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Quel linguaggio che crea valore e rende unici

Non è più tempo di payoff e messaggi urlati, ma di sostanza e verità e ogni brand deve rinnovarsi se vuole sopravvivere. Parola di Manuela Ronchi, fra le esperte di marketing e comunicazione più innnovative del Paese

di Vincenzo Petraglia

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IL SUO MANTRA È METTERE IL "PENSIERO IN AZIONE". MANUELA RONCHI È FRA LE ESPERTE DI MARKETING E COMUNICAZIONE PIÙ INNOVATIVE DEL NOSTRO PAESE, ceo di Action Agency, agenzia specializzata nell’unconventional marketing e nella comunicazione strategica, e founder di una serie di realtà all'avanguardia nel settore, come, fra tutte, Dr Podcast, la prima vera realtà strutturata nel podcasting con sede a Londra. Una donna visionaria, ma concreta allo stesso tempo, estremamente creativa ma altrettanto rigorosa, retaggio che forse le viene dallo sport, che ha praticato in prima persona e per il quale ha avuto sempre un debole, diventando la prima donna in Italia – designata dall'indimenticato Marco Pantani – a dirigere una squadra di ciclismo.

Economy l'ha incontrata per parlare di presente e futuro della comunicazione, dei canali e dei linguaggi che continueranno a crescere e di quelli che invece sono destinati a “morire”, e di come il mondo delle imprese debba rinnovarsi per cogliere pienamente le opportunità che tutti i mezzi di comunicazione oggi a disposizione offrono. Obiettivo tutt'altro che scontato, a meno che non si sappia esattamente come districarsi in un'era nella quale comunicare è allo stesso tempo estremamente semplice e immediato, ma anche molto molto complesso.

Manuela, cosa vuol dire oggi innovare?

Cercare di dare un senso a questo vocabolo, che è abusato, e certe parole, quando sono abusate, diventano disabitate. Per qualsiasi brief che arriva vogliamo fare sempre qualcosa di innovativo, ma poi spesso non si ha il coraggio di farlo. Innovare per me significa innanzitutto avere il coraggio di sperimentare ciò che altri non hanno sperimentato, mettendo in conto che magari all'inizio non si sarà poi così tanto popolari. Ci vuole molta curiosità e anche l'idea di lavorare senza avere come primo obiettivo la monetizzazione immediata. Ci sono delle attività che ti permettono di tenere in piedi l'azienda, e vanno fatte, ovvio. Ma allo stesso tempo devi lasciare un po' di spazio anche alla sperimentazione e chiederti con umiltà: “Se voglio farmi ascoltare dagli altri, come faccio?” Urlo più forte? No, non è più il periodo dove basta urlare più forte per farsi ascoltare, bisogna essere invece capaci di avere un elemento differenziante, bisogna distinguersi.

Alla luce della sua esperienza, quali sono le nuove frontiere della comunicazione?

Dal mio punto di vista bisogna ritornare a capire la filosofia del linguaggio, perché il linguaggio è tutto ed è alla base di qualsiasi strategia di comunicazione. I linguaggi cambiano in base all'evolvere dei tempi – linguaggio acustico, linguaggio visivo – ma sempre filosofia del linguaggio è, grammatica narrativa. Bisogna essere bravi a capire che oggi le persone chiedono alla comunicazione la verità, non i payoff, non le frasi fatte, non che tutti dobbiamo avere la stessa dizione. Viva la differenza, viva che se io dico che sono sostenibile, non devo per forza dire che lo sono al cento per cento, piuttosto sempre meglio dire che cerco di essere sostenibile, fin dove ci riesco, ed è già questo un grande passo avanti. La comunicazione dovrà, quindi, rispecchiare due caratteristiche: primo, raccontare la verità; secondo, l'iper posizionamento. Bisogna concentrarsi su un argomento, specializzarsi ed essere iper posizionati, e poi fare estensione di linea una volta che si è catturata l'attenzione e si ha la leadership perché si è parlato di quell'argomento con competenza, passione e ovviamente lungimiranza. Diceva che i linguaggi cambiano, quali strumenti per comunicare funzioneranno meglio in futuro, quali quelli più ingaggianti? Il podcast che, rispetto a come l'abbiamo intuito noi nel 2018, oggi è già un medium a tutti gli effetti e infatti sono quasi 15 milioni gli italiani che ascoltano abitualmente podcast. Lo vedo al primo posto per un semplice motivo: non è solo un contenuto audio fruibile su Internet, ma è un content creator. Ti permette di raccontare, formare e informare le persone, e la gente cerca per argomento; il podcast mette il contenuto al centro e tutti i mezzi di comunicazione che mettono il contenuto al centro, e non la forma, avranno successo nel futuro. Un contenuto che poi si ibriderà con tutti gli altri mezzi, il podcast dialogherà, diventerà un content creator, come lo è già, per generare serie tv, serie cinematografiche, integrandosi con la radio, con la carta stampata. Questo è quello che vedo per il futuro, come vedo anche in declino i social, a favore delle community. È una tendenza che arriva dagli Usa, quindi ci vorrà ancora un po' di tempo prima che arrivi in Italia, ma arriverà. Community verticali in particolare, perché nel marasma generale delle informazioni che ci circonda abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi ad andare in approfondimento su contenitori verticali su una specifica tematica, perché altrimenti perdiamo troppo tempo a cercare.

