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Mario Rapisardi, di Leonardo Selvaggi, pag

CON MARIO RAPISARDI SCONTRO IN LETTERATURA FRA NORD E SUD

di Leonardo Selvaggi

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1 – Principi di giustizia e di libertà nel poema di Palingenesi

MARIO Rapisardi nasce a Catania il 25 febbraio 1844. Non segue un regolare corso di studi sia perché sofferente di tisi e sia perché contrario al tipo di istruzione accademica e tradizionale impartita nelle scuole e nelle Università.

Da autodidatta si dedica ai classici greci e latini e ad alcuni autori del positivismo moderno, allontanandosi da ogni forma di superstizione religiosa, filosofica e sociale. Tutto aperto alla scienza, al naturalismo.

Viaggia per l’Italia, fermandosi di preferenza a Firenze. Qui arriva nel 1865 appena ventunenne. Entra in amicizia con Tommaseo, Fanfani, Dall’Ongaro, Prati, Fusinato. Considerato come poeta alla ribalta in piena opposizione al Carducci mazziniano e nazional-democratico. Il Catanese da moderato passa all’estremismo sovversivo, quando il poeta di Bologna diventa monarchico. Nel 1868 scrive la “Palingenesi”, vi canta l’accordo tra la fede ed il progresso secondo i principi di riforma religiosa che doveva dare all’umanità l’unità morale e la pace.

Il suo macchinoso modo di poetare ricorda il Monti. Poema di ispirazione filosofica sull’esempio del Prati, avvicinandosi a Goethe e a Byron. Costituito da dieci canti, contro le posizioni retrive si vuole un ritorno al Vangelo, conciliando tradizione e modernità, religione e civiltà. Presente lo spirito di Arnaldo da Brescia, di Lutero, di Savonarola e Calvino.

Ansia di rinnovamento, si va verso l’avvenire con i trionfi della giustizia, della libertà, della scienza, dell’amore. La “Palingenesi” lodata da V. Hugo come un nobile poema. Mario Rapisardi considerato un precursore sia dal punto di vista della poesia che dalle verità espresse. Anche Giovanni Verga vede in Lui un mezzo efficace di rigenerazione. La “Palingenesi” segna un nuovo indirizzo della Letteratura in Italia. Isidoro Del Longo vi ammira una “splendida e animosa forma di poesia”, che testimonia forza di ingegno. Viviamo tempi in cui si è entusiasti dell’Aleardi, dello Zanella, i giovani del partito d’azione si accendono alla lettura delle poesie politiche del Carducci.

Importante il 1869 per il Rapisardi, che trova nuove fonti di ispirazione all’evoluzione dei suoi pensieri.

2 – Mario Rapisardi incontra Giselda Fojanesi

Nel 1870 per l’interessamento di Francesco Dall’Ongaro ottiene dal ministro della Pubblica Istruzione Cesare Correnti l’incarico di Letteratura italiana all’Università di Catania.

Di questo periodo sono gli scritti “Catullo e Lesbia”, “Introduzione allo studio della Letteratura italiana”. Espressioni di stile leopardiano nelle “Ricordanze” (1863 – 1872 –1882), ma con un pessimismo diverso, siamo lontani dal classicismo post-illuministico.

Il Rapisardi incontra la fiorentina Giselda Fojanesi, maestrina del convitto provinciale di Catania, che sposa nel 1872, il matrimonio dura fino al 1883, anno in cui si scopre la relazione che Gisella ha con il Verga.

Temperamento pletorico quello del Rapisardi.

Sulla sua vita intima parla ampiamente il poeta e amico Alfio Tomaselli; ci riferisce dell’amore che il Catanese ha con la contessa

Lara.

È come una difesa provvidenziale alla sua natura passionale. L’esuberanza sessuale del Rapisardi procede con lo stesso fervore di quella artistica.

In questo periodo di grande accensione per la Contessa, vista come una capricciosa Lesbia moderna, non una romantica eroina, oltre che le “Ricordanze”, scrive “Lucifero”, il “Giobbe”, le poesie di “Giustizia”, traduce Lucrezio, una produzione a fiotti, ribollente. Lo stesso Verga durante la tresca con Gisella con immenso impeto ed entusiasmo amoroso produce “Per le vie” e le “Novelle rusticane”.

