

È tra i migliori clavicembalisti e organisti al mondo e direttore musicale dell’Accademia Bizantina di Ravenna: in questa intervista di copertina, Ottavio Dantone racconta del suo amore per la musica barocca e della sua carriera. Etica e valori si uniscono nelle storie del Calzaturificio Emanuela, che realizza calzature artigianali; di TerreAudaci, associazione nata per contrastare le mafie attraverso il consumo critico; e di Slow Food Ravenna che promuove progetti a difesa della biodiversità. Rudy Travagli, maître dell’anno 2024, e Fabio Zaffagnini, fondatore di Rockin’1000, raccontano le origini e le ambizioni della loro carriera. Ripercorriamo poi la storia della Sarom, ed entriamo nel giardino-museo del fabbro creativo Renato Mancini. Infine, la campionessa Milena Baldassarri ci racconta le motivazioni del suo ritiro. Buona lettura!
DI ANDREA MASOTTI
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Anno XXIV N. 1
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RAVENNA | Le sculture di Alex Corno saranno in mostra alla Fondazione Sabe per l’Arte di Ravenna, fino al prossimo 6 aprile. Costruire il cielo segna il ritorno in Italia dello scultore brianzolo dopo tre personali a Dallas, Texas. L’esposizione presenta 25 opere recenti dell’artista, caratterizzate da un’anima pop e dalla ricerca di equilibrio tra materiali industriali e una dimensione spirituale. “Le sue sculture astratte-geometriche sembrano pronte a spiccare il volo,” sottolinea il curatore Pierluca Nardoni, che ha selezionato i lavori includendo opere che testimoniano i quarant’anni di carriera. In primavera poi la Fondazione Sabe ospiterà Andrea Raccagni, mentre in autunno due scultrici in occasione della Biennale del Mosaico, per indagare il rapporto tra la scultura e il colore.
RAVENNA | Farà a tappa anche a Ravenna il tour europeo di Dirty Dancing in concert, il 3 maggio, nella cornice del Pala De André. Un’esperienza unica che trasforma il leggendario film degli anni Ottanta, interpretato da Patrick Swayze e Jennifer Grey, in un concerto dal vivo. Sarà possibile guardare il film restaurato digitalmente, proiettato su uno schermo gigante, mentre una band dal vivo e cantanti eseguono le indimenticabili canzoni della colonna sonora. Dopo la proiezione la band e gli artisti daranno vita a una festa cantando e ballando sulle sue musiche più famose. Il brano (I’ve Had) The Time of My Life vinse l’Oscar e il Golden Globe, e i due interpreti si aggiudicarono un Grammy Award come miglior duetto.
RAVENNA | Re Carlo III d’Inghilterra e la Regina Camilla visiteranno Ravenna in primavera, all’inizio di aprile, come annunciato da Buckingham Palace. Durante il loro viaggio in Italia, i reali visiteranno anche Roma e il Vaticano, dove celebreranno il Giubileo. “Siamo onorati di poter accogliere per la prima volta a Ravenna Re Carlo III e la Regina Camilla,” commenta il sindaco facente funzioni Fabio Sbaraglia. “Si tratta di un evento storico per la nostra città e di un’importante occasione per consolidare le relazioni tra i nostri Paesi. Ulteriori dettagli sulla visita saranno forniti appena possibile. Ci prepariamo a dare il benvenuto al Re e alla Regina: Ravenna è felice e orgogliosa di accogliervi.”
La collezione BUSINESS Spina Francese è un pavimento prefinito a due strati con essenza nobile in Rovere di circa 3 mm. di spessore e sottostruttura in Eucalipto. Il taglio a 45 gradi in testa caratterizza questo prodotto per una delle più pregiate delle pose in opera, detta a “Spina Francese” che permette di apprezzare le variazioni cromatiche della fibra del legno.
Ottavio Dantone non è solo tra i migliori clavicembalisti e organisti al mondo, è anche un profondo conoscitore dei codici espressivi dell’epoca barocca. Il suo sistema, risultato dell’esperienza e di uno studio filologico costante, gli consente di leggere le antiche partiture come fosse un contemporaneo dell’epoca, tenendo conto di consuetudini e canoni esecutivi a quei tempi considerati impliciti e, quindi, non scritti. Il risultato è una musica ricca di sfumature, capace di toccare la sensibilità del pubblico. Dal 1996 è il direttore musicale dell’Accademia Bizantina di Ravenna. Sotto la sua direzione, nel giro di pochi anni, si è affermata come uno degli Ensemble di musica barocca con strumenti antichi più noti e accreditati nel panorama internazionale. Dantone, da appassionato studioso, ha accostato al repertorio già noto titoli meno eseguiti o in prima esecuzione moderna nei festival e nei teatri più importanti del mondo come il Teatro alla Scala di Milano, Glyndebourne Festival Opera, Tea-
tro Réal di Madrid, Opéra Royal de Versailles, Opernhaus Zürich e London Proms. Dal 2024 è direttore musicale dell’Innsbrucker Festwochen der Alten Musik. Maestro Dantone, oggi lei è conosciuto in tutta Europa e non solo. Anche la musica barocca va riscuotendo sempre maggior successo. Perché e quando ha scelto questa musica, oppure è stata una casualità? “È accaduto per caso. Avrò avuto quattro o cinque anni: mi regalarono, per Natale, uno di quei giocattoli, una tastiera, con libretto annesso. Posso dire che è stata una casualità perché, poi, giocandoci, cominciai a cercare le note e a comporre, ma non avevo un insegnante. Dopo qualche anno, facendo il chierichetto in parrocchia, mi avvicinai all’organo. Era un suono che mi affascinava. Lì ho incontrato un sacerdote responsabile della Cappella del Duomo di Milano e fui ammesso ai cantori del Duomo e vi rimasi per quattro anni. Ebbi le prime lezioni di pianoforte e poi mi iscrissi alla classe di Organo
del Conservatorio di Milano. Fin da studente ho iniziato a suonare il clavicembalo. Vinsi il concorso di Bruges, con Gustav Leonhardt in giuria. Con i soldi della vincita ho potuto comprarmi un nuovo clavicembalo. Oggi li conservo entrambi.”
Quando si è innamorato della musica barocca?
“Mi sono formato nella musica antica. Il primo innamoramento è avvenuto con Bach e poi perché la musica barocca mi lascia spazio all’improvvisazione, all’interpretazione. Tutto questo mi ha dato una forma mentale adatta all’interpretazione di questo tipo di musica. E devo ammettere che ho avuto
CLAVICEMBALISTA, ORGANISTA E DIRETTORE MUSICALE
DELL’ACCADEMIA
BIZANTINA DI RAVENNA, ENSEMBLE DI FAMA
INTERNAZIONALE, OGGI
DANTONE SI ESIBISCE
NEI FESTIVAL E TEATRI
PIÙ IMPORTANTI DEL MONDO.
molta fortuna. Milano mi ha dato tanto. La prima volta che ho diretto un’orchestra ero un clavicembalista, è stato a Milano Classica, su invito di Arruga. Anni dopo, sono stato chiamato alla Scala da Riccardo Muti.”
La musica barocca era eseguita negli anni Settanta e Ottanta soprattutto da orchestre olandesi, svizzere, inglesi. Lei ne era già affascinato. Perché?
“Negli anni Ottanta seguivo il repertorio di questi Paesi. Ma più tardi gli italiani hanno cominciato a specializzarsi in questo settore e, particolare non da poco, va ricordato che la lingua predominante era quella italiana. I miei studi di approfondimento li ho fatti in Italia: la ricerca delle fonti, lo studio sulla retorica musicale. Un lavoro che ho svolto autonomamente. Voglio sottolineare che la lettura da parte di un italiano sulla propria lingua può portare a risultati molto più interessanti.”
Com’era la situazione della musica antica inizialmente e com’è oggi? C’è una crescita di interesse, anche da parte dei giovani?
“Negli ultimi anni in Italia, nei conservatori, sono state attivate molte classi di barocco e si vedono già gli effetti sulla formazione dei giovani interpreti. La scuola italiana del barocco sono convinto che avrà sempre maggior seguito in quanto l’interesse è andato crescendo in questi ultimi 20-30 anni. Alcuni miei strumentisti insegnano in vari conservatori. Io stesso ho insegnato a Mantova e a Torino, quando sono riuscito a trovare spazio nei miei numerosi impegni. Diventa sempre più difficile accettare cattedre mentre riesco ancora a fare delle master class.”
Il successo crescente della musica barocca a cosa è dovuto prevalentemente?
“Credo che la sempre maggiore conoscenza e competenza sul linguaggio permetta agli interpreti, e non solo, di comunicare la musica a tutti in maniera più facile, una comunicativa più efficiente. Ed è per questo che anche i giovani hanno scoperto nella musica barocca un fascino, un ritmo, chiamiamolo anche uno swing, che li affascina. A volte la musica
“ANCHE I GIOVANI HANNO SCOPERTO NELLA MUSICA
BAROCCA UN CERTO FASCINO, PERCHÉ HA UNA NATURALE COMUNICATIVA, UNA RITMICA MELODICA CHE ARRIVA PIÙ FACILMENTE AL CUORE.”
IN QUESTE PAGINE, IL MAESTRO OTTAVIO DANTONE. NELLA PAGINA PRECEDENTE, MENTRE DIRIGE L’ORCHESTRA DELL’ACCADEMIA BIZANTINA.
barocca può sembrare più vicina alla musica moderna, piuttosto che alla musica dell’Ottocento, perché ha una naturale comunicativa, una ritmica melodica che arriva più facilmente al cuore, alle corde delle persone.”
