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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Artù n°47 - Novembre - Dicembre 2011

Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

Focus Vino: il Prosecco pensa al futuro Capua Winery a Saturnia: il varietale vince Valrhona, leader nel Grand Chocolat Locanda Sandi, il respiro del tempo

Novembre Dicembre 2011

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EDITORIALE n°47

edi tori al Bocconi AMARI

Archiviata l’era dell’ottimismo fuori luogo, usciti da un lungo periodo che ci ha allontanato dall’Europa, godiamoci (si fa per dire) questo governo senza politici di professione, “l’ultima possibilità dell’Italia di salvarsi dal baratro”, dicono in molti riferendosi al nuovo esecutivo fatto di “tecnici” che, in quanto tali, dovrebbero innanzitutto essere imparziali. Ma a questo punto sorge spontanea una domanda, un pizzico retorica: essere imparziali (supposto che lo siano, visti i curricula di alcuni ministri fortemente legati all’impero bancario e finanziario) equivale ad essere competenti? La lontananza dalle segreterie politiche della gran parte dei nuovi ministri è garanzia automatica di serietà ed efficienza? L’avere occupato cariche istituzionali molto importanti nei consigli di amministrazione di istituti di credito e società di gestione pubbliche e private basterà a restituire al paese la statutarietà perduta? Domande a cui non è semplice dare una risposta esauriente. Mi sembra di vedere, tra i nostri lettori, qualcuno che storce il naso: ma a questi di Artù non gli va bene niente? D’accordo, d’accordo: cerchiamo dunque di farci piacere il nuovo governo Monti che, come si diceva, ha il grande merito di avere “soppresso” il precedente, archiviando nani, ballerine & co.. Chiodo schiaccia chiodo, si dice così? Ma, accanto ai tanti fiduciosi, abbiamo anche l’obbligo di ascoltare chi non si illude, a partire dai più seri professionisti dell’ospitalità, i tanti ristoratori e albergatori che per lo Stato esistono solo in quanto “soggetti fiscali”, ai quali chiedere senza mai dare. Sarà pur vero che, come disse Silvio Berlusconi (dichiarazione dello scorso novembre, prima della caduta del suo governo) “i ristoranti sono sempre pieni”, ma ci pare di poter dire che molti sono

sì pieni, ma di tavoli vuoti. A parte McDonald’s, la ristorazione italiana soffre come non mai, soffocata da una crisi senza fine, ma anche da una mancanza di idee e risorse, incapace com’è di adeguarsi ad un mondo che cambia. E anche quei locali che sembrano “pieni”, lavorano in modo discontinuo, grazie a flussi di clientela che sono assolutamente casuali ed episodici e non certo frutto di una ripresa di quel reinvestimento (edonistico o di necessità), collegato ad un’economia solida. Noi diciamo da anni che chi lavora bene, con professionalità e capacità gestionali, dovrebbe essere in grado di vincere ogni sfida e di superare il baratro della crisi, ma –in un momento tragico come l’attuale- il comparto dell’ospitalità non può essere lasciato solo: un settore delicato, fondamentale per l’economia, che rappresenta la nostra migliore immagine e che (nonostante ritardi culturali e attaccamento al passato) è destinato ad essere sempre più strategico nel sistema Paese. Finora non ci pare, dalle dichiarazioni del neoministro del Turismo né da parte del dicastero dell’Agricoltura, che sia emerso un orientamento alla valorizzazione e al sostegno effettivo (e non parolaio, come nei precedenti governi) del Made in Italy e delle sue risorse. Se prima, confessiamolo, non impazzivamo per la ministro Brambilla che, semel in anno, si ricordava che esistono i cuochi italiani, ora non gridiamo certo “evviva!” di fronte alle promesse di tagli e di aumenti dell’Iva che, di certo, non aiutano la ripresa. “Ma è solo un fatto transitorio, destinato a mettere ordine e ridare credibilità all’Italia di fronte all’Europa”, scrivono i giornali. Sarà. Ma, nel frattempo, non si intravedono decisioni coraggiose, in grado di sopperire alle difficoltà sul mercato interno: anzi, la reintroduzione dell’Ici ri-

schia di diluire il già scarso potere d’acquisto degli italiani, o meglio dei soliti italiani (l’80% della popolazione è proprietaria di almeno un immobile). Invece, sembra che là dove si dovrebbe andare a raccogliere (e a fare un bel raccolto!) con una imposta patrimoniale seria, se ne stiano tutti tranquilli, forti di una intoccabilità dura a morire, degna di un paese amministrato da una casta potente..Eppure ci dicono che finalmente “pagheranno quelli che non hanno mai pagato”. Sarà, ma non ci credo, diceva qualcuno. E dire che lo scudo fiscale del precedente governo consentirebbe di recuperare grandi evasori, che potrebbero dare, se opportunamente individuati, ottime contribuzioni al risanamento. Non sarebbe meglio applicarsi con tenacia e concretezza per consentire una ripresa dei consumi, che viceversa languono da troppo tempo? E colpire chi ha già tanto (e sono tanti)? È più importante dare slancio all’economia reale, con incentivi destinati alla ripresa del volano, o rassicurare i mercati forti dell’area euro, pescando nel solito mare dei tartassati storici? Siamo molto preoccupati che le nuove misure siano solo un aperitivo amaro (ma non un bitter), forse necessario per un primo “assaggio” di risanamento del Paese, ma anche deleterio per le piccole imprese (l’offerta) e il ceto medio (la domanda), completamente bloccati nelle proprie possibilità di investimento e di spesa. E, quindi, di ripresa. Alberto P. Schieppati

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In copertina, perlage di Prosecco. A oltre due anni dall’approvazione della Docg, il pianeta Prosecco si interroga sul futuro, diviso fra rispetto della migliore tradizione e rinnovato interesse per ambiente e sostenibilità. Artù fa il punto su prodotto e mercati con il Consorzio di tutela ed alcuni produttori.

Info people Grandi ritratti per We Love Coevo di Celeste Riccoboni Cooking Pellegrino, lo chef è donna Sparkling Menù, vince Conca Bella Info people&brand Manzo inglese, chef, e tanto Made in Italy L’oro in cucina, birra e bollicine Focus vino Conegliano Valdobbiadene, una Docg dalle tante facce di Roger Sesto Qualità e stile nel successo di Cavit di Elisa Facchetti Capua Winery, la forza di ogni vitigno di Alberto P. Schieppati Focus food Valrhona, il cioccolato di altissima gamma di Marta Lai Protagonisti food Pesce di lago? Alla Colombara si può di Fiorenza Auriemma La fascinosa cuoca di Bloom In The Park di Sara Alberti Format food Extra Vergine di Oliva, un acronimo per Evo di Fiorenza Auriemma Anche a Milano decolla Eat’s di Luisa Contri Tipico Prosciutto di Carpegna, la Dop è mignon di Davide Bernieri Accueil Lo zampino di Gordon Ramsay nel resort chiantigiano di Claudio Zeni Locanda Sandi: il respiro del tempo di Fiorenza Auriemma Libri La biografia di Adrià e i pensieri di un enotecaro Secondo Artù Tantris di Novara in vetta, riparte Celletti e poi…

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Grandi ritratti per We Love COEVO

di Celeste Riccoboni A Castellina in Chianti, lo scorso ottobre, è stato presentato un grande volume, destinato a rimanere nella memoria storica di quanti amano un vino superlativo, icona della Toscana più autentica e innovativa. L’evento, svoltosi nelle suggestive cantine della famiglia Cecchi, ha messo in risalto l’attento lavoro fotografico di un grande ritrattista, Ferdinando Cioffi. Accanto al grande Coevo, il rosso Toscana Igt concepito dai fratelli Cesare e Andrea Cecchi, possiamo dire che il vero protagonista della giornata è stato lui, Ferdinando Cioffi, il fotografo che ha immortalato in uno splendido volume 154 ritratti di chef, giornalisti e ristoratori che hanno partecipato al “Coevo Tour”. Il viaggio ha coinvolto nei mesi scorsi

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cinque ristoranti italiani stellatissimi: l’Enoteca Pinchiorri, Le Calandre, da Vittorio, dal Pescatore, l’Acquarello di Monaco di Baviera. Cinque celebri location, che rappresentano al meglio l’immagine e la creatività dei grandi chef italiani, nelle quali si sono svolte le presentazioni esclusive di Coevo. L’incontro di Castellina ha visto oltre duecento invitati ed ha rappresentato un momento unico e memorabile: “È stato un susseguirsi di emozioni uniche”, ha detto Cesare Cecchi. E, in effetti, poter contare sulla presenza di grandi ristoratori, chef paludati e giornalisti affermati, non è un fatto di tutti i giorni, a maggior ragione se accompagnato da un vino come Coevo, abbinato agli splendidi piatti della brigata di Pinchiorri (guidata da Italo Bassi), perfetti nella loro semplicità (mitica la trippa baccalà e ceci, ottimo il risotto con nervetti di vitella e porcini, indimenticabile il piccione grigliato e poi marinato all’extravergine di oliva). La giornata è stata ovviamente dominata dalla presentazione del volume We Love Coevo, nel quale gli scatti di Cioffi fanno realmente la differenza: “Ogni immagine che compone questo racconto, ha sottolineato Andrea Cecchi, rappresenta una singola storia e una singola emozione: ogni ritratto rivela un amico, talvolta un esempio da seguire, spesso un riferimento professionale d’eccellenza”. Con loro, i Cecchi hanno voluto condividere un momento importante per l’azienda vitivinicola, facendoli diventare i veri protagonisti della storia di Coevo e della sua affermazione sul mercato della ristorazione di alta qualità. Ferdinando Cioffi, mirabilmente presentato da Fede e Tinto, gli anchormen radiofonici che hanno scelto la strada dell’informazione gourmet su Radio2, ha confermato con elegante discrezione –di fronte ad oltre duecento ospiti, tra cui 50 chef stellati Michelin–, il suo ruolo attivo nel “fermare” l’immagine di personaggi che, a vario titolo, sono “innamorati” del Coevo, arrossendo di fronte alle attestazioni di stima verso il volume, arrivate da illustri personaggi. Un vero personaggio, che ha fotografato nella sua carriera i più bravi e famosi chef,

italiani ed internazionali. E che con questa ultima fatica, fortemente voluta dai fratelli Cecchi, ha inteso dare un ulteriore contributo estetico alla valorizzazione di un mondo, quello degli enogourmet, cha sta reagendo coraggiosamente alla crisi. Per l’occasione, la cantina Cecchi ha proposto, in abbinamento ai piatti dell’Enoteca Pinchiorri, la grande annata di Chianti Classico Villa Cerna 1988 e le due annate 2006 e 2007 di Coevo, rigorosamente in magnum. Annie Feolde e Giorgio Pinchiorri con Cesare Cecchi e, sopra, la dedica dell’autore ai due grandi personaggi. Sotto, Ferdinando Cioffi, a sin., con Patrizio Cipollini e Vito Mollica, rispettivamente direttore generale e chef del Four Seasons di Firenze, tra loro Alberto Schieppati.

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Cooking Pellegrino Lo chef è DONNA

della Cucina Italiana del 2008 (con protagonista il giornalista e storico Martino Ragusa), e l’omaggio ai 150 anni dell’ Unità d’Italia, festeggiati lo scorso anno attraverso un connubio fra la tradizione culinaria lombarda e le materie prime sicule, nel 2011 è toccato alle donne della grande ristorazione italiana mettersi in mostra, dando prova tangibile del proprio talento in un’ideale gara d’arte culinaria, snodatasi lungo due giornate culminate con altrettante serate-gourmet. A presentare le chef un parterre d’eccezione, anche in Grande successo per l’ottava edizione questo caso tutto al femminile, che ha del Pellegrino Cooking Festival di Mar- visto protagoniste Paola Alagna e Caterina sala, svoltosi lo scorso ottobre. L’evento, Tumbarello –oggi impegnate nella gestione voluto dall’azienda siciliana per cele- manageriale delle Cantine Pellegrino- per brare e valorizzare l’alta cucina e la arrivare fino alle nuove generazioni rapricchezza enogastronomica italiana, presentate dalla ventiquattrenne Maria ha visto protagoniste nove cuoche ai Chiara Bellina. Così, alla presenza del presidente Alagna e del gruppo dirigente vertici della nostra ristorazione. Le suggestive torri panoramiche delle Cantine Pellegrino, a Marsala, sono state ancora una volta teatro di un evento destinato a promuovere e valorizzare la grande cucina italiana (e non solo). Nel solco di una consuetudine che vede la storica cantina presieduta da Pietro Alagna impegnata in prima fila nell’esaltazione della grande enogastronomia d’autore, abbinata ai grandi vini siciliani, quest’anno la kermesse è stata dominata da nove grandi cuoche che hanno letteralmente stupito ospiti e giornalisti per la loro bravura e professionalità. Dopo il manifesto

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dell’azienda, da Benedetto Renda a Massimo Bellina fino ad Emilio Ridolfi, le chef hanno presentato i loro grandi piatti ad una platea di gourmet ed enoappassionati che hanno avuto modo di degustare, in abbinamento alle portate, i grandi vini dell’azienda Duca di Castelmonte (da Gibelé a Tripudium e ad Antipodes), ma anche i Marsala Pellegrino Riserva 1981 e –mitico, armonico, equilibrato- il Marsala Fine Rubino, che ha letteralmente entusiasmato. Le cuoche, tutte stellate tranne la milanese Viviana Varese, in odore di stella, hanno entusiasmato: Valeria Piccini, del Caino di Montemerano (Gr), ha presentato un centrifugato di pomodori verdi con baccalà arrostito, mentre Vera Caffini,

cante su letto di insalata belga, crescione, agrumi con salsa di ricci di mare e petali di fiori eduli, Fabrizia Meroi del Laite di Sappada (Bl) ha portato a Marsala il suo cervo cotto a bassa temperatura con punte di abete, mentre Mariuccia Roggero Ferrero, del San Marco di Canelli (At) ha cucinato favolosi agnolotti del plin al tovagliolo con tartufo bianco d’Alba e del Monferrato: un piatto simbolo del Piemonte gourmet, che è stato abbinato al Dinari del Duca Syrah 2008 Igt Sicilia, di Duca di Castelmonte. Last but not least, il dessert di Viviana Varese, del milanese Alice, ovvero mousse al cioccolato con cuore di liquirizia, salsa inglese allo zafferano e aceto balsamico.

dell’Aquila Nigra di Mantova, i tortelli di zucca al burro fuso e grana. La giapponese Reiko Yanagi, di Tokyo, si è cimentata con un pesce spada con zuppa di ceci e ganberetti, mentre Rosanna Marziale ha stupito con la pancia a bassa e alta temperatura con latte di mozzarella di bufala dop; Patrizia Di Benedetto del Bye Bye Blues di Mondello (Pa) ha presentato un bisquit di frutta secca con granita di caffè al Marsala Extravergine Soleras. La romana Agata Parisella, del romano Agata e Romeo, ha preparato un tournedos di cappasanta avvolta nella pancetta crocArtù n°47

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SPARKLING Menù Villa Vince Conca Bella L’evento enogastronomico voluto da Villa, la Cantina di Franciacorta caratterizzata dall’eccellenza delle proprie bollicine e dalla continua evoluzione qualitativa, ha visto tre protagonisti che, fino all’ultimo, si sono contesi la prima posizione. Finalisti della kermesse, che prevedeva la creazione di un piatto da abbinare al Villa Franciacorta Cuvette Millesimato 2005, erano gli chef Alessandro Dal Degan della Tana R&O di Asiago (Vi), Marco Salamini, della Torre di Spilimbergo (Pn), Gian Luca Bos del Conca Bella di Vacallo (nella Svizzera italiana, in Canton Ticino). I tre sfidanti, già vincitori delle rispettive categorie, hanno presentato i piatti ad un pubblico di oltre 200 persone, tra cui i componenti della giuria, presieduta da Alberto Schieppati, direttore di Artù. Notevole l’impegno di tutti i componenti il terzetto (che a loro volta rappresentavano le tre categorie tipologiche nelle quali era segmentato il concorso: ristorazione d’albergo, ristorazione tipica e tradizionale, ristorazione gourmet e creativa): la giuria ha discusso a lungo, dato il livello qualitativo molto elevato di tutti i partecipanti, prima di emettere il verdetto, arrivato alla fine di una sontuosa cena svoltasi presso la cantina, nella quale sono stati presentati i piatti concorrenti. Così, fra il trancio di baccalà in

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pane all’amatriciana di Alessandro Dal Degan, i ravioli di pasta alla clorofilla ripieni di mazzancolle dell’Adriatico su crema di peperone e profumo di kren di Marco Talamini, il piccione in due cotture con succo di mela alla fava Tonka, marmellata di scalogno in agrodolce, gnocco di semola alle olive taggiasche di Gian Luca Bos, è risultato vittorioso proprio quest’ultimo. Gian Luca Bos, una stella Michelin, chef del Conca Bella di Vacallo, il ristorante d’albergo di Ruth Montereale, creato nel 1984 insieme al marito Rocco Montereale, grande appassionato ed esperto di vini, si è così aggiudicato -in una finale al fotofinish- l’ambito trofeo. Con questo piatto, Bos unisce alla tradizione mediterranea una continua ricerca di modernità, influenzato da aromi e profumi di paesi lontani: un piatto che ha entusiasmato, anche per l’abbinamento ideale con la Cuvette Brut 2005, attorno al quale si era sviluppata la nona edizione del concorso. Al termine della serata Roberta Bianchi e Paolo Pizziol, patron dell’azienda vinicola, hanno sottolineato la professionalità e la signorilità di tutti e tre i cuochi, che hanno saputo creare un clima di collaborazione, senza alcuna rivalità né spirito competitivo, dominati solo dalla volontà di lavorare ai massimi livelli per proporre tre grandi piatti, ognuno con le proprie caratteristiche e particolarità.



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Manzo inglese, CHEF, e tanto Made in Italy ‘Your Special Beef’: lezioni di Andrea Berton Andrea Berton

valorizzare al meglio l'eccellenza di questo prodotto. Secondo i dati diffusi da Eblex, Beef and Lamb Sector Company, la carne inglese piace sempre più, facendo registrare ottime performance sul fronte export: nei primi tre mesi del 2011 sono state esportate in tutto il mondo 32.719 tonnellate di beef (+ 38.71% rispetto al 2010), 20.639 tonnellate di agnello (+ 1.61% rispetto al 2010), e l'Italia ha importato 1.930 tonnellate di manzo inglese confermandosi uno dei mercati più importanti per l’export di carne bovina inglese.

Miscelazione d’avanguardia L'Associazione Professionale Cuochi Italiani di Milano ha ospitato lo scorso ottobre un importante evento organizzato da Eblex, l’Ente inglese che promuove le carni bovine e ovine in Europa. 'Your Special Beef', così è stato battezzato il master class, ha visto protagonista lo chef stellato Andrea Berton: "In questi anni di collaborazione con Berton – afferma Jeff Martin responsabile Eblex in Italia – sono nati numerosi e interessanti progetti. Le motivazioni per cui tre anni fa abbiamo scelto questo grandissimo chef come testimone dei nostri prodotti non sono mai venute meno, anzi si sono rafforzate sempre di più. Berton è la persona giusta per rappresentare la qualità delle nostre carni e dà sicuramente un valore aggiunto al nostro lavoro". Una lezione, quella di Berton, finalizzata a illustrare l'impiego della carne di manzo Quality Standard, con particolare attenzione sui tagli, la cottura e le nuove tecniche di lavorazione, per

Ovvero l'esaltazione dalla gastonomia liquida, e tutto quello che rappresenta la 'mixologia', un concetto utilizzato per la prima volta a metà del XIX secolo, ma portato alla ribalta internazionale soltanto pochi anni fa, grazie alle sperimentazioni di alcuni barman inglesi. Da qui la volontà della società Fratelli Rinaldi Importatori di organizzare a Milano, nella cornice del Gattopardo Cafè – replicando il primo workshop a Roma

Laurent Greco

Si valutano proposte professionali

Direttore Commerciale Vasta esperienza in primarie società nel campo della Ristorazione, Editoria, Pubblicità, Comunicazione, Eventi. Capacità nella gestione di progetti complessi, creazione, conduzione e organizzazione di reti vendita dirette e indirette. Conoscenza del mercato, gestione risorse umane. Approccio proattivo e propensione a lavorare per obiettivi in mercati competitivi.

– un evento dal titolo 'Mixology by Perrier', un’introduzione professionale al mondo della 'mixologia' riservata ai barman professionisti firmata Perrier. Due i protagonisti dell'evento: Laurent Greco, 'Liquid Chef' di Parigi conosciuto per la sua professionalità nel campo della miscelazione, e acqua Perrier. Nel corso del workshop Laurent Greco ha abbinato l'acqua Perrier a particolari ingredienti quali tè, cetriolo, zenzero, peperoncino e tartufo, fino a proporre tecniche molecolari, lavorando con Perrier sulla texture degli ingredienti abbinati, esplorando le proprietà fisiche e chimiche degli ingredienti stessi. A coronare l'evento una gara di cocktail con la preparazione di ricette a base di Perrier.

The ultimate pasta experience L'ultima sfida in fatto di pasta porta la firma del pasticficio Felicetti. Dopo ripetute ricerche, nasce lo Spaghettone Monograno: diametro 2,3 millimetri – ottimale per l’utilizzo gastronomico –, grano duro, specie monovarietale Matt, trafilatura al bronzo ed essiccazione controllata. “Lo Spaghettone è il formato che più di altri misura la capacità del Pastaio di tradurre in cibo un frutto della terra, soprattutto per la difficoltà derivante dal processo di essiccazione, principalmente riconducibile alle dimensioni del diametro: più è spesso, più difficile è seccarlo omogeneamente, evitando rotture nella struttura” spiega Paolo Felicetti, Mastro Pastaio della famiglia. Da qui è iniziata una nuova sfida che ha visto protagonisti Riccardo Felicetti e Davide Scabin, chef bistellato del Combal.Zero, e da più di un anno interprete di Monograno: “Se dovessimo immaginare uno spartiacque all’interno del percorso che ho intrapreso con Monograno Felicetti – dice Scabin – potremmo identificarlo

Per contatti: dir.comm.recruitment@gmail.com

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Riccardo Felicetti e Davide Scabin Artù n°47

con la creazione dello Spaghettone, una linea, non solo ideale, che mi conduce a nuovi orizzonti della galassia pasta”. Nasce così The Ultimate Pasta Experience, l'evento-degustazione ospitato presso il Ristorante Combal.Zero nel Castello di Rivoli, a Torino. Davide Scabin e Riccardo Felicetti hanno così proposto un'esperienza gustativa, visiva e olfattiva declinata in sei piattisimbolo dedicati all'interpretazione di Monograno, e ovviamente dello Spaghettone. Le sperimentazioni di Scabin sulle cotture in acque minerali elevano ancora di più le caratteristiche della linea Monograno e dello Spaghettone, cotto per l'evento in acqua minerale naturale Lurisia Stille, imbottigliata come nasce alla fonte.

