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Un certo "genere" di private capital

Ancora oggi, l'industria finanziaria è caratterizzata da una prevalenza nettamente maschile degli occupati. Ma è frutto di un pregiudizio al contrario: quella che spesso manca è la volontà di avvicinarsi a questo mondo

di Anna Gervasoni*

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Dove inizia il percorso di inclusione femminile? Il 30% delle donne oggi non ha un conto corrente. Senza denaro, senza uno stipendio decoroso, la donna non è libera, nemmeno psicologicamente. In questo contesto parlare di educazione finanziaria, argomento che dovrebbe diventare materia scolastica fin dalle elementari, sembra paradossale. Oggi non vediamo ancora una giusta presenza femminile nel mondo del lavoro e più guardiamo ai ruoli apicali più tali percentuali sono a favore degli uomini. Se guardiamo al mondo aziendale, solo poco più di un’impresa su dieci in Italia è a guida femminile. Il dato emerge da un’analisi condotta da Cerved su un paniere di 1,2 milioni di società di capitale. E sappiamo bene che spesso si arriva a dirigere un’impresa per asse ereditario.

Ma come creare una cultura favorevole all’impegno professionale femminile nel mondo economico finanziario? Oggi, tra l’altro, è grande la disponibilità di aziende, banche e intermediari finanziari ad aprire le proprie porte e a favorire i percorsi di carriera guardando ad un miglior equilibrio di genere. Spesso però manca la volontà di avvicinarsi a questo mondo. Esiste quindi un tema culturale da rimuovere. Se si guarda la popolazione universitaria, è evidente come i corsi di specializzazione finanziaria siano scelti prevalentemente da maschi. Finché sarà così sarà difficile salvaguardare anche una corretta ed equilibrata meritocrazia con la possibilità di vedere una ascesa di carriera per le donne in Italia. Quindi, forse bisogna proprio partire dalla cultura e dalla percezione che tali attività hanno. Per abbattere i pregiudizi non c’è nulla di meglio che mettersi alla prova. Un settore tradizionalmente molto maschile ad esempio è quello del private capital. In una recente analisi realizzata da Aifi in collaborazione con BonelliErede, si evidenzia come si sia ancora piuttosto distanti dalla parità di occupati tra uomini e donne, soprattutto con riferimento al team di investimento e alle posizioni senior: queste ultime rappresentano il 40% della forza lavoro complessiva nel settore, la percentuale scende al 24% se si considera il team di investimento e al 13% se si guarda la fascia senior. La situazione del mercato italiano non è diversa da quella che si osserva in Europa: un’analisi condotta da Level20 sugli operatori di private equity e venture capital, infatti, mostra come mediamente la presenza di donne nei team di investimento sia pari al 10% per le posizioni senior, 22% per le mid-level e 34% per quelle junior. Nel Regno Unito le donne rappresentano il 10% nei livelli senior, 20% mid-level e 33% junior; in Francia, uno dei Paesi migliori da questo punto di vista, i valori si attestano rispettivamente al 15%, 29% e 41%, mentre in Germania al 4%, 19% e 31%. Per superare questo gap bisogna seminare l’interesse verso questo settore fin dei primi anni della formazione accademica. L’industria del private equity e del venture capital, del resto, è sempre stata caratterizzata da una prevalenza nettamente maschile degli occupati.

Gli operatori sono concordi nell’affermare che ci siano problemi culturali, di percezione del settore come prettamente maschile, che rendono molto complicato raggiungere un equilibrio in breve tempo: in molti casi vengono riscontrate maggiori difficoltà nel trovare risorse femminili rispetto a quelle maschili, anche laddove vi sia la volontà di assumere più donne. Di conseguenza, pur in un settore relativamente giovane come quello del private capital, è difficile trovare organizzazioni del lavoro “moderne” in termini di genere e le donne che guidano i fondi o comunque in posizioni apicali all’interno delle strutture rappresentano un numero ancora troppo ridotto. Questo non significa che non ci siano nel settore esempi importanti di donne alla guida di fondi, anche di natura pan europea o di grandi dimensioni, ma certo questa costituisce ancora una rara eccezione. Il peso delle assunzioni femminili è comunque cresciuto negli ultimi anni, arrivando a rappresentare il 45% del totale nel 2022, e ora le possibilità di fare carriera nel private capital per una donna sono sicuramente più elevate che in passato.

Ma astraendoci dagli specialisti della finanza è molto importante creare cultura finanziaria. Il primo passo è quello di rendere tutti consapevoli dell’importanza del risparmio e della sua corretta allocazione oltreché dei rischi che comportano alcune scelte e decisioni finanziarie. Importante è anche comprendere come queste si possano reperire sul mercato ormai molto evoluto e ancora troppo poco noto, se non tra addetti ai lavori. Capire come fare impresa, come trovare i capitali per poterla creare sviluppare e cambiare. Tutto questo non deve essere un patrimonio informativo di pochi ma seppur in modo superficiale deve diventare cultura acquisita da tutti i cittadini. In questo caso il tema è più grande rispetto a quello di genere ma anche in tale ambito le donne sono spesso l’anello più debole della catena.

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