La lingua italiana ha contribuito a questo bel risultato?
“Sì. Credo proprio che un notevole merito potrebbe essere anche quello della lingua italiana, in uso nel Seicento e Settecento, in Italia e in Europa come lingua ufficiale della musica barocca. Le corti europee chiamavano compositori italiani ai quali ordinavano le opere. Lo stesso Händel, a Londra, componeva in italiano perché è una lingua che ha una sonorità e una morbidezza che meglio si adatta alla musica e meglio esprime le passioni. Secondo me non è tanto importante la qualità del libretto ma come si esprimono le parole. Il modo di esprimersi in italiano, sia musicale che vocale, è molto più espansivo e comunicativo.”
Lei ha apportato modifiche nelle sue esecu-
zioni? Se sì, quali?
“No, modifiche no. Cerco sempre di leggere quello che c’è scritto. Però, va detto che nella musica barocca c’è scritto solo il 10-20%, il resto può essere dedotto dai rapporti tra musica e parole, con la retorica, i rapporti fra i codici che permettono più soluzioni. Bisogna cercare di capire cosa il compositore intendeva trasmettere e questo richiede uno studio profondo per cercare di intuire ciò che non è scritto, ogni significato che la frase poteva avere, ogni intervallo musicale che poteva proporre diverse interpretazioni.”
In ultimo, può spiegare la frase che ha pronunciato dopo l’esecuzione de L’Italiana in Algeri al Teatro alla Scala: “Qui mi sento a casa!”?
“Mi sento a casa a Milano dove ho studiato e mi sono formato, e alla Scala perché è il punto di riferimento della musica e vi ritrovo tanti musicisti amici che hanno condiviso con me gli studi. Sì, alla Scala mi sento a casa.”
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“Il nostro è un made in Italy etico e non di facciata. Anzi un made in Bagnacavallo.” Per raccontare la storia e il presente del Calzaturificio Emanuela bisogna partire dagli anni del miracolo italiano, dai tempi in cui con il lavoro e il sacrificio sembrava tutto possibile. Emanuela Bacchilega ripensa ai suoi genitori poco più che ventenni, a sua madre licenziata perché incinta, alla voglia di mettersi in gioco di entrambi e al garage adibito a laboratorio artigiano, preso in affitto nel centro storico della cittadina romagnola. Da subito l’idea è quella di realizzare calzature vulcanizzate, comode, eleganti e flessibili per garantire la salute e il benessere di chi le indossa.
E così, dopo poco, nel 1966 nasce l’azienda che porta il suo nome. Grazie alla fiducia dei clienti e del sistema bancario il calzaturificio si trasferisce in un primo fabbricato in periferia e poi nel tempo raggiunge i 7.500
FONDATA NEL 1966, L’AZIENDA È STATA
TRAMANDATA DAI
GENITORI ALLA
FIGLIA EMANUELA
BACCHILEGA. DA LABORATORIO
ARTIGIANO SI È
PASSATI A UNA SEDE
DI BEN 7.500 MQ
DOVE LAVORANO 50 DIPENDENTI.
mq su un’area di 12.000 mq. E per Emanuela Bacchilega, entrata in azienda al termine della scuola superiore un’estate, per sostituire temporaneamente una dipendente e mai più uscita, si tratta di un’eredità da onorare ogni giorno con lo stesso impegno dei suoi genitori, nel segno della qualità artigianale e dei
materiali naturali. “Siamo cresciuti nel tempo a piccoli passi, un po’ alla volta, consapevoli dei rischi. Nel 2001 i miei genitori sono andati in pensione, ma mio padre è ancora qui, ogni giorno. Diciamo che è stato un passaggio generazionale graduale, senza sconti. Vedremo se le mie figlie, in futuro, mi daranno una mano.”
Il calzaturificio offre una vasta gamma di modelli per uomo, donna e bambino, declinati in diverse linee di prodotto, ognuna rivolta a soddisfare esigenze diverse in termini di comfort e richieste particolari di calzata. Per donna e uomo vengono prodotte pantofole e ciabatte, ballerine in tessuto, polacchine, sabot, mocassini; sandali, e scarpe da ginnastica. E ancora per chi ha un ‘piede speciale’ calzature adattabili, pratiche da indossare, grazie alla tomaia apribile. Scarpe adatte a chi si trova ad affrontare traumi o infortuni, temporanei o permanenti, che
riducono la mobilità di piede e caviglia. Tutti i pezzi vengono realizzati con materiali naturali, lana tosata, cotone, sughero, feltro da fibre vegetali essiccate e caucciù, con tecniche di assemblaggio prive di colle, resine e solventi. Le suole di tutte le calzature Emanuela sono prodotte in azienda partendo da caucciù naturale estratto da piantagioni eco-sostenibili, senza utilizzo di prodotti chimici di sintesi e derivati del petrolio.
“Abbiamo scelto di produrre all’interno del nostro ciclo produttivo le mescole di gomma per la vulcanizzazione a caldo, in modo da poter riciclare anche
i ritagli della lavorazione della gomma per dare vita a nuove suole. Il mondo della calzatura ruota attorno all’incollato, noi no. Abbiamo applicato i principi della sostenibilità prima che divenissero prassi comune.” Tutte scommesse vinte per l’azienda che ha resistito alla crisi che ha disperso il distretto calzaturiero di Fusignano, Bagnacavallo e Lugo.
“Con l’arrivo delle importazioni di massa dalla Cina chi lavorava per marchi esteri si è spostato, dove i prodotti costano meno.
Noi abbiamo scelto di lavorare sul nostro mercato e sull’Italia. Da qui l’idea di produrre
“ABBIAMO SCELTO DI LAVORARE SUL NOSTRO MERCATO E SULL’ITALIA, APPLICANDO I PRINCIPI DELLA SOSTENIBILITÀ. IL CONSUMATORE DEVE SAPERE CHI HA PRODOTTO UNA DETERMINATA CALZATURA.”
la gomma con un piccolo impianto. Non ce la sentivamo di chiudere e quindi non collaborare più con le persone che erano state al nostro fianco anche come forma di rispetto.” I nuovi processi di lavorazione avvengono con energia proveniente da fonti rinnovabili certificate per alimentare gli stabilimenti e le unità produttive. Una produzione meticolosa dove taglio, cucitura e assemblaggio di ogni componente della calzatura vengono rigorosamente realizzati a mano da esperti artigiani.
“Noi siamo convinti che il consumatore deve sapere chi c’è dietro un marchio e chi ha prodotto
Pergotende, bioclimatiche, vele ombreggianti, arredi da esterno, tessuti e tendaggi esclusivi, complementi d’arredo e carta da parati.
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“I NOSTRI PRODOTTI
SONO VOCATI ALLA COMODITÀ, PER DARE SOLLIEVO. QUANDO LE PERSONE MI DICONO CHE È CAMBIATA LA LORO VITA E CHE RIESCONO A CAMMINARE MI
DÀ LA SPINTA PER ANDARE AVANTI.”
una determinata calzatura. Essere corretti ci sembra doveroso. In questo modo siamo rimasti in piedi anche dopo le due alluvioni del maggio 2023 che hanno danneggiato i nostri macchinari. L’ultimo anno per il comparto è stato difficilissimo e non ci sono chiari di luna davanti a noi. I numeri di qualche anno fa sono scomparsi. Due volte l’anno compiliamo il catalogo negozi al dettaglio e ambulanti. Nell’ultima spedizione ne abbiamo tolti 700. Fino a otto anni stampavamo 15.000 cataloghi oggi 9.800, spedendo in tutta Italia. La mortalità dei piccoli negozi, cioè quelli che tengono vivi i paesi, è altissima. Cerchiamo di resistere e andare avanti lavorando nel rispetto del vero made in Italy.”
La progettazione di modelli e prodotti avviene all’interno dell’azienda così come la ricerca di materiali sostenibili, sensibilità coltivata da sempre. “Siamo un team di 4 donne, facciamo prove tutto l’anno, spesso ci confrontiamo, ci mettiamo in discussione per un risultato migliore. I nostri prodotti sono sempre vocati alla comodità Dopo una giornata di lavoro deve essere piacevole indossare le nostre ciabattine e sentire il benessere dei piedi. I nostri sono prodotti per dare sollievo Quando le persone mi dicono che è cambiata la loro vita e che riescono a camminare questo mi dà la spinta per andare avanti. Noi cerchiamo il massimo comfort e la vestibilità soffice, in
un connubio tra estetica e praticità con un’offerta più ampia possibile, anche con un marchio sportivo, un marchio per calzature sanitarie che sviluppano modelli tecnici per la riabilitazione e modelli particolari.”
Con circa 50 dipendenti, più una decina di piccoli laboratori di riferimento sul territorio, il calzaturificio ha clienti prevalentemente in Italia, ma spedisce in tutto il mondo, dagli Usa a Canada, Giappone, Kuwait, Francia e Germania. In più da anni tiene viva la vendita online. “La politica di vendere con il nostro marchio durante la crisi ci ha salvato. Ora siamo alle prese con il cambio generazionale delle maestranze e non è affatto semplice.”