Export vini bianchi italiani: il futuro è rosa 'Scenari internazionali: opportunità e minacce per i vini bianchi d'eccellenza'. Questo il titolo del convegno organizzato recentemente a Gorizia dal Consorzio di Tutela Vini Collio e Carso, realtà che associa 200 aziende con una produzione di 6 milioni di bottiglie (per l'80% di vini bianchi) per un valore di mercato di 200 milioni di euro. L'analisi di mercato ha rilevato buone possibilità di espansione del vino bianco italiano, scelto maggiormente dal consumatore statunitense e occidentale, come affermano i dati di Assoenologi. Al convegno, importanti riflessioni sembrano confermare scenari incoraggianti: Antonio Galloni, del The Wine Advocate, Paul Wagner, presidente californiano di comunicazione e marketing Balzac, e Philip Cayman della britannica Wine Intelligence, affermano come le prospettive di mercato per i bianchi italiani siano molto positive, grazie al radicamento della ristorazione italiana negli Stati Uniti e alla sua capacità di proporre i giusti abbinamenti tra cibo e vino. Il 39% dei giovani inglesi sembra addirittura preferire il vino bianco ai rossi. D'altra parte il mercato asiatico rivela una nota di torpore,



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Paolo Marchi così come dichiara Michèle Shah, giornalista ed esperta di marketing del vino nei mercati internazionali: "In Asia l'Italia è di moda, ma i suoi vini sono ancora poco conosciuti, specialmente i bianchi, perché il nostro paese è visto come terra di rossi". E così commenta Patrizia Felluga, presidente del Consorzio Tutela Collio e Carso: "Proprio all'Asia, ai paesi Bric e agli Stati Uniti guarda il nostro progetto di promozione 2012-2014. Progetto che può contare su un budget di 3,4 milioni di euro, cofinanziato con fondi dell'OCM vino e destinato a incrementare il peso dei vini bianchi friulani sull'export nazionale: 65, 5 milioni di euro, ovvero l'1,7% dei 3.917,4 milioni di euro complessivi".

Identità Londra Marchi vince la sfida Il congresso di Identità Golose, ideato da Paolo Marchi (nella foto), è ormai diventato un veicolo di esportazione della migliore cucina italiana e dei prodotti d’eccellenza del Made in Italy. È un evento a scadenza annuale ormai consolidato in patria in grado di richiamare l’attenzione di cuochi e addetti ai lavori da tutto il mondo, ma da qualche stagione è anche un congresso da esportazione, che ha deciso di giocare in trasferta spostando l’attenzione su palcoscenici di rilievo quali l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Proprio nell’ottobre scorso è andata in scena la terza edizione del congresso (compresso nella

Massimo Bottura sola giornata di martedì 18 ottobre) in quel di Londra, che ha visto una nutrita e qualificata rappresentanza della cucina italiana (c’erano Ciccio Sultano, Davide Scabin, Massimo Bottura, Davide Oldani, Antonino Cannavacciuolo e Paolo Lopriore), oltre a una serie di esponenti dei migliori prodotti del Bel Paese, dal vino al formaggio, dalla pasta al caffè. La giornata si è svolta negli spazi eleganti del Town Hall Suite & Apartments, raffinato hotel di recente realizzazione nel quartiere periferico di Bethnal Green, un tempo una delle aree più malfamate della capitale inglese, e ora vivace quartiere multietnico che sta diventando uno dei punti più 'in' di Londra, grazie alla presenza di ristoranti, di gallerie d’arte e di negozi

alternativi. Non solo, proprio a Bethnal Green e al piano terra dell’hotel, si trova uno dei ristoranti inglesi detentori di stella Michelin tra i più originali, quel Viajante del portoghese Nuno Mendes che, in qualche modo, ha fatto da padrone di casa per i cuochi italiani che hanno partecipato a Identità London, seguendo in prima persona lo svolgimento dei lavori. Nel corso della giornata del 18 si sono susseguiti laboratori, incontri e degustazioni con giornalisti e gourmet attenti e appassionati, che hanno in qualche modo incontrato e scoperto le novità della cucina creativa e d’avanguardia italiana di questi anni. Poi, a fine giornata, si è svolta una cena di gala informale e decisamente divertente, alla quale




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hanno partecipato un po’ tutti, compreso Nuno Mendes, con piatti che hanno stupito l’intera platea. Tra questi, vale la pena di citare gli Spaghetti freddi con sedano, uova di aringa e anice di Paolo Lopriore e l’Ossobuco, zafferano e riso, sempre al dente, di Massimo Bottura. Tra i tanti presenti, nel corso dell’intera giornata, si è visto anche Massimo Riccioli, un altro italiano d’esportazione che da pochi mesi ha inaugurato il suo nuovo ristorante Massimo all’interno del Corinthia Hotel, a pochi metri da Trafalgar Square. Proprio nel suo locale, la sera prima, si era svolta un originale private dinner a base di pesce, che rimane la grande passione del cuoco romano anche in terra d’Albione.

Premio Coppa d’Oro Organizzato e promosso dalla Camera di Commercio di Piacenza e dal Consorzio Salumi Tipici Piacentini, il Premio Coppa D’Oro, istituito nel 2007 e giunto ora alla sua quinta edizione, intende valorizzare e diffondere la conoscenza dei prodotti della gastronomia piacentina, in particolare la coppa D.O.P., e il territorio piacentino. L’edizione 2011 del Premio Coppa D’Oro, che ogni anno premia personalità che si sono distinte nel proprio settore, dalla cultura alle istituzioni, dallo sport allo spettacolo, si è svolta nella sala d’onore del Castello di Rivalta, a Piacenza. Quest'anno si aggiudicano il premio Antonio Zanardi Landi, Ambasciatore d'Italia nella Federazione Russa, Luigi Roth, Presidente di Terna, Rete Elettrica Nazionale Spa, ed Enzo Iacchetti, conduttore televisivo, attore e regista. Come di consueto, accanto alla premiazione, il tradizionale convegno – quest'anno dal titolo 'La Cultura della Qualità, le eccellenze alimentari nello sviluppo del territorio' – ha inteso approfondire il valore e il ruolo che sempre più hanno le eccellenze alimentari nella caratterizzazione di un territorio, come la Coppa Piacentina DOP, bandiera agroalimentare del territorio piacentino.

Quella pizza è ottima, ma da sola non basta “Domanda: è obbligatorio essere gentili verso il cliente? No, ovviamente. Però fa piacere essere trattati bene, con cortesia non affettata e con rispetto. Seconda domanda: la qualità dei piatti può giustificare l’inciviltà del trattamento e l’approssimazione nel servizio? La risposta, in questo caso, è meno scontata: sono tanti, infatti, i luoghi in cui si mangia (e si beve) bene, ma si è trattati in modo inadeguato. Spesso si tratta di locali di successo, che hanno una clientela fedele che, nonostante sia trattata a pesci in faccia, è tutto sommato soddisfatta. Sisifo è sempre più convinto che l’essere umano sia masochista e che, alla fin fine, adori essere maltrattato. O meglio, preferisca apparire disponibile e ammiccante, piuttosto che far valere i propri diritti quando vengono calpestati. Non si spiega diversamente il successo di quella piccola catena di pizzerie, “dal 1953” . Qui, in uno dei quattro locali milanesi che (va detto) fanno una pizza, servita al trancio, davvero ottima e venduta a prezzi estremamente ragionevoli, l’elemento umano sembra del tutto secondario. Forse è giusto così, che dite voi? All’ingresso nel locale non si viene quasi mai salutati, imperiosamente ti indicano dove sederti (che non è mai dove vorresti), si attende spesso oltre il dovuto, si è trattati con sufficienza e senza alcun sorriso (a parte rare eccezioni) durante tutta la permanenza nel locale. Certo, la pizza è buona, chapeau: morbida e soffice all’interno, leggermente croccante sui bordi, con mozzarella e pomodori di qualità superiore alla media dell’offerta dei locali similari. Una formula di fronte alla quale viene spontaneo dire: complimenti!. Ma al tempo stesso, Sisifo vuole (anzi, pretende) anche quel valore aggiunto che, se forse non è giustificato dai 5 euro del magico trancio, dovrebbe fare parte a pieno titolo dell’offerta del gruppo milanese. La sua pizza se lo merita. E, crediamo, anche i clienti. Sisifo


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L’ORO in cucina, birra e bollicine Interpretazioni di luce: l’oro in cucina

Oro e Argento anche in cucina. Dal famoso risotto alla milanese con la foglia d'oro, alle nuove 'interpretazioni di luce': è questa la tendenza del momento, un'intuizione tanto apprezzata – e quanto mai azzeccata – messa a punto della nota azienda Giusto Manetti Battiloro S.p.A, nata a Firenze come piccola bottega di 'battiloro' e diventata, grazie a Luigi Manetti e alle generazioni successive, leader nella produzione di 'foglia oro', come decorazione dei più importanti edifici e monumenti in tutto il mondo. Oggi la stessa 'foglia oro' firmata Manetti ha aperto al campo alimentare infinite potenzialità: dalla classica foglia, ai nuovi prodotti come 'Polvere', 'Briciole', 'Petali', in Oro 23 Karati o in Argento Puro 999,9/000, da utilizzare con il pratico spargitore in vetro creato ad hoc per ren-

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dere oro e argento alimentare un prodotto fruibile da tutti. Simboli di ricchezza e di potere, di bellezza e di divinità, l'oro e l'argento ci parlano di popoli antichi e tradizioni millenarie, ed è scavando nel passato che troviamo i primi esempi di utilizzo di polvere d'oro in ambito alimentare: cibi consacrati agli dei come simboli votivi. Da qui l'intuito di creare la linea 'Edible' Oro e Argento Alimentare dedicata al mondo della cucina, un dono prezioso per tutti gli chef, e anche cuochi amatoriali, che desiderano dare un tocco di luce e di grande creatività a cocktail, aperitivi, primi e secondi piatti, dolci e dessert. Distributore Esclusivo per il settore gioiellerie della linea 'Edible' la nota azienda orafa Unoaerre Industries S.p.A., fondata ad Arezzo nel 1926 da Leopoldo Gori e Carlo Zucchi, specializzata nella produzione e distribuzione di oreficeria in oltre 30 Paesi nel mondo. Unoaerre Industries ha siglato lo scorso luglio un importante accordo commerciale con l'azienda Giusto Manetti Battiloro S.p.A., assumendo il ruolo di Distributore Esclusivo per tutte le gioiellerie su territorio italiano della linea 'Oro e Argento Alimentare', certificata dai laboratori LGA secondo i termini previsti dalla vigente Normativa Europea per la decorazione alimentare.

Limited Edition: Berlucchi festeggia Franco Ziliani ‘Produrre in Franciacorta un vino spumante capace di misurarsi con lo Champagne'. Questo era il sogno dell'enologo Franco Ziliani, interpellato da Guido Berlucchi per ovviare alla scarsa stabilità del suo vino, una consultazione che richiamò l'attenzione anche di Giorgio Lanciani. Nel 1954 nasceva così la società Guido Berlucchi & C. e, nel 1961, venivano proposte le prime bottiglie di metodo classico, battezzate dallo stesso Ziliani come 'Pinot di Franciacorta', un

nome che rivelava già dall'etichetta la terra di produzione. Da qui parte la storia, ricca di successi, della Berlucchi, che ha saputo diffondere in Italia, e nel mondo, un nuovo modo di bere il metodo classico: non solo stappato nelle occasioni più importanti e nei festeggiamenti, ma soprattutto degustato a tutto pasto. E per celebrare l'intuizione vincente, Berlucchi ha dedicato per gli 80 anni di Franco Ziliani il nuovo Franciacorta 2007 in edizione limitata. Solo uve Chardonnay provenienti dai vigneti Piazze e Quindicipiò di Borgonato, a pochi metri dalla sede storica: “Questa cuvée speciale assomiglia a nostro padre”, dicono Cristina, Arturo e Paolo Ziliani, "è austera fuori, col suo vetro nero illuminato dai riflessi metallici di un esplicito 80, e lieve dentro: si tratta infatti di un Blanc de Blancs vendemmia 2007, annata contraddistinta dall’estrema leggerezza e piacevolezza delle basi Franciacorta". Il magnum, proposto in un cofanetto in legno, è reperibile presso enoteche selezionate al costo di circa 180 euro.

Biennale di Venezia: Bellussi e Belpoggio fornitori ufficiali Nella serata d’apertura della scorsa edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, gli organizzatori della Biennale hanno offerto una cena a lume di candela, il tutto accompagnato da vini d'eccellenza. Per l'occasione è stata allestita la tensostruttura, completamente trasparente, di fronte alla Terrazza dell’Hotel Excelsior : un menu caratterizzato da piatti di terra e di mare, e vini veneti e to-

scani in abbinamento. Per i bianchi Bellussi Valdobbiadene e per i rossi Belpoggio di Montalcino, le due aziende vinicole di proprietà di Enrico Martellozzo, che per il terzo anno consecutivo ha firmato un contratto di collaborazione con la Fondazione Biennale di Venezia come fornitore ufficiale per i vini. "L’esperienza degli anni precedenti e il lavoro svolto insieme – ha detto Martellozzo - hanno permesso delle sinergie di sicuro interesse. D’altra parte, da oltre dieci anni, abbiamo scelto di supportare le varie forme d’arte per comunicare i nostri brands". Bellussi ha inoltre ottenuto un significativo apprezzamento dal Premio Guggenheim – Impresa & cultura. Nella foto Enrico Martellozzo con Lina Wertmuller.

König Ludwig, Premium German Beer Dal 1753 il marchio König Ludwig è sinonimo di birra Premium tedesca, chiara, a bassa fermentazione, prodotta secondo i metodi tradizionali della Baviera, grazie all’utilizzo di materie prime di qualità provenienti dal Sud della Germania. Ma la sua storia è ancora più antica ed è legata all'antico casato Wittelsbach, la famiglia di Sua Altezza Reale Principe Luitpold di Baviera che, da più di 700 anni, rappresenta la cultura birraria bavarese e tedesca. Alcuni aneddoti ne confermano la grande passione: nel 1516 il Duca Wilhelm IV


del casato Wittelsbach emana il famoso Editto di Purezza (per la produzione di birra si possono usare solo tre ingredienti: luppolo, malto e acqua), e Re Ludwig I, in occasione del suo matrimonio, organizza il primo Oktoberfest e inventa i biegarten (spazi all'aperto dedicati alla vendita di bevande alcoliche, ma soprattutto birra). Re Ludwig II nel 1868 segue la tradizione birraria dei Wittelsbach con la fondazione della 'Scuola Politecnica di Monaco', dalla quale poi nasce 'l’Accademia Reale Bavarese per l’Agricoltura e i Birrifici', con una facoltà dedicata alle scienze di birrificazione. Parte del Gruppo Warsteiner, il marchio König Ludwig si distingue per diverse specialità birrarie: König

Ludwig Dunkel, König Ludwig Weissbier, König Ludwig Spezial e König Ludwig Schloss-Keller. Nel portfolio delle 'Specialità' del Gruppo Warsteiner, che distribuisce i prodotti della König Ludwig Schlossbrauerei Kaltenberg, segnaliamo la König Ludwig Hell: rappresenta il tipico esempio di birra bavarese Lager caratterizzata dal colore paglierino molto chiaro e da un gusto bilanciato dall'aroma fresco. I prodotti König Ludwig Schlossbrauerei Kaltenberg sono distribuiti in Italia da Warsteiner Italia.

Cantina Tollo per gli chef ‘Cucine d’Italia tra il pane e il vino’ è il tema del concorso di ‘cucina calda’

per le unioni regionali italiane organizzato dalla Fic – Federazione Italiani Cuochi con l'obiettivo di valorizzare le cucine territoriali d'Italia e proporre come protagonisti due elementi cardini dell'alimentazione italiana: pane e vino. Il concorso, riservato alle Associazioni Regionali Cuochi aderenti alla Fic, si è svolto all'interno della fiera Host di Milano, il Salone internazionale dell’ospitalità professionale. Tra i quattro finalisti merita una menzione speciale la ricetta dello chef Michele Ottalevi: 'Parrozzo di pane cotto, cacio e uova

allo zafferano dop dell’Aquila su ristretto di pomodoro, cubi di tonno mediterraneo scottato con erbe della Majella e salsa ai lamponi, giardiniera di patate, carciofi e cipolla di Tropea in agrodolce con riduzione all’aceto balsamico di Modena, e spuma di vino rosso Raboso', il tutto accompagnato da un gran bianco quale il Cococciola di Cantina Tollo. Michele Ottalevi, sostenuto dall'azienda abruzzese Cantina Tollo, sponsor ufficiale dello chef insieme a Despan attrezzature alberghiere, è proprietario dell’osteria I Tempi Andati di Francavilla al Mare.


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What I Eat? In occasione della giornata mondiale dell’alimentazione, Ferrarelle SpA ha sostenuto la mostra fotografica dal titolo 'What I eat', tratta dal lavoro fotografico 'Il giro del mondo in 80 pasti' di Peter Manziel. La mostra, allestita presso la sede della FAO a Roma, porta la firma non solo dell'artista Peter Menzel, ma anche dell’agenzia milanese LUZ Photo: una serie di pannelli descrivevano, attraverso scatti d'autore, i pasti consumati giornalmente da 80 diversi testimonial scelti tra i cinque continenti, passando dalle 800 calorie consumate in Kenya da un guerriero Masai, alle ben 12.300 assunte in Gran Bretagna da una casalinga. Ferrarelle SpA, quarto gruppo italiano nel settore delle acque minerali, da sempre sostiene l'arte e, promuovendo la mostra fotografica e gli scatti

Blanc de Blanc, nuova riserva Cantina Majolini festeggia 30 anni di attvità con una nuova etichetta: uno chardonnay caratterizzato da una lunga maturazione su lieviti, non meno di 60 mesi, che dona a questa riserva un sapore persistente e avvolgente. Stiamo parlando del nuovo Balnc de Balnc, un extra brut millesimato ottenuto dai vigneti delle valli di Ome, nella Franciacorta. Anche queste inedite bollicine, sulla scia di quanto certificato dal Progetto Ita.Ca – calcolatore italiano del bilancio dei gas serra interno delle aziende – sono prodotte dalla Cantina Majolini secondo le norme vigenti nel rispetto dell'ambiente e del terroir, garantendo un'alta capacità di assorbimento di CO2 suepriore alla quantità di gas emesso.

Shield Box e limited edition

di Peter Manzel, ha voluto focalizzare il tema sul bisogno di attenzione alla salute e al benessere dell’organismo. L’acqua minerale rappresenta infatti la componente basilare di un’alimentazione corretta, una convinzione, quella di Ferrarelle, ulteriormente avvalorata dalle sue bollicine naturalmente effervescenti e dalla completa partita di sali minerali, qualità che ben si allineano al valore scientifico e sociologico espresso dalla mostra.

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Una nuova Limited Edition e un millesimato annata 2002. La novità firmata Dom Pérignon rivela tutta la modernità della Maison che reinventa, con assoluta eleganza, un nuovo mo-

do di degustare lo champagne. Dom Pérignon Shield Box è il cofanetto refrigerante che garantisce la perfetta temperatura di degustazione di 10°C per tre ore, una performance capace di coniugare alta tecnologia ed eccellenza: il cofanetto isotermico custodisce infatti il millesimato Dom Pérignon Vintage 2002, un vino floreale, aromatico e leggermente speziato. Dom Pérignon Shield Box Vintage 2002 è in vendita nelle migliori enoteche a partire da 150,00 euro. E solo per veri collezionisti è dedicato lo champagne Dom Pérignon Rosé OEnothèque 1992. Così Richard Geoffroy, creatore presso Dom Pérignon, lo descrive: 'Champagne estroverso che rende onore al Pinot Nero, arrivando quasi al punto di contraddizione, poiché lo spirito del Dom Pérignon tende a raggiungere un equilibrio perfetto tra uve bianche e nere. Ed è proprio questo che lo rende così allettante'. Un numero limitato di bottiglie e ben 19 anni trascorsi in cantina fanno di questa riserva privata un prodotto rivolto solo ai grandi veri collezionisti.

La Perla di Torino Tartufi, cioccolatini, baci di dama, gianduiotti classici e ripieni, panettoni e colombe sono solo alcune delle spe-

cialità che la pasticceria La Perla di Torino propone al pubblico presso il laboratorio e punto vendita a Torino. Mastro ciccolatiere de La Perla Sergio Arzilli, che da oltre 50 anni firma le raffinate creazioni, prodotti distribuiti in tutta Italia nelle migliori pasticcerie ed enoteche (a Milano è presente anche in Rinascente) e all’estero. Il brand interpreta la tradizione torinese della lavorazione del cioccolato utilizzando materie prime di qualità come la nocciola IGP del Piemonte, granella di cacao Criollo e Forastero, caffè Columbia, frutta esotica disidrata e zuccherata (papaia, guava, ananas, mango). Il packaging, curato in ogni dettaglio, è riconoscibile dalla grafica che riprende una veduta storica di Torino in cui svetta la Mole Antonelliana. Tra i numerosi prodotti segnaliamo un'evoluzione nella tradizione del panettone: La Perla Esotica, il panettone senza frutta candita e uvetta, proposto nella variante con cubetti di frutta esotica disidratata e zuccherata come ananas, papaia e mango.

Le note aromatiche di Cantina Tramin La tradizione altoatesina si riscopre soprattutto durante il peridio natalizio, complici i profumi e gli aromi decisamente speziati che da sempre caratterizzano i giorni di festa. Protagonista indiscusso uno dei vini da dessert altoatesini più noti, il Gewürztraminer Terminum di Cantina Tramin. La vendemmia tardiva 2009, eseguita a metà dicembre, lascia spazio ai profumi di frutta candita, miele, spezie e cannella, ideale per accompagnare dolci, frutta secca, ma anche formaggi erborinati. Per cogliere al meglio tutti i sentori e i profumi dell'annata 2009, Cantina Tramin promuove presso il proprio punto vendita di Termeno (Bz) una degustazione di Gewürztraminer Terminum abbinato al tradizionale dolce Stollen, una specialità dolciaria molto antica – attestata già nel 1329 – preparata con una pasta dolce lievitata, ricca di burro, frutta secca e canditi. Lo Stollen proposto



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da Cantina Tramin, che nella tradizione viene cosumato all'inizio dell'Avvento e per tutto il periodo natalizio, è realizzato dal pasticcere Tobias Bonatti del 'Cafe Herbert' di Egna, e potrà essere acquistato insieme a una selezione di Gewürztraminer Terminum 2009 vendemmia tardiva.

‘Momento di piacere’ 'Haagen-Dazs festaggia 50 anni. Il brand americano, distribuito in Italia da New Food e marchio di General Mills, lancia per l'occasione due novità esclusive: il primo dessert Haagen-Dazs Secrets Sensations, un gelato

cremoso che racchiude un cuore morbido e fondente declinato in due gusti, Creme Brulée e Chocolat Fondant, e il progetto '28'18'' moment'. Altro non è che l'esperienza di piacere interpretata da Haagen-Dazs, il 'momento perfetto' scaturito dall'assaggio

del gelato. Il progetto '28'18'' moment', realizzato dal designer Cédric Ragot, si compone di un originale contenitore che accoglie una pinta di gelato Haagen-Dazs, un cucchiaino appositamente studiato, un video di Thomas Lélu e la musica dei SALM -Something A La Mode: 28 mimuti e 18 secondi

rappresentano infatti il tempo perfetto per godersi al meglio una pinta di gelato. L'azienda americana ha inoltre richiesto l'aiuto di tre chef per interpretare in modo originale i propri gelati, ricette 'salate' da aperitivo, che vedono protagonista il gelato Haagen-Dazs. Ecco alcune delle creazioni: cipolle, parmigiano e Smoothie Haagen-Dazs al mango & apricot proposto dallo chef Christian Milone (nella foto con altre due creazioni); mezzaluna piccante e gelato Haagen-Dazs Belgian Chocolate di Denis Croce; chips di parmigiano reggiano al gelato Haagen-Dazs Vanilla di Nicola Cavallaro. Gli inediti aperitivi sono stati proposti durante un tour estivo che ha toccato i più esclusivi locali milanesi.



