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«DOBBIAMO INSTAURARE UN RAPPORTO DI COLLABORAZIONE TRA STATO E CONTRIBUENTI»
by Economy
I tre scaglioni Irpef, la flat tax incrementale, la cedolare secca estesa a tutti gli immobili. Ma prima di tutto un cambiamento culturale per vedere fisco e cittadini non più antagonisti, ma alleati. Giulio Centemero, capogruppo della Lega alla Commissione Finanze della Camera, ci spiega il vero senso della delega fiscale
di Sergio Luciano
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«UNA MAGGIORE CERTEZZA ED EQUI -
LIBRIO DEI RAPPORTI GIURIDICI TRA IL
CITTADINO E L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA - IN PRIMIS, SEMPLIFICANDO
SOPRATTUTTO MOLTI ADEMPIMENTI BU -
ROCRATICI - CI PORTERÀ SICURAMENTE
AD AVERE UN SISTEMA FISCALE E TRIBUTARIO PIÙ PRAGMATICO, TRASPARENTE E SNELLO» : non ha dubbi sul tema Giulio Centemero , capogruppo della Lega alla Commissione Finanze della Camera, commercialista egli stesso ma soprattutto economista apprezzato ovunque, e da prima dell’inizio della sua attività politica. Anzi, è in queste vesti – applicate in particolare ai temi dei mercati finanziari e della fiscalità – che il leader del suo partito, Matteo Salvini, l’ha sempre tenuto in grande considerazione, nominandolo tesoriere del partito. Sempre in queste vesti ha subito una condanna in primo grado per un supposto illecito finanziamento da 40 mila euro, contro cui è stato interposto appello e che tutti coloro che – come chi scrive – lo conoscono bene, sono certi che sarà cancellata appunto dal secondo grado di giudizio.
Onorevole, ci spieghi: partiamo da una considerazione generale: ridurre la pressione fiscale che grava sul contribuente italiano è giusto e meritorio ma si scontra con le necessità ad oggi incomprimibili di finanziamento del deficit pubblico che, a dispetto dell’avanzo primario, viene inesorabilmente innalzato dal peso del servizio al debi - to. In vista di un ritorno severo al patto di stabilità, non pensa che una riforma fiscale che non viaggi di pari passo ad una drastica riduzione della spesa pubblica sia più che altro un rimescolamento delle poste sulla varie categorie tributaria ma non possa segnare una vera svolta?
Direi di distinguere i due temi. La riduzione della pressione fiscale, come lei correttamente riporta, non è solo giusta ma, aggiungerei, opportuna e imprescindibile. Anzitutto perché l’alto livello di tassazione non ha fatto altro che acuire ancora di più le difficoltà e la complessità del rapporto tra il fisco e il contribuente. In tema di politiche di bilancio nazionali, invece, il nostro Paese ha tutto l’interesse a mantenere una gestione ordinata della finanza pubblica. Tuttavia, credo, che sia altrettanto necessario la- vorare per rafforzare un dialogo tra gli Stati membri, individuando uno schema caratterizzato da regole trasparenti e credibili, che possano essere applicate in maniera realistica e lascino agli Stati membri margini di bilancio che, se opportunamente utilizzati, possono anche migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche.
L’impressione ricavata dall’osservazione dei dati sulle contestazioni e gli accertamenti è che il sistema fiscale tenda a verificare la compliance di chi denuncia piuttosto che a cercare gli evasori totali, che sono numerosissimi e naturalmente alimentano l’economia nera. Non sarebbe indispensabile stringere le viti anche sul fronte del controllo del territorio?
I dati sono molto incoraggianti. Il gettito spontaneo, nel 2022, è cresciuto visibilmente. I tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate versati dai contribuenti sono stati pari a quasi 510 miliardi, quasi +11 per cento rispetto 2021. Inoltre, crescono gli incassi da controllo. Dei 20,2 miliardi complessivamente riportati nelle casse dello Stato lo scorso anno, 19 miliardi derivano dalle ordinarie attività di accertamento. Una buona parte degli incassi, poi, deriva da misure straordinarie come la “pace fiscale” e le “rottamazioni”.
