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SE NELLA PUBBLICITÀ LA DONNA È UNO STEREOTIPO

Dai messaggi sessisti alla mercificazione del corpo femminile, il problema non è solo etico, ma anche commerciale: così si perdono clienti. La proposta rivoluzionaria dell'International Advertising Association di Marianna Ghirlanda* rappresentate in modo sessualizzato o stereotipato come "donna casalinga" o "donna oggetto", mentre gli uomini sono rappresentati come "maschi alpha" o "uomini d'affari di successo". Inoltre, se si guardano i modelli di bellezza imposti dalla pubblicità sono spesso irrealistici e inadeguati per la maggior parte delle persone.

IN PRINCIPIO FU L'AMBIGUITÀ

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La creazione degli stereotipi in pubblicità è un fenomeno comune che si verifica quando le immagini, le descrizioni dei prodotti o dei servizi sono riprodotte in modo ripetitivo, esagerato o limitativo, basandosi su aspetti quali il genere, l'età, la razza, l'orientamento sessuale, la religione, l'etnia e così via.

Gli stereotipi sono dannosi poiché possono perpetuare pregiudizi e discriminazioni, influenzando la percezione che le persone hanno di sé stesse e degli altri. In particolare, gli stereotipi di genere e razza hanno avuto un impatto significativo sulla società moderna. Ad esempio, le donne sono spesso

Gli stereotipi della donna nella pubblicità iniziano a farsi strada dalla nascita della società dei consumi. Le donne fanno la loro comparsa nella comunicazione commerciale, descritte come compiacenti massaie dedite alla cura della propria casa e della famiglia. La raffigurazione della donna è spesso connessa a un linguaggio ambiguo. Negli anni ‘50 lo stereotipo era enfatizzato da espliciti messaggi sessisti e discriminanti, che descrivevano la figura femminile come debole e inferiore. “È un mondo per uomini”, il gioco dei ruoli è sempre più esplicito e ha un impatto evidente sulla creazione degli stereotipi che ci condizionano ancora oggi. Con il passare del tempo e in seguito ai cambiamenti sociali che accompagnano il percorso di emancipazione della donna, pur all’interno degli stessi codici di comunicazione, possiamo intravedere la comparsa di messaggi che si riferiscono alla riduzione del tempo che la donna dedica alla cura della casa e della famiglia.

Con la caduta del tabù del sesso, negli anni ’70 ecco che la rappresentazione della donna cambia: non è più un ornamento domestico, la donna diventa seduttrice. Si rafforza il concetto di donna oggetto, perché l’immagine femminile si affianca ai prodotti e diventa essa stessa un prodotto. L’immagine della donna viene spesso utilizzata a pezzi: le gambe, i glutei, le labbra. Ed ecco che la mercificazione del corpo femminile è al suo apice. Negli anni '80 compare in pubblicità la rappresentazione delle donne in carriera: belle, longilinee, eleganti e molto sicure di sé. Tutte queste donne sono caratterizzate da un abbigliamento tipicamente maschile e sono evidenti traslazioni dell’idea di lavoratore maschio.

Con il passare del tempo, nella decade successiva, troviamo un’evoluzione ulteriore della figura femminle: una donna aggressiva, disposta a fare di tutto per guadagnarsi un posto in una società maschilista. In questa narrazione della donna sono virilizzati alcuni atteggiamenti che non vengono ritenuti adatti al mondo del lavoro perché troppo gentili o dolci.

Con gli anni 2000 e con la nascita dei social network, è cominciata un’interazione con i messaggi pubblicitari e il pubblico ha cominciato a interrogarsi sulla rappresentazione dei generi. L’evoluzione dei codici di comunicazione è progredita molto, tuttavia, la strada verso una rappresentazione equa e inclusiva è ancora lunga e ci sono molte campagne pubblicitarie che continuano a basarsi su stereotipi sessisti, razzisti, omofobi e disabilitanti.

Questi stereotipi possono avere un impatto negativo sulla percezione di sé stessi e degli altri, limitando le opportunità e le possibilità delle persone a causa della loro appartenenza a un determinato gruppo.

Le donne continuano ad essere spesso rappresentate in modo sessualizzato o stereotipato come oggetti di desiderio, oggetti domestici o madri perfette, mentre gli uomini sono spesso rappresentati come forti, virili e di successo. Le persone di colore sono spesso rappresentate in modo stereotipato, limitando le loro opportunità e la loro rappresentazione come figure di basso status o criminali, mentre le persone Lgbt+ sono spesso escluse dalla rappresentazione mainstream. Lo stesso accede con la rappresentazione delle diverse fasce di età della popolazione. Un dato su tutti: secondo Aaro Research, in pubblicità solo il 15% delle persone ha più di 50 anni, quando invece in questa fascia d’età rappresenta il 46% della popolazione. Quindi la creazione degli stereotipi in pubblicità non solo rappresenta un problema etico, ma anche un problema commerciale, poiché può portare alla perdita di clienti e all'alienazione di intere comunità. D'altra parte, una rappresentazione equa e inclusiva può portare a un maggior coinvolgimento dei consumatori, alla costruzione di relazioni di fiducia e alla valorizzazione dell'immagine dell'azienda come un'organizzazione progressista e consapevole.

La Rivoluzione Culturale

Per favorire un cambiamento culturale e sociale più equo ed inclusivo, è importante che le aziende assumano un approccio attivo nella creazione di messaggi pubblicitari che riflettano la diversità e l'inclusione Ciò può includere la consultazione di gruppi di stakeholder, la formazione del personale su questioni di diversità e inclusione e il monitoraggio e la valutazione regolari delle campagne pubblicitarie.

In tutto questo Iaa - International Advertising Association si pone come attore in questo scenario attraverso attività culturali che hanno l’obiettivo di informare e sensibilizzare il settore della comunicazione commerciale per la creazione di una consapevolezza collettiva che ci permetta di superare stereotipi e strumentalizzazioni per offrire un contributo sociale etico e positivo. Inoltre, gli organi di controllo pubblicitario possono avere un ruolo importante nella lotta contro gli stereotipi nella pubblicità, rivedendo e monitorando le campagne pubblicitarie per garantire che rispettino le normative in materia di discriminazione e rappresentazione equa. La creazione degli stereotipi in pubblicità rappresenta una questione importante e complessa, che richiede un impegno attivo e continuo per promuovere la diversità, l'inclusione e l'uguaglianza nella rappresentazione dei gruppi marginalizzati. Solo attraverso un approccio collaborativo e consapevole possiamo sperare di raggiungere una rappresentazione più equa e inclusiva nella pubblicità e nella società in generale.

Proprio per questo stiamo lavorando come associazione, a livello mondiale, su un allineamento sul tema con Governo, ministeri, istituzioni, associazioni imprenditoriali e industriali per un tavolo comune, che porti velocemente a delle linee guida che divengano subito una bu ssola per percorrere rapidamente ancora le ultime miglia. Indicazioni, su base volontaria, che siano però chiare, nette, concrete e fattibili. Magari che contemplino anche una premialità sotto forma di bonus fiscale per quelle aziende e campagne che correranno con noi in quella direzione. E, se il Governo decidesse di contemplare la nostra proposta in materia, noi come associazione siamo disponibili da subito.

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