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Mormoreto, una storia centenaria 'Conoscere e comprendere il vigneto, considerarlo come una entità vivente, è parte essenziale del nostro lavoro. Tutto è fatto per rispettare l'unicità della relazione tra suolo e vite per dare vita a un vino di qualità eccelsa che rifletta la sua orgine'. Con queste parole il Marchese Leonardo Frescobaldi sancisce ancora una volta il forte legame con il territorio e la qualità di un vino che nasce con la vendemmia del 1983, frutto della centenaria esperienza maturata dal 1855. Il Castello di Nipozzano domina da mille anni le colline a est di Firenze e oggi custodisce le cantine dove viene affinato in barrique uno dei grandi rossi della tenuta Frescobaldi, il Mormoreto, celebrato recentemente nella cornice del ristorante Giacomo all'Arengario presso il Museo del '900 a Milano. "Con la degustazione delle annate 1999 e 2008 – spiega il Marchese – si vuole rendere omaggio al terroir da cui proviene il Mormoreto, il cru da anni rispettato e

apprezzato da esperti e da collezionisti di tutto mondo". Così apprezzato che un lotto di Mormoreto è stato battuto all'Asta Pandolfini. Il grande vino del Castello di Nipozzano nasce dall'omonimo vigneto, il Mormoreto, prodotto da varietà perfettamente acclimatate: Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc, a cui si è aggiunta una piccola presenza di Petit Verdot.

La nuova versione del ‘cotto’ Il panorama dei salumi si arricchisce con una novità assoluta, un'idea che vede protagonisti il Prosciutto Cotto

e il Lardo d'Arnad Dop. Stiamo parlando dell'Arnàcotto, una specialità nata dalla collaborazione di due aziende: Arnad Le Vieux che produce Lardo d'Arnad Dop e Alimeco, azienda brianzola specializzata nella produzione di prosciutto cotto. L'Arnàcotto, preparato con le stesse spezie utilizzate per il Lardo d'Arnad, deve il suo aroma all'aggiunta del famoso lardo, posizionato nel cuore del prosciutto per garantire morbidezza e un gusto unico, grazie a una lenta cottura a vapore. “Siamo riusciti a creare un perfetto mix fra un prodotto gustoso e di utilizzo quotidiano come il prosciutto cotto e il Lardo d’Arnad dop, più prezioso e caratteristico” - dichiarano i soci fondatori di Arnad Le Vieux, Nicodemo Calabrese, e di Alimeco, Alessandro Mentasti -. “Abbiamo cominciato nell’ottobre del 2009 con le prime prove di produzione e abbiamo iniziato a testarlo presso nostri fidati clienti nella primavera del 2010. A seguito del successo riscontrato, abbiamo cominciato a parlarne a distributori del Nord Italia e contestualmente alla clientela della G.D. e G.D.O”. Nella foto, uno scatto dei testimonial immortalati durante l'evento organizzato per il lancio del prodotto, avvenuto al Saint George Premier di Monza: Edoardo Raspelli, Ksenyia Zaynak, presentatrice, Raffaele Ferrari, Vice Presidente di Arnad Le Vieux,

Mauro Baruffa, socio e responsabile delle produzione Alimeco, Alessandro Mentasti socio fondatore di Alimeco, Nicodemo Calabrese, Socio fondatore e presidente di Arnad Le Vieux, Nello Santin, giocatore di calcio.

Tubetto Mutti compie 60 anni Lanciato nel 1951, il famoso tubetto firmato Mutti festeggia il suo 60° compleanno in una location d'eccezione, lo Spazio Fondazione Maimeri di Milano, che per l'evento ha subito una trasformazione in perfetto stile anni '50, animato dalle ricette a base di concentrato proposte dallo chef Carlo Casoni. Oggi Mutti è leader di mercato nei segmenti del Concentrato, delle Polpe, e nelle Passate. Una realtà imprenditoriale che coinvolge ben 140 aziende agricole e 300 dipendenti, impegnata nella ricerca e nell'innovazione: dal 2005 Mutti sponsorizza Alma, il centro di formazione della Cucina Italiana a livello internazionale; ha inoltre avviato un rapporto di collaborazione con l'Università di Scienze Gastronomiche, con lo scopo di creare un centro internazionale di formazione e di ricerca al servizio di chi opera per un'agricoltura rinnovata, per il mantenimento della biodiversità e per un rapporto organico tra gastronomia e scienze agrarie.



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Antico Pastificio Setaro

dal 1939 Grande Vendemmia a Casa Ceretto La raccolta anticipata ha regalato a Casa Ceretto una vendemmia del tutto particolare, complici le condizioni climatiche che si sono alternate nel corso dell'anno 2011: marzo piovoso, aprile secco con temperature che hanno sfiorato i 30°, luglio con piogge normali, ma temperature al di sotto della media, e un agosto che ha fatto registrare un aumento delle temperature. Così l'azienda commenta i risultati positivi: "A vinificazione conclusa si può affermare che, nonostante le insidie, la natura ci ha regalato un’altra annata dal grande carattere, capace di unire nei vini concentrazione ed eleganza, ed esprimendo equilibri organolettici che si prospettano molto interessanti, soprattutto laddove si è riusciti a mantenere una nota di freschezza sia a livello gustativo, sia aromatico". La vendemmia delle uve bianche, conclusa con una decina di giorni d'anticipo, ha rivelato a Casa Ceretto piacevoli sorprese, a partire dall'Arneis, il vino bianco per eccellenza di queste zone: l'uva, sana e matura, ha consegnato un mosto zuccherino e ben equilibrato. Anche il Dolcetto presentava uve mature e pronte, facendo presagire ottimi risultati, così come per l’annata della Barbera. Il Nebbiolo ha espresso il suo classico colore mai troppo intenso, ma decisamente vivo: a seconda dell’origine delle uve si è manifestato più setoso (Barbareschi e Baroli di Brunate e Cannubi), o più austero (Baroli di Bricco Rocche e Prapò).

Pastificio F.lli Setaro S.r.l. Via Mazzini, 47 - Torre Annunziata 80058 (Napoli) Tel. +39 081 861.14.64 - +39 081 862.69.13 Fax +39 081 861.91.59 - info@setaro.it - www.setaro.it

Lavazza, caffè a 360° A Host, il Salone Internazinale dell'Ospitalità Professionale, non poteva mancare Lavazza. Fondata a Torino nel 1895, di proprietà della omonima famiglia da quattro generazioni, è una tra le più importanti realtà produttive di caffè, leader in Italia nel mercato retail, e che opera a livello globale nei segmenti Casa e Fuori Casa con 20 anni di tradizione nel settore della produzione e della commercializzazione di sistemi e prodotti per il caffè porzionato. "Host è una fiera cardine per il mondo dell’ospitalità professionale” – dichiara Giampaolo Arpe, Direttore Away From Home Business Emea di Lavazza –, “e in Italia, ma sempre di più anche all’estero, il caffè è sinonimo di ospitalità. Per tale motivo Lavazza ha voluto esserci in quanto leader dell’espresso italiano e player di riferimento sia per il segmento Ho.re.ca., sia per quello della Distribuzione Automatica”. Tra le novità per il Fuori Casa nasce espressOunique, rivolto al segmento Caffetteria; per il settore Ristorante la gamma di macchine e prodotti Lavazza BLUE Food Service; l'offerta dedicata ai bar è affidata alla miscela ¡Tierra! Intenso, proveniente da coltivazioni sostenibili, e per l'ufficio Lavazza propone gli innovativi sistemi Lavazza BLUE. Anteprima assoluta LB PLUS, una macchina dal design minimalista dedicata al settore dell’Office Coffee Service. Nella foto Monica Balocco, Sales Innovation e Operational Marketing Away from Home Lavazza, e Gianpaolo Arpe, Direttore Away From Home Business Emea Di Lavazza.



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Conegliano Valdobbiadene, Una Docg dalle tante facce

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A due anni dall'approvazione di questa Garantita, ecco le prime considerazioni. Tendenza a produrre con una sempre maggior attenzione alla vigna, in quanto elemento distintivo. Definizione delle “Rive” e processo di zonazione forse ancora troppo recenti per avere una ricaduta concreta. Forte anche la tendenza al recupero di alcune pratiche della tradizione e grande attenzione all'ecocompatibilità: dall'agricoltura biologica agli impianti fotovoltaici. Volontà di puntare sulle varietà autoctone, Glera in particolare, a discapito delle internazionali. Orientamento generale ad abbassare i residui zuccherini, considerati – se elevati – un elemento di disturbo organolettico. Oggi il Prosecco si produce esclusivamente nella zona a denominazione di Origine Controllata che comprende nove province tra le regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia. Nel cuore della denominazione, tra Venezia e le Dolomiti, si trova Treviso, la provincia a maggiore vocazione produttiva, che comprende anche le storiche aree collinari di Conegliano Valdobbiadene e di Asolo, che si fregiano della Docg. Lo spumante Docg della zona collinare si riconosce perché in etichetta riporta sempre il nome dell’area di produzione, Conegliano Valdobbiadene o Asolo, e può fregiarsi dell’aggettivo “Prosecco Superiore”. Asolo, bellissimo borgo medievale unisce tradizione enologia e arte veneziana. Conegliano Valdobbiadene è l’area più conosciuta. Conegliano, centro produttivo e di studi, vanta dal 1876 la I° Scuola enologica Italiana; Valdobbiadene e il suo comprensorio sono rinomati per la bellezza dei vigneti che ricamano le colline, la cui pendenza impone la tradizionale lavorazione a mano. Dall’unicità di questo territorio ha origine il Cartizze, cru della Docg. La storia del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore ha origine molto antica. La prima citazione scritta del Prosecco risale al 1772 nel VIII volume de Giornale d’Italia, dove l’accade-

© Consorzio Tutela Conegliano Valdobbiadene Docg

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di Roger Sesto

mico Francesco Maria Malvolti parla della qualità della viticoltura locale grazie a varietà come Marzemini, Bianchetti, Prosecchi, Moscatelli, Malvasie, Glossari. È questa una dimostrazione che il Prosecco a Conegliano Valdobbiadene ha più di tre secoli di storia certa. E se nel Settecento si trattava solo di una delle varietà coltivate, grazie alla caparbietà e alla capacità degli uomini, essa diviene sempre più il simbolo di queste colline arrivando ad essere, per la maggior parte del territorio di Conegliano Valdobbiadene, l’unico vino prodotto. Ciò è stato possibile perché, quando ancora nessuno credeva nella sua qualità, grazie anche ai centri di ricerca che permettono il suo studio, gli uomini di Conegliano Valdobbiadene imparano a ottenere da questo vitigno un vino straordinario. La data di inizio di questo successo, infatti, viene fatta coincidere con il 1876, anno di fondazione della prima Scuola Enologica d’Italia, ancora oggi attiva a Conegliano. Qui viene studiata la tecnica di spumantizzazione e la migliore forma di allevamento per la vitivinicoltura locale. I produttori del territorio di Conegliano Valdobbiadene iniziano così ad interpretare al meglio un vitigno, ricamando le ripide colline di vigneti rigorosamente condotti a mano, e a vinificarlo in modo da esaltare le sue caratteristiche aromatiche, l’eleganza, la freschezza e la vitalità che lo contraddistinguono. Proprio qui, infatti, venne messa a punto la spumantizzazione, ottenuta con metodo italiano, ma interpretata in modo originale, tanto che oggi Artù n°47

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I numeri del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg Ottenimento della denominazione: .............................................................................1969 Riconoscimento denominazione di origine controllata e garantita: .........2009 Comuni compresi nella denominazione: ........................................................................15 Superficie dei vigneti iscritti all’albo della denominazione:.................6.100 Ha Superficie del Superiore di Cartizze:..................................................................106,0 Ha Case spumantistiche: .............................................................................................................166 Produzione in bottiglie da 0,75 nell’anno 2010 in Italia ed all’estero Bottiglie totali prodotte: ......................................................................................65.757.000 di cui bottiglie di spumante prodotte:........................................................57.808.000 e del Superiore di Cartizze prodotte:..............................................................1.388.000 Totale bottiglie prodotte della tipologia spumante:............................59.196.000 Percentuale dello spumante sul totale: ......................................................................90% Bottiglie di frizzante prodotte: ............................................................................6.300.000 Bottiglie di tranquillo prodotte: ..............................................................................261.000 Bottiglie totali esportate: ..................................................................................................35%* Valore del prodotto al consumo: ....................................................400 milioni di Euro * dato vendite 2009

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possiamo parlare di metodo Conegliano Valdobbiadene. Si creano così i presupposti per il successo del Prosecco, esploso a partire dagli anni ottanta, grazie alla capacità imprenditoriale di questi uomini, unita alle competenze tecniche. Ciò determina, certo, un positivo rilancio dell’economia di Conegliano Valdobbiadene, che nel vino trova uno dei prodotti simbolo, ma l’affermazione del Prosecco porta anche alle imitazioni, divenute negli anni sempre più aggressive. La produzione del Prosecco inizia così a diffondersi al di fuori dell’area storica, allargandosi prima al territorio pianeggiante della provincia di Treviso, poi anche alle province limitrofe di Veneto e Friuli Venezia Giulia, infine persino in altre parti d’Italia e del mondo. Sul mercato iniziano a comparire Prosecco con prezzi molto bassi e senza standard qualitativi accettabili. Era, quindi, necessario un intervento per proteggere quello che, nel frattempo, è divenuto un patrimonio tutto italiano, invidiato dal mondo enologico internazionale. Nel 2009 è stata quindi delimitata la zona di produzione del Prosecco: questo vino infatti oggi può essere prodotto solo all’interno del territorio corrispondente alla Doc Prosecco, istituita al fine di tutelare il prodotto di base e garantire migliori standard qualitativi, al cui centro si trova l’area storica di Conegliano Valdobbiadene, che ha ottenuto il riconoscimento di Docg. “Il riconoscimento della Docg – dichiara Giancarlo Vettorello, direttore del Consorzio di Tutela - costituisce la conclusione di un lungo percorso; il punto di arrivo di un ampio ciclo e l'inizio di un altro, che culminerà a sua volta nella piena valorizzazione del territorio di Conegliano Valdobbiadene, sia attraverso un'approfondita interpretazione delle previste 'Rive', sia grazie al lungo processo di zonazione durato 10 anni e appena concluso, i cui risultati sono stati pubblicati in un volume dal titolo I terroirs della Denominazione Conegliano Valdobbiadene. Studio sull’origine della qualità; tutti aspetti che saranno determinanti per far emergere le peculiarità dei nostri terroir, tanto che in futuro ci sarà da aspettarsi, come logica conse-

guenza di tutto ciò, la graduale soppressione della parola 'Prosecco' in etichetta, per lasciare solo i riferimenti più strettamente territoriali”. Il disciplinare del Conegliano Valdobbiadene Docg è stato creato sulla base del preesistente documento che regolava la Doc Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, introdotto nel 1969, con l’aggiunta di alcuni elementi di novità. Ecco in sintesi gli elementi caratterizzanti: • Come 40 anni fa, la zona di produzione è limitata ai 15 comuni collinari tra le due capitali produttive di Conegliano e Valdobbiadene; • Come in precedenza, il vino viene prodotto con il taglio di uve del vitigno Glera al minimo dell’85% e per un massimo del 15% di uve Verdiso, Bianchetta, Perera, Glera lunga, varietà autoctone, presenti da secoli nelle colline di Conegliano - Valdobbiadene. Per lo spumante, si possono utilizzare anche le uve Pinot e Chardonnay; • Con il nuovo disciplinare viene data la possibilità di evidenziare in etichetta il nome del comune o della frazione di origine delle uve, per mettere in luce la ricchezza espressiva della denominazione. In questo caso il toponimo viene preceduto dal termine tradizionale “Rive”, che sta ad indicare i vigneti posti nelle zone collinari più ripide. • La produzione della Docg è di 135 q/ha. Per la menzione “Rive”, la produzione è ridotta a 130 q/ha, con l’obbligo della raccolta manuale delle uve e dell’indicazione del millesimo. Per le “Rive” è prevista la sola tipologia spumante. • Al vertice qualitativo rimane lo spumante della storica sottozona del Superiore di Cartizze, la cui resa in vigneto è di 120 q/ha e la produzione è limitata alla tipologia spumante. In etichetta è riportato Valdobbiadene Docg Superiore di Cartizze. • Tutti gli spumanti, frizzanti e tranquilli, per meglio distinguersi dai vini provenienti dalla denominazione di base, riportano in primo piano sull’etichetta il nome della Denominazione storica “Conegliano-Valdobbiadene”, seguito dalla parola Prosecco o Prosecco Superiore nel caso dello spumante, scritta in ca-



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rattere uguale o minore di quello della denominazione. Nel caso dello spumante, può essere riportato in etichetta semplicemente il nome della Denominazione principale Conegliano-Valdobbiadene o Conegliano o Valdobbiadene senza la parola Prosecco, mentre essa è obbligatoria nel Frizzante e Tranquillo. • Elemento distintivo introdotto per aiutare il mercato a riconoscere la Docg Conegliano Valdobbiadene è la presenza del logo della denominazione sulla fascetta di Stato.

Le contesse e Lodovico Giustiniani di Borgoluce. Sotto, la vendemmia a Borgoluce.

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dei vini con diverse annate, per dare un senso all’abusato termine 'millesimato', poco significativo per uno Charmat”. D'altra parte, se si considera che la spumantizzazione in autoclave fu messa a punto diversi decenni dopo la nascita del Prosecco spumante, l'idea di un metodo classico applicato a quest'uva è assai più rispettosa della tradizione di quanto potrebbe a prima vista sembrare; non una semplice trovata per proporre qualcosa di diverso a tutti i costi, insomma. Riprende Umberto Cosmo: “Vediamo con piacere che oltre a Bellenda anche BELLENDA e metodo classico: altri produttori del territorio si stanno avun ritorno al futuro vicinando a questo metodo di produzione: Questa bella realtà di Vittorio Veneto, di è un segnale importante, che avrà una proprietà della famiglia Cosmo, si è di- ricaduta positiva su tutta la denominastinta per aver progettato e realizzato zione. Non è certo nelle nostre intenzioni un inedito Conegliano Valdobbiadene il voler sostituire il metodo tradizionale Superiore Metodo Classico, l'S.C 1931. allo Charmat, che tanti buoni risultati Il progetto nacque 7 anni fa, nel corso sta portando, ma crediamo che questa della vendemmia del 2004, come ten- nostra ricerca possa essere uno stimolo tativo di tornare a un Prosecco più tradi- ad approfondire lo studio sulle potenzionale. “Parlandone con gli enologi zialità del vitigno”. Paolo Stival e mio fratello Luigi – ci spiega Umberto Cosmo - avevo espresso BORGOLUCE e la centralità di loro l’idea di produrre un Prosecco sur un'agricoltura sostenibile lie”. Ma la proposta fu bocciata per “A cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, ragioni tecnico-commerciale. Da questo tutta la filiera produttiva ha 'educato' il spunto però “arrivammo all’idea di ap- consumatore a 'capire' il vino; nell'ultimo plicare al Prosecco quel metodo classico decennio la prospettiva si è ribaltata: che già in cantina utilizzavamo per le sono gli enofili a orientare oggi i vitivinibasi di Chardonnay e Pinot Nero. Apparve coltori nel compiere ulteriori passi verso subito come un percorso 'eretico' rispetto un innalzamento della qualità, in base al dogma: vitigno aromatico-metodo soprattutto a nuove esigenze gustative”. Charmat, uve non aromatiche-metodo Questo il pensiero di Lodovico Giustiniani, classico”. Nonostante tutto si decise di patron di Borgoluce in Susegana. “A tentare. “Nel 2005 ebbe luogo la prima fine anni '90 si era arrivati all'esasperavinificazione mirata a ottenere una base zione: si volevano a tutti i costi dei adatta a una sosta in bottiglia più lunga mangia e bevi concentrati, alcolici, iperdel normale, con una sboccatura dopo fruttati e colorati. Superata questa fase, 9 mesi nel corso del 2006. Ricordo an- gli appassionati hanno cominciato ad cora la prima bottiglia sboccata, la sor- avvertire il bisogno di un altro tipo di presa di ritrovare in quel vino i caratteri vino, improntato alla finezza, all'eleganza, di un’uva che si pensava non adatta a all'equilibrio; ed ecco che intorno al lunghe soste sui lieviti. Dopo questa 2004-2006 si è imposto ai produttori prima uscita osammo soste più lunghe, un totale cambio di rotta, riportando fino a 18 mesi; tuttora la sperimentazione alla centralità del processo vitivinicolo va avanti, con piccole partite, per vedere il terroir e la viticoltura: oggi è questo il fino a che punto ci si può spingere. punto di partenza. Si tratta di riavvicinare L'obiettivo di tutto ciò? L'ambizione di il baricentro della filiera produttiva alpoter vedere un giorno un Conegliano l'agricoltura; il che vuol dire promuovere Valdobbiadene disponibile sulle carte la biodiversità, il rispetto del territorio,


nel 2009, che è stata accompagnata dalla messa a punto di un impianto fotovoltaico dal potenziale di 89 kW; ciò permette di ridurre il consumo di energia della rete, attingendo da una fonte naturale, rinnovabile e gratuita, che riesce mediamente a coprire un 60% del fabbisogno energetico. Il fotovoltaico – entrato in funzione a partire dal 2011 - si rivela particolarmente utile, sia da un punto di vista dell'economicità, sia a livello di ecocompatibilità, nei mesi di luglio e agosto, quando le spese per il mantenimento in cantina delle necessarie frigorie sono massime. Ma strategico è anche e soprattutto nei mesi di settembre e ottobre, quando le giornata sono soleggiate e luminose, ma non eccessivamente calde – infatti è la luminosità che dà energia, non il calore. In questo periodo si ha un notevole accumulo di risorse, tanto che a volte si è contribuito a cederle alla rete! Oltretutto ponendo i pannelli sul tetto si migliora l'isolamento termico della cantina, riducendo il bisogno di frigorie, con un indiretto e ulteriore risparmio sui costi di approvvigionamento energetico. Oltre a tutto ciò, e nell'ambito della medesima filosofia, si è anche predisposto un recupero delle acque piovane che scorrono sul tetto. Due serbatoi in vetroresina, da 500 ettolitri l'uno, sono deputati alla raccolta; poiché queste acque non vengono depurate, non possono essere impiegate per il lavaggio delle vasche vinarie e dei macchinari, però sono utilissime per il lavaggio dei pavimenti e soprattutto per giardinaggio e irrigazione. CANTINE BORTOLOTTI: tra fo- Va sottolineato che questa operazione tovoltaico e recupero dell'ac- ha valenza più ecologica che economica, qua piovana dato che il recupero dell'acqua va regiFondata nel 1947 da Umberto Bortolotti, strato con un contatore e sul medesimo oggi diretta dal figlio Bruno, questa vi è una tassa da pagare. bella realtà di Valdobbiadene si distingue oggi per una particolare propensione al- FASOL MENIN: musica e arte l'autonomia energetica e all'ecocompa- in cantina, didattica in vigna tibilità. Una dimostrazione pratica di Si tratta di una piccola realtà agricola, questa vocazione è data dalla radicale avviata nel 2000 e sita a Valdobbiadene, ristrutturazione della cantina, avvenuta molto particolare e interessante. Di pro-

un'attività di prevenzione per ridurre le malattie così da contenere i trattamenti, l'ampliamento delle proprie iniziative agricole: non limitandosi alla viticoltura, si può creare un ecosistema chiuso e in equilibrio. Per esempio – seguita Giustiniani – con la nostra attività di allevamento, abbiamo il materiale organico che ci serve per le attività di concimazione. Insomma, si tratta di un ritorno al passato, ma con logiche moderne, che conduce a un'agricoltura completamente svincolata dalla chimica e realmente biologica, al di là di certificazioni ufficiali e di logiche di marketing; meno impattante ed ecosostenibile. Ancora: noi impieghiamo le deiezioni provenienti dai nostri allevamenti per produrre biomassa, che grazie al processo fermentativo può trasformarsi in varie forme di energia, fra cui quella elettrica. Il tutto consente un risparmio energetico ed economico, una minor produzione di anidride carbonica e, in definitiva, una maggior responsabilità sociale da parte dell'imprenditore agricolo”. Che ne pensi della nuova Docg Conegliano Valdobbiadene? “È ancora presto per dirlo. Certamente un vino come il Prosecco, difficile – nel suo ambito – da distinguere e raccontare, può trarre grande beneficio dall'istituzione di una 'garantita', percepita come punta di diamante rispetto alla più generica Doc e più tutelata; per quanto ci riguarda non abbiamo ancora eliminato definitivamente dalle nostre etichette la parola Prosecco, ma l'obiettivo è quello, per creare uno stacco ancora maggiore rispetto alla Doc e per meglio identificare e valorizzare il nostro territorio. Il primo esperimento lo faremo sui nostri 'Rive', con l'annata 2011, in uscita”.

