Pomezia Notizie 2021_12

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ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e successive modifiche) - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. - Il mensile è disponibile su: http://issuu.com/domenicoww/docs/

Anno 29 (Nuova Serie) – n. 12

- Dicembre 2021 -

N° 12 della Serie online

Stimola la voglia di conoscere e di approfondire la bella antologia:

WILMA MINOTTI CERINI LA VITA E LE POESIE DI

PETER RUSSELL di Domenico Defelice ECENSIRE un’opera del genere - che solo per leggerla, e dato il poco tempo a nostra disposizione, abbiamo impiegato più di un mese - non è impresa semplice; si tratta di riassumere la vita di un grande poeta e le sue opere in una paginetta, ma anche di vagliare una gran quantità di giudizi, perché Wilma Minotti Cerini ha cercato di raccogliere quanto più materiale possibile per degnamente ricordare l’amico. Intanto, è da evidenziare la sua modestia. Lei, infatti, vi interviene solo brevemente con una introduzione, qualche poesia dedicatoria, qualche traduzione e un breve “saggio conclusionale”, che conclusivo non è - afferma -, perché “Arrivando alla conclusione di questo grande viaggio attraverso la mente di Peter Russell si ha l’impressione di non essere →

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All’interno: Energy Medicine Summit, di Lia Giudici, pag. 5 Imperia Tognacci e Vincenzo Rossi, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 9 Livio Cerini di Castegnate e Il re mangia solo, di Wilma Minotti Cerini, pag. 11 Imperia Tognacci ricorda Vincenzo Rossi, di Tito Cauchi, pag. 15 Mario Rapisardi, di Leonardo Selvaggi, pag. 18 Per dire Addio, di Anna Vincitorio, pag. 23 Notizie, pag. 33 Libri ricevuti, pag. 36 Tra le riviste, pag. 39

RECENSIONI di/per: Marina Caracciolo (Enzo Andreoli e la Shock Art, di Manuela Mazzola, pag. 24); Tito Cauchi (Redenzione, di Isabella Michela Affinito, pag. 24); Tito Cauchi (Un titolo qualunque, di Carlo Trimarchi, pag. 25); Domenico Defelice (Volli, e volli sempre… La speculazione estetica nella poesia di Vincenzo Rossi, di Imperia Tognacci, pag. 26); Domenico Defelice (Un titolo qualunque, di Carlo Trimarchi, pag. 27); Manuela Mazzola (A mancare è il tuo canto, di Giannicola Ceccarossi, pag. 28); Manuela Mazzola (Extrema ratio, di Maria Teresa Infante, pag. 28); Manuela Mazzola (Invisibili fili, a cura di Vanna Corvese, pag. 29); Manuela Mazzola (Boccadasse, di Paolo Alberto Valenti, pag. 30).

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Corrado Calabrò, Domenico Defelice, Salvatore D’Ambrosio, Elisabetta Di Iaconi, Wilma Minotti Cerini, Zhang Zhuoyue completamente giunti ad un traguardo, ma solo in parte sfiorato. (…) Il presente lavoro di compendio è stato il più possibile meticoloso, non avendo lasciato nulla al caso, e questo ha superato la fatica con l’entusiasmante riscoperta di questo uomo così speciale”. Ancora da rilevare è la sapiente distribuzione del materiale, con l’alternanza di prosa, versi e giudizi, per non appesantire e rendere sempre varia la scoperta; sicché, dalla prima all’ultima pagina rimane assolutamente intatta nel lettore la voglia di conoscere. Tra le pagine critiche - alcune delle quali sono apparse anche sul nostro mensile Pomezia-Notizie - son da ricordare quelle di William Cookson, Alex Falzon, W. S. Milne,

Thomas Fleming, Thomas Perkins, Glyn Pursglove, Kathleen Raine, William Oxley, Hogg e Holger Kleim, Alex Cadogan, Dinah Manisty; e poi: Leonello Rabatti, Giuseppina Amodei Furferi, Elena Amodei, Franca Alaimo, Elio Andriuoli, Brandisio Andolfi, Marco Baldini, Ferdinando Banchini, Raffaello Bisso, Lucia Bucciarelli, Giuseppe


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Conte, Mauro Decastelli, Ciro De Maria, Sofia Agliano, Francesco De Napoli, Vittoriano Esposito, Alex R. Falzon, Antonella La Monica, Giorgio Linguaglossa, Annunziata Lisa, Franco Loi, Anthony Johnson, Maurizio Maggioni, Roberto Marchi, Lorenzo Morandotti, Walter Nesti, Emanuele Occelli, Federico Paolini, Gaetano Porcari, Laura Puccioni, Antonio Risi, Maria Saracino, Enrica Salvaneschi, Claudio Santori, Enzo Salsetta, Gerardo Vacana, Roberto Zichitella eccetera. Tra le opere di Peter Russell più approfondite - alcune delle quali sono per intero riportate -: Teorie e altre liriche, Sonetti sparsi, Le poesie di Manuela, Poetic Asides I e II, Africa. Un sogno, Elegie di Quintilius, Paesaggi leggendari, Lunghi poemi, Alba meditatio, Il mio cuore selvaggio, La catena d’oro, Poesie dal Valdarno, Effetti di luce, La sorgente prosciugata, Autumn to autumn, Long Evening Shadows, Living death/Vivere la morte eccetera e vengono lumeggiate le due importanti riviste che Peter Russell ha fondato e diretto: Nine e Marginalia, quest’ultima a numeri alternati inglese-italiano.

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Sono antologizzati anche alcuni saggi di Peter Russell e alcune interviste da lui rilasciate, da cui si può ricavare il suo pensiero su molti temi da sempre assai dibattuti. Della massima importanza troviamo i saggi su Dante e l’Islam, sul Moby Dick di Melville, sull’amore, sulla poesia e tant’altro. Ecco una sua osservazione circa la fede oggi: “Se oggi molte persone non sono coscienti dell’anima e dello spirito, è perché tali facoltà si sono temporaneamente atrofizzate in loro, a causa della accettazione completamente passiva delle apparenze superficiali e delle false “teorie” o punti di vista del mondo e della vita”; “È Dio che fa funzionare tutto, Lui può cambiare direzione quando vuole. Si possono anticipare certe cose in un campo limitato; per esempio, l’avanzo della tecnologia è affascinante, non sono contro queste cose. C’è molto da dire in favore della tecnologia e anche molto contro. Temporaneamente io direi che l’orizzonte è molto oscuro perché per ancor venti/trent’anni, saremo oscurati e delusi o illusi dalla visione utopica tecnologica. Ma io credo che ancora due generazioni e poi, necessariamente, un nuovo profeta deve arrivare, sia con, sia senza la volontà di Dio, e la gente deve ribellarsi contro la visione così negativa della vita”. Sulla poesia e la sua interpretazione, sulla eterna questione che essa non abbia mai dato da vivere: “Molti dicono: “La tua poesia, sì, mi piace, è bella, ma cosa significa!” Il problema del significato della poesia è troppo complesso (…). Vorrei solo dire che il vero significato sta nell’impatto totale, anziché in questo o quel lemma. La poesia tratta dell’universale, del tutto raccolto in uno, non del singolo tema isolato, e neanche di una catena di ragionamenti logici”; “Se svelassi la natura e le coordinate geografiche (…), non sarei niente di più di un bravo filologo. Priverei il lettore della gioia dell’interpretazione”; “Il problema della poesia è che non fa diventare ricchi. Purtroppo la poesia non è mai compensata. Io lavoro diciotto ore al giorno per scrivere poesie, prose, traduzioni. Anche mio figlio mi aiuta, ma è sempre una gran fatica”. Sulla


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politica: “…L’omonimo libro del Douglas, del 1918, ci dà la chiave per comprendere le idee economiche di Pound, che erano “democratiche” in un senso molto diverso da quello della “democrazia” fasulla e demagogica dei partiti sia della sinistra che della destra. (…) Tutte queste sciocchezze mi alienarono dalla Sinistra, ma non per questo mi sono mai sentito attratto in un qualche ambiente di destra”. Sull’amicizia: “Fra amici non c’è da discutere sull’amicizia. Ci si incontra, si parla o si tace. C’è comunque comunicazione. Sulla sua scelta di vivere nel nostro Paese: “In Italia ho sempre sentito di poter seguire più o meno la mia strada. Qualsiasi cosa qui la gente dica della classe politica e della cosiddetta “questione morale” e della corruzione, io sono stato lasciato in pace dai miei vicini e dalle autorità locali. Qualsiasi cosa l’Italia possa essere nella sua essenza, è comunque un paese civile almeno in superficie, e questo mi ha reso la vita possibile. Diversamente, in Jugoslavia la polizia e anche la gente comune non mi ha mai lasciato in pace e sono stato sottoposto ai severi interrogativi dalla polizia segreta di Tito per i motivi più banali”. Sulla parola: “Per me è la parola che conta perché la parola da sola può dire tutto”. Sull’apertura mentale, il non rinchiudersi entro la torre eburnea, come orgogliosi e vacui fanno i più: “Io ho sempre avuto l’abitudine, quando leggo qualcosa che ritengo importante, di scrivere all’autore perché gli autori, anche quelli famosi, hanno bisogno di solidarietà e di incoraggiamento”. Ma Peter Russell è principalmente un grande poeta ed è la poesia, giustamente, che domina in questa gran bella antologia curata da Wilma Minotti Cerini. I brani sono così copiosi che, chiunque ne abbia voglia, potrà farsi di Lui un’idea abbastanza concreta. Noi abbiamo riscoperto molte opere che già ci avevano entusiasmato e delle quali, a suo tempo, abbiamo scritto, in Poeti e Scrittori d’oltre frontiera, per esempio, in The Road to Parnassus: Homage to Peter Russell on his Seventy-Fifth Birthday, nonché sulle pagine

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di Pomezia-Notizie. Opere come Teorie e altre liriche, La Catena d’oro, Poesie dal Valdarno - tanto per citare -, continuano ad affascinarci e a svelarci aspetti sempre nuovi, armonie, la vasta cultura che ha sempre fermentato i versi di questo eccezionale autore. Manuela, congedandosi, dice al Poeta Addio per sempre, perché, altrimenti – dice -, “Ti darei tutto quel che il tuo cuore desidera/Ma ti renderebbe soltanto infelice” A noi è sempre piaciuto pensare che Manuela non l’abbia mai abbandonato, che a Lui sia ritornata e che con Lui sia rimasta, perché Lei non è altro che la Poesia, come adombravamo in questi nostri versi in Le parole a comprendere: A PETER RUSSELL I tuoi capelli, vecchio, imbiancati dal tempo, li ha inzuppati la pioggia degli anni; ghiacciuoli tintinnano appesi alla tua barba dove Goya ha spennellato un po’ di giallo vitreo - uno sberleffo lungo l’ellisse della bocca. È il mulino una dissolvenza nel velame ondeggiante che sale dalla terra. Scuotiti, vecchio fauno. Un bel raggio del sole mattutino varca già la collina e sussulta la gola della cincia. Ascolta, vecchio, ascolta: Manuela è tornata, sta bussando alla porta e ti sorride. Pomezia, 11 novembre 2021 Domenico Defelice WILMA MINOTTI CERINI (a cura di): PETER RUSSELL VITA E POESIA, Edizioni Il Foglio, 2021 – Pagg. 872, € 30,00


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ENERGY MEDICINE SUMMIT di Lia Giudici

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’”Energy Medicine Summit” è stato organizzato dal “Shift Network” e trasmesso on line dal primo al cinque Novembre; ha raccolto più di 30 professionisti, molti dei quali statunitensi, operanti nell’ambito della salute, intesa soprattutto come prevenzione, ma anche come cura. L’orario d’inizio per l’Italia era alle 17, l’ultima relazione veniva trasmessa alle 23. Ogni professionista iniziava la relazione raccontando la sua esperienza personale, quale percorso lo avesse portato ad abbracciare quella professione e aveva a disposizione un’ora per spiegare la sua attività. Mediamente i loro interventi duravano circa 40/45 minuti. Le proposte dei vari partecipanti sono state molto diversificate, tecniche varie anche dimostrate; in innumerevoli casi è stato fatto ricorso a una strumentazione sofisticatissima di cui ai giorni nostri si avvale la scienza e che molto spesso conferma conoscenze derivanti da antiche tradizioni. Impressionante per me è stato assistere all’intervento di Rasmus Gaupp Berghausen,

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nato nel 1975 in Austria, ingegnere in architettura ambientale e organizzazione in scienza agraria, ambiti abbracciati anche per sfuggire all’imposizione “musicale” da parte della famiglia, che dopo la laurea si è dedicato alla ricerca sulle frequenze dell’acqua e poi sulla HRV (Heart Rate Variability), la variabilità della frequenza cardiaca, che è entrata nel radar della scienza occidentale negli anni ‘70, ma già oggetto di studio della Medicina Tradizionale Cinese fin dal 200 d.C: “Il cuore è in salute quando l’intervallo tra un battito e l’altro è irregolare”. Grazie a una tecnologia strabiliante, quasi da ascrivere alla fantascienza, durante il suo intervento ha collegato la figlia adolescente a un computer e attraverso algoritmi le vibrazioni della variabilità della sua frequenza cardiaca sono state tradotte in frequenze di suoni udibili e di luce colorata visibili. Mi sembrava di assistere a un concerto e vedere le luci che coloravano l’orchestra. Quasi da non crederci! Questa nuova tecnologia ha trovato una concreta realizzazione nel 2009 grazie alla fondazione dell’azienda Aquaquinta e nel 2011 è stata lanciata sul mercato internazionale con il nome “Sound of Soul”, suono dell’anima. Un’incredibile connessione tra scienza, salute e tradizione spirituale. Gli inviti sempre più frequenti da parte di Istituzioni che operano nel campo della guarigione/prevenzione, ma anche di singoli medici, operatori olistici, etc indicano una certa curiosità in approcci diversi da quello corrente, soprattutto quando esso non riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati. La conclusione del suo


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intervento è stata emozionante: lo scopo ultimo di tutto questo lavoro non è solo la salute del singolo, ma quella collettiva, un contributo a rendere il mondo un posto migliore, composto per quanto più possibile da individui sani, equilibrati ed equanimi. Questa “mission”, mi si conceda l’anglicismo, è anche quella dell’Istituto Californiano “Heartmath”. Tra i numerosi partecipanti al Convegno era infatti presente anche Rollin McCraty, suo vice presidente e direttore della ricerca, collaboratore dell’Istituto dalla sua fondazione nel 1991 realizzata da Doc Childre. Di professione psicofisiologo e professore alla “Florid Atlantic University”, porta avanti i suoi studi in collaborazione con molti colleghi scienziati, focalizzandosi sui meccanismi con i quali le emozioni influenzano i processi cognitivi, il comportamento e la salute. Il suo intervento in questo Convegno aveva un titolo altisonante: “How love connects us: the Science of Global Coherence and Interconnectivity” (Come l’amore ci unisce: la scienza delle Coerenza Globale e Interconnettività). Uno scienziato che raccontava l’amore basando le sue affermazioni su risultati evidenziati da esperimenti scientifici sempre più aggiornati, grazie ai quali è stato verificato che il cuore ha un suo proprio sistema nervoso con un campo elettromagnetico ampissimo, molto più grande di quello del cervello. Ed ecco che è il cuore ad inviare più informazioni al cervello e non il contrario, anche “fisicamente” è il cuore il “padrone” della scena...quanta arte, tradizioni antichissime, confermate nelle loro intuizioni con il contributo della scienza! Il cuore è coerente quando è sincronizzato con il cervello e anche con l’ambiente circostante e sentimenti positivi come gratitudine, compassione, amore aiutano in questo senso, mentre emozioni negative come odio, rancore, frustrazione, rabbia ci conducono nella direzione opposta. Per aiutare a raggiungere questo stato di coerenza del cuore l’Istituto offre pratiche meditative e anche dispositivi tecnologici (questi ultimi da me non ancora sperimentati). È stato affascinante

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scoprire questa realtà di cui sono diventata socia e da cui ogni tanto ricevo documenti estremamente interessanti (l’ultimo “La Scienza del Cuore”), anche rincuorante sapere che pure in Italia qualche professionista nel campo della salute segue questi principi. Tra essi la Dott.ssa Erica Francesca Poli, medico psichiatra, psicoterapeuta, counselor, invitata spessissimo in realtà di cura, anche ospedaliere, quando le terapie tradizionali non danno risultati perché ferite psichiche profonde, magari assolutamente sepolte nei meandri della memoria, impediscono l’avvio verso una completa guarigione. È molto commovente leggere le sue pubblicazioni o ascoltare le sue conferenze che accanto a dimostrazioni scientifiche riportano le sue esperienze dal vivo, con pazienti che a lei si rivolgono per un aiuto, per uscire a volte da situazioni definite senza speranza. Il libro che ho letto ultimamente è “Anatomia della Coscienza Quantica - La Fisica dell’Autoguarigione” dove la Dott.ssa Poli si avvale oltre che del proprio studio e ricerca, anche dell’apporto di innumerevoli colleghi, scienziati che hanno osato intraprendere percorsi alternativi, curiosi nel procedere, aperti a soluzioni che chiaramente sono poi da verificare, senza però preclusioni di sorta. Scienziati che hanno visto coronare con il successo il loro coraggio perché i risultati si sono presto o tardi evidenziati. Mentre procedevo nella lettura, molto ponderata per i concetti lì espressi, un po’ lontani dal mio percorso umanistico, un nome tra gli innumerevoli menzionati ha interrotto questo mio procedere: Massimo Bizzarri, il medico audito in Senato il 6 ottobre scorso prima che il “Green Pass” venisse definitivamente introdotto anche sui posti di lavoro, pubblico e privato. Non avevo avuto tempo di sentire il suo intervento e dopo una ricerca in rete per recuperarlo, avevo trovato la sua immagine sopra alla scritta “DISINFORMAZIONE” con la nota esplicativa dell’organizzazione “Open-FactChecking (OFC) che diceva “Una raccolta di fonti contro i vaccini, tamponi e Green Pass presentati al Senato che non trovano fonda-