RUDY
TRAVAGLI
E LA SUA
AVVENTURA
NEL MONDO
DELL’ACCOGLIENZA
Romagnolo doc, nato a Cesena ma poi traferitosi a Cervia, il quarantaseienne Rudy Travagli, che lavora dal 2013 all’Enoteca
La Torre di Roma (2 stelle Michelin e tre forchette del Gambero Rosso), ha fatto il pieno di premi: Maître dell’anno 2024 di 50 Top Italy, guida tra le più importanti del settore, mentre – andando indietro nel tempo – quelli di Miglior Sommelier di Romagna nel 2009, Miglior
Sommelier d’Italia sul Sangiovese nel 2010 e Chevalier dell’Ordine dello Champagne a Reims nel 2022. Nel 2023 è stato anche nominato presidente di Noidisala, associazione che raggruppa l’élite dell’accoglienza italiana si sala. Un traguardo importante che riconosce il talento e la professionalità nell’ambito della ristorazione e che racchiude la passione per la cucina e l’enologia. Come si è avvicinato al vino e com’è cominciata questa sua incredibile avventura nel mondo dell’accoglienza?
“Un po’ come i tutti giovani cresciuti a Cervia, mi sono trovato a fare il cameriere stagionale in un bar appena terminato l’Istituto Alberghiero. Sono entrato nel gruppo fondato dalla fami-
MAÎTRE DELL’ANNO
2024 DI 50 TOP ITALY, NOMINATO NEL
2023 PRESIDENTE DI NOIDISALA, DOPO IL DIPLOMA
RUDY TRAVAGLI
SI È AVVICINATO
ALLA PROFESSIONE
FACENDO IL CAMERIERE
STAGIONALE A CERVIA, CRESCENDO POI
NEI MIGLIORI
RISTORANTI IN ITALIA E A LONDRA.
glia Del Bello che aveva diversi locali fra cui il Sonora Blu, un disco dinner piuttosto all’avanguardia in quegli anni: ristorante gourmet fino alle 24 e poi discoteca. Fondamentale è stato l’incontro con il sommelier Fabio Cavicchi che mi ha spostato dal bar e avvicinato al mondo del vino, invitandomi poi a fare un corso di sommelier. Ho accettato il suo consiglio. Ho conosciuto i sommelier Roberto e Luca Gardini, iniziato a degustare e a fare
i primi concorsi. Da lì tutto è cominciato.”
Sin da subito ha avuto l’opportunità di crescere nei migliori ristoranti in Italia e all’estero…
“Per tre anni sono stato all’Enoteca Pinchiorri di Firenze, la scuola principale in cui ho imparato come trattare il vino, una cantina, una carta vini. Poi, a 29 anni, ho sentito l’esigenza di fare un’esperienza all’estero, a Londra, dove ho puntato al top: il Fat Duck di Heston Blumenthal, in quel momento considerato il miglior ristorante al mondo. Dopo un anno sono rientrato in Italia, fermandomi a Roma per ‘colpa’ di Oscar Farinetti, grazie al quale sono diventato anche maître e ho fatto un numero incredibile di incontri, conoscendo tutto il mondo dell’alta ristorazione e la stampa specializzata che girava attorno a Eataly.”
Com’è approdato infine all’Enoteca La Torre nell’hotel Villa Laetitia di Roma nel 2013?
“Grazie a un amico sommelier, Luigi Picca, che avevo conosciuto a Firenze. Entrare nel gruppo
Enoteca La Torre, che oggi comprende ben sette attività, mi ha consentito di crescere ulteriormente e di diventare socio nel tempo. Mi occupo del servizio in
sala e della selezione dei vini in tutte le articolazioni del gruppo: dalla Rinascente di piazza Fiume e di Villa Laetitia a Roma, che ha ottenuto il premio Miglior
Sala del Gambero Rosso e 2 stelle Michelin, all’attività di catering per eventi, fino alle attività a Capabio, il country club La Macchia, il beach club La Dogana e il Glamping, un campeggio di lusso.”
Quali sono le doti fondamentali nel suo lavoro?
“Prima di tutto la dedizione, poi la curiosità per continuare ad apprendere. La passione aiuta a rendere la fatica più piacevole. Il tempo libero non c’è, ma mi piacerebbe avere figli un futuro. E dire che sognavo di diventare avvocato…”
È vero che per essere un buon
maître e sommelier bisogna essere anche un po’ psicologi?
“Sì, l’empatia aiuta molto nei confronti dei clienti e dello staff. Poi chiaramente è fondamentale l’esperienza, ci vogliano anni per capire i segreti del mestiere. Per diventare sommelier non basta amare il vino, serve anche allenarsi. Una volta poi era più facile perché i vini e le denominazioni erano di meno di oggi e i clienti meno preparati ed esigenti. Ora come ora, quando vedo un cliente varcare la soglia, in poco tempo lo studio per capire come far andare bene la cena.”
Il suo vino preferito?
“Il Sangiovese come vino e vitigno. Però mi piace molto bere anche il Borgogna, sia bianco che rosso. Quando ero più giovane non bevevo champagne,
adesso sì anche a tutto pasto. Il vino che mi ha colpito di più, invece, è un Chateau Latour 1990, della zona di Poyac a Bordeaux, assaggiato quando avevo 25 anni. Dopo ne ho bevuti forse di migliori, ma quello è rimasto indimenticabile.”
Come valuta oggi il vino italiano e quello romagnolo?
“Italia e Francia non hanno rivali a livello di varietà. Oltralpe, i concorrenti sono più bravi a vendersi e hanno invidiabili punte di diamante come i grandi borgognesi e bordolesi, ma l’Italia resta il Paese al mondo con più vitigni. In Europa, sono in forte crescita la Slovenia, l’Albania e la Croazia, mentre a livello mondiale la Nuova Zelanda si è consacrata definitivamente con ottimi vini. La Romagna è cresciuta molto in questi ultimi anni, grazie ad aziende come Zerbina, Nicolucci, Chiara Condello. Produciamo ottimi Sangiovesi e la nostra Albana passita non ha rivali. C’è da migliorare però la parte commerciale.”
Perché ha voluto così fortemente l’associazione Noidisala?
“Per rendere questo lavoro più attraente e avvicinare i più giovani. Per questo, facciamo eventi e corsi in giro per l’Italia, la nostra speranza è trovare qualcuno che si innamori delle professionalità legate all’accoglienza. La sala dà modo di imparare le lingue, di essere sempre vestiti bene e di andare in giro per il mondo. Ha un fascino tutto suo.”
Nata nel 2020 a Ravenna, l’associazione TerreAudaci Aps rappresenta un esempio brillante di come la comunità possa unirsi per combattere la criminalità organizzata attraverso la promozione di un consumo critico. Ideata da undici soci fondatori,
per lo più appartenenti alla Polizia di Stato, questa iniziativa si ispira al lavoro svolto nel decennio precedente dai sindacati di polizia ravennati Siulp e Silp, i quali avevano avviato un percorso volto a diffondere la cultura del consumo responsabile tra
i colleghi. Oggi conta circa 200 soci, volontari e sostenitori, che collaborano per dare continuità a questa missione. La principale attività dell’associazione è quella di promuovere i beni confiscati alla criminalità organizzata, contribuendo a far conoscere e commercializzare i prodotti realizzati dalle cooperative sociali che operano in questo ambito. “La nostra missione è chiara: contrastare le mafie attraverso il consumo critico,” afferma Giuseppe Arca, uno degli ideatori del progetto. “Vogliamo contribuire a far conoscere le storie di chi cerca di trasformare i beni confiscati da simboli di oppressione a opportunità di sviluppo e rinascita.”
Le cooperative sociali con cui Terreaudaci collabora svolgono un ruolo cruciale nel contrastare la criminalità. Queste realtà, che valorizzano i beni confiscati, combattono pratiche come il caporalato e il pizzo, e favoriscono l’inserimento lavorativo di persone in condizioni di marginalità, come migranti ed ex detenuti. “Le cooperative sono esempi virtuosi in territori dove la criminalità è tuttora pervasiva,” sottolinea Arca. “Lavoriamo solo con realtà ben radicate
nel mondo dell’antimafia, in grado di garantire prodotti di qualità,” spiega Marco Marfisi Questa rete di collaborazione ha portato a risultati tangibili, come l’assunzione di nuovi lavoratori nelle cooperative creando nuovi posti di lavoro. Tuttavia, il cammino di TerreAudaci non è privo di sfide. Nonostante il negozio di Ravenna sia stato il primo aperto, molti cittadini ancora non lo conoscono. “La nostra sfida è diffondere il progetto e i suoi valori,” afferma Arca. Grazie al lavoro instancabile dei volontari, che distribuiscono volantini e curano i social media, l’associazione sta cercando di aumentare la propria visibilità e coinvolgere sempre più persone. “I prodotti che distribuiamo sono principalmente alimentari confezionati di ogni tipo: paste, vini, sughi pronti, legumi, olii, confetture, prodotti essiccati, passate di pomodoro, patè di varie tipologie, prodotti da forno, dolci. Si tratta soprattutto di prodotti artigianali e biologici che vengono realizzati dalle numerose cooperative con cui siamo in contatto, generalmente su terreni confiscati alla criminalità organizzata. In alcuni casi il prodotto realizzato (grano, uva, legumi, ecc) viene
“LA NOSTRA MISSIONE
È CHIARA: CONTRASTARE LE MAFIE ATTRAVERSO IL CONSUMO CRITICO,” AFFERMA GIUSEPPE ARCA, UNO DEGLI IDEATORI DEL PROGETTO.
“LAVORIAMO SOLO CON REALTÀ BEN RADICATE NEL MONDO DELL’ANTIMAFIA, IN GRADO DI GARANTIRE PRODOTTI DI QUALITÀ,” AGGIUNGE MARCO MARFISI.
conferito a un laboratorio terzo per la trasformazione.”