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prietà di Massimo De Nardo, conta su 8 ettari di vigna. “Dopo anni in giro per il modo, impegnati in tutt'altra attività, mia moglie e io abbiamo a un certo punto deciso di tornare a casa e riprendere un'antica tradizione famigliare, quella della viticoltura, appunto. Questo anche grazie agli stimoli che ci hanno dato le visite a molte importanti cantine californiane e australiane”. Così, Massimo De Nardo. “Ma non era facile entrare in un mercato sì in crescita, ma già molto ben presidiato. Abbiamo allora pensato alla nostra cantina in divenire, in modo del tutto inedito rispetto alle altre realtà di Conegliano Valdobbiadene, considerandola un punto di ritrovo e di incontro, di dialogo diretto con il privato. Non soltanto come un luogo di produzione, ma anche come una location in cui organizzare eventi letterari, musicali, artistici, in modo da promuovere in questo modo alternativo il nostro territorio e attrarre target non scontati di consumatori. Partiti 6 anni fa con questo tipo di approccio, grazie a un rapido passaparola, ci siamo ritrovati con un pubblico fidelizzato e con la possibilità di organizzare un vero e proprio calendario di eventi. Nel 2011, per esempio, abbiamo gestito 18 incontri musicali e 5 mostre. Abbiamo la fortuna di vivere in un territorio ricco di artisti inespressi e noi diamo loro la possibilità di farsi conoscere. In ogni caso puntiamo sempre alla qualità, andando a coprire gran parte dei generi artistici e musicali, dal blues al jazz alla musica classica, con performance anche molto particolari. Inoltre abbiamo allestito una mostra permanente”. Che risultati avete ottenuto attraverso questa strada? “Queste nostre attività – seguita De Nardo – ci hanno permesso di promuovere le vendite sul posto, entrando in diretto contatto con la nostra clientela. Inoltre nel tempo abbiamo allestito delle visite guidate, lungo tutta la filiera produttiva, dalla vigna alla cantina. Dando la possibilità agli enoturisti – secondo a un approccio didattico – di assaggiare le diversità fra i vini base provenienti dai difformi terroir su cui insistono i nostri vigneti. Quanto alla nostra filosofia produttiva - noi immettiamo sul mercato circa 50mila bot-

tiglie l'anno di bollicine Docg – teniamo molto a che i nostri spumanti siano espressione di annata e terroir; produciamo un Brut molto secco, con 6 g/l di zuccheri, e un Extra Dry; un tenore zuccherino così basso ci è concesso dalla concentrazione delle nostre uve. Indichiamo inoltre in etichetta, sempre, il mese di imbottigliamento”. L'ANTICA QUERCIA: 25 ettari a corpi unico, fra bio e zonazione Situata a Scomigo di Conegliano, dal 2007 ha convertito l’intera proprietà all’agricoltura biologica; una scelta non modaiola, ma motivata. Innanzitutto per preservare la bellezza del territorio; in seconda battuta per trarre il meglio dalla terra coltivata: evitare la chimica in vigna significa apportare più “natura” nel calice; infine, il mercato del bio è in crescita da alcuni anni, e non più solo all’estero: anche da noi si consumano sempre più prodotti da agricoltura biologica. Tutto ciò ha permesso a L'Antica Quercia di differenziarsi, ritagliandosi una strategica nicchia di mercato. Va detto di una peculiarità: la scelta bio è stata facilitata dal fatto che la tenuta ha a disposizione un vigneto di 25 ettari a corpo unico, dove è possibile condurre un tipo di agricoltura unitaria e omogenea, quindi più controllabile rispetto a quelle situazioni in cui i vigneti risultano parcellizzati, alcuni dei quali spesso adiacenti a vigne in regime convenzionale; per non parlare di quei contesti in cui l'uva è conferita da più viticoltori. Il controllo totale dell’unico e ampio appezzamento, ove si applica una pratica comune, garantisce anche l’omogeneità del prodotto finale, che potrà subire variazioni da una stagione all’altra dovute alle variabilità meteo, ma avrà sempre un carattere riconoscibile imputabile al terroir. Si tratta del più grande vigneto a corpo unico dell'intera denominazione; la sua ubicazione su un pendio a “schiena d'asino” garantisce un'ottimale esposizione al sole, oltre a un'importante escursione termica, cruciale per i vitigni aromatici. Inoltre il rischio di stress idrico tipico delle stagioni secche

La Viticoltori Ponte e il Teatro La Fenice La Viticoltori Ponte di Ponte di Piave, cogliendo spunto dalla festività natalizie, ha realizzato una confezione regalo contenente i “Vini del Teatro La Fenice”, disponibile unicamente nel canale horeca. I vini inclusi nell'operazione sono un Prosecco Millesimato Doc (anche magnum), un Rosé e un Pinot Grigio; le bottiglie si caratterizzano per delle splendide etichette raffiguranti suggestivi particolari e ricchi decori degli storici ambienti del famoso teatro veneziano. La strategia commerciale di questo originale progetto –come ci conferma Massimo Benetello, direttore generale della Cantina-, prevede una produzione già dal primo anno di 100.000 bottiglie, così divise: 60.000 di Prosecco Millesimato Doc, 20.000 di Rosè Extra Dry Spumante e 20.000 di Pinot Grigio, per poi svilupparsi ulteriormente in base al raggiungimento di nuovi obiettivi di vendita. Il prezzo al pubblico nelle enoteche è di 12,00 € per il Prosecco Millesimato e 10,00 € per il Rosé: un’offerta competitiva, considerando anche il prestigio del marchio del Teatro La Fenice. Ma soprattutto l'operazione è particolarmente apprezzabile in quanto il ricavato della vendita dei Vini del Teatro la Fenice contribuirà a sostenere economicamente le attività del famosissimo teatro di Venezia, così da promuovere la sua opera di divulgazione e diffusione di un patrimonio di arte e cultura.

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è scongiurato dalla presenza di una riserva di acqua piovana, dalla quale parte una complessa rete di irrigazione sotterranea che raggiunge ogni pianta per “caduta”, sfruttando l’altezza della torre dell’orologio che preleva l’acqua dalla riserva. Altro tratto distintivo di quest'azienda è un progetto di zonazione cominciato 15 anni fa, quando fu re-impiantato il vigneto, con l'intento di sfruttare al massimo la “personalità” di ogni singola parcella del complessivo appezzamento, impiegando cloni di Glera atti a esaltare le caratteristiche dei diversi micro-terroir. Così per esempio sulla parte sommitale della collina si è impiantato il clone “Balbi”, che meglio si adatta al terreno magro e sassoso della cima della collina. Tutto ciò ha condotto all'identificazione di veri e propri cru, come il Calvario (nome dettato dalla proibitive pendenze), dal quale si ricava il complesso ed elegante Conegliano Docg Ariò.

lavorare con viti sopra i 30 anni, che risultano più equilibrate dal punto di vista del rapporto quantità/qualità delle uve. Anche la densità di ceppi/ha non è particolarmente strategica dal punto di vista del miglioramento della qualità delle bacche. Importante è una corretta potatura invernale, per dare il giusto equilibrio alla pianta”. Come vi regolate in cantina? “Non crediamo – prosegue Alberto Ruggeri - nell'opportunità di partire direttamente dal mosto per la spumantizzazione; meglio effettuare due fermentazioni distinte, con la possibilità di gestire delle cuvée più interessanti; lo zucchero impiegato per la rifermentazione non riteniamo possa influire sui profumi finali dello spumante. Quanto alla composizione delle uve, noi impieghiamo unicamente Glera in purezza: meno problematica e più affidabile. Produciamo un Brut, sui 10 g/l di zuccheri residui, un Extra Dry, un Dry che dal 2011 sarà una Riva, la Santo Stefano, e un Cartizze. Non riteniamo nemmeno LE COLTURE: approccio prag- opportuno effettuare degli Charmat lunmatico a garanzia di una qua- ghi: 30-40 giorni sono più che sufficienti lità costante per garantire un prodotto ottimale; tempi Si tratta di una solida realtà di Valdob- più protratti, snaturerebbero il profilo orbiadene, di proprietà dei fratelli Cesare ganolettico delle nostre bollicine. Quello e Renato Ruggeri, produttrice di circa che notiamo è una forte crescita della 600.000 bottiglie l'anno. L'occasione domanda di Brut, che oggi produciamo di una chiacchierata con Alberto Ruggeri, in circa 130.000 bottiglie, ed è l'etichetta deus ex machina dell’azienda vinicola, da noi più prodotta, 10 anni fa era l'opci consente di capire la filosofia che sta posto: Cartizze ed Extra Dry erano in alla base di questa cantina. “Da anni pole position”. non figura più sulle nostre etichette la parola 'Prosecco', riportata solo in re- MARCHIORI: recupero di antitroetichetta; detto ciò, è ovvio che l'av- chi vitigni e macerazione sulvento della Docg è stato da noi accolto le bucce con particolare entusiasmo, consapevoli A Farra di Soligo si trova questo piccolo dell'importanza di valorizzare l'importanza gioiello, il cui punto di forza sta nella del nostro territorio. Per noi, come per composizione e nella cura della vigna, tutti coloro che vogliono fare seria qualità, sotto ogni profilo. Ma per capire meglio il vigneto è fondamentale, e perciò gli questo cocnettpreambolo, sentiamo sudedichiamo una cura particolare, so- bito uno dei giovani patron, Umberto prattutto a livello di potatura, defoliazione, Marchiori. “La nostra piccola tenuta si gestione. Quanto alla produttività, non estende su una superficie complessiva siamo dei maniaci delle bassissime di 11 ettari, suddivisi in piccoli appezzarese per ettaro. La Glera è varietà menti - per un totale di 16 vigne - caratvigorosa, soprattutto nel comprensorio terizzati da un articolato caleidoscopio di Conegliano, meno a Valdobbiadene, di eterogenei terroir: ciò ci consente di dove i terreni sono più difficile e meno mettere a punto dei vini base frutto di ricchi di acqua. Più interessante è complessi blend, capaci di esprimere

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Carpenè Malvolti e il Cartizze Dopo quasi 150 anni di storia, l'azienda che ha “inventato” il Prosecco Spumante entra in una nicchia di mercato per lei inedita: quella del Cartizze. Perché solo ora la decisione di produrre una bollicina così particolare, identitaria e distintiva nel contesto del comprensorio di Conegliano Valdobbiadene? “Il Superiore di Cartizze si pone in ottimo abbinamento al dessert, un segmento di mercato ancora non adeguatamente coperto dalla nostra gamma di prodotti. Perché ci siamo decisi solo ora a produrlo, lanciandolo sul mercato in occasione dell'ultimo Vinitaly? Perché l'azienda ha fiducia che con i maggiori controlli che saranno effettuati grazie al passaggio dalla Doc alla Docg, si possa effettivamente contare su un'autenticità di prodotto e quindi su una maggiore trasparenza, in pieno stile Carpenè. Questa etichetta va a porsi naturalmente al vertice della nostra gamma, proposta in versione Dry, da uve Glera in purezza provenienti da vigne in zona di Cartizze, fra San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol, in Comune di Valdobbiadene, insistenti su suoli molto vari, ricchi di morene, arenarie e argille, sopra la roccia madre”, questa la dichiarazione rilasciataci da Etile Carpenè. Il nuovo prodotto si caratterizza per una veste giallo paglierina vivace dai riflessi verdolini; il naso è complesso, ricco di note floreali, dall’acacia alla rosa, e di suadenti ricordi fruttati, dalla mela golden al pompelmo rosa.

un'autentica sinfonia organolettica. Sebbene la nostra produzione sia molto esigua, solo 30.000 bottiglie, questo nostro piccolo patrimonio viticolo ci consente di produrre vini potenzialmente anche molto diversi fra loro. Per il futuro abbiamo anche in programma di includere nella nostra gamma una Riva, anche se dal nostro punto di vista il nome della Docg andrebbe semplificato”. Sappiamo che la vostra attenzione alla vigna non si ferma al descritto mosaico di terroir, ma si estende anche al recupero di varietà minori...: “Attraverso opportune selezioni massali, siamo riusciti a isolare e a moltiplicare dei ceppi di Bianchetta, Verdiso, Perera (varietà assai aromatica), Rabosina Bianca, tanto che con la vendemmia 2011 abbiamo vinificato 25 ettolitri complessivi di tutte queste uve. L'obiettivo è di produrre una base composta di un 85% di Glera e di un saldo costituito da un mix di tutte queste varietà; molto dipende anche dai terreni dove si coltiva la Glera, di per sé relativamente anonima, ma molto marcata dalla natura dei diversi pedoclimi”. Tutto questo per quanto concerne la vigna, ma in cantina come vi regolate? “Credo molto nella macerazione delle bucce sul mosto in fermentazione, in funzione anche della natura dello stesso e della vigna di partenza (noi abbiamo alcune vigne storiche di 30-40 anni). Quando quest'ultimo ha stoffa, lascio le vinacce a contatto del mosto-vino per 4-16 ore, a una temperatura di gestione di 1214°C. Quando il pH è alto, come nel 2011 per via dell'annata calda, la durata della macerazione la riduco al minimo. In ogni caso non esagero mai: macerazioni esasperate infondono al vino, e poi allo spumante, note vegetali verdi o secche, anche perché si parte da uve colte con leggero anticipo. Né faccio svolgere la malolattica, per evitare eccessiva grassezza e un impoverimento dell'acidità”. MARSURET: l'importanza del controllo totale della filiera Cantina di Guia, fondata nel 1936, è oggi condotta da Ermes e Giovanni Marsura. Sentiamo subito il pensiero di Er-

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mes: “La nostra azienda ha puntato, sin dagli albori, a essere una realtà agricola. Oggi abbiamo 45 ettari di proprietà, oltre a 15 in affitto, per una produzione di circa 400.000 bottiglie. Le nostre vigne sono quasi interamente di alta collina e il nostro punto di forza è la possibilità di contare su più terroir e di poter selezionare le uve a seconda di ciò che vogliamo ottenere. Negli anni Settanta, qui a Valdobbiadene Conegliano le aziende erano per lo più realtà commerciali di grandi dimensioni, che acquistavano uve e/o vini base e poi si dedicavano alla spumantizzazione, potendo permettersi le necessarie attrezzature e la catena del freddo. Ma noi, pur con molte difficoltà, abbiamo sempre voluto, anche in quel periodo, poter controllare tutta la filiera produttiva. Abbiamo sempre avuto la passione di far vino partendo dalla vigna, ed è stata questa la nostra impostazione. Noi ci siamo sempre sentiti prima di tutto viticoltori, poi vinificatori e spumantizzatori. Questo ci ha consentito di consolidare una notevole esperienza a livello agronomico, che ci permette di capire le differenze delle uve provenienti dai diversi nostri 18 appezzamenti, consci delle varietà di territorio sulle quali possiamo contare. Tutto ciò ci ha permesso di entrare in confidenza con la vite, di 'capirla' al volo, di avere tutto sotto controllo, senza mai diventare schiavi della tecnologia. E oggi che si torna a pensare prima alla vigna e poi alla cantina, anche per quanto concerne il Valdobbiadene Conegliano, noi ci troviamo avvantaggiati, perché abbiamo già una mentalità e un'esperienza orientata in questo senso, potendo ora lavorare più di fino, sulla genuinità, sulla pulizia, sul controllo delle temperature e così via... Da notare infine che i nostri Docg sono tutti frutto di una spumantizzazione di vini a base di Glera in purezza”. PERLAGE: dal biologico al bidonamico, sino a un “senza solfiti” Nel 1981 i sette fratelli Nardi, con il padre Tiziano e la madre Afra, decidono di iniziare l’avventura dell’agricoltura bio-


logica – pionieri nella zona di Valdobbiadene Conegliano – e adottare tecniche agricole ed enologiche assolutamente naturali. Una scelta filosofica e di vita che scaturisce dall’esigenza di utilizzare dei procedimenti che garantiscano un pieno rispetto dell’ambiente e una conseguente sicurezza per la salute. “All’epoca – specifica l’amministratore di Perlage, Ivo Nardi – esisteva poca bibliografia e le sperimentazioni sono state fatte da noi in azienda, prima su un piccolo appezzamento di 6.000 metri quadrati con uva Glera, poi sull’intera azienda. Tuttavia, nonostante le iniziali difficoltà, abbiamo perseverato e perfezionato delle tecniche adatte che ci garantiscono la sanità delle uve. I risultati in seguito non sono mancati, anche da un punto di vista economico”. Nel 1985 nasce quindi la prima azienda certificata biologica delle colline della Marca Trevigiana e nel 1991 la cantina produce il primo Prosecco biologico della storia enologica italiana; nel '95 arriva anche il primo spumante. Ma ai Nardi tutto ciò non basta. Infatti dal 2005 Perlage ha iniziato l’esperienza biodinamica, acquisendo la certificazione Demeter e rendendo ancora più profondo quel contatto con la terra e l’intero sistema naturale, da sempre cercato e rafforzato. Nasce in quel periodo il primo Valdobbiadene Conegliano Prosecco Spumante Doc biodinamico, il Col di Manza. Ma “la sfida vera e propria comincia nel 2006” dice Nardi -. “In quell’anno, infatti, arrivarono i primi riconoscimenti. Il Prosecco Animae, cru millesimato da vendemmie selezionate, vinificato senza aggiunta di solfiti, si guadagna la medaglia d’oro al Mundus Vini-Biofach di Norimberga, traguardo importante, soprattutto per il grande consenso ottenuto anche tra i consumatori”. L'Animae può dirsi il primo spumante al mondo privo di solfiti: “Per mettere a punto la spumantizzazione senza solfiti è indispensabile un accurato controllo dello stato sanitario delle uve, che deve essere perfetto e deve essere abbinata a una massima pulizia in cantina”, spiega l’enologo aziendale, Andrea Gallina. La vinificazione avviene in assenza di ossigeno, cosa resa possibile grazie

ai moderni vinificatori che consentono di evitare ossidazioni. “Attraverso una collaborazione con l’Università degli studi di Padova, il CRA di Conegliano e la fondazione Mach di San Michele dell’Adige – spiegano Gallina e Nardi – sono stati selezionati lieviti, individuando le loro migliori attitudini, in grado di ridurre la concentrazione dei solfiti”. RUGGERI: vecchie viti, che passione! Fondata nel 1950 da Giustino Bisol, la Ruggeri - lecito dirlo ha contribuito a comporre la storia del Prosecco di Valdobbiadene; non solo perché è stata una delle prime a produrre spumante in autoclave: negli anni Sessanta erano solo 6 le aziende che impiegavano il metodo Charmat, ma anche perché in questa realtà si sono formati tanti valenti enologi, che poi hanno diffuso nel territorio virtuosi protocolli qualitativi. Le uve utili a produrre il milione di bottiglie annue di Valdobbiadene Docg targate Ruggeri e distribuite per il 60% in Italia e il rimanente in 25 stati esteri, sono per tradizione conferite da poco più di un centinaio di viticoltori, quasi tutti del comune di Valdobbiadene. Fra questi, 25 dispongono anche di uve di Cartizze: la Ruggeri è la cantina che opera la maggior pigiatura di bacche di questa ricercata sottozona. Ma vanno anche segnalati i numerosi vigneti di alto pregio ricadenti nelle storiche frazioni di San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol, da sempre riconosciute come l’apice qualitativo dell’intera denominazione. Per far fronte a questo cospicuo impegno vendemmiale, la cantina si è dotata di due linee di scarico del tutto indipendenti e di 5 presse a spremitura soffice, al fine di garantire la separazione delle varie provenienze delle uve anche nei momenti di maggiore afflusso. Ma l'aspetto più interessante di questa realtà di Valdobbiadene concerne il recupero di vecchi ceppi di vite, anche centenari. Nei vigneti di Valdobbiadene si trovano viti di tutte le età, l'une appresso alle Artù n°47

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valente agronomo, allievo del professor Mario Fregoni. In che termini ti hanno arricchito queste due importanti collaborazioni? “Mi hanno prima di tutto insegnato che la pianta, per dare ottima uva da vino, deve essere in equilibrio. In questo senso ho compreso che la zona di Valdobbiadene Conegliano si è evoluta moltissimo da un punto di vista enologico, ma in vigna c'è ancora tanto da fare: il Prosecco di oggi non è certo un punto di arrivo, ma una base di partenza. Ma per poter davvero compiere dei progressi di natura agronomica, è necessaria innanzitutto la zonazione, finora trascurata. Per esempio nel nuovo disciplinare sono state inserite le famose Rive; ma che senso ha definirle, se prima non si è gettata una base scientifica per la loro stessa classificazione? La zonazione darebbe inoltre ai viticoltori maggior consapevolezza. Dal canto mio, in collaborazione con Veneto Agricoltura, sto portando avanti un progetto – in regime di lotta integrata – per eliminare la chimica in vigna (e ridurre la solforosa in cantina)”. E delle pratiche di cantina, cosa ci dici? “Se notiamo delle fecce fini dai particolari profumi, le lasciamo per un certo tempo a contatto con il vino base, con i classici batonnage, con lo svolgimento di una parziale malolattica. Prima di porre il vino in autoclave noi vogliamo che sia ben maturo, senza bruciare le tappe. La spumantizzazione dura circa un mese, per uscire a marzo con le prime bollicine, mai prima. Con la vendemmia 2011 abbiamo fatto un esperimento, applicato per ora a una versione Igt frizzante: partire da un blend di vino base del 2010, che ha fatto la malolattica, e di vino nuovo del 2011. Nel 2012 tenteremo di replicare una base analoga, ma facendo avviare la rifermentazione in autoclave non con l'agSIRO MEROTTO: zonazione, fec- giunta di zucchero, bensì di mosto. Una ce fini e poco zucchero caratteristica delle nostre bollicine è la Nicola Merotto, enologo e patron – as- notevole secchezza: la nostra base di sieme a Mirko – di questa bella realtà partenza, arricchita da terreni calcarei di Farra di Soligo, prima di diventare e da pH alti, quindi mai estremamente operativo nella sua cantina ha avuto la acida, ci consente di tenere bassi gli fortuna di poter compiere due fonda- zuccheri, guadagnando in equilibrio e mentali esperienze: una con il “guru” Mi- consentendo agli aromi comunque di chel Rolland, l'altra con Andrea Paoletti, esprimersi. Infine abbiamo un impianto altre, poiché quando muore una pianta subito la si sostituisce. In molti vigneti si trovano ceppi di 30, 40 e più anni. Ma talvolta ci si imbatte in esemplari davvero antichi, in qualche caso a formare un unico micro appezzamento. Ci racconta Paolo Bisol, patron dell'azienda: “Camminando su e giù per le colline in compagnia degli agricoltori, rimanevo impressionato dalle viti più vecchie. Qualche volta imponenti, col fusto enorme; altre ridotte a una lamina, ma ancora vitali; talvolta spaccate in due; oppure ancora ben ritte; spesso contorte; in qualche caso col fusto quasi strisciante a terra. Incuriosito, chiedevo al proprietario l'età di quelle piante: ne ricavavo che esse potevano avere anche oltre 80 anni! Scrutando queste viti sognavo di trarne un vino da spumantizzare, che fosse un omaggio al lavoro degli agricoltori e al tempo stesso un modo per dare alle colline la possibilità di 'raccontarsi'. Alla fine mi sono deciso, coinvolgendo una ventina di agricoltori amici che non avrebbero potuto dirmi di no”. Come procedete, in pratica? “In primavera scegliamo e segniamo le viti, seguendole passo passo sino alla vendemmia. Ogni agricoltore raccoglie l’uva delle sue viti vecchie in casse che poi noi passiamo a raccogliere; la sera l’uva viene pigiata. Non si tratta però di un'operazione di 'archeologia enologica': le bacche le si vinificano normalmente in bianco, previo un brevissimo contatto con le bucce prima della pigiatura, a ricordo dell’antico modo di fare il Prosecco; il vino rimane a riposare sulle sue fecce fini sino a primavera, quando è posto in autoclave per la presa di spuma, che avviene molto lentamente; finalmente nel mese di giugno il Valdobbiadene Vecchie Viti viene posto in bottiglia”.

