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Quei piccoli, grandi passi sulla strada dell'inclusione

Dal riconoscimento del Winning Women Institute alla certificazione della parità di genere: quello di Roche è un percorso che parte da lontano.

Intervista a Sara

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Giussani, People&Culture

Pharma Head di Roche Italia di Riccardo Venturi

«IL PASSAGGIO DELLA CERTIFICAZIONE PENSO CHE SIA UNO STEP FONDAMENTALE IN UN PERCORSO CHE HA L’OBIETTIVO DI RAGGIUNGERE LA PARITÀ DI GENERE: NON PARLO SOLO DI ROCHE, MA DELLA SOCIETÀ NEL SUO COMPLESSO». Nell'inquadrare il tema, Sara Giussani, People&Culture Pharma Head di Roche Italia, non sceglie la soggettiva, ma un campo lungo, anzi lunghissimo. Perché è vero che Roche ha recentemente ricevuto la certificazione di parità di genere da Uniter per tutte le sue società italiane - e la certificazione è arrivata pochi mesi dopo il riconoscimento già ottenuto quello del Winning Women Institute -, ma l'attenzione all'inclusione in Roche parte da lontano: «Il nostro percorso è partito quasi un secolo fa: la nostra prima donna dirigente, Alice Keller, lo divenne nel 1929».

Addirittura?

Proprio così: Roche ha avuto la sua prima donna dirigente, Alice Keller, nel 1929. Abbiamo insomma una lunga storia in materia. Ma noi lavoriamo in un settore, quello farmaceutico, che è sulla buona strada. I recenti dati di Farmindustria dicono che il 43% degli addetti nel settore sono donne. In altri la percentuale è più bassa, magari non lontana dal 30%. Roche Italia con le sue tre divisioni (Farmaceutica, Diagnostica e Diabetes Care) ha una presenza del 51% di donne, poco più della metà: quindi abbiamo un’organizzazione veramente ben bilanciata.

1929! Siete un po’ degli antesignani… Direi un po’ pionieri anche in questo. La diversity & inclusion è parte del nostro Dna, non un obiettivo di per sé palesato solo negli ultimi anni. È una lente con cui guardiamo all’organizzazione. La storia di Alice Keller è significativa: entra con un ruolo amministrativo, poi prende un dottorato, e cresce fino a diventare direttore. Questo per me è l’esempio classico di come già 100 anni fa Roche guardasse in primis alle competenze, qualificando le persone indipendentemente dal genere. La diversità non è solo il genere. Ci sono diversità legate all’età, al background... La lente di cui dicevo è cercare invece di guardare esclusivamente al merito e all’impatto della persona e del suo lavoro oltre alla capacità di valorizzare ogni singolo individuo e l'unicità del suo pensiero. Nel 1929 era un’eccezione, adesso fortunatamente invece direi che è una prassi. Delle nostre donne il 53% hanno ruoli manageriali, di grande responsabilità. Abbiamo il 43% di donne dirigenti, il 42% nei board.

E ora la certificazione. Giussani, qual è l’importanza di raggiungere questo obbiettivo per un’azienda come Roche Italia?

Sappiamo che è un impegno assunto a livello nazionale e internazionale, dalle linee

Delle Nostre

DONNE IL 53% HANNO RUOLI MANAGERIALI DI GRANDE RESPONSABILITÀ guida dell’Agenda Onu 2030 alle linee guida europee, quindi ormai è giustamente una questione prioritaria. C’è ancora bisogno intraprendere dei passi per rompere un po' di paradigmi. La certificazione fa parte di questo percorso, è uno strumento concreto che permette alle aziende di mostrare non solo a parole ma con i fatti l’impegno nel garantire la parità di genere. La Certificazione Uni/PdR 125 del 2022 ha esattamente questo scopo.

Questa certificazione si aggiunge al riconoscimento già ricevuto nell’autunno dell’anno scorso dal Winning Women Institute.