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mento”. Un po’ per questo motivo, un po’ perché ero di fretta, avevo quindi lasciato perdere, fino a quando non ho ritrovato il suo nome nel libro della Dott.ssa Poli e la domanda emersa in me suonava più o meno così: “Ma come è possibile che una professionista del suo livello possa citare un buffone che si atteggia a uomo di scienza?”. Mi sembrava inverosimile e quindi ho avviato la ricerca e quanto sto per scrivere sono i risultati. Il Dott. Bizzarri nel suo intervento al Senato fa riferimento ad articoli, note, lettere apparsi in pubblicazioni/giornali autorevoli come il “New York Times”, “Washington Post”, “The Lancet”, “New England Journal of Medicine”, “Nature”, “British Medical Journal”, “European Journal of Epidemiology”, “Great Barrington Declaration”, toccando argomenti che sono di massima attualità, quali l’affidabilità dei tamponi, la tossicità della proteina Spike, l’immunità naturale versus quella fornita dal vaccino, etc. La OFC riprende i soprammenzionati documenti e demolisce in toto quasi tutte le affermazioni del Dott. Bizzarri; in verità quanto da lui espresso dal mio punto di vista avrebbe potuto far scaturire una accesissima discussione, premessa di metodo per qualsiasi ricerca scientifica e non ideologica; non è mio interesse comunque in questa sede prendere le parti di qualcuno dei due contendenti, anche perché questo richiederebbe da parte mia del tempo lunghissimo impiegato in uno studio molto approfondito dei documenti sui quali il Dott. Bizzarri basa le sue affermazioni, messe poi a confronto con quanto afferma la OFC, mi va però di condividere con i lettori un sussulto provocatomi dalla mia forma mentis logica rispetto alla interpretazione che la OFC fa della notizia “che in California tra marzo e luglio 2021 a seguito dell’abolizione dell’obbligo della mascherina al chiuso 227 OSS si sono infettati e di essi 130 erano completamente vaccinati”. La conclusione a cui arriva la OFC è la seguente, cito testualmente: “Questo documento è un esempio lampante di quanto possa essere utile il Green Pass, impedendo

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che vaccinati e non vaccinati si trovino assieme senza protezione in luoghi chiusi”. La lettura di queste righe mi ha fatta sobbalzare, perché chi sta argomentando dà per scontato che siano i non vaccinati a trasmettere l’infezione, quando invece anche il contrario è dato per plausibile. Se la conclusione fosse stata che nei luoghi chiusi indossare la mascherina sarebbe opportuno, la logica che mi guida non sarebbe stata disturbata. La OFC non esamina inoltre tre punti importanti toccati dalla relazione del Dott. Bizzarri, i primi due perché incontestabili, il terzo perché soggettivo, intimo. Solo per questi tre punti il Dott. Bizzarri non avrebbe meritato una bocciatura così sonora. Il primo punto riguarda la cura. All’inizio della tragedia ancora in corso medici sparsi per il nostro territorio nazionale hanno incominciato a curare con successo i contagiati. Associatisi in varie organizzazioni tipo “Ippocrate” hanno curato a casa e nessuno dei loro pazienti è deceduto; non è propaganda perché uno di questi medici fa parte del mio giro di amici, dai tempi dell’Università, e quindi ho avuto accesso diretto e personale a questa testimonianza. Quindi perché dare via libera a dei vaccini ancora in fase di sperimentazione, sulla base di qualcosa che in verità è falsa e cioè quella che non ci sono cure? Cosa sarebbe successo se, dopo i primi mesi di sbandamento, a questi medici fosse stato dato spazio, fossero stati ascoltati? La ruota del tempo non si può riportare indietro, quindi nessuno può rispondere a questa domanda, ma la mia netta sensazione è che si sia sprecata un’occasione d’oro, si sia lasciato cadere nel pozzo del discredito, della svalutazione aprioristica, della derisione, un diverso approccio alla salute. Il secondo punto riguarda il fatto che mancano studi sugli effetti a lungo termine dei vaccini; il terzo punto, soggettivo e intimo, emerso nell’intervento del Dott. Bizzarri, riguarda il nostro approccio alla vita e quindi all’altra faccia della medaglia che è la sua fine. il medico audito infatti è oncologo, abituato a dover essere testimone ogni giorno della dipartita di qualche


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paziente. Tutti noi esseri umani prima o poi dovremo affrontare il passaggio da questa dimensione a un’altra e lo temiamo; questa paura è più che comprensibile dato che l’ignoto può essere fonte di terrore. La pandemia ci ha mostrato che non siamo assolutamente preparati a questo evento ineluttabile e misure come l’isolamento e il distanziamento hanno fatto emergere ansie sepolte in noi e che la vita che conducevamo ci aiutava a tenere a bada, a rimuovere. Non appartengo assolutamente alla categoria di persone che sostiene che sarebbe andata meglio senza misure; il virus esiste, circola e può uccidere, ma questa evenienza solo secondo un approccio meccanicistico si verifica in modo automatico: “Se non mi vaccino, mi ammalo e muoio o uccido chi viene a contatto con me”. Che questa affermazione sia stata pronunciata dal nostro Presidente del Consiglio durante una conferenza stampa e non all’osteria tra amici, è stato gravissimo, perché alimenta paure recondite che non aiutano assolutamente a superare un periodo in cui ci viene richiesta tantissima resilienza. Che ruolo hanno in tutta questa tristissima vicenda il “terreno” di cui siamo fatti, il nostro sistema immunitario? Troppo poco è stata evidenziata questa funzione del nostro organismo, lasciata agli “stregoni”, come sono stati definiti i medici auditi in Parlamento da parte di uno dei personaggi pubblici sempre in prima linea, definizione direttamente riferitami dal medico amico menzionato sopra, invitato come relatore a un Convegno a Roma. L’aria che si respira continua a essere tossica, anche perché la situazione si è trasformata in una contrapposizione tra chi si è vaccinato, acquisendo il diritto al Green Pass, e chi a vaccinarsi non pensa, pronto a subire le restrizioni messe in atto. Quando riusciremo a uscire da tutto ciò? Quando l’irrazionalità smetterà di guidare le decisioni e si tornerà a ragionare secondo un metodo scientifico e non ideologico, puntando al vero benessere

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delle persone, operazione che dovrebbe essere slegata dal danaro. La nostra letteratura può venirci in aiuto in questa fase di smarrimento. Attualmente vivo nella cittadina dove Alessandro Manzoni ha collocato la storia dei “I Promessi Sposi” che alla fine, dopo essersi ammalati di peste, sono riusciti a coronare il loro sogno d’amore, convolando a nozze. Quindi i protagonisti di questo romanzo storico sono guariti in un periodo, il ‘600, quando non si aveva assoluta coscienza del ruolo importantissimo delle misure igieniche, del distanziamento, dei dispositivi, etc. Per quale motivo Alessandro Manzoni avrebbe fatto sopravvivere gli attori principali di questa vicenda? Era forse uno dei nostri maggiori scrittori un “romanticone” che voleva a tutti i costi concludere con “E vissero felici e contenti”? Non credo proprio. Il motivo principale è da ricercarsi nel ruolo che lui attribuisce alla Provvidenza, da uomo di fede credeva all’intervento divino, ma ritengo che senz’altro sapesse dell’esistenza di sopravvissuti, riportati negli annali di quel periodo, che di peste si erano ammalati ed erano guariti, sconfiggendo la malattia che aveva decimato l’intero continente. Il Coronavirus non è la peste e l’approccio pubblico, che sta condizionando la nostra vita privata, dovrebbe essere in linea con questa consapevolezza. Lia Giudici Già due anni, lunghi come secoli, come non mai, e non si intravede luce in fondo al tunnel. Pomezia-Notizie è per il vaccino anticovid e per il Green Pass, mezzi e strumenti che sembrano, allo stato attuale, i più efficaci per arginare la pandemia. Non è chiusa, però, al dibattito ed è per questo che si è deciso di dare particolare evidenza a questo intervento di Lia Giudici, nella speranza che si contribuisca a rasserenare gli animi e si ponga fine a contrapposizioni che stanno avvelenando la convivenza civile. Discutere, confrontarsi, sì, ma nel rispetto di tutti e senza minacciare o mettere in atto violenze. (n. d. d.)


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IMPERIA TOGNACCI Sulla estetica poetica e simbolica di Vincenzo Rossi di Salvatore D’Ambrosio ’ero anche io quel pomeriggio del 18 maggio 2014 a Cerro al Volturno, per l’intitolazione di una piazza del paese al poeta Vincenzo Rossi a pochi mesi dalla morte. E c’ero con piacere e nello stesso tempo dispiacere, per aver conosciuto il poeta Rossi solo in quella, seppure, piacevole serata. L’amministrazione comunale di Cerro al Volturno e tutto il Molise, voleva con questo gesto ricordare uno dei suoi figli più illustri e più tenacemente legati a quel territorio che nel 1924 gli diede i natali. Eravamo un paio di amici poeti casertani che l’amico Antonio Crecchia, relatore in quella occasione sul percorso formativo e di vita di Vincenzo Rossi poeta, aveva voluto invitare per l’occasione. La poetica del Rossi ci era nota e ci aveva sempre interessato per le tematiche forte-

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mente legate a realtà dell’universo che, sembra strano, pare non siano tanto più di moda. Si, in questi ultimi tempi ho letto anche cose scurrili, che pare debbano essere considerate poesia. Mi fermo per ora, in quanto si vuole parlare di altro. E l’altro di cui voglio interessarmi è il lavoro fine e profondo che ha fatto Imperia Tognacci, intorno alla scrittura poetica di Vincenzo Rossi. La Tognacci, nelle prime pagine del Capitolo I, dice che non ha mai conosciuto personalmente il Rossi, ma che questa mancanza non le ha impedito di conoscere in profondità l’interiorità e la vera essenza dell’uomo Rossi. Uomo che indissolubilmente si è legato alla Terra. E non mi riferisco solo a quella del dolce Molise della sua origine. La definisco “dolce” quella terra perché sono oltre quaranta anni che la frequento e posso dire che fortunatamente è rimasto ancora un posto che resiste. Un posto “dell’anima”, per dirla come si usa oggi. Rossi impara ad amare l’universo sublimando l’amore per il suo Molise. Nelle sue sillogi, ci dice la Tognacci, non esiste un filo conduttore, ma una unità tematica anche se divisa in parti. Le quali sono in simbiosi tra loro. L’uomo è immerso nel grande mistero dell’universo: non si può non amare un cane, un albero, la maestosità di una montagna o l’umiltà di una collina, disgiungendole tra loro. Chi ama l’uno, ama anche l’altro. Mia madre maestra nel cucinare, diceva che le cose le venivano bene perché le faceva con amore. Noi ragazzi ci ridevamo nel pensare di dovere amare una zucchina o una melanzana. Ma lei insisteva, facendoci capire che i frutti della natura ci sono stati dati per un grande atto d’amore, per cui era logico che noi li amassimo. Un alto concetto di simbiosi uomo-natura che, se tenuto nella giusta considerazione dagli uomini, porterebbe a vivere tutti in pace. Concetto che sottolinea anche la Tognacci


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nel capitolo IV, quando il Rossi si interroga sull’esistenza di Dio e sulla fine della vita. Il lavoro della Tognacci si suddivide in sette capitoli, ognuno dei quali è come una piccola tessera di un puzzle che vuole rappresentare la poesia e la figura umana di Vincenzo Rossi. La saggista conosce l’autenticità, l’impegno culturale, e possiamo anche dire la grande volontà di un giovane che non si rassegna a fare della sua vita un eterno guardiano di pecore, ma a cercare di ribaltare tutto passando dal lato della cultura, senza però dimenticare il legame forte, anzi fortissimo, che lo tiene radicato alla sua origine, alla sua terra, alle sue pecore, ai suoi alberi, alle sue montagne. Tutti doni della natura che gli parlano e che lui religiosamente ascolta. Il suo è un ascolto profondo, non di superficie. È un ascolto che, come dice la Tognacci, è necessario per liberarsi dalle scorie del materialismo. È nella gioventù che si radicano in noi concetti, filosofie di vita, sensi di libertà, di lettura autentica della vita, non mediati da false o improbabili quotidianità. Rossi già nasce in certe responsabilità. Infatti, fino a quando non partirà per soldato, bada al gregge della sua famiglia. Condizione che non lo umilia, ma lo mette in contatto con quella vita reale dalla quale non riuscirà, anzi non vorrà, più disgiungersi. Osserva il D’Episcopo, a tale proposito nella postfazione, che la sua vicenda esistenziale è tutta concentrata nel trovare convergenze, corrispondenze con il mondo, con l’universo, in una simbiosi bioetica. Osserva la Tognacci che il fanciullino Vincenzo, qui pensato pascolianamente, intriso di silenzi e di suoni della natura, non dimenticherà mai i doni che essa gli ha dato e che connoteranno per questo l’estetica e il simbolismo dei suoi versi e dei suoi scritti. L’altro aspetto, che la Tognacci rintraccia nei suoi versi, è la grande tendenza solidamente radicata in lui del rispetto degli animali, della terra, delle acque. Che diventano cose da rispettare al pari di un essere umano.

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Sono cose reali di un Creatore, che non ci vuole soli e infelici su questa terra. La conoscenza della vasta opera del Rossi da parte della Tognacci, la porta quindi a riconoscervi aspetti filosofici legati all’uomo, al cosmo, all’etica. Che è fortissima in lui. Ci dice la saggista, nel suo volumetto, che se nell’opera del Nostro si riscontrano, a livello letterario, una grande ricerca estetica, simbolica, escatologica, cosmologica, esse non sono fini a se stesse, ma servono a essere assimilate per rendere la presenza sulla terra dell’uomo Rossi e di tutti gli altri viventi, coerentemente in simbiosi con l’universo. Anche la morte e il morire rappresentano per lui, una realizzazione di progetti eterni. Mette ancora in evidenza la Tognacci, il pionieristico lamento dell’uomo poeta di fronte al progresso, che non è un male, ma che lo diventa se sopravanza le autentiche esigenze umane. Non manca e non potrebbe essere altrimenti, la voce del poeta che cerca il più esaltante dei sentimenti: l’amore per la donna. Ma anche nel versificare sul mondo femminile, il poeta trova affinità e somiglianze con la terra. La fertilità della donna e quella della terra hanno lo stesso valore di perpetuare nel tempo frutti, cui un Dio ha destinato in un continuo rapporto. Quindi uomo, natura, Dio. Ma va anche un poco oltre il poeta, dice la Tognacci. La creatività poetica è sublimata dalla passionalità, dall’attrazione, dal mistero del femminile. Dal piacere sotto ogni aspetto, che la sua visione e presenza sulla terra riesce a infondere. Il volume non è ovviamente esaustivo, anche per la copiosa produzione del Rossi. Ma è una traccia importante e anche un modo per rivalutare un letterato che, come tanti altri, anche se di notevole spessore, sovente non trovano quella giusta e meritata collocazione. Salvatore D’Ambrosio Imperia Tognacci, Volli, e volli sempre …, La speculazione estetica e simbolica nella poesia di Vincenzo Rossi - Genesi editricesettembre 2021- pagg. 81 € 15,00


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Un lavoro inedito, meritevole di venire stampato e del quale ne diamo la Sinossi

LIVIO CERINI DI CASTEGNATE IL RE MANGIA SOLO ED ALTRI RACCONTI a cura di Wilma Minotti Cerini

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IVIO Cerini di Castegnate, scrittore noto di libri editi con importanti case editrici (Mondadori-Fabbri-Longanesi-Salani.-Idea libri-Rusconi-FMR). Collezionista di antichi libri di cucina, di menu, di rari libri antichi di vario genere italiani e stranieri, di storia, di soggetto galante, di personaggi storici e particolari. Tutto questo ha concorso nel fare da background al suo enorme desiderio di conoscenza in ogni scibile mantenendo in sé stesso quella speciale umoristica ironia che gli eventi storici e curiosi offrono spunto a chi ha la capacità di recepirli di trasferirli nei suoi racconti. Ha lasciato questa raccolta di racconti inedita. Di

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lui si è occupata la Rai TV con riprese televisive, le maggiori testate giornalistiche, è stato collaboratore con articoli per la rivista i Grand Gourmet; ha ricevuto riconoscimenti e tra questi l’attestato Winner, che nel 2002, ha scelto come miglior libro vegetariano per l’Italia il suo libro “Il Gourmet vegetariano per carnivori” Una Sinossi che introduce in senso ironico ma altamente preciso avvenimenti dei passati secoli, capitoli che hanno in sé la leggerezza della lettura e della storia documentata Chi ha usato per primo la parola fisiologia in un libro di cucina? Chi era Jeane Anthelme Brillat Savarin? Chi tra il 1800 e inizi del 1900 ha scritto la Fisiologia del piacere? Perché per il Re Luigi XIV detto il Re Sole si dice: il re mangia solo? Oppure era il solo a mangiare alla sua tavola come segno della sua potenza, mentre gentiluomini di corte si sentivano onorati in cerchio ad una certa distanza nel guardare Lui, il Re, mentre mangiava! Interessante venire a conoscere il susseguirsi delle varie portate che via via venivano servite da valenti valletti di corte. Il Re poteva decidere di avere un ospite alla sua tavola? Si, Come vediamo in questo dipinto, l’ospite gradito è Molière. Conoscere dove si