Lei, lo accennava, ha intuito tutto il potenziale del podcast nel 2018, quando ancora non si conosceva granché questo media in Italia, creando, battendo tutti sul tempo, una factory specializzata proprio nel podcasting...

Ho ascoltato un filosofo esecutivo, il mio socio Raffaele Tovazzi, che nel 2018 appunto mi disse: “La gente a Londra non è più incollata ai cellulari come dei carcerati che passivamente subiscono informazioni e non alzano la testa per guardare al futuro, la gente ascolta sorridendo”. È così che ho scoperto che le persone ascoltavano podcast, e da lì l'idea di aprire la prima media company che lanciasse podcast, quando all'epoca in Italia erano considerati una cosa da nerd.

Fra i social in declino, quali secondo lei si salveranno?

LinkedIn e, forse, Twitter. Noi li usiamo tutti oggi in una strategia di media mix più ampia, ma stiamo dicendo ai clienti che non va fatto per avere dei follower, perché per averne devi pagare, investire, in quanto non è grazie al contenuto, e quindi alla crescita organica, che cresci; cresci se hai soldi da investire. Ma che senso ha allora? Solo per poter dire che si hanno tanti follower? L'auspicio migliore è invece puntare sulla qualità più che sulla quantità ed essere seguiti perché le persone sono interessate ai contenuti che produco. Detto ciò, sui social bisogna esserci perché se qualcuno ti viene a cercare – diciamo che sono diventati un po' come il sito Internet di una volta – può vedere cosa stai facendo, ma non ci deve essere più l'ansia da follower.

Un retaggio che però è ancora parte integrante della cultura aziendale... Quando io propongo podcast, la prima domanda che mi fanno è: “Quanti ascolti fa?”. Al che io rispondo che il podcast è un mezzo di comunicazione, non è un medium e basta, che bisogna guardare la qualità, quanto converte e che posizionamento ti dà il fatto che hai scelto un linguaggio che dialoga col mercato, ascolta e informa le persone. Questo non vuol dire, intendiamoci, che tutto il resto debba essere eliminato, non c'è giusto o sbagliato, la cosa importante è avere il giusto media mix e capire da ogni linguaggio cosa ci si aspetta. Così, che si parli di podcast o di altri mezzi, essi vanno sempre mixati e integrati con gli altri media con l'intelligenza di un abile orchestrator che sa quale linguaggio o mix di linguaggi multipiattaforma utilizzare per arrivare alle persone.

Ogni azienda, vista l'immediatezza della comunicazione offerta dal digitale, è destinata a diventare sempre più una media company. Con quali accortezze?

Oggi l'azienda produce tantissimi contenuti, che sono peraltro coerenti, perché nascono dall'interno, il tema però è che per diventare una media company al cento per cento devi avere anche la possibilità di far sì che questi contenuti non vengano dispersi, perché poi spesso li produci e li pubblichi su altre piattaforme e rischi di perdere l'intelligence dei dati di chi ti ascolta, che invece è fondamentale per fare ricerca, innovare e tarare e profilare la tua comunicazione. La responsabilità dell'impresa oggi, quando si parla di corporate social responsibility, è anche produrre con coscienza dei contenuti che possano far crescere l'azienda in termini di valore economico, ma che generino allo stesso tempo valore sociale comune. La comunicazione oggi è utile se converte il comportamento delle persone, non deve essere più solo un esercizio di creatività, e secondo me la comunicazione deve stare al tavolo delle aziende a monte e non a valle. E ha un potere incredibile di cambiamento, sempre con il contenuto al centro, mentre prima c'erano tanti orpelli per mascherare l'assenza di contenuto. Dico sempre “Content is the king” e speriamo che in questo Paese venga dato più valore al contenuto: bisogna fare ancora molta strada, e lo si vede da tutto l'ecosistema Italia, dove non viene difeso il diritto d'autore delle idee, della produzione dei contenuti, che poi sono alla base di tutto.

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