesi del settore della lavorazione delle carni, SCOTBEEF, SCOTCH PREMIER e MATHERS (INVERURIE), hanno presentato lo scorso settembre un innovativo progetto di collaborazione che vedrà la realizzazione di un impianto di trasformazione nel Nord-Est della Scozia del valore di diversi milioni di sterline. Questo storico accordo segna una nuova era per l’industria della carne, grazie ad una cooperazione volta a salvaguardare e sviluppare l’attività nel Nord della Scozia. È prevista, inoltre, la realizzazione di un nuovo impianto di lavorazione carni al Thainstone Agricultural Centre nei pressi di Inverurie. Lo stabilimento, di nuova costituzione, sarà guidato da Robbie Galloway, amministratore delegato di JW Galloway (Scotbeef e Vivers), sostenuto da Pat Machray, amministratore delegato del Gruppo ANM (proprietario di SPM), e dall’amministratore delegato di Mathers, Michael Mountford. L’edificio verrà realizzato sulla falsariga dell’impianto di trasformazione di Scotbeef, presso Bridge of Allan, vicino a Stirling, e fornirà servizi ad agricoltori, commercianti, esportatori, macellerie indipendenti ed altri clienti, andando a sostituire gli attuali stabilimenti situati nella zona di Inverurie, divenuta residenziale.

Eurocarni, 11/12

Inizialmente l’impianto ospiterà le produzioni di SPM e Mathers; sarà effettuata una consultazione coi 230 lavoratori di entrambe le aziende. L’intenzione, infatti, è quella di mantenere il maggior numero di dipendenti possibile, ma è probabile che ci saranno alcune perdite in termini di posti di lavoro. «Sono tempi estremamente difficili per l’industria della lavorazione

della carne in Scozia — ha dichiarato ROBBIE GALLOWAY — sottoposta alla duplice pressione della carenza di materie prime da una parte, e alla continua sollecitazione sui prezzi da parte dei clienti dall’altra. Al fine di garantire un’attività sostenibile, avere servizi efficienti è ormai un requisito indispensabile». Ad un prima fase provvisoria in cui si punta al consolidamento di Scotch Premier e Mathers, seguirà

Carne bovina scozzese.

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Quality Meat Scotland Rural Centre, West Mains Ingliston Newbridge EH28 8NZ, Scozia Telefono: +44 (0) 131 472 4040 Web: www.qmscotland.co.uk

il trasferimento delle attività in un nuovo impianto a Thainstone, piattaforma per la crescita futura. «Per questo saranno necessari il coinvolgimento e l’assistenza da parte del settore pubblico e sforzi significativi da parte di tutti gli interessati» ha aggiunto Galloway. «Siamo impegnati in un’attività redditizia pensata per il lungo periodo e lavoreremo duro per ottenere gli obiettivi che ci siamo prefissati per lo sviluppo della zona». «Questo è un accordo senza precedenti» ha dichiarato P AT MACHRAY. «Tutti sono a conoscenza che l’attuale mercato per la lavorazione delle carni nel Nord-Est è semplicemente insostenibile, pertanto abbiamo una responsabilità verso i nostri associati e i nostri dipendenti: risolvere i problemi e prendere decisioni coraggiose per proteggere le aziende che sono una componente vitale dell’economia scozzese. Le mezze misure possono soltanto ritardare l’inevitabile, con un impatto incommensurabile e a lungo termine sia per l’industria che per l’intera regione. Mentre ci attendono decisioni difficili, l’enorme importanza di questa nuova partnership non può essere sottovalutata: questo accordo dovrebbe garantire il futuro per la lavorazione delle carni nel Nord-Est, mantenendo un mercato altamente competitivo, a beneficio degli agricoltori, dei clienti e dell’economia locale nel suo complesso. È importante per me — ha concluso Machray — come am-

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QMS – Quality Meat Scotland è l’ente pubblico scozzese che ha l’obiettivo di promuovere e sostenere lo sviluppo del settore delle carni rosse e commercializzarne la produzione, offrendo consulenza, assistenza tecnica ed informazioni concrete. La sua attività è rivolta a piccole e medie imprese attive nel settore della produzione primaria di carni rosse e prevede investimenti, aiuti e assistenza alle aziende e alle organizzazioni di produttori del comparto, corsi di formazione professionale e informazioni tecniche e consulenza. Commercializza i marchi Scotch Beef Pgi e Scotch Lamb nel Regno Unito e all’estero e promuove anche prodotti di carne di maiale scozzesi accuratamente selezionati. I programmi dell’ente coprono oltre il 90% degli animali allevati per la carne in Scozia e offrono ai consumatori la garanzia legale che il prodotto che acquistano proviene da animali allevati secondo uno dei più severi standard qualitativi al mondo.

ministratore delegato del Gruppo ANM, mantenere il forte legame che la nostra cooperativa ha con il settore della lavorazione delle carni e non vedo l’ora di lavorare con entrambi, Scotbeef e Mathers, per il bene del settore». «I direttori di Mathers — ha poi dichiarato MICHAEL MOUNTFORD —

sono lieti di prendere parte a questa impresa. Condividiamo la visione di questa nuova partnership che si è costituita per garantire il futuro del settore della lavorazione della carne in Scozia. Stimo molto Ian e Robbie Galloway e Pat Machray e credo che la ricchezza di esperienza di tutte le parti coinvolte sarà la base

Tagli freschi e confezionati di carne di manzo scozzese. L’etichetta Scotch Beef certifica la qualità della carne, riportando informazioni riguardo la tracciabilità.

Eurocarni, 11/12


Scotbeef Limited Longleys Bridge of Allan Stirlingshire, FK9 4NE, Scozia Telefono: +44 (0) 1786 832 911 Web: www.scotbeef.com

di un futuro promettente per tutti gli interessati». «Accogliamo con grande favore questo accordo, che è un elemento chiave per il progresso futuro del Gruppo ANM» ha commentato J OHN M C I NTOSH , presidente del gruppo ANM. «Faremo tutto il possibile per garantire che non ci siano ostacoli e permettere a Robbie, Pat e Michael di raggiungere il loro obiettivo». Richard Lochhead, Segretario di Gabinetto del Governo scozzese degli Affari rurali e dell’Ambiente, ha dichiarato in proposito: «Sono sicuro che questa sarà una buona notizia per gli agricoltori e

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Scotch Premier Meat Ltd North Street Inverurie Aberdeenshire, AB51 5XZ, Scozia Telefono: +44 (0) 1467 620631 E-mail: spm@anmgroup.co.uk

per la comunità intera. Le tre imprese coinvolte dovrebbero essere lodate per la loro visione strategica. Il governo scozzese lavorerà con le aziende per sostenere questo sviluppo nel corso dei prossimi anni». «Questa è una notizia che invia un messaggio positivo a tutti coloro che sono coinvolti nel settore della carne rossa scozzese» ha infine commentato JIM MCLAREN, presidente di Quality Meat Scotland (QMS). «Così come foriera di innovazione è la collaborazione nel nostro settore, l’annuncio di una partnership pionieristica e di piani di investimento in un nuovo

Mathers (Inverurie) Ltd Harlaw Road Inverurie Aberdeenshire, AB51 4TE, Scozia Telefono: +44 (0) 1467 620366 E-mail: mathers@trimail.co.uk

impianto per il Nord-Est dà fiducia alla Scozia e al futuro della nostra associazione. Senza dubbio oggi stiamo vivendo un periodo di inquietudine ed è fondamentale che la nostra industria continui ad essere lungimirante e capace di cogliere l’opportunità di aumentare la propria efficienza e sostenibilità. Questa è una partnership che riunisce aziende con una comprovata esperienza nei settori dell’allevamento e delle carni scozzesi e sembra l’ideale per affrontare le grandi sfide che il nostro settore continua a trovarsi davanti e a dover affrontare».

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L’infinito universo del pet food Il settore del cibo per animali domestici è in forte ascesa. Con dati in netta controtendenza rispetto al resto del mercato alimentare, presenta elementi di grande dinamicità che non sembrano dover venire meno nei prossimi anni. I segnali sono infatti positivi e in Italia la domanda crescerà ancora per livellarsi a quella europea, ben superiore di Sebastiano Corona

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on si pensi, neppure per un attimo, che in queste confezioni finisca cibo di scarto, perché il prodotto che utilizziamo è di ottima qualità, al pari di quello destinato all’alimentazione umana. Qui, anche per gli animali, si fanno solo eccellenti scatolette». La precisazione di uno dei più noti manager italiani della produzione di prodotti ittici, nel mostrarci un’invitante lattina di riso al tonno per gatti, è emblematica. Sarebbe bastata questa affermazione per capire che i gatti e i cani italiani se la passano piuttosto bene. Loro la crisi non sanno neppure cosa sia. Gli animali domestici del Belpaese, però, non sono tra i più fortunati. I colleghi europei stanno infatti ancora meglio. Se in Italia la percentuale dei pets nutriti con prodotti industriali si attesta attorno al 45%, in Europa questo dato sale ancora. Il fenomeno, oltre che economicamente molto significativo, è anche curioso. Si pensi, infatti, che sino a qualche decennio fa, gli animali domestici venivano nutriti

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con gli avanzi di cucina o addirittura in certi casi, erano costretti a procurarsi il cibo da soli. Si pensi altresì che l’incremento dei consumi di pet food di alta qualità va di pari passo con una situazione di crisi che porta le famiglie non solo a contrarre i consumi, ma anche a modificare la qualità della spesa, orientando la scelta su cibi più economici e talvolta meno pregiati. La riabilitazione a pieno titolo del quinto quarto in macelleria e nelle cucine non è solo un fatto di moda, ma anche di necessità. Tuttavia, in un’ottica di maggior rispetto per gli animali, così come è giusto che sia in una società moderna, i pets guadagnano spazi sempre maggiori nella vita e nelle tasche — è proprio il caso di dirlo — degli Italiani. Nel nostro Paese il merito di aver introdotto il pet food a metà degli anni Quaranta è di ENRICO MORANDO, precursore assoluto nel settore e fondatore della Morando Spa. La sua azione pionieristica però, seppur dovuta all’intuizione fortunata di un grande imprenditore, è stata soprattutto l’anticipazione in Italia

di quanto stava già accadendo oltre confine. Nel nostro Paese la metà delle famiglie, 15 milioni circa, ha almeno un animale domestico. Se si considera che al momento meno della metà acquista cibo per animali, è facile intuire che il potenziale di sviluppo del pet food è ancora davvero molto ampio. La solidità di questo mercato è evidenziata anche dalla tendenza degli ultimi anni. Nel 2011 infatti (fonte ASSALCO ZOOMARK) il mercato italiano degli alimenti e dei prodotti per la cura dei pet ha mostrato una crescita sia in termini di fatturato sia in volumi acquistati, dimostrandosi uno dei pochi settori in contro tendenza. Per maggior precisione: gli alimenti per cani e gatti nello scorso anno hanno fatturato oltre 1600 milioni di euro, registrando un incremento del 2,1% rispetto al 2010. Meno bene ma ugualmente positivo l’ammontare dei consumi che è stato di più di 500.000 tonnellate di prodotto venduto per un aumento in volumi dello 0,5%. Lo stesso mercato vale nel mondo 65,8 miliardi di dollari, con una

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Le aziende del settore propongono sempre più alimenti specifici e mirati che tengano conto di particolari esigenze degli animali e dei proprietari. crescita del 3,9% (2011 su 2010). Si prevede che nel 2017 il fatturato mondiale del pet food raggiunga la quota di oltre 95 miliardi dollari. Il cambiamento dello stile di vita e dei consumi, l’aumento dei single e degli anziani soli e in generale, l’evoluzione del modello familiare classico ha portato infatti ad un approccio nuovo nei confronti degli animali domestici. In molti contesti sono considerati dei veri e propri membri della famiglia e in quanto tali, vengono trattati con tutti i riguardi, a partire dall’alimentazione. Nonostante la crisi economica e finanziaria generale, chi possiede un animale non risparmia sui trattamenti a lui dedicati. Pertanto il mercato del pet care è in forte ascesa, sia per gli alimenti, sia per gli accessori e i servizi. La tendenza è comunque verso l’alta segmentazione dell’offerta dei prodotti. Le aziende del settore infatti propongono sempre più alimenti specifici e mirati che tengano conto di particolari esigenze degli animali e dei proprietari. Da un lato vi è una ricerca della qualità e del valore aggiunto del pet food, dall’altra si butta un occhio alla praticità e al risparmio. Si rileva dunque una richiesta crescente di prodotti premium e superpremium

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che rispondano ad esigenze di alta qualità e innovazione. Ma non si arresta nemmeno l’ascesa delle private label (che detengono una quota del 25% del totale del pet food), grazie al quale è possibile un certo risparmio. In ogni caso innovazione, comunicazione, qualità dei prodotti sono elementi alla base del pet food italiano. L’offerta si espande non solo in verticale, con una proposta sempre più orientata al prodotto d’eccellenza, ma anche in orizzontale, con offerte ad alto contenuto di servizio. Non a caso si diversifica dal cibo che migliora l’igiene orale a quello che si differenzia a seconda della taglia dell’animale. Dal pet food funzionale, a quello con gli oli essenziali, alle erbe officinali, senza grassi idrogenati, coloranti e conservanti, cotti a vapore o che migliorano la lucidità del pelo. Ed ancora: ad azione antibatterica e fonte di vitamine e minerali, che sostengono nella fase della crescita o in età avanzata, per il gatto sterilizzato o per razze che hanno esigenze particolari. Insomma, ce n’è per tutti i gusti e per tutte le esigenze, anche le più bizzarre. Secchi, umidi, snack fuori pasto o pasto completo, anche sui formati l’offerta è molto vasta. Quasi tutte le linee sono disponibili in pesi diversi e in confezioni più o meno pratiche. Tuttavia, nel complesso, la

richiesta maggiore è sempre sui formati classici. Il sacco padroneggia nel segmento dei secchi e la lattina in quello degli umidi. La vaschetta e la bustina, pur avendo volumi e fatturati ancora modesti, registrano una crescita apprezzabile, attorno al 5% (dati SYMPHONYIRI GROUP). La scatola, utilizzata prevalentemente per le crocchette gatto o i biscotti cane, rappresenta invece l’1% sia in volumi, sia in fatturato. Nel segmento umidi gatto invece la bustina acquisisce sempre maggiori spazi di mercato, soprattutto con i formati piccoli e monoporzione (a svantaggio di quelli medi e grandi). Quello della freschezza, infatti, non è un elemento da sottovalutare. Il single use non è solo pratico, perché può essere servito con facilità, ma soprattutto non sporca, non va conservato ulteriormente dopo l’apertura e garantisce un prodotto fresco, più appetibile e invitante. La vaschetta invece è più forte nel segmento cane mentre il salsicciotto conserva ancora uno spazio risicatissimo. L’attenzione non cala nemmeno davanti al packaging, oggi offerto sempre più con easy peel. Le quote di mercato a valore per canale invece destinano un 20% ai pet shop, il 33,5% agli ipermercati, il 13,5% ai supermercati, il 19% ai discount e il 14% tra negozi tradi-

La macelleria Avedano’s Meats di San Francisco, California, offre anche bocconcini di carne per animali domestici.

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Sempre più attenzione nell’acquisto anche nel settore del pet food: marca, composizione, visibilità degli ingredienti e naturalità guidano il consumatore (foto: http://bizmology.hoovers.com). zionali e libero servizio piccolo. Le differenze del canale di vendita, oltre che relative al prezzo sono evidenti anche in termini di servizio. Il pet shop per esempio, che oggi vanta in Italia 4.700 esercizi commerciali, si distingue per la consulenza che è in grado di offrire e per un vasto assortimento, ma soffre più della Grande Distribuzione Organizzata per la pesante crisi economica del momento. La composizione del mercato per cani e gatti attribuisce al secco cane il 23%, al secco gatto il 19%, all’umido cane il 17%, all’umido gatto il 37% e agli snack & treats solo il 5% (dati SYMPHONYIRI GROUP anno 2011). Gli ambiti di mercato ancora liberi possono essere acquisiti tenendo conto che per il pet food, come per i cibi destinati all’alimentazione umana, l’acquisto del prodotto è dettato da alcune regole. Esistono anche in questo caso, come è ovvio che sia, dei valori chiave che guidano il consumatore nella scelta, perché l’atteggiamento del cliente

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in fase d’acquisto è sempre connotato da un’esigenza emotiva e da una razionale. È chiaro infatti che l’affetto che il consumatore prova nei confronti del proprio animale crea la necessità che proprio pet venga coccolato ed appagato dal cibo che mangia. Allo stesso tempo, l’aspetto razione dell’acquisto risiede nel fatto che chi compra vuole conoscere, approfondire e valutare la scelta acquisendo informazioni sulla marca e il prodotto che gli viene proposto. Se l’aspetto emotivo attribuisce al marchio una promessa di qualità, sul piano razionale quella qualità è intesa come visibilità e riconoscibilità degli ingredienti. Il prodotto è di qualità se l’ingrediente si vede e si sente. E a proposito di qualità, gioca un forte ruolo la naturalità del prodotto. Seppur siamo tutti consapevoli della necessità dei conservanti in cibi in scatola, cerchiamo comunque un preparato che dia l’idea di un prodotto semplice, selezionato con cura e senza sofi-

sticazioni che possono creare danni alla salute dell’animale. L’esigenza di preziosità invece a livello emotivo si esprime attraverso la ricercatezza della comunicazione e del packaging. Mentre, sul piano razionale, trova concretezza nel prezzo che — come per tutti i prodotti di qualità — deve essere superiore alla media, per giustificare, appunto l’eccellenza. Un elemento in più per ritenere che, a dispetto del periodo economico poco florido, il mercato del pet food in Italia sia destinato a crescere ancora. Il nostro Paese tenderà ad allinearsi con il resto d’Europa, dove la penetrazione del cibo per cani e gatti è superiore a quello nazionale. Questo settore potrebbe dare quindi grandi soddisfazioni anche in futuro a chi opera nella lavorazione di carne, pesce e conserve alimentari. Sebastiano Corona Nota A pag. 61 cibo secco per cani (foto: http://texasdogsandcats.com).

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Interviste

La macellazione rituale: perché macellare nel luogo giusto La macellazione rituale è divenuta di recente oggetto di dibattiti perché, secondo una parte dell’opinione pubblica, il rispetto delle regole religiose implica un incremento della sofferenza dell’animale. Ne parliamo con Gabriella Martini, direttore del Servizio veterinario di Imola, e con Antonio Cuccurese, direttore del Servizio veterinario di Reggio Emilia

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a macellazione rituale è divenuta di recente oggetto di dibattiti perché, secondo una parte dell’opinione pubblica, il rispetto delle regole religiose implica un incremento della sofferenza dell’animale, che viene immobilizzato secondo tecniche particolari e ucciso senza essere previamente stordito. Il problema si è acuito nell’ultimo decennio, a seguito della forte immigrazione in Europa occidentale, e in Italia in particolare, di un grande numero di cittadini/ consumatori di religione islamica, che ha conferito alla macellazione rituale un rilievo sconosciuto fino a pochi anni or sono. Ne parliamo con GABRIELLA MARTINI, direttore del Servizio veterinario di Imola, e con ANTONIO CUCCURESE, direttore del Servizio veterinario di Reggio Emilia, che nell’ambito di un corso su “Il marketing sociale, applicazioni nell’ambito della sanità pubblica”, svoltosi a Imola il 14-16 novembre 2011, hanno cercato di elaborare una strategia efficace di comunicazione nei confronti di questo particolare segmento di consumatori. Che cos’è la macellazione rituale e come è regolamentata? «Lo Stato italiano ammette la macellazione secondo determinati riti religiosi (ad esempio, secondo

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Per la Festa del Sacrificio di Abramo l’animale viene ucciso mediante sgozzamento, con la recisione della giugulare, così che il sangue possa defluire, visto che per la legislazione biblica e coranica il sangue è impuro ed è quindi proibito cibarsene.

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la religione islamica o ebraica) in deroga allo stordimento degli animali, su esplicita richiesta del titolare del macello. Questa attività deve essere effettuata presso stabilimenti autorizzati dai servizi veterinari delle ASL e registrati presso il Ministero della Salute; questo tipo di macellazione può essere effettuata, ovviamente, tutto l’anno. In occasione di particolari ricorrenze religiose vi è un forte aumento della richiesta, ad esempio nei giorni della Festa del Sacrificio di Abramo (Id al-Adha), dove la tradizione vuole che venga sacrificato un agnello per famiglia o per nucleo familiare. Quest’anno la ricorrenza, secondo il calendario islamico, è caduta nel periodo tra il 25 e il 27 ottobre: la festa, come da tradizione, culmina nel giorno centrale». Quali sono secondo voi i vantaggi e le sicurezze che possono essere garantiti utilizzando il macello? «Sono diversi: innanzitutto è presente l’autorità religiosa, che garantisce l’applicazione e il controllo delle disposizioni particolari relative alla macellazione secondo i rispettivi riti religiosi, sotto la responsabilità del veterinario ufficiale. È assicurata la provenienza degli animali esclusivamente da allevamenti re-

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gistrati, sotto controllo sanitario, in particolare per la prevenzione delle malattie trasmissibili all’uomo (ad esempio la brucellosi), come attestato nel certificato di dichiarazione di provenienza. È rispettato il benessere degli animali durante le fasi del trasporto e della macellazione. Vi è la certezza che le carni vengano ispezionate dal veterinario ufficiale del macello che ne certifica l’idoneità al consumo e quindi la sicurezza alimentare. La lavorazione/manipolazione delle carni si effettua in ambienti igienici e controllati, evitando contaminazioni che potrebbero generare problemi sanitari anche seri come le tossinfezioni alimentari. Vengono infine smaltiti i sottoprodotti della macellazione, come il sangue, la pelle e le ossa, nel rispetto delle norme igieniche e ambientali». Quali esperienze hanno maturato i Servizi veterinari in questi anni, rispetto a questo tipo di eventi? «Nel corso degli anni si è registrato un forte aumento della popolazione straniera; solo nella provincia di Reggio Emilia si è passati dal 9% al 13%, addirittura fino al 17% nel comune di Reggio Emilia, di cui la stragrande maggioranza è di religione islamica.

Quindi possono verificarsi problemi di convivenza con etnie diverse per la differente sensibilità rispetto a certi problemi. Si è allora riscontrato che l’attività d’informazione ed educazione sanitaria risulta strategica per superare queste difficoltà, come abbiamo previsto nel nostro progetto di marketing sociale e nei nostri opuscoli e manifesti informativi». Cosa si prevede per il futuro in merito alle tecniche di stordimento? «La Regione Emilia-Romagna, Servizio Veterinario e Igiene degli Alimenti, ha condotto con il Centro di Referenza Nazionale per il benessere animale, presso l’IZSLER di Brescia, una sperimentazione, su basi scientifiche, in merito alla possibilità di utilizzare metodi di stordimento alternativi, in particolare l’uso dello stordimento elettrico, che consentano di mantenere l’integrità dell’animale fino alla iugulazione, nel rispetto dei dettami dell’autorità religiosa. Grazie all’impegno di alcuni servizi e alla sensibilizzazione di alcune comunità islamiche, la macellazione rituale di animali previo stordimento mediante elettrocuzione è in aumento». (Fonte: Alimenti & Salute Sicurezza alimentare e nutrizione www.alimenti-salute.it)

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Razze

La capra di Montecristo è sbarcata sul continente di Aldo Focacci

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ià sul numero 10 dell’anno 2007, E UROCARNI si occupò della capra di Montecristo con la pubblicazione di un bellissimo articolo di Nunzia Manicardi, la quale descrisse dettagliatamente la mitica isola, con particolare riferimento alla sua storia, alle sue caratteristiche naturali, alla sua natura aspra e selvaggia, alla sua flora ed alla sua fauna, su cui spicca la presenza di questo nobile animale, da tempo presente anche sul continente. Non posso fare a meno di ricordare la forte emozione che mi prese giungendo per la prima volta al grande scoglio

roccioso di granito, dopo 35 miglia di mare aperto, venendo dalla costa davanti a Marina di Grosseto, quando ancora non avevo esperienza di navigazione d’altura e non possedevo un mezzo adatto per lunghe traversate. Era la fine degli anni Sessanta e l’isola era ancora una riserva di caccia privata: mi imbarcai su un grosso barcone che portava i rifornimenti di gasolio necessario per la foresteria della riserva, sistemata nella vecchia Villa Reale, luogo del viaggio di nozze e buon ritiro di Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena. Avvicinandomi all’isola, che si presentava al mio

sguardo caratterizzata da numerosi calanchi e grandi pietraie, coperte appena da una rada vegetazione mediterranea, mi prese, ripeto, una grande emozione, che continuò fino all’approdo a Cala Maestra, unico luogo di ormeggio. Quando si seppe che ero un veterinario, i cacciatori mi portarono i loro cani che avevano grossi problemi ai piedi, feriti e sanguinanti per il gran correre sul granito. Potei intervenire solo con semplici medicazioni, non avendo a disposizione alcuna attrezzatura e tanto meno alcun farmaco specifico: me la cavai con una pomata a base di farina di

Capra selvatica di Montecristo, femmina lattifera.