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apparecchiava è una aggiunta di conoscenza, poiché allora non vi era una sala da pranzo, ma la tavola veniva apparecchiata in qualsiasi sala, secondo i gusti del Re. Cos’era Palais Royal all’inizio del’800? Quale la sua origine, le trasformazioni, che ruolo aveva avuto in questo il cardinale Richelieu? E che rapporto aveva avuto la madre del futuro sovrano re Sole con il cardinale Mazzarino? Le risposte sono tutte nel capitolo. Come si trasforma nel tempo? Che dicono i fratelli Goncourt: sulle bellissime giovani donne dai nomi floreali che frequentavano un luogo divenuto Café e dove la bella Limonière fa girare la testa a molti e darà motivo di parlare a Restif de la Bretonne l’incomparabile libertino! Nel secondo capitolo i misteri canonici svelati- ossia- il piacere di aggirare i divieti Si parla di Quaresima come ben descrive Paolo Zacchia, medico romano nel suo “Il Vitto quaresimale” nel 1637 dove ci insegna come e cosa mangiare. Ma se ad una principessa di sangue reale come Vittoria, figlia del Re di Francia Luigi XV, le viene voglia di mangiare i teneri petti di un’anatra selvatica la più piccina, ovvero la sarcelle, di venerdì, giorno di digiuno di carne, che si fa? È possibile aggirare il divieto parlando con il vescovo presente dal suo grande padre, chiedendo a lui se la sarcelle fosse cibo di grasso o magro. Il vescovo sorridendo con gesti ieratici e benedicenti chiede che gli venisse portato un piatto d’argento freddissimo sul quale ponendo l’uccello acquatico decreta che se il sugo che colava si fosse rappreso in un quarto d’ora sarebbe stato alimento grasso, se fosse rimasto oleoso sarebbe stato di magro. e poiché dopo un quarto d’ora di pena il sugo non si era rappreso significava che era di magro, con gioia immensa della golosa principessina Vittoria dopo aver baciato l’anello del vescovo di corsa andrà verso le cucine con l’uccello in mano. Perché nel terzo girone ci sono i golosi? Peccati di gola? Grandine grossa e acqua tinta a neve Per l’aer tenebroso si riserva

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Pute la terra che questo riceve Urlar li fa la pioggia come cani (Inferno canto V) Visione inquietante che toglie il sonno a tutti coloro che si sono rivolti in modo preminente ai piaceri della tavola per trovare qualche consolazione in questa valle di lacrime. Sembra addirittura incredibile che, aver avuto eccessivi rapporti con la polenta e il baccalà o l’aver indulto con sé stessi davanti ad una “cassoeula” sapida e fumante ricca di cavoli croccanti e costine, possa indurci ad ululare come cani sotto la grandine. La gola è uno dei sette peccati capitali, non c’è scampo. E non scampa dall’inferno nessun golosone di ostriche, lumache, salmone, tagliatelle e tartufi, risoni con luganeghe e nessun appassionato ed assiduo consumatore di bignè, meringhe, cannoncini, frollini, bavaresi, sacrapantine… africani, babà, ventaglietti di pasta sfoglia, cioccolatini e bon-bons. etc etc. Ovvio: se il mangiare fosse operazione disgustosa, gli uomini si lascerebbero morire di fame allo stesso modo che, se l’amore non fosse un bel divertimento, tutte le razze si sarebbero estinte da un pezzo Etc. etc. E saltando qua e là tra i capitoli Flaubert – Le Tentazioni di Sant’Antonio -una delusione Ci piace pensare a “l’ultima arrivata”: “la forchetta” che ha a che fare con Carlo IX re di Francia? Quale storia ci sta dietro? In fondo allora in Francia tutti mangiavano con le dita, si usava solo cucchiaio e coltello, ma era d’obbligo lavarsi in continuazione le dita con acqua di rose che prontamente il valletto porgeva. Dove è nata la forchetta! Nel racconto è ampiamente descritto il luogo il fortuito passaggio da Venezia nel suo viaggio di ritorno verso Parigi etc. etc…. Chi non beve con me peste lo colga così disse Neri Chiaramontesi, che presto sarà preda di una funesta ebrietà che lo porterà alla disperazione e alla follia… Sem Benelli si ispirò per l’ambiente, all’epoca e al personaggio, ad Anton Francesco Grazzini detto il


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Lasca, vissuto nel 1500, Autore delle “Cene”. Il gustoso racconto prosegue etc. etc. La pazzia di Erasmo neri conviti e la stoltezza dei conviti La dicono lunga le critiche varie e gli scritti di Erasmo da Rotterdam con il suo “L’elogio della pazzia,” scritto nel suo lungo viaggio (o meglio la fuga) da Roma verso Londra dove l’attendeva l’amico Tommaso Moro, che, per le sue esplicite opinioni, Enrico VIII, cuore d’oro, lo avrebbe poi fatto decapitare, poiché i Re in genere non amano essere redarguiti o contraddetti. Erasmo dedica la sua opera proprio a Tommaso Moro. Erasmo, con i suoi dotti (oltre cento opere) scritti, diede un grande scossone alla chiesa di Roma, coinvolgendo amici e nemici nella lotta tra la scolastica medievale in disfacimento e il trionfante umanesimo. etc. -Saltando diversi capitoli come: Anfitrione Leggende -immagini e realtàPitagora e le fave. Il vitto pitagorico e altre notizie Ci ritroviamo nel magico capitolo: “Pinocchio la patafisica e il cibo”. Innanzi tutto cos’è la Patafisica! La patafisica non si può sapere, si assorbe, si assimila e si sublima nell’interiore per manifestarsi poi in atti inverosimili. C’è una sola spiegazione in materia: La Patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie, e basta! Che la Patafisica esistesse un miliardesimo di secondo prima del grande “bang” generatore del cosmo; che divenisse poi immanente sopra le facoltà inconsce dell’uomo ai suoi primi vagiti incoerenti, per arrivare infine ad essere una entità antitetica di quelle scienze che taluni pretendono essere esatte…Collodi non lo sapeva. Pinocchio lui si, sapeva di essere una parte infinitesimale di quanto era uscito dall’uovo cosmico dopo il “bang” e di essere finito per ragioni incredibili ed imperscrutabili in un pezzo di legno, piovuto poi, per arbitrio assoluto dell’improbabile, in terra di Toscana etc. etc. “Pinocchio ha sempre fame” ma non mangia

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quasi mai. Se capita, è in virtù di un intervento straordinario della volontà affettiva di un terzo attore: Geppetto con le pere, e la Fatina con pane cavolo fiore ed il confetto al rosolio. Ha sempre più fame ma dall’uovo trovato in una spazzatura e che vorrebbe friggere in acqua esce un pulcino, che dopo aver educatamente salutato se ne vola via dalla finestra. Di avventura in avventura visitando vari paesi: reduce di Acchiappa grulli, dei Balocchi torna verso la casa della fatina senza trovarla, per nove ore aspetta la serva lumaca che dovrebbe soccorrerlo. Ha fame e chiede di mangiare quando dopo ore torna porge su un vassoio d’argento una cena che supera l’immaginazione: pane di gesso, pollo di cartone, albicocche di alabastro, uno scherzo della Fatina! Pinocchio ha fame ma rischia piuttosto di essere mangiato che mangiare. Pinocchio reduce dalla brutta avventura dell’impiccagione è tuttavia un credulone e nell’attesa di veder crescere la pianta dei mille zecchini d’oro, il Gatto si mangia trentacinque triglie con salsa di pomodoro, e quattro porzioni di trippa alla parmigiana, la Volpe: una lepre in dolce-forte con contorni di pollastre grasse e di primo canto poi, per tornagusto, un cibreino di pernici e starne, di conigli, di ranocchie, di lucertole e d’uva passa, mentre Pinocchio lascia sul piatto uno spicchio di noce ed un cantuccio di pane. Non è neppure il caso di sottolineare le differenze tra un patafisico e due scrocconi borghesi. Tra altre avventure e trasformazioni, da ciuchino viene mangiato dai pesci che liberano la sua struttura ma viene pescato e rischia di essere infarinato e mangiato fritto etc. etc. Dopo l’avventura della Balena dove ritrova il padre Geppetto e lo salva con amorevole trasporto a dorso di un delfino, in seguito si prende cura di babbo Geppetto diventando lavoratore, il premio è il diventare un ragazzino vero; ma con questa trasformazione muore definitivamente la patafisica che era in lui per tornare alle sue origini, alle alte sfere dell’incredibile e dell’inimmaginabile


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tra le braccia della grande madre: la patafisica Lettera del Segretario Pier Francesco Bernacchi della Fondazione Carlo Collodi a Livio Cerini di Castegnate di complimenti per questo articolo, ora negli archivi della Collodi. Seguono altri 22 capitoli interessanti curiosi, non conosciuti: Come una coppa di Champagne Curiosità della patata – Da Bonvesin de la Riva a Rajberti: tutto da rifareUn piacere meccanicoIl piacere dell’amaroIl Cantico dei cantici e Les fleurs du mal- due modi di pensare al vino. Saggio di gastrofilia. – Salle à manger – Déjeuner sur l’Herbe o pic nic Aceto simbolo e storia – Esotismo culinario (festival degli equivoci) La cucina cinese – Facies culinarieAntropofagia simbolica e letterariaMinestrone, risotto, polenta e… compagnia bella! Le vie en rose-cucina afrodisiaca-storieLa vie en rose – riflessioni CioccolataFacciamo una vera cioccolata in tazza bollente Altri utili consigli Bevande Wilma Minoti Cerini

PRESENZE Nella mia casa avvolta dal silenzio sbocciano come fiori idee e pensieri frutto della mente, o della fantasia. Fasciata da presenze profumate, continuo il mio percorso, tenendo stretto un filo di speranza. Elisabetta Di Iaconi Roma

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NEPPURE UNA PALLINA DA CACCIA Perché lamentarti? Morire? Perire? <<La morte è il grande spartiacque>>1 accettato senza farsi vincere persino da un Dio. Niente, nessuno è eterno, transeunte anche il Cosmo trono della Gran Madre. Il Tempo ritornerà alle origini; tutto si aggrumerà, forse neppure una pallina da caccia, attirato da Lui per inglobarci nel suo amore e poi riesploderà rinnovellando il mondo i firmamenti le galassie il virus l’insetto l’ameba il lombrico il dinosauro il topo il ragno il serpe il leone l’agnello l’uomo col suo ramo nudo2 i pesci la lebbra il Covid e ogni altro male i fiori e la rosea pervinca di mia madre nella crepa della veranda le foreste e gli stagni con le zanzare il mare gli uccelli dal volo leggero armonioso o ghiaccio e radente a frangere il canto liquido degli usignoli. Domenico Defelice 1 – Peter Russell: “L’anima dell’uomo”, Poesie del Valdarno. 2 – Giuseppe Gerini: “L’uomo mantiene nudo/per l’ampia terra il ramo di Caino”.

Senza parole Un cancelletto sul retro s’apriva solo per noi sull’immenso vigneto Solo ronzio di vespe su fichi di dolcezza che stordiva Una donna dagli occhi pervinca reggeva con tenera fermezza la grande casa. Corrado Calabrò Da La scala di Jacob, Primo Premio Città di Pomezia 2017


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IMPERIA TOGNACCI RICORDA VINCENZO ROSSI di Tito Cauchi

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MPERIA Tognacci, scrittrice e poetessa di San Mauro Pascoli (Forlì-Cesena), romana di elezione, traccia un profilo umano e letterario del poeta molisano di Cerro al Volturno (Isernia, 7.6.1924 – 6.11.2013), con la monografia Volli, e volli sempre… La speculazione estetica e simbolica nella poesia di Vincenzo Rossi, prendendo titolo e dedica in prestito da Vittorio Alfieri. Assicuro subito che si tratta di due autori di spessore, ai quali si aggiunge Francesco D’Episcopo, di altrettanto merito, che contribuisce con una postfazione; molto ci sarebbe da aggiungere, ma basti questo per farcelo apprezzare e scoprire. Vasti sono gli interessi di Vincenzo Rossi, spaziando dalla poesia alla narrativa, dalle traduzioni alla critica, da cui Imperia Tognacci rileva quanto sia importante per il Poeta la “libertà interiore”, la libertà di espressione. L’opera si articola in sette capitoli prendendo in esame, in particolare, le seguenti opere: I giorni dell’anima, che a sua volta riunisce in un solo volume cinque raccolte pubblicate dal 1961 al 1995 (In cantiere,

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Dove i monti ascoltano, Verdi Terre, Il grido della terra, Tempo e Parola); e la silloge Respiro delle erbe/ Voce delle Rocce pubblicata nel 2001. Basti leggere i titoli delle sue raccolte per comprendere il suggello alla terra natia e disegnare la sua geografia dell’anima, che rispecchia il proprio vissuto, come risulta dalla sua biografia. Il sottoscritto conferisce alla propria riflessione la presente struttura per renderne immediata la visione di insieme. Tracce biografiche Vincenzo Rossi, ottavo di dieci figli, come si rivela dalla poesia ‘Atto di nascita’, visse i suoi quasi primi venti anni fra i paesaggi montuosi delle Mainarde, percorrendo sentieri alla vista del Cimarone, del Montemaschio, delle sorgenti del Volturno, assistendo alle albe e ai tramonti mentre era dedito alla pastorizia. Nella solitudine ha avuto modo di contemplare lo spazio lontano, di meditare sull’infinito, sul mistero della vita, in perfetta simbiosi con la natura mantenuta viva nella sua mente. L’isolamento diventa così una condizione indispensabile per ascoltare la voce della natura, la voce sua interiore. Da autodidatta consegue diploma magistrale che gli consente la didattica, nel contempo segue gli studi in Lettere conseguendone la laurea presso l’Università di Salerno. Conclusa la carriera dell’insegnamento fino a ricoprire ruoli dirigenziali, ritorna nei suoi luoghi amati fin dalla giovinezza rimanendovi fino agli ultimi giorni. È stato una guida per giovani poeti e poetesse, senza disdegnare la lettura di poeti noti e poeti sconosciuti dedicandosi con pari impegno. Imperia Tognacci fa risalire la poetica di Vincenzo Rossi al suo vissuto, come già detto, e cita ampi brani per dimostrare l’intimo rapporto tra la poesia e la vita reale, evidenti nel simbolismo. Rileva quanto le sue opere siano impregnate di memoria; di amore per la terra, per le piante e per gli animali che l’abitano; amore per la donna; il desiderio del ritorno e il viaggio a ritroso che fanno affiorare il Fanciullino, sia pure diverso da quello del Pascoli. Evidenzia il dialogo poetico con


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personaggi come Federico Garcia Lorca, Pablo Neruda, a proposito del dolore per la violenza, disapprovando l’aggressività in tutti suoi aspetti. Rapporta la visione del Rossi alle pitture del Monet; perciò possiamo definirlo poeta impressionista (nell’accezione del vago della percezione, quale residuo della memoria). La Nostra avverte nei versi del poeta molisano la presenza del “pastore errante in solitudini meditative e creative”. Rileva la frequenza delle figure retoriche dell’analogia e in particolare della sinestesia stimolando così più sensi percettivi, e giungendo ad emozionare il lettore. “egli è un modello da seguire per ritornare a quei valori di base” di genuina vita. Amore per la natura È una conseguenza che Vincenzo Rossi riveste tutta la natura di antropomorfismo, già nel suo vissuto campestre pascolando il gregge in religioso silenzio e nell’ascolto dello scorrere del ruscello, del respiro dell’erba, la vita delle pietre, l’ululare del vento, il fruscio delle foglie, lo scricchiolio dei rametti nella notte. Tutt’uno con la natura secondo una concezione di Charles Baudelaire, l’amore per gli animali, p.es. nella trilogia dei suoi cani Lola, Ercole, Garibaldi. In questo legame con la terra si rivela profetico specialmente considerato ai tempi d’oggi e può essere accostato ad Arthur Rimbaud. Nell’animo del Poeta, il tutto, ancora una volta, senza tempo e senza distinzione di luogo; passato e presente insieme; vita campestre portata nella vita cittadina, sia pure come immagine sbiadita. Tognacci scrive “L’arte vera, in tutti i tempi, è quella che riesce a fare attraversare il reale con le venature e le pulsioni dell’interiorità del poeta.” E il Rossi con il suo continuo interrogarsi sul senso della vita si colloca all’esistenzialismo, e lo fa con sofferta ricerca poiché l’evento della morte è imprevedibile e sempre in agguato. Perciò riflette senza sosta rimanendo disarmato dinanzi alle tante drammatiche domande che si pone; rimane disincantato del corso della storia e

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delle illusioni giovanili, e con il passare del tempo sente sempre più vicina la morte, perciò concepisce la vita come un miracolo. L’avere vissuto la giovinezza in un paesaggio libero, dalla visualità e dal respiro ampio lo conduce ad abbracciare l’intero cosmo, lo fa sentire figlio dell’universo, gli rende l’animo ancor più aperto ad accogliere il mistero, “il suo perdersi negli universi infiniti, che al suo sguardo si svelano quando l’oscurità avvolge la terra, l’espansione cosmologica diventa ricerca escatologica.” (p. 51). Trova consolazione nella speranza che al giudizio universale una nuova alba metterà pace a tutti i popoli. Perciò la sua poesia può definirsi profetica in relazione al rispetto ecologico. Il suo panismo lo conduce ad una religiosità connaturata con i paesaggi in cui ha vissuto; ma diversamente da D’Annunzio e da Pascoli, perché il primo mira all’estetismo identificandosi con la natura; il secondo invece legge la natura in chiave dolorosa per via dell’evento tragico che riguarda il padre. Amore per la donna Imperia Tognacci proseguendo nella disamina di Respiro dell’Erba/Voce delle rocce, avverte: “Il leitmotiv della seconda parte del libro, In Veneris umbra, è dunque l’amore per la donna. L’amore percettivo e immediato, direi quasi passionale, che egli prova per la natura e per la terra fecondatrice… e diventa poesia che tutto abbraccia nell’amore.” (p. 58). Questa parte “inizia con quattro preludi” associabili a Tito Caro Lucrezio (De Rerum natura), Ugo Foscolo (Le Grazie/Pallade), Nòsside (due epigrammi), Lope de Vega (L’uccello fuggitivo). Tutto ciò fa concepire l’amore come una unità sentimentale e fisica, verso la donna e verso la terra; la natura, luogo ameno, diventa “principio femminile”. Parimenti l’amore verso la donna è paragonabile alle cromature che vanno dal tenue biancore dell’alba al fuoco acceso del tramonto, e come afferma Orazio Tanelli “Le poesie d’amore di Rossi vanno dall’ideologia stilnovistica alla visione crepuscolare” (p. 60). L’amore diventa l’elemento essenziale per dare senso e sacralità alla vita.