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fotovoltaico da 30 kW che ci consente l'autonomia energetica”. SORELLE BRONCA: qui si parte dal mosto Questa brillante di Vidor ha applicato a parte della sua produzione due concetti molto particolari. Innanzitutto la filosofia del cru. Un approccio che, a parte il caso del Cartizze, è abbastanza raro nell’area di Conegliano-Valdobbiadene. Il loro Particella 68 – da quest'anno Brut e non più Extra Dry – proviene infatti da un unico appezzamento, allevato a Guyot e caratterizzato da vigne vecchie di 30-40 anni, con una densità di ceppi/ha insolita per la Glera. Eppure i risultati danno ragione a questa filosofia: indubbiamente nell’equilibrio tra eleganza e non comune potenza di questo spumante, il terroir si avverte. Il secondo aspetto che rende unica (o quasi) questa realtà, è che, attraverso un’operazione filologica di rivisitazione della tradizione, si è optato non già di rifermentare un vino base, bensì di spumantizzare direttamente il mosto, guadagnando in freschezza, ricchezza fruttata, complessità organolettica. Il loro enologo-consulente Federico Giotto ci svela qualche “segreto”: “Negli ultimi anni è indubbio che il Conegliano Valdobbiadene sia molto migliorato (…), ma è tempo di utilizzare i mezzi a disposizione per esaltare l’unicità di un terroir”. Ossia? “La tecnica di vinificazione del Prosecco prevede l’aggiunta di zucchero e di lievito a un vino-base all’interno di una autoclave (…). In questo modo la scelta del tipo/ceppo di lievito influisce tantissimo sul prodotto finale, forse ancor più della zona di provenienza (…). Ma cosa ha a che fare tutto ciò con l'identitarietà di questo spumante? È proprio ponendomi questa domanda che ho iniziato a ricercare una tecnica di vinificazione in grado di esaltare di più la zona di produzione e le caratteristiche varietali dell’uva. Analizzando la Glera si nota che la maggior parte degli aromi provengono da particolari composti, che nel mosto sono legati agli zuccheri, e dalla trasformazione a carico del lievito di alcune basi azotate, natu-

ralmente presenti, il cui contenuto è strettamente legato al territorio e all’annata. Va da sé che è proprio durante la fermentazione che questi aromi si liberano e sono percepibili dal nostro olfatto. Di conseguenza utilizzando direttamente il mosto come base spumante si avrà una maggior concentrazione di questi aromi naturali nel vino e un’incidenza aromatica del lievito nettamente inferiore (…). Ed è cosi che, dopo opportune ricerche, abbiamo adottato questi principi, impiegando delle basi costituite da mosto: gli effetti sulla qualità sono stati immediati, ma la cosa che sinceramente ci ha colpito di più sono state le differenze palesi dei vini provenienti da uve coltivate in zone diverse, indipendentemente dal lievito utilizzato (…)”. VIGNA DOGARINA, una cantina green oriented L’esordio sulla scena vinicola di Vigna Dogarina si deve all’acquisizione della stessa da parte della famiglia Tonus alla fine degli anni ’90, una delle tante intuizioni di Guido, imprenditore di successo nel mondo del mobile. L’azienda all’epoca possedeva circa 60 ettari di vigneti (oggi sono 150, di proprietà) e i primi investimenti furono sostenuti sul fronte agricolo per sostituire gli antiquati impianti di produzione con sistemi di allevamento moderni, messi a dimora grazie alla collaborazione e alla consulenza del Centro di Ricerca per la Viticultura di Conegliano. Favorita dalla sua privilegiata posizione a Sud di Conegliano e Valdobbiadene, tra il fiume Piave, al riparo delle Dolomiti, l’azienda agricola può sfruttare appieno le condizioni pedoclimatiche di questo lembo di territorio veneto e il particolare suolo di tipo alluvionale e argilloso detto caranto, che conferisce ai vini particolare carattere e sapidità. Qui un ruolo particolare è giocato dal Prosecco, sia spumante sia frizzante, vero fiore all’occhiello dell’azienda. Sono proprio i toponimi locali, come Campodipietra e Arzeri, nome del sito e della via che confina con i tenimenti Tonus, a testimoniare le origini storiche e quelle alluvionali di queste terre. Le

Mionetto, in controtendenza, batte la crisi Trend assai positivo per la storica cantina di Valdobbiadene, che ha registrato nel 2010 un fatturato record di 49 milioni di euro (+9,4% sull’anno precedente), per un volume di 15,7 milioni di bottiglie (+10,9%). Un ottimo risultato in particolare per lil comparto export, cresciuto a volume del 50% rispetto al 2009, soprattutto per merito della domanda Usa, ma anche grazie a Germania e Svizzera, seguite da Gran Bretagna e Paesi Bassi. Tra i mercati emergenti, fa capolino il Brasile. “La continuità di questo trend positivo – spiega Pietro Stangherlin, direttore generale Mionetto – è sicuramente testimonianza della qualità dell'offerta indirizzata ai mercati esteri e della capacità di valorizzare il prodotto partendo dal territorio da cui nasce, l'Italia, che, per la nostra tradizione nel settore, deve essere sempre la prima garanzia per il consumatore straniero”. Si rafforza così in Italia la presenza nel canale horeca, che rappresenta circa il 60% del giro d’affari italiano, un risultato significativo soprattutto in un momento di crisi del settore. Crescita a due cifre per il mercato statunitense, che con il suo +48% ottiene così per il secondo anno consecutivo l’ambito premio “Hot Brand Award”, prestigioso riconoscimento che viene assegnato dalla rivista economica Market Watch a quei brand che negli ultimi 5 anni hanno registrato nel mercato Usa una crescita a due cifre e raggiunto un minimo di un milione e duecentomila bottiglie vendute. Negli Stati Uniti la soglia delle 100.000 casse (1,2 milioni di bottiglie, appunto) permette all’azienda di essere considerata un brand nazionale. Mionetto, radicata nel territorio americano proprio grazie alla presenza a New York di Mionetto Usa Inc. inaugurata nel 1998, è infatti presente in 50 Stati e nelle principali città, con più di 400 clienti a New York, e un numero simile a Chicago e Boston, che servono Mionetto a bottigia o al calice.

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della cantina, promuovendo su basi moderne la coltura della vigna, da sempre presente nella zona. Sotto la dimora si estendono – per oltre un chilometro e mezzo – secolari cantine, che, per la loro naturale caratteristica di mantenere costante temperatura e umidità, creano un ambiente ideale per la maturazione e l’invecchiamento dei vini. A Valdobbiadene, nel cuore dell’area della Docg, insiste poi un’altra tenuta, con annessa cantina. Infatti Villa Sandi da sempre dedica una particolare cura alla produzione del suo Valdobbiadene Prosecco, con l'obiettivo di ottenere una bollicina fine ed elegante, dalle caratteristiche note floreali e fruttate, leggera e versatile, perfetta come aperitivo, ma anche a tutto pasto, capace di accompagnare numerosi piatti – sia di matrice mediterranea sia fusion – grazie alle sue varie declinazioni: Extra Dry, Dry Cuvée e Brut. Nell'area del Cartizze, in particolare, Villa Sandi possiede un vigneto di un ettaro e mezzo, denominato La Rivetta. Da questo fazzoletto di terra si ricava una particolare versione di Cartizze che Giancarlo Moretti Polegato ha deciso pionieristicamente di produrre nella tipologia Brut, piuttosto che optare per lo scontato dosaggio Dry, ciò per valorizzare meglio l'identità de La Rivetta e per consentire alla bollicina di punta della Casa di accompagnare l’intero pasto. Ma la filosofia della cantina di Crocetta del Montello non si esaurisce VILLA SANDI e un trinomio vin- qui. Molti investimenti sono indirizzati cente: arte, vino e turismo verso un’intensa attività di promozione Di proprietà di Giancarlo Moretti Pole- e valorizzazione del territorio. Da più di gato, questa realtà vitivinicola di Crocetta 15 anni la villa e le cantine sono gradel Montello ha sede in uno splendido tuitamente aperte al pubblico per visite edificio di scuola palladiana risalente guidate. E sono sempre più numerosi al 1622, ai piedi delle colline trevigiane, gli appassionati di arte, storia, paesaggio in prossimità della storica area collinare e mondo del vino che inseriscono Villa del Valdobbiadene Conegliano Docg. Sandi nel loro itinerario. Tra le prime realtà La villa, patrimonio culturale della terra italiane ad aprire le porte ai visitatori, trevigiana, è un felice esempio di quel conducendoli alla scoperta e alla coconnubio tra arte e agricoltura che ha noscenza del mondo del vino, oggi caratterizzato il paesaggio veneto dei può vantare la presenza di circa 20.000 secoli passati. I Moretti Polegato, da visitatori l'anno. La presenza di una Logenerazioni dediti alla viticoltura, hanno canda – dotata di sei camere – con curilanciato questa tradizione facendo di cina tipica, completa il quadro di una Villa Sandi la sede di rappresentanza proposta enoturistica non banale. sabbie dolomitiche, portate nei millenni dal fiume Piave, hanno creato un terreno particolare, ricco di minerali e molto adatto alla coltivazione della vite. Gran parte dei vigneti di Vigna Dogarina si estendono sulle sponde del Piave, raggiungendo la zona pedemontana della provincia di Treviso. Tra gli aspetti di rilievo di questa cantina vi è il suo approccio green, essendo stata tra le prime aziende vitivinicole venete a installare un impianto fotovoltaico, impiegato come generatore di corrente. L’impianto, di 1050 mq e 140,36 KWp di potenza nominale che copre gran parte del fabbisogno energetico totale, ha una produzione annua stimata di 150.000 KW ora, pari al consumo elettrico di circa 50 famiglie. Con l’installazione del fotovoltaico l’azienda vitivinicola in grado di risparmiare 105 tonnellate di Co2 e 12,9 tonnellate all’anno di petrolio. Ma questa filosofia va oltre il fotovoltaico, per approdare anche in vigna e in cantina: dal mantenimento dell’impianto di depurazione efficiente, che consente di rimanere nei parametri di riferimento, allo scarico diretto dei corsi d'acqua. Massima attenzione viene posta anche sull’utilizzo dell’acqua nei vigneti, con impianti a basso consumo idrico; inoltre, per quanto riguarda la produzione di biomasse l’azienda ormai da diversi anni è orientata verso l’utilizzo della massa organica prodotta, utilizzandola come concime.

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Qualità e stile nel successo di CAVIT di Elisa Facchetti

Quali sono le strategie commerciali dell’azienda relative al canale Ho.Re. Dal 1950 l'obiettivo di Cavit è quello Ca.? Può indicarci un suo commento di creare e diffondere la 'cultura' del personale sul bilancio in questo segvino in Italia e all'estero, assistendo mento distributivo? e qualificando le cantine associate Per Cavit il canale Ho.Re.Ca. è molto e contribuendo alla 'formazione' delle importante, tanto da presidiarlo con le stesse. I numeri parlano chiaro: 4500 linee di maggior prestigio: Altemasi per viticoltori, 5.700 ettari di coltivazione gli spumanti, Bottega Vinai o i Masi e più di 100 etichette nel solo mercato per i vini. La strategia di fondo è quella italiano rappresentano i punti di forza di presenziare a eventi e occasioni di di una realtà vitivinicola, fortemente forte richiamo e di grande standing, radicata sul territorio trentino, ma per entrare in contatto con il mondo sempre attenta alle dinamiche com- dell’alta ristorazione, con gli chef più merciali nazionali e internazionali. I blasonati e con il pubblico di intenditori. vini di Cavit partecipano da anni ai Per questo, negli ultimi anni, abbiamo più prestigiosi concorsi enologici in- investito molto nel segmento, allacciando ternazionali, e hanno ottenuto, dal partnership con importanti meeting co2000 a oggi, più di 400 tra premi e me Identità Golose, il congresso interriconoscimenti. nazionale dell’alta ristorazione o Taste of Milano, l’evento che celebra la ristorazione di eccellenza nelle principali città del mondo. Per quanto riguarda l’andamento di questo segmento di mercato, siamo soddisfatti: nonstante il momento generale difficile, Cavit sta crescendo e quindi il nostro bilancio è più che positivo. Questa crescita contribuisce allo sviluppo del marchio Cavit in generale e rappresenta una spinta per i marchi di punta come Altemasi. Avete presentato di recente anche un nuovo prodotto… Sì, la famiglia Altemasi ha recentemente accolto un nuovo Spumante Metodo Classico. Si tratta di Altemasi Rosè TRENTO DOC, una nuova, ricercatissima cuvée che completa la pluripremiata gamma di prodotti, nostro fiore all’occhiello, destinata solo ai migliori ristoranti e enoteche d’Italia. Questa linea, con la Riserva Graal, da anni è ai vertici dell’enologia italiana e internazionale: da 14 anni è un 3 bicchieri del Gambero Rosso (conArtù ha voluto incontrare Lorenzo Va- fermati anche quest’anno), nel 2010 vassori, Direttore Marketing di Cavit, 'spumante dell’anno', il risultato massimo per scoprire le eccellenze di prodotto che la guida più importante d’Italia, i e le nuove strategie di mercato del Vini d’Italia del Gambero Rosso, riconosce gruppo trentino, fortemente orientato a un vino (vendemmia 2002). Inoltre è verso il continuo miglioramento quali- anche '5 grappoli', il punteggio top setativo dei suoi vini, supportato da con- condo la Guida Duemilavini, “5 sfere” tinue analisi sull’andamento dei mercati alla Guida Sparkle Bere Spumante e della ristorazione e dell’ospitalità. primo assoluto nella categoria spumanti

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Masi. Si tratta di Maso Toresella Rosso Igt Vigneti Delle Dolomiti, vendemmia 2008. Questo importante vino nasce dall’unione di Lagrein e Teroldego, vitigni dalle più nobili caratteristiche qualitative. Il Lagrein è coltivato fin dal XVII secolo dai Padri Benedettini a Gries di Bolzano: è ben diffuso anche in Trentino, al punto da autorizzare l'opinione che il Oltre al Rosè sono in programma altre suo nome possa derivare dalla Vallagarina. Il Teroldego è probabilmente il più novità? Abbiamo scelto proprio il mese di no- antico vitigno di qualità prodotto in vembre per presentare altri vini dedicati Trentino; se ne parla, infatti, fin dal XIII al canale Ho.Re.Ca. Oltre alla nuova secolo, ma senza certezze sull'origine vendemmia del Teroldego Rotaliano etimologica: forse si rifà a quel 'Tiroler DOC Maso Cervara, che già l’anno Gold' – oro del Tirolo - per la sua intrinscorso aveva ottenuto l’importante ri- seca qualità che spinse Cesare Battisti conoscimento dei 3 bicchieri del Gam- a definirlo 'vino principe del Trentino'. bero Rosso con l’annata 2007, c’è una nuova cuvée di vitigni autoctoni Mercato Italia e mercato estero. Può trentini rossi, sempre della linea dei indicarci quali sono i pregi e i difetti oltre i 15 euro nel Grand Prix del vino Italiano (2011). Sulla scia di questi successi, è nato Altemasi Rosè, il nuovo spumante da uve Chardonnay e Pinot Nero di alta collina (tra i 450 e 600 mt di altitudine) che si combinano armonicamente per una cuvée di prestigiosa denominazione, la Trentodoc.

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di questi mercati e quali sono le richieste maggiori? Avete prodotti di punta che veicolate preferibilmente in un paese o in un altro? Ogni mercato è evidentemente una realtà a sè, con proprie caratteristiche culturali, storiche, logistiche e di tradizione. La forza di Cavit è sempre stata quella di saper dare la stessa attenzione ai diversi mercati, senza fare distinguo, cercando di capire il modo migliore per presidiarli. Negli oltre 60 anni di attività di Cavit sono stati scelti, dalla ricca gamma di prodotti della cantina, quelli ritenuti idonei a interpretare correttamente sia la domanda che viene dal singolo mercato, sia la struttura e la forza com-

orgoglio per il canale Ho.Re.Ca. È un progetto molto importante con cui intendiamo valorizzare le eccellenze del nostro territorio, con la collaborazione dei più prestigiosi istituti enologici nazionali e internazionali come l’Istituto Agrario San Michele all’Adige (Fondazione Edmund Mach) o la Fondazione Bruno Kessler. Con il nome “Maso” erano stati individuati, negli anni ’90, i vigneti più idonei per microclima, terreno e esposizione delle zone viticole, con l’obiettivo di ottenere la migliore materia prima, presupposto indispensabile per la realizzazione di un prodotto di qualità. A fine 2003 sono stati presentati i primi vini prodotti in poche

merciale necessarie per essere competitivi. I risultati parlano da sè: la crescita di Cavit, confermata anche dagli ultimi dati di bilancio (+11.4% le vendite nell’anno 2010/2011), non è relativa solo all’Italia ma anche all’estero, in generale. In America, ad esempio, siamo di gran lunga il vino italiano più venduto (fonte Nielsen). È un orgoglio per noi e per tutti gli associati che rappresentiamo.

migliaia di bottiglie, destinate alle enoteche e ai ristoranti, nati dall’ambizioso progetto che mirava a creare vini DOC di alta qualità quale il Trentino Superiore DOC. Un progetto che Cavit porta avanti negli anni, con dedizione, orgoglio e passione e continuo rinnovamento come, ad esempio, l’uscita a novembre, che abbiamo citato, del nuovo Maso Toresella Rosso IGT Vigneti delle Dolomiti. La linea di vini che porta questo nome è per noi simbolo dell’eccellenza del nostro territorio, proprio per questo importantissima.

Quanto conta il progetto Maso per la creazione di nuovi prodotti? La linea dei Masi è un nostro punto di

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Capua Winery La forza di ogni vitigno

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Pian d’Artino

Saturnia

di Alberto P. Schieppati A Saturnia, in provincia di Grosseto, Riccardo Capua ha creato un polo vitivinicolo di eccellenza che può contare su un territorio unico, dotato del microclima ideale per coltivare una gamma multivarietale di vitigni e vinificare quindi grandi vini. La sperimentazione assidua e costante è il tratto che caratterizza Capua Winery, il cui obiettivo è di creare -attraverso una attività incessante di ricerca- vini di assoluto equilibrio ed armonia, destinati alla ristorazione di successo e al consumatore attento ed evoluto, lontano da mode e conformismi. Alla base di ogni grande progetto c’è quasi sempre un sogno, di quelli con la S maiuscola. E, se il sogno è sostenuto da passione, coraggio, impegno, investimenti, quel sogno si realizza. E diventa realtà concreta, una realtà di quelle che non puoi non apprezzare ed ammi-

rare in tutto il suo svolgersi. Sembrano frasi fatte, ma il sogno di Riccardo Capua, quarantenne imprenditore e vignaiolo di Saturnia (ma è nato a Reggio Calabria), è una realtà consolidata, sotto gli occhi dei più attenti analisti del mercato vitivinicolo, ma anche degli enoappassionati e dei critici più curiosi ed esigenti. Con la moglie Natasha, Riccardo ha fondato Capua Winery (www.capuawinery.net), un’ azienda vitivinicola che risponde alla sua idea di qualità e di eccellenza: un’idea che, con coraggio e lungimiranza, ha saputo individuare un particolare territorio della Maremma toscana (nella Valle dell’Albegna, tra Saturnia e Manciano), favorito da un microclima ideale, direi perfetto per sperimentare l’allevamento e la vinificazione di una ampia gamma di vitigni autoctoni ed internazionali. E proprio qui sta, come si dice in linguaggio giornalistico, la “notizia”: Riccardo Capua, forte dei suoi sei ettari di vigneto ad altissima densità d’impian-

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to, ha avviato da ormai una decina d’anni (Capua Winery è stata fondata nel 1998 ed è del 2003 la prima gamma di vini immessi sul mercato) una sorta di sperimentazione permanente, creando un vero e proprio osservatorio privilegiato sulla “risposta” qualitativa di vitigni portentosi, alla base di vini di grande carattere, creati senza indulgere a mode e tendenze di mercato, spesso volubili e passeggere. Qui, in località Pian d’Artino, dove i paesaggi mozzafiato sulla valle dell’Albegna, tra Saturnia e Manciano, modellano un territorio unico e ricco di fascino, Riccardo Capua coltiva l’Alicante, il Colorino, il Touriga National, il Merlot, il Cabernet Franc, il Cabernet Sauvignon, il Petit Verdot, il Marselan, lo Chardonnay ed il Sangiovese. Tutte queste varietà vengono portate con estrema cura alla giusta maturazione, raccolte e vinificate separatamente, nonché elevate in legni pregiati e infine sapientemente assemblate per creare vini (tutti IGT Maremma Toscana) dai nomi decisamente appealing, come il Tutto Cuore, il Fiammante, il Mio Sogno, il Dolce Amore e il Mon Amour. Tutti i passaggi produttivi, dalla gestione del lavoro in vigna, fino alle attività di cantina, vengono direttamente seguiti da Riccardo Capua, la cui cura e precisione sono la migliore garanzia di rispetto

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per le diversità microclimatiche di ogni stagione, ma anche e soprattutto per l’espressione più autentica delle potenzialità di ogni vitigno. “Un progetto che ha come obiettivo quello di individuare la perfetta combinazione tra la cultura del terroir e la cultura del varietale, finalizzato ad elevare il vino ai massimi livelli qualitativi”, conferma Riccardo Capua. “La vendemmia -come sottolinea Francesco Rossi, il giovane agronomo di Capua- viene programmata in funzione della maturazione delle diverse varietà, si comincia generalmente con lo Chardonnay per terminare con i vitigni a bacca rossa”. L’obiettivo di Riccardo Capua è di produrre vini che nascano dal perfetto equilibrio tra zuccheri, acidità e tannini, ed è per questo motivo che, durante la vendemmia, i livelli di maturazione vengono costantemente monitorati attraverso analisi del mosto. “Il traguardo è sempre quello di raccogliere un’uva matura che possa, alla fine, generare un vino sì concentrato, ma anche fine, elegante e morbido”, aggiunge Riccardo Capua. Ma veniamo alle etichette in gamma: Tutto Cuore si presenta come un classico vino toscano, espressione della Maremma più felice, dal bel colore granato e dalle note frut-


tate: al 90% Sangiovese e al 10% Alicante, fa una fermentazione in vasche di acciaio inox a temperatura costante di 27 gradi e, dopo un periodo di macerazione sulle bucce, ha un affinamento di dodici mesi in botti grandi di rovere francese. Tutto Cuore è un vino gentile ed intrigante, che si abbina molto bene a primi piatti e secondi leggeri. Il Fiammante invece, 70% Cabernet Franc, 10% Cabernet Sauvignon, 10% Petit Verdot e 10% Merlot, si avvicina decisamente allo stile bordolese, ma non perde affatto la propria tipicità mediterranea, legata al terroir maremmano, nel quale i vitigni si esprimono al meglio. Al naso sentori di ribes e cassis, in bocca una struttura notevole, fatta di grande concentrazione, seppure mitigata da morbidezza ed eleganza. Affinato in barrique per dodici mesi (secondo Riccardo Capua “la botticella di rovere francese non deve interferire in modo

invasivo sul risultato finale del vino”, e proprio per questo vengono utilizzate barrique nuove di legni pregiati, caratterizzate però da un minore spessore delle doghe rispetto a quello delle altre barrique), Fiammante esprime, in degustazione, un equilibrio notevole lasciandosi dietro, nel finale, persistenti note fruttate. È adatto alle carte dei vini della ristorazione elevata, dove a una grande cucina d’autore è fondamentale accostare un vino di estrema caratterizzazione e unicità. Il Mio Sogno, a sua volta, è vino di grande originalità e potenza espressiva: Alicante al 70%, più 15% Colorino e 15% Touriga National, è un prodotto in cui la componente di sperimentazione è particolarmente marcata, anche in virtù della tipologia dei vitigni utilizzati. L’Alicante è vitigno antico, della stessa famiglia della Granache nella Vallée du Rhone in Francia, di spiccata mineralità, che esprime un

I vini di Capua Winery, fortemente caratterizzati sotto il profilo varietale, si rivolgono a quei professionisti della ristorazione che vogliono proporre etichette “fuori dal coro”, lontane da certi conformismi che caratterizzano l’offerta di tanti locali.