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grano mischiata con olio di oliva e, soprattutto, con l’immediata fabbricazione di semplici scarpette di tela e pelle fissate alle zampe degli animali con una legatura a borsa di tabacco. Fui ampiamente ringraziato, quindi i cacciatori mi accompagnarono attraverso una dura risalita lungo un sentiero scosceso alla grotta di San Mamiliano (patrono della vicina Isola del Giglio, detta anche Grotta del Drago) con la polla di acqua sorgiva e i numerosi ex voto lasciati attaccati alle pareti rocciose dai tanti naufraghi che, nella sventura, avevano invocato il Santo. Giungemmo infine ai resti dell’antico monastero e fui ospitato per la notte all’interno di Villa Reale. Durante l’escursione ebbi la grande sorpresa e fortuna di avvistare un branco di capre selvatiche, agili e veloci come il vento sulle petraia dell’isola. Sono stato a Montecristo altre volte quando l’isola aveva oramai cambiato gestione: dal 1971 è infatti una Riserva nazionale dello Stato, dal 1989 compresa nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, dotata del Diploma europeo per la conservazione dell’ambiente e, quindi, soggetta a tutta una serie di vincoli, tra cui quello di balneazione e di pesca intorno alle sue coste e, soprattutto, il contingentamento annuo del numero massimo di persone (1.000) che possono visitarla, dopo aver ottenuto i dovuti permessi del Corpo Forestale dello Stato. Le visite vengono effettuate con gruppi guidati, attraverso due soli percorsi didattici e con la sorveglianza dello stesso Corpo Forestale secondo precise direttive europee. Dopo il primo viaggio, pertanto, al massimo ho potuto fermarmi solo per poche ore a Cala Maestra senza più poter avvistare le capre, animali che ho potuto però rivedere recentemente sul Monte Amiata, un massiccio di quasi 2.000 metri posto tra la provincia di Grosseto e quella di Siena, in occasione di una visita al CRASM/CRASE, centro recupero, soccorso, riabilitazione e detenzione di animali selvatici ed esotici di Semproniano, diretto e gestito magistralmente dal mio

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collega Marco Aloisi. Nel centro, anche grazie anche al lavoro di molti volontari, in soli 10 anni sono stati curati più di 10.000 animali selvatici maltrattati, feriti, denutriti, spesso in fin di vita. Nello stesso luogo sono ospitati centinaia di animali selvatici ed esotici sequestrati, tra cui grandi felini, scimmie, rettili comprese le iguane, uccelli di tutte le specie (numerosissimi i pappagalli esotici con le loro incredibili colorazioni), e poi cinghiali, volpi, istrici, persino criceti e quant’altro. Gli animali selvatici vengono curati, riabilitati e quindi rimessi, se possibile, in libertà nel loro ambiente naturale, mentre quelli esotici, sequestrati per lo più dalla Guardia Forestale, divengono ospiti definitivi del centro, la cui gestione viene finanziata dal Ministero dell’Ambiente, da altre istituzioni pubbliche, da interventi di privati e di associazioni, tra cui il WWF. Nel centro è presente anche un branco di capre di Montecristo e a questo punto occorre tornare indietro nel tempo per spiegarne il motivo. Negli anni ’60, prima della gestione privata dell’isola di Montecristo da parte della Società Oglasa, che precedette la creazione della Riserva Naturale dell’isola nel 1971, furono reperiti dal prof. Ferdinando Ciani del ConSDABI, National Focal Point Italiano FAO, 3 capretti maschi e 5 caprette della razza “Capra di Montecristo” (Capra aegagrus hircus), che conservavano ancora integre le caratteristiche somatiche delle capre selvatiche progenitrici. La popolazione della “Capra di Montecristo” era stata osservata, fotografata e descritta negli anni ’50 dal professor Toschi, come fenotipicamente omogenea e diretta discendente delle analoghe popolazioni di Egagri (Capra aegagrus sp.) selvaggi di alcune isole Egee e del Vicino Oriente. Il nucleo di 8 giovani esemplari fu accolto e riprodotto nella collezione faunistica del Giardino Zoologico di Pistoia e successivamente trasferito in diverse località del Monte Amiata, ambiente ritenuto

Il dottor Marco Aloisi, direttore del CRASM di Semproniano. simile a quello originario e, dunque, idoneo alla loro conservazione e riproduzione. La ragione di questo trasferimento fu motivata dalle esigenze di studio e di ricerca, inerenti la necessità di verificare la variabilità genetica, la conservazione delle caratteristiche fenotipiche ancestrali e la possibilità di selezionare da questo nucleo primitivo due ceppi con attitudini produttive prevalenti rispettivamente per il latte o per la carne. Attualmente, diversi gruppi di questa popolazione ircina autoctona sono allevati sull’Amiata, in particolare nelle seguenti aziende o parchi indirizzati alla Conservazione della Biodiversità Autoctona Zootecnica dell’Amiata, svolgendo la funzione di “Siti custodi” anche del Tipo Genetico Autoctono Antico (acronimo TGAA) Caprino “Capra di Montecristo”: • Azienda Agricola Biologica “Capra Matilda” di Antonio Pastorelli e Sonia Pasquini, ubicata nel comune di Roccalbegna (GR); • Azienda Agricola “Il Felcetone” di Giovanna De Cola e Tinti De Devitiis nel comune di Seggiano (GR); • CRASM, “Centro Recupero Animali Selvatici della Maremma” del dottor Marco Aloisi; • “Parco Faunistico del Monte Amia-

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ta” della Comunità Montana dell’Amiata grossetana, ubicato in comune di Arcidosso (GR). Nelle aziende agricole che svolgono anche la funzione di agriturismi attualmente le “Capre di Montecristo” sono allevate per destinare alla produzione di carne il “surplus” di giovani maschi. Le femmine, invece, sono indirizzate alla produzione di latte e come richiamo turistico per gli ospiti, mentre presso il Centro Recupero Animali di Semproniano e nel Parco Faunistico del Monte Amiata gli animali sono oggetto di ricerca e di conservazione della variabilità genetica di questo TGAA Caprino. I due centri naturalistici predetti, preposti alla salvaguardia degli “Egagri di Montecristo”, devono peraltro gestire oculatamente l’aumento demografico naturale di questa popolazione che, reintrodotta sulla penisola, pone un duplice interrogativo a livello gestionale e selettivo, poiché l’attuale bioterritorio di allevamento, costituito da agro-silvo-ecosistemi colturali amiatini, è diverso rispetto a quello aspro e povero di risorse foraggere di Montecristo, situazione che determina un rapido addomesticamento e incremento della popolazione

conservata. Per dare un’efficace risposta a questa impellente esigenza, il Centro di Semproniano è costretto a smistare l’eccedenza degli animali in altre zone d’Italia, che dimostrino maggiori affinità ambientali con l’isola di provenienza e che garantiscano una assoluta sicurezza di contenimento e protezione del genoma caprino in argomento. Oggi si assiste, quindi, alla diffusione della “Capra di Montecristo” nel territorio italiano, garantendone la conservazione delle sue caratteristiche genetiche e fenotipiche. A questa capra è riconosciuto lo status di “popolazione reliquia” ed è perciò inserita come tale all’interno del Repertorio Regionale Toscano delle razze/popolazioni autoctone animali a rischio di estinzione. Per tale motivo l’Associazione GenomAmiata ha preso in seria considerazione l’importanza della sua conservazione in zone simili a quella nelle quali era presenteQuesto Tipo Genetico Autoctono Antico Caprino si è dimostrato estremamente interessante sia per l’aspetto paleozoologico-culturale, sia per le sue caratteristiche di adattabilità ad ambienti marginali e difficili, ricchi di essenze erbacee ed arbustive aromatiche non uti-

Gruppo di capre al pascolo. A destra, maschio adulto capo branco.

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lizzabili da altre specie di ungulati, che permetterebbero di ottenere qualificate produzioni di: 1. latte con notevole attitudine alla caseificazione, formaggi a latte crudo freschi e stagionati, ricotta; 2. capretti e soggetti giovani per la produzione di carne di alto pregio gastronomico, in quanto le sue caratteristiche organolettiche sono più simili a quelle dei caprini selvatici italiani (stambecco, camoscio e muflone) che non a quelle delle capre domestiche e molto adatta anche alla preparazione di antichi salumi, tipici delle zone appenniniche toscane, utilizzando i riproduttori a fine carriera opportunamente preparati. Questi aspetti produttivi saranno focalizzati e approfonditi nell’ambito di una serie di ricerche già programmate. Sono in corso anche raccomandazioni alla regione Toscana affinché la “Capra di Montecristo” venga inserita nell’elenco, preparato dalla regione stessa, relativo al Programma di Miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale, con particolari misure per la Conservazione delle Risorse Genetiche. Tale elenco, che individua le specie animali a rischio di estinzione, non contiene la “Capra di Montecristo”, cosa che non permette a coloro che nella regione allevano questi animali di poter usufruire dei supporti finanziari previsti dal programma suindicato. Gli studi paleozoologici hanno indicato che l’uomo neolitico ha introdotto dal Vicino Oriente nel bacino Mediterraneo centroorientale una popolazione di incipiente domesticazione riferibile all’Egagro asiatico (Capra aegarus sp.) già dal VII-VI millennio a.C. Le caratteristiche morfo-fenotipiche ancestrali del progenitore selvatico, ancora riscontrabili nelle circa 200 relitte capre presenti nell’isola di Montecristo e nei soggetti allevati sull’Amiata, confermerebbero la loro origine da ceppi neolitici dell’Anatolia e del Vicino Oriente, che furono introdotti nei principali ecosistemi insulari ciprioti, greci

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e italiani, alcuni dei quali (Egadi, Aeghilion che denominava l’attuale isola del Giglio, ecc…) conservano ancora il nome derivato dal greco arcaico della capra, aix-aigos. La specie selvatica Capra aegagrus è diffusa sul vasto areale montano dell’Asia occidentale e centrale dall’Anatolia al Caucaso, all’Armenia, all’Iran, fino all’Afghanistan e al Pakistan; questo ampio territorio di distribuzione naturale e artificiale da parte dell’uomo ha favorito la formazione di alcune sottospecie: • Capra aegagrus aegagrus o Capra del Bezoar (Turchia, Caucaso, Iran); • Capra aegagrus blythi o Capra selvatica del Sind (Pakistan); • Capra aegagrus chialtanensis o Capra selvatica del Chialtan (Afghanistan); • Capra aegagrus cretica o Capra selvatica di Creta o Agrimi; • Capra aegagrus pictus o Capra selvatica di Antimilos (Isole Cicladi) e Samotracia; • Capra aegagrus jurensis o Capra selvatica di Youra (Isole Sporadi); • Capra aegagrus hircus o Capra di Montecristo e capra domestica. Le caratteristiche somatiche dell’Egagro sono le seguenti: grandezza media, con zampe molto robuste e zoccoli resistenti; lunghezza totale variabile da 120 a 160 cm; lunghezza della coda 15-20 cm; altezza al garrese da 70 a 100 cm; peso vivo da 25 a 40 kg. Ha testa e collo ben proporzionati e nei maschi adulti le corna hanno una lunghezza che varia da 80 a 130 cm, con sezione di base ellittica, forma a scimitarra, molto compresse lateralmente, con media curvatura nella parte iniziale e centrale, più accentuata in quella finale; la parte terminale e le punte possono convergere verso l’interno o divergere verso l’esterno; il lato anteriore delle corna tende ad essere più rastremato mentre la parte posteriore è più stondata; inoltre, sulla parte anteriore sono ben evidenti le protuberanze della crescita annuale. Nelle femmine le corna sono molto corte (20-30 cm) sottili e poco arcuate. Nei maschi è presente una

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Diffusione della Capra di Montecristo. La mappa mostra come, dall’areale di origine, l’Egagro di incipiente domesticazione sia stato diffuso dall’espandersi della civiltà Neolitica verso il bacino mediterraneo centrale, inclusa l’isola di Montecristo. Qui l’isolamento degli animali, accentuato dall’asprezza delle condizioni ambientali e alla conseguente scarsa permanenza e frequentazione antropica nei millenni passati, ha permesso alle capre di recuperare il completo stato selvatico. Attualmente la Capra di Montecristo traslata sulla Penisola sta riconquistando il suo status protostorico di animale domestico. barbetta di media lunghezza che occupa parte del sottogola, mentre le femmine ne sono prive. Il pelo del collo e del garrese si allunga leggermente durante l’inverno e nelle zone più fredde del suo areale gli animali sviluppano un soffice sottopelo. Il colore del mantello in inverno è bruno-grigio e in estate bruno-rossiccio-beige, che nei maschi anziani tende a schiarirsi; i lati interni degli arti, l’addome e lo specchio perianale sono biancastri o crema. La testa è marcata su ambo i lati da una striscia longitudinale chiara, che nei maschi adulti scompare con lo scurirsi di tutta la testa, la linea nuco-dorsale, la coda, il collare esteso fino al torace, la linea inferiore ai lati dell’addome e la barba nei maschi adulti, il sottogola e la parte anteriore degli arti hanno colore nerastro o bruno molto scuro. Per quanto riguarda i suoi principali aspetti etologici, al pari delle altre specie di caprini, l’Egagro è un ungulato tendenzialmente sociale; l’unità di aggregazione di base è costituita dalla femmina e dal suo piccolo, che si riunisce in gruppo con altre capre includendo anche individui giovani di ambo i sessi; oppure formando gruppi misti di adulti e subadulti di ambo i sessi,

mentre i maschi anziani, escluso il periodo riproduttivo, tendono a condurre vita solitaria, riunendosi temporaneamente nelle aree di foraggiamento in gruppi di pochi individui coetanei. Le dimensioni del branchi dipendono dalla densità delle popolazioni residenti e dalla “capacità di carico” del bioterritorio. Il periodo riproduttivo è circoscritto al mese di ottobre, 5 o 10 giorni dopo le prime piogge autunnali che favoriscono gli ultimi ricacci della vegetazione; questo adattamento permette la concentrazione delle nascite all’inizio della primavera, quando inizia il lussureggiamento delle risorse foraggere naturali. I capretti partoriti sono 1, raramente 2, che dopo poche ore dalla nascita riescono a seguire speditamente la madre sulle cenge montane al riparo dai principali predatori. Le immagini a corredo dell’articolo mostrano chiaramente l’armonia delle forme e l’eleganza di questi animali, particolarmente dinamici quando si muovono in gruppo, come pure, nel caso di una femmina in lattazione, sono evidenti le notevoli dimensioni delle mammelle, indice di una alta produzione di latte. Aldo Focacci

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Butchers for Children Ritorna il raduno carnivoro organizzato dalla Macelleria Pellegrini

Tutti i macellai del Presidente di Elena Benedetti

C’

era tanta voglia di stare insieme, forse perché erano trascorsi due anni dall’ultima edizione. O perché questi macellai sono tra loro sempre più amici, condividono successi, momenti di goliardia ma anche difficoltà e crisi, come il recente terremoto che ha scosso l’Emilia-Romagna. Sta di fatto che domenica 23 settembre via Spallanzani si è completamente trasformata, diventando la cornice perfetta di una festa immensa, con musica, profumo di spiedi, salsicce e bistecche sulle braci, vino, salumi, carne in tutte le sue declinazioni e un sacco di risate.

Grande è stato il successo di Butchers for Children 2012, il percorso dei macellai tra tradizione, artigianato e innovazione organizzato come di consueto dalla MACELLERIA PELLEGRINI di Milano e giunto quest’anno alla 7a edizione. Con un’offerta di 10 euro e l’acquisto di un braccialetto di carta i partecipanti potevano facilmente servirsi ai cinquanta stand di macellai giunti a Milano da tutta Italia, che per l’occasione hanno acceso i fuochi, tirato fuori i taglieri e sfettolato allegramente carne e salumi per celebrare la raccolta di fondi. Il ricavato come di consueto è stato devo-

Il gruppo della famiglia Pellegrini e lo staff dell’omonima macelleria. In foto anche Vittorio e Milena Pellegrini, sempre presenti in negozio e attivi sostenitori dell’iniziativa benefica Butchers for Children.

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1) Jeff Martin, responsabile Eblex Italia, sempre presente all’evento milanese con le carni bovine inglesi. 2) Salsiccia e polenta. 3) Anche i prodotti del Salumificio Capitelli F.lli di Borgonovo Val Tidone (PC) presenti in via Spallanzani. 4) I titolari della Macelleria Camassa di Grottaglie (TA), presenti per la prima volta a Butchers for Children di Milano.

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1) Il gruppo dell’Associazione onlus “Branco de Porsei”. 2) La Macelleria Villa e Annunciata di Milano. 3) Lo staff della Macelleria Gaudio di Genova. 4) I rappresentanti dell’Associazione “Amici dell’Arte della Carne”. 5) Tiziana Nogara e gli amici del Salumificio Macelleria Nogara di Sovizzo (VI). 6) Lorenzo Longhini insieme allo staff della Macelleria Carne Asiago. luto alla Fondazione G. e D. Marchi. Oltre all’ente milanese, impegnato nella lotta contro le emopatie e i tumori dell’infanzia, quest’anno parte dell’incasso è andato alla pediatria dell’Ospedale Ramazzini di Carpi, danneggiato dal recente sisma. Erano tanti i maestri macellai: presente naturalmente Milano e i tanti colleghi della Lombardia, e ancora l’Emilia-Romagna con le new entries di Imola, Ferrara e Bologna, insieme a Fossoli di Carpi e Mirandola. Numerosa e sempre turbolenta la

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rappresentanza veneta, con Mirano, Vicenza e Treviso. Anche il Sud ha dato il suo contributo con la Puglia. Onore quindi a Giorgio Pellegrini, ribattezzato il “Presidente”, a cui è stata dedicata l’immagine plastificata di una fiorentina gigante appesa dagli amici-colleghi Moreno Favaretto e Roberto Papotti ad un balcone a fianco dell suo negozio. Insieme alla sua famiglia e allo staff della macelleria equina, Giorgio è stato come sempre il regista perfetto dell’evento, inaugurato

insieme al giornalista, scrittore e critico gastronomico Allan Bay e Roberto Papotti, che ha sottolineato l’importanza dello spirito di squadra. E i risultati di tutto questo si leggono nei numeri da record: oltre 19.000 euro raccolti in poco più di 4 ore, migliaia di visitatori paganti, 50 macellai, 1.290 spiedini preparati, cotti e mangiati. Se l’onore di domenica 23 settembre va dunque a Pellegrini, la gloria di questo movimento, che periodicamente chiama a raccolta i

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1) Pregiate Carni Piemontesi di Milano: Bruno Rebuffi, Mauro Brun, Ercole Villa e Orazio Grasso. 2) Lo staff al completo dalla Macelleria Camassa di Grottaglie (TA). 3) Sempre presenti i super macellai di “Tutti matti per la ciccia” di Treviso. 4) Filetti, spiedini, arrosti e pronti a cuocere nella bella vetrina dello stand delle “Carni irlandesi”, con tanti prodotti realizzati dall’Associazione Macellai della provincia di Milano. 5) Eustasio Maso, Mauro Mormino, Moreno Favaretto e Paola Scodeggio della Macelleria Favaretto di Mirano (VE). 6) Il gruppo della Macelleria Papotti di Fossoli di Carpi (MO). In alto, da sinistra, Paolo Bortoli, Monica Malavasi, Patrizia Papotti, Paolo Rossi, Orietta Papotti, Cinzia Cantoni, Elisabetta Righi, Dario Mazzoni e, tra i due, Roberto Papotti. Dario e Elisabetta sono titolari della Macelleria Mazzoni di Mirandola (MO). In occasione di Butchers for Children hanno dato una mano ai colleghi modenesi nella preparazione delle carni e salumi omaggiati ai partecipanti e nella vendita dei grembiuli destinati alla raccolta di fondi per l’ospedale pediatrico di Carpi, danneggiato dal recente sisma. maestri delle carni, va tutta a Dario Cecchini. È stato lui da Panzano in Chianti ad aprire la strada per questi happening carnivori. Ed è sempre Dario che per primo ha creduto nell’unione delle maestranze della carne, trasformandole da feste dei macellai ad eventi glamour ribattez-

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zati “Butchers for Children”, con tanto di marchio, grembiuli e comunicazione curati nei dettagli. La porta è spalancata a tutti i colleghi, non ci sono confini. Basta solo crederci e si entra nel gruppo. L’obiettivo è sempre e soltanto uno: raccogliere soldi, tanti soldi, da

destinare ai bambini in difficoltà. Bambini malati, fragili, bisognosi di cure spesso troppo lunghe e costose. “Che belle persone i Macellai! Gente sana in tutti i sensi, forte e generosa” mi scriveva Dario tempo fa. È vero, è semplicemente così. Forza Butchers. Elena Benedetti

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1) Claire Farrell, responsabile trade marketing per Bord Bia, l’ente che promuove l’agroalimentare irlandese in tutto il mondo. 2) Personale della Fondazione Marchi di Milano, a cui è stato devoluto gran parte dell’incasso. L’ente è impegnato nella lotta alle emopatie e ai tumori dell’infanzia. 3) Il banco carni della Macelleria Pellegrini tappezzato di foto, scatti con amici e colleghi. 4) Un omaggio a Giorgio Pellegrini, il “Presidente”, qui regista della manifestazione. 5) Gli spiedini colorati nello stand dell’ente di promozione irlandese e dei macellai della provincia di Milano.

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1) Gli amici macellai della Macelleria Bianchi di Milano. 2) Sergio Motta, macellaio ad Inzago (MI) e ristoratore carnivoro nel suo locale di Bellinzago Lombardo (MI), insieme a tutti i suoi ragazzi. 3) Tanta carne bovina irlandese lavorata abilmente dai macellai della provincia di Milano. 4) Gli hamburger insaporiti con il radicchio trevigiano del gruppo di macellai “Tutti matti per la ciccia” di Treviso. 5) L’edizione 2012 di Butchers for Children è stata inaugurata da Giorgio Pellegrini insieme allo scrittore, giornalista e critico gastronomico Allan Bay.

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1) Luciano Pandolfi della Macelleria Pandolfi di Cologno al Serio (BG). 2) Il titolare della Macelleria Bianchi di Milano insieme ad Ercole Villa. 3) Anche i rappresentanti macellai di Federcarni di Ferrara, Imola e Bologna presenti per la prima volta a Butchers for Children Milano. 4) Con le pregiate carni bovine irlandesi i macellai milanesi hanno preparato 1.290 spiedini, tutti cotti e naturalmente mangiati dalla folla di partecipanti. Numeri da Guinness dei primati! 5) Tagliata in punta di coltello a tre mani con Roberto Papotti, Giorgio Pellegrini e Moreno Favaretto.

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Semplicemente, grazie. Gli eventi sismici che hanno colpito la nostra terra il 20 e il 29 maggio 2012 ci hanno messo a dura prova. Il terremoto è scomparso dalle cronache italiane con insolita rapidità, tuttavia molti di voi hanno mostrato la loro solidarietà e il loro prezioso sostegno senza dimenticare che qui migliaia di persone vivono ancora nelle roulotte, nei campi tendati, negli alberghi. In poco tempo si è creata una robusta catena della solidarietà che ci ha permesso di contribuire, nel nostro piccolo, alla ricostruzione dell’Emilia ferita. È grazie all’amico e collega Dario Cecchini e a tutto il gruppo di Butchers for Children che ha preso vita il Progetto “Insieme per ricostruire”. In pochi mesi abbiamo organizzato una serie di eventi per raccogliere fondi da destinare all’Unità Operativa di Pediatria dell’Ospedale di Carpi che ci hanno permesso di raggiungere la quota di 10.000 euro per l’acquisto di un apparecchio che consente l’erogazione di ossigeno riscaldato e umidificato ad alto flusso ai piccoli pazienti affetti da gravi infezioni respiratorie acute. Grazie alla fiducia che avete riposto in noi, siamo riusciti, inoltre, a donare materiale scolastico, per il valore di 1.000 euro, alla scuola elementare del nostro piccolo paese e abbiamo dato “casa” ad una famiglia costretta a vivere in un furgone, donandole un container per passare il lungo e rigido inverno che si vive in Pianura. In questo spazio messo a disposizione dalla rivista EUROCARNI, vorrei ringraziare di tutto cuore tutti coloro che hanno contribuito al nostro progetto, mettendo a disposizione gratuitamente il loro lavoro, il loro tempo e i loro sforzi per consentirci di riprendere alla grande. I Butchers si sono dimostrati ancora una volta una categoria unita, pronta a mettersi in moto per coloro che sono in difficoltà. In particolare, vorrei ringraziare i colleghi Moreno Favaretto, dell’omonima macelleria di Mirano, e Giorgio Pellegrini, di Milano, che hanno sensibilmente contribuito alla raccolta fondi. Ringrazio i colleghi Massimo e Susi della macelleria Ponte Motta di Cavezzo, perché da terremotati sono stati comunque partecipi e attivi nelle attività di raccolta. Ringrazio coloro che hanno collaborato acquistando i grembiuli della solidarietà in vendita al fine di destinare tutto il ricavato in beneficenza e grazie sin da ora a tutti quelli che in futuro vorranno contribuire. È con molta umiltà e gratitudine che vorrei gridarvi a gran voce ancora una volta GRAZIE! Sono le piccole cose che avvicinano le persone, piccoli semplici gesti che ci rendono migliori e che danno alla vita sapori e colori nuovi… Una filosofia che rende la nostra categoria unica nel suo genere. Viva i Butchers d’Italia, Viva i Butchers di tutto il mondo! GRAZIE. Roberto Papotti Macellaio in Fossoli di Carpi

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Macellerie d’Italia

La rivincita del somaro sul porco A Chiaramonte Gulfi, Ragusa, nella bottega di Massimiliano Castro, “miglior macellaio di Sicilia” 2012, è possibile acquistare carne di asino. Praticamente priva di colesterolo, è ricca di ferro e sali minerali. E il salame è una vera delizia di Riccardo Lagorio

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egli anni Chiaramonte Gulfi è diventata anche la capitale siciliana, e non solo, della carne d’asino, grazie all’intraprendenza di Massimiliano Castro. Recentemente premiato come “miglior macellaio di Sicilia” per l’innovazione, Castro propone dai suoi banchi puledri di 15 mesi, ma anche suino nero e annutoli allevati in provincia di Ragusa. Gli asini Ragusani sono stati riconosciuti come razza nel 1953 da parte dell’Istituto di Incremento Ippico di Catania, che dispone del registro anagrafico. Quelli presenti negli allevamenti ragusani hanno origine dagli incroci tra soggetti panteschi, presenti in provincia di Trapani, e quelli diffusi su tutta l’isola. Le due linee incrociate tra di loro e a loro volta accoppiate con la razza di Martina Franca, hanno dato vita a caratteri pregevoli, come il facile adattamento a climi rigidi e l’attitudine al tiro ed alla soma. Dal mantello baio scuro ed il muso grigio a peli ben rasati, l’asino Ragusano possiede criniera e coda nere. Allevamenti e zona d’origine si concentrano nei Comuni di Ragusa, Modica, Santa Croce Camerina e Scicli, ma l’utilizzo in cucina non è mai stato particolarmente gradito. «Trascorsi cinque anni dall’iniziale proposta di carne d’asino, in collaborazione con l’Ufficio locale dell’Assessorato regionale all’agricoltura, dopo le iniziali diffidenze, oggi i consumatori ne apprezzano moltissimo la carne.

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Massimiliano Castro all’interno del laboratorio di produzione.

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Asini Ragusani. Riconosciuto come razza nel 1953, dopo un lavoro di selezione, l’asino Ragusano si caratterizza per il suo mantello baio scuro, muso grigio a peli rasati, criniera e coda nere. I puledri hanno carne morbida e non stucchevole come gli asini adulti: così la carne viene utilizzata per braciole, macinato, ossobuco ma soprattutto salame». In effetti, la singolarità del salame di Castro è che almeno l’80% è di asino (il restante 20% è magro di suino), elemento che contraddistingue i suoi insaccati, praticamente privi di grasso. La delicatezza del gusto del puledro non ha la necessità di una concia robusta, perciò si percepiscono ampiamente le caratteristiche della carne, tanto che anche alcuni prestigiosi ristoranti intorno a Roma e a Milano si approvvigionano presso la macelleria di Castro. La fortuna del salame di asino è stata l’opportunità che ha permesso di rendere profittevole l’iniziativa, in quanto la bassa resa dei primi tagli non avrebbe garantito la convenienza della vendita dell’intero animale. A tal proposito continua: «Nella mia macelleria propongo ai clienti l’utilizzo di tutto l’animale: per esempio dai tagli di coscia preparo la tagliata, ma anche sfilacci in aceto balsamico e tartare. L’inizio non è stato facile, poi ho iniziato a rivolgermi ai giovani, che hanno una mente più aperta alle

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innovazioni. Spesso si ritrovano in compagnie numerose e sono attenti alle considerazioni salutistiche: la carne di asino è praticamente priva di colesterolo, ricca di ferro e sali minerali. Abbattuta la barriera psicologica, abbiamo dovuto lavorare sulla tecnica per fare in modo che potessimo vendere non solo i primi tagli, come coscia e filetto».

Peraltro, di filetto ciascun soggetto pesa circa un chilogrammo. È evidente l’impossibilità di soddisfare una benché minima richiesta…. Ma proprio la capacità tecnica di proporre l’intero animale, ha permesso a Massimiliano Castro di stringere un patto con gli allevatori per suggerire loro l’alimentazione più adatta perché si ottenga una carne omogenea, anche nel colore. Ciò si è conseguito anche grazie all’intervento della dott.ssa Clarita Cavallucci dell’Università di Perugia, che ha sviluppato un apposito disciplinare per ottenere continuità nel colore della carne e gusto costante. Curando tutte le fasi dall’allevamento — insieme a Francesco Schembari — alla vendita, Castro ha quindi certezza che le caratteristiche dell’animale saranno quelle desiderate: innanzitutto carne magra (che non necessita di lunghi periodi di frollatura) e dal colore piacevole alla vista, che viene venduta entro 10 giorni dal macello. Rispetto alla carne bovina, il contenuto di glicogeno è doppio e quindi è ideale per chi si sottopone a diete ipocaloriche ma anche per bambini, anziani e cardiopatici. Inoltre, a differenza del Nord

I salami di asino sono prodotti da Massimiliano Castro con l’80% di carne di asino e il 20% di magro di suino. La delicatezza del gusto del puledro non ha la necessità di una concia robusta.

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Italia, dove gli animali abbattuti sono adulti e consentono quindi quasi esclusivamente di utilizzarli in stracotto, le carni della Macelleria Castro sono adatte per preparare ragù, ossobuco (con cipolla e piselli e sfumato al Nero d’Avola), tagliata alla brace o alla piastra, involtini con le melanzane. Pur essendo di particolare importanza l’allevamento dell’asino Ragusano per quanto riguarda le carni, il cui consumo settimanale aiuta a ricostituire la ferritina e risulta essere un utile contributo di proteine a basso apporto di colesterolo, non va dimenticato che le particolari caratteristiche del latte lo rendono adatto all’assunzione da parte di bambini che soffrono di determinate allergie o patologie. Infine, la razza di asino Ragusano corre il rischio di estinzione. Renderlo profittevole per il consumo di carne è un concreto aiuto a non perdere parte del patrimonio genetico italico. Riccardo Lagorio

Massimiliano Castro nel reparto di stagionatura dei salami.