Ogni prodotto racconta una storia di riscatto e legalità. Inoltre, nei punti vendita si possono trovare anche libri e pubblicazioni sulla storia delle mafie e dell’antimafia, un modo per educare e sensibilizzare la comunità. Un aspetto fondamentale è infatti il ruolo della cultura e dell’educazione nella lotta alla criminalità organizzata: si sta lavorando alla
raccolta di circa 400 volumi sulla mafia e sull’antimafia, con l’obiettivo di creare una biblioteca accessibile. “L’educazione è la chiave per costruire un futuro migliore e per rompere il ciclo della violenza.” TerreAudaci aderisce a Libera e partecipa alla vita associativa; nei punti vendita è possibile effettuare il tesseramento annuale all’associazione di Don Ciotti. Ma quali sono i progetti futuri e come sperano di espandere il loro impatto sul territorio e oltre? “Dopo l’esperienza positiva di Faenza,” aggiunge Marfisi, “dove all’interno di un rinomato negozio biologico (Buono&Bio) è stato inserito un espositore dedicato ai prodotti di TerreAudaci, abbiamo in animo di replicare la stessa esperienza in altre città. Ci auguriamo infatti che sempre più operatori del settore food e gourmet scelgano di unirsi a questa missione, inserendo un corner TerreAudaci nei loro punti vendita. Ogni corner diventa un baluardo contro le mafie e un simbolo di sostegno per chi lavora ogni giorno per costruire un futuro migliore, unendo gusto, qualità ed etica in un messaggio potente e concreto.”
Materie prime naturali, scrupolosamente ricercate e selezionate, senza l’uso di semilavorati, per un gelato di qualità che regala gioia e un momento di golosa spensieratezza ai bambini come agli adulti. Potrebbe sintetizzarsi così la filosofia della gelateria Sbrino, sotto i portici della centrale via Gordini 3 a Ravenna, tappa molto apprezzata dai residenti così come dai turisti di passaggio, in estate e in inverno. Perché il
gelato è una coccola che non conosce stagioni , quando è in grado di soddisfare al meglio le papille gustative. E non solo, perché la gelateria appaga anche la vista grazie ai colori, alle luci calde che incorniciano le vetrine e all’attenzione a ogni minimo dettaglio, senza dimenticare la scenografia suggestiva chiaramente ispirata al mondo del circo “Io stesso mi riconosco in certe caratteristiche proprie di questo
DOPO DIVERSE ESPERIENZE INTERNAZIONALI, FRANCESCO
BENDANDI APRE
A RAVENNA UNA GELATERIA IN CUI CREA GELATI GASTRONOMICI
DOLCI E SALATI, DA
ABBINARE A PIATTI E COCKTAIL.
magico mondo,” spiega il proprietario Francesco Bendandi , “per l’estro, la fantasia, la capacità di visione. Per questo motivo ho voluto un negozio divertente, in cui gustare serenamente il gelato in compagnia.”
Sbrino nasce da un’idea nuova e diversa di proporre il gelato. Dopo dieci anni passati in cucina come cuoco, con esperienze lavorative nazionali e internazionali, in ristoranti di Sydney, New York e Miami , nel 2017 Francesco coglie l’opportunità di aprire una gelateria a Ravenna, nella nuova Darsena Pop Up. Frequenta un corso di gelateria, apprende le tecniche tradizionali ma da subito le affianca al background culinario: azzarda gli abbinamenti, stravolge gli ingredienti, fino a concepire una propria personalissima proposta di gelato sia tradizionale che gastronomico. “Ogni gusto ha dietro la sua ricerca, per avere una sua specificità,” racconta il titolare di Sbrino. “Non utilizzando semilavorati o basi pronte, siamo in grado di inventare qualsiasi gusto e di soddisfare qualsiasi esigenza. Ho preso spunto dalla mia esperienza in ambito ristorativo per creare gelati gastronomici dolci e salati, da abbinare a piatti, cocktail e, più in generale, per qualsiasi ambito culinario. Per questo, tra i nostri clienti figurano anche bar, risto-
IL PUNTO VENDITA
DI VIA GORDINI HA UNA SCENOGRAFIA
SUGGESTIVA ISPIRATA
AL CIRCO. LE PROSSIME NOVITÀ? L’UOVO DI PASQUA CON DENTRO
IL GELATO, LE COPPE IN STILE ANNI OTTANTA IN ESTATE E IL GELATO PER CELIACI.
ranti, stabilimenti balneari e locali vari, per i quali realizziamo proposte altamente personalizzate.”
Con l’avvento della pandemia e il successivo smantellamento della Darsena Pop Up, tra il 2022 e il 2023, la gelateria Sbrino è stata chiamata a nuove sfide e si è reinventata, traslocando in centro storico con un nuovo punto vendita, a cui si è subito affiancato un laboratorio per la produzione sia per i privati che per le aziende. Periodo in cui è nato anche il servizio di delivery, il cui successo è rimasto inalterato nel tempo, grazie anche a una App nativa che consente di ordinare facilmente e di ricevere il gela-
to in meno di un’ora dall’ordine a casa, anche fuori Ravenna, con furgoni refrigerati. Quali sono alcuni dei gusti di gelato ormai iconici di Sbrino? Per esempio quelli nati come rivisitazione in chiave gelato di piatti romagnoli, come squacquerone, fichi caramellati e cialda di piadina oppure lo zabaione rivisitato all’Albana con scroccadenti , oppure l’iconico caramello al sale di Cervia. Non mancano anche gusti innovativi quali panna cotta con pop corn caramellati, amaretto, strudel, Sacher. Molto apprezzati durante la stagione estiva sono i sorbetti ricavati da cocktail alcolici o analcolici trasformati in gelato,
tra cui il ginger beer fatto in casa. Durante la stagione più fredda, propone inoltre una ricca parte calda a base di cioccolata in tazza, vin brulè, ecc., oltre a brioche, crepe e waffle che è possibile gustare sul posto nella rinnovata saletta al primo piano. A servire la clientela, un team di giovani entusiasti che si distinguono per competenze e gentilezza.
“In occasione della Pasqua,” conclude Francesco Bendandi, “da qualche anno Sbrino propone una novità: quella delle uova di Pasqua ripiene di gelato, grazie alla temperatrice che può produrre diversi tipi di gusci di cioccolato. Per l’estate invece cele-
breremo il ritorno delle coppe in stile anni Ottanta, tra cui l’immancabile Banana Split. In più, stiamo lavorando per produrre presto anche gelato per celiaci Il nostro gelato è già senza glutine, ma vogliono venire incontro anche alle tante persone con intolleranze al lattosio.”
Da Sbrino il gelato è motivo d’orgoglio tutto l’anno.
A LATO, IL TITOLARE FRANCESCO BENDANDI. IN ALTO, IL GELATO GASTRONOMICO DI SBRINO E IL TEAM NEL PUNTO VENDITA IN CENTRO STORICO.
DI CHIARA BISSI FOTO MASSIMO FIORENTINI
Per loro il cibo è buono quando è giusto, sano e di qualità, quando le produzioni non danneggiano l’ambiente, quando le condizioni lavorative e i salari dei produttori sono equi. Ma per difendere la biodiversità – cioè l’insieme delle diverse forme di vita e la diversità culturale, ovvero la varietà di tradizioni, usi, costumi e credenze – i volontari della condotta di Ravenna di Slow Food con la sezione di Cervia non si accontentano di organizzare cene a base di prodotti che rischiano di scomparire, di animare degustazioni con cibi realizzati da piccoli produttori, di promuovere corsi di formazione e gite gastronomiche per gli iscritti, ma da tempo si sono ritagliati un ruolo importante in città nella divulgazione e promozione di buone prassi in campo alimentare e ambientale. Con circa 220 soci la condotta di Ravenna, guidata da quattro anni dalla presidentessa Barbara Monti, conduce un’instan-
FIORE ALL’OCCHIELLO
DELLA CONDOTTA
È IL PROGETTO DI ‘ORTO SLOW FOOD A SCUOLA’ CON QUATTRO
PLESSI COINVOLTI, 72 INSEGNANTI E 492
BAMBINI. NEI 150 MQ
COLTIVATI I BAMBINI
SVOLGONO UN INTENSO PROGRAMMA
DIDATTICO E SI
PRENDONO CURA
DELLE PIANTE DALLA
SEMINA AL RACCOLTO.
cabile attività di promozione culturale e tesse una fitta rete di relazioni con altri soggetti del volontariato, indagando la relazione tra cibo e salute o muovendosi nell’ambito della tutela del patrimonio storico-artistico e di
difesa degli ambienti naturali. Il tutto con un’attenzione particolare ai cambiamenti climatici, allo spreco alimentare e all’elemento acqua. Incontri, conferenze, presentazione di libri sono solo alcune delle iniziative che arricchiscono la programmazione annuale. Mentre la bella esperienza del cartone animato I figli dei giganti verdi, prodotto dalla condotta, è entrato a far parte del progetto nazionale di Slow Food educazione: ‘Noi siamo natura’. Fiore all’occhiello della condotta è il progetto di ‘Orto Slow Food a scuola’ con quattro plessi coinvolti, 72 insegnanti, 492 bambini per un totale di 150 mq coltivati. Siano l’orto scolastico della primaria Riccardo Ricci, attivo da 17 anni, o gli orti in cassoni nelle due sedi della scuola dell’infanzia Buon Pastore, oppure i cassoni della scuola media dell’Istituto San Pier Damiano, in tutti i punti di coltivazione i bambini svolgono un intenso programma di-
dattico e si prendono cura delle piante dalla semina al raccolto.