Nel libro di Tomaselli in cui si parla di Rapisardi fra le tante illustrazioni abbiamo un ritratto del 1889: il poeta habellissimi occhi ombreggiati dal cappello alla calabrese, baffi spioventi, cravatta svolazzante, zazzera corvina, di questo aspetto sdegnoso e ispirato la contessa Lara va orgogliosa.

3 – Del 1877 il poema “Lucifero”

Nel poema anticlericale “Lucifero” Satana simboleggia il progresso contro il Cattolicesimo e ogni forma di superstizione. Questa pubblicazione gli apre le porte all’Università. Francesco De Sanctis, ministro della P. I. lo nomina ordinario di Letteratura italiana nel 1878. Poema d’amore può essere considerato il “Lucifero”. Rapisardi è vicino al Satana di Milton, al Mefistofele del Goethe, al Lucifero di Byron. L’eroe del Catanese sale dal baratro infernale sulla terra, desideroso di amare e soffrire come un semplice mortale.

Si esalta la supremazia del razionalismo scientifico sul trascendentalismo metafisico. Lucifero rappresenta la figura del ribelle, vicino al mitico Prometeo.

L’opera suscita l’entusiasmo di Giuseppe Garibaldi.

Nel canto XI del “Lucifero” si leggono versi che molti capirono subito indirizzati al Carducci. Il poeta maremmano risponde da Bologna dicendo di aver avuto il sospetto di trovare chiari accenni alla sua persona leggendo il poema ricevuto in omaggio. Il Catanese in risposta lo invita a non farsi influenzare da certi invidiosi, lui si era espresso da poeta e non aveva fato riferimento malevolo verso nessuno.

Pietro Fanfani, nemico del Carducci, incita il Rapisardi a controbattere.

La polemica letteraria, rinfocolata sempre più, giunge ad avere carattere aspro e di grettezza.

Accanto ai due poeti rivali si schierano difensori di varia estrazione, alcuni sostengono l’onore del Sud, altri la superiorità del CentroNord.

Si delinea chiara la posizione di Rapisardi di anti-Carducci dietro gli incoraggiamenti dell’Aleardi, del Vannnucci, del Mamiani e di tutti i poeti e critici di sua conoscenza.

4 – Nord e Sud in pieno scontro letterario

Carducci nel 1881 con irruenza entra in campo, implacabile contro le traduzioni e quanto scritto fino ad allora dal Rapisardi. Questi alle parole piene di fiele del Maremmano risponde con un sonetto. considerato capolavoro dal Turati.

Replica ancora da Bologna con sferza brutale che lascia cadere in stato di depressione il poeta di Catania. La polemica si chiude e sarà negli stessi termini ripresa dal Croce in un saggio del 1904, condizionando lo sviluppo e la fama per tantissimo tempo del Rapisardi che si ritira amareggiato in solitudine.

Scrive opere sempre più umane e poetiche di grande valore. Un uomo ferito,considerato dagli avversari un autore di carattere prettamente provinciale.

Il suo orgoglio abbattuto lo porta a riconsiderare meglio se stesso, a ritrovare la sua vena più autentica.

La critica del Carducci consiste nel disapprovare il poema, considerato ormai logorato, non rispondente alla nuova epoca.

La poesia narrativa o epica, invece secondo il Rapisardi continua ad essere valida perché si vogliono conoscere le manifestazioni della vita nella Natura e nella Storia e durerà fino quando la Scienza non riuscirà a rivelare tutti i misteri dell’essere.

Certo l’uomo non è più dominato ai tempi di

Rapisardi dalle forze create dalla sua fantasia né il mito è manifestazione dell’anima pura del popolo.

Il contrasto fra sentimento e l’inesorabilità del Fato è sostituito dall’opposizione fra sentimento e ragione, fra morale e legge della necessità, tra l’ideale ed il reale.

