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METTERSI IN GIOCO, AL DI LÀ DEL "PEZZO DI CARTA"

La certificazione della parità di genere segna il punto di partenza di un percorso che aiuterà l'azienda non solo a diventare sempre più inclusiva, ma anche a posizionarsi meglio sul mercato. Ecco come funziona di Marina Marinetti

FOSSE SOLO UN "PEZZO DI CARTA", SAREBBE UN PUNTO DI ARRIVO. E INVECE IL "PEZZO DI CARTA" È SOLO LA CASELLA DI PARTENZA. «La certificazione della parità genere rappresenta l'avvio di un percorso di miglioramento per l'azienda», conferma a Economy

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Daniela Asaro, Head of Health & Well-Being

Certification Strategic Center di Rina, fra i primissimi organismi ad aver offerto alle imprese, appunto, la certificazione della parità di genere prevista dalla missione 5 del Pnrr (inclusione e coesione), che come riferimento normativo la Uni Pdr (Prassi di riferimento) 125:2022. «Non si tratta di fare la spunta dei requisiti per raggiungere un dato punteggio, ma di assumere l'impegno a mettersi in gioco, anno dopo anno, monitoraggio dopo monitoraggio, per dimostrare nel tempo, già alla scadenza del primo trienno, di aver compiuto un passo in avanti sulla strada della parità. È l'unicum di questa prassi: oggettivizza l'obiettivo e lo misura», spiega Asaro.

I famosi Kpi...

...sì, ma non devono spaventare le Pmi: sono Kpi commisurati alla dimensione delle im prese, dalle micro-organizzazioni fino a 9 dipendenti, con tutte le semplificazioni del caso, fino alle grandi multinazionali. Le aree di valutazione sono sei: cultura e strategia, governance, processi di gestione delle risor se umane, opportunità di crescita e inclusio ne delle donne in azienda, equità remune rativa per genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Ogni area ha un peso percentuale che contribuisce alla misu razione del livello attuale dell’organizzazio ne e rispetto al quale è misurato il migliora mento nel tempo. Diciamo che è un sistema di gestione ibrido.

Apriamo una parentesi: mancano solo 7 anni al 2030, quando l'Onu ci vuole alla pari. Dobbiamo correre.

Le ultime proiezioni del World Economy Forum sul Gender Gap Index sono positive, ma più che di 7 anni parlano di 132 anni (da 136): l'Italia resta ancorata alla 63ma posizione nel ranking mondiale. Siamo primi fra gli ultimi.

E la certificazione della parità di genere per le aziende aiuterà l'Italia a scalare posizioni?

Certo, perché introduce finalmente un cambiamento culturale partendo dal mondo del lavoro: è quello più velocemente raggiungibile grazie alla possibilità di dettare delle regole e alla capacità delle aziende di misurarsi. E poi, per la prima volta è stata associata una premialità che viaggia su un doppio binario: l'1% di sgravi sui contributi previdenziali fino a 50 mila euro per azienda, di cui la circolare Inps di fine 2022 ha definito le modalità accesso con la possibilità per le aziende di scaricarsi autonomamente i contributi mensilmente dal primo mese di validità della certificazione in maniera molto semplice utilizzando i tool sul sito Inps...

...e il secondo binario?

A luglio 2022 la certificazione è stata rifinanziata come misura strutturale fino al 2026 compreso. Insomma: ci sono i soldi. Per agevolare le Pmi sono stati previsti finanziamenti a fondo perduto per pagare i costi della certificazione e della prima consulenza, inoltre alcune Regione hanno iniziato a fare propri bandi autonomi: il caso più eclatante è quello della Lombardia , che sul piatto ha messo 10 milioni di euro, cioè la stessa cifra che lo Stato ha stanziato per rimborsare le aziende di tutta Italia già se esibiscono il contratto di certificazione. Poi anche le Camere di Commercio stanno avviando bandi sulla parità di genere... Insomma c'è un movimento spontaneo a tutti i livelli che supporta le Pmi nel loro percorso. Lo scopo è di far ottenere loro la certificazione praticamente gratis.