Macelleria e Salumificio Massimiliano Castro Piazza San Salvatore, 33 Chiaramonte Gulfi (RG) Telefono: 0932 922909 E-mail: salumichiaramonte@live.com

«Abbiamo cominciato a produrre salami di bufalo in via sperimentale da circa sei mesi — ci racconta Massimiliano Castro — e siamo riusciti ad ottenere davvero un ottimo prodotto. Colore rosso, privo di grasso: lo abbiamo spedito ai nostri clienti ed abbiamo ottenuto immediatamente riscontri più che positivi, quindi la produzione è iniziata con le giuste premesse perché si trasformi in un successo commerciale». Gli animali da cui si ricava il salame di bufalo sono quelli allevati dall’Azienda Agricola Magazzè di Ragusa (www.magazze.com) di proprietà dei fratelli Dinatale, una bella realtà situata tra alberi secolari di carrubo, in un paesaggio ricco di storia e specie foraggere spontanee e coltivate. Furono gli Arabi ad introdurre il bufalo in Sicilia; diverse sono le testimonianze storiche, ma a seguito di tormentate vicende scomparve. Oggi questa azienda gestita con passione e giovanile intraprendenza offre prodotti di altissima qualità.

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Macellai emiliani ai tempi della grande crisi

Reggiani di cognome, Piacentini di nascita Dal 1974 la Macelleria Reggiani di Piacenza è gestita dalla famiglia omonima, nelle vesti della signora Deanna e del figlio Mauro che hanno raccolto il testimone da Rinaldo Reggiani, il capostipite, che in quella bottega mise piede nel 1955. Fidelizzata all’Inalca, dispone di un portfolio assortito di carni di Fabio Butturi

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e esiste uno snodo nella declinazione più completa del termine, questo di sicuro è Piacenza. Crocevia infrastrutturale, fa da sponda a Bologna sul versante occidentale sotto il profilo ferrovia-

rio e interseca il reticolo autostradale disegnato dalla A1 e dalla A21 Torino-Brescia. Placentia, città di frontiera, a guardia del Po e delle turbolenze celtiche, ultima pietra miliare

della strada consolare che parte dall’Arco di Augusto di Rimini e luogo di ibridazione dialettale, dove l’accento parmigiano si annacqua e sfuma nel lombardo; del resto Milano dista meno della metà dei

La Macelleria Reggiani è in via XX settembre, strada animata del centro storico di Piacenza che conduce alla Piazza del Duomo.

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La Macelleria Reggiani conserva un’impostazione tradizionale. Le preparazioni gastronomiche vengono cucinate direttamente da Mauro, memore dei suoi trascorsi dietro ai fornelli nel settore della ristorazione. chilometri che la separano da Bologna sulla lunga linea retta della via Aemilia. Eppure Piacenza conserva un’anima emiliana e la gastronomia rappresenta una sintesi creativa e innovativa delle influenze liguri (basta seguire il fondovalle del Trebbia fino a Bobbio), longobarde e, in senso amministrativo, quelle specificamente regionali. Un laboratorio di buona alimentazione della Valpadana. Per capirne di più siamo andati in via XX Settembre, che conduce al romanico Duomo di Piacenza, un tempo via dello shopping e adesso minata dall’erosione della crisi. Crisi a cui quelli della Macelleria Reggiani, al civico 116 di questa arteria del centro cittadino, rispondono con le armi di sempre: la cura nel taglio delle carni e un paniere che soddisfa i palati più esigenti. La dicitura sulla vetrata della macelleria indica il 1955, anno in cui Rinaldo Reggiani entrò in bottega

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e cominciò il lungo iter di apprendistato. Del resto la memoria delle ristrettezze belliche era ancora viva, le macerie fumanti un ricordo vivo e il boom economico, la cui onda montante viene convenzionalmente datata al 1953, era nel suo pieno dispiegarsi. E Rinaldo cominciò ad affilare i coltelli (non nel senso metaforico) ad appena nove anni: il programma della giornata prevedeva sveglia presto e mattinata in bottega, a “farsi le ossa” (anche in questo caso l’allusione non è accidentale), il pomeriggio trasferimento al macello di Pontenure, pedalando per una decina di chilometri sulla via Emilia, direzione Fiorenzuola d’Arda. Una formazione completa, quel che ai nostri giorni si direbbe un “curriculum adeguato” per una “risorsa” di questo genere. A quei tempi, infatti, la formazione professionale non si esauriva in corsi propedeutici ma durava un’intera vita, e coronava spesso una passione endemica, che

in famiglia si trasmetteva a livello generazionale. Questo è stato anche il caso di Rinaldo Reggiani, il cui figlio Mauro ha raccolto le redini dell’attività di famiglia che gestisce tuttora insieme alla madre Deanna. Mauro è nato nel 1976, appena due anni dopo che Rinaldo aveva rilevato l’esercizio dove aveva svolto quasi un ventennio di apprendistato. Impronta curricolare alla quale non è sfuggito il figlio. Prima di diventare pienamente operativo in negozio, Mauro ha appreso quanto c’era da imparare ricalcando le orme paterne e lavorando in macello, raffinandosi nel contatto col pubblico nel reparto macelleria di un supermercato e spadellando nella cucina di un ristorante. La panoramica dietro la vetrina, compatibilmente con le torride giornate agostane, è quanto mai assortita, fatta salva l’eccezione della carne di cavallo, che pur

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La macelleria propone avicunicolo, suino e bovino. nel piacentino spopola. Le parole di Mauro non lasciano però spazio ad equivoci: «La carne di cavallo merita grande attenzione e noi preferiamo concentrarci su altri tipologie». Così nel locale dalla forma perfettamente rettangolare, dove il bancone espositivo occupa la parte prevalente, la parete opposta viene sfruttata per allestire gli espositori di vino (non dimentichiamo che i vitigni rappresentano un’eccellenza del territorio: i colli piacentini si raggiungono in un quarto d’ora) e lo spazio si esaurisce nel retrobottega, l’ambiente naturale dove effettuare pulizia e taglio delle carni, avicunicolo, suino e bovino. Comune denominatore è l’Inalca, interlocutore privilegiato della Macelleria Reggiani, forte del vasto assortimento che è in grado di garantire. Macelleria che conserva un’impostazione tradizionale, senza svolazzi e concessioni azzardate alla gastronomia, anche se in realtà con

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il primo sentore d’autunno i vassoi si popolano di elaborazioni cucinate direttamente da Mauro, memoria dei trascorsi dietro ai fornelli nel settore della ristorazione, come le torte salate (o quiche, come le si voglia definire). Dietro il bancone, al momento della nostra visita, comparivano solamente alcune variazioni sul tema hamburger di manzo, come la farcitura dell’impasto con olive oppure con lo speck. Ma si approssimava Ferragosto, periodo in cui la gente avrebbe (il condizionale è d’obbligo, date le ristrettezze) solo voglia di mare e ombrellone, e l’assortimento era giocoforza ridimensionato. Comparivano dunque il roll alle erbe, senza glutine, gli straccetti e i petti di pollo e la fesa di tacchino, le braciole, le cotolette, le faraone Costa Magna, che dalle massaie piacentine vengono farcite con la “salamella” (alias la salsiccia; la definizione è di Mauro e tradisce la vicinanza con Milano). Il pol-

lo nel periodo estivo viene venduto anche allo spiedo, con tanto di patate al forno come accompagnamento, mentre il pollame intero riporta il cartellino della Nuova Zeta, che non rappresenta però il fornitore esclusivo dell’avicolo, così come di fianco ai tagli di carne Inalca compaiono anche filetti di maiale di Sassi. E, come si era accennato all’inizio, a proposito della ricchezza della cucina piacentina, non possono mancare i salumi, la coppa, portabandiera degli insaccati di questa fetta occidentale d’Emilia, i prosciutti di Pio Toscani della vicina Langhirano, la pancetta di Rigamonti, il salumificio valtellinese che si appresta a festeggiare il secolo di vita ed è interamente di proprietà del colosso brasiliano JBS. Fabio Butturi Macelleria Reggiani Rinaldo Via XX Settembre, 116 29121 Piacenza (PC) Telefono: 0523 324207

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La carne in tavola

Oro in cucina Dai banchetti degli Egizi a quelli rinascimentali, anche oggi l’oro è usato come ingrediente alimentare, per far brillare i cibi più disparati di Nunzia Manicardi

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a proposta avanzata da qualche anno dai grandi chef internazionali di usare l’oro metallico come ingrediente in alcune ricette di alta cucina potrebbe sembrare un’ostentazione moderna, concepita appositamente per chi davvero non sa più che cosa inventarsi per dimostrare (e… far pagare!) la propria attrazione per il lusso più sfrenato. In realtà, l’utilizzo dell’oro commestibile risale a tempi molto, molto antichi. Già gli Egizi usavano pagliuzze e foglie d’oro per decorare pietanze nelle occasioni più

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importanti e, in seguito, questa tradizione si è tramandata raggiungendo l’apice nel Rinascimento, soprattutto per abbellire i piatti di carne e i dolci. Anzi, in quel periodo, tale utilizzo toccò tali eccessi che a Padova il Consiglio cittadino dovette arrivare a stabilire che nei pranzi nuziali non si potessero servire più di due portate condite in tal modo. Sembra che anche nella ricetta originale del risotto alla milanese servito nelle cene di gala degli Sforza l’utilizzo dell’oro (oggi sostituito dallo zafferano, anch’esso

comunque molto costoso) fosse abituale per sottolineare la potenza e la ricchezza della famiglia. Cucina preziosa Sul fatto che l’oro sia commestibile non ci sono dubbi: non solo non ha controindicazioni per la salute umana, ma c’è anche chi gli attribuisce proprietà salutari per il cuore e per combattere i reumatismi. In farmacia, inoltre, è venduto in soluzioni omeopatiche come integratore. L’oro, così come l’argento alimentare, secondo la Direttiva

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94/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 giugno 1994, è classificato come colorante alimentare (rispettivamente, E175 e E174). Inoltre, essi non hanno in pratica alcuna reattività e quindi non alterano i sapori dei piatti su cui vengono cosparsi. Per tutti questi motivi sono ideali per la decorazione di dolci, cioccolatini e gelati, per impreziosire flûte di champagne o cocktail d’autore e per dare “quel tocco in più” a tortini, risotti e primi piatti in genere. Sono disponibili in diversi formati: polvere, briciole, fiocchi e foglie. Polvere magica Fin dall’antichità all’oro sono state attribuite proprietà magiche e curative. Era usato per guarire le malattie della pelle e per combattere il prurito, ma venivano anche somministrate pozioni contenenti oro perché si pensava che il metallo prezioso potesse scacciare gli spiriti maligni delle malattie. Notizie di un’applicazione certamente più scientifica si hanno a partire dal 1935 con JACQUES FORESTIER quando nacque la crisoterapia. Dal greco chrysos (oro), detta anche terapia aurica, è una cura che si basa sull’utilizzo di prodotti contenenti sali d’oro. Nella seconda metà del 1800, in seguito alle ricerche di ROBERT KOCH che ne evidenziò l’azione inibente lo sviluppo dei micobatteri tubercolari, alcuni sali d’oro vennero utilizzati nella terapia della tubercolosi. Poi, nonostante i risultati modesti, il loro impiego fu esteso alla terapia della sifilide e dell’artrite reumatoide. Oggi è utilizzata quasi esclusivamente per la cura di quest’ultima. Le proprietà dell’oro, infatti, sembra riducano fortemente il propagarsi dell’infezione. Altre indicazioni terapeutiche si riferiscono al lupus eritematoso, alle uveiti, all’uso dell’Au198 quale antineoplastico, specie nel trattamento delle infiltrazioni tumorali metastatiche della pleura e del peritoneo. Non ci sono, tuttavia, dei dosaggi predefiniti. Si procede, generalmente, partendo da una dose minima e aumentandola con il tempo.

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È necessario utilizzare questo tipo di cura sotto uno stretto controllo medico. Gli effetti collaterali, infatti, possono variare da dermatiti fino a più seri danni a fegato e reni. La terapia avviene per via orale o iniezione, considerata più efficace. Foglie, lamine e polvere Loro di cui vogliamo parlare noi adesso è quello che si mangia e si beve, non per necessità bensì per il semplice piacere di farlo. Il primo a riscoprire l’oro commestibile e a portarlo in tavola è stato, trent’anni fa, lo chef Gualtiero Marchesi con il suo risotto con le foglie d’oro a 18 carati. Un “ingrediente” che oggi è prodotto da aziende specializzate e che si acquista nelle gastronomie più fornite. «Mi sembrava una tro-

vata — ha spiegato Marchesi — e ho voluto, come tutti i miei piatti, che rimanesse un pezzo unico, perciò non ho proposto altre pietanze all’oro. Non c’è insomma l’orientamento a tornare alla cucina del Quattrocento, ma a fare qualcosa di forte che difatti, come tutte le cose singolari, non ha trovato imitatori». Cucinare con l’oro fa naturalmente un po’ crescere il prezzo del piatto, perché il materiale costa. «Ma — ha precisato ancora Marchesi — se vogliamo fare paragoni lo zafferano, con quel che costa, non è molto dissimile dall’oro». Gli esperti consigliano le pagliuzze d’oro alimentare per creare un effetto scintillante sul cioccolato caldo e nei cocktail, i petali per dare un tocco di luce ai tagliolini al nero

Risotto alla zucca con lepre al dolceforte (foto: Giusto Manetti Battiloro Spa).

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di seppia e i foglietti per risotti o decorazioni su pesci pregiati. Viene venduto in sottili lamine ma anche in una polvere molto fine che atomizza sulla superficie creando una placcatura durevole e di gradevole aspetto accompagnando i drink senza sporcare le labbra, come farebbe invece una vernice dorata. La lavorazione della foglia d’oro si ottiene battendo l’oro fino a ridurlo ad una lamina sottilissima, così come quella che spesso viene applicata sulle elaborate cornici di specchi e dipinti. In genere la foglia d’oro è più sottile della carta e controluce appare semitrasparente, anche se nell’antichità era 5-10 volte più spessa di oggi. Tra i principali produttori di foglia d’oro al mondo — e quindi anche di oro commestibile — c’è la ditta fiorentina Giusto Manetti Battiloro, fondata nel 1820, che è anche una delle venticinque imprese storiche di Firenze. Sulla scia di Marchesi si sono inoltrati nell’utilizzo dell’oro alimentare altri chef di varie parti del mondo che hanno proposto le combinazioni più bizzarre. STEPHEN BRUCE, per esempio, che è proprietario del Serendipity 3 di New York, ha ideato insieme al gioielliere Euphoria quello che può essere definito il dessert più costoso del mondo: il “Frozen Haute Chocolate”, una miscela di 28 tipologie diverse di cacao, 14 delle quali tra le più rare esistenti, unito a 5 grammi di oro alimentare a 23 carati in una coppa a sua volta decorata con oro alimentare.

L’oro alimentare entra anche nei cocktail e li rende scintillanti. Basta guardare questa immagine scattata alla scorsa edizione di Taste Firenze (foto: F. Guazzelli). Su di esso viene versata crema, ancora oro, e un tartufo di cioccolato della cioccolateria Knipschildt (del costo di circa 6.000 $ al chilo). Al cliente (ovviamente… non occasionale!) viene servito corredato di un souvenir — un braccialetto d’oro 18 carati con un diamante di un carato — e di un set di cucchiai d’oro. Nel 2006, per segnare il 125º anno di attività, la ditta inglese F. Duerr & Son ha prodotto la marmellata più costosa del mondo, la “Fine Cut Seville Orange Marmalade”, confezionata con le migliori arance di Siviglia accompagnate da un raro Whisky invecchiato 62 anni e champagne del 1962. Il tutto presentato all’interno di un elegantissimo vaso di cristallo contenente scaglie d’oro commestibile a 24 carati.

E con l’oro è stata condita perfino la pizza… La più costosa al mondo è stata ideata a Glasgow, in Scozia, dallo chef Domenico Crolla per raccogliere fondi per la Fondazione Fred Hollows che combatte la cecità nei Paesi in via di sviluppo (questa iniziativa ha poi permesso di raccogliere 2.150 sterline). Spolverata con oro alimentare a 24 carati e guarnita con caviale bagnato nello champagne, aragosta marinata nel cognac e salmone scozzese affumicato. Io, però, continuo a preferire la “Margherita”. Nunzia Manicardi Nota A pag. 94 battuta di Chianina al coltello con fiocchi d’oro alimentare (foto: Giusto Manetti Battiloro Spa).

L’oro alimentare “Prodotto di nicchia” a Tuttofood 2011 L’oro alimentare e la Giusto Manetti Battiloro hanno vinto il concorso “Prodotto di nicchia” durante la fiera Tuttofood 2011. Una commissione esaminatrice ha decretato che, fra tutti i prodotti iscritti, l’oro alimentare avesse le giuste caratteristiche per essere eletto fra i prodotti più rappresentativi di quest’edizione. Antipasti e primi piatti con ingredienti di ogni tipo, dal tartufo alla lepre al nero di seppia: nel sito dell’azienda fiorentina (www.manetti.it) sono visibili alcune creazioni di maestri della cucina, quali Vito Mollica, executive chef del ristorante “Il Palagio” presso l’hotel “Four Season” di Firenze, o Luciano Ghinassi, chef del ristorante “Buca Lapi”, idee e proposte su come decorare le portate principali con l’oro e l’argento alimentare (in foto: timballo di riso al tartufo con fiocchi d’oro alimentare).

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Trasformazione Prodotti a base di sangue nell’alimentazione umana

I sanguinacci di Aldo Focacci

I

l Regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, che fa parte del cosiddetto “pacchetto igiene”, stabilisce tra l’altro che come “carne” devono essere considerate tutte le parti commestibili, compreso il sangue di tutta una serie di animali. Si tratta di un lungo elenco che comprende gli ungulati e i solipedi domestici, il pollame, i lagomorfi, la selvaggina selvatica sia piccola che grossa e quella d’allevamento. Il sangue di questi animali può essere usato per l’alimentazione umana e in effetti si può dire che esso sia sempre stato destinato alla preparazione di alimenti. Durante i difficili anni della seconda guerra mondiale, questo utilizzo subì un forte impulso, tale da determinare il varo di una precisa regolamentazione per controllare il fenomeno: con ordinanza ministeriale del 30 giugno 1942 furono impartite disposizioni concernenti l’utilizzo alimentare del sangue proveniente dalle macellazioni, cui seguì un’altra ordinanza dell’11 marzo 1943 che dettò norme integrative per l’applicazione del primo dispositivo. Più precisamente, venivano indicate le procedure da adottare per la raccolta del sangue, le norme igieniche da seguire per la sua conservazione e il trasporto, l’obbligo del controllo sanitario e il divieto di utilizzare quello degli equini. Chi ha una certa età ricorda certamente le file di persone, di tutti i ceti, in attesa alle porte dei pubblici macelli con piccoli recipienti, per ottenere modeste quantità di sangue, soprattutto di bovino, da destinare alla preparazione casalinga di particolari, poverissimi

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piatti chiamati sanguini (il sangue veniva lasciato coagulare sul fondo di semplici piatti profondi, quindi lo si tagliava a fette che venivano poi fritte o cucinate in umido). Nei macelli ancora oggi si raccoglie il sangue di suino e di bovino per la preparazione, in genere con sistemi artigianali, dei cosiddetti sanguinacci o mallegati, nella cui realizzazione intervengono anche altre materie alimentari come vedremo in seguito. Dobbiamo innanzitutto ricordare che il sangue è un tessuto connettivo composto per il 45% da una parte solida costituita da cellule diverse — globuli rossi, globuli bianchi e piastrine — e per il restante 55% da una parte liquida, il plasma. In questa parte

sono disciolte numerose sostanze tra cui ormoni, gas, nutrititive come glucosio, vitamine, amminoacidi e lipidi, poi ioni e anche tre tipi di proteine, le albumine, la globulina, il fibrinogeno, essenziale quest’ultimo per il processo di coagulazione. Il colore rosso del sangue è dovuto all’emoglobina, molecola proteica contenente ferro. Il sangue può essere quindi considerato, per i suoi componenti, una sostanza con evidenti particolari caratteristiche nutrizionali, che si può utilizzare per l’alimentazione umana previe opportune manipolazioni e aggiunte. È infatti difficile pensare di poter assumere direttamente il sangue, bevanda certo non gradevole, sia pure dopo averne im-

Sanguinaccio casalingo (foto: http://frombellytobacon.com).

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pedito la coagulazione. Solo alcune popolazioni africane si nutrono di sangue fresco: i Maasai, che vivono dispersi tra il Kenya e la Tanzania, si nutrono del sangue misto a latte dei loro zebù, che vengono per questo salassati ogni tre mesi circa, e così pure i Surma dell’Etiopia, che bevono direttamente il sangue estratto dalle giugulari dei bovini da loro allevati. Cerchiamo allora di indicare quelli che possono essere chiamati “prodotti a base di sangue”, ancora largamente utilizzati nel nostro Paese, ognuno dei quali ha una sua storia, sia per quanto attiene alla specifica preparazione che per quanto riguarda la collocazione geografica. Tante sono infatti le regioni italiane che in molti casi hanno potuto ottenere il loro riconoscimento come Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Si tratta di prodotti legati alla consuetudine popolare di utilizzare il maiale in ogni sua parte, realizzando un alimento economico ma molto ricco a livello nutritivo, spesso collegato alla tradizione natalizia o, meglio, al periodo in cui si macellava il maiale. Molte sono le diversità tra i prodotti regionali di questo tipo, che, avendo come base comune l’utilizzo del sangue, sono indicati più o meno sempre con lo stesso termine, sanguinacci (nella cucina italiana con il termine “sanguinaccio” viene anche indicata una preparazione assai diversa, il cosiddetto “sanguinaccio dolce”, una crema a base di cioccolato fondente, Nda). I sanguinacci si presentano in genere come dei salami di colore marrone, si consumano cotti e sono alimenti di origine molto antica, già conosciuti e apprezzati dai Romani. La tecnica della loro preparazione consiste nel raccogliere il sangue dopo la macellazione del suino in appositi recipienti, mescolandolo rapidamente per impedire la formazione di fibrina dal fibrinogeno ed evitare così la sua coagulazione. Al sangue si uniscono poi gli ingredienti più vari, a seconda delle consuetudini locali, per esempio pane, patate, pinoli, uva secca, miele,

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Cerimonia Maasai: il sangue dell’animale viene bevuto insieme al latte. scorza di limone, fichi, assieme ad aromi e spezie. L’amalgama ottenuta, lasciata raffreddare per alcune ore, viene quindi inserita nel budello precedentemente lavato e scolato e suddivisa in parti di lunghezza diversa, 15-20 centimetri, chiudendo gli estremi con spago per alimenti. Queste parti possono anche essere ripiegate conferendo al prodotto l’aspetto di un ferro di cavallo. I sanguinacci così preparati vengono sottoposti a cottura in acqua, con tempi di intervento variabili tra 20 e 30 minuti, al termine dei quali affiorano in superficie. La

successiva fase dell’asciugatura dura qualche ora. In Italia esistono moltissime varietà di sanguinacci: nel Sud troviamo il sangiari calabrese, arricchito con ricotta e vino, ma anche lu sagunazzo pugliese, preparato con il cervello. In Sicilia si ha u sangeli. Nella cucina lucana esistono diversi tipi di sanguinaccio a seconda delle zone: nel Vulture vengono preparati con l’aggiunta di cioccolato fondente, vaniglia, cacao amaro e cannella; vi è poi un’altra variante regionale composta da friselle tritate, biscotti secchi, riso, miele, caffè, cioccolata fondente

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prezzemolo e aglio. La versione senese prevede anche l’aggiunta di uva sultanina e pinoli; inoltre, la percentuale di sangue utilizzata è più elevata. L’impasto si insacca ancora caldo nello stomaco del suino, si cuce con filo, si cuoce e si consuma subito. Viene prodotto da dicembre a fine marzo e la sua domanda è in continua ascesa.

Il mallegato (foto: www.lucianopignataro.it). e uvetta sultanina. Sono da ricordare alcuni prodotti tipici delle regioni più settentrionali, dove il sanguinaccio è cotto insieme alla polenta: il boudin della Valle d’Aosta, il sanganèl del Friuli, il birölt dell’alta Valtellina. Nella cucina ligure il sanguinaccio è conosciuto col termine dialettale di berodo o beroldo e viene preparato con l’aggiunta di pinoli, sale, latte non scremato e cipolle. In quella piemontese e lombarda si mescola il sangue del maiale con pane e/o patate e si ha così il marzapane, da non confondere con l’omonimo dolce di mandorla tipico di Sicilia e Puglia. Nella cucina dell’Alta Valcamonica il sanguinaccio è un insaccato a pasta simile a quella del cotechino, ma con l’aggiunta del sangue, che viene consumato in due modi: lessato insieme ad altri salumi e patate, oppure seccato in cantina e mangiato dopo qualche mese. In Val di Non, nella zona di Trento, si preparano i brusti e i baldonazzi. Sono insaccati in budella di vario calibro, di colore marrone, consistenza morbida, cremosa, con un gradevolissimo profumo di spezie, da consumarsi crudi o cotti alla brace. Sono composti con il sangue del maiale, talora mescolato con quello di vitello, al quale si aggiungono farina bianca,

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sale, pepe, latte, spezie e, a volte, noci tagliuzzate e un po’ di grasso. Si servono bolliti o con polenta. La Toscana vanta una grande tradizione di sanguinacci, in particolare ne esistono due tipi: il biroldo, insaporito col finocchio selvatico, e il mallegato, che viene preparato con alcune diversità tra Pisa, Livorno, San Miniato. Sempre in Toscana vengono preparati altri prodotti simili ai sanguinacci ma con caratteristiche proprie: il buristo e la soppressata di sangue. In pezzi generalmente da 500 grammi, la soppressata, la cui componente principale è rappresentata dalle cotenne e da parti della testa (lingua), viene aromatizzata con sale, pepe e spezie e ingentilita con scorza di limone, il tutto bollito e poi insaccato. Si consuma fredda, affettata con il pane casalingo toscano. Il buristo, invece, che può essere considerato un salume tipico del Centro Italia e il cui nome sembra derivi dalla parola tedesca würst, salsiccia, viene ottenuto usando le cotenne e tutte le parti della testa del suino, cotte e macinate grossolanamente: si aggiungono poi lardelli di grasso soffritti e portati a mezza cottura e, per ogni 10 chili di impasto, 200 grammi di sangue di maiale filtrato. Si condisce con aromi, quali buccia di limone, pepe,

L’uso in cucina dei sanguinacci e degli altri prodotti similari Possono essere mangiati freddi o caldi con contorno di verdure cotte, oppure riscaldati in padella o sulla brace, eventualmente anche tagliati a fette a mo’ di dolce. Sono cibi poveri, popolari, ma non per questo da ignorare, se non altro per la capacità che hanno avuto di sfamare intere famiglie durante periodi difficili di miseria. A questo proposito non si può ignorare l’utilizzo del sangue per uso diretto come medicinale ricordando quanto racconta GIOVANNI BALLARINI, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, in un capitolo del suo interessante libro intitolato La tentazione della carne, edito nel 1981 e nel quale l’autore, oltre ad esaminare le caratteristiche delle carni delle varie specie animali, parla di alcune sue esperienze vissute in periodo di guerra, quando era studente in veterinaria, durante il tirocinio nei pubblici macelli. Il quadro che racconta appare oggi inverosimile e desta certo notevoli perplessità: data l’inadeguatezza dell’assistenza sanitaria, certe anemie venivano curate con un bicchiere di sangue equino bevuto la mattina a digiuno. Le persone interessate giungevano nel settore riservato alla macellazione dei cavalli dove potevano riempire grandi bicchieri del sangue che zampillava durante la iugulazione degli animali, indicati adatti alla bisogna dal veterinario ispettore. La bevanda veniva bevuta calda, talora corretta con un po’ di zucchero mentolato e rappresentava un’alternativa a preparati farmaceutici antianemici. Altri tempi. Aldo Focacci

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N u o va l i n e a H a p p y B a r b e c u e

Siciliani Spa, azienda di commercializzazione di carni ovine, oggi è una realtà produƫva in grado di garanƟre carni di qualità a 360°. Con il nuovo stabilimento di Palo del Colle (60.000 m2 di cui 30.000 coperƟ), fra i pochi in Italia munito di 3 linee di macellazione (una di bovino, una di suino e una di ovino), la Siciliani Spa, oltre ad essere una moderna azienda di trasformazione e lavorazione carni, grazie agli allevamenƟ di proprietà di bovino, scoƩona, suino e vitello a carni bianche, è oggi una delle prime aziende produƩrici di carni del Centro Sud in grado di garanƟre il totale controllo della Įliera produƫva.