La certificazione di Winning Women Institute è una delle tappe fondamentali del nostro percorso che nel 2022 ha visto anche momenti di impegno istituzionale, quali la firma della Carta per le Pari Opportunità promossa dalla Fondazione Sodalitas appena siglata, di spazi informativi e formativi e di iniziative volte a sensibilizzare i colleghi rispetto all’importanza di saper abbracciare le differenze. La certificazione ha rappresentato un momento di riflessione per valutare le nostre prassi aziendali, dalla selezione allo sviluppo delle nostre persone. È stato un modo per avere anche spunti su dove possiamo ancora migliorare. Quindi per noi è stato un momento di messa in discussione. Una delle aree di forza che è emersa è la totale mancanza di gender pay gap. Ne siamo molto orgogliosi. Questa certificazione ha dimostrato che abbiamo servizi che cercano di supportare l’equità di genere. E quindi per esempio servizi che vanno a supporto del nucleo familiare, non solo della donna, che non ha necessariamente l’esclusività della cura della famiglia. Roche da sempre investe molto in servizi che tutelano il be- nessere a 360° delle sue persone, da quello fisico a quello mentale, fino al supporto nei bisogni quotidiani della vita anche extra lavorativa. Abbiamo per esempio un servizio che si chiama Equipe Salute, composto da un medico, da un assistente sociale e un counselor che lavorano insieme per aiutare il nostro dipendente in mille difficoltà che può affrontare, perché il benessere non è solo fisico. Quando ci si trova di fronte ad una difficoltà a volte c’è bisogno di un supporto psicologico, di qualcuno che indichi i servizi che già lo Stato offre perché magari non si ha il tempo di informarsi.

C’è un rapporto tra questo atteggiamento di Roche e il tipo di lavoro che svolgono i dipendenti, a sostegno di pazienti che hanno anche malattie molto serie?

Direi che c’è la stessa filosofia. Così come abbiamo a cuore il paziente, e quindi la nostra missione è tutelarlo sempre, la stessa attenzione noi la mettiamo nelle nostre persone. Abbiamo la stessa lente, con cui guardiamo dentro e fuori. Lo facciamo sempre in modo olistico e innovativo. Nell’innovazione c’è la qualità, la tipologia diversa di benefit che offriamo, la modalità con la quale tentiamo di far vivere diversamente le persone al lavoro: quindi in questo c’è molto parallelismo.

Avete in corso oppure in previsione dei progetti che possono anche ispirare aziende più piccole?

All’interno dei servizi e dei benefit di cui sopra, sicuramente continueremo con l’attenzione alla prevenzione della salute delle persone, anche questo è un tema - ritorno al parallelismo di prima - interno ed esterno. Esternamente abbiamo lanciato una campagna importantissima che si chiama Screening Routine, perché a causa della pandemia l’attività di prevenzione ha subito un forte arresto e noi stiamo lavorando per agevolarne la ripresa il più possibile. E come lo abbiamo fatto fuori lo stiamo facendo e continuiamo a farlo per le nostre persone, con delle campagne di medicina preventiva che sono personalizzate per genere ed età, in modo che ognuno abbia quello che più gli serve in termini di prevenzione. Continueremo ad investire anche sul benessere mentale delle persone e ad accompagnarle nei momenti di difficoltà, tanto nella vita privata quanto nel lavoro. Un circolo virtuoso sul quale nei prossimi mesi continueremo a lavorare con nuove campagne a sostegno delle nostre persone e dei loro nuclei familiari.

Ritiene che quello che porta alla certificazione di parità di genere sia un percorso utile per un numero più ampio di aziende?

Penso che sia fondamentale per dare alla società un segno forte di rilevanza del tema e di concretezza dell’impegno delle organizzazioni nel garantire la parità. C'è un duplice valore nella certificazione. Internamente alle organizzazioni come stimolo per migliorare la capacità di essere inclusivi. Esternamente per sancire un impegno verso l’intera società perché non è più accettabile avere ancora organizzazioni che non garantiscano equità. Non solo di genere, dovremmo avere a cuore anche quelle di età, di background, di esperienza, sono mille le dimensioni della diversità. Quando ricevere una certificazione di parità di genere non sarà più una notizia, potremo dire di aver avuto successo.

Ma Sulle Stem I Conti Non Tornano

Le discipline tecnico-matematiche vedono ancora oggi una ridotta presenza femminile. Così Rheinmetall Italia ha messo in campo iniziative di sensibilizzazione, recruiting e welfare per cercare di colmare il divario di Marina Marinetti

I CONTI NON TORNANO. SE È VERO CHE LE DONNE SI LAUREANO MOLTO PIÙ DEGLI

UOMINI, CON UN RAPPORTO DI 60 A 40, E CON VOTI MEDIAMENTE PIÙ ALTI, PERCHÉ LA PERCENTUALE DI RAPPRESENTANZA

FEMMINILE NELL'INDUSTRIA TECNOLOGICA NON VA OLTRE IL 25%? «È VERO CHE LE DONNE SI LAUREANO PIÙ DEGLI UOMINI E CHE CONSEGUONO VOTI MEDIAMENTE

