
4 minute read
IL GOVERNO MELONI E IL PALTÒ DI NAPOLEONE
by Economy
autoironia non manca certo a Paolo Gentiloni, commissario europeo all’economia, già presidente del consiglio in Italia per 536 giorni, e cioè dal 12 dicembre 2016 al 1° giugno 2018. Ma in questo caso è lecito dubitare che la sua autoironia fosse consapevole. Quando, a fine marzo, ha detto - riferendosi al governo Meloni e al Pnrr-: «Ci sono risorse ingenti ma ora arriva la parte più delicata, che è fare le riforme e gli investimenti, mettere a terra queste risorse ingenti. Dobbiamo rimboccarci le maniche a Roma e Bruxelles e far funzionare questa cosa», ha sbagliato verbo. Anziché la prima persona plurale (“dobbiamo”) avrebbe dovuto usare la seconda “voi dovete”. Perché il suo governo non c’è riuscito, a mettere a terra risorse ingenti, peraltro in parte consistenti in fondi europei. Come non c’è riuscito, dal 1992 a oggi, nessuno dei governi del centrosinistra, che - ricordiamolo - hanno governato 16 anni contro 14 del centrodestra. Cioè di Berlusconi, per 11 di quei 14 anni, e stendiamo un velo pietoso. Ciò puntualizzato, però, l’ammonimento di Gentiloni è maledettamente fondato. Le riforme che avrebbe dovuto fare il governo Draghi, e che sono state presentate in progetto a Bruxelles, sono state approvate ma erano pezzi di carta, ed Economy l’ha sempre ricordato, tutti da attuare e ancora inattuati. E, dei primi “pezzi” del Pnrr, stanno iniziando a partire, e nemmeno tutti, solo quelli in qualche modo incanalati nei grandi operatori delle infra-
L’strutture nazionali, le Ferrovie, Terna, Eni, Enel, il sistema Cdp, eccetera... Il resto, non pervenuto. E qui viene il brutto. A parte qualche innegabile buon auspicio che si può ricavare dalla linea di condotta personale della premier, non è che nell’insieme si sia visto chissà che. Sorvoliamo sulla fucileria più o meno livida della sinistra su tutto i fronti.
Advertisement
Quel che per ora sembra mancare è un piglio efficiente, addirittura efficientista, che dovrebbe far cambiare marcia alla pubblica amministrazione in tutte le sue articolazioni, che poi sono tutte a vario titolo coinvolte nella gestione del Pnrr. Prendiamo due casi, il superbonus e la riforma fiscale, chetoccando le tasche degli italiani - i voti li spostano, eccome se li spostano, cara Schlein. Il 110% era pensato male ed è stato sotterrato (più o meno, perché in Italia qualche scappatoia spunta sempre) ma quella materia è investita in pieno della direttiva europea sugli immobili che, applicata alla lettera, ci inchioderebbe a una decina d’anni di quel genere di sussidi! Che peraltro, diciamolo: nel Paese degli 8.000 centri storici più belli del mondo farebbe solo bene una grande campagna di restauri, per l’efficienza energetica e l’antisismicità. Ma oggi è più attuale il progetto di riforma del fisco presentato dal viceministro competente, Maurizio Leo. Che competente lo è sul serio: e infatti ha scritto un bellissimo progetto, ovviamente attaccato dalla sinistra, ma questo diamolo per scontato perché - come disse Gianni Agnelli in una memorabile intervista a Mixer nell’83 - nei Paesi normali il governo governa, e l’opposizione si oppone...
C’è un problema, però. E per spiegarlo torna utile una similitudine col paltò di Napoleone (già usata in passato, e il lettore deve perdonare la debolezza partenopea) e, per di più, datata 1954. Ma sempre validissima. In “Miseria e nobilità”, uscito nei cinema in quell’anno, la famiglia di Totò, povera in canna, decide di concedersi una cena sostanziosa portando al Monte dei Pegni un cappotto, in teoria prezioso. Ma enumerando gli ingredienti da comprare la lista diventa così lunga che il cognato di Totò, incaricato degli acquisti, lo ferma e chiede: «Ma per caso questo fosse il paltò di Napoleone?»
Cioè: chi ci darà i soldi se offriamo così poco?
Qualsiasi riforma fiscale, per bella e intelligente che sia, può sì alleggerire l’onere ignobile di adempimenti e inutili vessazioni che l’Agenzia delle Entrate fa gravare su tutti noi, ma non risolve il problema se non riduce la pressione fiscale complessiva. E per ridurla ci sono solo due modi: tagliare le tax-expenditure, cioè la microdissipazione di vantaggi e sgravi oggi in vigore, che andrebbe eliminata. Ma così facendo ci si inimicherebbe le categorie ingiustamente avvantaggiate. Altra condizione anche più impegnativa: ridurre la spesa pubblica nel suo insieme, oggi largamente inefficiente per sperperi e ruberie ancora generalizzate (vedasi i dati ancora preoccupanti di Trasparency International). Ma qui casca l’asino, direbbe sempre Totò. Per ridurre le tax expenditure e la spesa pubblica, precondizioni per fare una riforma fiscale vera, bisogna scontentare qualcuno. Non si può compiacere tutti. E per finire con Dante, che non ci pare un autore “di destra”, “qui si parrà la nobilitate” del governo Meloni, si vedrà cioè se sarà capace anche di contrariare qualcuno sul fronte dove si raccolgono i voti: i soldi.
NELLA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA C’È UNA FORMULA CHE FUNZIONA
Il Corsivo I
più attenti ricorderanno la clamorosa frattura tra la Fiat di Sergio Marchionne e la Confindustria. Una crisi scoppiata per l’indisponibilità del grande manager a trattare un rinnovo contrattuale con la Fiom di Maurizio Landini. Riecheggia quella crisi, la revoca del mandato negoziale all’Abi sul rinnovo del contratto dei bancari da parte di Intesa Sanpaolo, che “cuba” sul totale del mercato creditizio rappresentato dall’Associazione bancaria più di quanto al Fiat incidesse su Confindustria. Ce n’è abbastanza per interrogarsi sulla crisi della rappresentanza imprenditoriale che questi eventiclamorosi nel loro genere - evidenziano.
Nel frattempo, però, qualcosa sta cambiando nel panorama della rappresentanza. Noi di Economy l’abbiamo raccontata a tappe, nel suo sviluparsi: ed è quella che ormai più d’uno definisce “formula Alis”, riferendosi all’Associazione logistica dell’intermodalità sostenibile. Un’associazione promossa sei anni fa dal Gruppo Grimaldi (che è tra i soci di questa casa editrice, ed è anche grazie a questo che abbiamo pouto conoscere Alis meglio e prima) oggi arrivata a 2.200 tra aziende ed enti associati, con oltre 241.000 risorse umane e 74 miliardi di fatturato.
È la prima associazione “di cluster” che rappresenta davanti alle istituzioni tutte le filiere di un mondo che cuba il 9% del Pil italiano. Alis è un’associazione di rappresentanza (per ora non contrattuale) e di networking. Evidentemente è questa la formula per ottenere di più dalla politica e dalle istituzioni. Il mercato non sbaglia! ( s.l.)