Siciliani SpA Industria Lavorazione Carni, Str. Prov. Palo Del Colle Bitonto – 70027 – Palo del Colle (Bari). Tel.: 080 3815111/080 627224 - Fax: 080 3815360/080 626049 E-mail: info@sicilianispa, Eurocarni, 11/12 Web: www.sicilianispa.com

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Locali di gusto

La Granda in Mezzo al Pane: panino formato Eataly Più che una paninoteca, questo locale in centro a Torino è una sfida all’omologazione dei sapori. L’arredo è firmato Costa Group: una veste di alta qualità per cultori del mangiar bene

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ettere La Granda in mezzo al pane: è questa l’originale idea che hanno avuto FABRIZIO CARDAMONE e i fratelli ANTONIO e FEDERICO MARASCO che, con il marchio e la filosofia di Eataly, hanno aperto un locale nel centro di Torino. Costa Group ha firmato l’arredo di uno spazio pensato come una sfida alla logica dell’omologazione dei sapori: più che una paninoteca, una scommessa all’insegna della qualità. Per gli amanti dell’hamburger (ma qui si chiamano panini) e i cultori del

mangiar bene. A partire dalla carne, che è quella de La Granda, l’associazione di allevatori piemontesi unitisi per dar vita ad un progetto di valorizzazione della carne piemontese e a una produzione attenta e rispettosa della qualità. Veste informale, per un locale che si sviluppa su due livelli, dall’aspetto vagamente industriale. Complice la struttura, che è quella di un edificio storico nel centro di Torino, con le volte di mattoni al piano interrato, ad accogliere le oltre cento sedute del locale ed

una piccola area giochi dedicata ai bambini. All’ingresso, panchine di legno da sala d’aspetto stile vecchia stazione, a creare un ambiente confortevole per una pausa pranzo veloce o una cena con gli amici. Mattoni a vista sui muri portanti, pareti piombo alternate a qualche tocco di rosso brillante, legno per il pavimento, grossi tubi d’acciaio del riscaldamento che attraversano il locale, lampade a braccio snodabili e il bancone di metallo con le borchie di saldatura in rilievo.

La Granda in Mezzo al Pane a Torino ha sede in un palazzo storico del centro.

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L’officina del panino: la cucina è a vista, il panino si fa davanti a tutti e si ritira dall’apertura a baionetta della finestra.

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Dietro al bancone, le botti del vino, il Barbera piemontese, e tutti i vini tipici locali, direttamente dal produttore al consumatore. E poi l’officina del panino, che si fa davanti a tutti e si ritira dall’apertura a baionetta della finestra della cucina a vista, con le vetrate profilate di metallo e le piastrelle bianche e nere, dove la carne de La Granda, sta, con la cipolla di Tropea e le salse biologiche, sul pane ottenuto con le farine macinate a pietra. Perché La Granda in mezzo al Pane è anche un presidio Slow Food, e l’importanza e l’origine delle materie prime è il fil rouge della storia raccontata sulle grafiche curate da Eataly e appese in giro per il locale. Nota Studio, progettazione e arredi Costa Group, architetto Sara Paveto.

In alto: il bancone di metallo con le borchie di saldatura in rilievo. In basso: le panchine di legno da sala d’aspetto stile vecchia stazione all’ingresso del locale. Dietro al bancone, le botti del Barbera e tutti i vini tipici locali.

Costa Group Srl Via Valgraveglia Zai 19020 Riccò del Golfo (SP) Telefono: 0187 769309/08 Web: www.costagroup.net

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La Granda in Mezzo al Pane Piazza Solferino 16/A 10121 Torino Telefono: 011 5611050 Web: www.lagrandainmezzoalpane.it

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Ristoranti carnivori

Suggestioni carnivore alla Locanda del Povero Enzo A Cosenza il locale di Ivan Carelli è una delle migliori soste golose della regione, soprattutto per gli amanti della carne: quella suina proviene da allevamenti locali, la bovina da capi di razza Seerland, Hereford, Angus irlandese e scozzese, Podolica. Carne equina e rane completano l’offerta di Riccardo Lagorio

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van Carelli, professione cuoco, è ancor di più un Marco Polo del gusto. Ha lasciato la Calabria giovanissimo, ha viaggiato per Francia, Russia e Svizzera nei locali più osannati dalla critica e sei anni fa è tornato nella sua terra, consegnando alla città di Cosenza una delle migliori soste golose di tutta la regione. È quindi inevitabile che nel suo ristorante, curato ed elegante, affacciato su una via poco frequentata del capoluogo, ci si debba aspettare una cucina che fonde tecniche innovative e prodotti locali, tradizione ed utilizzo di materie prime foreste. Dall’impeccabile combinazione di questi elementi, rafforzata in sala dalla competenza della moglie Patrizia Greco e del socio Francesco Gardi, nascono piatti gustosi e vigorosi, alcuni dei quali con reminiscenze toscane, introdotte dalla passione dei titolari per quella terra. «Vogliamo divulgare l’idea che il cliente non viene da noi solo per cibarsi» dicono, avvalendosi di GIACOMO LEOPARDI come testimone nella prima pagina del menu: il mangiare, l’intrattenimento a tavola è “occupazione interessantissima, e la quale importa moltissimo che sia fatta bene, perché dalla buona digestione dipende in massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e morale dell’uomo”.

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Quindi come antipasto il miglior jamón serrano affumicato tagliato a coltello sotto gli occhi dell’avventore fa il canto al carpaccio di bufalo calabrese, allevato nell’area ionica, con tartufo del Pollino e condito con olio di noci. Esempio di quanto scritto poco sopra è la fusione di cucina tradizionale e tecniche innovative nella terrina di foie gras previamente flambata sul fornello e poi finita come una terrina classica, non prima di essere stata insaporita utilizzando Moscato di Saracena e servita con crostini caldi ai cinque

cereali e mostarda di peperoncino. E una ventata di aromi toscani si ritrovano nell’antipasto di salumi: un’abbondante portata a base di soppressa, mallegato, finocchiona e prosciutto della Garfagnana. Molto ben preparate le tagliatelle di castagne al ragù di lepre e porro croccante e sensazionali gli spaghetti di farina di castagne (presente per un terzo sulla semola) con pesto di pomodori soleggiati (cioè utilizzati quando inizia il processo di essiccazione al sole) e guanciale di suino Nero grecanico e crema di burrata.

La carne è protagonista nei secondi piatti.

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Gli interni de “La locanda del Povero Enzo” a Cosenza. Pasta tradizionale della cultura meridionale, gli scaffettuni, penne rigate e giganti, servite al sugo di braciole di suino Nero calabrese “alla maniera di una volta”. Dietro questa espressione si nascondono talvolta metodi concepiti ex novo e disinvoltamente contrabbandati per remoti. In questo caso “alla maniera di una volta” racconta, invece, un metodo realmente ancestrale di conservazione: le braciole, con la parte della spalla, vengono farcite di aglio, prezzemolo e grasso vergine del maiale, dopo di che fritte nel grasso e conservate per tre mesi nello strutto. Il sugo si prepara infine con un fondo di cipolla. Articolate e carnivore le proposte dei secondi piatti. Anche in questo caso l’affetto verso la Toscana si evidenzia attraverso la rosticciata (puntine) di cinghiale della Garfagnana, laccato (e cotto a basse temperature in sottovuoto con melassa di fichi cosentini) al nettare di fichi rapé, impreziosito nel piatto da fichi disidratati. Delizioso il nodino di vacca Podolica cucinato in padella, leggermente infarinato e flambato con grappa dell’azienda agricola Serracavallo di Bisignano, con uva appassita e radicchio confit. Ancora omaggio alla Toscana con la quaglia alla Lorenzo de’ Medici e duchessa tartufata, sontuoso piatto dove la quaglia è farcita di salsiccia

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e tartufo, spadellata con pomodori semi-essiccati e flambata con Marsala; l’accompagnamento con una patata duchessa, tartufata e arricchita con crema di caciocavallo silano DOP ne amplifica lo sfarzo. Dalla griglia sempre accesa, alimentata da carbone di quercia e rami di vite, e ben visibile nella sala pranzo, escono prelibati piatti carnivori: fiorentina di Seerland, con tagli superiori agli 800 grammi, costata del Nord America (ovvero la parte opposta alla fiorentina priva di filetto) da 800 grammi, filetto di Angus irlandese con crostone di pane di segale e caramello balsamico, entrecôte di Hereford scozzese con piccola Caesar salad (la versione di Ivan Carelli prevede insalata, rucola e sfilacci di equino), entrecôte equina del Nord America con cialda di guanciale suino e pomodoro di Belmonte grigliato, tagliata di Angus scozzese con rucola e scaglie di Parmigiano Reggiano all’olio di rosmarino. Un’infinità di suggestioni potenziata dalla rara occasione di scegliere anche un sublime fritto di coscette di rane. Carta dei vini ampia e rigorosa, con particolare attenzione rivolta alle numerose proposte della recente DOC Terre di Cosenza. Riccardo Lagorio Antica Locanda del Povero Enzo Via Monte Santo, 42 87100 Cosenza Telefono: 0984 28861


Convegni

L’agnello neozelandese e la produzione di gas serra Presentata al World Meat Congress la valutazione del ciclo vitale e della “carbon footprint” dell’intera filiera produttiva di Giulia Mauri

I

l 5 e 6 giugno 2012, a Parigi, si è tenuto il diciannovesimo World Meat Congress, l’incontro che l’International Meat Secretariat (IMS) organizza ogni due anni. Gli argomenti trattati sono stati numerosi, dalle questioni economiche a quelle relative al benessere animale. Si è parlato anche dei consumatori, delle loro aspettative, di come conquistarli e di come soddisfarli. Di conseguenza, si è parlato anche della sostenibilità ambientale della produzione di carne. Ormai da tempo il settore subisce gli attacchi delle frange più combattive dei mo-

vimenti vegetariano e vegano: alle motivazioni etiche essi aggiungono quelle salutistiche e di sostenibilità ambientale, grazie alle quali (veritiere o mendaci che siano) ogni anno strappano una piccola percentuale di consumatori al settore. Alcuni interventi sono stati accalorati e un po’ arroccati (in stile militanti della Spectre, per intenderci): ad esempio quelli dei francesi RENÉ LAPORTE e PASCAL MAINSANT, in cui si è messo in guardia il genere umano dal compiere la scelta vegetariana, visto che da 2,6 milioni di anni noi e gli ominidi nostri

antenati (a cominciare dall’Homo habilis) siamo onnivori ed è grazie all’apporto delle proteine della carne che abbiamo sviluppato un cervello di maggiori dimensioni e abbiamo conquistato le capacità intellettuali, la vita di gruppo e la socialità. In pratica, se diventassimo tutti vegani, finiremmo come il panda, «un vero mistero: organismo carnivoro per dentizione e apparato intestinale, questa specie è diventata vegana, mangia enormi quantità di germogli di bambù e ha perso qualsiasi interesse per la carne. E come risultato ha visto ridursi del

Per ridurre la produzione di gas serra della filiera è indispensabile intervenire sulla fase di allevamento (foto: Rainer Jenss). 108

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I francesi René Laporte e Pascal Mainsant durante il loro intervento al 19º World Meat Congress di Parigi. 90% gli istinti sessuali e materni, tanto da essere diventata una specie in pericolo di estinzione». Talvolta l’atmosfera deve essere stata molto intima — nonostante i circa 800 partecipanti — un po’ da cospiratori, fautori di una causa in decadenza, ma ancora capaci di riderci su, come dimostra la battuta del moderatore PATRICK MOORE, membro della Commissione esecutiva dell’IMS e Presidente della Commissione carne sostenibile: «a non mangiare carne si vive più a lungo?… Se sia davvero così non lo so, però di sicuro senza carne la vita sembra mooooooooooolto più lunga». Naturalmente ci sono stati numerosi interventi che hanno affrontato in maniera precisa ed aggiornata la relazione esistente fra la produzione di carne e il cambiamento climatico. Il legame c’è e le conseguenze non sono irrilevanti. Tuttavia, è ancora oggi difficile trovare un metodo di valutazione efficace per calcolare l’impatto della produzione zootecnica. Molte delle pubblicazioni citate dai movimenti vegetariano e vegano presentano dati allarmanti, ma talvolta poco condivisibili o parziali, e questo danneggia la società civile, i produttori di carne e l’ambiente. Proprio la necessità di una metodologia approvata a livello internazionale per valutare la sostenibilità di una produzione è stata al centro dell’intervento del neozelandese STEWART LEDGARD, della AgResearch Ruakura di Hamilton. Ledgard ha Eurocarni, 11/12

subito chiarito che, per valutare l’impatto di una produzione, bisogna fare ricorso alla valutazione del ciclo vitale (LCA – Life Cycle Assessment): è il totale delle risorse usate e delle emissioni prodotte — energia, acqua, fertilizzanti, trasporti, ecc… — e deve comprendere tutto il ciclo, perché deve essere valutata l’efficienza di tutte le componenti. Nemmeno la porzione di LCA sotto responsabilità dei consumatori deve essere dimenticata. «Il metodo di valutazione deve essere obiettivo, deve definire il peso delle singole parti del processo produttivo, tenere conto dell’unità funzionale e della produzione contemporanea di più prodotti». L’obiettivo a cui tendono i ricercatori che investigano sulla LCA è un processo di calcolo riconosciuto e approvato universalmente, un po’ sul modello delle ISO:14040 e 14044. Chiarito questo concetto, Ledgard ha affrontato alcuni aspetti del calcolo della LCA, che possono essere vagliati separatamente, ma che alla fine devono essere integrati per poter dare il risultato affidabile e veritiero cui tutti mirano, che al momento ancora non è stato codificato. Si comincia da un elemento molto sentito, quello legato alla biodiversità, a sua volta legato al consumo di acqua e alla superficie di terra necessaria per la produzione, di conseguenza al cambio climatico. Ledgard ha mostrato un grafico di PELLETIER et al. (2010) in cui si confrontano i chili di CO2-equivalenti

prodotti per chilo di carne in base all’allevamento brado o intensivo del bestiame: in sostanza l’impronta carbonica del bestiame. Questo grafico gli è servito per mostrare quanto dati parziali possano alterare la visione della realtà e quanto un’attenta analisi di tutte le componenti del LCA possa ribaltare risultati calcolati grossolanamente. Infatti, se la fase di gestazione del vitello ha lo stesso peso nelle due modalità (circa 10 kg CO2-equivalenti), il finissaggio è molto diverso. In numeri assoluti il finissaggio compiuto con modalità intensive si aggira sui 2 kg CO2-equivalenti, mentre quello al pascolo sfiora i 9 kg CO2-equivalenti. Ma il finissaggio intensivo è caratterizzato da un alto consumo di cereali, la cui coltivazione costa a sua volta una produzione di gas serra. Di conseguenza, il peso dell’allevamento intensivo raggiunge in totale 15 kg CO2-equivalenti. L’allevamento brado, invece, consente il sequestro di carbonio nel terreno, che fa abbassare il bilancio di questo tipo di allevamento a circa 13 kg CO2-equivalenti totali. Inoltre, l’allevamento brado riduce meno la biodiversità perché non modifica drasticamente le essenze presenti nei terreni, cosa che invece accade nei campi seminati a cereali. L’altro grafico cui Ledgard ha fatto ricorso per mostrare la parzialità dei dati è uno di quelli più frequentemente utilizzati dai movimenti vegetariani e vegani e mostra i chili di CO2-equivalenti 109


Il neozelandese Stewart Ledgard. necessari a ottenere un chilo o un litro di prodotto. La Coca-Cola si attesta su valori inferiori allo 0,25, la mela attorno allo 0,3, il latte a 1 e la carne d’agnello a 9. Ma, se interpretiamo la tabella in base ai valori nutrizionali e la esprimiamo in chili di CO2-equivalenti per chilo di proteina prodotta, allora i risultati cambiano drasticamente: il valore della Coca-Cola diventa infinito, quello della mela sale a 90, il latte è a 30 e l’agnello a 40. Troppo spesso ci si dimentica che le proteine rivestono un ruolo nutrizionale importantissimo, mentre la Coca-Cola no. Così come ci si dimentica che per sfamarsi come ci si sfama con una certa quantità di carne servono quantità davvero superiori di mele. Un altro elemento molto criticato della zootecnia di oggi è il bisogno di grandi estensioni di terra avviate alla produzione di mangimi. Questo certo è vero, ma Ledgard sottolinea come non bisogna mai dimenticare che spesso lo stesso campo fornisce sia alimento destinato al consumo umano che foraggio animale. Non tutte le coltivazioni dunque hanno un unico scopo produttivo, quindi nel calcolo dell’impatto ambientale della zootecnia questo elemento deve essere messo in risalto. Inoltre, anche le specie zootecniche possono fornire più prodotti contemporaneamente e questo riduce il loro impatto (ad esempio carne e pelle per il bestiame o car-

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ne e lana per gli ovini). Tuttavia, va detto che spesso il mercato e la selezione genetica spingono verso la monoproduzione: non è un segreto che la lana degli ovini italiani oggi molto spesso venga trattata come rifiuto speciale. Eppure, in Nuova Zelanda — paese di Ledgard — la possibilità di trovare un mercato contemporaneamente per la carne e per la lana è una realtà. In sostanza, se è presente un mercato per tutte le produzioni zootecniche, queste riducono la loro impronta ambientale, ma serve anche un buon marketing (e questa non è una novità). Concluso questo discorso, il relatore ha affrontato quello dei costi: proprio grazie alla duplice o molteplice attitudine delle specie zootecniche, ogni taglio di carne di ciascuna specie ha un costo differente sotto il profilo economico — come siamo stati abituati a pensare fino ad ora — ma anche un costo ambientale distinto e proprio. Di conseguenza, dare a tutta la carne in generale il valore di 20 kg CO2equivalenti per chilo di prodotto è un procedimento errato. A questo punto Ledgard si è concentrato sulla filiera della carne di agnello, il caso che ha studiato in questi anni e che presenta particolari specificità che lo rendono unico (proprio come tutte le altre produzioni). Infatti — come abbiamo

spiegato fin qui — sulla base della tipologia di allevamento, della percentuale del mangime nella razione, dell’attitudine dell’animale e del mercato su cui si riescono a piazzare i suoi prodotti, si definisce il reale valore in chili di CO2-equivalenti che la popolazione di quella specie zootecnica di quel territorio produce. Sicuramente la carne di agnello neozelandese consumata in Francia ha un’elevata impronta di carbonio, pari a 19 kg CO2-equiv./kg di carne. Questo valore è il risultato della CO2 accumulata lungo tutto il processo produttivo: allevamento, trasformazione, trasporto e consumo. La fase legata all’allevamento è quella che accumula nettamente più CO2: l’80%. La fase di consumo è la seconda ed è responsabile del 12% della CO2 prodotta. Trasformazione e trasporto si attestano rispettivamente sul 3% e sul 5%, anche se ci troviamo di fronte a una traversata oceanica. L’allevamento ha un tale peso nella produzione di CO2-equivalenti (80% del totale) perché è in questa fase che si ha la produzione di metano. L’attività ruminale, infatti, comporta che questo gas ad elevato valore in termini di CO2-equivalenti si liberi in atmosfera. Il 75% del valore inquinante dell’allevamento è attribuito alla sola produzione di metano. Il rimanente 25% circa viene coperto quasi interamente

Ovini al pascolo a Whitecliffs, Canterbury, in Nuova Zelanda.

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dalla produzione di N2O e dall’uso dei fertilizzanti, mentre il peso dovuto ai consumi di benzina ed elettricità è bassissimo, secondo gli studi di Ledgard. La situazione è completamente diversa nella fase successiva del processo di produzione della carne (macellazione, sezionamento, ecc…): qui i consumi di benzina sono responsabili del 45% della produzione di CO2-equivalenti, i consumi di acqua si attestano sul 25% circa e quelli di elettricità sul 20%. Il resto sono voci minori. La fase di trasporto pesa all’80% per la parte via nave, ma un non trascurabile 20% è dovuto al trasporto domestico. Infine, la fase imputabile ai punti vendita e ai consumatori finali (un nient’affatto trascurabile 12% del totale) si divide in produzione di CO2-equivalenti dovuti alla cottura (attorno al 53%) e di CO2-equivalenti legati alla frigoconservazione (per il 35% circa). «Il rimanente 15-20% circa è causato dagli sprechi di cibo» (ben il 2% del totale imputabile all’intera filiera).

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Visti i risultati, Ledgard ha evidenziato come sia importante che la fase di allevamento venga modificata per poter ridurre l’impatto sulla produzione di gas serra della filiera. I punti critici su cui intervenire sono l’emissione di metano, i consumi di mangime e la produttività delle specie e delle razze. Si tratta di migliorare l’attività digestiva e la formulazione della razione da una parte e di selezionare le razze tenendo sempre come prioritaria la capacità di conversione degli alimenti. «Tutti questi punti critici sono altamente migliorabili» ha dichiarato Ledgard. «In 15 anni le emissioni di metano degli agnelli neozelandesi si sono ridotte sensibilmente». L’affermazione è avvalorata da un grafico in cui si prendono in considerazione i grammi di metano prodotti per peso della carcassa dell’agnello nell’intervallo di tempo 1990-2009: la riduzione, in certi casi, è stata addirittura pari al 43%. E questa non può che essere una buona notizia: per il pianeta, per i

produttori e anche per gli agnelli e i consumatori. Il lavoro presentato da Ledgard sull’agnello neozelandese è valido solo per questa realtà, ma presto verranno pubblicati i risultati della valutazione della LCA e della reale impronta carbonica della carne di ovino neozelandese adulto. Al momento di concludere il suo intervento, Ledgard ha ribadito quanto sia importante trovare un metodo condiviso ed equo per valutare la LCA di una produzione. Deve essere un sistema che prenda in esame tutte le fasi del ciclo produttivo e la loro specifica efficienza, valutando l’insieme delle emissioni nell’ambiente e l’uso delle risorse. Solo così si potrà lavorare per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni zootecniche, che è inutile ricordare quanto in realtà siano indispensabili alla sopravvivenza umana. Giulia Mauri Nota Si ringrazia il dottor Luca Valerani.

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Suini, cala la produzione europea ma aumenta la richiesta mondiale A Modena un incontro sulle prospettive del mercato suinicolo del Vecchio Continente con alcuni esponenti dei Paesi a più alta produzione di carne suina. In un quadro dove l’impennata dei prezzi delle materie prime genera forti preoccupazioni, l’export diventa la grande opportunità da cogliere al volo di Anna Mossini

Q

uali prospettive si delineano all’orizzonte per il settore suinicolo europeo? In tempi di crisi economica generalizzata e conseguenti, nonché inevitabili, cali di consumi alimentari, la domanda si impone d’obbligo. Se poi a queste prime considerazioni se ne aggiungono altre come

l’elevata volatilità dei prezzi delle materie prime, che proprio in questi ultimi mesi hanno registrato impennate da record, la riduzione del patrimonio delle scrofe, la forte richiesta di carne suina proveniente dai cosiddetti Paesi emergenti, che poi ormai tanto emergenti non sono più, si fa presto a capire che

il quadro è abbastanza complesso, stretto da una parte da una pesante congiuntura economica, proiettato dall’altra verso una potenziale, forte espansione. È evidente che davanti a uno scenario di questo tipo ricette facili non ne esistono. Al contrario, occorre elaborare strategie mirate

I partecipanti all’incontro. Da sinistra: Jean Pierre Joly, Miguel Ángel Berges Saura, Matthias Kohlmueller, Stefano Bellei, segretario generale della Camera di Commercio di Modena, e Roberto Antognarelli.

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Con meno scrofe l’offerta si riduce e i prezzi potrebbero beneficiarne

L’analista Roberto Antognarelli durante il suo intervento. e capaci di rimodularsi a seconda delle variazioni del mercato. Il ruolo della Germania In quest’ambito il confronto diventa una condizione imprescindibile. Ed è esattamente quello che è avvenuto di recente a Modena, presso la sede della Borsa Merci, dove si è svolto un incontro organizzato dalla stessa Borsa dal titolo “Il mercato suinicolo europeo. Situazione attuale e prospettive nel medio periodo”. Ospiti dell’evento ROBERTO ANTOGNARELLI, analista del comparto suinicolo e componente della Deputazione della Borsa Merci di Modena; MIGUEL ÁNGEL BERGES SAURA, dell’organizzazione spagnola Mercolleida; MATTHIAS KOHLMUELLER, della tedesca AMI (Agrarmarkt Informations GmbH); JEAN PIERRE JOLY, di Marché du Porc Breton (Francia). Con oltre 60 milioni di maiali macellati ogni anno la Germania si posiziona al terzo posto nel mondo, collocandosi subito dopo Cina e USA. Una leadership che negli ultimi undici anni ha segnato un aumento vicino al 6% e che, insieme ad azzeccate politiche di export, al raggiungimento dell’autosufficienza produttiva e ad una più recente riduzione del patrimonio delle scrofe, ha garantito agli allevatori tedeschi una buona redditività, che secondo l’analisi di Kohlmueller si consoliderà anche il prossimo anno nonostante il rincaro delle materie prime determinerà una situazione

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«In Italia la stragrande maggioranza dell’interscambio avviene con contratti annuali di fornitura, all’interno dei quali sono previsti anche dei premi che i macellatori riconoscono agli allevatori. Si tratta di un sistema che nel tempo ha prodotto una serie di inconvenienti, soprattutto perché ha ridotto la capacità contrattuale tra le parti». Così ROBERTO ANTOGNARELLI, analista del settore suinicolo e componente della Deputazione della Borsa Merci di Modena, durante il suo intervento all’incontro sulle prospettive del mercato suinicolo europeo. Secondo l’analisi dell’esperto, le previsioni 2012 sul costo di produzione che dovranno sostenere gli allevatori italiani che producono suini nella fase che va da 25 a 170 kg, escludendo quindi le scrofaie, oscillerà intorno a 1,53 €/kg, e si ritiene possa arrivare a 1,60 €/kg il prossimo anno. Parallelamente si ridurrà ulteriormente il patrimonio delle scrofe, con una tendenza per il 2013 di un’ulteriore diminuzione dell’1,50%, «una percentuale — ha concluso Antognarelli — che condizionerà inevitabilmente il volume dell’offerta. La domanda a questo punto è: riuscirà il prezzo riconosciuto agli allevatori a coprire il costo di produzione? E ancora: le produzioni del circuito tutelato, prosciutto di Parma e San Daniele in testa, riusciranno a mantenere l’attuale trend? Personalmente ritengo che a queste domande, in base alle ultime analisi effettuate, si possa rispondere affermativamente».

di maggiore sofferenza. Un dato, quello della buona redditività dei suinicoltori d’Oltralpe, evidenziato anche dalle quotazioni della carne «che dall’inizio di agosto — ha spiegato l’esperto di AMI — ha raggiunto 1,90 €/kg, un prezzo che non ci aspettavamo e che ha sancito un aumento impensabile sia per il periodo in cui si è verificato, l’estate, sia per la rapidità in cui la quotazione è stata raggiunta. Nell’ultima fase dell’anno ci aspettiamo come sempre una diminuzione, ma rispetto al 2011 incassiamo un aumento del 12% che va ben oltre le più rosee aspettative, visto che le proiezioni parlavano di un più modesto ma comunque soddisfacente +6%». Le difficoltà della Spagna «Nel solo mese di giugno — è stata l’analisi di Miguel Ángel Berges Saura di Mercolleida — il costo alimentare è cresciuto di 3 cent/t, portando il costo di produzione a carico dei suinicoltori spagnoli a oltre 1,30 €/kg, con una previsione per fine anno che arriverà a sfiorare 1,40 €/kg e addirittura di 1,45 €/kg è la stima per il primo trimestre del

2013. Tutti gli analisti sono concordi nell’affermare che la volatilità dei prezzi delle materie prime non si placherà a breve, molto dipenderà dal raccolto del mais in America, ma in ogni caso, fino a ottobre del prossimo anno, le quotazioni sono viste in costante rialzo. Questo sta provocando ai suinicoltori spagnoli non pochi problemi, dal momento che da marzo a settembre, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, hanno pagato la soia il 65% in più. Dal 2008 a oggi la riduzione del numero di scrofe e il miglioramento dello stato sanitario degli animali ha contribuito a mantenere i suini da macello a un buon livello remunerativo. A questo dobbiamo aggiungere la positiva quota di export che dal 2003, insieme alla produzione, è costantemente aumentata, tanto è vero che da importatori di carne suina siamo diventati esportatori. Adesso preoccupano le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime, anche se pensiamo che la riduzione produttiva del nostro Paese possa favorire il business puntando con sempre maggiore incisività sull’export. Attualmente i prezzi oscillano intorno a 1,50 €/kg — conclude Mi-