Sarete felici voi della Lega! Sicuramente questo dato è la conferma – tesi sempre sostenuta dalla Lega - che oltre ai normali controlli, serve instaurare un rapporto di leale collaborazione. Penso, ad esempio, ad incentivare meccanismi di premialità per i soggetti Isa maggiormente virtuosi, oppure all’esclusione dalle sanzioni nei casi di omesso versamento per errore o grave mancanza di liquidità. C’è bisogno di un cambio di paradigma culturale, di abbandonare i pregiudizi del contribuente considerato evasore fino a prova contraria. uno specifico impegno ad estenderla. E proprio nell’ultima di Legge di Bilancio l’abbiamo aumentata per i redditi autonomi fino a 100mila euro. Il nostro obiettivo è, quindi, estenderla gradualmente anche a famiglie di dipendenti e pensionati, con alcune limitazioni di reddito. Oltretutto, la flat tax e la flat tax incrementale incentivano la produzione, e hanno mire anti-evasione, con lo scopo di far emergere il reddito imponibile, il tutto senza incidere in modo negativo sul bilancio dello Stato.
Entriamo nel merito di alcuni dei provvedimenti più discussi. Innanzitutto la nuova organizzazione delle aliquote. Cosa ne pensa?
La semplificazione della gestione e del calcolo dell’Irpef è uno degli obiettivi fondamentali della riforma. Siamo d’accordo sul ridurre il salto di aliquota dell’Irpef sui redditi medi e allo stesso tempo impedire che questi salti costituiscano un disincentivo alla crescita. Ma il progetto di revisione tocca anche l’Iva e l’Ires e ha come obiettivo il graduale superamento dell’Irap, solo per fare degli esempi sul fronte dei tributi.
Suscita curiosità e dibattito l’equiparazione del prelievo su tutte le rendite finanziarie. Quali obiettivi persegue?
Fa scalpore l’idea di far pagare gli interpelli all’Agenzia delle Entrate, quasi a scoraggiare un metodo che invece dovrebbe segnare la svolta nei rapporti fisco-cittadini. Perché questa scelta? Oggettivamente non mi pare molto simpatizzante verso chi paga le tasse e se si rivolge al fisco per avere un chiarimento si pone volontariamente sotto i riflettori dei controlli! Non c’è nessuna volontà di scoraggiare il contribuente nel rivolgersi all’Agenzia delle Entrate per ottenere chiarimenti prima di attuare un comportamento fiscalmente rilevante. Anzi. L’idea sottesa a questa razionalizzazione della disciplina è proprio implementare l’emanazione di provvedimenti interpretativi di carattere generale. Quindi, riservare l’interpello a fattispecie che non trovano soluzione nei documenti interpretativi già emanati.
La flat-tax rimarrà nei suoi attuali limiti o potrà realmente essere estesa? Nel programma del centrodestra c’era
Attualmente, il Tuir (Testo unico delle imposte sui redditi) prevede che le rendite finanziarie siano suddivise in due categorie di redditi, di capitale e redditi diversi. L’idea è di riformare la tassazione sui redditi finanziari adottando un criterio di cassa che rispetta il principio della capacità contributiva. L’obiettivo è, quindi, prevedere un’imposta sostitutiva su questi redditi basata sulla differenza tra voci positive e negative, con la possibilità di riportare le minuslvalenze negli anni successivi e di optare per la tassazione sul realizzato esprimendo tale scelta in dichiarazione o attraverso gli intermediari finanziari.
Fa anche effetto l’idea dell’estensione della cedolare secca a tutti gli immobili. Quale ne è la ratio?
L’obiettivo di introdurre una cedolare secca per le locazioni commerciali ci vede favorevoli. Il commercio, così come l’artigianato, patiscono un carico fiscale insopportabile sui proprietari che mettono a disposizione gli immobili per lo svolgimento di queste attività essenziali per la crescita dell’Italia. Lo scopo è di rivitalizzare il mercato delle locazioni commerciali, nonché un concreto aiuto alle imprese e piccoli esercenti.