Angela Rosa, docente, consigliera Slow Food da dieci anni segue il progetto Orti con grande tenacia e passione, mentre al mantenimento e alla cura degli orti contribuiscono i nonni e le nonne volontarie, insieme ai ra-
gazzi dell’istituto tecnico agrario Perdisa. “Grazie alle nostre attività,” racconta la presidentessa Monti, “siamo molto presenti e radicati in città. Il progetto degli orti coinvolge tantissimi bambini e Slow Food offre agli insegnanti una formazione continua. Durante i mesi della messa
a dimora delle piante i nonni e le nonne insieme ai bambini e alle maestre realizzano manufatti per la Festa annuale dell’Orto. Lo scorso anno i bambini della scuola Ricci si sono dedicati alla stampa su tela, tecnica tradizionale romagnola con l’esperto stampatore Egidio Miserocchi. Poi le nonne hanno realizzato tovagliette, sacchetti per il pane e borse.”
Tra le esperienze più gratificanti vissute dalla condotta di Ravenna c’è il progetto ‘I figli dei giganti verdi. In un vasetto di terra la storia di Ravenna’. Allora ecco la farnia di Dante, il pino di Teodorico, il platano di Galla Placidia e il ginkgo biloba di Anita Garibaldi: si tratta dei quattro alberi iconici della città posti vicino a celebri monumenti, scelti da Slow Food per raccontare, con un video in animazione destinato agli alunni delle scuole primarie, una storia di creature viventi, di inclusione e rispetto della natura e delle
“CERCHIAMO DI SENSIBILIZZARE LE PERSONE CON AZIONI CONCRETE. LE NOSTRE ATTIVITÀ DI DIVULGAZIONE SONO SPESSO LEGATE AL TEMA DEL CONSUMO CONSAPEVOLE DI CIBO. SIAMO ATTENTI ALLA BIODIVERSITÀ AMBIENTALE E CULTURALE.”
persone. La cooperativa sociale la Pieve e il Sol.Co Cooperativa Sociale hanno commissionato alla Panebarco, azienda e bottega multimediale, la realizzazione del cartone animato. “Affrontiamo temi importanti,” assicura Barbara Monti, “cerchiamo di sensibilizzare le persone con azioni concrete, ma sempre con il sorriso. Le nostre attività di divulgazione sono spesso legate al tema del consumo consapevole di cibo. Siamo attenti alla biodiversità ambientale, ma anche a quella culturale, a come vengono preservate le tecniche per le produzioni tradizionali o come tutelare le antiche colture. E per fare questo sono nati i presidi Slow Food. Nel nostro territorio abbiamo il presidio Sale marino artigianale di Cervia e riguarda la salina Camillone dove si ricava una piccola produzione di eccellente qualità con tecniche tradizionali.” Slow Food Ravenna non si ferma mai e tra un corso e una gita è entrata a far parte della consulta del parco del Delta del Po, è tra i promotori della festa della Cozza selvaggia di Marina di Ravenna e tra gli organizzatori di GiovinBacco, la manifestazione enologica dedicata al Sangiovese.
IL FONDATORE FABIO
ZAFFAGNINI
RACCONTA
LE ORIGINI E LE AMBIZIONI
DI ROBERTA BEZZI FOTO
L’ultima grande soddisfazione di Fabio Zaffagnini è l’epica esibizione di Rockin’1000 con Jovanotti all’edizione 2025 del Festival di Sanremo. L’evento ha coinvolto circa 300 musicisti tra batteristi, percussionisti e bassisti, di età compresa tra i 18 e i 70 anni, provenienti da tutta Italia e anche da Francia e Spagna. Un’impresa non facile che ha rappresentato il momento clou della prima serata della nota kermesse. Un evento che apre nel migliore di modi le celebrazioni dei primi dieci anni di Rockin’1000, la band più grande del mondo fondata da Zaffagnini, nato a Faenza, ma cresciuto a Fusignano e ora residente a Cesena.
Partendo proprio da Sanremo, com’è nata la felice collaborazione?
“Grazie all’amicizia con Lorenzo Cherubini con cui avevamo già fatto un evento nel 2019 a Linate. Con grande gioia mi ha telefonato prima di Natale, per
LA BAND PIÙ
GRANDE DEL MONDO È REDUCE
DALL’EPICA ESIBIZIONE
CON JOVANOTTI
ALL’EDIZIONE 2025 DEL FESTIVAL DI SANREMO
UN EVENTO CHE
HA COINVOLTO CIRCA
300 MUSICISTI DAI 18 AI
70 ANNI, PROVENIENTI
DA TUTTA ITALIA E ANCHE DA FRANCIA
E SPAGNA.
proporci di partecipare al suo show come ospite del festival. Abbiamo accettato con piacere e ci siamo subito messi in moto per l’organizzazione dei musicisti e degli arrangiamenti. Lo spettacolo è stato memorabile malgrado le difficoltà di gestire
così tanti artisti nell’ombelico di Sanremo. Tutti siamo tornati a casa felici di avere vissuto un’esperienza emozionante e coinvolgente.”
Andando indietro nel tempo, come è nata la sua passione per la musica?
“Ha sempre fatto parte di me, grazie ai miei genitori che da bambino mi facevano ascoltare il repertorio classico. Poi ho cominciato a suonare la chitarra, mentre la scoperta del rock è avvenuta quando ero ormai grande. Me ne sono subito innamorato, al punto da dare il via al progetto Rockin’1000 che ha avuto un successo internazionale.”
Tutto è avvenuto quando la sua vita sembrava ormai incanalata verso altre strade…
“Sì. Mai avrei pensato di lavorare nel mondo della musica. Dopo gli studi universitari di biologia, la mia carriera è iniziata negli scavi archeologici dell’Oman ed è continuata al CNR, con cui ho partecipato a diverse campagne
DI DIVENTARE ANCORA PIÙ INTERNAZIONALI, DI ESSERE UNA RETE DI MUSICISTI GLOBALE, PER PERMETTERE
AGLI ARTISTI DI FARE ESPERIENZE IMPORTANTI NEGLI STADI MA ANCHE A LIVELLO LOCALE.”
oceanografiche internazionali.
Nel 2011 poi ho fondato Trail Me Up, start up che ha reso accessibili i più remoti sentieri della terra grazie a tecnologie immersive.”
Come ha preso forma il progetto Rockin’1000 nel luglio 2015?
“L’idea è nata da una goliardata, più complicato è stato trasformarla in realtà. Ho cominciato rivolgendomi a numerosi professionisti dei vari ambiti, creando passo dopo passo una vera e propria squadra. Poi sono arrivati il primo video e i primi concerti in giro per il mondo. Sono riuscito, quasi magicamente, a unire tutti i puntini di tante esperienze che di per sé non c’entravano niente con la musica ma che si sono rivelate lo stesso significative.”
La prima tappa, come da lei ricordato, è legata all’uscita del
video virale di Learn to Fly, e al concerto tributo ai Foo Fighters al parco Ippodromo di Cesena…
“Sì, così siamo stati lanciati a livello globale. Poi fondamentale è stato il mega concerto allo Stade de France di Parigi di fronte a un pubblico di 50.000 persone.”
Lei ha raccontato questa straordinaria esperienza nel libro
Da zero a mille, uscito l’anno scorso, che è anche una sua autobiografia. Può parlarne?
Nell’anno in cui si celebrano i primi dieci anni di Rockin’1000, cosa avete in programma e quali sono i progetti futuri?
“Stiamo organizzando una serie di eventi per l’estate di cui ancora non possiamo svelare nulla, l’idea è di fare una grande festa e di coinvolgere il maggior numero di persone possibile, anticipando anche qualche idea del prossimo futuro. Guardando più a lungo termine, l’ambizione è quella di aprirsi al mercato statunitense, impresa in cui pochi italiani sono riusciti. Anche se abbiamo già 100.000 musicisti provenienti da 192 Paesi, l’obiettivo è quello di diventare ancora più internazionali, di essere una rete di musicisti globale, per permettere agli artisti di fare esperienze importanti negli stadi ma anche a livello locale in forma più ridotta per potere suonare.”
“Ogni pagina offre uno sguardo ravvicinato sulle tappe di un sogno, fatto di momenti intensi, successi ottenuti con sacrificio e qualche inevitabile delusione. Un percorso unico, che ho cercato di presentare per la prima volta senza filtri, svelando avventure rocambolesche, scelte audaci e retroscena inediti. Ma nel libro ho raccontato anche come inseguire un sogno e cosa comporta, perché c’è sempre un prezzo da pagare in termini di sacrifici e rinunce, oltre ovviamente ai successi e alle cose belle. È un continuo sali e scendi, come essere sulle montagne russe. La speranza è di poter ispirare chi ha delle idee in testa e ha paura di partire, e di fare capire cosa significa dedicarsi a tempo pieno a qualcosa.”
IL NOTO
POLIAMBULATORIO
ODONTOIATRICO
HA APERTO UNA
SECONDA SEDE NEL
BORGO SAN ROCCO,
DOVE UNA SQUADRA
DI PROFESSIONISTI E APPARECCHIATURE
ALL’AVANGUARDIA
SONO AL SERVIZIO
DEI PAZIENTI.