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guel Ángel Berges Saura — solo un anno fa non superavamo 1,15 €/kg. In Spagna è in atto un cambiamento strutturale del sistema suinicolo che ha visto la chiusura di molte aziende di piccole dimensioni e la cessazione di numerose scrofaie nel sud del Paese, mentre al nord si sta verificando il fenomeno contrario. Se riusciremo a controllare anche le emergenze sanitarie, credo che riusciremo a superare anche questi difficili momenti mantenendo per gli allevatori una buona redditività». Le prospettive della Francia «Gli investimenti richiesti per l’applicazione della normativa comu-

nitaria sul benessere animale — è stato il ragionamento di Jean Pierre Joly di Marché du Porc Breton — e soprattutto il rincaro dei prezzi delle materie prime inducono molti allevatori francesi a chiedersi se conviene ancora continuare ad allevare suini o orientarsi verso la coltivazione dei cereali. Eppure, nonostante queste legittime considerazioni, assistiamo a un fenomeno molto interessante per la redditività delle aziende suinicole: in molti Paesi la produzione è in calo, ma la richiesta di carne suina è in aumento. Il sistema francese sulle quotazioni della carne prevede che due volte l’anno produttori e distributori si siedano a un tavolo per contrattare i prezzi. Si

tratta di un sistema collaudato che prima delle grandi fluttuazioni del costo delle materie prime aveva un senso. Oggi invece richiede delle modifiche che dovremo individuare in tempi rapidi. La riduzione del numero delle scrofaie è un problema che anche in Francia ha determinato la chiusura delle piccole aziende suinicole, quindi anche nel nostro Paese stiamo assistendo a una sorta di mutazione strutturale che dovrà essere in grado di rispondere efficacemente alla richiesta di carne proveniente dall’estero, sollecitando i distributori a riequilibrare i margini di guadagno a favore degli allevatori». Anna Mossini

Rinnovamento e tradizione per l’avvenimento clou della suinicoltura nazionale Cominciano a definirsi le tessere che andranno a comporre il mosaico della prossima Rassegna Suinicola Internazionale di Reggio Emilia, in calendario dal 18 al 20 aprile 2013. L’evento clou della suinicoltura italiana vedrà in questa edizione una serie di novità che, senza andare ad intaccare lo spessore tecnico e specialistico della manifestazione (l’unica interamente dedicata all’allevamento suinicolo in Europa), ne arricchiranno la formula, rinnovando l’immagine di un appuntamento giunto all’edizione numero 52, ampliandone il target di riferimento a tutto il mondo che ruota attorno al suino. Ecco allora che, al collaudato core business dell’approfondimento tecnico e delle analisi economiche, nei giorni della Rassegna Suinicola Internazionale avranno luogo iniziative nuove e originali rivolte a medici e nutrizionisti per raggiungere, anche se indirettamente, il grosso pubblico dei consumatori. Lo scopo di tutto ciò? Semplice: fare capire anche a chi è al di fuori della sala macchine in cui si manovra la suinicoltura in maniera sempre più tecnologica e professionale che la carne di suino è qualche cosa di molto diverso da come certi stereotipi ancora la descrivono. Una serie di eventi mirati andrà a incidere proprio su questo punto ancora poco trattato dagli addetti della filiera suinicola: comunicare al consumatore, al nutrizionista, al medico che per caratteristiche dietetiche, digeribilità, gusto, versatilità, la carne di suino è in una posizione di eccellenza e può entrare da protagonista in ogni dieta. Del resto questo è uno snodo cruciale: in una fase di contrazione degli acquisti e di rimodulazione della spesa famigliare, la tenuta dei consumi di carni suine e di salumi è un aspetto chiave per guardare con ottimismo al futuro. Solo un consumatore consapevole della qualità e salubrità delle carni suine e dei loro derivati potrà fare davanti allo scaffale del supermercato scelte in grado di ripagare il lavoro di tutta la filiera. Filiera che, naturalmente, troverà a Reggio Emilia nei giorni della Rassegna la vetrina più aggiornata delle novità tecniche proposte dalle aziende espositrici, perché la Rassegna Suinicola Internazionale non dimentica certo di essere l’appuntamento irrinunciabile per chi a una manifestazione di questo genere chiede specializzazione estrema e capacità di dare una visione di prospettiva. Continua perciò con impegno, grazie anche al contributo regionale che sostiene i progetti rivolti all’internazionalizzazione, il lavoro teso a consolidare l’affermazione della manifestazione all’estero, presidiando le principali manifestazioni zootecniche europee lavorando per attrarre a Reggio Emilia in occasione della Rassegna Suinicola Internazionale operatori di aree del mondo a forte sviluppo suinicolo. Un fitto calendario di appuntamenti convegnistici, in fase di messa a punto conclusiva, offrirà infine ai visitatori la possibilità di venire in contatto con i più affermati e significativi tecnici e ricercatori del settore, approfondendo i temi di maggiore attualità, che sono molti, per un 2013 che si annuncia ricco di incognite, ma anche di potenzialità. >> Link: www.suinicola.it

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7a Belgian Meat Office’s Roundtable a Bruxelles

Ricostruire la percezione del costo e del valore della carne di Gaia Borghi

“A

l giorno d’oggi si conosce il prezzo di tutte le cose e il valore di nessuna” scriveva con la consueta lucida e, al contempo, spietata

percezione della realtà Oscar Wilde nel suo indiscusso capolavoro letterario “Il ritratto di Dorian Gray”. La settima tavola rotonda organizzata lo scorso 30 agosto a Bruxelles dal Belgian Meat Office (BMO), l’ente responsabile della promozione sui mercati esteri della carne suina, bovina e di vitello belga, ha dato il via alle discussioni proprio a partire da questa affermazione. Creato nel 2003 all’interno del Flanders Agricultural Marketing Board (VLAM), il Belgian Meat Office ha riunito

nell’incantevole cornice della sala Excelsior dell’hotel Metropole di Bruxelles numerosi giornalisti delle maggiori testate europee del settore, compresa naturalmente la nostra rivista EUROCARNI, e i rappresentanti di quattro aziende belghe esportatrici di carni per parlare della contraddizione insita nella relazione tra prezzo e valore della carne alla luce della crisi economica attuale. Moderatore del convegno, il direttore del BMO RENÉ MAILLARD,

Il gruppo dei partecipanti alla tavola rotonda organizzata lo scorso agosto dal Belgian Meat Office.

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I rappresentanti delle quattro aziende belghe presenti alla tavola rotonda. Da sinistra: Luc Verspreet, CEO Covalis e co-presidente Vivande, Gerard Van Landschoot, CEO Van Landschoot, Dirk Nelen, CEO Noordvlees Van Gool e BGMC, e Guy De Bruycker, CEO Q-Group. che ha introdotto i lavori dichiarando: «I consumatori vogliono ottenere dai produttori un prezzo equo, ma al momento degli acquisti scelgono comunque l’offerta più economica». Il numero via via crescente di offerte concernente la carne e i prodotti a base di carne, promossi con sconti considerevoli sui banchi delle principali catene di distribuzione europee, sta conducendo l’acquirente verso una percezione del valore della carne stessa che può essere definito “pericoloso”. E il pericolo sta proprio nella “non sostenibilità” di prezzi al dettaglio troppo bassi per produttori e trasformatori, unita alla mancata comprensione delle ragioni degli allevatori e dell’industria da parte del consumatore. Il mercato europeo della carne è caratterizzato da una debole crescita dei consumi, molto più segmentati e con una richiesta maggiore di prodotti convenience e di minor pregio. L’incertezza economica continua dunque a pesare fortemente sulla domanda; d’altro canto i prezzi alla produzione hanno continuato a salire; un trend che proseguirà almeno fino alla fine del 2012, anche se più lentamente dello scorso

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anno, restando ad un livello molto elevato. Mangimi, carburante e altre fonti energetiche, trasporti, il costo relativo al lavoro, alle innovazioni tecnologiche, l’impatto delle oscillazioni valutarie, così come le malattie, che rimangono una fonte di preoccupazione e implicano quindi grandi sforzi economici relativi alla sicurezza: tutto è andato nella direzione di un progressivo restringimento dei profitti della produzione primaria e dell’industria della lavorazione della carne europea e di una diminuzione della sua competitività sul mercato mondiale. Infine, rimangono ancora da valutare — ma quasi certamente presenteranno un conto molto salato — l’impatto della riforma del primo pilastro della PAC post 2013 sulla redditività degli allevamenti da ingrasso di bovini da carne e le nuove regolamentazioni riguardanti la tutela dell’ambiente e del benessere animale GUY DE BRUYCKER, CEO di QGroup, una delle principali aziende belghe del settore della carne, ha dichiarato che molti dei prezzi offerti dai retailers per alcuni prodotti a base di carne «sono semplicemente “impossibili” da eguagliare per i

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Tabella 1 – Belgio: export di carne suina (t pw, inclusi i sottoprodotti e il grasso) Paese

2007

2008

2009

2010

2011

% del totale

319.208

322.049

302.922

286.264

278.397

38%

Olanda

54.688

57.570

54.530

59.689

55.140

7%

Polonia

10.207

30.021

50.847

57.123

80.163

11%

Italia

52.416

42.108

47.484

49.279

47.106

6%

Regno Unito

48.987

35.579

45.439

54.476

39.720

5%

Russia

42.912

35.330

40.109

36.978

31.064

4%

Francia

37.746

30.963

27.748

27.584

28.159

4%

Hong Kong

15.840

20.366

24.908

15.786

20.416

3%

Sud Corea

14.509

10.399

13.683

12.897

14.064

2%

Danimarca

10.238

16.699

13.473

13.926

8.176

1%

Altri EU

64.169

82.107

94.872

102.765

102.165

14%

Altri paesi terzi

19.906

30.723

34.061

36.513

35.068

5%

597.659 93.168

617.095 96.818

637.316 112.761

651.107 102.175

639.024 100.611

86% 14%

Austria

14.398

19.565

17.957

6.713

2.615

0%

Grecia

15.297

13.672

10.481

10.162

8.983

1%

Repubblica ceca

3.122

4.351

11.249

15.353

16.287

2%

Romania

6.661

9.646

9.555

14.688

12.945

2%

Lituania

427

6.756

9.157

9.412

11.029

1%

Filippine

4.379

4.791

3.729

8.917

9.659

1%

Bulgaria

709

2.847

4.771

8.780

9.578

1%

Ucraina

0

8.777

10.559

4.216

3.840

1%

5.281

5.238

5.269

5.028

5.218

1%

837

2.098

3.370

4.580

8.431

1%

Spagna

4.443

3.758

3.941

4.528

3.196

0%

Slovenia

1.916

1.699

3.680

4.507

4.495

1%

630

3.369

4.802

3.874

3.003

0%

4.212

5.758

1.662

2.188

1.388

0%

111

1.522

2.936

2.303

3.353

0%

Irlanda

1.989

1.779

2.441

2.494

1.165

0%

Estonia

446

717

602

2.284

3.524

0%

Portogallo

1.051

779

2.076

3.365

524

0%

Finlandia

1.100

981

1.591

1.431

1.210

0%

Slovacchia

76

703

803

1.262

2.712

0%

Giappone

1.533

163

587

867

1.026

0%

128

258

298

1.067

996

0%

21

39

747

618

942

0%

0

182

375

771

812

0%

Svezia

1.446

634

103

25

0

0%

Malta

453

330

254

525

280

0%

Croazia

295

70

422

336

233

0%

Vietnam

259

185

475

344

24

0%

Germania

EU 27 Paesi Terzi

Lussemburgo Ungheria

Bielorussia Cina Lettonia

Malesia Montenegro Kazakistan

118

Eurocarni, 11/12


Serbia

105

64

104

106

20

0%

0

0

0

0

0

0%

Taiwan

23

0

27

25

0

0%

Bosnia Erzegovina

21

42

0

0

0

0%

0

0

0

0

0

0%

Norvegia

Australia Fonte: BMO su dati Eurostat.

Tabella 2 – Belgio: export di carne bovina e vitello (t pw, incluso il quinto quarto) Paese

2007

2008

2009

2010

2011

Olanda

40.566

39.923

30.793

38.865

42.364

29%

Francia

28.129

29.611

28.999

30.171

34.209

23%

Germania

20.114

21.367

21.968

24.488

29.797

20%

Italia

15.905

14.833

17.443

16.857

15.708

11%

Altri EU

17.411

18.378

17.793

19.998

18.203

12%

Russia

1.655

2.973

350

2.302

2.491

2%

2.821 122.124

5.140 124.112

2.291 116.997

6.252 130.378

7.484 140.281

5% 95%

0

0

0

156

0

0%

750

592

822

757

691

0%

Regno Unito

3.551

3.778

2.350

3.798

2.898

2%

Spagna

3.123

3.439

3.136

3.017

2.877

2%

Grecia

2.278

2.282

2.150

1.673

2.091

1%

Portogallo

1.269

1.117

1.743

1.768

665

0%

Svezia

733

1.344

1.081

1.500

1.495

1%

Danimarca

777

575

672

1.324

1.080

1%

Polonia

924

431

275

284

361

0%

Bulgaria

335

681

778

381

315

0%

0

0

0

1.069

1.104

1%

Romania

99

137

486

143

145

0%

Austria

50

150

117

112

188

0%

Lettonia

67

58

32

12

18

0%

Malta

52

10

0

30

65

0%

Libano

0

76

0

24

28

0%

Lituania

12

0

30

84

85

0%

Cipro

2

1

78

89

33

0%

Bosnia Erzegovina

0

22

26

0

85

0%

Svizzera

0

0

0

21

78

0%

Croazia

0

0

0

21

84

0%

Slovacchia

4

0

6

10

38

0%

Slovenia

0

1

7

9

0

0%

Emirati Arabi Uniti

0

0

0

0

0

0%

Marocco

0

0

0

0

0

0%

Kuwait

0

0

0

0

0

0%

Paesi Terzi EU Ucraina Hong Kong

Turchia

% del totale

Fonte: BMO su dati Eurostat.

Eurocarni, 11/12

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A sinistra: Jean--Luc Meriaux, segretario generale UECBV (Union Européenne du Commerce du Bétail et de la Viande). A destra: Philippe Borremans, CEO Viangro, co-presidente Vivande e neopresidente UECBV. Fondata nel 1952 con sede a Bruxelles, l’Unione Europea del Commercio di Bestiame e della Carne è la più importante e rappresentativa associazione europea del settore ed è l’emanazione delle federazioni nazionali che rappresentano i mercati di bestiame, i commercianti di animali vivi e di carni della specie bovina, equina, ovina, suina, i macelli e i laboratori di sezionamento e di preparazione di carni. produttori. Una situazione, quella dei prezzi al pubblico nella Grande Distribuzione e nei discount, non più sostenibile», con un consumatore convinto al contrario che produttori e trasformatori abbiano grandi margini di profitto. «Al giorno d’oggi — ha proseguito De Bruycker — costa di più un chilo di cibo per gatti che un pollo intero!». Nonostante ciò, molte ricerche hanno dimostrato che c’è una fetta importante di consumatori disposta a pagare di più per prodotti con determinate caratteristiche: esempi in questo senso sono una produzione locale, l’etichetta “nature friendly”, e quindi una dimostrazione dell’impegno aziendale nei confronti della difesa dell’ambiente, o l’indicazione dei possibili benefici sulla salute. In conclusione, l’intera sala si è detta concorde sulla necessità di dover ricostruire la percezione della filiera della carne agli occhi di chi la carne ogni giorno la compra: «i nostri clienti non hanno idea degli sforzi necessari e dei passaggi che sono indispensabili perché una braciola arrivi sul banco del proprio negoziante di fiducia o sugli scaffali di un grande ipermercato» ha detto sorridendo De Bruycker.

120

L’informazione, dunque, acquista un ruolo cruciale nel ridisegnare un futuro del settore. Anche LUC VERSPREET, CEO Covalis e copresidente della società Vivande, ha sottolineato l’importanza di un buon piano di marketing e di una corretta comunicazione da parte dell’industria, che deve approcciarsi al consumatore con maggior rispetto e comprensione. UECBV: la strategia dell’UE in materia di sicurezza alimentare sarà sempre più centrale Il giorno prima della tavola rotonda, parlando durante la visita organizzata per la stampa alla Viangro, il direttore generale dell’azienda leader in Europa nel settore della lavorazione carnea PHILIPPE BORREMANS si era particolarmente soffermato sull’importanza di rimettere al centro dei programmi politici dell’Unione Europea la strategia integrata in materia di sicurezza alimentare, la food strategy. «Nei prossimi venti o trent’anni il cibo rappresenterà un elemento cardine sul quale si costruiranno i nostri rapporti con il resto del mondo. Come già avviene negli Stati Uniti, o in altre nazioni estere, la sicurezza degli alimenti, la

loro qualità, la salute e il benessere degli animali, insomma il pianeta cibo a 360 gradi deve essere considerato una priorità della politica». Borremans, recentemente eletto alla presidenza dell’UECBV, l’Unione Europea del Commercio di Bestiame e della Carne, ha poi accennato alla necessità di mantenere in Europa un comparto produttivo forte: «Non c’è industria della carne se non c’è produzione». A questo riguardo, Jean-Luc Meriaux, segretario generale UECBV, ha ricordato che l’attesissimo riforma della politica agricola comune può svolgere un ruolo fondamentale nello stimolare la produzione e l’UECBV sta costruendo la propria strategia per affrontare al meglio i negoziati. «Vogliamo essere sicuri che gli allevatori e tutto il settore della produzione primaria sia tutelato» ha dichiarato Meriaux. «I membri di ogni singola federazione nazionale presente nell’UECBV dovrebbero cercare di formulare un unico messaggio per ridisegnare l’immagine della carne e della sua filiera, dall’allevamento alla trasformazione: solo se saremo uniti e coerenti le cose potranno cambiare». Gaia Borghi

Eurocarni, 11/12


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Protagonista nel mercato delle farine proteiche Farpromodena produce e commercializza, dal 1971 prodotti a base di sangue, proteine animali trasformate e grassi animali. Farpromodena, è in grado di offrire un servizio rapido ed efficiente, e grazie ai suoi metodi di lavorazione all’avanguardia, rispetta al massimo le norme igenico-sanitarie in vigore.

Eurocarni, 11/12

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PAVI M E NTI E R IVESTI M E NTI PE R L’I N DUSTR IA ALI M E NTAR E DAL 1962 122

Eurocarni, 11/12

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Tra caos e passione, il consumatore guarda anche fuori confine L’ente britannico Eblex ha organizzato a Milano un convegno con un parterre di relatori eccellenti per presentare un’indagine Doxa sul consumo delle carne bovina in Italia. Cosa cerca oggi il consumatore di carne? Qualità, tenerezza, tracciabilità e c’è più fiducia nelle carni estere, anche inglesi di Elena Benedetti

N

ella splendida cornice dello storico Palazzo Cusani, nel cuore di Milano, lo scorso fine settembre ha avuto luogo un convegno ricco di contenuti dal titolo “Carne bovina, concetti di qualità”, organizzato da EBLEX, l’ente inglese che promuove lo sviluppo delle carni rosse in Europa, dal CONSOLATO GENERALE BRITANNICO DI MILANO, da UK TRADE/INVESTMENT e con la nostra testata EUROCARNI come media partner. Filo conduttore dei vari interventi il concetto di qualità delle carni bovine, declinato nei vari aspetti di mercato, percezione del prodotto da parte del consumatore, valori nutrizionali e politiche di filiera delle carni inglesi. Con circa 400.000 tonnellate l’anno, l’Italia si conferma il principale importatore di carni bovine di qualità dell’Unione Europea. Dal 2006 — anno in cui l’Inghilterra ha potuto riammettere le sue carni sui mercati dopo la crisi della BSE — le esportazioni verso l’Italia sono cresciute in maniera sostanziale. «Nel 2011, circa 9.000 tonnellate di manzo sono entrate dall’Inghilterra nel mercato italiano, principalmente attraverso il canale dei ristoranti di qualità, presso i quali queste carni

Eurocarni, 11/12

sono considerate tra le migliori» ha ricordato JEFF MARTIN, responsabile Eblex per l’Italia, padrone di casa dell’evento. L’incontro ha riunito un centinaio di operatori del settore tra commerciali, stampa specializzata e non, buyer, mondo accademico e rappresentanti del normal trade. Dopo il benvenuto da parte del console generale britannico, VIC ANNELLS, e la presentazione del convegno da parte del moderatore, il giornalista ALBERTO SCHIEPPATI, la parola è passata ai relatori. Consumo di carni bovine in Italia La prima relazione ha riguardato un progetto di ricerca quali-quantitativa sviluppato da Doxa. Si è in realtà trattato di un aggiornamento, dato che la società leader nelle ricerche di mercato e sondaggi di opinione già nel 2005 aveva condotto un’analisi sulle carni rosse. Tra gli obiettivi dell’indagine Doxa c’è stata l’analisi delle caratteristiche generali del consumo di carni bovine in Italia, oltre allo studio del vissuto associato al consumo di esse, dell’immagine di prodotto e la valutazione delle percezioni di rischio legate al consumo di carni bovine provenienti dall’Inghilterra. Sulla base delle rilevazioni, condot-

te attraverso interviste sia faccia a faccia che telefoniche, si è lavorato per individuare le potenzialità e le modalità d’uso in chiave comunicazionale dell’etichetta “Matured Beef” (carne maturata) promossa da Eblex e, per ultimo, ma solo in

Sul fronte dell’alimentazione e nutrizione oggi il consumatore è bombardato da stimoli continui attraverso giornali, libri, TV, internet. Ne consegue una grande confusione!

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François Tomei, direttore di Assocarni, lo chef Andrea Berton, il prof. Robert Pickard, professore emerito in Neurobiologia presso la Cardiff University e presidente del BNF, Jeff Martin, responsabile Eblex Italia, con Franca Ferrari e Paolo Colombo di Doxa. sede di presentazione, si è valutato il gradimento e il contributo alle vendite della stessa. A presentare il lavoro svolto sono stati FRANCA FERRARI e PAOLO COLOMBO. Il consumatore nel caos «Sul fronte dell’alimentazione e nutrizione — ha esordito Franca Ferrari — oggi il consumatore è bombardato da stimoli continui attraverso una moltitudine di canali informativi (giornali, libri, programmi televisivi, internet). Ne consegue un’ovvia grande, grandissima confusione! Non c’è mai stato tanto caos sul cibo come oggi. Il consumatore è assillato da informazioni sulle caratteristiche, sui valori nutrizionali e dietetici, sui modi di cucinare questo o quello». Il risultato è ovvio: non c’è mai stata così tanta conflittualità e scarsa conoscenza intorno agli alimenti come in questo momento. I meccanismi identificati dall’indagine Doxa come reazione al grande caos sono la formazione

124

di convinzioni consolidate, spesso frutto della mediazione tra tanti punti di vista diversi, spesso contraddittori e carichi di luoghi comuni. Insomma, un bel contesto complicato all’interno del quale qualsiasi comunicazione fa fatica ad essere veramente efficace. La carne continua a emozionarci La buona notizia però c’è: la carne oggi gode ancora di un’elevata considerazione. «È un alimento gustoso e versatile con un elevato valore nutrizionale», ha aggiunto ancora Franca Ferrari. Non sottovalutiamo poi che la carne è un elemento permeante della cultura gastronomica italiana e un forte attivatore simbolico ed emozionale. Qualche criticità, comunque, continua ad esserci, soprattutto nella scarsa appetibilità del prodotto nelle fasce di consumatori più giovani e anziani. Anche il prezzo più alto dei tagli moderni può giocare contro, oltre alla diffusa informazione nutrizionale che invita ad una riduzione dei

consumi. Dati alla mano, in Italia il consumo di carne risulta essere ancora molto forte (l’88% della popolazione italiana ha dichiarato di consumare carne bovina), anche se si colgono i segnali di una lieve flessione (nel 2005 lo stesso dato si attestava sul 93%). «La carne suscita grandi emozioni ma attiva ancora qualche ansia» ha affermato Paolo Colombo: di qui la necessità di rassicurazioni attraverso i controlli e le certificazioni a garanzia della filiera, della tracciabilità, dell’origine, del rispetto dell’animale e della sostenibilità. Insomma, vogliamo tutto: mangiare carne buona e gustosa, consapevoli dell’origine e del buon vissuto dell’animale, in equilibrio con l’ambiente. Cosa vogliono i consumatori? Negli acquisti di carne bovina, fra i fattori proposti, 4 consumatori su 10 dicono di considerare innanzitutto il fatto che siano stati effettuati dei controlli di qualità. Gli altri due fattori più considerati al momento

Eurocarni, 11/12


Organizzato da Eblex, dal Consolato Generale Britannico di Milano, da UK Trade/Investment e con la nostra testata Eurocarni come media partner, il convegno “Carne bovina, concetti di qualità” si è tenuto nella splendida cornice di Palazzo Turati. dell’acquisto, in ordine d’importanza, sono il Paese di provenienza (26%) e la fiducia nel luogo di acquisto (19%). Naturalmente, questi tre aspetti sono fra loro collegati: • chi ha fiducia nel punto di vendita, pensa anche che il rivenditore sappia selezionare le carni migliori e più sicure; • chi presta attenzione al Paese d’origine, pensa anche che sia quest’ultimo a garantire la qualità e la sicurezza delle carni (tipo di pascoli, legislazioni, controlli sanitari, ecc.). Questi tre fattori erano risultati essere i più influenti sul processo d’acquisto delle carni bovine anche in passato (1999 e 2005). Tuttavia, il fattore “Paese d’origine” è oggi molto più considerato (le citazioni sono raddoppiate, avendo raggiunto il 26% contro il 13% del passato), mentre l’importanza del fattore “fiducia nel luogo d’acquisto” è scesa (al 19% rispetto al 29%). Se si analizzano le risposte nei vari sottogruppi di rispondenti, si notano

Eurocarni, 11/12

graduatorie molto simili. Come si inserisce in questa classifica il fattore “tenerezza”? In assoluto, la tenerezza risulta essere un fattore estremamente importante (93%). Ciò è particolarmente affermato da parte delle donne (62%) e degli adulti over 35 anni (58-59%). Le carni inglesi Sul fronte della percezione della qualità delle carni inglesi il consumatore è curioso e cautamente positivo verso il prodotto. Una leva importante, in questo senso, è data dalla tenerezza — una delle caratteristiche organolettiche più apprezzate dagli italiani, come possiamo dedurre dalle percentuali appena viste — che le carni inglesi possono vantare e certificare grazie alla recente acquisizione dell’etichetta “Matured Beef”. A fronte di una mancanza di background conoscitivo approfondito della carne inglese c’è un’evidente curiosità da parte del consumatore nei confronti di questo prodotto, oltre ad un cauto

ottimismo che lascia sperare in ampi margini di crescita per l’immediato futuro. Infatti, le carni rosse inglesi non sono tuttora ben sedimentate nelle menti dei consumatori italiani. Sicuramente c’è molto lavoro da fare in termini di comunicazione. Tanto è stato fatto, con campagne in store, web e promozione. Il prodotto è ben percepito dal consumatore che ne associa la qualità nel gusto e nella tenerezza delle carni maturate. Per quanto riguarda il gradimento della nuova etichetta “Matured Beef” si registra un discreto successo: un quinto dei consumatori l’apprezza davvero molto (20%), oltre metà di essi la trova interessante (54%). Il nuovo concetto risulta particolarmente gradito presso i giovani under 34 anni (65%) ed i residenti nel nord Italia (57-58%). La carne nell’alimentazione È stato poi il momento di ROBERT P ICKARD , professore emerito in Neurobiologia presso la Cardiff University, presidente del British

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Nutrition Foundation e consulente scientifico presso varie istituzioni (FAO e Ministero dell’Energia britannico tra gli altri). «Gli esseri umani sono indiscutibilmente onnivori e la carne bovina costituisce una delle migliori fonti di ferro che si possano trovare negli alimenti», ha dichiarato Pickard, ponendo l’accento sull’elevato valore biologico della carne (amminoacidi essenziali, vitamine, sali minerali, ecc…), cosa che la rende praticamente insostituibile nella dieta quotidiana in tutte le fasce di età. «Insieme alla vitamina A e allo iodio, il ferro — ha precisato Pickard — è uno dei tre più importanti fortificanti alimentari; e va ricordato che tutti e tre sono forniti dalla carne rossa». Pickard ha più volte sottolineato l’importanza di un concetto tanto semplice quanto fondamentale, l’equilibrio. Equilibrio tra cibo ed energia prodotta nella digestione, equilibrio nella dieta bilanciata correttamente tra proteine animali e vegetali, equilibrio tra vita sedentaria e attività sportiva, anche moderata. «Oggi il consumatore manifesta aspettative molto elevate quando si parla di cibo: è alla continua ricerca di una salute ottimale, insegue canoni di bellezza che lo rendano più sicuro di sé, soprattutto nel relazionarsi con gli altri, e ogni giorno mette alla prova la propria salute decidendo cosa e quanto mangia-

Robert Pickard ha evidenziato l’importanza della carne nella nostra alimentazione. I prodotti a base di carne rossa, assieme al latte, fanno parte del gruppo dei cibi più ricchi per gli esseri umani, storicamente onnivori. Le persone anziane, in particolare, traggono beneficio da prodotti a base di carne rossa grazie all’elevata densità di micronutrienti che ne facilita l’assorbimento e i cibi da mammiferi sono in grado di compensare carenze sintetiche nel sistema metabolico soggetto a invecchiamento. re. È proprio vero il detto secondo cui noi siamo ciò che mangiamo. Questa scelta di alimentarci in modo corretto e consapevole è distratta da tante informazioni, o disinformazioni. Pertanto cer chiamo di ricordare che la soluzione sta in questo semplice vocabolo, l’equilibrio, cioè il bilanciamento tra proteine animali e vegetali».