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vino dalle note fruttate, speziate e lievemente affumicate. Insieme al Touriga Nazionale (il vitigno di elezione del porto) e al Colorino, vitigno toscano a bacca rossa utilizzato un tempo anche per rafforzare cromaticamente il Sangiovese, l’Alicante trova la sua migliore espressione dando vita a un grande vino, a cui la permanenza di un anno in barrique conferisce ulteriore pregio e morbidezza. La gamma di Capua Winery vede poi l’esaltazione di un altro grande vitigno alloctono, lo Chardonnay, che in questa Maremma calda e solare, trova un habitat particolarmente favorevole. Nel Dolce Amore, le uve Chardonnay sono al 100% e contribuiscono in modo esclusivo a generare un vino di rara eleganza, destinato a intenditori che sappiano apprezzare i profumi tipici di queste uve particolari: “frutta tropicale, banana, pompelmo, frutta secca, noci tostate e vaniglia di cacao bianco”, così si legge nell’elegante brochure di Capua che evidenzia anche le caratteristiche tecniche di questo vino di notevole stoffa. E che dire del Mon Amour, il rosé 100% Sangiovese in purezza, vino di estremo equilibrio ed armonia? Di colore rosa salmone con sfumature amaranto, esprime sentori di bosco, ciliegie sotto spirito, lampone e fiori di rosa: un vino leggero, ma ben caratte-

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rizzato, che ben si abbina a portate in cui le materie prime rivelino delicatezza e gusti ben distinti. Vini originali e di grande caratterizzazione, quelli prodotti a Saturnia da Capua Winery, destinati a un mercato di professionisti alla costante ricerca di etichette “fuori dal coro”, da proporre alla clientela dei propri locali. Prodotti eleganti e raffinati, espressione di un territorio particolare e unico, che nascono e si perfezionano in una cantina decisamente all’avanguardia. Vini che vanno comunicati efficacemente a ristoratori e sommelier affinché ne colgano le particolarità e le sappiano, a loro volta, trasferire ai propri clienti. Il delicato ruolo di promuovere in chiave di marketing e commercializzazione i vini di Capua Winery è affidato ad Anna Soleti, una vera professionista nel settore vitivinicolo, che affianca Riccardo Capua nel delicato ruolo di comunicare (e vendere) i vini in gamma. Anna è un riferimento imprescindibile per l’universo dei ristoratori, sicuri di trovare in lei l’interlocutrice più adatta e disponibile, sempre pronta ad offire le soluzione più intelligenti. Una produzione di piccoli numeri quella di Capua (non si superano le ventimila bottiglie) ma che, proprio per questo, assume un particolare valore qualitativo e denota la cura assidua e l’attenzione maniacale ai dettagli che contraddistingue ogni etichetta. La sinergia fra aspetti produttivi e tecniche di comunicazione è particolarmente forte in Capua Winery, a riprova del fatto che il lavoro di squadra è fondamentale per raggiungere il successo. Alla produzione vinicola, Riccardo Capua affianca anche una linea pregiata di olii extravergini, capace di esprimere al meglio il terroir della Valle dell’Albegna. Così, nella tenuta di Capua, si producono Leccino e Frantoiano, ma si “osa” anche coltivare la Nocellara, cultivar frutto di continua sperimentazione. Introdotta in Maremma per la prima volta da Riccardo Capua, la cultivar siciliana originaria della Valle del Belice, sa esprimere livelli qualitativi elevati, dando vita a un olio di estrema gradevolezza e di gusto deciso ed elegante, destinato alle tavole più esigenti.



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Valrhona il cioccolato di altissima gamma

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di Marta Lai Quello di Valrhona è un nome più che conosciuto e apprezzato tra gli artigiani e i ristoratori che hanno a che fare con la pasticceria e il cioccolato di qualità, i quali trovano in questa grande azienda francese un partner particolarmente vicino e attento. Ed è proprio per andare incontro alle loro esigenze che lo storico marchio d’oltralpe arricchisce quotidianamente la sua gamma di prodotti, nati nel corso degli anni dalla costante ricerca degli esperti dell’azienda. Era il 1922 quando la fabbrica di cioccolato venne fondata a Tain L’Hermitage, poco lontano da Lione, e da allora Valrhona segue la strada dell’eccellenza ricorrendo a conoscenze, capacità, creatività e la costante ricerca della qualità. Coltivatori, selezionatori, miscelatori e creatori - insieme a coloro che lavorano in e per l’azienda - gestiscono l’intera filiera del cacao allo scopo di produrre cioccolati dalle ricette esclusive, che possano assecondare le esigenze dei propri clienti. E le cifre dimostrano che l’obiettivo è stato centrato: oggi come oggi il marchio francese annovera 12.000 clienti in circa 60 paesi in tutto il mondo; con ognuno di loro Valrhona ha stabilito un rapporto privilegiato che passa innanzitutto attraverso la materia prima, e poi da una serie di servizi pensati per soddisfare le aspetArtù n°47

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Qui sopra una fase della lavorazione delle praline e accanto i blocchi di cioccoloato per la pasticceria e la ristorazione.

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tative di chi, con il Cibo degli Dei, crea delizie per i propri i clienti. Per quanto riguarda il cioccolato, i prodotti Valrhona offrono ai professionisti della ristorazione molto più delle semplici materie prime, perché sono frutto di ricerche e analisi professionali condotte soprattutto all’interno della “Cacaoteca”: la gamma di prodotti Laboratorio comprende oltre 80 referenze, nate dall'unione di varietà di cacao selezionate e grand cru, allo scopo di mettere a disposizione dei clienti le basi migliori per ottenere ottimi dessert. Per mantenere una qualità costante ed elaborare nuove peculiarità aromatiche, Valrhona si è specializzata nella scelta della materia prima e nella conoscenza sensoriale. I rappresentanti del marchio francese visitano perciò ogni angolo del mondo per trovare le varietà di cacao più fini e - in collaborazione con i coltivatori svilupparne altre dall’aroma particolare e di grande qualità. Ogni settimana, inoltre, più di 170 degustatori controllano le caratteristiche e la costanza qualitativa dei prodotti. Ed è anche grazie a ciò che nel corso degli anni il marchio d’oltralpe è stato in grado di met-

tere nel proprio “portafoglio” specialità come "il cioccolato più amaro del mondo" (Guanaja, nel 1986), il primo cioccolato Grand Cru (Caraibi, 1987), nonché il primo speziato e salato (Xocopili, 2005). Accanto a tutto questo, ci sono poi i servizi e le opportunità dedicati ai clienti. L’esempio forse più conosciuto è l'École du grand Chocolat, fondata nel 1989 dal Maestro e chef pasticcere Frédéric Bau, sempre a Tain l’Hermtitage e non lontano dalla sede dell’azienda Valrhona. Questa École – della quale ora Bau è direttore artistico - costituisce senza dubbio il più bell’esempio dell’impegno di Valrhona per gli appassionati del Grand Chocolat: qui i professionisti possono scoprire i retroscena di un cioccolato di alta qualità e apprendere i trucchi dei Grandi Chef. Si tratta infatti di un centro di formazione frequentato da pasticceri e chef di tutto il mondo, che possono partecipare a stage per affinare la propria capacità di lavorare il cioccolato e poter trarre ispirazione. Questo polo di creatività offre servizi suddivisi in tre ambiti: formazione, consulenza ed elaborazione di ricette. Fedeli a una filosofia di condivisione del sapere e delle abilità - uno dei punti di forza di Valrhona - gli insegnanti, pasticceri e maestri cioccolatieri di fama internazionale utilizzano una metodologia d'insegnamento incentrata sulla tecnologia e la genuinità. Ogni anno, l'École du Grand Chocolat propone nuovi corsi, in linea con le tendenze e


le necessità del settore, oltre a essere anche un centro di ricerca riconosciuto a livello internazionale: i suoi esperti hanno sviluppato una capacità di supporto e di servizio con un elevato livello di competenza. E questo regno dell’arte del cioccolato è aperto anche ai gourmet, invitati a scoprire i segreti degli Chef e del Grand Chocolat. Inoltre, in ogni continente, i pasticceri dell’École organizzano e tengono stage e dimostrazioni: da Tokyo a New York, passando per Singapore, Los Angeles, Barcellona, Milano o Colonia.

Le Cercle des Chef Per consentire agli Chef di tutto il mondo di accedere appieno al Grand Chocolat come fonte di ispirazione e scoperta, Valrhona ha creato, nel 2005, Le Cercle des Chef: si tratta di una comunità internazionale che riunisce, a oggi oltre 850 tra i migliori chef di cucina e della ristorazione. Ma i servizi che Valrhona mette a disposizione dei propri clienti non finiscono qui. Infatti, è attivo anche un sito internet - www.cercle.valrhona.com - dedicato per seguire le tendenze del momento e l’attualità nel settore, con un database di ricette costantemente aggiornato e che funge da fonte d’ispirazione. Valrhona però pensa alla clientela “normale”, con una gamma di prodotti per il grande pubblico che hanno lo stesso livello di qualità riservato ai professionisti, e che sono disponibili presso punti vendita di prestigio: drogherie storiche, boutique di aeroporti, corner di grandi magazzini ecc., e in una ristretta rosa di grandi magazzini di tutto il mondo: dalle Galeries Lafayette alla catena Printemps, passando per Mitsukoshi, Kadewe, Whole foods Market, La Rinascente, Corte Ingles.

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protagonisti

Pesce di lago? Alla Colombara si può

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di Fiorenza Auriemma Federico Albini propone al Relaisfranciacorta la sua personalissima cucina. Dal vicino Sebino, ma anche dalle campagne del territorio, arrivano quotidianamente materie prime interessanti e adatte a una cucina originale. Anche se, sottolinea lo chef, “non si può dire che la linea del ristorante di Corte Franca sia esclusivamente a chilometro zero”.

Nella pagina a fianco, lo chef Federico Albini e il complesso del Relaisfranciacorta. Qui sopra, Gamberi e calamari al Franciacorta.

Colombaro

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Corte Franca

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Proporre una cucina elegante che però non sia avulsa dal territorio che la ospita, spesso non è facile. Se poi il territorio in questione, per sua natura, richiede abilità e impegno a chi intenda metterne in luce le peculiarità gastronomiche, la questione si fa ancora più complessa. E infine, se il tutto ha come contenitore un albergo “di campagna” con una clientela varia e dalle esigenze sfaccettate, il compito dello chef può diventare davvero impegnativo. Lo sa bene Federico Albini, cui spetta il posto di comando nelle cucine del Ristorante La Colombara, che si trova all’interno del Relaisfranciacorta, a Colombaro di Corte Franca in provincia di Brescia. Questa ampia struttura immersa in 60mila metri quadri di parco gradevole e ben tenuto, mette a disposizione una cinquantina di stanze, ed è inoltre meta di convegni, riunioni aziendali, banchetti, ricevimenti, congressi ecc.., di varia natura e genere, compresi gli appassionati del cosiddetto turismo enogastronomico. Grazie, appunto, a La Colombara, che lavora per i clienti dell’albergo e per gli ospiti degli eventi, così come per chi apprezza e ricerca un’esperienza raffinata e in-

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trigante per il palato. “Non posso dire che la mia sia una cucina esclusivamente a Km zero, perché per fare un grande piatto ci vuole una materia prima al top”, spiega senza nessuna ritrosia Federico Albini. Dopo alcune esperienze professionali importanti, questo chef trentacinquenne, qualche anno, fa ha scelto di tornare nella “sua” Franciacorta; e, a La Colombara, mettere le sue capacità al servizio di una zona che ama molto, per farla conoscere e apprezzare anche sotto il profilo della ristorazione. Un esempio su tutti è il pesce che arriva da vicinissimo Lago d’Iseo: affacciandosi alle finestre con vista lago dell’albergo, non si può non notare Montisola, una montagna su un'isola che divide in due lo specchio d’acqua lacustre: di qui la sponda bresciana, di là la bergamasca. Ed è proprio lì che Federico si procura le sarde che poi utilizza nei suoi piatti. “Nei periodi in cui non c’è


il fermo pesca, usiamo molto pesce pescato nel lago di Iseo. Come il coregone, il più pregiato in assoluto, e poi le sarde di Montisola, altrettanto squisite e che non hanno niente da invidiare a quelle di mare”. La sarda di lago è uno straordinario pesce che si è adattato a vivere nelle acque dolci: lo si consuma fresco oppure affumicato e conservato tutto l’anno nell’olio extravergine d’oliva, altro ingrediente a “Km zero”, visto che quello usato nella cucina de La Colombara nasce dai frutti degli ulivi nel parco della struttura. Insomma, il paniere di questo angolo del bresciano è ricco per natura; e quello che non c’è, Federico se lo procura affidandosi a fornitori selezionati. “Lo ripeto: la mia è una cucina elegante che parte dal concetto di piatti del territorio con qualche abbinamento particolare, come ad esempio la seppia con la luganiga e i piselli”, racconta Albini. “Per quanto riguarda i salumi, si sono sempre mangiati qui in zona, anche se di fatto si produce solo il salame. Ecco perché ho scelto di rivolgermi a Massimo Spigaroli per completare la gamma”. Oltre ai residenti nell’albergo, una cospicua parte di chi frequenta il risto-

rante viene e ritorna appositamente per assaggiare le proposte dello chef e della sua brigata composta da una decina di elementi. Proposte che spaziano, ad esempio, dalle Rane allo spiedo ai Gamberi e calamari al Franciacorta; dal Risotto con ricotta affumicata, piselli e spugnole, al Raviolo al Fatulì ai profumi mediterranei; dagli Spaghetti alle sarde e speck, al Salmone in crosta di pistacchi e caffè; dal Filetto di manzo e verdure alla plancia all’Agnello al coccio, pomodoro e cipolle rosse. “Abbiamo diversi clienti che arrivano un po’ da tutte le parti di Italia e del mondo, però un buon 40% circa è della zona, compresi molti giovani”, aggiunge con soddisfazione Albini. E sono numerosi anche coloro che optano per il menu degustazione, ovvero sette portate scelte dalla carta e direttamente dallo chef. Segno che sanno di potersi fidare, e quindi affidare.

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La fascinosa cuoca

di Bloom

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In The Park di Sara Alberti Fa scuola in Svezia, a Malmö, il ristorante di Igi Vidal che, in coppia con la chef Titti Qvarnström, ha creato un concept che privilegia l’offerta quotidiana di mercato. Dunque, niente menù scritto, ma solo quanto è reperibile, ai massimi livelli, in una logica che privilegia creatività, passione, innovazione. Alcuni degli aspetti che caratterizzano in maniera determinante la cucina dei ristoranti nordici, gli stessi in grado ormai da qualche stagione di dettare legge nelle nuove tendenze gastronomiche e nelle guide, sono senza ombra di dubbio l’assoluta creatività dei cuochi, l’utilizzo e la valorizzazione di materie prime locali, ma anche un rigore, una precisione, un’essenzialità, una filosofia che in qualche modo rimandano allo stile del design e dell’architettura tipicamente scandinave. Poi capita che tutte queste regole vengano rispettate solo in parte. Come nel caso del Bloom In The Park, uno dei principali ristoranti di Malmö saldamente nelle mani, ormai da alcuni anni, della coppia formata dal vulcanico patron Igi Vidal e dalla giovane e affascinante cuoca Titti Qvarnström. Certo i più attenti alle vicende della ristorazione nordica ricordano la nascita del ristorante Bloom, avvenuta una decina di anni fa nel cuore della città svedese. Dall’aprile del 2007 in poi, però, il ristorante si è trasferito, giustificando anche il cambio del nome, in una curiosa costruzione (una specie di baita alpina svizzera che al suo interno cela l’inaspettato look bianco immacolato di una grande sala minimalista) situata Artù n°47

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nel polmone verde del parco cittadino di Pilldamm, sulle rive di un grazioso lago lungo il quale da mattina a sera giovani svedesi praticano il jogging. Qui, a reggere le sorti del Bloom In The Park, c’è un duo a dir poco originale ma in qualche modo complementare, con in primo piano il brillante ristoratore giramondo Igi Vidal, dalla personalità vivace (basti pensare che al figlio ha dato il nome di Matlock, prendendolo a prestito dal cognome del celebre bassista dei Sex Pistols!), e con alle spalle esperienze di primo piano nelle impegnative cucine di Alain Passard, Marco Pierre White e Gordon Ramsay. Una conversazione con Igi, inglese di nascita con origini francesi e spagnole da parte di madre e padre rispettivamente (ma, per non farsi mancare nulla, ha anche un cognato siciliano) diventa la spericolata avventura in un esperanto linguistico che in qualche modo rivela anche l’impronta internazionale della cucina proposta, giocata su profumi e intuizioni meno nordiche del previsto e più legate alle molte esperienze vissute in giro per il mondo. L’eccentricità e il savoir faire del padrone di casa fuoriescono soprattutto nella presenza costante di Igi in sala e fanno da perfetto contraltare alla riser-

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vata concretezza di Titti Qvarnström, l’altra metà del ristorante, quasi sempre confinata in cucina. Alta, bionda, notevolmente tatuata e dagli occhi chiari come uno specchio d’acqua, Titti viene dalla palestra del bistrò berlinese Rutz, frequentata per diverse stagioni con buon successo. Ora, in combutta con Igi, ha contribuito a creare un ristorante che ha l’ambizione di unire la filosofia del fine dining al piacere dello stare a tavola, approfittando di ciò che offre quotidianamente il mercato. Al Bloom In The Park, infatti, non esiste un menù vero e proprio “perché”, spiega il patron “ci piace l’idea che di volta in volta gli ospiti possano scoprire nuovi piatti, vivere diverse sensazioni, magari parlando proprio al tavolo di quello che stanno gustando in quel momento”. Il percorso può essere di tre o cinque portate, ma l’importante è che si crei il giusto incontro tra il cibo e il vino, un aspetto al quale Igi e il sommelier Miguel Maksymowicz (che sfoggia un fluente italiano) tengono in modo particolare. La cucina gioca sempre tra contrasti e abbinamenti originali, come è capitato in alcuni dei piatti incontrati al tavolo. Dal Sashimi di tonno pinna gialla, con tartare, asparagi di mare e farfalle (pasta) con vongole, allo Shot di carote gialle e ginger con cucchiaio di patate, insa-


lata e vitello, dalla variazione di Agnellino da latte, tra salsiccia, animelle e spalla accompagnate da olive, purée di fagioli e patate fino ai formaggi, con la crema di Roquefort e fichi, il St Marcellin brulée con aceto balsamico e il formaggio di capra norvegese con marmellata di pomodori. Senza dimenticare lo scenografico pre-dessert di Lime e ginger in provetta con il ghiaccio secco, che in sala strappa sempre sguardi curiosi. La grande passione per i vini da parte di Igi si evidenzia nella scelta di etichette di rilievo, perlopiù francesi (con una predilezione per i bianchi di carattere), ma non manca qualche nome italiano come Cavallotto (qui presente con l’ottimo Barbera 2006), ad accompagnare magnificamente l’agnello. La cortesia e il piacere dell’ospitalità (i posti in sala non superano la trentina e il ristorante è aperto solo per cena) fanno il resto, sin dal piatto di Jamon Iberico che arriva al tavolo prima delle diverse portate, perfetto per aprire lo stomaco e riscaldare il cuore in uno dei ristoranti più trendy di Svezia.

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Extra Vergine di Oliva Un acronimo per Evo

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di Fiorenza Auriemma Ha aperto circa un anno fa, piuttosto in sordina, e con un obiettivo ambizioso: cucinare utilizzando come condimento prevalentemente olio extravergine d’oliva; e anche per quei piatti che di solito prediligono il burro, come ad esempio il risotto. Ecco perché questo ampio locale di Milano, in via Friuli 77 – all’angolo con via Perugino – si chiama EVO l’Extravergine (Evo è l’acronimo di extravergine d’oliva). Ed ecco perché vale la pena di andarci, assaggiare i piatti in carta e scambiare possibilmente due chiacchiere con lo chef, Marco Avella. Il quale – oltre a preparare anche il pane servito in tavola – ha il delicato compito di scegliere gli oli da usare in cucina e soprattutto i rispettivi abbinamenti. “Di solito, lo abbino tenendo in considerazione più la provenienza, che il sapore”, spiega Avella. “Ad esempio, utilizzo un olio siciliano per un piatto tipico di quella regione. Mentre preferisco riservare un gardesano o un ligure per condire il pesce crudo”. È talmente tanto vasto, sfaccettato e complesso il mondo dell’olio extravergine, che è difficile resistere alla tentazione di tenere al tavolo lo chef per porgli una domanda dopo l’altra. Ad esempio, qual è la sua posizione rispetto alle fritture? “Friggo le verdure nell’extravergine, mentre per

Antonio Branduardi, socio dell’EVO con lo chef Marco Avella.