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Senza negare i vantaggi del mondo globalizzato e della tecnologia, riconosciuti da Vincenzo Rossi e da Imperia Tognacci (e di molta parte delle persone), entrambi denunciano l’uso smodato e galoppante che sta allontanando l’uomo dalle proprie radici. Il Molisano auspica che almeno non si perdano i valori etici fondamentali che la civiltà contadina e dei lavori umili, ci ha lasciato; e sta a noi ereditarli, senza cedere al malcostume sempre più dilagante, cui stiamo invece cedendo il passo. Sottintendendo una celebre opera di Erich Fromm (“Avere o essere?”) denuncia la società in crisi che, come avverte Gianni Vattimo, subisce un “processo di disumanizzazione”; perfino le parole si svuotano del loro intrinseco significato fino a diventare puro flatus vocis, un po’ come afferma Mario Luzi. Un aspetto su cui l’uomo deve riflettere per ritrovare la sua dimensione umana e, direi, divina. Volli, e volli sempre… La speculazione estetica e simbolica nella poesia di Vincenzo Rossi, è titolo che rispecchia il carattere tenace del Molisano e ne sintetizza la poetica. Ricordiamo che Imperia Tognacci ha formazione letteraria, ciò spiega i suoi rimandi storici nel corso della sua indagine; è poetessa innamorata della natura e del suo Pascoli che non manca di citare, si sente vicina al poeta Vincenzo Rossi nel condividere la libertà interiore e il fine “che la poesia e l’arte debbano orientare positivamente l’uomo nel magma degli attuali eventi…” (p. 22). Spero di essere stato utile. Tito Cauchi Imperia Tognacci, Volli, e volli sempre…, La speculazione estetica e simbolica nella poesia di Vincenzo Rossi, Genesi Editrice, 2021, Pagg. 88, € 15.

LA PICCOLA STELLA Bella, bella, bella! Dal suo passeggino la piccola Stella con un bel sorriso guardava la vecchia signora che la salutava.

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Ed ecco, con gesto gentile, la piccola mano si schiuse e aperte le piccole dita, sorridendo, vi accolse e ne strinse il dito più grande della vecchia signora. E allora fu gioia ad entrambe. 6 ottobre 2021 Mariagina Bonciani Milano Un libro da leggere e da regalare, una vera STRENNA NATALIZIA!

“Quello di Defelice è uno stile scorrevole dal tono ironico e sarcastico che rende i fatti descritti ancora più dissacranti e bizzarri. La natura è sempre presente e fa da cornice a tutte le storie mediante la descrizione di paesaggi naturali con alberi e distese verdi…” Manuela Mazzola Su Il Pontino nuovo, 1/15 febbraio 2021 Racconti “veramente notevoli” Sandro Gros-Pietro Genesi Editrice – via Nuoro 3 – 10137 Torino – genesi@genesi.org; http://www.genesi.org – Pagine 210, € 12,00


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CON MARIO RAPISARDI SCONTRO IN LETTERATURA FRA NORD E SUD di Leonardo Selvaggi 1 – Principi di giustizia e di libertà nel poema di Palingenesi ARIO Rapisardi nasce a Catania il 25 febbraio 1844. Non segue un regolare corso di studi sia perché sofferente di tisi e sia perché contrario al tipo di istruzione accademica e tradizionale impartita nelle scuole e nelle Università. Da autodidatta si dedica ai classici greci e latini e ad alcuni autori del positivismo moderno, allontanandosi da ogni forma di superstizione religiosa, filosofica e sociale. Tutto aperto alla scienza, al naturalismo. Viaggia per l’Italia, fermandosi di preferenza a Firenze. Qui arriva nel 1865 appena ventunenne. Entra in amicizia con Tommaseo, Fanfani, Dall’Ongaro, Prati, Fusinato. Considerato come poeta alla ribalta in piena opposizione al Carducci mazziniano e nazional-democratico. Il Catanese da moderato passa all’estremismo sovversivo, quando il poeta di Bologna diventa monarchico. Nel 1868 scrive la “Palingenesi”, vi canta l’accordo tra la fede ed il progresso secondo i principi di riforma religiosa che doveva dare all’umanità l’unità morale e la pace. Il suo macchinoso modo di poetare ricorda il Monti. Poema di ispirazione filosofica

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sull’esempio del Prati, avvicinandosi a Goethe e a Byron. Costituito da dieci canti, contro le posizioni retrive si vuole un ritorno al Vangelo, conciliando tradizione e modernità, religione e civiltà. Presente lo spirito di Arnaldo da Brescia, di Lutero, di Savonarola e Calvino. Ansia di rinnovamento, si va verso l’avvenire con i trionfi della giustizia, della libertà, della scienza, dell’amore. La “Palingenesi” lodata da V. Hugo come un nobile poema. Mario Rapisardi considerato un precursore sia dal punto di vista della poesia che dalle verità espresse. Anche Giovanni Verga vede in Lui un mezzo efficace di rigenerazione. La “Palingenesi” segna un nuovo indirizzo della Letteratura in Italia. Isidoro Del Longo vi ammira una “splendida e animosa forma di poesia”, che testimonia forza di ingegno. Viviamo tempi in cui si è entusiasti dell’Aleardi, dello Zanella, i giovani del partito d’azione si accendono alla lettura delle poesie politiche del Carducci. Importante il 1869 per il Rapisardi, che trova nuove fonti di ispirazione all’evoluzione dei suoi pensieri. 2 – Mario Rapisardi incontra Giselda Fojanesi Nel 1870 per l’interessamento di Francesco Dall’Ongaro ottiene dal ministro della Pubblica Istruzione Cesare Correnti l’incarico di Letteratura italiana all’Università di Catania. Di questo periodo sono gli scritti “Catullo e Lesbia”, “Introduzione allo studio della Letteratura italiana”. Espressioni di stile leopardiano nelle “Ricordanze” (1863 – 1872 – 1882), ma con un pessimismo diverso, siamo lontani dal classicismo post-illuministico. Il Rapisardi incontra la fiorentina Giselda Fojanesi, maestrina del convitto provinciale di Catania, che sposa nel 1872, il matrimonio dura fino al 1883, anno in cui si scopre la relazione che Gisella ha con il Verga. Temperamento pletorico quello del Rapisardi. Sulla sua vita intima parla ampiamente il poeta e amico Alfio Tomaselli; ci riferisce dell’amore che il Catanese ha con la contessa


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Lara. È come una difesa provvidenziale alla sua natura passionale. L’esuberanza sessuale del Rapisardi procede con lo stesso fervore di quella artistica. In questo periodo di grande accensione per la Contessa, vista come una capricciosa Lesbia moderna, non una romantica eroina, oltre che le “Ricordanze”, scrive “Lucifero”, il “Giobbe”, le poesie di “Giustizia”, traduce Lucrezio, una produzione a fiotti, ribollente. Lo stesso Verga durante la tresca con Gisella con immenso impeto ed entusiasmo amoroso produce “Per le vie” e le “Novelle rusticane”. Nel libro di Tomaselli in cui si parla di Rapisardi fra le tante illustrazioni abbiamo un ritratto del 1889: il poeta ha bellissimi occhi ombreggiati dal cappello alla calabrese, baffi spioventi, cravatta svolazzante, zazzera corvina, di questo aspetto sdegnoso e ispirato la contessa Lara va orgogliosa. 3 – Del 1877 il poema “Lucifero” Nel poema anticlericale “Lucifero” Satana simboleggia il progresso contro il Cattolicesimo e ogni forma di superstizione. Questa pubblicazione gli apre le porte all’Università. Francesco De Sanctis, ministro della P. I. lo nomina ordinario di Letteratura italiana nel 1878. Poema d’amore può essere considerato il “Lucifero”. Rapisardi è vicino al Satana di Milton, al Mefistofele del Goethe, al Lucifero di Byron. L’eroe del Catanese sale dal baratro infernale sulla terra, desideroso di amare e soffrire come un semplice mortale. Si esalta la supremazia del razionalismo scientifico sul trascendentalismo metafisico. Lucifero rappresenta la figura del ribelle, vicino al mitico Prometeo. L’opera suscita l’entusiasmo di Giuseppe Garibaldi. Nel canto XI del “Lucifero” si leggono versi che molti capirono subito indirizzati al Carducci. Il poeta maremmano risponde da Bologna dicendo di aver avuto il sospetto di trovare chiari accenni alla sua persona leggendo il poema ricevuto in omaggio. Il Catanese in risposta lo invita a non farsi influenzare da certi

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invidiosi, lui si era espresso da poeta e non aveva fato riferimento malevolo verso nessuno. Pietro Fanfani, nemico del Carducci, incita il Rapisardi a controbattere. La polemica letteraria, rinfocolata sempre più, giunge ad avere carattere aspro e di grettezza. Accanto ai due poeti rivali si schierano difensori di varia estrazione, alcuni sostengono l’onore del Sud, altri la superiorità del CentroNord. Si delinea chiara la posizione di Rapisardi di anti-Carducci dietro gli incoraggiamenti dell’Aleardi, del Vannnucci, del Mamiani e di tutti i poeti e critici di sua conoscenza. 4 – Nord e Sud in pieno scontro letterario Carducci nel 1881 con irruenza entra in campo, implacabile contro le traduzioni e quanto scritto fino ad allora dal Rapisardi. Questi alle parole piene di fiele del Maremmano risponde con un sonetto. considerato capolavoro dal Turati. Replica ancora da Bologna con sferza brutale che lascia cadere in stato di depressione il poeta di Catania. La polemica si chiude e sarà negli stessi termini ripresa dal Croce in un saggio del 1904, condizionando lo sviluppo e la fama per tantissimo tempo del Rapisardi che si ritira amareggiato in solitudine. Scrive opere sempre più umane e poetiche di grande valore. Un uomo ferito, considerato dagli avversari un autore di carattere prettamente provinciale. Il suo orgoglio abbattuto lo porta a riconsiderare meglio se stesso, a ritrovare la sua vena più autentica. La critica del Carducci consiste nel disapprovare il poema, considerato ormai logorato, non rispondente alla nuova epoca. La poesia narrativa o epica, invece secondo il Rapisardi continua ad essere valida perché si vogliono conoscere le manifestazioni della vita nella Natura e nella Storia e durerà fino quando la Scienza non riuscirà a rivelare tutti i misteri dell’essere. Certo l’uomo non è più dominato ai tempi di


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Rapisardi dalle forze create dalla sua fantasia né il mito è manifestazione dell’anima pura del popolo. Il contrasto fra sentimento e l’inesorabilità del Fato è sostituito dall’opposizione fra sentimento e ragione, fra morale e legge della necessità, tra l’ideale ed il reale. Gli antichi eroi soppiantati dalle forze morali dei popoli, si è contro le violenze delle vecchie autorità. Il poema ormai deve trattare le scoperte della Scienza, i risultati del positivismo, delle ricerche di Darwin, Lubbock, Spencer, Buchber, Moleschott, Ardigò, Haeckel, Trezza, Bovio. Il Rapisardi dobbiamo dire che vive con ansia il suo tempo, anche se legato ancora Allo stile settecentesco, sente, tutto dominato, la presenza del Vero. 5 – Il “Giobbe” in piena maturità di pensiero e di arte Abbiamo il “Giobbe”, una trilogia storico-filosofica. L’eroe biblico, simbolo della umanità sempre in cammino, dinanzi all’angoscioso mistero della Natura. Religiosità naturalistica e pessimismo cosmico dettano espressioni di vera poesia. Il “Giobbe” incarna il dolore umano, la lotta tra il bene e il male, tra lo spirito e la materia, tra il cielo e la terra. Giobbe rappresenta lo stesso Rapisardi, moderno, scettico, insoddisfatto. Giobbe, colpito dai mali più tremendi, arriva a maledire la vita, ha paura subito poi dell’Onnipossente e ritorna alla fede più cieca. In seguito portato da Satana si ritrova nell’inquietudine, nei desideri sempre contrastati dell’umanità. Alla felicità celeste preferisce il godimento delle naturali bellezze. Predomina alla fine il senso del Mistero da cui siamo circondati come da tenebre. A nulla valgono il pensiero, la fede, la ragione, il sentimento, la scienza, neppure la volontà. Il “Giobbe” nonostante gli arcaismi per i critici contiene “una collezione portentosa di perle e gemme preziose… squarci stupendi da antologia, documenti che rimarranno inconcussi nella storia letteraria dell’Ottocento”. Molte le sofferenze, le infermità che accom-

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pagnano l’evoluzione dell’arte di Mario Rapisardi, poeta dalla profonda spiritualità malinconica. 6 – Lo straordinario inconcepibile amore di Amelia Poniatowski Sabernick Quanto mai tristi gli anni che corrono dalla pubblicazione del “Lucifero” a quella del “Giobbe”. Il dramma della solitudine come una morsa gli si stringe intorno. A dura prova messa la sua persona dagli attacchi dei suoi nemici. In questo periodo tenebroso come divina Provvidenza compare Amelia Poniatowski Sabernick, l’ispiratrice, la consolatrice, la luce feconda che irraggia sulla via martoriata di Mario Rapisardi. Non si sa come si sono conosciuti. Amelia parte da Firenze il 19 giugno 1885 e il Poeta si trova a rilevarla il 20 alla stazione di Napoli. Un sogno, una magia che diviene realtà. Il Rapisardi si sente rinascere con una vita diversa, ritrova se stesso con altri cammini da percorrere. Una creatura sublime, tutta dedita ad un uomo che con la sua arte la rende immortale. Rapisardi non sa stare lontano da lei. Molte sono le lettere che parlano di questa meravigliosa Amelia contenute nell’”Epistolario”. Una sofferenza indicibile, un vero esilio la permanenza a Roma nell’86 ove è andato a far parte della commissione d’esami per concorso a cattedre universitarie. Inconcepibile questo grande amore. Immensi il conforto, l’affetto prodigati: Amelia logora il suo corpo, allieta la casa del Rapisardi con la sua presenza e la musica, la sua passione, cui si abbandona con incredibile trasporto. Una esperta pianista. Ama la musica tradizionale italiana, quella dei nostri grandi e poi Gounod, Mozart, Schubert, Mendelsshon, Schumann, Chopin, Weber, preferisce Beethoven. Nella casa solitaria tra l’Etna e il mare, vediamo Amelia, tutta presa dalla famiglia, come un angelo, va per le stanze si ferma a spiare dietro le tende dello studio del Poeta. Il Rapisardi riconoscente della dedizione senza fine della sua amica, “l’unica anima che mi abbia compreso, compatito ed amato con il sacrificio di tuta se stessa”. Si deve a questa creatura unica la mi-


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gliore produzione del Rapisardi: divina bellezza, infinito amore intellettivo, nobiltà d’animo, amabilità, purezza nell’aspetto, serenità negli occhi, grazia nei modi, dolce, fluida la parola. Rapisardi è felice, compone i versi più delicati, sinceri, con vera poesia. Le sofferenze aumentate lo torturano atrocemente. Buona davvero, celestiale Amelia. Muore il 19 settembre 1914 nella stessa casa in cui ha trascorso ventisei anni di clausura. 7 – “Giustizia”. “Poemetti”. “Poesie religiose”. “Epigrammi”. “Atlantide” In tutte le opere del Rapisardi è presente il motivo politico-sociale, specie in “Giustizia” (1883) e nelle poesie composte fino al ‘900. Sostiene che l’Italia unificata, frutto del Risorgimento, tolto qualche aspetto democraticopopolare, abbia avvantaggiato la borghesia. Rapisardi è dalla parte del popolo misero, contro l’egoismo, l’insensibilità e l’avidità, soffre con i rassegnati, gli umili, vuole l’emancipazione del proletariato dalla schiavitù e dalla fame. Tutto preso da inquietudine, da fremiti rivoluzionari, coerente con i suoi principi idealistico-sociali, con sdegno, senza accademismo. Nei “Poemetti” (1885 – 1907) la liricità si libera dalla freddezza teorica. Lo spirito del poeta esplode schietto in tanta espressività composta ed armonica. Con le “Poesie religiose” l’approdo verso la vera arte dai grandi contenuti: la vita ha un bisogno assoluto di espandersi, di mutare l’Io in Noi, l’individuo in umanità, il piacere egoistico in amore universale. Il Rapisardi manifesta ansia metafisica, ignota al suo avversario Carducci. Gli “Epigrammi” (1888) presentano voci e colori della vita quotidiana, tanta tristezza e amorosa attenzione alle piccole cose. L’”Atlantide” (1894), si mira all’ideale di una umanità più pura, più umana. C’è un desiderio ardente di giustizia. I critici frammentano troppo, debbono vedere i contesti, non anatomizzare. La poesia del Rapisardi respira una nuova aria in tutte queste opere. I problemi storico-culturali del tempo sono presenti, anche se si avvertono disarmonie: forte irrequietezza ed esaltazione lo rendono perseverante all’ossessiva ricerca

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del Vero, del Buono e del Bello attraverso gli insegnamenti della scienza, della storia e della grande poesia di tutte le civiltà. 8 – Le traduzioni Si ricordano le traduzioni dei “Carmina” di Catullo e di Orazio, del “De rerum natura” di Lucrezio, del “Prometeo liberato” di P. B. Shelley poeta col quale il Rapisardi avverte una grande affinità spirituale. La traduzione delle ”Odi” di Orazio la pubblica dopo diversi anni, non si ritiene soddisfatto, il senso critico lo affligge, lo tormenta: la considera sempre tanto lontana dall’”artistica finitezza che a lui imponeva quello intransigente rispetto per l’arte al quale avrebbe sacrificato non che la notorietà la stessa gloria”. I pareri discordi intorno alla traduzione del “De rerum natura” danno altri colpi al suo morale, esaltata da Gaetano Trezza e criticata da Vittorio Imbriani. Il Rapisardi lotta contro i denigratori fermi al giudizio espresso sulla produzione anteriore al “Giobbe”. Rapisardi ha percorso in seguito molto altro cammino. Tutte le sue opere definitivamente rivedute e corrette in un volume uscito a Palermo nel 1911. Napoleone Colajanni rivela tanta superiorità in Rapisardi, partecipe della lotta democratica con l’incitamento, e l’insegnamento della poesia. Il clima di contrarietà si abbatte su di lui nel 1905 con la stroncatura del Croce. Come in soccorso arriva G. A. Borgese che con equilibrio sostiene la necessità di restituire al patrimonio letterario italiano l’opera matura del Rapisardi. Perfezione formale e l’ideale artistico costituiscono un obbligo sociale, il Rapisardi rappresentante del realismo in poesia, nemico degli arrivismi, delle polemiche, dei luoghi comuni. In una lettera del 22 febbraio 1909 F. T. Marinetti afferma che il poeta “ha il dovere di esprimere se stesso e di rappresentare la realtà come la vede e la sente, con tutta sincerità, con il calore ed il valore dell’anima sua… Il poeta è il genio, il precursore, l’apostolo e spesso anche il martire di un’idea di bellezza e di verità…”.