Il prof. Pickard ha poi ricordato che i bovini condividono l’80% dei loro geni con gli umani ed i prodotti alimentari derivati dai bovini contengono tutti i micronutrienti necessari all’uomo. Inoltre, tali prodotti assicurano le migliori proteine e una gamma completa di grassi a sostegno della crescita. Al contempo, in un’alimentazione equilibrata i vegetali forniscono

Il convegno in pillole •

• •

• • •

126

Il consumo di carne bovina in Italia è molto forte: l’88% degli Italiani consuma carne bovina, anche se si colgono i segnali di una lieve flessione dovuta sicuramente anche alla crisi economica. In materia di qualità, la tenerezza è un tema di fondamentale importanza. In generale, c’è più fiducia che sfiducia sulle carni estere, un’elevata e crescente fiducia dei consumatori nei controlli (UE/Italia), un’attenzione crescente (a livello sollecitato) al “Paese d’origine”, inteso come garante dei controlli sanitari per la sicurezza delle carni, la percezione via via minore del “pericolo mucca pazza” e una fiducia crescente nelle carni inglesi (i timori si spostano sulle carni provenienti da Paesi dell’Est e Cina). Il mercato internazionale delle carni è in continua evoluzione. La frollatura in Italia è un “processo” sempre più dimenticato, causa i costi elevati. “Matured Beef”, la nuova etichettatura delle carni inglesi, riscuote un discreto gradimento e secondo circa la metà dei consumatori potrebbe influire positivamente sugli acquisti delle carni bovine.

Eurocarni, 11/12


carboidrati (la fonte più pulita di energia), fibra non digeribile, fitonutrienti ed anche vitamina C, ma nessuna vitamina B12, fondamentale per la sintesi del DNA. Se assunta in moderate quantità e abbinata a vegetali, la carne rossa è l’alimento perfetto. Oltre a stimolare nello stomaco un potente segnale di sazietà trasmesso al cervello, la carne bovina è caratterizzata da un’elevata densità di micronutrienti che ne facilitano l’assorbimento, compensando quelle carenze sintetiche del sistema metabolico tipiche degli individui più soggetti ad invecchiamento. Il convegno è proseguito con gli interventi di ELISABETTA GENTA, responsabile settore consulenza di Marini Srl, che ha posto l’attenzione sulla frollatura della carne, un processo ormai sempre più «dimenticato», e di FRANÇOIS TOMEI, direttore di ASSOCARNI, che ha fatto il punto della situazione sul mercato delle carni in Italia, sul momento

EBLEX è una divisione di Agriculture and Horticulture Development Board (AHDB), ente inglese non governativo per il sostegno e lo sviluppo dell’industria agroalimentare. Il ruolo di EBLEX è di sostenere l’industria inglese delle carni bovine e ovine in tutta la filiera: dall’allevamento all’esportazione. I suoi obiettivi sono: promuovere l’industria delle carni; contribuire in modo diretto al miglioramento dell’efficienza nei settori bovino e ovino; stimolare la domanda in Inghilterra e all’estero attraverso attività di comunicazione e marketing. EBLEX si finanzia attraverso un prelievo parafiscale e il suo lavoro è molto importante poiché mette a disposizione risorse per investire nella ricerca, nel marketing e nella promozione con conseguenti miglioramenti di business. indiscusso di crisi economica e sulla sua ripercussione circa gli acquisti delle famiglie italiane. In chiusura, lo chef ANDREA BERTON, da tre anni testimonial Eblex, ha descritto il percorso che l’ha condotto alla conoscenza delle carni inglesi: dalla cultura della terra, alla conoscenza dei processi di allevamento e trasformazione, attraverso le testimonianze dirette degli allevatori e l’approfondimen-

to delle tradizioni che pervadono questo comparto. Lo chef si è inoltre soffermato sulla qualità indiscussa di queste carni, con un focus specifico sulla carne bovina, sottolineando il motivo per cui viene considerata un prodotto di alto livello, l’importanza della sua qualità costante, con un approfondimento infine sulle caratteristiche organolettiche e la sua leggendaria tenerezza. Elena Benedetti


Tecnologie

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L’

industria alimentare immette da sempre sul mercato prodotti con un elevato valore aggiunto sia in termini di qualità che di servizio al cliente. Se poi prendiamo in considerazione le ultime analisi del mercato, ci accorgiamo che quello delle private label è

un settore in continua crescita: un indicatore interessante questo, che mette in evidenza come il servizio al cliente e poi al consumatore finale siano sempre di più l’ago della bilancia nelle prospettive di posizionamento all’interno dei mercati di riferimento. Se a questo

Diverse soluzioni di pesoprezzatura integrata.

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si aggiunge che, a causa del contesto economico di crisi, il cliente spinge sempre più verso un maggior frazionamento e maggior frequenza negli ordini, si evince che mantenere un elevato livello di qualità e sicurezza dei prodotti offerti, con garanzia di consegna nei tempi stabiliti, diventa ancora più impegnativo. Preparazione degli ordini clienti nel CSB-System L’evasione ordini, pertanto, si inserisce nel processo logistico come fase ideale per migliorare la soddisfazione del cliente e quindi anche la competitività dell’azienda; in questa fase, inoltre, si accerta se l’azienda è stata in grado di gestire al meglio e dare una risposta positiva alle specifiche richieste di ogni singolo cliente. La CSB-System offre da oltre 35 anni soluzioni gestionali ormai consolidate nella pratica per la preparazione degli ordini e garantisce sempre ottimi livelli di efficienza sulle linee di pesoprezzatura, anche in aziende in cui il pacchetto clienti è largamente diversificato in termini di volumi, richieste specifiche ed assortimento. La continua spinta innovativa della CSB-System ha reso possibile collegare il gestionale ERP a tutte le linee di pesoprezzatura già presenti in azienda, dalle più semplici alle più complesse (multitesta, collegate a sorter, palettizzatori automatici o magazzini automatici) con notevole risparmio sui tempi e sui costi di implementazione. Pesoprezzatura su misura con il CSB-System Il vantaggio reale, però, risiede nella gestione ampliata di queste macchine a livello di modalità di funzionamento. È infatti il CSB-System che amministra sistematicamente e centralmente le anagrafiche a bordo macchina, i layout di stampa personalizzati per cliente, l’eventuale etichettatura promozionale o neutra, i diversi impegni nel caso di linee multiple, i prezzi di vendita al pubblico, le modalità di funzionamento al fine di massimizzare le performance minimizzando i cambi articoli o gli allestimenti macchina

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I consulenti della CSB-System affiancano i progettisti dell’impianto nelle delicate fasi di analisi, progettazione e messa in opera del sistema al fine di ottenere soluzioni volte all’ottimizzazione degli spazi e delle esigenze del cliente. (per esempio, evasione per articolo e giro o per cliente). Dunque un lavoro sartoriale di parametrizzazione, cucito a monte sull’azienda per poter disporre poi di automatismi funzionali. Un unico sistema che interpreta contemporaneamente e in modo ottimale l’esigenza di ogni azienda di dover servire clienti piccoli, medi e grandi, in modo diverso l’uno dall’altro ma pur sempre in maniera efficiente e puntuale. Va inoltre sottolineata l’elevata semplicità d’uso del sistema da parte dell’operatore, che bene si concilia anche con realtà aziendali di forte turnazione e ricambio degli addetti. In più, attraverso il controllo della produzione è possibile controllare i risultati sulle linee di pesoprezzatura con l’evidenziazione di eventuali fermi macchina, dello stato di avanzamento del confezionamento e dell’ora prevista di fine lavoro. Con il CSB-System, le varie tipologie di preparazione ordini, per cliente, per articolo, automatizzata, con Presa Mobile Dati ed altre varianti, vengono integrate agevolmente nel gestionale merci. Siamo quindi di fronte ad una nuova concezione di pesoprezzatura, che consente di ottimizzare sempre le linee, indipendentemente dal volume e dalla composizione dei singoli ordini da evadere.

Opzione 1: collegamento con linee di pesoprezzatura da fornitori terzi Nelle sue oltre 1600 installazioni, la CSB-System ha collaborato con diversi produttori di linee e macchine certificate per la pesoprezzatura ed è pertanto in grado di fornire sin da subito al cliente interfacce funzionali che consentano un controllo totale della linea, sia in termini di movimentazione che di anagrafiche macchina ed etichette. Va evidenziato che il CSB-System supporta e gestisce non solo tutte le tipologie di linea (singola o multi-testa, con rullo o senza, con etichettatura standard, promozionale aggiuntiva e specifica per articolo-cliente) ma anche tutto quello che vi ruota intorno e che consente di raggiungere alti livelli di produttività sfruttando al massimo la capacità produttiva della macchina; intendiamo la gestione dei processi e dei flussi aziendali, il raggruppamento degli ordini attivi del cliente, l’iscrizione della linea di pesoprezzatura all’interno del piano di manutenzione per ridurre i fermi macchina ed i guasti, la gestione della pesoprezzatrice come cespite in contabilità e relativo ammortamento, integrazione del suo valore nella contabilità industriale e quindi calcolo dell’incidenza sul costo del prodotto e cosi via.

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personalizzare, su richiesta del cliente, i tasti per l’inserimento e/o visualizzazione dei dati. Tali tasti vengono azionati tramite un semplice tocco dello schermo evitando monotone ripetizioni di lunghe fasi di lavoro che portano via tempo e sono spesso fonte di errori a causa di doppi inserimenti.

Con il CSB-System, le varie tipologie di preparazione ordini, per cliente, per articolo, automatizzata, con Presa Mobile Dati ed altre varianti, vengono integrate agevolmente nel gestionale merci. In particolare i consulenti della CSB-System affiancano i progettisti dell’impianto nelle delicate fasi di analisi, progettazione e messa in opera del sistema al fine di ottenere soluzioni volte all’ottimizzazione degli spazi e delle esigenze del cliente. Pesoprezzatrice alimentata da magazzino automatico per casse monoprodotto L’integrazione della linea di pesoprezzatura con il magazzino automatico accresce ulteriormente la gestione efficiente dei tempi di evasione ordini e l’operatività massima della linea, con medie di etichette stampate al minuto molto alte e con riduzioni al minimo dei tempi di attesa di rifornimento della linea. Il CSB-System ottimizza quindi il processo di pesoprezzatura permettendo un’etichettatura per articolo, ordine o giro a seconda delle quantità ordinate dal singolo cliente o punto vendita e dall’orario di carico o spedizione della merce. Pesoprezzatrice alimentata da magazzino automatico con successivo sorter per casse multiprodotto Il cliente ordina sempre più tardi e con quantità sempre più piccole. Per ottemperare a questa crescente richiesta del mercato, la CSB-System integra, di seguito alla linea di pe-

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soprezzatura, dei sorter automatici che permettono alla linea stessa di mantenere alta la frequenza di etichette stampate al minuto e di suddividere successivamente ed automaticamente gli articoli pesoprezzati in casse diverse secondo l’ordine del singolo cliente o punto vendita. Opzione 2: utilizzo facile e sicuro del Rack Multifunzione Componente importante della pesoprezzatura del CSB-System è il Rack Multifunzione (MFR) grazie al quale la preparazione degli ordini diviene facile e razionale. Il Rack Multifunzione è stato appositamente sviluppato per svolgere su un’unica postazione di lavoro le molteplici funzioni che il processo di preparazione ordini richiede: la prezzatura (per cliente/articolo), l’etichettatura di magazzino, l’etichettatura delle confezioni, il rilevamento dell’uscita merci tramite pesatura o scanner. Vanno così a decadere i costi per doppi investimenti dovuti all’acquisto di macchine dedicate ad una singola funzionalità. Con l’utilizzo inoltre dell’interfaccia grafica (M-ERP) utilizzando anche monitor touch, i processi di lavoro nella pesoprezzatura e nella preparazione degli ordini si avvantaggiano di un’ulteriore ottimizzazione. È possibile infatti

Riepilogo dei vantaggi della pesoprezzatura integrata nel CSB-System Utilizzando componenti hardware standard, come bilance, scanner, etichettatrici, linee di pesoprezzatura ed il CSB-System come software flessibile ed integrato, si potranno svolgere molteplici funzioni dalla stessa postazione di lavoro: – pesoprezzatura; – rilevamento merci in entrata; – rilevamento merci in uscita; – etichettatura magazzino; – preparazione ordini; – produzione, ecc… Puntando ad una gestione integrata il servizio al cliente è garantito, in quanto è possibile gestire al meglio le richieste dai clienti indipendentemente dall’unita minima di vendita dell’articolo, dalla quantità ordinata, dal tempo di ricevimento dell’ordine e dall’orario di partenza del giro camion. La CSB-System offre una vasta gamma di soluzioni in grado di affrontare i cambiamenti e ottimizzare al meglio i flussi e i reparti funzionali, pur servendosi di infrastrutture, macchinari e tecnologia già esistenti in azienda e senza quindi stravolgerne l’infrastruttura. Se la gestione aziendale migliora, cambia in meglio anche il servizio fornito al cliente, la soddisfazione di quest’ultimo aumenta, i costi si razionalizzano, le preoccupazioni diminuiscono e la competitività aziendale si allarga. Referente: • A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Tel.: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: segreteria@csb-system.it Web: www.csb-system.it

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Vera innovazione con la “BS 28”

Nuove forme Lazzari Equipment è il distributore esclusivo per l’Italia di Holac, leader indiscussa nella cubettatura e specialista nel taglio di tutti gli alimentari

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e ultime statistiche ci dicono che i consumi in generale stanno diminuendo: fortunatamente nel settore dei salumi il calo è meno sensibile che in altri. Una possibilità di rallentare comunque la tendenza sta nell’immettere sul mercato alcuni prodotti tradizionali, presentati però in nuove, inedite forme, avvicinandosi così a quanto già si vede e si può acquistare nei supermercati di tutta Europa. Le nuove forme, alle quali vogliamo riferirci, sono un’interessante variante ai classici cubetti: stick o bastoncini e delicati “petali”, ottenibili da pancetta, prosciutto crudo e cotto, speck, fesa di tacchino, salame e, unica vera alternativa all’affettato, dalla bresaola. La nuova, versatile gamma si presta alle più svariate esigenze, sia di cucina nei condimenti e nelle insalate che come appetitoso snack per aperitivi e veloci spuntini: da notare che all’estero è oramai di uso comune e registra ottimi volumi di vendita. Perché, dunque, non arricchire il nostro assortimento con golose e innovative proposte? L’attrezzatura per questa novità è offerta da HOLAC, leader mondiale nella cubettatura e specialista nel taglio di tutti gli alimentari in genere, che interpretando tecnicamente la tendenza del mercato ha messo a punto “BS 28”. La macchina è mo132

torizzata ad “inverter”, di robusta, accurata costruzione, facile e sicura da usare, smontabile a mano per il lavaggio, con le uniche regolazioni, spessore e velocità di taglio, comandate da un pratico pannello a sfioramento, mentre il nastro principale è autoregolante: lavora con la massima precisione anche i prodotti più delicati sino ad uno spessore minimo di 1,5 mm. Il ciclo di lavorazione inizia posizionando il prodotto sullo speciale nastro dentato sino a fargli raggiungere il secondo nastro che da sopra lo tiene fermo e lo conduce al disco rotante di taglio, ordinabile nelle più varie combinazioni di sagoma, spessore e lunghezza. “BS 28” con la sua elevata produttività si presta all’inserimento in linee ad alto potenziale e nel caso di rallentamenti di linea o di piccoli lotti è sufficiente ridurre

la velocità di rotazione del disco. Alcune “BS 28” sono già presenti in Italia per la massima soddisfazione degli utilizzatori, i quali le impiegano con successo nella produzione sempre in aumento di queste nuove specialità. Lazzari Equipment, da trent’anni distributore esclusivo di HOLAC, con la sua esperienza, unita ad un impeccabile servizio di assistenza tecnica e consegna celere ricambi, è a disposizione per spiegare nel dettaglio tutti i vantaggi nell’uso della “BS 28”, stendere preventivi, layout di linee e concordare dimostrazioni. Lazzari Equipment & Packaging Via Volta, 12 C 37026 Settimo di Pescantina (VR) Tel.: +39 045 8350877 Fax: +39 045 8350872 E-mail: info@lazzariequipment.com Web: www.lazzariequipment.com

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Sicurezza alimentare Linee guida EFSA per la comunicazione del rischio

Alimenti: temporale in arrivo? Ricette collaudate per la comunicazione del rischio Parte II

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IV. Strumenti e canali li strumenti selezionati e i canali utilizzati devono essere quelli giusti per il compito da svolgere. Prima di tutto occorre che gli obiettivi della comunicazione siano chiari e che il pubblico destinatario sia noto. Disponendo di queste informazioni

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è possibile confezionare messaggi generali adeguati. Poi si possono individuare gli strumenti giusti e selezionare i canali tra una serie di opzioni alternative. Un comunicato stampa non funziona per qualsiasi questione o qualsiasi pubblico. La presente sezione è intesa a titolo illustrativo, piuttosto che prescritti-

vo, e fornisce una panoramica dei possibili usi dei diversi strumenti. Nel confezionare i messaggi e nel considerare gli strumenti e i canali più opportuni occorre sempre tener conto delle differenze tra un Paese e l’altro. Si veda il box nelle pagine seguenti “Panoramica degli usi degli strumenti possibili”.

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V. Imparare dall’esperienza In questo capitolo i comunicatori dell’EFSA e i rappresentanti degli Stati Membri in seno al gruppo di lavoro sulla comunicazione del foro consultivo condividono le rispettive esperienze e le lezioni apprese, fornendo esempi su come diversi strumenti e canali siano stati utilizzati con efficacia per scopi diversi. I casi presentati offrono preziose indicazioni su come importanti organizzazioni hanno gestito la co-

municazione in merito a questioni significative che hanno colpito l’approvvigionamento della catena alimentare europea negli ultimi anni (si vedano i box nelle pagine seguenti). Queste Linee guida sono un documento in continua evoluzione e i casi-studio saranno aggiornati regolarmente per mettere in evidenza gli sviluppi e acquisire le migliori prassi nel settore. In linea con lo spirito di collaborazione di

quest’iniziativa, i professionisti del settore possono inviare eventuali commenti o suggerimenti al seguente indirizzo: riskcommunications@ efsa.europa.eu Ulteriori letture • FIFE SCHAW C., ROWE G. (1996), Public perceptions of everyday food hazards: A psychometric study, Risk Analysis, 16(4): 487-500. • FLYNN J., SLOVIC P., KUNREUTHER H. (eds. 2001), Risk, media and

Panoramica degli usi degli strumenti possibili IV.1. Relazioni con i media Esistono molti tipi diversi di media e i comunicatori del rischio dovrebbero mirare a sondare l’interesse e inviare comunicati stampa solo a quelli particolarmente interessati a un determinato settore. In ogni caso, a prescindere dalla qualità del rapporto, le relazioni con i media non funzionano se sono isolate: devono essere accompagnate da un valido sito web che dia accesso a informazioni di base di buona qualità. a) UTILI PER: • annunci urgenti in materia di salute pubblica, soprattutto rischi sanitari acuti (comunicati stampa, incontri con la stampa, interventi in notiziari TV e radio, interviste, ecc…); • questioni di elevato interesse e profilo pubblico (comunicati stampa, interviste, partecipazioni, ecc… selezionando i media pertinenti per la questione); • attenzione! Occorre investire le risorse necessarie nelle relazioni con i media in “tempi di pace” al fine di garantire l’efficacia di un lavoro proattivo. b) TALVOLTA UTILI PER: • altri tipi e livelli di rischio, inclusi cambiamenti nel livello di rischio; occorre fare attenzione all’eventualità che i media si concentrino sul cancro e altri fattori che suscitano paura anche a fronte di un rischio minimo. Utilizzare i media in modo proattivo quando si dispone di vere notizie, in particolare in questi scenari. c) INADEGUATE PER: • rischio basso, nessuna necessità di interventi o consigli; scarso interesse, nessuna notizia; • resoconti istituzionali e procedurali, che sono utili ad altri portatori di interesse ma non ai media (salvo per i media specializzati, in determinati casi). IV.2. Siti web a) UTILI PER: • comunicazioni rivolte a un vasto pubblico dove il feedback non è una priorità o un elemento indispensabile delle varie attività di comunicazione; • comunicazioni adatte a tutti i livelli di rischio, garantendo a tutte le parti interessate il libero accesso a diversi tipi di informazioni (ad es. dalle domande frequenti (FAQ) ai pareri scientifici completi);

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particolarmente utili per la pubblicazione di contenuti sensibili al fattore tempo che devono essere rivisti/modificati periodicamente; • aggiungere facilmente informazioni supplementari; • consentire il collegamento con altri soggetti pertinenti; • collocare le informazioni nel giusto contesto; • ulteriore diffusione attraverso dispositivi digitali; • pubblicazione di documenti elettronici pdf, Word, ecc… (purché accompagnati da testi web esplicativi). b) INADEGUATI PER: • interagire con il pubblico e ricevere feedback, salvo con l’utilizzo di speciali applicazioni che consentono agli utenti di fornire un feedback specifico su questioni ben precise (ad es. consultazioni pubbliche on-line). IV.3. Pubblicazioni a stampa a) UTILI PER: • raggiungere destinatari specifici con messaggi personalizzati (newsletter, periodici, opuscoli), attraverso mailing list organizzate, distribuzione in occasione di conferenze, ecc…; • importanti documenti chiave, che rispecchiano le risorse finanziarie collegate con la stampa, produzione e distribuzione (strategie, relazioni annuali, compendi di dati scientifici); • contenuti non legati al tempo o non soggetti a cambiamenti significativi nel corso del tempo; • Paesi/portatori di interesse che possono avere un accesso limitato a Internet. b) TALVOLTA UTILI PER: • inserti speciali che allertano i lettori in merito a contenuti online, se del caso. c) INADEGUATE PER: • annunci urgenti di alto rischio per la salute pubblica, a causa del tempo richiesto dalla stampa e dalla produzione. IV.4. Pubblicazioni digitali a) UTILI PER: • raggiungere destinatari specifici con messaggi personalizzati (newsletter, periodici, opuscoli), attraverso

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mailing list organizzate, distribuzione in occasione di conferenze, ecc…; • contenuti legati al tempo: il costo degli aggiornamenti è inferiore rispetto alle pubblicazioni stampate. b) TALVOLTA UTILI PER: • attirare l’attenzione ricorrendo a un’impaginazione accattivante per aumentare il numero di lettori di messaggi importanti. c) INADEGUATE PER: • importanti documenti chiave, che riflettono le risorse finanziarie destinate a stampa, produzione e distribuzione (strategie, relazioni annuali, compendi di dati scientifici). IV.5. Riunioni e seminari a) UTILI PER: • interagire con i destinatari principali su questioni delicate che richiedono un dibattito e decisioni informate. b) TALVOLTA UTILI PER: • scambio di informazioni/spiegazioni sulle motivazioni di determinate decisioni. c) INADEGUATI PER: • raggiungere un gran numero di persone in un’ampia area geografica, benché il problema si possa superare con la trasmissione in diretta su Internet (webcasting), sostenendo un certo onere finanziario; • annunci a breve termine, a causa di vincoli logistici/ organizzativi. IV.6. Consultazioni pubbliche a) UTILI PER: • ricevere diversi punti di vista su questioni potenzialmente controverse o complesse, dove il feedback sarà considerato e utilizzato per modellare il risultato finale; • verificare i messaggi nei confronti di parti di pubblico differenti. b) TALVOLTA UTILI PER: • facilitare il dialogo tra diverse parti interessate. c) INADEGUATE PER: • richiedere un feedback quando non vi è nessuna intenzione di tenerne conto nel risultato finale. IV.7. Network di partner/portatori di interesse a) UTILI PER: • dare ascolto a diversi punti di vista; • comprendere meglio l’ambiente in cui opera l’organizzazione; • costruire una relazione e dare vita a un dialogo con importanti organizzazioni interessate alla sicurezza dell’approvvigionamento della catena alimentare in Europa; • ottenere informazioni per contribuire a definire direzione/ priorità/programma di lavoro di un’organizzazione. b) TALVOLTA UTILI PER: • informare le parti interessate in merito alle attività in corso; • diffondere in anticipo messaggi fondamentali attraverso gli strumenti e i canali di comunicazione dei portatori di interesse.

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c) INADEGUATI PER: • impegnarsi quando non si terrà conto di pareri/contributi in relazione a un risultato finale. IV.8. Social network (Facebook, MySpace, ecc…) a) UTILI PER: • informare rapidamente e impegnarsi con le parti interessate; • trasmettere messaggi semplici e precisi che devono raggiungere un’ampia varietà di consumatori; • la loro grande efficacia grazie a discussioni nelle comunità online, utilizzate come catalizzatori del mutamento di comportamento; • promuovere la diffusione verso nuovi destinatari. b) TALVOLTA UTILI PER: • impegnarsi in modo informale con i consumatori. c) INADEGUATI PER: • duplicare il contenuto del sito web dell’organizzazione; • argomenti delicati, se non si trovano risorse per gestire discussioni ed esigenze della comunità. IV.9. Blogging a) UTILE PER: • informare e interagire con le parti interessate in merito a tutti i tipi di rischi; • condividere riflessioni e opinioni che offrono una panoramica di varie situazioni; • inviare messaggi che restano pertinenti nel corso del tempo (diversamente dai siti di microblogging, gli archivi sono accessibili). b) TALVOLTA UTILE PER: • una diffusione rapida di notizie. c) INADEGUATO PER: • comunicazioni a senso unico: i comunicatori devono essere preparati e avere le risorse per interagire, fornire spiegazioni e rispondere a eventuali domande; • duplicare il contenuto del sito web dell’organizzazione. IV.10. Microblogging (Twitter) a) UTILE PER: • inviare allerte rapide e specifiche (fino a 140 caratteri) a utenti interessati; • indirizzare gli utenti a contenuti online più ricchi di informazioni e con un maggiore contesto; • consentire la diffusione del messaggio originale nel modo più accurato possibile, grazie alla facilità della funzione di inoltro. b) TALVOLTA UTILE PER: • informare gli utenti in merito alle ultime notizie, aggiornamenti, pubblicazioni, ecc…; • interagire con parti interessate in misura limitata; • verificare concetti con un pubblico di fedeli “seguaci”. c) INADEGUATO PER: • ottenere un feedback approfondito; i caratteri sono limitati e questi forum online non si concentrano sul dialogo; • duplicare il contenuto del sito web dell’organizzazione.