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il pesce preferisco ricorrere all’olio di arachidi”, risponde Avella, che per il momento ha a sua disposizione circa una ventina di diversi oli, destinati comunque ad aumentare e, in un prossimo futuro, anche a confluire in una carta ad hoc, a disposizione dei clienti. L’olio scelto dallo chef per preparare i singoli piatti, comunque, viene portato già ora in tavola, e questo permette ai commensali di capire meglio quale condimento stanno gustando, e/o di assaggiarlo anche da solo per coglierne le sfumature di sapore e le differenze. Il menu di EVO è stagionale, e cambia circa ogni due mesi: da assaggiare – quando c’è – la tartare di branzino con pesche e aneto, o lo scorfano mantecato con crema di peperoni. Ma anche piatti in apparenza più semplici come la zuppa di pomodoro fresco con melone e cetrioli o le linguine con polpa di riccio di Sardegna e pomodoro, acquistano un sapore molto particolare se “sposati” con oli altrettanto interessanti. Tra le proposte dei mesi più freddi si possono trovare l’aspic di Ben Rjè con

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pecorino ragusano e lamelle di mandorle tostate, la cipolla caramellata con gelato al Castelmagno, il croccante di scamorza e porcini; e, tra i primi, riso Carnaroli mantecato ai carciofi e gamberi, crespella gratinata con brie e porcini o vellutata di topinambur con porcini trifolati; per chi ama il pesce c’è lo spaccato di coda di rospo con cipolla stufata all’uvetta, lo spiedo di mare con panura agli agrumi o la zuppa di pesci pregiati con bruschetta aromatica; chi invece preferisce la carne, può optare per lo stracotto di vitello al Nebbiolo delle Langhe, il filetto di lattonzo alla salvia con purè di mele e mostarda di Cremona o il carré d’agnello laccato con salsa ai mirtilli freschi; e come dolce, il cannolo siciliano scomposto, una bavarese al panettone con salsa zabaglione, il paté di cioccolato bianco con pinoli tostati e composta di lamponi o una torta leggera al fondente con crema di Barolo chinato. In altre parole, è un’esperienza variegata e intrigante quella che attende chi prende posto a uno dei 50 posti del locale; anche a mezzogiorno, dove il menu è più informale e veloce, e lo si può consultare su una grande lavagna che copre un’intera parete. C’è poi un’altra particolarità che rende questo locale diverso da molti altri del panorama milanese: dallo scorso inverno, ogni lunedì ricorre l’appuntamento fisso con il “Jazz Cafè Ensemble”: ovvero, alcuni tavoli vicino all’ingresso vengono tolti per lasciare posto a una band che suona dal vivo. Questo perché Giancarlo De Giorgio, affermato musicista pubblicitario e socio del ristorante, si cimenta in jam session acustiche in compagnia di amici jazzisti affermati su scala internazionale, allietando la clientela del ristorante. E con l’apprezzamento degli avventori.



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Anche a Milano

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di Luisa Contri Prelibatezze alimentari e vini di pregio sia italiani, sia stranieri hanno un nuovo tempio. È a Milano, a cavallo fra galleria del Corso e galleria Passerella. Si chiama Eat’s e occupa i due sottopiani dell’Excelsior Milano, lo store multipiano, vetrina delle griffe più trendy dell’alta moda, del design e del food & beverage appunto, concepito da Gruppo Coin per un pubblico internazionale e inaugurato l’8 settembre scorso. La gestione dell’Eat’s meneghino è di Eat’s Food Store, società controllata da Gruppo CM, holding veneta dagli interessi diversificati. La paternità del format si deve invece a Sergio Menegazzo, uno dei tre soci di Gruppo CM (gli altri due sono Valeriana e Fausto Canzian), che già dirige l’Eat’s prototipo a Conegliano-Tv, oltre a una piccola catena di supermercati a insegna Smile nel veneziano. Qui a lato il management di Eat's, i tre soci del Gruppo CM: Fausto e Valeriana Canzian e Sergio Menegazzo.

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«Per adeguarci al posizionamento luxury di Excelsior Milano», precisa Menegazzo, «l’Eat’s meneghino si è evoluto rispetto al prototipo di Conegliano, aperto poco più di un anno e mezzo fa. Ha infatti volutamente escluso uno dei tre pilastri su cui si fonda il concept originario: l’offerta alimentare delle migliori marche industriali». A Milano, in un’ambientazione minimal-chic, la clientela di Eat’s troverà dunque nell’area market (circa 500 mq) esclusivamente produzioni gourmet di piccoli e piccolissimi artigiani d’eccellenza per lo più italiani, ma anche stranieri. Stiamo parlando di 2.0002.300 prelibatezze. E un’ampia scelta di prodotti freschi di stagione: dalla frutta alla verdura, dal pesce alle carni, dai formaggi ai salumi, dal pane ai dolci, a 12-15 piatti di gastronomia preparati giornalmente dai cuochi dello store. «Anche nei freschi abbiamo puntato su prodotti d’eccellenza», prosegue Menegazzo. «Basti dire che per i formaggi ci siamo affidati a Caseria Carpendo, Guffanti e De Gust. Che il nostro prosciutto cotto è un Capitelli della San Giovanni, la mortadella è dei salumifici Pasquini & Brusiani o Bonfanti, il crudo di Morgante, il culatello di Podere Cadassa e il jamón ibérico è un puro de bellota 5J di Sánchez Romero. Per il pesce ci siamo affidati ai pescatori di Burano, che ci consegnano quattro giorni la settimana il pescato fresco di laguna, di barena e dell’Alto Adriatico. Mentre le carni bovine provengono dall’allevamento di nostra proprietà alle

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pendici delle Prealpi trevigiane, oppure da fornitori selezionati di fassona albese, angus scozzese, manzo prussiano, wagyu giapponese, ecc.». L’offerta food del market è completata da un’enoteca con 1.300 etichette di vini italiani ed esteri, anche di provenienza insolita: per esempio della Georgia, dell’Ungheria, della Repubblica Ceca, del Giappone, del Marocco o del Libano. All’Eat’s, insomma, si possono comprare tutti gli ingredienti per preparare in casa un pasto speciale oppure piatti pronti, dall’antipasto al dolce, presentati in curate confezioni da asporto. Volendo, però, tutte le prelibatezze in vendita si possono gustare sul posto e, secondo le modalità più indicate al momento contingente, grazie all’articolata proposta ristorativa che copre tutto l’arco della giornata: dalla colazione al dopo teatro. Quella dell’Eat’s, oltretutto è una ristorazione a più velocità: s’adatta infatti agl’incalzanti ritmi metropolitani di giorno, per diventare slow la sera. Già al piano terreno, il bar Excelsior dà un assaggio di quello che si potrà trovare nell’area bistrò e nel market dell’Eat’s ai sottopiani 1 e 2. In uno spazio di 150 mq, dehor incluso, l’area bar accoglie la clientela dalle 8,00 del mattino fino all’1,00 di notte. La sua offerta è pensata per soddisfare golosi e salutisti, dalla colazione allo spuntino veloce all’uscita dal cinema o dai teatri del centro, con proposte dolci e salate preparate al momento nelle cucine dell’Eat’s ed elegantemente presentate. Un secondo spazio informale


ove consumare uno spuntino veloce è allestito al sottopiano 2, in una saletta con 25-30 sedute alte e tavolini e mensole a muro allestita a un’estremità dell’area market, di fronte al banco della salumeria. Il luogo deputato a far risaltare la qualità della proposta food & wine dell’Eat’s è però il bistrò, che occupa l’intero sottopiano 1 dell’Excelsior Milano: si sviluppa su circa 500 mq e dispone di 120 sedute e di un corner wine bar. «Abbiamo optato», spiega Menegazzo «per una ristorazione dal piglio elegante, dallo smart lunch al fine dine. Al bistrò proponiamo dunque una cucina che poggia su due cardini: mediterraneità e contemporaneità. Protagoniste sono e devono rimanere la materie prime di qualità, rigorosamente di stagione, che proponiamo nell’area market. Perché fossero interpretate e valorizzate in modo originale e raffinato ci siamo affidati all’estro e alla creatività dello chef Matteo Gelmini, coadiuvato da una brigata di 25 persone. Matteo è un cuoco giovane (ha 28 anni, ndr), ma è capace e ha già maturato esperienze di tutto rispetto. Ha lavorato per 3 anni da Gualtiero Marchesi quando in brigata c’era Andrea Berton». Se all’ora di pranzo (dalle 12,00 alle 15,00) al bistrò dell’Eat’s si può consumare un piatto unico nutrizionalmente bilanciato, una bevanda, un dolce e il caffè a un prezzo di circa 25 euro, la sera, dalle 19,00 alle 23,00, il conto medio di una cena gourmet è di 4550 euro, vini esclusi, scegliendo fra tre antipasti, cinque primi e altrettanti secondi e tre dessert realizzati con materie prime di stagione. Il menu cambia ogni mese. In alternativa, dalle 11,00 del mattino alle 23,00, al wine bar del bistrò si può degustare un calice (o mezzo calice o un assaggio) di vino accompagnandolo con uno dei cinque «cicchetti» (piattini) preparati al momento. La scelta di vini al calice è ampia: ben 48 etichette a rotazione che Eat’s suddivide in sei categorie per tutti i portafogli: dalla selezione day by day (4 euro al calice), ai naturalmente buoni bianchi (9 euro) e rossi (6 euro), Artù n°47

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ai grandi vini-grandi annate sia bianchi (per esempio un Batard montrachet grand cru 1999 magnum a 55 euro il calice), sia rossi (Sassicaia 1988 magnum a 80 euro), ai vini dolci non solo per dolci. «Al calice», sottolinea Menegazzo. «serviamo insomma anche vini molto pregiati e costosi di cui possiamo garantire il servizio nelle migliori condizioni, grazie al fatto che conserviamo le bottiglie nel dispensatore Dwine, che estrae l’aria e immette nella bottiglia dell’azoto». L’Eat’s milanese, realizzato con una spesa di 3,5 milioni di euro, dovrebbe generare già nel primo anno d’attività incassi per 16-20 milioni di euro: il 60% derivanti dalle vendite del market e il restante 40% dall’attività di ristora-

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zione. Perché il format debutti in altre città ci sarà da attendere. «Prima di siglare la partnership con Gruppo Coin per lo store milanese», spiega Menegazzo, «avevamo individuato alcune location nel Nord-Est ove riprodurre il concept originario di Eat’s. Inaugurando l’Excelsior Milano, Gruppo Coin ha annunciato l’apertura di un nuovo store a Verona per il prossimo anno. Difficilmente però saremo pronti per affiancarli. Non siamo al momento strutturati per una crescita rapida e non vogliamo fare passi più lunghi della gamba». Volendo analizzare differenze e similitudini fra l’Eat’s milanese e concept affermati a livello internazionale come Eataly (il locale newyorchese della catena ha appena ottenuto il premio per il format commerciale più innovativo al World Retail Congress 2011 di Berlino), o in fase d’espansione nel Nord Italia come Buonissimo|L’Arcipelago del gusto, o esordienti come laTaste bistronomia prêt à porter, di cui abbiamo parlato negli ultimi tre numeri di Artù, va subito detto che da Eat’s il criterio della bontà ha prevalso su quello dell’origine nella scelta delle specialità alimentari da porre in vendita al market. In Eat’s Food Store hanno inoltre badato all’eleganza delle confezioni, a differenziarsi da concorrenti già affermati in città (come Peck) o in arrivo (Eataly), anche proponendo prodotti difficili da trovare altrove in città. Come gli altri concept, anche Eat’s si è cimentata nel rendere accessibili a un vasto pubblico specialità alimentari «a tiratura limitata». Al pari di Eataly ha dato peso alla componente ristorazione. Una ristorazione griffata da uno chef emergente.



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Prosciutto di CARPEGNA la Dop è mignon di Davide Bernieri Nasce in un piccolo villaggio dell’Appennino marchigiano, al confine con Romagna e Toscana, questo prelibato salume, riconosciuto dai gourmet come una vera e propria eccellenza artigianale. Dalla carne morbida e consistente, si distingue per la sapidità moderata, vero e proprio plus rispetto ad altri prosciutti crudi di fama paludata. È una delle Dop più piccole tra i prosciutti crudi italiani, per estensione del territorio d’origine e per numero di pezzi prodotti. Tuttavia, il Prosciutto di Carpegna, dal 1992 ha ricevuto la tutela comunitaria e rappresenta uno dei tesori della tradizione gastronomica dell’Italia Centrale. Meno conosciuto del più noto cugino “Toscano”, il Carpegna Dop proviene da un territorio che si colloca in un triangolo tra Marche, Toscana ed Emilia-Romagna. E proprio a quest’ultima regione, nonostante i tanti chilometri di distanza tra i due areali di produzione, il Carpegna guarda, in particolare al prosciutto di Parma Dop che, insieme al San Daniele, rappresenta un punto di contatto qualitativo (e di provenienza della materia prima) tra queste tre filiere. La tradizione di lavorare carni suine per la produzione di prosciutti crudi a Carpegna, comune di 1.500 anime sull’Appennino marchigiano, oltre 700 metri sul livello del mare, vicino al confine con la Toscana, ha radici antiche. I romani, che sulle rive del torrente Apsa edificarono la

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città di Pitinum Pisaurense, l’attuale Macerata Feltria, nel III secolo a. C. iniziarono a sfruttare le ricchezze delle selve che coprivano completamente i versanti montuosi di questo angolo d’Appennino e a trasformare le carni dei suini che vivevano allo stato brado nei boschi, cibandosi innanzitutto di ghiande degli innumerevoli querceti. Una filiera primordiale che, però, permise di sviluppare in loco una “fama” dei norcini locali che presto si diffuse nei territori attigui. Nel VII secolo d. C. Pitinum Pisaurense venne completamente abbandonata dai suoi abitanti e il Medioevo proiettò un’ombra di oscurantismo su tutto il territorio che, tuttavia, non arrestò lo sfruttamento delle selve da parte dei montanari locali, determinati a portare avanti le tradizioni, anche solo per puro sostentamento famigliare. Tuttavia, il primo segno scritto che certifica la lavorazione dei prosciutti crudi a Carpegna in età antica, è di molti secoli successivo, datato intorno al 1.400. Addirittura, negli atti che sancirono nel 1468 il passaggio della proprietà delle saline di Cervia dalla famiglia Malatesta, che guidava Cesena, alla Serenissima Repubblica di Venezia, una clausola inserita nel contratto permetteva alla contea di Carpegna di continuare ad utilizzare liberamente il sale estratto per la salagione dei prosciutti crudi prodotti. In questa galoppata nel tempo, Carpegna mantenne inalterato nei secoli il suo ruolo di polo dell’eccellenza artigianale nella lavorazione dei prosciutti crudi che, per numero di pezzi prodotti, rimasero un prodotto di nicchia, da consumo locale o regionale. Solo con l’industrializzazione della produzione, il Carpegna accrebbe la sua area d’influenza a tutta l’Italia Centrale e non solo: ma fu con il raggiungimento della denominazione d’origine protetta, che il nome di Carpegna, associato al suo crudo, iniziò ad uscire da una ristretta cerchia di appassionati gourmet e divenne più noto al grande pubblico. Inalterato, invece, il processo produttivo sedimentato nei secoli di tradizione locale e sancito da un disciplinare che fissa i paletti per l’ottenimento dell’ambito bollino comunitario. Tutte le fasi di lavorazione devono essere


eseguite nel territorio del comune di Carpegna, a sancire un legame indissolubile con il territorio. Le cosce suine devono provenire da tre regioni: Lombardia, Emilia-Romagna e Marche: il disciplinare indica testualmente che i suini macellati devono essere conformi agli standard prestabiliti per le filiere del Parma Dop e del San Daniele Dop, quindi oltre 10 mesi di vita, più di 160 kg di peso, alimentazione a base di cereali e siero di latte. Nel suo complesso, la lavorazione del Carpegna Dop non deve durare meno di 13 mesi e non è ammesso l’uso di additivi e conservanti, ma solo sale marino. L’unico produttore con taglia Industriale (Carpegna Prosciutti, Gruppo Brendolan) stagiona il Carpegna per 14 mesi. Il risultato è un prosciutto con un peso compreso tra gli 8,5 e i 10,5 chilogrammi, di forma tondeggiante e ten-

dente al piatto, con un cospicuo strato di grasso nella “faccia” opposta all’anca. Al taglio la carne ha consistenza morbida e colore rosa salmonato, con adeguata quantità di grasso bianco/rosato all’esterno. Delicato e fragrante all’assaggio, il Carpegna Dop può essere mangiato tal quale, in abbinamento a pane montanaro, come antipasto o merenda robusta, affettato sottile oppure a coltello, per apprezzare meglio la consistenza morbida delle carni. Oppure “sposato” con un matrimonio d’interesse alla piadina, un’eresia per gli esteti del localismo a tutti i costi, ma una prelibatezza senza pari al palato, così come diventare l’ingrediente “di peso” nel piatto delicato di gnocchi e zucchine. Visto il suo carattere rustico ma delicato, il Carpegna predilige l’abbinamento con vini bianchi, magari come il regionale Verdicchio di Matelica.

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Lo zampino di

Gordon Ramsay nel resort chiantigiano 82

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In uno dei contesti più suggestivi del panorama italiano, immerso tra i vigneti del Chianti, distese di grano e lunghi filari di cipressi, sorge incontrastato Castel Monastero, un piccolo borgo medioevale risalente all’XI secolo e ricordato nelle cronache dell’epoca con il nome di Monastero d’Ombrone, oggi incantevole Country House Resort a ventitre chilometri da Siena. Qui, tra mura millenarie splendono settantacinque camere, suite ed un’elegante villa sapientemente ristrutturate, che conservano il gusto raffinato delle antiche dimore toscane unitamente ad elementi di lusso contemporaneo. Uno dei fiori all’occhiello di Castel Monastero è la sua SPA, mille metri quadri immersi nella natura, dove scoprire i più innovativi ed efficaci trattamenti di remise en forme del dottor Mosaraf Ali. Esperto di fama internazionale, molto apprezzato anche dalla famiglia reale inglese, il Dottor Mosaraf Alì pratica da di Claudio Zeni anni nel suo Integraded Medical Center A Castel Monastero, Country House di Londra l’Ayurveda, fusione di conoimmerso nel verde della collina chian- scenze mediche orientali ed occidentali, tigiana, si fa sul serio. Nella splendida tecnica da lui stesso affinata durante struttura che fa capo ad Eleganzia, il la sua permanenza sia sull’Himalaya, marchio di alberghi di fascino facente dove ha potuto studiare il potere delle capo a una cordata di imprenditori erbe, sia durante la sua permanenza in fra cui Emma Marcegaglia, si trova Russia. “Lo scopo è salvaguardare la una spa suggestiva ed efficiente. Ma salute rafforzando il sistema immunitario non è da meno la cucina, abilmente e prevenire malattie come quelle carrivisitata in chiave salutistica, ma diache e vascolari, correlate allo stress senza perdere di vista gusto e sapori fisico e psicologico a cui si è sottoposti della terra toscana. ogni giorno, problemi di obesità e legati Artù n°47

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dell’energia perduta attraverso un percorso rivitalizzante e stimolante”. In linea con l’attitudine al benessere anche il ristorante, che vanta il prezioso contributo di Gordon Ramsay, il rinomato e stellato chef di origini britanniche che ha esordito in cucina nel 1981 dopo aver abbandonato il gioco del calcio a causa di un infortunio. La sua visione cosmopolita, coadiuvata dalla sapiente collaborazione all’accumulo di tossine, mal di schiena” di una brigata tutta italiana ed in partie di collo dovuti alla sedentarietà – colare modo dai due giovani chef Aniello dice il Dottor Alì, che elabora protocolli Cassese di Nola e Lucca Bazzana di studiati ad hoc per ciascun ospite – Pordenone, rappresenta la base essen“tutto questo si traduce in tre programmi ziale per l’originalità delle offerte culinarie specifici: il Programma Detox, che aiuta di Castel Monastero, a cominciare dai a liberarsi delle tossine in eccesso, il ravioli di pecorino di fossa con pomodori Programma Dimagrante, che agisce su confit e favette croccanti, fino al delizioso problemi di soprappeso e sui conseguenti vitello in crosta con porri brasati, patate di postura ed il programma Rivitalizzan- di Cetica e zafferano di San Gimignano. te-Energetico, studiato per il recupero “Un’abile rielaborazione di ricette tradizionali, utilizzando solo prodotti freschi e privilegiando le offerte di stagione e le primizie di cui la Toscana è ricca, è l’ingrediente per piatti sempre nuovi e delicati” – ricorda Enzo Volpintesta, customer relation della struttura – “tutto questo in una struttura da favola, sia nel ristorante gourmet che si affaccia nella piazza del borgo, sia nella ‘Cantina’ del duecentesco maniero, dove gli ospiti, in un ritrovo intimo ed esclusivo, possono gustare le specialità locali e, guidati da esperti sommelier, i migliori vini e le annate di Chianti prodotte ed invecchiate nell’azienda vinicola”. Castel Monastero, oltre ad offrire fantastiche proposte per il tempo libero, tra cui lezioni di cucina tenute direttamente dagli chef del relais, rilassanti escursioni a cavallo o in bicicletta oppure momenti di tranquillità nel salotto del Castello, si distingue anche come location d’eccellenza per matrimoni indimenticabili, come quello del calciatore dell’Internazionale Wesley

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Castel Monastero

Sneijder, visto che nell’incanto della sua piazza si ritrova l’intimità di una chiesetta di campagna per poi continuare i festeggiamenti nelle fastose sale del maniero e nelle sue meravigliose suites. “Castel Monastero fa parte di Eleganzia, il nuovo marchio di Hotel & Spa di fascino che opera in Italia e nel mondo, tra i cui investitori italiani spiccano Emma Marcegaglia, Andrea Donà delle Rose e Lorenzo Giannuzzi” – conclude Andrea Prevosti, general manager della struttura nella provincia senese – “un gruppo i cui valori sono: l’italianità, uno stile sinonimo di fascino, raffinatezza e calore, la passione, che scalda ogni

gesto ed iniziativa, l’innovazione, nella ricerca instancabile di soluzioni all’avanguardia nella tecnologia, nel confort, nella ristorazione e nel benessere, cogliendo in anticipo ogni tendenza, l’unicità, visto che il gruppo Eleganzia è presente nei luoghi più belli ed esclusivi del mondo, scegliendo con cura destinazioni uniche in location suggestive ed emozionanti”. Non a caso il gruppo Eleganzia è stato premiato dalle migliori giurie internazionali ed è stato insignito dei premi World’s League Resort, World’s Leading Spa, Tatler Award Best Family Spa Resort, Condé Nast Top Ten List e Seven Stars & Stripes.