Insomma, non ci sono scuse. Oltre al binario della premialità, c'è quello della sostenibilità sociale: la certificazione migliora anche alla reputazione dell'impresa. E diversi studi, da McKinsey alla Bocconi, dimostrano che la performance delle aziende migliora quanto più sono inclusive rispetto al genere. Come ha giustamente sottolineato la ministra Eugenia Rocella, la certificazione della parità di genere è una leva fondamentale per il cambiamento culturale. E continuerà a supportarla. Anche se...

Anche se...?

Sul punteggio premiante nelle gare pubbliche c'è un giallo irrisolto: è stato eliminato dalla revisione del codice degli appalti che giace in una delle camere la riga che parla di questa premialità prevista dalla legge 162/2021: è una cosa grave perché va contro la legge e toglie una delle gambe su cui poggiava Pnrr, che la prevedeva esplicitamente. Eppure agli appalti partecipano imprese di tutte le dimensioni e la norma è già dentro il Mepa - il Mercato elettronico della Pubblica Amminisrazione, ndr -, il sistema pubblico delle gare. E anche nelle gare private le grandi aziende inseriscono la certificazione della parità di genere per qualificare la filiera di fornitura, quando una volta le imprese si qualificavano solo su prestazioni o tempistiche. Si è innescato un meccanismo virtuoso: se la sostenibilità ambientale è ormai imprenscindibile, questa è la sostenibilità sociale. Che è anche più comprensibile e impatta su tutti.

Ma è obbligatoria, la certificazione?

Non è obbligatoria per nessuno, è una norma volontaria. Ma è opportuna per tutti dal punto vista culturale e reputazionale, anche sotto il profilo della job attraction, specialmente per le Pmi. Il focus dopotutto sono proprio le Pmi: l'obiettivo del Pnrr per il 2026 è di avere 800 aziende certificate di cui almeno 450 Pmi. Sembrano poche, ma è un punto di partenza. Unioncamere ne ha promesse mille attraverso il bando sulla consulenza...

Torniamo alle imprese.

Le aziende che hanno già strutturato un processo dei diversity, equity e inclusion - la signa Dei ha ormai sostituito la tradizionale D&I, ndr - naturalmente ha già la mentalità adatta, altrimenti si fa un po' più di fatica. L'azienda deve avere un commitment forte da parte della direzione, perché la certificazione della parità di genere va a inserirsi in processi delicati e riservati come i cedolini, le promozioni, le contrattazioni, la gestione delle carriere.

Quanto tempo occorre per certificarsi?

Almeno tre mesi, per un'azienda impreparata anche sei. Ma la Pmi o l'azienda familiare non si deve spaventare. Certo, il punto di partenza è che le cose come sono non vanno bene e vanno cambiate e il cambiamento un po' spaventa sempre. Ma quello che deve ispirare è terno e, al di là dei numeri, migliora anche l'impatto sociale, sia interno che esterno. La prassi insegna anche ad aprire il cancelletto che divide l'impresa dalla strad, per andare a parlare con tutti gli stakeholders. che se il cambiamento tecnico può sembrare solo una frasetta, "sono conforme", si tratta invece di un cambiamento culturale che impatterà sull'organizzazione. Ma tutti gli indicatori dicono che la prestazione dell'azienda migliora, così come migliorano l'attrattività, la percezione del consumatore, il clima in-

E voi? Applicate la PdR al vostro interno... ovviamente.

Eh sì, abbiamo affrontato per primi su di noi l'esperienza dell’applicazione della prassi, ma non solo perché si trattava del requisito per l'accreditamento come organismo certificatore: volevamo imparare qualcosa di più sulla nostra organizzazione e capire se ci fossero margini di miglioramento.

E li avete trovati?

Certo! Il cammino è lungo e come hai detto siamo all’inizio! Abbiamo scoperto che stavamo affrontando da anni le tematiche Dei, ma in modo non sistematico. Così, le abbiamo inserite in un modello e ci siamo resi conto di quante iniziative erano state messe in campo. Ecco: questo balzo in avanti del lavoro Hr è quello che rimane negli schemi certificativi.

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