Lo Stare Bene In Azienda
Parla Una Nuova Lingua
Work-life balance, fringe benefit, smart working, long-term care ... Non sono solo inglesismi, ma la risposta alle difficoltà di un mondo del lavoro alle prese con la disaffezione delle persone. Perché ormai il well being conta più dello stipendio
Tra i lavoratori italiani serpeggia un malcelato scontento. Lo indicano 2,2 milioni di dimissioni presentate nel 2022, da inscrivere nel fenomeno globale detto great resignation. Ma la nostra specificità è confermata dai dati Eurostat: l’Italia si colloca al quartultimo posto nel Vecchio Continente per livello di soddisfazione lavorativa, con una quota di lavoratori “altamente” soddisfatti del 18,9%, meglio solo di Bulgaria, Serbia e Grecia. Nel 2021 solo un lavoratore su due si è detto “sufficientemente” soddisfatto del lavoro svolto. Non è detto che la settimana corta sia la soluzione, come scrive in queste pagine Luca De Compadri, consigliere nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. La risposta è più probabilmente nella crescita del welfare aziendale, ovvero di tutte quelle azioni e iniziative intraprese dal datore di lavoro per accrescere il benessere del proprio lavoratore e della sua famiglia. I dati disponibili indicano che
Attenzione Agli Spazi
Anche l’ufficio è importante per convincere il riottoso lavoratore a non aderire alla great resignation.
Secondo Knight Frank, consulente immobiliare britannico, i dipendenti vogliono sempre più lavorare in ambienti che arricchiscono le loro giornate. In tempi di smart working, l’esperienza dell’ufficio deve valere il tragitto giornaliero: si fanno così strada, specie nelle grandi aziende, mobili ergonomici, design di fascia alta, spazi ricchi di comfort. A volte ci sono anche strutture per il benessere come palestre e tende da meditazione, strutture sociali come terrazze sul tetto, strutture per la formazione e lo sviluppo come gli auditorium. Le aziende arrivano ad offrire programmi di benessere: l’ufficio diventa una spa aziendale, con piscine, capsule per dormire, lezioni di yoga, frutta fresca, spazi che incoraggiano le interazioni sociali. «Anche la posizione è una parte importante dell’esperienza in ufficio» dice
Tom Walsh del team Flexible Office Solutions di Knight Frank. «I lavoratori vogliono essere in zone interessanti della città: per esempio, a Londra luoghi come Soho e Mayfair sono non solo ben collegati, ma offrono anche una vasta gamma di caffè, ristoranti e bar, e quindi continueranno ad essere molto richiesti».
Settimana corta? Non è detto che aumenti il benessere dei lavoratori
di Luca De Compadri, Consigliere Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro
Iltema della conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro sta appassionando l’opinione pubblica e il mondo delle imprese. In effetti, la ricerca della migliore organizzazione del lavoro nel migliore spazio temporale possibile, nel rispetto, a un tempo, sia delle esigenze di produttività sia di quelle dei lavoratori, rientra in un pensiero filosofico alquanto suggestivo. Il benessere del lavoratore, agevolato da un lavoro concentrato nello spazio della c.d. settimana corta, secondo una opinione diffusa, potrebbe avere benefici anche sulla produttività aziendale.
Al riguardo, giova ricordare l’esperienza del Gruppo Banca Intesa, il quale ha previsto una ipotesi di settimana corta con adesione individuale su base volontaria, proponendo ai lavoratori (in ogni caso non addetti a turni o mansioni che presuppongano la presenza nell’intera settimana) di lavorare nove ore per quattro giorni (36 ore settimanali anziché 37,5), a parità di retribuzione. Tale ipotesi di adesione volontaria va, in ogni caso, concordata con il responsabile della propria divisione ed è compatibile con lo smart working, ammesso per 120 giorni la componente più importante e meno soddisfatta di reale bisogno è quella sanitaria. A questa si affianca quella del bilanciamento tra vita professionale e esigenze private: per la prima volta, il work-life balance sembra addirittura superare la retribuzione tra le priorità di chi cerca un nuovo lavoro. Ma partiamo dalla sanità. Nel 2022 la spesa sanitaria privata in Italia ha raggiunto i
SECONDO UNO STUDIO
DI FEDERMANAGER, IN UNA SCALA
DA 1 A 10 L’IMPORTANZA DEL WELFARE
AZIENDALE È DI 7,5
41 miliardi di euro, cioè quasi un quarto di quella totale. Ma mentre in altri Paesi buona parte di questa spesa è intermediata da fondi e assicurazioni (in Francia oltre il 40%), in Italia l’89,1% è out of pocket, ovvero pagata direttamente dalle famiglie. Secondo i dati del rapporto realizzato dal think tank “Welfare, Italia”, sono quasi il 60% i contratti attivi che prevedono misure di wel- la settimana (Cfr. Il Sole 24 Ore lunedì 30 gennaio 2023).
