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Per dire Addio, di Anna Vincitorio, pag

Il Racconto

PER DIRE ADDIO

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di Anna Vincitorio

“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole anzi d’antico: io vivo altrove e sento che sono intorno nate le viole. […]” Giovanni Pascoli

UN sole un po’ freddo stamattina. S’insinua luminoso. I vecchi scuri spalancati. Mi affaccio su quel lievitare di verde e di silenzio. Mi pare di udire lontano canti che ondulano nel vento. Sfavillante intravedo la Chiesa russa con la cupola d’oro. Dal giardino s’innalza una palma altera che svetta verso l’azzurro che sovrasta. Fu piantata per la nascita di una bambina. Presenza vivente di un passato ormai lontano. Rumori, i più vari, spezzano il silenzio lungo quanti gli anni trascorsi. Mi propendo sul balcone e guardo quell’oasi di verde e di silenzio. Il tempo si è fermato. Terrazzi, panni stesi. Una donna, lontana che si affaccia. Bambini dal capo biondo. Grida gioiose. Rita in giardino che ricama corredi per le spose. Ha vissuto solo nella vita degli altri. Nell’aria mi pare ancora si diffonda l’aroma del caffè tostato. “Ma chi è quella grulla che si mette a tostare il caffè?” La vecchia signora non si offende; sorride e fa girare la manovella. Presto il caffè sarà tostato. Sussurra parola in dialetto napoletano. L’ascolta il suo “glu, glu”. L’amico piccione che, puntuale al mattino sosta sul suo balcone. Poi, lei prepara un tavolino con la seggiolina. È per una testina di riccioli che, felice, mangerà sul terrazzo. Piano piano, tutto sfuma. Tra invisibili nebbie affiorano gli occhi azzurri di Alfeo; la sua mitezza. Il ricordo della vita in miniera nella lontana Francia, non ne attenua la dolcezza. Dalla terrazza sottostante erompe il pianto accorato di una madre per il figlio Oriano che le fu strappato una sera d’inverno e finì in quel di San Salvi. Mi affaccio sulle scale: quel pianerottolo di pietra e la morte improvvisa di mio padre nell’attimo straziante di un unico grido. Ma io non c’ero. Nel presente: squallore e lunghi anni di dolore alla morte della vecchia signora. La casa ha perso la sua lucentezza e i ricordi, distrutti. Resta l’amaro in bocca. Il dolore assorbito dalle pareti ha spento la claustrale purezza che negli anni passati le aveva animate. In un rimbombo, la voce della casa, profanata, tradita. Con scricchiolii si svuota lentamente; i mobili sono portati giù per le scale. Solo sui muri, tracce di ciò che un tempo fu. Stringo le braccia. Ho freddo, nonostante il sole, ma ad un tratto la casa mi parla: “Non devi essere triste. Quello che è stato, la vita vissuta, rimane in te come una fiaccola. Abbraccia con lo sguardo il sole che, puntuale, ogni giorno risorge e vivi!”. Prima di chiudere gli scuri il mio sguardo insegue ancora da lontano la cupola d’oro della Chiesa. Il vento diffonde nel mio ricordo antichi canti. Mi allontano. Scendo lentamente le scale. Giro l’angolo e di fronte a me il vecchio liceo sempre eguale. Tra le lacrime rivedo i nostri visi giovani. Oh miei compagni ora dispersi! Dove adesso?

Anna Vincitorio

Firenze, 20 ottobre 2021

L’ULTIMO SONNO

Chino il capo sul foglio, intenta alla lettura, così spesso mi coglie dolcemente e all’improvviso il sonno al pomeriggio. E così spero e voglio che un giorno mi colga anche quel sonno che all’eternità conduce: chino il capo sul foglio, intenta alla lettura.

11 novembre 2021

Mariagina Bonciani

Milano

Recensioni

MANUELA MAZZOLA

ENZO ANDREOLI E LA SHOCK ART

Oceano Edizioni, 2021, Pagg 113, € 15,00

Eccellente libro illustrato, in formato album, che - come scrive l'autrice - "non vuole essere un saggio strettamente critico", ma piuttosto una narrazione che conduce il lettore nell'universo del pittore e scultore romano Enzo Andreoli.