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9 – Integrità civile e sentimenti di profonda umanità Seguiti gli ideali promossi dal socialismo e dal positivismo. Per tutta la vita fedele ai principi nobili della uguaglianza e della libertà: contro la politica dei suoi tempi si affianca alla rivolta dei lavoratori durante i “Fasci siciliani”, movimento che si sviluppa dal 1891 al 1894. È contro il governo centrale guidato dal conterraneo Francesco Crispi. La onestà e l’integrità civile esemplari. Eletto nel 1884 con una grande quantità di voti dal collegio elettorale di Trapani, rifiuta di fare il parlamentare per motivi di salute, l’insufficienza dei suoi studi e perché non incline all’attività politica. Modestia e insoddisfazione eterna distruttiva, la sua poesia tormentata sempre sottoposta a revisioni. I sentimenti di umanità pervadono l’intera produzione, senza prosopopea e ufficialità al contrario dei suoi detrattori. Un poeta non come si voleva relegato al provincialismo, ma nazionale, la sua attività letteraria mai fine a se stessa, considerata mezzo per contribuire al miglioramento dell’umanità, che doveva liberarsi da vecchi pregiudizi raziali, religiosi, politici, sociali. Un’umanità in cui dovevano trionfare i principi di tolleranza e l’amore reciproco fra tutti i popoli. Spontaneità, orgoglio, spirito indipendente, anticonformista. Mario Rapisardi esprime la propria personalità con audacia, con i suoi sogni e le ribellioni, con volontà indomabile contro le limitazioni opposte al progresso del pensiero. 10 – Mario Rapisardi muore a Catania il 4 gennaio 1912 Rimane insepolto per nove anni. Pur essendo stabilita la tumulazione nel cimitero monumentale, messo in un magazzino dal Municipio, forse spinto da influenze clericali. “Irrequieto” “usque ad mortem et ultra” scrive di sé all’amico Pasquale Bellini il 20 ottobre 1910. Il corpo inerte del Poeta, chiuso in una cassa di noce, viene trasportato dall’antica carrozza del Senato, quella che nel 1876 aveva condotto i resti mortali di Vincenzo Bellini. La diritta via

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Etnea si stende chiara e deserta al chiarore lunare. Sullo sfondo in alto biancheggia l’Etna, gigante indomito, testimone delle potenze misteriose della Natura. Tutta Catania a lutto il giorno dell’Epifania del 1912. Bandiere a mezz’asta, saracinesche abbassate. Mario Rapisardi morto a sessantotto anni. Vissuto come un sepolto vivo, in piena solitudine per trent’anni, stanco per le tante disillusioni, dopo aver lottato per tutta la vita contro le viltà di ogni tipo. Opposti indirizzi letterari per tanto tempo hanno impedito una giusta valutazione delle sue opere, hanno allontanato estimatori ed amici. Mario Rapisardi non cessa mai di combattere la sua battaglia, perseguendo verità e giustizia, difende la sua Arte intesa come missione altamente morale. La sua fermezza apprezzata dai progressisti. Filippo Turati loda Mario Rapisardi considerandolo un vero poeta. È vissuto isolato mentre la sua natura arente era portata all’azione, ad amare. La sua intelligenza ormai si distruggeva giorno per giorno, non aveva più fede negli uomini. La sua salute già per costituzione minata da una grave nervosi astenica era arrivata agli estremi del logoramento. Leonardo Selvaggi

LEGGI ETERNE China la testa quel purpureo fiore che sporge da un bicchiere. Mi commuove il papavero morente e mi conferma triste che c’è un destino affine per chi nasce. Per un principio indubbio ogni creatura che vedrà la luce un giorno finirà, secondo leggi avvolte nel mistero; ma per quel tempo esiguo la sua presenza viva nel creato è luminosa traccia che brilla sulla scena della storia. Elisabetta Di Iaconi Roma


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Il Racconto

PER DIRE ADDIO di Anna Vincitorio “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole anzi d’antico: io vivo altrove e sento che sono intorno nate le viole. […]” Giovanni Pascoli

UN sole un po’ freddo stamattina. S’insinua luminoso. I vecchi scuri spalancati. Mi affaccio su quel lievitare di verde e di silenzio. Mi pare di udire lontano canti che ondulano nel vento. Sfavillante intravedo la Chiesa russa con la cupola d’oro. Dal giardino s’innalza una palma altera che svetta verso l’azzurro che sovrasta. Fu piantata per la nascita di una bambina. Presenza vivente di un passato ormai lontano. Rumori, i più vari, spezzano il silenzio lungo quanti gli anni trascorsi. Mi propendo sul balcone e guardo quell’oasi di verde e di silenzio. Il tempo si è fermato. Terrazzi, panni stesi. Una donna, lontana che si affaccia. Bambini dal capo biondo. Grida gioiose. Rita in giardino che ricama corredi per le spose. Ha vissuto solo nella vita degli altri. Nell’aria mi pare ancora si diffonda l’aroma del caffè tostato. “Ma chi è quella grulla che si mette a tostare il caffè?” La vecchia signora non si offende; sorride e fa girare la manovella. Presto il caffè sarà tostato. Sussurra parola in dialetto napoletano. L’ascolta il suo “glu, glu”. L’amico piccione che, puntuale al mattino sosta sul suo balcone. Poi, lei prepara un tavolino con la seggiolina. È per una testina di riccioli che, felice, mangerà sul terrazzo. Piano piano, tutto sfuma. Tra invisibili nebbie affiorano gli occhi azzurri di Alfeo; la sua mitezza. Il ricordo della vita in miniera nella lontana Francia, non ne attenua la dolcezza. Dalla terrazza sottostante erompe il pianto accorato di una madre per il figlio Oriano che le fu strappato una sera d’inverno e finì in quel di San Salvi. Mi affaccio sulle scale: quel pianerottolo di pietra e la morte improvvisa di mio

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padre nell’attimo straziante di un unico grido. Ma io non c’ero. Nel presente: squallore e lunghi anni di dolore alla morte della vecchia signora. La casa ha perso la sua lucentezza e i ricordi, distrutti. Resta l’amaro in bocca. Il dolore assorbito dalle pareti ha spento la claustrale purezza che negli anni passati le aveva animate. In un rimbombo, la voce della casa, profanata, tradita. Con scricchiolii si svuota lentamente; i mobili sono portati giù per le scale. Solo sui muri, tracce di ciò che un tempo fu. Stringo le braccia. Ho freddo, nonostante il sole, ma ad un tratto la casa mi parla: “Non devi essere triste. Quello che è stato, la vita vissuta, rimane in te come una fiaccola. Abbraccia con lo sguardo il sole che, puntuale, ogni giorno risorge e vivi!”. Prima di chiudere gli scuri il mio sguardo insegue ancora da lontano la cupola d’oro della Chiesa. Il vento diffonde nel mio ricordo antichi canti. Mi allontano. Scendo lentamente le scale. Giro l’angolo e di fronte a me il vecchio liceo sempre eguale. Tra le lacrime rivedo i nostri visi giovani. Oh miei compagni ora dispersi! Dove adesso? Anna Vincitorio Firenze, 20 ottobre 2021 L’ULTIMO SONNO Chino il capo sul foglio, intenta alla lettura, così spesso mi coglie dolcemente e all’improvviso il sonno al pomeriggio. E così spero e voglio che un giorno mi colga anche quel sonno che all’eternità conduce: chino il capo sul foglio, intenta alla lettura. 11 novembre 2021 Mariagina Bonciani Milano


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Recensioni MANUELA MAZZOLA ENZO ANDREOLI E LA SHOCK ART Oceano Edizioni, 2021, Pagg 113, € 15,00 Eccellente libro illustrato, in formato album, che - come scrive l'autrice - "non vuole essere un saggio strettamente critico", ma piuttosto una narrazione che conduce il lettore nell'universo del pittore e scultore romano Enzo Andreoli. Manuela Mazzola commenta in maniera succinta ma esauriente ciascuno dei quarantuno dipinti presentati, illustrandone la visione, i contenuti, lo stile, la tecnica, in una parola tutto il mondo pittorico dell'artista oggetto della sua attenta disamina. Il volume, che contempla un'ampia premessa introduttiva e si suddivide in tre sezioni tematiche ognuna corredata di un'introduzione - è impreziosito da tre bellissime liriche della stessa Mazzola ("Il senso perduto", "Eden d'acciaio" e "Lungo il viaggio") che bene esprimono il senso poetico che sorge dalla contemplazione di queste opere d'arte. Un libro delizioso e molto attraente, che permette di osservare da vicino la personalissima visione artistica di questo importante pittore contemporaneo. Marina Caracciolo

ISABELLA MICHELA AFFINITO REDENZIONE Casa Editrice Menna, Avellino 2003, Pagg. 40, € 5,16 “Redenzione” (titolo virgolettato) è silloge di

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Isabella Michela Affinito, la cui eponima conclude la raccolta; comprende quindici componimenti generalmente lunghi e scorrevoli. Nella prefazione l’Autrice, partendo dalla citazione su “Vergine Madre” del Paradiso dantesco, di rimando in rimando, ci porta alla preghiera di San Bernardo in cui La chiama: “Figlia del tuo figlio”; da cui scaturisce un’immagine su cui si sono ispirati molti artisti e poeti, icona più volte replicata dai pittori, tra cui il friulano Vittorio (Nino) Martin, riprodotta in copertina. Quale esperta la Nostra commenta individuando nel dipinto “una fusione, grande concentrazione di forze tra la materia e lo Spirito nella fibrillazione cromatica dove il cangiante rosso del sacrificio da compiere si attenua difronte all’azzurro del velo di Maria che, anticipa l’ascesa del Figlio in cielo”: queste parole discorsive sono pura poesia che trasudano di tanta religiosità e di competenza in critica d’arte. Per il suo grande interesse per le arti figurative la Poetessa eleva un inno a Michelangelo Buonarroti (1475-1564) e si può affermare che l’intera silloge si ispira al Grande Fiorentino, difatti fin dal componimento d’apertura la Nostra prende a pretesto un’opera scultorea rimasta incompiuta e denominata Pietà Rondanini (dal nome dei Marchesi che l’hanno acquistata a Roma nel 1744) e che si trova a Milano. Desidero precisare che quest’opera non è simile a quella molto famosa collocata in Vaticano. Qui la Poetessa si rivolge alla Madonna: “Madre sempre figlia / del Tuo figlio ma / non distinguo il / tuo spasimo, / (…) / pur parlando di / gloria eterna / semplicemente / abbozzata.” L’incompiuto credo richiami il senso della compassione e delle cose complete e di quelle incomplete, della vita che scorre e che altre volte si arresta; quindi della esistenza, ma anche di “mani fredde / incontrate per caso”. Così del dolore che


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segue nel ricordo della drammatica vicenda del terremoto in Molise del 31.10.2002 che fece trenta vittime, ventisette delle quali erano bambini di una scuola di S. Giuliano. L’incompiutezza delle mancate promesse, delle cerimonie religiose che si ripetono e in cui puntualmente i giuramenti vengono disattesi. Del ramo di ulivo, simbolo di pace, che si distribuisce tutti gli anni e di cui la gente si dimentica. Degli alberi di ulivo che Van Gogh dipinge con tratti veloci, il pittore olandese amato dalla Nostra. Altra opera scultore di interesse di Isabella Michela Affinito riguarda il Mosè realizzato per il “mausoleo pensato / alla maniera di / Alicarnasso”, che volge lo sguardo a Oriente perché, spiega: “anche se posto / sulla tomba di un Papa, / tu pensi alla tua terra” ricordando che il Profeta ubbidì “senza sapere”. Sottolineando cosa vuol dire Fede, espresso con parole semplici. Forse in forza della propria fede pensa che quando le sue spoglie lasceranno la terra, la sua anima ricorderà di quanto tempo ha trascorso “a guardare il mare”, a contemplare le guglie delle montagne; ma è anche una sorta di rivisitazione delle opere scultoree e pittoriche, nella contemplazione dell’immenso affresco biblico del Giudizio Universale ricco di allegorie, p. es. delle due “mani che si cercano e / dall’Indice all’indice / il passaggio della vita”, versi che racchiudono il significato profondo dell’alito della creazione e la salvezza. Ricordando Lazzaro risuscitato, la Affinito esorta l’uomo a purificarsi dal peccato: “indossa le vesti / della tua Redenzione”; e commenta che l’anima dei viventi assume vari colori fin quando vola in cielo come un airone; mentre in terra sorge l’immagine dei tanti lavoratori e della gente comune che si avvelenano nelle fabbriche e nelle città respirando aria inquinata (monossido d’azoto). Questo è un cenno all’ecologia, altra faccia dell’incompiuto, di cui sopra. Isabella Michela Affinito in chiusura si congeda dalla Madonna descrivendo la Pietà “Con le mani hai / ripreso quel corpo senza / vita sulle tue ginocchia / e sei stata la Pietà. / (…) / non lasciare che la nostra mano scivoli / dalle tue, ma stringi / la nostra fragilità e / falla diventare Fede!”. Ci siamo limitati a descrivere alcuni brani, forse pure con qualche interpretazione zoppicante; ma si sa, nessuno può varcare a pieno titolo ciò che alberga nell’animo altrui, tanto meno di un poeta o di una poetessa. Nondimeno attraverso la sua attenzione sull’arte, penso che sia grande il senso di religiosità della Poetessa, il senso del riscatto per sé e per il genere umano, e cioè la Redenzione. Tito Cauchi

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CARLO TRIMARCHI UN TITOLO QUALUNQUE Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia (CT) 2021, Pagg. 96, € 12,00. Mi ha colpito favorevolmente che un autore così giovane, se considerato ai tempi d’oggi, come Carlo Trimarchi (romano nato nel 1997), mostri padronanza di scrittura talmente bene, da farsi leggere piacevolmente. La professione di informatico offre al Nostro una visione ampia e immediata della società su cui spaziare. Con questa sua raccolta di esordio, Un Titolo Qualunque, comprendente 74 poesie, dimostra capacità di affrontare temi impegnativi riuscendo nel contempo a divertire e a sperimentare percorsi diversi, per stili e contenuti, forse alla ricerca di una propria identità poetica. D’altronde, come spiega nell’introduzione, le poesie sono disposte nell’ordine cronologico di composizione dal 2014 a oggi, scritte “nell’arco della mia vita”; con ciò mettendo l’accento sulla “vita”, come se essa fosse stata vissuta intensamente, mostrando una maturità raggiunta impensata. Questo ha il sapore di un’auto investigazione, di un filo di ricerca su se stesso, benché già ne conosca la risposta. L’Autore dichiara un iniziale atteggiamento pessimistico confermato dall’incipit (Le Ombre Nel Buio): “un’ombra che vaga in cerca di qualcosa… / un’ombra che soffre e attende paziente. / un mondo che diventa sempre più aggressivo e chiuso. / l’ignoranza che sale.”, dove volutamente al punto fermo non fa seguire la lettera maiuscola. E, sempre su questo tono, seguono riflessioni esistenziali, tuttavia alleggerite poiché assicura: “non credo di volere proseguire il discorso.”, tanto che spiega successivamente che “se alle persone non pesasse il culo, / userebbero il cervello per pensare a cose serie / invece che perdere tempo su facebook.” (Poesia 3). Carlo Trimarchi richiama insistentemente la necessità di essere chiari nella comunicazione per non fare la “figura del coglione”. Possiamo dire che in successione, definisce “il momento è quella frazione di tempo,” (Poesia 9); chiama in soccorso i “Titani”; assicura che lui ci prova “Giorno dopo giorno, cerco una parola / a dire il vero non è una sola,”. Ma ne rimane sconvolto; la soluzione gli sfugge dalle mani, dinanzi alla drammaticità della vita causata dall’uomo o da eventi naturali; perciò frappone sentimenti d’amore, ma pure essi desistono di fronte alle incertezze; e solo l’affetto per la “Mamma” lo sostiene perché, come afferma nell’idioma nativo, gli è “rimasta sempre nfonno ar core…” (Poesia 18). In una sorta di umana comprensione, abbraccia il Diverso, senza tuttavia, fare