Con oltre quarant’anni di storia, Stomatologica è il primo ambulatorio medico odontoiatrico in città gestito in forma societaria, caratterizzato da una squadra multidisciplinare di professionisti iper-specializzati, guidata dalla dottoressa Susanna Stagni L’ultima grande sfida è il raddoppio della sede, in modo da essere presenti in due quartieri strategici di Ravenna e meglio soddisfare le esigenze dei numerosi pazienti. Al poliambulatorio in via Duino 14, in Darsena, si affianca infatti quello nuovo in via Bastione 2, nel cuore del caratteristico borgo San Rocco. “Già da un anno,” racconta la dottoressa Stagni, “abbiamo rilevato uno studio mono-professionale da un col-
lega che andava in pensione, più piccolo e raccolto rispetto a quello in Darsena, ma che abbiamo reso particolarmente moderno. Abbiamo voluto attrezzarlo con apparecchiature all’avanguardia e garantire la presenza delle necessarie figure professionali aggiornate sulle ultime tecnologie. Siamo molto felici di essere tornati in centro storico, una sorta di ritorno alle origini se si considera che Stomatologica è stata in via di Roma fino al 2010, prima del trasferimento in via Duino. Per noi è un modo di riavvicinarci ai pazienti che già ci conoscevano.”
La storia di Stomatologica parte da lontano, per la precisione dal 1981, dove i soci fondatori apri-
rono una vera e propria struttura odontoiatrica in via di Roma, precorrendo i tempi portando in Provincia un’iniziativa che a livello nazionale era ai primi tentativi, mentre ora è del tutto consueto vedere centri organizzati in forma societaria, dove i medici interagiscono nelle rispettive specializzazioni per la cura dei pazienti. Nel 2020 è avvenuto il ricambio generazionale al termine di un percorso naturale che si è concluso con il passaggio di consegne da Enzo Bruni a Susanna Stagni, che già lavorava da otto anni in ambulatorio ed era molto conosciuta e apprezzata dai pazienti. Ieri come oggi, le prestazioni odontoiatriche rappresentano il fiore all’occhiello di Stomatologi-
IERI COME OGGI, LE PRESTAZIONI ODONTOIATRICHE RAPPRESENTANO IL FIORE ALL’OCCHIELLO DI STOMATOLOGICA, IN VIRTÙ DI UN TEAM DI SPECIALISTI PER UN SERVIZIO A 360°.
ca, in virtù di un team di specialisti – fatto di odontoiatri, igienisti e collaboratori vari – che operano in ambiti diversi (igiene, profilassi, pedodonzia, conservativa ed endodonzia, parodontologia, ortodonzia, protesi fissa e mobile, chirurgia orale, implantologia, estetica). Un servizio dunque davvero a 360 gradi rivolto alla salute dei denti, a misura di famiglia, pensato per i bambini così come per i genitori e i nonni, con un occhio di riguardo anche per l’estetica del sorriso sempre più importante.
“Nella nuova sede di via Bastione,” spiega la dottoressa Stagni, “si alterneranno tutti i professionisti delle varie discipline odontoiatriche che già lavorano in Darsena e che sono fra loro complementari. Ci sarà poi un’integrazione tra le due sedi: per i piani di cura più complessi, i pazienti di via Bastione saranno
indirizzati alla sede di via Duino che, essendo più ampia, ha anche una sala dedicata alla parte chirurgica. Nessuno viene lasciato solo.” Nella sede in Darsena, ormai punto di riferimento per il quartiere, c’è anche un poliambulatorio con diversi specialità tra cui Cardiologia e Ginecologia. “Mettiamo sempre al centro le necessità dei pazienti ,” conclude la dottoressa Stagni, “dando risposte nel più breve tempo possibile, per alleviare disagi e sofferenze. La cosa che ci regala maggiore soddisfazione? Avere pazienti che si ricordano dell’apertura, e ciò vuol dire che si sono sempre trovati bene sia con la vecchia che con la nuova gestione. Poi ci sono i figli e a volte anche i nipoti dei nostri primi clienti… Puntiamo molto sulla fidelizzazione, così come sulla prevenzione con una serie di richiami, soprattutto per l’igie-
ne dentale e le visite di controllo anche per i bambini. Per questi ultimi abbiamo figure specializzate, così come per accogliere nel modo migliore i pazienti odontofobici.”
A LATO E IN BASSO, LA DOTTORESSA SUSANNA STAGNI. IN ALTO, LA SECONDA SEDE RAVENNATE DI STOMATOLOGICA.
PRIMA SEDE Via Duino, 14 Ravenna | DS Dott. Massimo Squarzoni SECONDA SEDE Via Bastione, 2 Ravenna | DS Dott.ssa Susanna Stagni T. 0544 33037 | www.stomatologica.it
PETROLIFERO
ALLA
DEMOLIZIONE
DELLE TORRI
Da circa un anno a questa parte, lo sguardo di chi percorre il primo tratto di via Trieste a Ravenna in direzione del mare non incrocia più la presenza incombente delle grandi torri di cemento della Sarom. Con la loro demolizione, avvenuta non senza polemiche la primavera scorsa, è scomparsa l’ultima testimonianza fisica di una presenza, quella della grande raffineria di petrolio fondata da Attilio Monti nel 1950, che fu uno dei simboli più potenti della Ravenna del ‘miracolo economico’.
La storia della Sarom è strettamente legata a quella del suo fondatore, la cui figura è a sua volta assai emblematica nell’incarnare due caratteristiche peculiari del capitalismo italiano: un notevole talento imprenditoriale e una spregiudicata capacità di intrecciare proficue relazioni con il potere politico. Figlio di un fabbro del borgo S. Biagio, ma anche amico e sodale di Ettore Muti, Monti poté senza
FIGLIO DI UN FABBRO
DEL BORGO S. BIAGIO
A RAVENNA, MONTI
DIVENTÒ UNO DEI
PIÙ IMPORTANTI
PETROLIERI INSIEME
AI MORATTI E AI
GARRONE. SIMBOLO
DI QUESTA ASCESA
NEL GOTHA
DELL’IMPRENDITORIA
ITALIANA ‘L’ISOLA
D’ACCIAIO’ AL LARGO
DI PORTO CORSINI.
dubbio contare sull’appoggio del più carismatico dei gerarchi ravennati allorquando, nel 1938, ottenne dal governo l’iscrizione nell’elenco degli importatori di petrolio. Era, questa, la premessa indispensabile per la sua prima consistente iniziativa imprendi-
toriale, e cioè la costruzione di un deposito di prodotti petroliferi raffinati, realizzata nel giro di un paio d’anni sulle rive del Candiano.
Passata la guerra e sanate le sue distruzioni, Monti fu abile nell’intuire la direzione che avrebbe preso il commercio del petrolio nel nuovo contesto dell’economia postbellica: non più l’importazione del prodotto finito, ma la lavorazione del greggio che sarebbe affluito in quantità sempre più consistente dal Medio Oriente. Fu così che, nel maggio del 1950, costituì la sua nuova creatura, la Società Anonima Raffinazione Oli Minerali (Sarom), appunto con l’obiettivo di trasformare il deposito in una moderna raffineria. Ottenuto l’appoggio del Partito Repubblicano, che reggeva l’amministrazione della città, poté quindi procedere velocemente alla costruzione del nuovo stabilimento, entrato in funzione alla fine del 1951. Era proprio il
momento giusto per intercettare le enormi potenzialità dell’incipiente boom economico, e in particolare l’esplosione della motorizzazione di massa, che non aspettava altro che alimentarsi anche della benzina commercializzata da Ravenna con il marchio Sarom 99.
Alla metà degli anni Cinquanta, forte anche di un rapporto privilegiato con la British Petroleum, Monti era già diventato uno dei più importanti petrolieri italiani insieme ai Moratti e ai Garrone. Simbolo di questa ascesa nel gotha dell’imprenditoria nazionale fu l’avveniristico grattacielo costruito a Milano come sede della società, la Torre Galfa, inaugurata nel 1959. A Ravenna, l’immagine più iconica fu invece quella della cosiddetta ‘isola d’acciaio’, il termi-
nale di attracco per le petroliere realizzato nel 1956 al largo di Porto Corsini. La data era significativa: in quegli stessi mesi, sulla sponda opposta del Candiano, fervevano infatti i lavori per la costruzione dell’altro grande stabilimento, quello dell’Anic, che insieme alla Sarom divenne l’emblema della poderosa trasformazione che fece di Ravenna una delle città simbolo del nuovo sviluppo industriale italiano e della sua idea di modernità. Una modernità fatta di torri fumanti e di castelli d’acciaio, di luci perenni e di schiere di operai che affollavano quelle che, fino a pochi anni prima, erano paludi solitarie o silenziose pinete. Ma non era tutto. Oltre che sul piano economico, l’azienda di Monti lasciò un segno tangibile della sua presenza anche nel
più generale contesto della vita sociale della città. Per esempio nello sport. Nel 1955, insieme al ‘Pedale Ravennate’, l’azienda organizzò l’arrivo di una tappa del Giro d’Italia, la cronometro Cervia-Ravenna vinta da Fontana davanti a Coppi e a Magni. Ma già l’anno precedente Monti aveva acquistato la società di calcio cittadina, affidandone la presidenza al direttore della Sarom, Gino Guccerelli. Ribattezzata appunto con il nome di Sarom Ravenna, nei primi anni la squadra conobbe una rapida ascesa fino a sfiorare la promozione in serie B nel 1958. Proprio la cessione della società calcistica qualche anno dopo, nel 1964, fu però il segno che qualcosa nel rapporto con la città (e con i suoi nuovi equilibri politici) si era rotto. Non che l’attività del-
OLTRE CHE SUL PIANO ECONOMICO, LA SAROM LASCIÒ UN SEGNO TANGIBILE
ANCHE NELLO SPORT, ACQUISTANDO LA SOCIETÀ DI CALCIO CITTADINA E ORGANIZZANDO
UNA TAPPA DEL GIRO D’ITALIA.
la raffineria fosse in crisi. All’inizio degli anni Settanta, anzi, la Sarom era al suo apogeo. Ma proprio in quel momento la crisi petrolifera del 1973 le sferrò un colpo che ne avrebbe causato la caduta, tanto repentina quanto rapida era stata l’ascesa di vent’anni prima. A quel punto si rivelò provvidenziale un’operazione che Monti aveva effettuato già nel 1966, e cioè l’acquisto dell’Eridania, azienda leader nel mercato italiano dello zucchero, e che a sua volta deteneva il controllo di alcuni importanti quotidiani: in particolare Il Resto del Carlino, ma anche La Nazione e altre testate in tutto il territorio nazionale.