Gli antichi eroi soppiantati dalle forze morali dei popoli, si è contro le violenze delle vecchie autorità. Il poema ormai deve trattare le scoperte della Scienza, i risultati del positivismo, delle ricerche di Darwin, Lubbock, Spencer, Buchber, Moleschott, Ardigò, Haeckel, Trezza, Bovio.

Il Rapisardi dobbiamo dire che vive con ansia il suo tempo, anche se legato ancora Allo stile settecentesco, sente, tutto dominato, la presenza del Vero.

5 – Il “Giobbe” in piena maturità di pensiero e di arte

Abbiamo il “Giobbe”, una trilogia storico-filosofica. L’eroe biblico, simbolo della umanità sempre in cammino, dinanzi all’angoscioso mistero della Natura. Religiosità naturalistica e pessimismo cosmico dettano espressioni di vera poesia. Il “Giobbe” incarna il dolore umano, la lotta tra il bene e il male, tra lo spirito e la materia, tra il cielo e la terra. Giobbe rappresenta lo stesso Rapisardi, moderno, scettico, insoddisfatto. Giobbe, colpito dai mali più tremendi, arriva a maledire la vita, ha paura subito poi dell’Onnipossente e ritorna alla fede più cieca. Inseguito portato da Satana si ritrova nell’inquietudine, nei desideri sempre contrastati dell’umanità. Alla felicità celeste preferisce il godimento delle naturali bellezze. Predomina alla fine il senso del Mistero da cui siamo circondati come da tenebre. A nulla valgono il pensiero, la fede, la ragione, il sentimento, la scienza, neppure la volontà. Il “Giobbe” nonostante gli arcaismi per i critici contiene “una collezione portentosa di perle e gemme preziose… squarci stupendi da antologia, documenti che rimarranno inconcussi nella storia letteraria dell’Ottocento”.

Molte le sofferenze, le infermità che accompagnano l’evoluzione dell’arte di Mario Rapisardi, poeta dalla profonda spiritualità malinconica.

6 – Lo straordinario inconcepibile amore di Amelia Poniatowski Sabernick

Quanto mai tristi gli anni che corrono dalla pubblicazione del “Lucifero” a quella del “Giobbe”. Il dramma della solitudine come una morsa gli si stringe intorno. A dura prova messa la sua persona dagli attacchi dei suoi nemici. In questo periodo tenebroso come divina Provvidenza compare Amelia Poniatowski Sabernick, l’ispiratrice, la consolatrice, la luce feconda che irraggia sulla via martoriata di Mario Rapisardi. Non si sa come si sono conosciuti. Amelia parte da Firenze il 19 giugno 1885 e il Poeta si trova a rilevarla il 20 alla stazione di Napoli. Un sogno, una magia che diviene realtà. Il Rapisardi si sente rinascere con una vita diversa, ritrova se stesso con altri cammini da percorrere. Una creatura sublime, tutta dedita ad un uomo che con la sua arte la rende immortale. Rapisardi non sa stare lontano da lei. Molte sono le lettere che parlano di questa meravigliosa Amelia contenute nell’”Epistolario”. Una sofferenza indicibile, un vero esilio la permanenza a Roma nell’86 ove è andato a far parte della commissione d’esami per concorso a cattedre universitarie. Inconcepibile questo grande amore. Immensi il conforto, l’affetto prodigati: Amelia logora il suo corpo, allieta la casa del Rapisardi con la sua presenza e la musica, la sua passione, cui si abbandona con incredibile trasporto. Una esperta pianista. Ama la musica tradizionale italiana, quella dei nostri grandi e poi Gounod, Mozart, Schubert, Mendelsshon, Schumann, Chopin, Weber, preferisce Beethoven. Nella casa solitaria tra l’Etna e il mare, vediamo Amelia, tutta presa dalla famiglia, come un angelo, va per le stanze si ferma a spiare dietro le tende dello studio del Poeta. Il Rapisardi riconoscente della dedizione senza fine della sua amica, “l’unica anima che mi abbia compreso, compatito ed amato con il sacrificio di tuta se stessa”. Si deve a questa creatura unica la mi-

gliore produzione del Rapisardi: divina bellezza, infinito amore intellettivo, nobiltà d’animo, amabilità, purezza nell’aspetto, serenità negli occhi, grazia nei modi, dolce, fluida la parola. Rapisardi è felice, compone i versi più delicati, sinceri, con vera poesia. Le sofferenze aumentate lo torturano atrocemente. Buona davvero, celestiale Amelia. Muore il 19 settembre 1914 nella stessa casa in cui ha trascorso ventisei anni di clausura.