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Locanda Sandi il respiro del tempo 86

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Valdobbiadene

Locanda Sandi

e Piav

Villa Sandi

di Fiorenza Auriemma Autenticità sincera ma raffinata, capace di restituire l’atmosfera di tempi passati, ma con attenzione alle esigenze del cliente moderno. Si può riassumere così l’ospitalità di questa deliziosa Locanda, voluta dalla famiglia Moretti Polegato, vignaioli e imprenditori. E l’offerta si completa con una cucina di gusto e sapori, interpretata mirabilmente dallo chef Andrea Maccagnan.

spira ancora oggi entrando e soggiornando nella Locanda Sandi, in località Zecchei di Valdobbiadene: questa dimora di charme è frutto infatti del sapiente e gentile recupero di un casale disabitato da decenni, che la famiglia Moretti Polegato – titolare dell’azienda Villa Sandi che poco distante dalla Locanda “firma” famosi vini, tra cui un grande Prosecco e un Cartizze memorabile, il Rivetta – ha scelto di riportare in vita per ospitare chi voglia passare qualche giorno in Immaginate una casa colonica costruita una delle zone più affascinanti e caratagli inizi del 1900 nella Marca Trevigiana: teristiche del Nord Est. Per rispettare al un luogo pensato per dare un tetto a massimo le origini della costruzione, chi lavorava la terra e accudiva gli Giancarlo Moretti Polegato e la moglie animali per garantire a sé e ai propri fa- Augusta, hanno voluto che si ricercassero miliari la sussistenza. Ebbene, questo e utilizzassero, durante i lavori di costruspirito essenziale, forte e al tempo zione, materiali non sottoposti a processi stesso amorevole, è lo stesso che si re- industriali. In altre parole, si tratta di

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pietre, piastrelle e legni “vecchi”, ovvero provenienti da demolizioni di palazzi antichi della zona: in questo modo, va perduto il minimo possibile, e ciò che è possibile recuperare torna a rivivere. La sensazione che si ha entrando nella palazzina che ospita la Locanda Sandi è esattamente questa: un ambiente raffinato e curato nei dettagli, che però ha un’anima antica e accogliente, proprio com’erano le case di una volta. Ai tempi, la casa era costituita da una parte adibita ad abitazione che si sviluppava su tre piani. Al piano terra c’era la spaziosa cucina con il focolare, mentre nella stanza esposta a nord si conservavano il vino, i salumi e le derrate alimentari da tenere al fresco. Tutte le case di campagna avevano anche una cantina cui si accedeva dal portico fra i due blocchi, o che aveva comunque un grande portone d’ingresso indipendente dall’uscio di casa. Il piano superiore era riservato alle camere e all’ultimo c’era il solaio, un’unica grande stanza che fungeva da granaio: molte famiglie tenevano in questo ambiente i bachi da seta. Anche oggi, la Locanda Sandi conta

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tre piani: a livello del terreno, subito dopo l’ingresso, si trovano la sala da pranzo con camino rivestito in maiolica e una bellissima cappa alta quasi sei metri, e le cucine del ristorante; al primo piano, sopra la sala da pranzo, c’è un soppalco di circa 80 metri quadri dove è stata realizzata la seconda sala da pranzo con travi di legno a vista, oltre a un salottino e a una prima serie di camere. Sopra, infine, le rimanenti camere. In altre parole, la casa di una volta è diventata ora una dimora “di famiglia” accogliente e a disposizione di chi voglia soggiornare in una struttura antica, ma con tutti i confort moderni. Per raggiungere le sei stanze, dal piano terra gli ospiti percorrono una scala in legno realizzata utilizzando vecchie tavole in rovere ripulite, spazzolate e infine oliate. Dello stesso legno sono anche i pavimenti delle camere, mentre le pareti sono in sassi del Piave, il fiume che scorre poco lontano. In due delle camere i letti sono in ferro battuto, mentre nelle altre quattro si riposa in tipici letti in legno della case di campagna del Veneto di inizio Novecento. Gli arredi, diversi per ogni stanza, provengono




stenze e sapori, riuscendo a trarre da ingredienti una volta considerati "poveri" autentici capolavori di gusto, come possono esserlo ad esempio i primi piatti - spesso realizzati con erbe spontanee di stagione, o con i funghi – tra cui il risotto alla zucca e rosmarino, servito in una zucca svuotata, risotto mantecato al formaggio erborinato e mentuccia, le tagliatelle al ragù d'anatra e finferli, gli gnocchi ricotta e zucca; e poi, la sopressa all'aceto con radicchio ai ferri, il petto d’oca al Marinali rosso e cipolline borettane, la polenta con porcini e grana, o la faraona alle castagne, complemento privilegiato ai vini Villa Sandi che sposano al meglio queste preparazioni e questi sapori. Compresi quelli a base di carne, tra cui il guanciale di vitello al radicchio di Treviso, l'oca in onto (cioè cotta nel proprio grasso, disossata e poi rimessa nel suo grasso), gli spiedi e soprattutto la eccellente carne alla brace, preparata direttamente sotto gli occhi degli ospiti. Come già accennato, si può mangiare sia al piano terra - il “fogolar” è particolarmente scenografico, con una parete in cristallo che lascia la cucina a vista -, sia sul anch’essi da vecchie case di famiglia, soppalco in legno, dominato dall’impoe la stessa biancheria del letto concorre nente camino in maiolica. Quando la a ricreare l'atmosfera delle case conta- stagione lo permette, è molto piacevole dine di un tempo, grazie ai ricami per cenare anche nelle verande o nell’antico le lenzuola che si rifanno ai corredi gazebo, ora riscaldato e quindi utilizzabile delle nonne, agli scaldapiedi realizzati anche nella stagione invernale. in stoffa a grosse righe marrone e beige, in linea con i colori e i motivi delle stoffe pesanti e grezze che rivestivano all’epoca i materassi. I bagni hanno i muri a pittura grezza a base calce, con piastrelle antiche pazientemente recuperate - a blocchi o blocchetti, e a volte addirittura a pezzetti piccolissimi da vecchie stanze da bagno di abitazioni signorili di inizio Novecento. In un ambiente come questo, è ovvio che anche l’aspetto gastronomico abbia un’identità in linea. A questo provvede lo Chef Andrea Maccagnan che, insieme al suo staff, riesce a interpretare sia la cucina, sia l’accoglienza della migliore tradizione trevigiana. Si tratta di ricette semplici, che però combinano consiArtù n°47

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libri

La biografia di ADRIÀ e i pensieri di un enotecaro

Titolo: 101 cose divertenti, insolite e curiose da fare gratis in Italia almeno una volta nella vita Autore: Isa Grassano Editore: Newton Compton Editori Anno: 2011 Pagine: 288 Prezzo: 9,90 €

Titolo: Scacchi e ricordi Autore: Giovanni Longo Editore: Messaggerie Scacchistiche Anno: 2011 Pagine: 256 Prezzo: 18,00 €

Titolo: Gestire un negozio alimentare - Manuale di suggerimenti pratici Autore: Cristina Bertazzoni Editore: FrancoAngeli Editore Anno: 2011 Pagine: 155 Prezzo: 19,00 €

Titolo: Ferran Adrià: l’uomo che ha cambiato il nostro modo di mangiare Autore: Colman Andreis Editore: Phaidon Anno: 2011 Pagine: 358 Prezzo: 24,95 €

Un prezioso vademecum «Se è gratis c’è più gusto». Deve averla pensata così Isa Grassano, giornalista e collaboratrice di Artù, nell’inserire tra le “101 cose divertenti, insolite e curiose da fare gratis in Italia almeno una volta nella vita” (Newton Compton Editori), sagre e manifestazioni dove andare senza mettere mano al portafogli e “stando a contatto” con i sapori del territorio. Un prezioso vademecum, scritto in maniera briosa, in cui ciascuno può sfiziarsi tra gastronomia ed enologia. Se siete tra quelli che non resistono alla tentazione di assaggiare un pezzetto di cioccolato, allora vale la pena annotare in agenda l’appuntamento dolce e goloso con “Chocobarocco”, che, a dicembre, trasforma il centro storico di Modica in un paese inebriante. Sempre in Sicilia, per fare un altro esempio, durante il periodo del Carnevale, si assiste al torneo del Maiorchino, formaggio pecorino a pasta dura cruda, prodotto in piccole quantità.

Memorie di un vinaio “Alle spalle del bancone con la spina per il vino, un minuscolo retrobottega dove ci stava giusto una damigiana e qualche cassa di birra. Guardando il bancone, sulla destra c’era il frigo dei gelati Eldorado e Algida, alle spalle del bancone uno scaffale con i ripiani su cui c’erano tre grossi vasi con le caramelle. Quando Osvaldo e io ne volevamo una, chiedevamo il permesso alla mamma”: inizia con questi ricordi d’infanzia il libro di Giovanni Longo, personaggio molto noto nel mondo del vino per essere, insieme a fratello e sorella, patron dell’Enoteca Longo di Legnano (Mi). Alternando memorie personali legate all’attività di mescita (prima) e di commercializzazione organizzata in grande stile (poi), Longo riassume con acume nostalgico i momenti importanti della sua vita che, guarda caso, hanno un denominatore importante: gli scacchi, a cui Giovanni è fortemente legato.

Aprire un punto vendita L’autrice, che è anche consulente della Levoni spa, spiega come aprire un negozio di specialità alimentari nel centro storico di una grande città. In un momento storico dell’economia italiana in cui tutto appare decisamente complicato, Cristina Bertazzoni “osa” offrire indicazioni che, alla lettura, si rivelano decisamente congrue e razionali. Gestire efficacemente un piccolo negozio alimentare significa saper riconoscere la qualità dei prodotti, saper allestire il punto vendita, saper comunicare con la clientela, saper costruire un piano di marketing, saper controllare l’andamento economico della propria attività. Il volume intende offrire, a chi vuole intraprendere un’attività commerciale nel settore alimentare, un’opportunità di crescita professionale e culturale, con l’obiettivo di fornire indicazioni utili per affrontare le sfide del mercato e della concorrenza.

La cucina reinventata La prima biografia autorizzata dello chef che ha letteralmente rivoluzionato l’offerta di alta cucina a livello mondiale, è opera dello statunitense Colman Andrews, una vera autorità in materia enogastronomica. Biografo “ufficiale” di Ferran Adrià, Andrews ha scritto un capolavoro di introspezione psicologia sulla figura (umana e professionale) del cuoco più famoso al mondo. Frutto di accurate ricerche e testimonianze dirette, il libro ripercorre l’ascesa professionale dello chef del Bullì, il ristorante più famoso al mondo, la cui annunciata chiusura ha ulteriormente attratto l’attenzione dei media internazionali. Questa dettagliata e avvincente biografia entusiasmerà non solo i gourmet, ma anche chi desideri comprendere come la cucina “reinventata” da un grande chef abbia saputo cambiare per sempre il mondo della gastronomia.

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secondo Artù

Tantris di Novara in vetta, riparte Celletti e poi... L’OFFERTA RAGIONEVOLE

TANTRIS

Continua la pubblicazione delle schede sui ristoranti italiani che la redazione di Artù monitora grazie a un attento lavoro di verifica e di visite, in alcuni casi anonime e non programmate. L'obiettivo non è certo quello di allinearsi all'attività delle guide gastronomiche: ce ne sono già abbastanza e, nel bene e nel male, svolgono una funzione che ha sicuramente delle motivazioni rispettabili, sulle quali non intendiamo intervenire in questa sede. "Secondo Artù" vuole essere un momento di riscontro dell'evoluzione della scena ristorativa, in tutti i suoi segmenti, in grado di delineare sinteticamente le caratteristiche, positive o meno, che vengono riscontrate durante la visita. A questo fine abbiamo creato una simbologia - le corone e i cervelli - che intende evidenziare lo "stato dell'arte" dei locali italiani di ristorazione. Le corone hanno la funzione di indicare il livello complessivo della cucina, mentre i cervelli segnalano la coerenza dell'offerta, la rispondenza a un price for value intelligente, la sensibilità e la conoscenza dei propri mercati di clientela. In una parola, quella che noi di Artù chiamiamo la RAGIONEVOLEZZA, ovvero la capacità di sintonizzarsi con le esigenze di una clienela che cambia nel tempo. Ovviamente, sono proprio i cervelli che manifestano il buon senso e la correttezza, attraverso la quale la clientela della ristorazione può essere fidelizzata su basi nuove e contribuire, quindi, a un rilancio dell'economia. All’assegnazione dei simboli contribuiscono quindi, oltre all'eccellenza delle materie prime e alla qualità del servizio, anche elementi di attenzione per la clientela, come un ricarico corretto sui vini, la presenza di menù degustazione o menù del giorno particolarmente interessanti sotto il profilo del rapporto qualità-prezzo, la volontà di ridurre al minimo i profitti e di allargare la base numerica della clientela. E, siccome non siamo buonisti ad oltranza, abbiamo anche introdotto, nella simbologia dei punteggi, anche corone e cervelli "neri": in questo caso, la valutazione negativa sta ad indicare che troppi errori vengono commessi e che, per sopravvivere, è necessario cambiare registro e migliorare la propria professionalità. APS

Corso Risorgimento 384 28100 Novara 0321 657343 www.ristorantetantris.com

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Il piccolo locale-bomboniera, alla periferia di Novara, è un esempio eloquente di attenzione verso il cliente. Fin dall’ingresso nel locale, l’accoglienza segue regole precise e mette a proprio agio l’ospite, che arriva fin qui per provare i piatti (proverbiali) della chef Marta Grassi. Il servizio ai tavoli è garantito dalla presenza del marito di Marta, elegante e discreto, supportato da una gentile figura femminile, tanto professionale quanto attenta ai bisogni del cliente. Già questo approccio non sembra poco e, se è pur vero che ci troviamo in un locale con una stella Michelin, non accade normalmente di venire accolti con tale signorilità, decisamente “piemontese” (anche se Novara, come dice ironicamente il mio amico sommelier di Villa Crespi, non è il Piemonte vero). Signorilità, stile e pulizia dei gusti che si ritrova anche nei piatti, su cui ci sarebbe molto da dire, innanzitutto che vanno provati di persona: nel nostro caso, abbiamo trovato sorprendente la pasta al ragù con patate, melanzane e parmigiano: un piatto che riesce ad essere semplice e raffinato, un omaggio alla tradizione italiana, ben presente nella scelta delle materie prime operata da Marta Grassi in cucina. Tra gli altri piatti in menù, l’essenza di peperone,

plin di acciuga e bettelmatt, la ricciola in tempura, croccante di porri e gamberi, ma anche la straordinaria selezione di formaggi, dal bergé affinato 4 mesi al Mont Blanc (5 mesi), alla Monvisina (1 mese), alla robiola di capra e alla (memorabile) toma di pecora, fatta con latte di pecora, stagionata per 8 mesi. I prezzi sono commisurati al livello dell’offerta ma, con un evidente sforzo da parte dei gestori, mantenuti su livelli molto accettabili (intorno ai 60 euro): per uno stellato così meritevole, ci pare proprio che valgano il viaggio. Da segnalare che il Tantris dedica anche, durante l’anno, serate a tema in cui alla grande cucina d’autrice si abbinano incontri culturali, con presentazione e lettura di racconti, testi poetici e quant’altro: un modo di tenere desta la sensibilità intellettuale degli ospiti, che hanno l’opportunità di assaggiare grandi materie prime, ma anche di “nutrire lo spirito”.

FRANTOI CELLETTI BLU Via Ascanio Sforza 47 20136 Milano 328 0761308 www.frantoicelletti.com

E così Gino Celletti, il guru dell’olio extravergine di oliva, il “maestro” riconosciuto internazionalmente della cultura dell’olio, ha riaperto a Milano lo scorso novembre. Dopo la lunga e felice esperienza di Via Gluck, il biologo-ristoratore ha scelto il Naviglio Pavese come sede ideale per il suo “frantoio”: qui una volta c’era il Torchietto, locale storico della città, ora Gino e signora lo hanno trasformato in una sorta di centro di cultura dell’olio dove, a piatti di qualità a base di pesce freschissimo, vengono proposti in abbinamento grandi extravergini italiani e del mondo. Chi viene da Celletti rifugge dai luoghi comuni e

LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, mitico, ineccepibile per qualità, coerenza, serietà e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Cucina eccellente e geniale, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Ottimo per qualità dell’offerta Una corona = Cucina corretta e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Molto ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole


sa che ogni piatto troverà il corretto accostamento in un olio straordinario. Sa anche che Gino non va troppo per il sottile e, se sollecitato, non esita a tenere brevi “conferenze” spot sul valore di questo cultivar o sulle caratteristiche dell’oliva Tonda Iblea, piuttosto che della Coratina o del Leccino. La cucina di Celletti è succulenta, ma leggera, basata sui primi piatti della grande cucina italiana mediterranea (grano duro, pomodoro, pesce) e su preparazioni ittiche eseguite da mano esperta e collaudata. L’interessante menù regionale (ogni pagina un menù di territorio con proposta di abbinamento a un olio e ad un vino) è impostato su basi di estrema ragionevolezza, in linea con le aspettative (anche di prezzo) della clientela. Ottima la pizza napoletana di pasta sfoglia, guarnita con ingredienti semplici, ma al top. Buono il servizio, effettuato da una coppia di camerieri che si muovono agevolmente fra i tavoli ben distanziati. L’ottima idea di “regalare” il parcheggio in due autorimesse attigue (per tutta la durata della cena) rivela chiaramente l’intelligente intuizione di marketing del dottor Gino Celletti, biologo-ristoratore che ha sempre un solo, encomiabile obiettivo: soddisfare il cliente.

decisamente bassi, sotto i 25 euro per un pasto completo). Bello il locale (il ristorante è in una saletta appartata e intima, con pochi tavoli), che si affaccia sul lago di Pusiano e che può contare anche su uno spazio all’aperto; cordiale ed efficiente il servizio, assicurato da uno staff di giovanissimi: regina del menù è la carne, proposta in varie modalità (ottima la tagliata di manzo con le patate, ma anche il maxihamburger, gustoso e succulento). Le porzioni sono molto abbondanti, a riprova del fatto che ci troviamo in un territorio, quello della Brianza comasca, che dà molta importanza alla quantità. Il capitolo dolci è storia a sé: qui troverete i migliori gelati artigianali della zona e le torte più deliziose della zona. Unico neo: i biglietti da visita sono illeggibili, bisogna sostituirli.

TRATTORIA DELLA FRATELLANZA Fraz. San Vito 1 20083 Gaggiano (Mi) Tel. 02 9085287

Nella piazza di san Vito, a meno di dieci chilometri dal centro di Milano, i cugini De Lazzari, interisti impenitenti, propongono il miglior risotto al salto EUPILI CAFÈ Via Mazzini 68 con salsiccia che sia mai stato dato di conoscere. I piatti sono sempre gli 22030 Pusiano (Co) stessi: già, perché questo non è un Tel 031 6579060 luogo di innovazione, né di tendenza ma di strenua, coraggiosa e imperitura riproposta degli stessi menù, fatti dagli Aria nuova in Brianza: da ormai un stessi piatti con gli stessi ingredienti. paio d’anni ha aperto questo locale Nei secoli fedele, la Fratellanza suggemultifunzione, nato come bar pasticceria risce ai clienti (con menù raccontato a di alto profilo e oggi diventato un riferi- voce) piatti come la zuppa d’oro, la comento della clientela di questo bacino toletta alla milanese (servita con il cidi territorio, soprattutto giovane, ma corino tagliato sottile), il pollo schiacciato anche “informalmente” gourmet. Il con- e cotto in padella (specialità locale cetto di “gourmet informale” riguarda che ha anche illustri interpreti poco quella particolare tipologia di clientela lontano), un salame di cioccolato senza (sempre più diffusa) alla ricerca di uguali (forse solo la signora Belotti esperienze gastronomiche valide ma Landi, sulle montagne sopra Bellagio, semplici, senza voli pindarici, connotate ne prepara uno degno del confronto). da qualità degli ingredienti, rapidità di Bravi, continuate così. E fregatevene servizio, prezzi dignitosi (in questo caso delle guide. T.S.

TRATTORIA I MACERI

CAMPAGNA VERDE

Via Roversano 579 47023 Cesena (Fc) 0547 331606

Via Balbi 22 12053 Castiglione Tinella (Cn) Tel 0141 855108

Una vera trattoria (più evoluta che ruspante), dove passare ore serene sotto il dehors (Comune permettendo) e gustare, magari in compagnia, i piatti autentici della cucina romagnola: tagliatelle fatte in casa, funghi di stagione, salsicce e squaquerone, agnello alla brace e tutto il miglior repertorio della tradizione del territorio cesenate. Una delle migliori espressioni di tipicità della zona, particolarmente attenta anche ai vini: una carta intelligente, anche nei prezzi, propone il meglio dell’area romagnola, proposto anche al calice. Prezzi molto ragionevoli.

Vicino al Santuario della Madonna del Buon Consiglio, meta continua di pellegrini da tutto il Piemonte (l’industria del “santino” non è mai in crisi), questo ristorante langarolo (siamo a pochi metri dai vigneti di Selvatica e Caudrina del grande moscatista Romano Dogliotti) ha un’offerta tradizionale e succulenta. Si arriva fin qui per lo (straordinario) fritto misto alla piemontese, preparato secondo i “crismi” della più ortodossa tradizione. Ma anche in fatto di salumi qui non si scherza: sono tutti di produzione propria, saporiti ma non sapidi e, ciò che più conta, privi di componenti chimici. L’ambiente è gradevole, il servizio adeguato e i prezzi decisamente abbordabili.

MASATSCH Café & Restaurant Fraz. Pianizza di sotto 39052 Caldaro sulla Strada del Vino (Bz) Tel 0471 669517 www.masatsch.it

Localino semplice e accogliente, sulla collina che sovrasta Caldaro, dotato anche di moderne camere dal concept evoluto, orientato al superamento delle barriere architettoniche. Il ristorante, la cui cucina è curata dal giovane e bravo Florian Kritzinger, offre piatti di repertorio tradizionale sudtirolese, ma “ritoccati” con una verve creativa non indifferente. Non a caso, il menù comprende anche proposte di pesce, inconsuete nella ristorazione tipica altoatesina. Da segnalare il fatto (ammirevole) che il personale di servizio, professionale e corretto, vede protagonisti anche giovani delle cosiddette “categorie protette”: un esempio concreto di perfetta integrazione nella logica e nella filosofia della struttura. La cantina è decisamente all’altezza, sicuramente facilitata dalla vicinanza con le grandi cantine della Weinstrasse. I prezzi? Molto ragionevoli.

RICCIOLO Fraz. Olcio 23826 MANDELLO DEL LARIO (Lc) Tel. 0341 732546 www.ristorantericiolo.com

Giorgio e Giusy Fasoli conducono da anni questo piccolo locale fascinoso, sulla sponda lecchese del lago di Como. Già stella Michelin (inspiegabilmente persa in passato, nonostante una linea di cucina molto raffinata), il ristorante continua ad insistere sul pesce di lago. Mitici, memorabili, gli spaghetti missultàa, ovvero conditi con un sughetto a base di “missoltitt”, gli agoni del Lario messi ad essiccare. Ma anche sul fronte creativo, la signora Giusy non scherza e dà vita a un menù sapientemente in grado di valorizzare il pesce d’acqua dolce che, quando è stagione, dà grandi soddisfazioni, anguilla e persico in primis. Una cucina di selezione e di ricerca, che deve necessariamente contare sul “pescato” quotidiano, assicurato da pescatori di fiducia che conoscono a menadito ogni centimetro delle acque di questo lago splendido. Artù n°47

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