Dagli anni Ottanta il gruppo Monti (oggi Monrif, denomi-
nazione che rimanda anche al nome del genero e socio del fondatore, Bruno Riffeser) precisò sempre più la propria identità come holding nel campo editoriale, nel quale tuttora ricopre una posizione di punta. Intanto, nel 1979, l’Eridania era stata ceduta a Serafino Ferruzzi, in quello che è impossibile non vedere come un simbolico passaggio di consegne fra i due gruppi che hanno fatto la storia di Ravenna del secondo Novecento.
E la Sarom? Ormai in crisi irreversibile, la società venne acquisita nel 1981 dall’Eni, che quattro anni dopo chiuse definitivamente i battenti della raffineria. Dopo essere tornato per qualche tempo un semplice deposito di carburante, a sua volta
chiuso nel 1993 (un anno prima della morte di Monti, da tempo residente in Francia), lo stabilimento venne infine smantellato. Svanito il progetto di realizzare nel sito un polo della nautica, con il tempo è stata la natura a riprendere il sopravvento, con la foresta spontanea cresciuta in straniante contrasto con i due ultimi manufatti superstiti della vecchia raffineria, le due grandi torri di cemento sulle quali un tempo campeggiava il marchio della società. Con il loro abbattimento da parte dell’Autorità portuale, attuale proprietaria dell’area, al fine della realizzazione di un parco fotovoltaico, nella primavera del 2024 anche questa pagina di storia ravennate si è chiusa per sempre.
Percorrendo la San Vitale verso Bologna, oltrepassata Massa Lombarda prima della rotonda sulla Selice in località Fruges, non si può non notare senza rimanerne stupiti un cortile dove sono quasi ammassate delle strane figure. Basta poco per rendersi conto che sono stravaganti e originali sculture. L’ideatore e realizzatore di questo museo all’aperto è Renato Mancini, ‘Mancio’, ora settantenne in pensione. Una volta i ragazzi finite le scuole ‘andavano a bottega’: Mancio a 14 anni, come quasi tutti, ha iniziato a lavorare a Massa Lombarda alle officine storiche da fabbro di Chilino e Brunon, dove ha imparato a saldare. Entrato nel mondo della metalmeccanica, poi messosi in proprio, come prestatore di mano d’opera per grandi aziende come la Malaguti Moto e la Conserva Italia forniva cancelli, inferriate e affini. Quando andava dalle ditte per primo chiedeva di vedere i cassoni per ‘ravanare’ tra i rottami, tra i ricambi che buttavano via, ormai destinati alla fonderia.
Questa passione rimanda a un episodio che ha segnato la parte creativa della sua vita: nel 1976, durante il servizio militare, sul-
la scrivania di un sottufficiale fu attratto da una scultura particolare, un cavallo fatto con gli attrezzi di lavoro e bulloni; per le gambe due tenaglie, per il corpo e le orecchie il martello cavachiodi. L’originale oggetto scatenò la sua fantasia e, appena ebbe la possibilità, al mercato di Conselice acquistò una saldatrice a elettrodo, una Torpedo che pesava cinquanta chili. La prima
NELLE SUE REALIZZAZIONI È IMPLICITA UNA MOTIVAZIONE ETICA, UN MESSAGGIO DI DENUNCIA CONTRO LA DISTRUZIONE DELL’AMBIENTE, LA VIOLENZA SULLE DONNE, LA GUERRA E IL CONSUMISMO.
IN APERTURA, RENATO MANCINI, FABBRO CREATIVO. IN ALTO, ALCUNE DELLE SUE OPERE, ESPOSTE NEL SUO GIARDINO-MUSEO.
opera realizzata è il Don Chisciotte, cavaliere riconoscibile dal cappello, poi è seguita una produzione inarrestabile. L’ispirazione gli viene vedendo un pezzo, un serbatoio di un motorino che può sembrare il corpo di un uccello, poi tra i rottami cerca le zampe e le ali. C’è anche del lavoro, ma non è un lavoro di un vero fabbro, è un lavoro che nasce dalla fantasia. Nelle sue realizzazioni è implicita una motivazione etica, una presa di coscienza che si traduce in un messaggio di denuncia contro la distruzione dell’ambiente, la violenza sulle donne, la guerra e la cultura del consumo e del buttare. Questo impegno anima i laboratori con i bambini dell’asilo locale. Con la pistola della colla a caldo la presa scart diventa un elefante, i mouse tartarughe o topolini, la lattina un personaggio, i cd piedistalli. Invita i bambini a cercare nei cassetti i tanti oggetti tecnologici che, diventati obsoleti, si accumulano. Oltre agli interventi nelle case di riposo per anziani dove crea sculture,
partecipa a manifestazioni pubbliche: a Imola ai Fantaveicoli, sfilata di carri allegorici ecologici, non a scoppio, ma a pedale, a spinta o a traino, mentre per Cervia Città Giardino a Milano Marittima gli è riservato uno spicchio alla Rotonda Cadorna. Lo scorso anno in occasione del passaggio del Tour de France ha realizzato la Tour Eiffel con biciclette gialle, e quest’anno, che gli è stato assegnato come tema l’energia, ha già iniziato a pensare e a lavorare – poi precisa ‘giocare’ – per creare un mulino a vento con biciclette. Il tema ecologico ha ispirato una serie di piccole sculture di cui una è stata donata al Papa, altre all’ex sindaca di Roma, all’allora ministro dell’ambiente Costa, e a personaggi internazionali impegnati nella difesa dell’ambiente.
Se qualcuno gli chiede se abbia fatto il liceo artistico, risponde che si è fermato alla terza media e che se tornasse indietro farebbe lo stesso, eppure le sue opere rimandano per evidenti richiami a movimenti artistici d’avan-
guardia del Novecento, prima di tutto al movimento Dadà dei primi anni del secolo tendente a disintegrare le strutture del linguaggio scultoreo in nome della libertà creativa con l’utilizzo di tutti i materiali disponibili e le forme immaginabili. Poi, passando per il Surrealismo per l’imprevedibilità e l’automatismo nella realizzazione dell’oggetto, non predeterminato da un disegno, perché sono gli oggetti stessi che attraverso la loro forma gli suggeriscono cosa vogliono diventare, fino alla Pop Art per il rifiuto di una concezione elitaria dell’arte in quanto le sue sculture saldate acquistano un valore, anche estetico, all’interno di un sistema di comunicazione il cui significato deve essere leggibile da chiunque per la semplicità di interpretazione. Ribadisce di non sentirsi scultore e se avesse una vecchia fabbrica farebbe un museo stanziale, per ora gli restano il sogno e il giardino delle meraviglie attorno a casa, sempre aperto per chi desideri visitarlo.
Il progetto immobiliare di Via Mingaiola, realizzato da Nuovostudio, è molto più di un complesso di ville e appartamenti residenziali: è un investimento nel tuo futuro, un’opportunità per vivere in un ambiente esclusivo e sostenibile nel cuore di una città ricca di storia e cultura. Immersa in un contesto urbano vivace e ben servito, questo borgo contemporaneo offre un’atmosfera elegante che abbraccia sicurezza e comfort. Le 17 unità abitative, distribuite in un design contemporaneo di classe energetica A e superiore, sono state concepite per soddisfare i desideri di una clientela esigente, alla ricerca di spazi luminosi, finiture di pregio e un’attenzione particolare alla sostenibilità ambientale.
Il complesso è stato inserito dal quotidiano immobiliare “Focus” tra i 40 progetti più importanti d’Italia nel 2024.
GINELLA E
BENEDETTA PEZZOLI GESTISCONO
L’AZIENDA DI FAMIGLIA FONDATA
NEGLI ANNI
SESSANTA. L’ATTIVITÀ È OGGI UN PUNTO DI RIFERIMENTO SUL TERRITORIO.