PIÙ ALTI. Il problema vero è che la presenza femminile nell’ambito delle lauree Stem è piuttosto bassa», spiega a Economy Annalisa Alberti, Direttore Risorse Umane, Facility Management e Ict di Rheinmetall Italia, multinazionale operante da più di 70 anni in Italia (la capogruppo tedesca è quotata al Dax40), un’azienda ad alto tasso tecnologico. «Secondo i dati Istat, su 100 donne laureate solo 16 hanno un titolo in discipline Stem, contro 35 uomini».

Un po' pochine, non trova?

La domanda che ci dobbiamo porre come aziende e come istituzioni è di carattere culturale, come indirizzare le ragazze verso percorsi di studio di tipo Stem al fine di consentire loro di intraprendere percorsi di questo tipo. Dobbiamo interrogarci su quali messaggi inviare per aumentare la presenza delle donne nelle lauree Stem a partire dalle scuole e dalla comunicazione istituzionale.

In quali posizioni lavorano le vostre donne?

Circa il 40% delle donne presenti in azienda occupa posizioni manageriali, i settori di elezione sono in Finance, Engineering, HR, Quality e Legal. Il nostro obiettivo è crescere sul versante femminile anche in Manufacturing e nell’ambito Program Management.

Come cercate di raggiungere un equilibrio quindi?

E in Rheinmetall?

Sul totale dei nostri dipendenti, la percentuale di presenza femminile si attesta intorno al 14-15%. Ci siamo posti l’obiettivo strategico di implementare nei prossimi anni la presenza femminile e multiculturale al fine di creare le basi per un contesto aperto, inclusivo e quindi capace di generare innovazione attraverso la valorizzazione delle differenze.

Siamo consapevoli che un totale bilanciamento di genere non sarà raggiungibile nei prossimi anni perché il settore Aerospazio e Difesa vede una presenza minoritaria del capitale umano femminile. Stiamo lavorando in partnership con associazioni di categoria e istituzioni per portare avanti il messaggio dell’importanza di avere sempre più donne laureate Stem, in quanto nel futuro la necessità di profili scientifici crescerà in modo esponenziale. Abbiamo inoltre attivato una serie di iniziative di welfare per consentire alle donne di esprimere al meglio i diversi ruoli che rivestono, ad esempio incrementando i permessi di paternità, in modo che – anche se in maniera indiretta – le compagne possano rientrare più rapidamente nel contesto produttivo, sentendosi al contempo supportate dal proprio partner; flessibilità oraria, modelli di lavoro ibrido e percorsi di counseling finalizzati a supportare le neo mamme nel rientro al lavoro. La parità di genere rappresenta un obiettivo che si realizza attraverso una serie di iniziative sinergiche fra loro e con una forte sponsorship da parte dei Ceo e leaders delle organizzazioni.

E oltre a queste iniziative, in Italia avete avviato con successo il percorso di certificazione della parità di genere. Sì, è stata un’esperienza che ci ha portato a riflettere non solo sui nostri punti di forza ma anche sulle aree di ulteriore miglioramento. Potremmo definirlo un percorso “ispirazionale”, che ci ha indotto a interrogarci e a darci delle risposte precise e puntuali sullo stato dell’arte. La certificazione ci ha restituito la fotografia di una cultura aziendale fortemente orientata al disconoscimento di qualsiasi forma di discriminazione e alla valorizzazione del singolo nella sua unicità. Indipendentemente dal fatto che si riesca a conseguirla o meno, è un percorso che consiglio a tutti per il grande valore aggiunto che dà il confronto con l’esterno e con Kpi molto rigorosi e che fa emergere bias nascosti di cui quasi sempre siamo inconsapevoli. È importante stabilire una partnership con chi effettua l’audit e il potere ragionare insieme rappresenta un enorme valore aggiunto.

È ottimista per il futuro? Si riuscirà a colmare il divario?

La certificazione ha evidenziato che c’è ancora molto da fare e che le aziende hanno bisogno del sostegno delle istituzioni e della legislazione per equiparare i due sessi. Fino a quando padri e madri non avranno gli stessi diritti/doveri, distribuendo in questo modo le responsabilità della genitorialità, non si potrà giungere ad una vera parità sul piano delle opportunità. Sul tavolo c’è un tema di sostenibilità sociale oltre che economica.

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