7 – “Giustizia”. “Poemetti”. “Poesie religiose”. “Epigrammi”. “Atlantide”

In tutte le opere del Rapisardi è presente il motivo politico-sociale, specie in “Giustizia” (1883) e nelle poesie composte fino al ‘900. Sostiene che l’Italia unificata, frutto del Risorgimento, tolto qualche aspetto democraticopopolare, abbia avvantaggiato la borghesia. Rapisardi è dalla parte del popolo misero, contro l’egoismo, l’insensibilità e l’avidità, soffre con i rassegnati, gli umili, vuole l’emancipazione del proletariato dalla schiavitù e dalla fame. Tutto preso da inquietudine, da fremiti rivoluzionari,coerentecon i suoi principi idealistico-sociali, con sdegno, senza accademismo. Nei “Poemetti” (1885 – 1907) la liricità si libera dalla freddezza teorica. Lo spirito del poeta esplode schietto in tanta espressività composta ed armonica. Con le “Poesie religiose” l’approdo verso la vera arte dai grandi contenuti: la vita ha un bisogno assoluto di espandersi, di mutare l’Io in Noi, l’individuo in umanità, il piacere egoistico in amore universale. Il Rapisardi manifesta ansia metafisica, ignota al suo avversario Carducci. Gli “Epigrammi” (1888) presentano voci e colori della vita quotidiana, tanta tristezza e amorosa attenzione alle piccole cose. L’”Atlantide” (1894), si mira all’ideale di una umanità più pura, più umana. C’è un desiderio ardente di giustizia. I critici frammentano troppo, debbono vedere i contesti, non anatomizzare. La poesia del Rapisardi respira una nuova aria in tutte queste opere. I problemi storico-culturali del tempo sono presenti, anche se si avvertono disarmonie: forte irrequietezza ed esaltazione lo rendono perseverante all’ossessiva ricerca del Vero, del Buono e del Bello attraverso gli insegnamenti della scienza, della storia e della grande poesia di tutte le civiltà.

8 – Le traduzioni

Si ricordano le traduzioni dei “Carmina” di Catullo e di Orazio, del “De rerum natura” di Lucrezio, del “Prometeo liberato” di P. B. Shelley poeta col quale il Rapisardi avverte una grande affinità spirituale. La traduzione delle ”Odi” di Orazio la pubblica dopo diversi anni, non si ritiene soddisfatto, il senso critico lo affligge, lo tormenta: la considera sempre tanto lontana dall’”artistica finitezza che a lui imponeva quello intransigente rispetto per l’arte al quale avrebbe sacrificato non che la notorietà la stessa gloria”.

I pareri discordi intorno alla traduzione del “De rerum natura” danno altri colpi al suo morale, esaltata da Gaetano Trezza e criticata da Vittorio Imbriani. Il Rapisardi lotta contro i denigratori fermi al giudizio espresso sulla produzione anteriore al “Giobbe”. Rapisardi ha percorso in seguito molto altro cammino.

Tutte le sue opere definitivamente rivedute e corrette in un volume uscito a Palermo nel 1911. Napoleone Colajanni rivela tanta superiorità in Rapisardi, partecipe della lotta democratica con l’incitamento, e l’insegnamento della poesia. Il clima di contrarietà si abbatte su di lui nel 1905 con la stroncatura del Croce. Come in soccorso arriva G. A. Borgese che con equilibrio sostiene la necessità di restituire al patrimonio letterario italiano l’opera matura del Rapisardi.