Da sempre Pezzoli è sinonimo di qualità in materia di tessuti, biancheria e arredi per la casa e per le aziende. La personalizzazione è un altro punto di forza. Per venire incontro alle molteplici esigenze di privati al dettaglio e di forniture alberghiere e navali all’ingrosso, tutto può essere fatto su misura, dalle tende ai cuscini, dai copridivano alle lenzuola, dalle tovaglie ai copriletti. Grande è dunque la disponibilità nella vendita, così come nel post vendita, e l’attenzione verso il cliente è massima. Esperienza e competenza rappresentano poi il valore aggiunto in oltre sessant’anni di storia. La passione per il tessile, unitamente a una grande tenacia e spirito di sacrificio, sono alla
base del successo di quella che è, a tutti gli effetti, un’azienda familiare. “Tutto è nato all’inizio degli anni Sessanta,” ricorda Ginella Pezzoli che attualmente gestisce l’attività insieme alla sorella Benedetta, “grazie all’intraprendenza dei nostri genitori Giuseppe Pezzoli e Santina che da Leffe, in Provincia di Bergamo, nostro paese d’origine e culla del tessile, si sono trasferiti a Ravenna per rilevare un magazzino all’ingrosso che aveva cessato la sua attività. Considerando che già prima della guerra i nostri nonni, sia paterni che materni, avevano magazzini al nord, in particolare a Trento, Trieste e Bolzano, noi rappresentiamo la terza generazione.” A Ravenna il primo magazzino
all’ingrosso è stato aperto negli anni Sessanta, in piazza Kennedy, in pieno centro storico. Ma nel 1975 è stata presa la decisione di trasferire la sede commerciale a Fornace Zarattini, all’interno del centro MIR, per avere più spazio destinato sia all’esposizione che allo stoccaggio delle merci. Da allora l’attività è stata ampliata: la vendita al dettaglio si è infatti aggiunta a quella all’ingrosso Un’evoluzione legata ai repentini cambiamenti del mondo del commercio che ha fatto sparire tanti piccoli negozi. Risale poi al febbraio 2010 la scelta coraggiosa, di trasferirsi a Russi in via Giuseppe di Vittorio 1, in un immobile di circa 1.000 mq, con ampia visibilità e comodo parcheggio. “Una scelta che ci ha premiato nel tempo e di cui siamo molto soddisfatte,” spiega Ginella Pezzoli. “Non solo molti clienti storici di Ravenna ci hanno seguito, ma se ne sono aggiunti di nuovi, provenienti da Faenza, Forlì, Lugo e Bagnacavallo e tanti altri paesi limitrofi.”
Entrando da Pezzoli si resta subito colpiti dall’ ampio assortimento in materia di biancheria e arredo per la casa: copriletti, completi lenzuola, piumoni, coperte, piumini d’oca, tovaglie da tavola, asciugamani, accappatoi, teli mare, tendaggi e relativi accessori, tappeti, materassi, guanciali, ecc. “Abbiamo tanti clienti che cerchiamo di soddisfare al meglio,” aggiunge la titolare, “offrendo un ampio ventaglio di soluzioni. Siamo in grado di accontentare un po’ tutti, da chi vuole spendere una cifra medio-
DA SEMPRE PEZZOLI È SINONIMO DI QUALITÀ IN MATERIA DI TESSUTI, BIANCHERIA E ARREDI PER LA CASA E PER LE AZIENDE. LA PERSONALIZZAZIONE È UN ALTRO PUNTO DI FORZA, L’ATTENZIONE VERSO IL CLIENTE È MASSIMA.
alta per prodotti più lussuosi a chi invece ha una capacità di spesa minore e si orienta verso prodotti più economici ma senza mai rinunciare alla qualità. Nel tempo infatti sono un po’ cambiate le abitudini e soprattutto i più giovani preferiscono cambiare spesso tessuti e arredi per dare alla casa sempre un senso di freschezza. Sul fronte delle aziende, ci siamo sempre occupati all’ingrosso di ristoranti,
alberghi, negozi e attività varie, e di recente abbiamo acquisito anche forniture navali . Siamo dunque sempre in movimento e in crescita, la nostra è un’attività stimolante.” Ginella Pezzoli ne sa qualcosa essendo in pratica cresciuta tra i tessuti. Ha cominciato a 19 anni subito dopo il diploma, la sorella Benedetta addirittura 15 anni, in estate lavoravano duramente anziché andare al mare come gli altri coetanei. Questa
lunga gavetta ha consentito loro di acquisire una notevole esperienza nel settore. “Siamo soddisfatte,” conclude Ginella. “Malgrado i tanti momenti difficili, la nostra attività ha sempre resistito, riuscendo anzi a crescere nel tempo, come dimostrano le migliaia di clienti all’attivo. Con orgoglio possiamo dire di essere ormai un punto di riferimento per il territorio in fatto di tessuti e biancheria.”
A LATO, LE TITOLARI GINELLA E BENEDETTA PEZZOLI. IN ALTO, IL NEGOZIO A RUSSI CON L’AMPIA OFFERTA DI BIANCHERIA E ARREDO PER LA CASA.
MILENA BALDASSARRI ANNUNCIA IL RITIRO
Ha toccato il cielo con un dito. Poi ha pensato che poteva bastare così. Dopo un bronzo agli Europei Junior, un argento al nastro ai Mondiali Senior (prima italiana nella storia a salire sul podio di una gara individuale iridata), tre titoli italiani assoluti all around e ben otto scudetti vinti con la Ginnastica Fabriano, Milena Baldassarri ha detto basta. Proprio al culmine del suo percorso, a Parigi, con la seconda partecipazione olimpica, la ventitreenne ginnasta ravennate ha deciso di terminare la sua carriera. “La scelta l’ho maturata al termine delle Olimpiadi,” ammette. “Le belle sensazioni che mi ha lasciato Parigi e l’energia che ho percepito mi hanno fatto capire che non c’era niente di più che potessi volere. Poi ho continuato a gareggiare e ho atteso la fine dell’anno per rendere pubblica la mia decisione, che ho ovviamente comunicato alla mia società e ai miei familiari: se l’aspettavano.” Milena è diventata la terza ginnasta italiana dopo Giulia Staccioli e Irene Germini a partecipare a due rassegne olimpiche: a Tokyo 2020 (ma si è gareggiato l’anno dopo), con il sesto posto, è stata la prima italiana a ottenere un risul-
DOPO UNA
BRILLANTE CARRIERA
CONSEGUITA
NELL’AMBITO DELLA
GINNASTICA RITMICA NAZIONALE E INTERNAZIONALE, MILENA BALDASSARRI HA DECISO DI TERMINARE LA SUA CARRIERA. “LA SCELTA L’HO MATURATA
AL TERMINE DELLE OLIMPIADI A PARIGI.”
tato così alto nella finale individuale all around. “Ovviamente le due Olimpiadi sono state l’apice della mia carriera,” ammette, “anche perché sono state molto diverse tra loro. In Giappone eravamo nel pieno periodo del Covid: abbiamo gareggiato senza pubblico e ci siamo mosse tra tante restrizioni. A Parigi sapevo cosa aspettarmi sotto il profilo tecnico e agonistico ma non sapevo come sarebbe stato essere in pedana davanti al pubblico. Devo dire: è stato bellissimo. E anche al villaggio olimpico si è respirato un’aria di pace, di unione, di amicizia: proprio quello che lo sport deve dare prima di
tutto.” Ci sarebbero state ancora tante sfide sportive davanti a Milena, ma alla fine ha prevalso anche la stanchezza, un elemento ineliminabile di una disciplina, la ginnastica ritmica – ma lo stesso discorso si può fare per l’artistica – che chiede un tributo altissimo in termini di preparazione e tempo da spendere in palestra. Così dopo 15 anni di attività, l’usura inevitabilmente si sente. “Noi ci alleniamo tantissime ore, almeno otto ogni giorno, con tutti i sacrifici che questo comporta,” fa notare, “ed è inevitabile che la carriera di una ginnasta sia più breve di tante altre, anche perché inizia molto presto. Mettiamoci anche un carico molto forte sotto il profilo mentale. Però, la ginnastica è uno sport bello sotto tutti i punti di vista, ti forma caratterialmente e ti fa crescere a tutti i livelli. Lo consiglio a ogni ragazzina. Ma in generale, penso che fare sport sia importante, qualunque sia, se trasmette passione e voglia di farlo. E poi è importante darsi piccoli obiettivi, lavorando ogni giorno per conquistarli: quello grande, subito, non funziona. Lo sport non è tanto o solo la medaglia che si può conquistare o l’esito di una gara: è soprattutto divertimento, stare in compagnia, divertirsi.”
Per Milena fare sport era scritto nel destino, con la mamma nuotatrice. E infatti il primo impatto è con una piscina. Ma poi arrivano sci, equitazione e danza prima della folgorazione per la ginnastica ritmica, “lo sport in cui mi sentivo più a mio agio, in cui sentivo di esprimermi meglio.” Così all’età di cinque anni è allo Zodiaco, poi passa all’Edera, alla Gymnica ’96 Forlì, con la quale partecipa alle prime finali nazio-
nali, e da lì il salto a Fabriano, dove resta 11 anni: scuola di vita e di sport per Milena. “Non solo un team ma anche una nazionale aggiunta viste le tante atlete di alto livello che hanno militato e militano lì.” Una su tutte, Sofia Raffaeli, amica e compagna anche in nazionale. “Siamo cresciute insieme e siamo molto affiatate,” ammette Milena. “Quando le ho comunicato che smettevo, l’ho vista rattristata. Quando ho modo, la vado a trovare.” Ora per Milena, che appartiene al Gruppo sportivo dell’Aeronautica militare, è una sorta di tempo sospeso: con il ricordo ancora fresco dell’esperienza sportiva maturata e un futuro tutto da programmare. “Il mio podio preferito? Ho vinto tanto e serbo grandi ricordi di tutta la mia esperienza ma se devo fare una scelta le gare che mi hanno trasmesso più emozioni sono state il Mondiale a Sofia nel 2018 dove ho vinto l’argento e ovviamente le due Olimpiadi, quando ho avuto la conferma di essere entrata in finale.”
E sul futuro non si sbilancia. “Sono stata chiusa dentro quattro mura per anni. Ora voglio scoprire cosa c’è fuori e scoprire me stessa. Sto iniziando a studiare per prendere il patentino da allenatrice, poi vedremo. In questo momento non so se farò poi davvero l’allenatrice. Intanto ringrazio il corpo dell’Aeronautica che mi aiuta in questa fase a trovare la mia nuova via, facendomi restare nel corpo e permettendomi di restare a Vigna di Valle.”
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