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pesare il senso della sofferenza. Forse nemmeno lui ci crede, così che preferisce affidare il suo pensiero totalmente in inglese, non a tutti comprensibile (Poesia 23, Drawing the end). La mente, si sa, corre veloce, annulla tempi e distanze, decostruisce e ricostruisce a proprio desiderio, fin quando non si prenda consapevolezza delle proprie illusioni e poi riprende a sognare. Il Poeta dentro di sé tiene a freno i suoi “demoni”, vuole cantare della vita degli altri. Così, dopo la prima metà del percorso poetico, aggiunge sapore in versione parzialmente romanesca, alla maniera del mordente Trilussa, con le frecciatine al Potere e al malcostume, per esempio nel “fammi grattare” (Poesia 43). Ma è molto tenero nell’abbandono ai sentimenti intimi, così: “Quando le mani tremano, / senti ogni battito del cuore, / i pensieri non si sentono. / Ecco, quello è amore.” (Poesia 54). Ricorda il genitore per dirgli “ancora, ti voglio bene, papà.” (Poesia 55); volge un pensiero ai caduti in guerra; eleva un inno all’arte nelle sue molteplici espressioni; e riesce a spogliare il tragico dei fatti di cronaca nera con toni leggeri. Carlo Trimarchi lo vediamo crescere sotto i nostri occhi attraverso la lettura. Usa frequente la ripetizione nelle diverse forme retoriche; a volte usa la rima (baciata, alternata, interna); generalmente scrive poesie di ampio respiro, metrica a organetto. Spiega: “Leggendo capirai, caro lettore, / che col passare del tempo, / v’è stata un’evoluzione. / Nella scrittura… In quella che sento.” (Poesia 72, eponima). Così sperimenta la composizione geometrica con la forma piramidale di un albero (Poesia 69); e, congedandosi, compone un tautogramma, consistente in parole che iniziano tutte con la stessa lettera. In chiusura abbiamo pagine destinate a quattro indirizzi del web che invitano ad alcune sue riflessioni, basti prendere a caso un titolo qualunque. Tito Cauchi

IMPERIA TOGNACCI VOLLI, E VOLLI SEMPRE… La speculazione estetica e simbolica nella poesia di Vincenzo Rossi Postfazione di Francesco D’Episcopo; Genesi Editrice, 2021, pagg. 84, € 15,00 Un saggio agile, incentrato solo su alcune delle tante opere poetiche di Vincenzo Rossi (Cerro al Volturno, 7 giugno 1924 – ivi, 6 novembre 2013), limitato, in particolare, a I giorni dell’anima (1995) e Respiro dell’Erba/Voce delle Rocce (2001). I giorni dell’anima, è vero, racchiude ben cinque precedenti lavori del poeta molisano, ma

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l’investigazione risulta sempre parziale, sia perché non abbraccia tutta la poesia, sia perché ignora completamente la prosa. Vincenzo Rossi è poeta narrativo ed egli stesso riconosceva che nei suoi romanzi esiste più poesia che nei suoi stessi versi: “sono convinto che in molte pagine della mia narrativa c’è poesia più alta di quella che ho espresso nei versi”, confessava, in una intervista, ad Amerigo Iannacone. Molti i temi cantati da Rossi, anche se tutti ancorati al mondo agricolo-pastorale e ai monti del suo Molise, sicché potremmo definirlo un poeta e uno scrittore fermentato dalla ecologia. ”Nelle sue sillogi non c’è un filo conduttore – afferma la Tognacci -, ma una unità tematica divisa in nuclei: la memoria, l’amore per la terra e per tutte le creature, l’amore per la donna, il senso del mistero della vita e della morte, il tema del distacco”; e la “unità tematica” è proprio l’intimo trasporto verso la Natura. Per Vincenzo Rossi la poesia è libertà e non soltanto dello spirito e gli esseri più vicini alla vera libertà sono gli animali; da ciò la loro difesa nel lottare contro tutti coloro che gli animali oltraggiano e uccidono (“detesto – scrive rivolgendosi a Garcia Lorca – il clamore delle tue corride”) e il circondarsi di loro, il considerarli come figli; i suoi cani Lola, Ercole, Garibaldi, per esempio, vengono assunti a veri protagonisti dei suoi romanzi, dando a essi la parola, gli atteggiamenti, i pensieri, le meditazioni che sono prerogativa dell’uomo. Siamo in presenza, cioè, di ciò che la Tognacci definisce giustamente antropomorfismo. Negli ultimi anni, Vincenzo Rossi s’era praticamente asserragliato nella sua casa di Cerro al Volturno, quasi ritornando all’origine, a quando, fanciullo, aveva vissuto portando al pascolo gli animali; ma poi ha studiato, è stato per anni a contatto con gli allievi, ha frequentato città, ha partecipato alle lotte per rendere più giusto e civile il consorzio umano, con gli scritti e l’azione, “convinto che la poesia e l’arte debbano orientare positivamente l’uomo nel magma degli attuali eventi e nei rapidi cambiamenti della vita sociale”. Sebbene, come afferma la Tognacci, Rossi non sia “ascrivibile a nessuna corrente letteraria”, innegabile in lui è l’ascendenza dannunziana: “Quale fiume/mi porta stasera belati/tra macchie di giunchi/muggiti…”; “Ho risentito le tortore/nel bosco di tigli colorato/dai venti dell’aurora/e un’altra pietra scendere/sulle mie curve spalle”. Inutile nasconderlo: è lo stesso virente canto, quasi lo steso panico, anche se la Tognacci non è d’accordo. Quello del Rossi è un invito continuo “a rallentare i ritmi frenetici causati anche dal progresso


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tecnologico, che offre rapidamente cose nuove” quanto effimere e “con la sua vita - conclude la Tognacci – e coi suoi scritti, ci ha dimostrato che è necessario crearsi momenti di silenzio per mettersi in ascolto della nostra storia personale”, e, in ciò, lontano certamente dal D’Annunzio, il quale ha sempre cercato di vivere sopra le righe. Domenico Defelice

CARLO TRIMARCHI UN TITOLO QUALUNQUE Grafica di copertina e Nota introduttiva dello stesso Autore. Il Convivio Editore, 2021, pagg. 96, € 12,00 Una raccolta di versi, o di prosa? Tutti e due gli aspetti, diremmo. Abbiamo avuto il piacere di conoscere il giovane Carlo Trimarchi, di chiacchierare un po’ con lui e con lui anche discutere via e-mail su temi e aspetti presenti in questa silloge. In più: sulle pagine di Pomezia-Notizie gli abbiamo pubblicato qualche elaborato – presenti, in questa raccolta: “Aspettando”, “Auguri mamma”, “Muri di cemento”, “Disperso”; espunta, invece, “La banda de cojoni” e non ne sappiamo il motivo, forse perché, per ben sei volte, vi appare, oltre che nel titolo, il termine efficace quanto schietto per indicare un gruppo di cretini. Noi, la poesia, l’avremmo accolta come specchio del suo carattere deciso e solare, che non si lascia irretire e abbindolare, e perché la voce è entrata ormai da tempo nel linguaggio corrente, colorita ed efficace per indicare l’irritazione, l’esasperazione e la voglia irrefrenabile di allontanare qualcuno, toglierselo dai piedi, perché persona imbecille, minchione, coglionazzo (Dizionario di Italiano, La Biblioteca di Repubblica). Carattere, quello di Carlo Trimarchi che, in fin dei conti, apprezziamo, perché è giusto che si rimanga rigidi e inossidabili finché non ci sia una vera e inconfutabile ragione a farlo mutare. Per adesso, egli è talmente sicuro del suo pensiero da non seguire consigli, come la nostra correzione di “per dirle” – il riferimento è a donna - al verso decimo di “Aspettando”, al posto del “per dirgli”, da lui confermato a pagina 26 di questa raccolta; o come “Ello” – inizio verso nono di “Muri di cemento”, da noi corretto con “Egli”, ma da lui confermato a pagina 23, con l’idea – come egli stesso afferma nella Nota introduttiva - che “Ello” e simili “sono lussi che l’autore (…) si possa concedere per aggiungere sfumature e suoni che rendano tutta l’opera più confortevole”. “Purtroppo – egli ci confessava il 9

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maggio 2016 – sono cocciuto, lo ammetto. Normalmente faccio le cose a modo mio, mettendoci cuore e anima, sperando che piacciano.” “…la forma va curata, ed io non sono abbastanza disposto”. Insomma, un libro casino - che, si sa, significa caos -, specchio, emblema del mondo specialmente attuale: “ed in mezzo a tutto sto casino ci sei tu – ci avverte il poeta -, che vieni sovrastato dalla folla e che vieni schiacciato dal peso dell’ignoranza”. Né ci son metri che egli rispetti e non sembra neppure che vada alla ricerca della rima; il suo essendo un ritmo cantante, spontaneo, da canzone leggera e di protesta, ma fluido, sciolto, orecchiabile, alla Fabrizio De André più che alla Bob Dylan. Già, la musica, che pur non avendo parole, più della parola parla e dice; “la musica ti capisce senza farti domande – scrive Trimarchi -, la musica non ha bisogno di niente, se non che tu chiuda gli occhi e la stia a sentire”. Tanti i temi e, a volte, mettono i brividi per la crudezza con la quale vengono raccontati. C’è, prima di tutti, l’amore, una vera sorpresa, perché narrato senza neppure una volgarità; c’è il miscuglio della lingua e del dialetto; c’è la solitudine in cui son costretti a vivere coloro che vogliono primeggiare, destinati a non avere mai alcuno che li affianchi nel loro difficile cammino; ci sono i fantasmi che assillano la nostra era tecnologica e che hanno “origine nella nostra mente” incapace a star dietro ai tanti e repentini cambiamenti; c’è il desiderio di un mondo che viva nell’onestà e nella chiarezza: un autentico sogno, ma è nel rincorrere una tale utopia che, pur sapendoli frutto solo dell’inconscio, il poeta guarda con ammirazione ai Titani ed ad altre figure del genere, “esseri perfetti” del mondo dei miti, della fantasia, della fantascienza, dei cartoni animati e dei fumetti, ai quali si richiamano molti degli elaborati; c’è l’incomprensione, c’è l’incomunicabilità, sebbene si viva, ormai tutti connessi, e ce la falsa libertà. Un libro che si apprezza solo se non si sta dietro alla grammatica, all’analisi logica, alla sintassi, alla metrica, alle tante regole che incatenano e imbrigliano. Se non è Futurismo – e non lo è -, un poco gli somiglia; Filippo Tommaso Marinetti, infatti, affermava che il poeta “ha il dovere di esprimere se stesso e di rappresentare la realtà come la vede e la sente, con tutta sincerità, con il calore ed il valore dell’anima sua”. Trimarchi afferma che, a suo parere, “La poesia più importante”, anzi la più “stupenda”, sia “Le ombre nel buio”. Sarà; il brano, però, che noi ap-


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prezziamo di più è “Aspettando”, per intensità, pathos, ritmo, racconto e con un finale che può avere più sbocchi: una vera e propria canzone (se già non lo sia) e con tanto di ritornello (“È triste e non può farne a meno,/si è fatta male dopo ogni caduta”. Domenico Defelice

GIANNICOLA CECCAROSSI A MANCARE È IL TUO CANTO Ibiskos Ulivieri Editore, 2021, Pagg 43, € 12,00 “Uno splendido canto dell’Assenza è questo breve fascio di liriche di Giannicola Ceccarossi. Un dolcissimo inno intriso di mestizia e di nostalgia. Elevato a una figura venerata e rimpianta quant’altre mai: la madre”. Così introduce il florilegio di poesie Marina Caracciolo. Quanto è importante una madre e quanto peso ha la sua assenza nella vita di un figlio? La risposta è tra i delicati versi del poeta torinese, la cui sensibilità risulta particolarmente profonda in questo suo ultimo lavoro. Alda Merini scriveva: “La sensibilità non è donna, la sensibilità è umana. Quando la trovi in un uomo diventa poesia”. E questo è il caso di Giannicola, che abbiamo imparato ad apprezzare per la sua sincerità appassionata verso l’arte, verso la donna e verso la poesia. È un uomo che è stato amato dai suoi genitori, in particolare dalla mamma Giovanna, dalla moglie Patrizia e questo sentimento trasferito nella poesia diviene simbolo positivo di ciò che deve essere un compagno e un figlio. In questo momento così particolarmente negativo per le relazioni affettive, in cui le donne divengono oggetti da schiavizzare o uccidere, i suoi versi risuonano come un grido delicato: “Eri tu quel cielo immacolato/che azzurrava il cuore! […] Tu sei fumido ruscello/che nello sguardo mi coglie” Grande è il vuoto che la mamma ha lasciato nella sua vita, tanto che il poeta aspetta di poterla rincontrare ed è nel silenzio che attende. Il silenzio che tutto placa, che tutto smorza e che riveste di sacralità: “Nell’aria ho lasciato i rimpianti/e nessuno riaprirà il silenzio […] A darmi risposte/ è solo il silenzio/ La tua voce/ s’è dispersa nelle pietraie”. Lo stile è elegante, la punteggiatura è assente, non vi sono titoli a introdurre le liriche; il ritmo delle parole crea un verso sfumato dalla nostalgia, nella quale il Ceccarossi si abbandona. Ascoltavo le tue favole ma tanto m’ha preso la morte che nulla più è nel cuore, purtroppo la morte ha portato via per sempre Giovanna e al poeta non

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rimane altro che vivere l’illusione di ritrovarla ancora. Manuela Mazzola

MARIA TERESA INFANTE EXTREMA RATIO Genesi Editice, 2021, Pagg 105, € 11,00

Extrema Ratio, espressione latina che vuol dire ultima soluzione, estremo rimedio a cui si ricorre quando non vi sono altre vie d’uscita. È forse l’ultima soluzione, la più dolorosa. La dedica iniziale è alla vita che fugge senza sapere dove andare. Sembra essere un colloquio con la vita che non è sempre stata all’altezza delle aspettative. La cosa certa, per l’autrice, è che la poesia è la sua verità: “Questa sera non scriverò poesie mentirò per lasciarvi gioire. […] Le maschere non hanno volto/ quando scomponi gli occhi/ e più non sai dell’abito che indosso […] Il nostro inferno è dentro/fuori è festa”. Appare chiaro che Maria Teresa rimproveri alla vita tante mancanze, tante assenze: “Pensavi che le spalle-mie/ potessero sopportare più del dovuto/ e non mi vedevi quando ero nuda/ davvero”. Dubbi e domande poste a una compagna silenziosa: “Nel pieno delle mie facoltà/ barattai la mente/ con una spremuta di cuore/ al limone. […] Ci sono stata in quella casa in cui le geografie cambiavano direzione e il giorno non sapeva da che parte entrare. Io che sedevo ogni volta su quella sedia rimasta vuota fino al mio ritorno”. La poetessa propone una visione destrutturata della realtà che lei stessa ha vissuto e che vive tuttora. Discorsi che paiono illogici, ma che hanno una loro linearità poetica, un dialogo con la vita, con se stessa, con quella che era e non è più, con quella che è oggi e non sarà più domani. Un gioco affascinante di versi che vibrano nell’unicità di un atto poetico. “La poesia di Maria Teresa Infante consiste in una ricognizione di carattere sostanzialmente psicologico delle possibilità denotative e interpretative della parola poetica. Tra i versi affiorano principalmente paesaggi mentali, percorsi logici e ancora di più camminamenti impervi e analogici, arditi collegamenti e scontate rime, con inopinate assonanze e calamitate armonie”, precisa, infatti, Sandro Gros-Pietro nella prefazione. Il florilegio ha vinto il premio I Murazzi per l’inedito 2020, Dignità di Stampa Poesia e nella motivazione la giuria ha scritto che è un tentativo


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pienamente riuscito di dimostrazione delle possibilità esplorative della poesia borderline lungo una rotta di interpretazione delle connessioni tra la psicologia della mente umana e la realtà delle cose. Manuela Mazzola

A cura di VANNA CORVESE INVISIBILI FILI L’Aperia Società Editrice, 2021, Pagg. 79 Il volume nasce da un laboratorio di lettura e scrittura creativa, iniziato nel 2006 nella sezione casertana della Associazione AUSER, da un’idea di Vanna Corvese, la quale ha curato anche questa raccolta. Gli autori che ne fanno parte sono: Silvana Cefarelli, Anna Cimicata, Vanna Corvese, Salvatore D’Ambrosio, Maria Luisa De Camillis, Anna Maria Guarriello, Pasquale Lombardi, Tiberio Madonna, Rosanna Marina Russo e Marina Sirianni. Le poesie sono state composte durante la pandemia, infatti, nella premessa la Corvese scrive: “I fili invisibili della poesia si sono intrecciati negli incontri virtuali. I messaggi online hanno formato una rete che ci ha protetti dallo sconforto e dalla paura, rinsaldando la nostra amicizia e nello stesso tempo rispecchiando, con varietà di registri e di temi, la gioia, la tristezza e l’attesa delle lunghe giornate di clausura”. Durante la prima chiusura, la Corvese componeva Incontri virtuali: “Nel silenzio/ ho per compagna la malinconia./ Poi riprendo la vita/ e lentamente leggo una poesia,/ mentre il gatto di casa/ sta in grembo, addormentato./ Forse sogna felici inseguimenti/ e un incontro sul prato”. Mentre Salvatore D’Ambrosio scriveva la poesia Senza titolo 2: “Che farò/ Quando tutti i semi della terra/saranno inariditi/ E nessun albero/ Tenderà più rami/verso l’alto/ E il grembo della terra freddo/Partorirà solo pietre?/ Si ricomincerà/ Forse”. I versi raccontano di una solitudine costretta dalle circostanze e il conseguente sconforto dovuto dalle impressionanti notizie e immagini che arrivavano nelle case per le innumerevoli morti. Vite che cadevano come foglie dagli alberi, senza conforto, senza l’abbraccio di un familiare; la perdita del ritmo tra il sonno e la veglia; stati di ansia dovuti all’impossibilità di uscire, ma anche il senso di precarietà, l’attesa di un cambiamento che si prorogava nel tempo e la preoccupazione per il futuro di tutto il mondo. E, così, i poeti dell’associazione AUSER si sono stretti nella loro amicizia e hanno reagito attraverso