Orbene, l’ipotesi descritta nasce in sede aziendale, che si ritiene essere il vero centro di confronto per la realizzazione di un nuovo sistema organizzativo. Un intervento legislativo, invero, potrebbe risultare eccessivamente invasivo, provocando non trascurabili problematiche. Laddove la c.d. settimana corta realizzasse un semplice abbattimento dell’orario di lavoro a parità di retribuzione, si realizzerebbe un evidente aumento del costo del lavoro, difficilmente sostenibile non solo dalle imprese, ma anche da tutto il sistema lavoristico-previdenziale. Pensare che le aziende possano mantenere gli stessi livelli di produttività riducendo il monte orario concretizza una aspirazione attualmente non sempre realiz- fare aziendale; ma mentre i fringe benefit - come i diffusissimi buoni pasto - sono presenti nel 33,8% dei casi, la sanità si ferma al 7,6% (la previdenza è al 12,5%). La componente principale della spesa out of pocket è quella per acquisto di beni (39,7% del totale, in cui ricadono farmaci, occhiali, apparecchi acustici, altri prodotti medicali e così via), seguita dall’assistenza ambulatoriale curativa e riabilitativa (36,5%), long-term care (11,6%), servizi accessori (7,0%), assistenza ospedaliera curativa e riabilitativa (3,5%) e assistenza preventiva (0,2%). È insomma evidente che molte prestazioni che farebbero parte dei famosi Livelli essenziali di assistenza vengono in realtà pagati dai cittadini perché non fruibili a livello di Ssn: di qui l’importanza e perfino l’urgenza di incrementare la componente sanitaria del welfare aziendale.
L’importanza crescente del welfare aziendale e, nel suo ambito, della componente sanitaria, emerge anche da uno studio rea-
Contratti che prevedono misure di welfare aziendale in Italia (valori in percentuale del totale dei contratti attivi), 2016-2021 zabile. In ogni caso, stante l’attuale sistema normativo, sarebbe già ora possibile prevedere la stipula di contratti collettivi aziendali nei quali includere un aumento delle ferie spettanti ai lavoratori, in modo tale da compensare una corrispondente riduzione dell’orario di lavoro, mantenendo la medesima retribuzione.
Laddove, invece, la c.d. settimana corta pre- lizzato da Federmanager sulla popolazione di manager assistiti dal Fasi, il Fondo di assistenza sanitaria Integrativa dei dirigenti del settore industriale, che ha coinvolto

2.935 dirigenti - il 9,5% fino a 45 anni, il 47,4% dai 46 ai 55 anni e il 43% oltre i 55 anni. Per i manager intervistati, in una scala da 1 a 10 l’importanza del welfare aziendale per il benessere collettivo dei lavoratori dell’azienda è di 7,5, superiore a quella del modello organizzativo adottato (7,4) e del senso attribuito al proprio lavoro, inteso anche come utilità sociale e condivisione dei valori aziendali (7), e seconda solo allo stile di leadership (8,5).
Secondo quanto risulta dallo studio di Fe-
L’autore, Luca De Compadri vedesse una diversa distribuzione dell’orario di lavoro (ad es. su 4 giorni), ciò implicherebbe un aumento dell’orario lavorativo giornaliero (a 10 ore in luogo delle 8 attuali).
In tale ipotesi, la soluzione non potrebbe essere tout court legislativa, dovendosi comunque sempre considerare le particolarità del lavoro svolto in azienda, l’intensità sia a livello fisico sia a livello emotivo dello stesso, con conseguente valutazione delle incidenze in termine di prevenzione sia di infortuni sul lavoro sia di malattie professionali. Soltanto in sede di contrattazione collettiva di secondo livello potrebbero essere analizzate tali situazioni in modo coerente rispetto sia all’attività di impresa sia alla tutela della salute dei lavoratori. In ogni caso, l’ampliamento del limite del lavoro ordinario da 8 ore a 10 ore porterebbe conseguenze an- che nella individuazione del lavoro straordinario e della sua quantificazione. Quindi, non può essere considerato automatico che la scelta della settimana corta con aumento dell’orario giornaliero sia di beneficio al benessere psicofisico del lavoratore. mentale e guida ai corretti stili di vita che rappresentano, per noi del Fasi, i pilastri della salute della nostra popolazione assistita, in particolar modo quella più giovane». I manager si dicono complessivamente soddisfatti del loro benessere lavorativo, con un valore medio di 7,4 punti; ma più alto è l’apprezzamento verso le tutele contrattuali che riguardano la salute: 8,2 è l’importanza attribuita alla presenza di coperture sanitarie, previdenziali, assicurative, quali elementi costitutivi del benessere lavorativo dermanager e Fasi, nell’ultimo triennio le imprese hanno introdotto un ampio ventaglio di misure pensate per accrescere il benessere dei dipendenti, tra le quali anche quelle che riguardano la salute sia dei dipendenti che dei loro familiari. Alcune di esse sono specchio di una reazione immediata all’emergenza pandemica, come nel caso del ricorso allo smart working, che è comune all’85% delle imprese. A seguire, emergono iniziative per favorire l’ascolto/ rilevazione del clima aziendale (52%), la conciliazione vita-lavoro (anch’essa al 52%), la formazione (46%). Ma è rilevante anche l’attenzione a soluzioni che riguardano sia la salute che policy aziendali che estendono e/o rafforzano le coperture sanitarie e assicurativa (entrambe date nel 40% dei casi).