Manuela Mazzola commenta in maniera succinta ma esauriente ciascuno dei quarantuno dipinti presentati, illustrandone la visione, i contenuti, lo stile, la tecnica, in una parola tutto il mondo pittorico dell'artista oggetto della sua attenta disamina.

Il volume, che contempla un'ampia premessa introduttiva e si suddivide in tre sezioni tematiche ognuna corredata di un'introduzione - è impreziosito da tre bellissime liriche della stessa Mazzola ("Il senso perduto", "Eden d'acciaio" e "Lungo il viaggio") che bene esprimono il senso poetico che sorge dalla contemplazione di queste opere d'arte.

Un libro delizioso e molto attraente, che permette di osservare da vicino la personalissima visione artistica di questo importante pittore contemporaneo.

Marina Caracciolo

ISABELLA MICHELA AFFINITO

REDENZIONE

Casa Editrice Menna, Avellino 2003, Pagg. 40, € 5,16 Isabella Michela Affinito, la cui eponima conclude la raccolta; comprende quindici componimenti generalmente lunghi e scorrevoli. Nella prefazione l’Autrice, partendo dalla citazione su “Vergine Madre” del Paradiso dantesco, di rimando in rimando, ci porta alla preghiera di San Bernardo in cui La chiama: “Figlia del tuo figlio”; da cui scaturisce un’immagine su cui si sono ispirati molti artisti e poeti, icona più volte replicata dai pittori, tra cui il friulano Vittorio (Nino) Martin, riprodotta in copertina. Quale esperta la Nostra commenta individuando nel dipinto “una fusione, grande concentrazione di forze tra la materia e lo Spirito nella fibrillazione cromatica dove il cangiante rosso del sacrificio da compiere si attenua difronte all’azzurro del velo di Maria che, anticipa l’ascesa del Figlio in cielo”: queste parole discorsive sono pura poesia che trasudano di tanta religiosità e di competenza in critica d’arte.

Per il suo grande interesse per le arti figurative la Poetessa eleva un inno a Michelangelo Buonarroti (1475-1564) e si può affermare che l’intera silloge si ispira al Grande Fiorentino, difatti fin dal componimento d’apertura la Nostra prende a pretesto un’opera scultorea rimasta incompiuta e denominata Pietà Rondanini (dal nome dei Marchesi che l’hanno acquistata a Roma nel 1744) e che si trova a Milano. Desidero precisare che quest’opera non è simile a quella molto famosa collocata in Vaticano. Qui la Poetessa si rivolge alla Madonna: “Madre sempre figlia / del Tuo figlio ma / non distinguo il / tuo spasimo, / (…) / pur parlando di / gloria eterna / semplicemente / abbozzata.”

L’incompiuto credo richiami il senso della compassione e delle cose complete e di quelle incomplete, della vita che scorre e che altre volte si arresta; quindi della esistenza, ma anche di “mani fredde / incontrate per caso”. Così del dolore che

segue nel ricordo della drammatica vicenda del terremoto in Molise del 31.10.2002 che fece trenta vittime, ventisette delle quali erano bambini di una scuola di S. Giuliano. L’incompiutezza delle mancate promesse, delle cerimonie religiose che si ripetono e in cui puntualmente i giuramenti vengono disattesi. Del ramo di ulivo, simbolo di pace, che si distribuisce tutti gli anni e di cui la gente si dimentica. Degli alberi di ulivo che Van Gogh dipinge con tratti veloci, il pittore olandese amato dalla Nostra.

Altra opera scultore di interesse di Isabella Michela Affinito riguarda il Mosè realizzato per il “mausoleo pensato / alla maniera di / Alicarnasso”, che volge lo sguardo a Oriente perché, spiega: “anche se posto / sulla tomba di un Papa, / tu pensi alla tua terra” ricordando che il Profeta ubbidì “senza sapere”. Sottolineando cosa vuol dire Fede, espresso con parole semplici. Forse in forza della propria fede pensa che quando le sue spoglie lasceranno la terra, la sua anima ricorderà di quanto tempo ha trascorso “a guardare il mare”, a contemplare le guglie delle montagne; ma è anche una sorta di rivisitazione delle opere scultoree e pittoriche, nella contemplazione dell’immenso affresco biblico del Giudizio Universale ricco di allegorie, p. es. delle due “mani che si cercano e / dall’Indice all’indice / il passaggio della vita”, versi che racchiudono il significato profondo dell’alito della creazione e la salvezza.