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l’atto poetico, I fili della rete digitale si intrecciano nella molteplice comunicazione, convergendo verso la luce della poesia, che è al centro dell’immagine di copertina, opera di Beatrice Squeglia. Manuela Mazzola

REGALATEVI E REGALATE PER NATALE È in libreria, ma può essere acquistato anche su internet: “…Nell’immediato si potrebbe pensare ad un catalogo d’arte. Ed in parte lo è! Ma, sfogliandone le patinate pagine ci s’imbatte, invece, in qualcosa di completamente diverso. (…) possiamo leggere uno studio approfondito che il Defelice ha, semplicemente, chiamato: “Pittore dell’anima”. Ripercorrendo la formazione dello stesso (…) giunge ad avocarne le trame più intime di un “concreto artista del pennello” che lascerà il segno nel mondo dell’arte pittorica italiana ed oltre” Marcello Falletti di Villafalletto Su: L’Eracliano, aprile-giugno 2021


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PAOLO ALBERTO VALENTI BOCCADASSE Edizioni Cofine, 2021, Pagg 120, € 15,00 Boccadasse è il quartiere di Genova dove è nato Paolo Alberto Valenti, giornalista e scrittore. Ed è proprio da quell’angolo dell’Italia che parte il viaggio narrativo, ma anche esistenziale, in cui lo spazio e il tempo non seguono i consueti canoni. L’autore ha ripercorso il passato, cercando di ricostruire una memoria sia delle proprie vicende sia del proprio paese. Nella nota introduttiva si legge: “Il testo è totalmente estraneo a qualunque riduzione regionalistica: per Paolo Valenti il riferimento alla terra “madre” scaturisce da ragioni squisitamente spirituali; esso è anzi prova (se ce ne fosse ancora bisogno) che la validità di una cultura – anche geograficamente definibile – risiede principalmente nel suo valore universale e quindi nella sua capacità di aderire al destino di ogni essere umano, ovunque e in ogni tempo”. È, dunque, la storia di una famiglia da cui si dipanano diverse strade collegate sempre al loro amato paese, ossia l’Italia, che però viene da loro abbandonata. La prima parte del volume contiene il romanzo, la seconda l’appendice con documenti, lettere, fotografie della famiglia, l’ultima intervista al poeta Giorgio Caproni e il racconto La campana del mattutino dell’amata madre, Maria Luigia Ronco. Tra

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le pagine, però, vi è molto di più, come scrive, di fatti, il Valenti: “Ma dopo tutti questi chilometri (sempre diversi e tutti uguali) appare allo sbocco della notte qualcosa, c’è un centro e questo centro è una piazza e le piazze e le strade si rincorrono un po’ ovunque ma il viaggio, il senso del viaggio, il vero viaggio, il culmine di qualunque viaggio non è solo il viaggio in sé ma è raggiungere con una località uno scopo, qualcosa che è un terminal un assoluto, un fulcro. Forse soltanto il punctum luminoso (numinoso) delle cose mentre gli esseri dileguano come astri distanti”. Il viaggio, che lo scrittore ha intrapreso, è stato lungo e gli auguriamo di fare ancora tanta strada. Forse, però, il suo fulcro lo ha raggiunto proprio dove vive ora e cioè a Lione, luogo di confine e di fusione dell’Europa stessa da cui ha potuto scrivere, tirando le fila di una vita. L’autore, nato a Genova nel 1959, è dal 1995 journalist/producer della televisione europea Euronews a Lione (Francia). Nel 2006 ha vinto il Riconoscimento Speciale della Giuria della 41ª edizione dei Premi SaintVincent di giornalismo in qualità di fondatore dell’associazione di diritto francese ClubMediaItalie (già ClubMediaFrance), emanazione nell’area francofona europea della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Dal 2010 fa parte della Riserva Selezionata dell’Esercito Italiano. Nel 2014 ha pubblicato Tutto il fuoco del mondo (Viaggio di un riservista in Afghanistan tra fantasmi, polvere e morte), Armando Editore. Manuela Mazzola

GIARDINO SEGRETO Noi la manina che cercava il seno la seta dei foulard il cuoio profumato delle borse la nicotina che anneriva il dito l’odore di stampa del quotidiano tra le mani. Noi cresciuti dentro parole della vita vera abbiamo un giardino segreto fatto di terra che non sporca mai le mani


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ma che vive e resiste ancora anche sotto la grandine nemica. Salvatore D’Ambrosio Caserta

UN VASTO PANORAMA Esploro il mio vissuto, per contemplare un vasto panorama, ferma su un alto poggio. Vedo precise zone illuminate sopra un mare di nebbia. Vorrei sfumare i grumi dell’oblio, vorrei trovare agganci per riscoprire i giorni confluiti nel magma del passato. Elisabetta Di Iaconi Roma

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a confessarmi, e tu mi ascolterai nel tuo silenzio, con lo stormire lieve di fronde: “Albero, amico mio!” Wilma Minotti Cerini 21/10/2021

Poesie di

ZHANG ZHUOYUE [中国重庆]张卓阅 囚禁(外二首) 所有人 都被永恒的钟声 囚禁于大地之上

SÌ, SONO CORAGGIOSA

或许只有某个疯子

Ho attraversato intere paludi nella mia vita, ho ammansito le belve, sono persona da circo equestre!

哦,不,盲人

Ho fatto della mia vita un orologio impazzito i minuti come ore le ore interminabili minuti.

可以触摸到 那无声的天籁之音 2021年6月27日于陪都

无题 Ho inondato un fiume in secca con le mie lacrime, ho pianto da bambina sino ad adulta senza ritegno. Sul fiume ora veleggiano leggiadre barche a vela e sono tornate le libellule.

药物 只是用来欺骗死神 但人们 却忘记了 妈妈说过的话

Mi sono confortata come ho potuto ma la propria voce non ha presa come la voce d’altri consolante. Come al solito verrò da te

2021年7月1日

感恩


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树木感恩斧斤 韭菜感恩镰刀

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Happiness gratitude suffering

飞鸟感恩子弹

October 1, 2021 (Translated by MA Tingting)

奴隶感恩皮鞭

作者简介:

囚犯感恩牢狱 幸福感恩苦难 2021年10月1日

[Chongqing, China] ZHANG Zhuoyue Imprisonment (and other two poems) All the people By the eternal bells have been imprisoned on the earth Perhaps only some lunatic Oh, no, some blind man Can touch The silent sound of nature written in Chongqing on 27th June, 2021

The Untitled Medicine is Only used to deceive Death But people forget What mum has said 1st July, 2021

Gratitude The trees gratitude axe Leeks gratitude sickle Birds gratitude bullet Slave gratitude whip Prisoners’ gratitude jail

张卓阅,2011年1月6日出生于中国重庆 市。热爱写作、跆拳道、编程和音乐。现为 重庆江北区新村实验小学五年级学生。

About the author: ZHANG Zhuoyue was born on January 6, 2011 in Chongqing City, China. He loves writing, taekwondo, programming and music. He is now a fifth grade student in Xincun Experimental Primary School, Jiangbei District, Chongqing City.


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D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE L’architetto-artista Giovanni Ronzoni e dodici poetesse alla XIII Florence Biennale 2021 - Il 23 ottobre 2021 a Firenze è stata inaugurata la XIII edizione Florence Biennale, Mostra internazionale di Arte contemporanea e Design, presso Fortezza da Basso. La Biennale, aperta al pubblico fino al 31 ottobre, ha ospitato al Padiglione Cavaniglia lo special concept curato da Fortunato D’Amico con le installazioni di oltre sessanta artisti, selezionati in chiave interdisciplinare e multiculturale con opere individuali e collettive, sul tema della mostra: Eternal Feminine - Eternal Change. Concepts of Femininity in Contemporay Art and Design. “Il Femminino è stato inteso come concetto

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trasversale – dice D’Amico – interpretato per dare volto a indagini artistiche sensibili alle tematiche sociali, ambientali, economiche, esplorato da punti di vista differenti, rilevati nel largo panorama espressivo delle arti. Riflessioni urgenti sulla condizione contemporanea della Grande Madre, un pianeta Terra collassato sotto la pressione dell’inquinamento e della cattiva gestione delle risorse, oltre che di una democrazia decadente, in epoca caratterizzata da economie ed epidemie globalizzate – aggiunge il curatore. Tra le proposte trattate da performer, fotografi, pittori, scultori, designer, architetti, musicisti, poeti, video maker emergono le problematiche legate all’universo femminile alle soglie del terzo millennio, alle differenze culturali e di genere e alla questione LGBTQ. Ospiti d’onore anche Sara Conforti, Fabio Novembre, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, Max Casacci dei Subsonica e Alfredo Rapetti Mogol. Tra i progetti speciali, la performance dell’architetto Giovanni Ronzoni “Voi… prigioniere nel bosco delle innocenze” – uno spazio circolare sulla platea di circa nove metri di diametro, dove sono stati collocati dodici “massi” che riportano altrettante poesie di dodici poetesse, a tema. I massi sono realizzati con carta da pacco bianca da circa cm. 150 x 100 cad., scritti a mano dall’artista con colore rosso, posizionati in modo circolare, come fossero ore che scandiscono il tempo. Nella centralità, nucleo connettivo/visivo e quinta dialogante con i “massi” è posta l’installazione dal titolo “Il bosco delle innocenze” (270 x 300 x 60 cm). Tale manufatto è composto da varie essenze lignee con cento tronchi/rami di dimensioni 5/6 cm di raggio, contaminati di vernice lucida rosso sangue, alle estremità superiori, lasciandola percolare. Una sorta di rimando alla “violenza” contro deturpamenti boschivi e forestali nel mondo, patrimonio ineluttabile dell’umanità. Durante la performance le poetesse, vestite di un “vello” bianco con “strappo” in corrispondenza della bocca, a piedi nudi, dopo una


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breve camminata in gruppo, si posizionano stabili ognuna ai piedi del “masso” su cui è scritta la rispettiva lirica, ponendosi in cerchio, come una sorta di “menhir parlanti” testimoni del verbo “scritto”. Dopo il tocco di una campana tibetana, ritmicamente a seguire declamano le liriche per poi, alla fine, ricomporsi e allontanarsi lasciando nell’aria l’emozione della Parola. Le poetesse che hanno aderito al progetto, provenienti da varie regioni della penisola, sono: Teresa Cacciatore, Maria Benedetta Cerro, Maria Teresa Infante, Marialisa Leone, Elisa Longo, Helena Malachova, Paola Massoni, Emanuela Parodi, Daniela Pellegrini, Barbara Rabita, Serena Rossi, Anna Maria Scopa. Giovanni Ronzoni, artista dell’installazione, ideatore e curatore della performance poetica, nasce il 5 dicembre 1952 a Lissone (MB), si laurea presso la Facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Nel 1980 fonda il suo Atelier di architettura, rilevando un vecchio capannone industriale. Ha firmato numerosi progetti, residenziali, commerciali, pubblici e nel design. Il suo segno minimalista è ben riconoscibile, da sempre provocatorio e teso alla poetica e all’essenzialità. Personalità poliedrica unita a inesauribile creatività si avvicina negli anni ad altre discipline quali la grafica, la fotografia, la pittura, la scultura, la poesia e la poesia visuale. Tutti questi linguaggi diventano sintesi per dare forma e voce al suo pensiero. Maria Teresa Infante *** MARINA CARACCIOLO PREMIATA ALLA LOCANDA DEL DOGE - apprendiamo che domenica 24 ottobre, per il suo libro "Verso lontani orizzonti", la nostra collaboratrice Marina Caracciolo ha ricevuto il Premio della Critica Locanda del Doge 2021 nella bellissima Rotonda della Beata Vergine del Soccorso a Rovigo. Presenti la Presidente, scrittrice Angioletta Masiero, e note autorità della cultura e della politica. La cerimonia è stata integralmente trasmessa su YouTube. Ci complimentiamo con la cara

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Amica. *** LA VITA - La vita, dicono, diciamo, è eterna: di ciò non possiamo dubitarne. E' eterna per gli uomini, per le bestie, per le piante. Essa, comunque, lo è per sé, per sé sola. Infatti s'insinua in tutti gli esseri viventi che, poi, chi prima chi dopo, lascia per deporli nelle mani della morte. L'uomo è cosciente di ciò, però va avanti, cerca di progredire ugualmente, lotta fino alla fine finché essa, la vita, esce da lui e lo pone fra le braccia della morte. Allora, come definire l'uomo? Che dire della sua precarietà? Antonia Izzi Rufo *** ROSARIA DI DONATO ALLA CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE - Il 26 novembre, alle ore sedici, presso la Casa Internazionale delle Donne, in via della Lungara 19, Roma, la Mostra “Sguardo di Donna” ha presentato il volume di Rosaria di Donato Preghiera in gennaio. Relatrice, Lucianna Argentino. L’opera, prefazionata da Marzia Alunni, con Postfazione di Lucianna Argentino, è stata edita (2021) da Macobar. *** ADDIO A ZIA IOLANDA – Il 10 novembre è morta Iolanda Volpacchio in Canestri,


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zia, per parte della moglie, del nostro Direttore. I funerali si sono tenuti a Grottaferrata, alle 15,30 di venerdì 12. Era nata a Mirabello Sannitico, in provincia di Campobasso, il 21 novembre del 1936. Al marito Bruno Canestri, ai figli Andrea, Lucia e Roberto, ai nipoti, ai parenti tutti, le nostre più sentite condoglianze. Ecco quanto dichiarato da Lucia Canestri: “Quando ci siamo conosciute io non ero tua figlia e tu non eri mia madre, non ancora. Lo siamo diventate giorno dopo giorno, un passo alla volta, in un percorso lungo e non sempre facile. A volte non ci siamo capite, a volte ci siamo contestate anche duramente, a volte non riuscivamo proprio a parlarci. Ma non ho mai smesso di ammirare la tua forza e il tuo coraggio e soprattutto la dignità con

cui hai sempre vissuto. Poi sono diventata madre anch’io e ho capito tanto, molto di più di te e di me, e siamo tornate ad ascoltarci, confidarci, a consigliarci. Queste ultime settimane sono state durissime, piene di dolore e sofferenza, soprattutto per te, ma abbiamo avuto l’intimità e la tenerezza che in passato non eravamo mai riuscite a dimostrarci. Ora forse come dice Papà sei in viaggio verso stelle lontane. Ma se, come penso, per te ora tempo e spazio non contano più, resta qui vicina e continua quel percorso al mio fianco.

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Abbiamo tanto bisogno di te come figli e soprattutto come genitori, vogliamo che i tuoi nipoti diventino belli, forti e liberi come te. Cia Mamma.” Andrea e Lucia sono figli avuti da Bruno Canestri dalla prima moglie, morta di parto; egli, poi, ha conosciuto Iolanda Volpacchio insegnante alla Scuola Materna frequentata da Lucia bambina. Ed ecco quanto espresso dal figlio Roberto Canestri: “Cara Mamma, ci siamo, quello che temevo da sempre, da quando ero bambino, è arrivato. Tu non ci sei più. E il mio cuore è spezzato. Non credo ci sia un’età in cui si sia più o meno pronti per una perdita così, forse si può essere più o meno preparati, ma non pronti. Io, comunque, non lo ero, non lo sono. Avevi un carattere forte, determinato, che a chi non ti conosceva bene poteva sembrare a volte un po’ rude, ma avevi un cuore grande, immenso. Passeggiando con te per Grottaferrata era facile ritrovarlo nei tanti adulti che ti salutavano “Ciao Maestra”, indicando con orgoglio ai propri figli la persona che li aveva accolti alla scuola materna molti anni prima e che ti ricordavano ancora con tanto affetto. Ci mancherai immensamente, Mamma. La tua assenza sarà enorme, proprio come la tua presenza nelle nostre vite è sempre stata piena e costante. E questo adesso mi spa-


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venta. So però che quella forza e determinazione che avevi le hai trasmesse a noi, con i tuoi insegnamenti ed il tuo amore, ciò che spero di riuscire a fare con i miei figli. E so anche che continuerai a vegliare su di noi da Lassù, così non ci sentiremo mai soli. Ti voglio bene, ciao Mamma”.