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You don’t need luck to communicate well! As part of a joint initiative with national food safety agencies, EFSA is publishing new risk communications guidelines: “When Food Is Cooking Up a Storm – Proven Recipes for Risk Communications”. A recognised need for practical guidance coupled with a desire from all participating countries to share learning and experience to strengthen risk communications within the European food safety system has resulted in these guidelines. EFSA’s Director of Communications, Anne-Laure Gassin explains: «Communicators in public health authorities across Europe often face the daunting task of assessing what to communicate, when and how best to do so. The aim of these guidelines is to provide a framework to assist communications practitioners with this type of decision-making, looking at the different communications approaches in a wide variety of situations that can occur when assessing and communicating on food-related risks and concerns in Europe». Communicators from EFSA, national food safety authorities across Europe (EU Member States, as well as representatives from national food safety authorities of Iceland and Norway can actively participate in the working group while Switzerland and the Candidate Countries participate as observers), as well as the European Commission work together in the Authority’s Advisory Forum Communications Working Group (AFCWG). The guidelines were initiated as part of an overall aim to share best practices in risk communications. A key aim of the AFCWG is to promote co-operation and coherence in risk communications — one of the key priorities laid down in EFSA’s Communications Strategy — particularly between risk assessors in Member States and EFSA. These guidelines will be periodically revisited and updated with best practice case studies. In keeping with the spirit of this collaborative initiative, all feedback from practitioners is welcomed at: riskcommunications@efsa.europa.eu

stigma: Understanding public challenges to modern science and technology, London: Earthscan. FREWER L.J., HOWARD C., HEDDERLEY D., SHEPHERD R. (1996), What determines trust in information about food related risks? Underlying psychological constructs, Risk Analysis, 16(4): 473-86. GREGORY J., MILLER S. (1998), Science in public: Communication, culture and credibility, Cambridge: Plenum Press. HANSEN J., HOLM L., FREWER L., ROBINSON P., SANDE P. (2003), Beyond the knowledge deficit: Recent research into lay and expert attitudes to food risks, Appetite, 41: 111-21, 18. HARRABIN R. (2004), Risky business, British Journalism Review, 15: 28-33. KASPERSON R.E., RENN O., SLOVIC P., BROWN H.S., EMEL J., GOBLE R., KASPERSON J.X., RATICK S. (1988),

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The social amplification of risk: A conceptual framework, Risk Analysis, 8(2): 178-87. KRYSTALLIS A., FREWER L.J., ROWE G., HOUGHTON J.R., KEHAGIA O., PERREA T. (2007), A perceptual divide? Consumer and expert attitudes to food risk management in Europe, Health, Risk & Society, 9(4): 407-24. LOFSTEDT R.E. (2006), How we can make food risk communication better: Where are we and where are we going?, Journal of Risk Research, 9: 869-90. RENN O. (1991), Risk communication and the social amplification of risk, in Communicating risks to the public: International perspectives, Edited by: Kasperson R.E. & Stallen, P.J.M., 457-81, Dordrecht: Kluwer Academic. ROSATI S., SABA A. (2004), The perception of risks associated with food-

• •

related hazards and the perceived reliability of sources of information, International Journal of Food Science and Technology, 39: 491-500. SLOVIC P. (1986), Informing and educating the public about risk, Risk Analysis, 6(4): 403-15. SLOVIC P. (1987), Perception of risk, Science, 236: 280-5. SLOVIC P. (1993), Perceived risk, trust, and democracy, Risk Analysis, 13(6): 675-82, 44. SLOVIC P. (2000), The perception of risk, London: Earthscan.

Esempi di altre Linee guida • CHRISTENSEN L.L. (2007), The hands on guide for science communicators, Dordrecht: Springer. • European Commission (2006), Communicating science: A scientist’s survival kit, Brussels: European Commission, http://ec.europa. eu/research/science-society/pdf/ communicating-science_en.pdf • Food and Agriculture Organisation of the United Nations, World Health Organisation (FAO/ WHO) (1998), The application of risk communication to food standards and safety matters, Rome: FAO/ WHO, http://www.fao.org/docrep/005/x1271e/X1271E00.htm • Science Media Centre (2002), Communicating risk in a soundbite: A guide for scientists, London: The Royal Institution of Great Britain, http://www.sciencemediacentre.org • Social Issues Research Centre (SIRC) (2001), Guidelines on science and health communication, Oxford: SIRC, http://www.sirc.org • Social Issues Research Centre (SIRC) (2006), Messenger: Media, science and society; engagement and governance in Europe, Oxford: SIRC, http://www.sirc.org • The Royal Society (2000), Scientists and the media: Guidelines for scientists working with the media and comments on a press code of practice, London: The Royal Society, http://www.royalsoc.ac.uk Link www.efsa.europa.eu www.efsa.europa.eu/riskcomm

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V.1. Valutazione dell’EFSA relativa al rischio della clonazione animale (luglio 2008) Informazioni di base La clonazione animale consiste nel realizzare la copia di un animale essenzialmente uguale all’originale. La tecnica più comunemente usata è il cosiddetto trasferimento del nucleo di cellule somatiche (SCNT), che consiste nel realizzare una copia genetica di un animale sostituendo il nucleo di un ovulo (cellula uovo) non fecondato con il nucleo di una cellula del corpo (cellula somatica) di un animale in modo da ottenere un embrione. L’embrione viene quindi impiantato in una madre surrogata, nel cui grembo si sviluppa fino alla nascita. Per molti anni le piante sono state prodotte con queste tecniche di clonazione, che per un certo periodo sono state praticate anche su una scala commerciale più ampia per alcuni tipi di frutta e verdura, ad esempio per le banane. Le tecniche di clonazione animale vengono impiegate anche in alcuni Paesi al di fuori dell’UE e varie autorità per la sicurezza alimentare hanno già emanato pareri scientifici sull’argomento. A seguito di una consultazione pubblica, nel luglio 2008 l’EFSA ha adottato un parere scientifico sulle implicazioni della clonazione animale per la sicurezza alimentare, la salute e il benessere animale e l’ambiente. Successivamente, nel 2009, 2010 e 2012, l’EFSA ha adottato dichiarazioni scritte in cui si confermavano le conclusioni e le raccomandazioni del parere del 2008. Il parere ed entrambe le dichiarazioni sono stati emanati a seguito di richieste di consulenza da parte della Commissione europea sull’argomento. Discussione È stato necessario un intenso impegno proattivo. La questione presenta un profilo elevato, forti prese di posizione dei portatori di interesse, aspetti emotivi, incertezze significative. Inoltre questioni non rientranti nel mandato dell’EFSA avrebbero potuto creare confusione in assenza di una comunicazione proattiva per spiegare ruoli e processi; non si è trattato solo di una questione di contenuti. Conclusioni sul livello di comunicazione Richiesta una comunicazione proattiva di livello elevato, rivolta a un ampio pubblico di specialisti e non addetti ai lavori. Conclusioni su comunicazioni, strumenti e canali adeguati Forte coinvolgimento dei media, ivi compresa una riunione informativa per i media sul parere dell’EFSA; ampio dialogo con i portatori di interesse nel quadro di una importante iniziativa di consultazione pubblica. Risultati e lezioni apprese L’approccio è stato percepito positivamente. Un risultato importante per l’EFSA è stato la comprensione generale del suo ruolo e del fatto che l’Autorità non fosse responsabile per questioni etiche o sociali, né per decisioni di gestione del rischio. A sostegno della comunicazione dei parametri del suo mandato, è stato particolarmente utile il fatto che, oltre a richiedere la consulenza scientifica dell’EFSA, la Commissione europea abbia richiesto contemporaneamente il parere del Gruppo europeo sull’etica. La consultazione ha effettivamente contribuito a plasmare la riflessione e le piccole ma importanti differenze tra la bozza e il parere finale sono state accolte molto positivamente. Il fatto di agire in prima linea e di rendersi visibili (definizione del ruolo dell’EFSA, consultazione, coinvolgimento dei portatori di interesse) su una questione così delicata e di alto profilo come questa ha dato i suoi frutti.

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V.2. Comunicazione tematica dell’EFSA sulle zoonosi di origine alimentare Informazioni di base Le zoonosi sono infezioni o malattie che possono essere trasmesse direttamente o indirettamente tra animali ed esseri umani. Le zoonosi di origine alimentare sono provocate dal consumo di alimenti o acqua contaminati da microrganismi patogeni, quali batteri, tossine batteriche e parassiti. Nell’uomo queste malattie possono avere gravità diversa, con quadri clinici caratterizzati da lieve sintomatologia fino a patologie potenzialmente letali. Il rischio di contaminazione è presente dall’azienda agricola alla tavola e rende pertanto necessari interventi di prevenzione e controllo lungo tutta la filiera alimentare. Le zoonosi di origine alimentare rappresentano una minaccia seria e diffusa per la salute pubblica. Nell’Unione Europea sono confermati ogni anno più di 320.000 casi nell’uomo, per quanto il numero effettivo sia probabilmente di gran lunga più elevato. L’approccio coordinato di tutti gli attori dell’UE contro le malattie zoonotiche ha contribuito a ridurre di quasi la metà i casi umani di salmonellosi nell’UE in cinque anni (2004-2009). L’EFSA contribuisce alla protezione dei consumatori da questa minaccia per la salute pubblica fornendo assistenza e consulenza scientifica indipendente in materia di salute umana e sugli aspetti di sicurezza alimentare correlati a queste malattie, nonché nel monitorare i progressi nell’UE. In linea con la strategia di comunicazione dell’EFSA, le malattie zoonotiche sono state selezionate tra le principali aree tematiche per la comunicazione. Per i prossimi anni è stato preparato un piano di comunicazione a lungo termine che individua aree di interesse prioritario a fini di sensibilizzazione (Salmonella e resistenza agli antimicrobici) e definisce le tappe principali, interne ed esterne, nonché i canali di comunicazione pertinenti per il pubblico destinatario. Sulla base del piano si sono intraprese numerose attività: è stato messo a punto un pacchetto informativo completo sulle zoonosi per il sito web dell’EFSA, che fornisce informazioni generali sulle malattie e riunisce tutti i principali risultati; sono state preparate schede informative su determinati settori, da utilizzare in occasione di eventi importanti e da distribuire alle parti interessate, mentre le attività mediatiche si sono incentrate sui principali risultati. Inoltre, in una fase successiva, si prevede di produrre brevi filmati online per fornire spiegazioni su queste malattie e si stanno valutando ulteriori iniziative di comunicazione. Discussione La formulazione di una strategia completa di comunicazione per le malattie zoonotiche ha richiesto una pianificazione approfondita a lungo termine, compresa l’individuazione di importanti questioni ed eventi esterni in materia. Si è reso necessario un intenso impegno proattivo per produrre informazioni generali intese a fornire un ulteriore contesto adatto a tutti i tipi di pubblico. Le attività mediatiche si sono incentrate sui principali esiti scientifici del 2011 sulla base delle principali tappe individuate nella fase di pianificazione. Conclusioni sul livello di comunicazione Benché il rischio di malattie zoonotiche di origine alimentare sia un’importante minaccia per la salute pubblica, l’interesse del pubblico è piuttosto basso rispetto ad altre questioni di più alto profilo. L’onere economico complessivo delle malattie zoonotiche nell’UE è significativo (ad esempio, ben 3 miliardi di euro ogni anno per la salmonellosi umana). Per questi motivi si è ritenuta opportuna la produzione proattiva di materiale informativo destinato ai non addetti ai lavori, in aggiunta ad attività mediatiche costanti su atti scientifici selezionati, rivolte principalmente a giornalisti specializzati. Conclusioni su comunicazioni, strumenti e canali adeguati L’approccio tematico completo ha richiesto un’ampia gamma di strumenti e canali di comunicazione. Le attività di comunicazione online e le schede informative sono state selezionate come strumenti adatti a fornire informazioni generali a tutti i tipi di pubblico. Le attività mediatiche sono state considerate per questioni specifiche, in particolare per rivolgersi a un pubblico di esperti. A sostegno dell’approccio sono previsti anche nuovi strumenti di comunicazione, come brevi filmati on-line. Risultati e lezioni apprese La comunicazione tematica dell’EFSA sulle zoonosi di origine alimentare è ancora in fase di sviluppo e una valutazione approfondita dei risultati si potrà effettuare solo nei prossimi anni. In quanto protagonista della lotta alle malattie zoonotiche di origine alimentare in Europa, l’Autorità è in una posizione ideale per fornire agli Stati Membri nonché ad altri portatori di interesse e altre parti interessate preziose informazioni di salute pubblica in merito al rischio rappresentato dalle zoonosi. In particolare, il pacchetto completo di informazioni generali, pubblicato sul sito web dell’EFSA, le schede informative e i filmati sono stati accolti positivamente. Inoltre, in seno all’organizzazione, le informazioni fornite comprendono materiali di riferimento generali utilizzabili da unità diverse per scopi diversi (ad es. per rispondere a domande di esterni, in occasione di eventi). Nel prossimo futuro, l’obiettivo di questo approccio integrato è quello di sensibilizzare tutti i tipi di pubblico a cui si rivolge l’EFSA a questa minaccia per la salute pubblica, al ruolo dell’EFSA nel combatterla insieme ad altri soggetti dell’UE, nonché ai progressi realizzati finora.

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V.3. Campagna sul sale (Agenzia per la sicurezza alimentare, Food Standards Agency – FSA, Regno Unito, 2004-2009) Informazioni di base L’intera popolazione del Regno Unito è potenzialmente a rischio a causa dell’elevata assunzione di sale. Per esercitare un reale impatto sulle quantità di sale assunte dai consumatori, la FSA ha lavorato in collaborazione con l’industria alimentare e le organizzazioni sanitarie del Regno Unito per incoraggiare la riformulazione dei prodotti e sensibilizzare i consumatori in merito ai rischi per la salute associati all’assunzione di quantità eccessive di sale. Una campagna di sensibilizzazione verso i consumatori è stata promossa in concomitanza con un’iniziativa mirata a ridurre il contenuto di sale negli alimenti acquistati. Nel 2006 sono stati pubblicati i primi obiettivi per la riduzione volontaria del sale a titolo di orientamento per l’industria alimentare. Questi obiettivi sono soggetti a verifiche e revisioni periodiche ai fini di un costante progresso nella riduzione dell’assunzione quotidiana di sale. Discussione È stato necessario un intenso lavoro proattivo. Promuovere il sostegno a questa campagna ha richiesto il coinvolgimento di un’ampia gamma di portatori di interesse, tra cui le principali organizzazioni industriali, enti di beneficenza e altre organizzazioni non governative. Tutti i settori dell’industria alimentare — rivenditori, produttori, associazioni di categoria, ristoratori e fornitori del settore della ristorazione — hanno sostenuto il messaggio di sensibilizzazione sul sale rispondendo positivamente agli inviti a ridurre il sale negli alimenti e continuano a impegnarsi nel programma. Conclusioni sul livello di comunicazione Il rischio posto dal sale potrebbe esercitare un forte impatto sulla vita delle persone, ma l’interesse è piuttosto basso. Pur rappresentando un rischio significativo per l’intera popolazione, i suoi effetti sono comunque a lungo termine. Per questi motivi è sembrata opportuna un’iniziativa di comunicazione proattiva e di ampia portata, attuata in varie fasi e coinvolgendo un’ampia gamma di portatori di interesse. Conclusioni su comunicazioni, strumenti e canali adeguati L’iniziativa di comunicazione si è incentrata sulle donne tra i 35 e i 65 anni. Benché gli uomini siano più soggetti a malattie cardiache e ictus, le donne continuano a essere le principali responsabili dell’acquisto e della preparazione degli alimenti nei nuclei familiari del Regno Unito. Si è fatto ricorso a una serie di strumenti mediatici per trasmettere i messaggi, compresi annunci pubblicitari televisivi, manifesti, articoli sulla stampa femminile e su quotidiani nazionali, nonché notiziari. Oltre alle informazioni online incentrate sui consumatori, in tutte le fasi della campagna si sono prodotti materiali per i consumatori, quali volantini e tesserine del tipo carta di credito con suggerimenti, per promuovere la consapevolezza del problema e delle azioni che si possono intraprendere per ridurre il consumo di sale. Inoltre, numerosi portatori di interesse (nell’industria alimentare e tra le organizzazioni non governative) si sono impegnate a far arrivare i messaggi della campagna anche a gruppi difficilmente raggiungibili. Ad esempio, oltre a comunicare periodicamente i messaggi della FSA sulla riduzione del consumo di sale ad autorità locali, operatori sanitari e partner nel settore alimentare attraverso notiziari on-line e pubblicazioni mirate, le squadre hanno lavorato con una serie di partner regionali su specifici progetti locali intesi a sensibilizzare sugli effetti del sale sulla salute e a ridurre il consumo di sale. Risultati e lezioni apprese Da alcune analisi specifiche delle urine condotte dopo la terza fase della campagna è emerso che gli adulti consumavano in media 8,6 g di sale, contro 9,5 g prima dell’inizio della campagna. Inoltre, da una valutazione della campagna con il monitoraggio dei cambiamenti nel comportamento dichiarato dai consumatori, è emerso che prima dell’avvio della fase 4: • il numero di consumatori che avevano ridotto il consumo di sale era aumentato di circa un terzo; • la consapevolezza del messaggio sul consumo quotidiano dei 6 g si era decuplicata; • il numero di consumatori che cercavano di ridurre l’assunzione di sale controllando le etichette era raddoppiato.

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V.5. Febbre Q nei Paesi Bassi: apertura e trasparenza (2009) Informazioni di base Alla fine del 2009 la febbre Q era uno dei principali argomenti trattati dai media nei Paesi Bassi, a causa della preoccupazione per il numero crescente di persone infette. La responsabilità della politica per combattere la febbre Q spettava al ministero dell’Agricoltura, della natura e della qualità alimentare (LNV) (in collaborazione con il ministero della Salute, del benessere e dello sport). L’argomento era molto sensibile dal punto di vista del benessere animale, poiché l’Autorità olandese per la sicurezza degli alimenti e dei prodotti di consumo (VWA) aveva dovuto procedere all’abbattimento di migliaia di capre gravide. La febbre Q è una malattia infettiva che può essere trasmessa dagli animali agli esseri umani. Nei Paesi Bassi, capre e pecore da latte infette sono la causa principale della diffusione della malattia tra gli esseri umani. La maggior parte delle persone ha contratto la malattia inalando aria contaminata dal batterio che provoca la febbre Q, presente nell’aria soprattutto durante la stagione dei parti di pecore e capre. Inoltre il batterio può essere presente nel latte crudo, nel concime e nell’urina, mentre non si trova nella carne ovina o caprina. Anche altri animali (ad es. bovini e animali domestici) possono essere infettati e possono trasmettere l’infezione all’uomo, ma questa eventualità si è presentata raramente nei Paesi Bassi. In un ambiente aperto, il batterio può rappresentare ancora una minaccia di contaminazione per mesi o anche anni. La malattia si trasmette molto raramente tra esseri umani. Oltre la metà delle persone affette da febbre Q praticamente non presentano sintomi. Gli eventuali sintomi in genere sono febbre e forte cefalea. Altri sintomi comprendono tosse, dolori muscolari e alle articolazioni, brividi, sudorazione notturna, apatia e affaticamento. Nei casi gravi può manifestarsi una polmonite accompagnata da tosse secca e dolore al petto. Alcune persone affette da febbre Q si ammalano di epatite. La febbre Q colpisce più frequentemente gli uomini delle donne e i fumatori rispetto ai non fumatori. In molti casi, chi ha avuto la febbre Q prova affaticamento per un lungo periodo dopo la guarigione. Discussione Nei Paesi Bassi il governo era consapevole della crescente preoccupazione per il benessere animale. Poiché in particolare il liquido amniotico e la placenta di animali gravidi infetti possono contenere grandi quantità del batterio, si è presa la decisione di abbattere le capre gravide negli allevamenti infetti. Tuttavia occorreva procedere in modo etico e rispettoso, per tenere conto delle preoccupazioni relative al benessere animale. Quindi gli animali sono stati prima sedati e in seguito sottoposti a iniezione letale, una volta addormentati. I veterinari sono stati debitamente istruiti e si è avuta cura di prestare attenzione ai sentimenti degli allevatori colpiti. In un caso l’evento è stato filmato da una troupe televisiva e la sequenza filmata è stata condivisa con tutte le stazioni televisive e i principali media. L’intento era quello di mostrare la preoccupazione del governo per il benessere animale e la sofferenza degli allevatori. Il messaggio chiave era il seguente: “È molto triste, ma è necessario per proteggere la salute umana”. Conclusioni sul livello di comunicazione Considerando l’enorme attenzione dei media per la febbre Q e le preoccupazioni relative al benessere animale, si è optato per l’apertura e la trasparenza, decidendo di mostrare il primo abbattimento il 21 dicembre 2009. Prima di quella data sono stati pubblicati gli indirizzi degli allevamenti infetti e sono stati informati i residenti nelle vicinanze. Conclusioni su comunicazioni, strumenti e canali adeguati La copertura mediatica è stata enorme: tutti i principali canali radiofonici e televisivi hanno riferito la notizia nella stessa giornata. Il giorno successivo, tutti i quotidiani nazionali e locali hanno fatto lo stesso. L’Autorità olandese ha apprezzato il tono, le immagini, le fotografie e il contenuto delle notizie. La comunicazione ha avuto un forte impatto ed è stata molto emotiva, ma anche rispettosa e onesta, secondo l’intenzione originale di apertura e trasparenza. La strategia di comunicazione e la sua attuazione hanno prodotto un risultato positivo, internamente ed esternamente. L’approccio più aperto è stato stimolante per i veterinari e tutti i soggetti coinvolti in questa operazione così emotiva, e si è mostrata anche comprensione nei confronti degli allevatori proprietari di animali infetti. In un articolo di giornale (Dagblad Pers) si affermava che il ministero dell’Agricoltura, della natura e della qualità alimentare aveva imparato dall’esperienza negativa delle precedenti crisi dell’influenza suina e dell’afta epizootica (http://nos.nl/artikel/124250-eerste-geiten-geruimd-op-brabantse-qkoortsbedrijven.html) Notizie della radiotelevisione nazionale olandese: NOS (21 dicembre 2009). Risultati e lezioni apprese La valida collaborazione tra la VWA e il ministero dell’Agricoltura, della natura e della qualità alimentare dei Paesi Bassi è stata fondamentale per conseguire un simile risultato in tempi così brevi. Sono passati solo alcuni giorni tra l’annuncio delle misure e l’inizio dell’operazione. L’apertura richiede coraggio. I media comprendono di non poter pretendere diritti esclusivi in presenza di buoni motivi e tendono a collaborare. È possibile adottare un approccio così organizzato e riservato con la stampa solo in occasioni molto rare e particolari, altrimenti verrà percepito come una limitazione della libertà di stampa. (Qualche critica dell’associazione olandese dei capiredattori e di un partito politico.) L’apertura e la trasparenza stimolano l’interesse dei giornalisti.

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V.6. Caso-studio sugli integratori alimentari in Svezia Informazioni di base Il 25 febbraio 2009, l’Agenzia dei prodotti medici svedese ha pubblicato un’avvertenza relativa al Fortodol, un integratore alimentare a base di erbe. Dopo essere venuta a conoscenza di quattro casi di danni epatici in pazienti svedesi che avevano assunto Fortodol, l’Agenzia ha pubblicato l’informazione sulla pagina iniziale del suo sito web. In uno dei casi, il paziente ha sviluppato un’insufficienza epatica acuta ed è deceduto. Anche l’Agenzia dei prodotti medici norvegese era stata informata in merito a cinque casi di danni epatici e un decesso che si potevano associare all’assunzione di Fortodol. Gli integratori alimentari sono preparazioni intese a fornire nutrienti, come vitamine, minerali, fibre, acidi grassi o amminoacidi, che mancano o non sono presenti in quantità sufficiente nella dieta di una persona. La Direttiva 2002/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e relative modifiche sul ravvicinamento delle leggi degli Stati Membri dell’UE in materia di integratori alimentari stabilisce requisiti armonizzati per l’etichettatura degli integratori alimentari e introduce norme specifiche su vitamine e minerali negli integratori alimentari, nell’intento di armonizzare la legislazione e garantire che i prodotti siano sicuri e opportunamente etichettati per consentire ai consumatori di operare scelte informate. Ciononostante, dal 1996 oltre 250 notifiche sugli integratori alimentari sono state inserite nella banca dati del sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi dell’Unione Europea. Discussione Il caso illustra che alcune preparazioni distribuite sul mercato possono contenere sostanze con effetti avversi sulla salute. Il rischio derivante da tali prodotti è difficile da valutare, in quanto non sono disponibili dati sul consumo. Gli integratori alimentari contaminati, commercializzati illegalmente o contenenti sostanze non autorizzate o nuovi ingredienti alimentari, possono danneggiare molti consumatori. La distribuzione mondiale via Internet è difficile da controllare, poiché rende difficile rintracciare i prodotti o ritirarli dal mercato a livello nazionale. Un’altra difficoltà è data dalla distribuzione del prodotto con diversi nomi commerciali. Ciononostante, l’interesse dei media su questo argomento si è rivelato scarso. Conclusioni sul livello di comunicazione Molti Paesi dell’UE (Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Regno Unito, Repubblica di Irlanda, Portogallo, Spagna) hanno preso misure per ritirare il prodotto contenente la sostanza, venduto anche con altri marchi come Donsbach Miradin, Lepicol Miradin, Leppin Miradin e Miradin, dai rispettivi mercati. Poiché la vendita del prodotto avveniva tramite Internet, sono stati interessati anche molti altri Paesi. Conclusioni su comunicazioni, strumenti e canali adeguati Nessuna notizia di panico tra i consumatori. Scarse richieste di informazioni da parte dei media. Sono stati comunicati i seguenti messaggi fondamentali: • non acquistare o utilizzare questo integratore alimentare; • non acquistarlo in Internet; • poiché si tratta di un prodotto lanciato come integratore alimentare e non come medicinale, c’è il rischio che le persone lo utilizzino per lunghi periodi di tempo; • chi soffre di sintomi quali inappetenza, nausea, vomito, dolori addominali, urina scura, ittero, ecc… dovrebbe sottoporsi a checkup del fegato. Messaggio generale: i consumatori dovrebbero prestare attenzione quando acquistano alimenti/integratori alimentari on-line. Queste comunicazioni sono state condivise attraverso canali di comunicazione online e i media. Risultati e lezioni apprese Punti di forza: collaborazione tra Stati Membri via RASFF ed e-mail. Opportunità: lo scarso interesse dei media sull’argomento ha dato spazio a una trattazione più ampia nei canali mediatici on-line. Punti deboli: tempi di reazione lenti dalla notifica al ritiro del prodotto. Minacce: influenza del mercato elettronico mondiale a livello nazionale, abbinata alla tendenza a uno stile di vita favorevole agli integratori alimentari.