In effetti, un concetto di riduzione dell’orario settimanale, in termini di settimana corta, potrebbe realizzarsi in un contesto di premialità, individuato dalla contrattazione collettiva di secondo livello, laddove il datore di lavoro concordasse obiettivi produttivi settimanali, che, se rispettati, potrebbero dare la possibilità al lavoratore di avere diritto a un giorno di riposo settimanale aggiuntivo.
Ulteriormente, sarebbe ipotizzabile, soltanto per le categorie di lavoratori “amministrativi”, coniugare lo smart working con un orario di lavoro ridotto in azienda.
ALL’INTERNO DELL’AMPIO CONTESTO DEL WELFARE AZIENDALE
«Il well-being rientra fra i nostri principali ambiti di attenzione insieme ad acuzie, cronicità e non autosufficienza» dice il Presidente di Fasi Marcello Garzia. «All’interno dell’ampio contesto del welfare aziendale, l’assistenza sanitaria ha assunto un ruolo di primo piano; i fondi integrativi, difatti, rispondono sempre più ad una precisa evoluzione della domanda da parte delle lavoratrici e dei lavoratori per i quali la salute non è più solamente richiesta di cure in caso di malattia o infortuni ma diventa prevenzione, sia di tipo diagnostico che comporta-

«Il welfare oggi si fonda su tre fattori essenziali: il “fattore tempo”, nell’ambito del quale viene finalmente valorizzato il concetto di work-life balance; il “fattore denaro”, per cui si studiano e si valutano forme alternative di retribuzione; il “fattore servizi”, che deve avere come particolare riferimento le misure aziendali a sostegno della genitorialità. Resta inteso che il welfare aziendale si deve porre come primo obiettivo quello di realizzare un’assistenza sanitaria d’eccellenza e innovativa» sottolinea Giacomo Gargano, Presidente di Praesidium spa, società del sistema Federmanager e broker di riferimento del Fondo sanitario integrativo Assidai, specializzata nello studio, nella progettazione e nella gestione dei programmi di welfare aziendali. «Noi lo facciamo attraverso una consulenza specializzata alle aziende, verificando attentamente quanto previsto nei vari Contratti collettivi di lavoro, con lo scopo di accompagnarle a coprire i gap di assistenza richiesti dai lavoratori e verso soluzioni che tutelino maggiormente la salute. Stiamo integrando anche l’offerta di soluzioni assicurative, ampliando laddove possibile il nostro campo d’azione attraverso l’attuazione di nuove strategie di partnership insieme agli altri enti del Sistema Federmnager». Tra le cinque variabili che incidono sul benessere individuale secondo lo studio di Federmanager e Fasi, la salute, insieme alla salubrità mentale e fisica, supera il 60%, da-
Meno stress, più concentrazione, più rendimento e soddisfazione: sono alcuni dei benefici apportati in chi pratica lo yoga e/o la meditazione sul posto di lavoro. Le ricerche, in tal senso, sono ormai molteplici. La più accurata, condotta su un campione di 85mila lavoratori statunitensi coordinata dal Center for Disease Control and Prevention tra il 2002 e il 2012, ha portato alla luce che «chi pratica yoga o la meditazione sul posto di lavoro riduce le possibilità di burnout, limiti i disturbi dell’umore, ma, soprattutto, migliora sia il rendimento professionale sia la qualità della vita lavorativa dei dipendenti». Tra le case history più apprezzabili nel nostro Paese c’è quella dello “Studio Zanon” di Padova che, già nel 2021, si è aggiudicato il Welfare Index Pmi di Generali e, lo scorso anno, sempre da Generali è stato premiato per il “Miglior piano di Welfare degli Studi Professionali” proprio per aver introdotto, tra le pratiche di welfare aziendale, quella della meditazione tra i dipendenti. «Già da un anno abbiamo avviato gli YogaDay, ossia delle sessioni di un’ora settimanale durante le quali tutti i dipendenti dello studio, compresa la seniority, partecipano in gruppo alla meditazione» spiega Riccardo Zanon, titolare dello studio di consulenza legale di Padova. «Oltre ai benefici psico-fisici che ne derivano, lo yoga concorre a creare un’atmosfera positiva e collaborativa tra i dipendenti».