REGALATEVI E REGALATE PER NATALE “Ho letto golosamente e con una certa emozione i ventuno racconti che compongono questo libro. Racconti di vario contenuto, tutti contrassegnati dalla grande efficacia narrativa di Domenico Defelice. Quest’uomo dai toni sommessi e quasi umbratili, così come minimalista è il titolo dell’interessante rivista ch’egli dirige (Pomezia-Notizie), è in realtà un autore di grande forza espressiva e di vivezza rappresentativa che cattura e coinvolge il lettore” Corrado Calabrò

In libreria, ma può essere acquistato anche su Internet

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LIBRI RICEVUTI IMPERIA TOGNACCI – Volli, e volli sempre… La speculazione estetica e simbolica nella poesia di Vincenzo Rossi – Postfazione di Francesco D’Episcopo; Genesi Editrice, 2021, pagg. 84, € 15,00. Imperia TOGNACCI è nata a San Mauro Pascoli. Vive a Roma, dove si è dedicata all’insegnamento. Sempre lusinghieri gli apprezzamenti sulle sue opere da parte di critici di chiara fama. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi nazionali ed internazionali. È inserita in testi di storia della letteratura, di critica letteraria e in numerose antologie, ed è stata recensita su Riviste letterarie, quotidiani e periodici. Ha pubblicato, tra poesia, romanzi, saggi: “Traiettoria di una stelo” (2001), “Giovanni Pascoli, la strada della memoria” (2002), “Non dire mai cosa sarà domani” (2002), “La notte di Getsemani” (2004), “Natale a Zollara” (2005), “Odissea pascoliana” (2006), “La porta socchiusa” (2007), “Il prigioniero di Ushuaia” (2008), “L’ombra della madre” (2009), “Il lago e il tempo” (2010), “Il richiamo di Orfeo” (2011), “Nel bosco, sulle orme del pastore” (2012), “Là, dove pioveva la manna” (2015), Anime al bivio (2017), Il prigioniero di Ushuaia/El prisionero de Ushuaia (2021). Nel 2014, Luigi De Rosa pubblica il volume “Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa. Saggio monografico sull’opera della poetessa e narratrice di San Mauro Pascoli”. È presente in Antologie, Dizionari ontologici, Rassegne di critica e Storie della letteratura contemporanea. Numerosissimi e importanti i Premi. ** CARLO TRIMARCHI – Un titolo qualunque – Poesie, nota introduttiva dello stesso Autore – Il Convivio Editore, 2021, pagg. 96, € 12,00 – Riportiamo dalla quarta di copertina (di certo dovuta all’Editore Giuseppe Manitta): “Carlo Trimarchi racchiude in questa raccolta una parte sostanziale della sua produzione, varia per stile e per temi, la quale rappresenta una incessante ricerca verso una


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propria voce e una propria poetica, affrontando temi più o meno consueti, sentimenti, passioni, in pratica la dialettica dell’esistenza. Un titolo qualunque, dunque, da dare a poesie che non sono qualunquistiche, ma che cercano in ogni singola parola un modo di leggere se stessi e il mondo”. Carlo TRIMARCHI è nato a Roma nel 1997; lavora nel mondo dell’informatica e della tecnologia, con il sogno di aprire una sua azienda riguardo lo sviluppo di videogiochi, una passione che coltiva dall’infanzia. La poesia è l’espressione del pensiero di una vita, vista da altri occhi. ** AA. VV. – La pittura di Andrea Bonanno e la critica – Serie I Quaderni “LPA” di saggistica dell’Archivio “Luigi Pirandello”, seconda edizione, on line, Sacile (PN), 2019, pagg. 70. Interventi di: Luigi Galli, Leonardo Selvaggi, Domenico Cara, Alberto Sandron, Emanuela Moro, Vinicio Saviantoni, Giuseppe Perciasepe, Giorgio Borio, Gaetano Natale Spadaro, Felice Ballero, Anna Maria Scheible, Emilio Parrella, Paolo Volpi, Mirella Occhipinti, Mauro Donini, Luciana Piroli, Giovanna Modica, Carlo Occhipinti, Carlo Ghembri, Carlo Z. Adami, Rino Boccaccini, Nello Biondi, Antonio Caggiano. Andrea BONANNO, nato a Menfi (Ag), risiede e lavora a Sacile (Pn). Ha iniziato ad esporre all’età di 16 anni in una mostra, vincendo il primo premio e, fin dal 1966, è stato presente a livello nazionale, con partecipazioni a molte rassegne che lo vedono vincere molti premi. Pittore e scrittore svolge da anni un’ intensa attività pittorica e letteraria, spaziando dalla poesia alla critica d’arte e di letteratura, partecipando a molte manifestazioni nazionali ed internazionali e ottenendo lusinghieri consensi ed importanti riconoscimenti tra i quali: “Artista dell’anno”, Milano 1988; 1° Premio ‘Giorgio Vasari’, 1989; 1° Premio Internazionale “Artisti per l’ Europa, I Grandi dell’Arte Italiana”, La Spezia, 1990; 1° Premio della critica “I Geni dell’Arte”, Salsomaggiore Terme. Nel 1988 è stato nominato “Professore d’Arte Onorario” della scuola di Storia dell’Arte <<Giorgio Morandi>> di Fidenza (Parma), in

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riconoscimento dei meriti culturali conseguiti per la sua attività artistica e del rilevante contributo dato dal suo operato allo sviluppo della cultura italiana. Infatti la sua produzione artistica si è distinta per un’altissima capacità di ricerca ed una qualità tecnica professionale ed artistica non comuni le quali, accompagnate dall’impegno culturale con cui ha da sempre operato, hanno consentito all’Artista di conquistare una posizione di primo piano nel mondo e nella cultura dell’Arte contemporanea. Collaboratore di svariate riviste e periodici, è autore di diversi volumi ancora inediti. Nell’ambito della critica letteraria, sua è la nuova ipotesi della “verifica trascendentale” per la lettura critica di opere letterarie e pittoriche, intesa quale via metodologica riflessivoverificale per la ricerca e la fondazione di un’unitarietà psicologica e trascendentale (sovrapersonale) dell’anima dell’uomo. Ha fatto parte della redazione della rivista “L’Involucro”, dal novembre 1994 fino al luglio del 1997, anno della morte del direttore Pietro Terminelli, che ha segnato pure la fine della storica rivista letteraria, pubblicando il commento alle 21 liriche de “Lo schiaccianoci” dello stesso. Tra i suoi volumi pubblicati, si ricordano: “Le Poesie di Ferruccio Brugnaro” (2001), “Saggi sulla poesia di Maria Grazia Lenisa” (2003), “Saffo chimera di Maria Grazia Lenisa” (2005), “Poeti contemporanei per la “Verifica trascendentale”” (2007), “L’arte deviata - Otto Biennali di Venezia ed altri saggi” (2010), “Il romanzo e la Verifica trascendentale” (2011), “Van Gogh e la pittura “verificale”” (2016). Tra le firme che si sono interessati di lui: Beniamino Vizzini, Antonio Magnifico, Mariella Risi, Silvio Vitale, Giovanni Ianuale, Giovanni De Noia, Domenico Defelice, Anna Rita Zara, Andrea Ovcinnicoff, Carmine Manzi, Nicola Venanzi, Saverio Severi, Salvatore Porcu, Mario Meozzi, Lucio Zinna, G. P. Tonon, Silvana Folliero, Pietro Mirabile, Nunzio Menna, Mauro Donini, Tito Cauchi, G. Luongo Bartolini, Giovanni Cristini, Alex De Nardo, V. Gasparro, Dino Papetti, Domenico Cara, Daniele Giancane, Antonio De Marchi-Gherini, Sandro Bongiani,


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Guerino d’Alessandro, A. Sandron, Gianluca Bocchinfuso, Gianna Sallustio, Giulio Palumbo, Giuseppe Bonaviri, Giuseppe Perciasepe, Rino Giacone, Carla Fiorino, Guido Cecchi, Alberto Cappi, Franca Alaimo, Italo Tomassoni, Luciano Cherchi, Giovanna Modica, Demetrio Paparoni, Carmelo R. Viola, Giorgio Di Genova, Luigi Galli, Vittoriano Esposito, Giovanni Amodio, Giorgio Saviane, Maria Grazia Lenisa, Pietro Terminelli. ** ANONIO CRECCHIA – Con il sommo poeta Dante – Nota introduttiva dello stesso autore; in coda, Nota di lettura di Rita Notte e un’intervista a Crecchia a cura di Isabella Michela Affinito – Edizioni AC, 2021, pagg. 60, s. i. p. Antonio CRECCHIA è nato a Taverna (CB) e risiede a Termoli. Sue poesie sono inserite in numerose antologie di prestigio nazionale e pubblicate in diverse riviste letterarie. Ha ancora molte opere inedite - saggi critici e poesie - e gli sono stati assegnati oltre cento premi e riconoscimenti. Socio di varie Accademie, traduttore dal francese - Au coeur de la vie (2000), di Paul Courget; Fragments (2002), di Paul Courget; Diadème (2003), di Paul Courget; Jardins suspendus (2005), di Andrée Marik; Le poémein (2005), di JeanRené Bourlet; Mer-Océan (2006), di Andrée Marik; Sur la plage de l’océan (2008), di Yann Jaffeux -, ha avuto incontri con alunni di vari istituti e con docenti di materie letterarie che hanno preso in esame vari componimenti della sua produzione poetica, esercitando un’accurata e puntuale analisi testuale. Opere a lui dedicate: Il Walhalla di un poeta (2010), di Lycia Santos do Castilla; La maturità poetica di Antonio Crecchia nella rassegna critica di AA. VV. (2015); La sensibilità poetica e critica di A. Crecchia (2017), di Vincenzo Vallone; A. Crecchia: L’uomo, il poeta, il saggista (2017), di Brandisio Andolfi; Crecchia nel giudizio della critica (Vol. I, 2017), di AA. VV.; Crecchia all’esame della critica (Vol. I, 2017), di AA. VV. eccetera. Lungo l’elenco delle sue pubblicazioni. Poesia: Il mio cammino (1989), Soave e gentile mia terra (1992), Parole per colmare silenzi (1993), Tarassaco di nuova

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primavera (1994), Ascesa a Monte Mauro (1995), Lirico autunno (1998), Lo spazio del cuore (1999), Oltre lo spazio della vita (2003), Frammenti (2004), All’ ombra del salice (2004), Ossezia e oltre (2005), In morte del Papa Magno (2005), Fiori d’argilla (2006), I giorni della canicola (2008), Nuovi frammenti (2008), I giorni della fioritura (2008), Un po’ per celia, un po’ per arte (2009), Notte di Natale (2009), Luci sul mio cammino (2009), Aliti di primavera (2010), Nei risvolti del tempo (2012), Pensieri al vento (2016), Poesie occasionali (2016), Canti di primavera (2016), Florilegio poetico (2017), Foschie (2017), Barlumi (2017), Costellazione di versi (2019). Saggistica: Dentro la poetica di Rosalba Masone Beltrame (1992, sec. ed. 1993), La dimensione estetica di Brandisio Andolfi tra poesia e critica (1994), Orazio Tanelli (1995), Silvano Demarchi: Un poeta di spessore europeo (2002), La folle ispirazione - Coscienza etica e fondamenti estetici nelle opere di Vincenzo Rossi (2006), L’evoluzione poetica, spirituale e artistica di Pasquale Martiniello (2007), Pasquale Martiniello: Poeta ribelle ad ogni giogo (2008), Carmine Manzi: Esemplarità e fertilità di una vita dedicata alla cultura (2009), La militanza letteraria di Silvano Demarchi dall’esordio ad oggi (2011), Vincenzo Vallone: Valori e ideali, realtà e fantasia (2013), Il mondo poetico di Rita Notte - un’artista della parola (2013), Brandisio Andolfi (2014), Vincenzo Rossi: Un talento creativo al servizio della cultura (2014), Carlo Onorato: La missione sociale educativa di uno scrittore molisano (2014), Lycia Santos do Castilla: La grande matriarca dell’arte espressiva (2016), Itinerario scientifico-letterario di Corrado Gizzi (2017), Pasquale Martiniello Atto Secondo (2021). Ricerca storica: Taverna, ottobre 1943 (1990), Taverna - Dalle origini alla Grande Guerra (2006), Tavernesi nella Grande Guerra (2016). Teatro: Eccidio in casa Drusco (2008), Ius primae noctis (2008), Mythos il fascino del mito antico (2017), Natale in versi (2018). Prosa: Aforismi (vol. I, 2019). ** TITO CAUCHI – Nike Nuovi Idiomi Koinè


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Estrosa - (Raccolta di recensioni) Introduzione di Isabella Michela Affinito – Editrice Totem, 2021, pagg. 252, € 25,00. Sono antologizzati: Lorenzo Amadei, Fosca Andraghetti, Lidia Are Caverni, Ferdinando Banchini, Giovanni Barricelli, Giorgio Bartoli, Salvatore Bartolomeo, Adalgisa Biondi, Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Giovanni Cianchetti, Pasquale Ciboddo, Sandra Cirani, Maria Colacino, Fabio Dainotti, Aurora De Luca, Maria Pia De Martino, Antonio De Simone, Enzo Di Nocera, Maria Elena Di Stefano, Paolangela Draghetti, Caterina Felici, Nino Ferraù, Enrico Ferrighi, Renato Filippelli, Pierluigi Fiorella, Tiziana Guidi, Sabina Iarussi, Paola Insola, Andrea Masotti, Lorenzo Masuelli, Ettore Mingolla, Maria Assunta Oddi, Luciano Pizziconi, Luigi Pumpo, Adalgisa Russotto, Anna Maria Salanitri, Anna Maria Scarlatti, Felice Serino, Clara Simioni, Delmina Sivieri, Gian Piero Stefanoni, Pacifico Topa, Antonio Vanni, Giuseppe Vetromile, Rodolfo Vettorello, Lidia Viviani. Tito CAUCHI, nato l’11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma). Ha svolto varie attività professionali ed è stato docente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubblicazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchiglia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003), “Isola di cielo” (2005), “Il Calendario del poeta” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobaleno” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima” (2012), Palcoscenico” (2015). Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone” (2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Angelone” (2010), “Michele Frenna nella Sicilianità dei mosaici” (monografia a cura di Gabriella Frenna, 2014), “Profili critici” (2015), “Salvatore Porcu Vita, Opere, Polemiche” (2015), “Ettore Molosso tra sogno e realtà. Analisi e commento delle opere pubblicate” (2016), “Carmine Manzi Una vita per la cultura” (2016), “Leonardo Selvaggi, Panoramica sulle opere” (2016), “Alfio Arcifa Con Poeti del Tizzone” (2018), “Giovanna Maria Muzzu La violetta diventata colomba”

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(2018), “Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce” (2018), Graziano Giudetti, Il senso della poesia (2019), Profili Critici 2012. Premio Nazionale Poesia Edita Leandro Polverini, Anzio. 163 Recensioni (2020), Pasquale Montalto. Sogni e ideali di vita nella sua poesia (2020), Angelo Manitta e Il Convivio (2020), Lucia Tumino una vita riscattata (2020), Silvano Demarchi Fine letterato e poeta (2020), Carmelo Rosario Viola. Vita, Politica, Sociologia (1928 – 2012) (2021), Piaf. Pagine Intime Ansia Femminile (2021), Clio. Conversazioni Letterarie Italia Oggi (2021), Edio Felice Schiavoce/Lucia Schiavone. Il Poeta Pediatra (1927 – 2016) La Restauratrice Scultrice (2021), Dike Diritti Incerti Karma Esausto (2021). Ha inoltre curato la pubblicazione di alcune opere di altri autori; ha partecipato a presentazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’aperto. È incluso in alcune antologie poetiche, in antologie critiche, in volumi di “Storia della letteratura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e 2013), in “World Poetry Yearbook 2014” (di Zhang Zhi & Lai Tingjie) ed in altri ancora; collabora con molte riviste e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ottenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero ed è stato insignito del titolo IWA (International Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. È presidente del Premio Nazionale di Poesia Edita Leandro Polverini. Ha avuto diverse traduzioni all’estero.

TRA LE RIVISTE FIORISCE UN CENACOLO – mensile di lettere e arti fondato nel 1940 da Carmine Manzi e diretto da Anna Manzi – 84085 Mercato S. Severino (Salerno) – e-mail: manzi.annamaria@tiscali.it – Riceviamo il n. 7 – 9, luglio-settembre 2021, dal quale segnaliamo il saggio d’apertura: “I tedeschi e la colpa. La memoria della Shoah”, di Stefano Fasano; “Il cielo negli occhi”, di Anna Aita;


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poesie di Antonia Izzi Rufo; una interpretazione del tema natale di Raffaella Carrà, di Isabella Michela Affinito, la quale recensisce anche “In viaggio con Vittorio Alfieri e altri saggi” di Antonia Izzi Rufo. Nei Libri in vetrina, Anna Manzi, tra gli altri, presenta due volumi di Tito Cauchi. * IL CORRIERE DELLA CITTÀ – Mensile di libertà, informazione, politica, cronaca, cultura, sport, diretto da Maria Corrao – Editoriale La Città – via Odessa 41 – 00071 Torvaianica (RM) – e-mail: direttore@ilcorrieredellacitta.it – Riceviamo il numero 11, novembre 2021, praticamente scritto quasi per intero dal dott. Luca Mugnaioli, il quale, da pagina 4, con “TARI ad Ardea”, a pagina 27 con “Botteghe storiche”, firma pezzi, inchieste e molto altro, di politica, economia, cultura eccetera; un lavoro enorme e ben fatto, che dimostra il coraggio e la competenza di questo giornalista, al quale va, allora, la nostra stima e la nostra ammirazione. Altre firme sullo stesso numero: Laura Piacentini, Catiuscia De Renzis, Francesca Tomasino, Ida Nazzaro, Antonio Guido, Monica Grasso.

BUON NATALE 2021 ! e... FELICE ANNO 2022 !

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L’uscita mensile di Pomezia-Notizie, sebbene non più cartacea e, quindi, senza spese tipografiche e postali, continua ad avere i suoi costi in termini di energia, apparecchi, ore e ore di lavoro e spedizione on line. Perciò, chi vuol continuare a riceverla, sebbene in via telematica, occorre che contribuisca almeno con l’abbonamento. Pomezia-Notizie, comunque, può essere sfogliata e letta gratuitamente su: http://issuu.com/domenicoww/docs/

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