V.7. Caso-studio: Emergenza diossina in Irlanda (Autorità irlandese per la sicurezza alimentare – FSAI, 2008) Informazioni di base Le diossine sono un gruppo di sostanze chimiche tossiche persistenti che si formano come sottoprodotto della combustione industriale e di processi chimici. Essendo altamente resistenti alla decomposizione, persistono nell’ambiente. L’esposizione umana alle diossine deriva fino al 90% dal consumo di alimenti contenenti diossine, soprattutto alimenti di origine animale con un elevato

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contenuto di grassi, poiché questi contaminanti si accumulano nei tessuti grassi. Gli alimenti dove si possono accumulare le diossine comprendono carne, pesce, uova e latte. La crisi è cominciata con la scoperta, durante i controlli di routine, della presenza di marcatori PCB (indice di una possibile contaminazione da diossine) nel grasso di maiale. Ulteriori analisi hanno confermato il 6 dicembre 2008 la presenza di diossina nei campioni. Si è stimato che circa il 10% della carne di maiale proveniente dall’Irlanda fosse interessata dalla contaminazione. Tuttavia, a causa di problemi generali di tracciabilità nella catena alimentare, aggravati dal fatto che tutti i maiali irlandesi sono macellati e lavorati in un numero esiguo di impianti di lavorazione, era impossibile distinguere tra prodotti potenzialmente contaminati e non contaminati. Di conseguenza, a titolo di misura precauzionale e nell’interesse della tutela della salute pubblica, tutti i prodotti a base di maiale provenienti da animali macellati in Irlanda tra l’1 settembre e il 6 dicembre sono stati richiamati. Discussione Durante la crisi, la cronaca si è spostata dalla protezione dei consumatori ai diritti dei consumatori, al danno per il settore dell’industria e al desiderio di un risarcimento, fino al ritorno sul mercato dei prodotti irlandesi a base di maiale. Come per molte storie di questa portata, nel dibattito mediatico sono intervenute numerose voci, con le rispettive opinioni. In questo clima surriscaldato e confuso, la FSAI ha continuato a lanciare un messaggio chiaro: i consumatori non dovevano preoccuparsi eccessivamente in merito ai rischi per la salute, ma che la diossina non poteva essere consentita nella catena alimentare. Conclusioni sul livello di comunicazione L’obiettivo specifico della comunicazione era quello di informare adeguatamente i consumatori in merito ai rischi. Inoltre le raccomandazioni al governo prevedevano che la diossina non dovesse essere presente nella catena alimentare e che, nonostante il rischio immediato fosse scarso o nullo per la salute delle persone che avevano consumato carne di maiale contaminata nel periodo dall’1 settembre al 6 dicembre, non fosse comunque tollerabile consentire che le persone fossero esposte alle diossine negli alimenti. Questo è stato il messaggio di base lanciato dalla FSAI per tutto il tempo, al quale si sono aggiunti altri messaggi secondari, tra cui i seguenti: • la FSAI sta avvisando rivenditori e produttori di rimuovere immediatamente dagli scaffali i prodotti interessati, ricordando al settore dell’industria l’obbligo legale di procedere in questo senso; • si consiglia ai consumatori di controllare se hanno in casa questi prodotti, e in caso affermativo di non mangiarli, bensì di gettarli o riportarli al rivenditore; • la FSAI continuerà ad agire per la rapida rimozione dei prodotti contaminati dalla catena alimentare, ai fini della tutela della salute dei consumatori e nel loro interesse; • sono disponibili informazioni sul sito web FSAI e tramite la sua linea di assistenza. Conclusioni su comunicazioni, strumenti e canali adeguati Intense relazioni con i media durante tutta la crisi, comprese informazioni quotidiane ai media, abbinate a un ampio coinvolgimento dei portatori di interesse. Risultati e lezioni apprese L’enorme copertura mediatica, in molti casi con notizie contrastanti e/o sensazionalistiche, ha sottoposto i consumatori a un bombardamento di informazioni lasciandoli incerti in merito al rischio effettivo posto dalla crisi. In una simile tempesta di informazioni, le autorità hanno incontrato notevoli difficoltà a trasmettere il messaggio corretto ai consumatori. Nonostante la quantità di informazioni ricevute, la fiducia dei consumatori negli alimenti irlandesi si è rapidamente ripristinata, in parte grazie al ruolo svolto dall’EFSA e dai gestori del rischio dell’UE nel sostenere le autorità irlandesi. L’aumento della fiducia dei consumatori è stato confermato dal rapido ritorno delle vendite di carne di maiale ai livelli precedenti l’allarme alimentare, con alcuni settori che hanno addirittura registrato un aumento delle vendite.

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Statistiche

Macellazione del bestiame a carni bianche, anno 2011 di Aurora De Santis

A

L’indagine nel 2010 partire dal gennaio dell’anno 2002, l’Istituto Nazionale di Statistica effettua mensilmente una rilevazione del bestiame a carni bianche macellato, con la finalità di ottenere informazioni sul numero di capi ed il relativo peso (vivo e morto) degli animali abbattu-

ti ogni mese sul territorio nazionale. Gli animali considerati, suddivisi in categorie, sono i volatili da cortile (avicoli, tacchini, faraone, anatre ed oche), la selvaggina da penna ed i conigli. Essa viene eseguita presso l’intero universo di mattatoi pubblici e privati a bollo CEE e a capacità limitata e concerne sia il bestiame

indigeno, sia quello di provenienza estera. L’indagine è compresa nel Programma Statistico Nazionale con il codice IST001636 e, pertanto, per essa è previsto l’obbligo di risposta. I risultati I risultati dell’indagine relativa all’anno 2011 evidenziano una

Tabella 1 – Macellazione per categoria del bestiame a carni bianche (gennaio-giugno 2011) Capi

Peso vivo

migliaia

kg

Categorie

Polli da carne < 2 kg Polli da carne ≥ 2 kg Galline da riproduzione Galline ovaiole Capponi Polli Livornesi e Golden

Peso vivo medio kg

Peso morto

Resa media %

kg

162.614 310.673 2.085 26.720 1.564 3.300

263.241.160 958.665.270 7.349.794 52.302.366 4.385.266 6.835.002

1,6 3,1 3,5 2,0 2,8 2,1

173.920.991 671.992.604 5.152.678 30.395.114 3.118.352 5.258.664

66,1 70,1 70,1 58,1 71,1 76,9

506.506

1.292.751.858

2,6

889.838.403

68,8

15.355 13.088 290

295.989.586 116.769.762 3.738.539

19,3 8,9 12,9

220.764.983 85.957.111 2.761.505

74,6 73,6 73,9

TOTALE TACCHINI

28.733

416.497.887

14,5

309.483.599

74,3

TOTALE FARAONE

5.938

11.115.606

1,9

8.316.070

74,8

TOTALE ANATRE

1.652

4.880.186

3,0

3.857.118

79,0

19

99.730

5,2

74.968

75,2

23.589

62.338.471

2,6

35.332.884

56,7

18.233 802

4.430.119 425.005

0,2 0,5

3.069.740 338.518

69,3 79,7

19.035

4.855.124

0,3

3.408.258

70,2

TOTALE AVICOLI Tacchini maschi da carne Tacchini femmine da carne Tacchini da riproduzione

TOTALE OCHE TOTALE CONIGLI Quaglie Piccioni TOTALE SELVAGGINA Fonte: ISTAT.

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Nel 2011 sono stati macellati di 506 milioni di capi avicoli il 61,3% dei quali costituto dall’abbattimento di polli da carne di peso superiore ai 2 kg. macellazione di 506 milioni di capi avicoli, il 61,3% dei quali è costituto dall’abbattimento di polli da carne di peso superiore ai 2 kg; l’insieme delle due categorie dei polli da carne, di peso inferiore e superiore a 2 kg, costituisce il 93,4% del totale avicoli (Tabella 1). La resa media degli avicoli risulta pari al 68,8%, con un picco per la categoria dei polli livornesi e golden (76,9%) seguita dalla categoria dei capponi (71,1%). Il totale dei tacchini macellati è costituito da circa 28,7 milioni di capi per un peso morto pari a circa 309 mila tonnellate, una resa media del 74,3% ed un peso medio di 14,5 chilogrammi. Per quanto riguarda la categoria delle faraone, i capi macellati nel 2011, sono circa 5,9 milioni per un peso morto di circa 8.300 tonnellate ed una resa del 74,8%. La macellazione delle anatre ammonta a 1.652.000 capi, con resa media del 79,0%,

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peso morto complessivo pari a circa 3.857 tonnellate e peso medio di 3,0 chilogrammi. I conigli macellati in questo periodo sono circa 24 milioni circa con una resa del 56,7%, un peso per capo di 2,6 chilogrammi ed una produzione pari a circa 35.000 tonnellate di carne. La sezione selvaggina, in cui sono compresi quaglie e piccioni, fa registrare complessivamente 19 milioni di capi macellati. La produzione risulta pari a circa 3.408 tonnellate di carne macellata (peso morto) e la resa è al 70,2% rispetto al peso vivo. Aurora De Santis Bibliografia • ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA (ISTAT), www.istat.it • S ISTEMA S TATISTICO N AZIONALE (SISTAN), www.sistan.it

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Storia e cultura

I numeri primi del bollito misto Prima fu l’arrosto e poi venne il bollito, sembra abbia affermato il filosofo Aristotele, una preparazione culinaria oggi in eclisse, anche per la difficoltà di trovare carni adatte di Giovanni Ballarini

N

ei tempi andati il bollito era uno dei piatti più ambiti della cucina popolare e tra i più diffusi di quella borghese nazionale, anzi in quest’ultima non mancava mai, soprattutto d’inverno, la domenica e le altre feste comandate, in particolare nel set-

tentrione, dove ogni regione aveva le sue varietà e i suoi riti, in associazione al brodo di carne, anche se vi era una certa antinomia tra i due. Un buon brodo dà un mediocre lesso, mentre un buon bollito dà un brodo di poco valore. La stessa distinzione di termini tra bollito e

lesso pone l’accento su questa non piccola differenza. La carne bollita con il suo brodo era fondamentale nel “pranzo funebre” padano. Dopo la morte di un congiunto, in attesa del funerale in chiesa, i parenti e gli amici che arrivavano alla sua casa per le condoglianze, magari nella

Carne per bollito (foto: www.vaudagnaspacciocarni.it).

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Il “Bollito non Bollito” di Massimo Bottura. stagione più fredda, erano accolti con una tazza di brodo, un poco di carne bollita e una fetta di pane. Col passare degli anni il bollito è stato un poco dimenticato e maltrattato dalle diete, causa ideologie vegetariane varie e antipatie personali anche nei confronti di alcune sue parti ritenute meno nobili o un poco esecrabili (come la lingua, il piedino e via dicendo). Vi è inoltre un’altra ragione alla base della sua decadenza: la scarsità, se non la rarità, degli animali con le carni adatte e la scarsa disponibilità dei tagli migliori per questa preparazione culinaria. Il bollito classico italiano di norma si otteneva con le carni di bovino, soprattutto di un bue, quindi di un animale castrato o “sanato” che, dopo essere stato impiegato nel lavoro dei campi o di traino dei carri, era tenuto in stalla e ingrassato a dovere. Vi era poi l’eccezionalità dell’animale giovane che non aveva lavorato ma era ingrassato: il vitello grasso celebrato fin dall’antichità.

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Non si dimentichi infine che anche le vacche vecchie, dopo aver figliato, lavorato e dato latte, erano destinate al macello, con carni che erano prevalentemente utilizzate per lessi e bolliti. Oggi il bollito è di nuovo un piatto di punta in alcuni ristoranti, anche rivisitato da diversi grandi cuochi, come MASSIMO BOTTURA con il suo “Bollito non Bollito”, nel quale i diversi tagli di carne sono cotti in poco liquido sottovuoto, non a contatto con l’ossigeno, a basse temperature, per un periodo tra le 18 e le 24 ore. A proposito di questa cottura sottovuoto, si tenga presente che nella bollitura tradizionale la carne non viene a contatto con l’ossigeno. Non bisogna infine dimenticare che le passate ideologie igieniche alimentari attribuivano alle carni bollite una leggerezza che contrastava la forza e pesantezza di quelle arrostite. Nel Medioevo, quando la “carne dei forti” per eccellenza non era

quella bovina, ma la selvaggina, Carlo Magno, come ricordano il suo cronista E GINARDO nella Vita Karoli e il monaco ALCUINO nel De virtutibus et vitiis liber, era presentato come un moderato, in quanto a tavola si faceva servire soltanto quattro portate, oltre alla carne arrostita, suo cibo preferito; anche da vecchio Carlo Magno rimase affezionato all’arrosto e non si adattò mai al lesso, consigliatogli dai medici. Nelle sue tante varietà, cinque sono i numeri del bollito, 1 – 2 – 3 – 5 – 7, senza contare le combinazioni più complesse di nove (tre per tre) e di ventuno (tre per sette). Che il bollito abbia rapporti con i numeri non deve stupire, dato che è una preparazione antichissima, strettamente collegata alle scoperte tecniche e scientifiche. Particolarmente curiosa è la preminenza dei numeri primi, che sembra dare al bollito un carattere esoterico e magico, come la pentola, o meglio le diverse pentole, con le quali viene

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preparato. Partiamo dal bollito più semplice, poi arriveremo a quello più complesso: 1. Uno – È il bollito più semplice, costituito solo di carne bovina, con particolare riguardo ai tagli anteriori e con l’aggiunta di un osso spugnoso. Uno è anche il sale grosso che si deve sempre presentare in tavola per condire il bollito di qualsiasi tipo. 2. Due – Due carni sono necessarie per un bollito un poco più variato: quella di bovino, sempre con un osso spugnoso, e quella di gallina, meglio se vecchia. 3. Tre – Nel bollito di terza, alle carni bovine con l’osso spugnoso e alla gallina vecchia, meglio un cappone, si aggiunge un salame da brodo. Tre sono anche le classiche salse di accompagnamento: bianca (cren o mostarda), rossa (pomodoro) e verde (prezzemolo con o senza aglio). 5. Cinque – Il bollito di quinta vede aggiungersi a quello di

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terza qualche altro taglio, ma solitamente la lingua e la testina di vitello. Possono anche aumentare le salse di complemento, sempre con il sale grosso in tavola. 7. Sette – È il numero del gran bollito piemontese, nel quale vediamo anche la moltiplicazione del sette per tre: sette tagli nobili, sette ammennicoli, sette bagnetti o salsine. Sebbene vi siano inevitabili varianti, sempre sette e tre volte sette è una regola classica che va sempre osservata. Tra le presenze più diffuse si può citare la seguente. Sette tagli nobili tutti ed esclusivamente di bovino: tenerone (dal collo alla coppa), caramella (pancia e costato), muscolo di coscia, stinco, spalla, fiocco di punta, cappello da prete. Sette ammennicoli di animali diversi: lingua, testina, coda, zampetto, gallina, cotechino, rollata. Sette bagnetti o salsine: verde rustico, verde ricco, cren rosso, mostarda, cugnà

(tipica mostarda delle Langhe piemontesi), senape, salsa al miele. A piacere si uniscono i contorni, diversi e fino a sette, a iniziare da patate bianche lesse, purea di patate, spinaci al burro, spinaci con acciuga, cipolle rosse in agrodolce, peperoni in agrodolce, verdure sottaceto e via dicendo. La carne va cotta in una o più pentole, con la consuetudine d’immergerla in acqua già bollente, poco salata e aromatizzata con erbe: immancabilmente sedano, cipolla, carota e gambi di prezzemolo, ma anche rosmarino, lauro e aglio. La durata della cottura, a fuoco basso, varia secondo i pezzi e le abitudini. Oltre ad eccellenti carrelli dei bolliti nelle varie trattorie e osterie italiane, anche a casa possiamo preparare un buon bollito misto, oggi coadiuvati dalle moderne attrezzature di cucina. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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La terribile apparizione dell’esercito furioso Battaglie di spettri e visioni collettive nelle campagne bergamasche del Cinquecento, un periodo denso di simboli e rituali pagano-cristiani legati al ciclo delle stagioni ed alla produttività della terra di Cristina Casini

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ell’inverno del 1517 un soldato che militava nel corpo di fanteria veneto, posto sotto il comando del conte Bartolomeo Martinengo, si ammalò di paura dopo aver assistito ad una terribile apparizione di spettri nelle campagne di Verdello. Il nobile capitano decise allora di recarsi personalmente nel luogo della visione, dove erano stati trovati alberi spezzati e strane impronte di uomini e di cavalli: un evento spaventoso, paragonabile, secondo il Martinengo, solo alla propria morte. “E videro un re dal ferocissimo aspetto togliersi il guanto di ferro dalla mano e gettarlo in aria; nello stesso momento si udì un fragoroso rumore d’artiglieria accompagnato da suoni di tamburi, di trombe e di nacchere, così come deve avvenire all’inferno. L’esercito del terribile re si lanciò contro i soldati nemici e insieme, dispiegando al vento una moltitudine di vessilli e di stendardi, diedero vita ad una crudelissima battaglia che lasciò i soldati orrendamente mutilati”. Questa descrizione (riassunta ed adattata in italiano corrente) si trova in una lettera del 1517 scritta da Bartolomeo Martinengo nel suo castello di Villachiara, vicino a Crema, ed è conosciuta come la Littera de le meravigliose battaglie apparse novamente in bergamasca: in essa non veniva però riportato un normale combattimento tra eserci-

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ti, bensì il resoconto di una visione collettiva avvenuta a Verdello, nel bergamasco, pochi giorni prima, e precisamente il 16 dicembre. La data non è casuale perché segna l’inizio delle Tempora invernali del 1517, un periodo denso di simboli e rituali pagano-cristiani, probabilmente di origine celtica, legati al ciclo delle stagioni e alla produttività della terra. Le guerre d’Italia Nemmeno il fatto che questa visione di eserciti combattenti sia

avvenuta a Verdello è da trascurare: nel 1509 ad Agnadello, un paese poco distante, si combatté un’aspra battaglia tra la Lega di Cambrai e Venezia nella quale furono definitivamente ridimensionate le spinte espansionistiche della Repubblica sulla terraferma: il combattimento, definito molto cruento, si inserisce nel quadro delle guerre d’Italia che insanguinarono la penisola fino al 1559 e che causarono pestilenze, carestie e devastazioni. Dalla discesa di Carlo VIII in Italia (1494), infatti, molti autori

Francesco Granacci, Entrata di Carlo VIII a Firenze, 1518, Firenze Galleria degli Uffizi (http://it.wikipedia.org).

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contemporanei registrarono una recrudescenza nei combattimenti, durante i quali i nemici venivano colpiti senza alcun rispetto, come fossero animali: in particolare, a partire da questa data, vennero introdotte in maniera evidente le artiglierie e i cannoni, trainati non più dai lentissimi buoi ma dai veloci cavalli. Relativamente ai morti caduti sul campo di Agnadello, le cifre fornite dalle cronache e dalle lettere private del tempo sono differenti e spaziano da 4.000 a 14.000, dimostrando in tal modo il persistere della tradizione medievale definita “anumerica”, che tendeva ad evidenziare un fatto attraverso il ricorso a cifre improbabili. Qualunque fosse il numero dei soldati deceduti nella battaglia, certamente rimangono significative le parole di Francesco Gonzaga alla moglie Isabella d’Este, che riferì di un tale numero di cadaveri da rendere impossibile la vista del terreno.

E quello che successe ad Agnadello può valere senz’altro per molte altre località italiane, dove le cronache del tempo menzionano monti di cadaveri o fiumi attraversati passando sulle salme dei caduti. Si trattava di spoglie che rimanevano prive di sepoltura e la cui decomposizione provocava esalazioni maleodoranti e pestilenze: dopo la battaglia di Agnadello i superstiti accusarono gravi sintomi causati dall’odore nauseabondo e dall’acqua contaminata. Non è certamente un caso che proprio nel periodo tra la fine del Quattrocento e i primi trent’anni del Cinquecento vengano registrate diverse profezie consolatorie e visioni agghiaccianti. L’esercito furioso Per tornare all’evento specifico di Verdello, come riferisce il Martinengo, alcuni testimoni raccontarono di aver assistito ad una battaglia nei cieli tra due eserciti opposti, uno

Battaglia di Marignano, 1515, raffigurazione del XVI secolo (http://commons. wikimedia.org).

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Pierre-Jules Jollivet, Battaglia di Agnadello, 1837, Reggia di Versailles (http:// it.wikipedia.org).

capeggiato da quattro o cinque condottieri, l’altro da un terribile re. Una dichiarazione posteriore, datata 4 gennaio, descrive nello specifico alcuni resoconti rilasciati da persone presenti all’avvenimento: esse raccontarono di aver visto fanti, cavalieri e carri percorrere con grande foga i campi innevati tra il bosco e la chiesetta di San Giorgio per poi sparire senza lasciare traccia; altri affermarono di aver distinto ombre andare incontro ad altre ombre decapitate; un nuovo testimone raccontò invece di avere scorto, assieme agli spettri, una grande quantità di porci, mentre un ultimo spettatore registrò la presenza di pecore nere e bianche e infine di buoi bianchi e rossi. Da questo elenco, oltre alla presenza delle anime combattenti, emerge in modo significativo la partecipazione di animali diversi, certamente parte integrante del mondo contadino: tra di essi possono essere evidenziati i maiali, anche per il loro significato simbolico, tradizionalmente connesso con il peccato e il vizio. Dal resoconto degli avvenimenti sembra di poter ricondurre questa straordinaria visione al mito dell’esercito furioso, largamente diffuso nel mondo germanico anche in epoca medievale e legato al tema della caccia selvaggia: il fatto che

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si sia manifestato anche a Verdello dimostra il perdurare della mitologia nordica nell’Italia settentrionale del XVI secolo. Le cacce selvagge rappresentano un soggetto antichissimo, diffuso in tutto il nord Europa, dalla Gran Bretagna alla Svezia, alla Germania: in alcuni periodi dell’anno, soprattutto durante le Quattro Tempora, era possibile stabilire un contatto tra il mondo reale e quello soprannaturale per poche ore, nelle quali si potevano manifestare visioni spettrali, quali la caccia selvaggia, in cui demoni, personaggi mitologici, anime dannate, ma anche fate e folletti davano inizio ad una caccia macabra, accompagnati da cani e da cavalli: con la cristianizzazione del mito questa schiera di fantasmi venne arricchita dalle ombre di persone morte prematuramente come i suicidi, i giustiziati o i bambini non battezzati. Tradizionalmente il condottiero di questa schiera veniva identificato con Wotan, il dio germanico della guerra, della poesia, della magia, il protettore dei viandanti e il creatore del mondo; con il passare del tempo, in Francia venne sostituito da Hellequin (che darà origine alla maschera di Arlecchino grazie all’abilità e all’intuito dell’attore Tristano Martinelli, si veda anche CASINI C., A tavola con Arlecchino e la

John William Waterhouse, Il cerchio magico, 1886 (http://it.wikipedia.org).

Odino/Wotan che cavalca Sleipnir, manoscritto islandese del XVIII secolo, conservato nella Biblioteca Reale Danese (http://it.wikipedia.org).

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Commedia dell’Arte, in EUROCARNI n. 2/2012) e in Gran Bretagna da Re Artù: in particolar modo la terribile milizia di Arlecchino, caratterizzata da un frastuono “infernale”, poteva essere evocata semplicemente da un fragore inconsueto o addirittura da un chiarivari, cioè da una processione tipica del Medioevo, contrassegnata da grida e gesti osceni, indirizzata nei confronti dei vedovi o delle vedove che intendevano risposarsi. Anche streghe e negromanti avevano il potere di richiamare sulla terra l’esercito dei morti: gli

strumenti tradizionalmente utilizzati in questo caso erano il cerchio tracciato per terra, il sale e l’acqua consacrati, le erbe magiche, le candele accese e i carboni ardenti. La figura di Wotan è decisamente ricca di fascino: non si tratta pro babilmente di una divinità germanica, ma un dio straniero, approdato nel nord Europa dalle zone meridionali del continente. Attributo fondamentale della divinità è infatti un cavallo favoloso a otto zampe, Sleipnir, il più veloce e possente tra tutti, capace di cavalcare sulla terra e sulle acque e

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La tradizione dotta occidentale, mediata dalla sapienza rabbinica, attribuisce a questi re i nomi di Samael, Azazel, Azael, Mahazael. Tra questi il più terribile sembra essere Azazel, uno degli angeli ribelli dell’epoca precedente il diluvio universale. La visione di Verdello ebbe una risonanza europea e venne diversamente interpretata anche alla luce degli sconvolgimenti militari e politici dell’epoca: i testimoni, invece, si ammalarono gravemente e molti di loro morirono.

Raffaello, San Giorgio e il drago, 1506 (http://commons.wikimedia.org).

di scivolare tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Il destriero di Wotan mostra tutti i segni della sacralità attribuita al cavallo dai popoli delle steppe, i primi che addomesticarono l’animale facendolo oggetto di un culto profondo che venne poi esteso in tutta l’area del Mediterraneo, come sembrano dimostrare alcune caratteristiche degli dei tradizionali greci, come Apollo, Dioniso e Artemide, gemella di Apollo e designata anche con l’espressione di “Signora dei Cavalli” (ed è certamente un fatto degno di nota che in alcuni resoconti relativi alle cacce selvagge medievali l’esercito di cavalieri sia guidato proprio da Diana, l’Artemide romana). Wotan,

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quindi, la principale divinità germanica, sembra trarre la sua origine dai culti indo-asiatici, manifestando inoltre alcune caratteristiche tipiche degli sciamani orientali, come la conoscenza delle cose future, il rapporto con il mondo dei morti, l’estasi mistica e la padronanza della magia. Lo scontro spettrale avvenuto nel cielo bergamasco del 1517 vedeva così contrapporsi l’esercito guidato dal Re delle Quattro Tempora (o Wotan/Arlecchino) e la milizia condotta da quattro terribili sovrani, i cui nomi rispecchiavano le zone di provenienza: il re d’Oriente, sicuramente il più temibile, il re d’Occidente, il re di Settentrione e il re Austro.

Le possibili cause di una allucinazione collettiva L’apparizione può essere certamente attribuita al trauma provocato dalla feroce battaglia di Agnadello e dalle sue conseguenze nefaste. Dal momento che all’epoca delle guerre d’Italia furono registrate dai cronisti un discreto numero di visioni apocalittiche e consolatorie, è possibile pensare anche a fenomeni allucinatori. È ormai risaputo che le condizioni di vita nei primi decenni del Cinquecento furono molto dure per le popolazioni italiane e soprattutto per i contadini, disperati per la fame e le malattie, ridotti a mangiare la terra dei campi, l’erba dei prati e le radici degli alberi pur di non sentire i tremendi crampi allo stomaco: nelle campagne erano ben conosciute le proprietà di alcune piante capaci di provocare alterazioni di coscienza, come il loglio (cereale molto simile al frumento che in alcuni casi può diventare tossico), il pane di papavero, il pane di canapa, i semi di stramonio (popolarmente conosciuto come “erba del diavolo”) e il solatro, noto anche per causare la pazzia e la morte. L’assunzione di queste erbe velenose non doveva essere sempre attribuita al caso, poiché molte volte uomini e donne, sfiniti dagli stenti e dalla miseria, preferivano rifugiarsi in mondi diversi e paralleli facendo ricorso a vere e proprie droghe naturali. Dal momento che l’apparizione dell’esercito spettrale si verificò nei

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pressi della chiesa di San Giorgio, il santo cavaliere invocato contro le guerre, le carestie e le pestilenze, si può ipotizzare che l’oratorio costituisse la meta di coloro che cercavano nel santo una protezione contro le calamità, in un’epoca in cui non era facile distinguere una pestilenza da altri morbi contagiosi o da fenomeni di avvelenamento alimentare. Nel centro storico del paese, poi, è stato rinvenuto un affresco tardo-quattrocentesco riferibile a Sant’Antonio abate, protettore contro l’ergotismo, un’altra forma di intossicazione da cibo, dovuta all’assunzione di segale cornuta e comunemente nota come “fuoco di Sant’Antonio”: la malattia, ritenuta ancora all’epoca una forma contagiosa, nella sua forma acuta provocava sia la cancrena che stati convulsivi e confusionari con offuscamento della coscienza, disorientamento spazio-temporale e senso di angoscia. Per curare gli ammalati di ergotismo, un vero e proprio flagello a livello europeo, alla fine dell’XI secolo venne fondato l’Ordine Ospedaliero di Sant’Antonio abate, a Vienne, nel Delfinato (cfr. Eurocarni 5/2011). Il rimedio utilizzato dai canonici contro il male era un unguento prodigioso, definito “balsamo di Sant’Antonio”, il cui ingrediente principale era costituito dal lardo di

maiale, ritenuto in grado di lenire, disinfettare e curare le piaghe del corpo: dal momento che i suini erano indispensabili per approntare le cure, oltre che una cospicua fonte di sostentamento, i canonici dell’ordine godevano del “privilegio del porco” fin dal XIII secolo, ossia della possibilità di allevare maiali nelle loro proprietà, comprese quelle cittadine, indipendentemente dalle leggi o dalle limitazioni delle autorità locali. Questi animali, allora, non sarebbero solo da considerare come il segno di una presenza diabolica degna di comparire in una visione spettrale, ma anche come esseri dotati di una natura ambivalente, frutto di un tormentato e secolare rapporto con l’uomo: bestie immonde e demoniache, pericolose per la salvezza dell’anima a causa della prelibatezza delle carni, che potevano indurre al peccato di gola, uno dei sette vizi capitali, ma anche risorse fondamentali per la vita degli uomini. Cristina Casini

L’esercito furioso è presente nel romanzo poliziesco della celebre scrittrice FRED VARGAS, La Cavalcata dei Morti, edito da Einaudi nel 2011 (Stile libero Big, 432 pp., € 19,00), in cui alcuni misteriosi omicidi sono annunciati appunto dall’apparizione della terribile schiera.

Bibliografia • O. NICCOLI, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Roma-Bari 2007. • O. NICCOLI, I morti, la morte, le guerre d’Italia, in “Città in guerra. Esperienze e riflessioni nel primo ’500. Bologna nelle guerre d’Italia”, Argelato, 2008.

• R. SCOTTI, Le apparizioni alla fine del 1517 nei pressi di Verdello, in “Altrove” n. 13, Torino 2007. • P. CAMPORESI, Il pane selvaggio, Milano, 2004. • F. CARDINI, Alle radici della cavalleria medievale, Firenze 2004.

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