Antonio e, in piedi, Riccardo Zanon vanti al benessere economico (che supera il 50%) e anche a quello relazionale (anch’esso sopra il 50%). Sono in particolare le nuove generazioni, molto più di quelle precedenti, a reclamare maggiore attenzione al benessere lavorativo. Questi valori segnano un cambio di prospettiva rispetto al passato, quando erano gli aspetti retributivi a determinare la soddisfazione e a orientare le politiche di gestione del personale, e che invece oggi sono percepiti come meno rilevanti. Dal dettaglio delle risposte emerge che per i manager il benessere personale coincide nella quasi totalità dei casi con aspetti come la flessibilità e la gestione del tempo, e con la possibilità di dedicarsi alla formazione e alle opportunità di crescita professionale. «Esiste un legame diretto tra il livello di produttività e il benessere lavorativo dei collaboratori» osserva il Presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla. «Un benessere che è legato alle condizioni di salute psicofisica del singolo, al clima aziendale, a modelli organizzativi che riconoscono centralità al capitale umano e che sanno conciliare tempo di vita e tempo di lavoro. I manager sono i primi a dover promuovere questa consapevolezza in azienda. Quello che dimostra la nostra indagine è che riconoscono l’importanza di avere coperture sanitarie, previdenziali, assicurative: assegnano un valore di 8,2, su una scala da uno a dieci, considerando il welfare aziendale come componente costitutiva del benessere lavorativo».
La retribuzione insomma non è più in cima alle priorità dei manager, ma non soltanto delle loro. Secondo il rapporto Decoding Global Talent realizzato da Bcg e The Network su un campione di ben 90mila persone interpellate in 160 Paesi, per chi sta cercando di cambiare lavoro non ci sono dubbi: il 69% del campione globale e il 70% di quello europeo hanno scelto “Vorrei un lavoro stabile con un buon equilibrio tra lavoro e vita privata, in modo da avere tempo per la famiglia, gli amici, gli hobby”. Simmetricamente, l’ostacolo maggiore quando si cerca di finalizzare un contratto di lavoro è proprio un work-life balance non all’altezza (24% in Europa, 19% mondo), che nel Vecchio Continente supera il compenso economico, stipendio e bonus (23%), che resta invece di poco prevalente a livello globale (21%). Ma anche fuori dall’Europa, l’aspetto retributivo supera il work-life balance solo nella fascia d’età tra i 21 e i
30 anni, mentre dai 30 anni in su prevale il bilanciamento tra lavoro e vita privata. Il problema riguarda anche le aziende, sia in fase di reclutamento che di fidelizzazione dei loro migliori elementi. «In fase di selezione è importante tenere sempre a mente che ogni persona, anche la più focalizzata sulla sfera professionale, ha una vita privata e vuole poter pianificare il proprio tempo in termini di avanzamento di carriera ed economico, specialmente in determinate fasce d’età» dice Monia Martini, Emc People and HR Operations Executive Director di Bcg. «Anche i più giovani, di solito particolarmente interessati a sviluppare esperienza e nuove competenze, non necessariamente attribuiscono minor valore a tutto ciò che non fa parte della dimensione strettamente professionale». Per ingaggiare e trattenere il talento, insomma, oggi più ancora che sullo stipendio si deve puntare proprio sul welfare aziendale.
Distribuzione territoriale degli aderenti a fondi di sanità integrativa nelle regioni italiane (valori percentuali), ultimo anno disponibile