Ricordando Lazzaro risuscitato, la Affinito esorta l’uomo a purificarsi dal peccato: “indossa le vesti / della tua Redenzione”; e commenta che l’anima dei viventi assume vari colori fin quando vola in cielo come un airone; mentre in terra sorge l’immagine dei tanti lavoratori e della gente comune che si avvelenano nelle fabbriche e nelle città respirando aria inquinata (monossido d’azoto). Questo è un cenno all’ecologia, altra faccia dell’incompiuto, di cui sopra.

Isabella Michela Affinito in chiusura si congeda dalla Madonna descrivendo la Pietà “Con le mani hai / ripreso quel corpo senza / vita sulle tue ginocchia / e sei stata la Pietà. / (…) / non lasciare che la nostra mano scivoli / dalle tue, ma stringi / la nostra fragilità e / falla diventare Fede!”. Ci siamo limitati a descrivere alcuni brani, forse pure con qualche interpretazione zoppicante; ma si sa, nessuno può varcare a pieno titolo ciò che alberga nell’animo altrui, tanto meno di un poeta o di una poetessa. Nondimeno attraverso la sua attenzione sull’arte, penso che sia grande il senso di religiosità della Poetessa, il senso del riscatto per sé e per il genere umano, e cioè la Redenzione. CARLO TRIMARCHI

UN TITOLO QUALUNQUE

Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia (CT) 2021, Pagg. 96, € 12,00.

Mi ha colpito favorevolmente che un autore così giovane, se considerato ai tempi d’oggi, come Carlo Trimarchi (romano nato nel 1997), mostri padronanza di scrittura talmente bene, da farsi leggere piacevolmente. La professione di informatico offre al Nostro una visione ampia e immediata della società su cui spaziare. Con questa sua raccolta di esordio, Un Titolo Qualunque, comprendente 74 poesie, dimostra capacità di affrontare temi impegnativi riuscendo nel contempo a divertire e a sperimentare percorsi diversi, per stili e contenuti, forse alla ricerca di una propria identità poetica. D’altronde, come spiega nell’introduzione, le poesie sono disposte nell’ordine cronologico di composizione dal 2014 a oggi, scritte “nell’arco della mia vita”; con ciò mettendo l’accento sulla “vita”, come se essa fosse stata vissuta intensamente, mostrando una maturità raggiunta impensata. Questo ha il sapore di un’auto investigazione, di un filo di ricerca su se stesso, benché già ne conosca la risposta.

L’Autore dichiara un iniziale atteggiamento pessimistico confermato dall’incipit (Le Ombre Nel Buio): “un’ombra che vaga in cerca di qualcosa… / un’ombra che soffre e attende paziente. / un mondo che diventa sempre più aggressivo e chiuso. / l’ignoranza che sale.”, dove volutamente al punto fermo non fa seguire la lettera maiuscola. E, sempre su questo tono, seguono riflessioni esistenziali, tuttavia alleggerite poiché assicura: “non credo di volere proseguire il discorso.”, tanto che spiega successivamente che “se alle persone non pesasse il culo, / userebbero il cervello per pensare a cose serie / invece che perdere tempo su facebook.” (Poesia 3).

Carlo Trimarchi richiama insistentemente la necessità di essere chiari nella comunicazione per non fare la “figura del coglione”. Possiamo dire che in successione, definisce “il momento è quella frazione di tempo,” (Poesia 9); chiama in soccorso i “Titani”; assicura che lui ci prova “Giorno dopo giorno, cerco una parola / a dire il vero non è una sola,”. Ma ne rimane sconvolto; la soluzione gli sfugge dalle mani, dinanzi alla drammaticità della vita causata dall’uomo o da eventi naturali; perciò frappone sentimenti d’amore, ma pure essi desistono di fronte alle incertezze; e solo l’affetto per la “Mamma” lo sostiene perché, come afferma nell’idioma nativo, gli è “rimasta sempre nfonno ar core…” (Poesia 18). In una sorta di umana comprensione, abbraccia il Diverso, senza tuttavia, fare

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