Perfezione formale e l’ideale artistico costituiscono un obbligo sociale, il Rapisardi rappresentante del realismo in poesia, nemico degli arrivismi, delle polemiche, dei luoghi comuni. In una lettera del 22 febbraio 1909 F. T. Marinetti afferma che il poeta “ha il dovere di esprimere se stesso e di rappresentare la realtà come la vede e la sente, contutta sincerità, con il calore ed il valore dell’anima sua… Il poeta è il genio, il precursore, l’apostolo e spesso anche il martire di un’idea di bellezza e di verità…”.

9 – Integrità civile e sentimenti di profonda umanità

Seguiti gli ideali promossi dal socialismo e dal positivismo. Per tutta la vita fedele ai principi nobili della uguaglianza e della libertà: contro la politica dei suoi tempi si affianca alla rivolta dei lavoratori durante i “Fasci siciliani”, movimento che si sviluppa dal 1891 al 1894. È contro il governo centrale guidato dal conterraneo Francesco Crispi. La onestà e l’integrità civile esemplari.

Eletto nel 1884 con una grande quantità di voti dal collegio elettorale di Trapani, rifiuta di fare il parlamentare per motivi di salute, l’insufficienza dei suoi studi e perché non incline all’attività politica. Modestia e insoddisfazione eterna distruttiva, la sua poesia tormentata sempre sottoposta a revisioni.

I sentimenti di umanità pervadono l’intera produzione, senza prosopopea e ufficialità al contrario dei suoi detrattori. Un poeta non come si voleva relegato al provincialismo, ma nazionale, la sua attività letteraria mai fine a se stessa, considerata mezzo per contribuire al miglioramento dell’umanità, che doveva liberarsi da vecchi pregiudizi raziali, religiosi, politici, sociali. Un’umanità in cui dovevano trionfare i principi di tolleranza e l’amore reciproco fra tutti i popoli.

Spontaneità, orgoglio, spirito indipendente, anticonformista. Mario Rapisardi esprime la propria personalità con audacia, con i suoi sogni e le ribellioni, con volontà indomabile contro le limitazioni opposte al progresso del pensiero.

10 – Mario Rapisardi muore a Catania il 4 gennaio 1912

Rimane insepolto per nove anni. Pur essendo stabilita la tumulazione nel cimitero monumentale, messo in un magazzino dal Municipio, forse spinto da influenze clericali. “Irrequieto” “usque ad mortem et ultra” scrive di sé all’amico Pasquale Bellini il 20 ottobre 1910. Il corpo inerte del Poeta, chiuso in una cassa di noce, viene trasportato dall’antica carrozza del Senato, quella che nel 1876 aveva condotto i resti mortali di Vincenzo Bellini. La diritta via Etnea si stende chiara e deserta al chiarore lunare. Sullo sfondo in alto biancheggia l’Etna, gigante indomito, testimone delle potenze misteriose della Natura.

Tutta Catania a lutto il giorno dell’Epifania del 1912. Bandiere a mezz’asta, saracinesche abbassate. Mario Rapisardi morto a sessantotto anni. Vissuto come un sepolto vivo, in piena solitudine per trent’anni, stanco per le tante disillusioni, dopo aver lottato per tutta la vita contro le viltà di ogni tipo. Opposti indirizzi letterari per tanto tempo hanno impedito una giusta valutazione delle sue opere, hanno allontanato estimatori ed amici. Mario Rapisardi non cessa mai di combattere la sua battaglia, perseguendo verità e giustizia, difende la sua Arte intesa come missione altamente morale. La sua fermezza apprezzata dai progressisti.

Filippo Turati loda Mario Rapisardi considerandolo un vero poeta.

È vissuto isolato mentre la sua natura arente era portata all’azione, ad amare.

La sua intelligenza ormai si distruggeva giorno per giorno, non aveva più fede negli uomini. La sua salute già per costituzione minata da una grave nervosi astenica era arrivata agli estremi del logoramento.

Leonardo Selvaggi

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China la testa quel purpureo fiore che sporge da un bicchiere. Mi commuove il papavero morente e mi conferma triste che c’è un destino affine per chi nasce. Per un principio indubbio ogni creatura che vedrà la luce un giorno finirà, secondo leggi avvolte nel mistero; ma per quel tempo esiguo la sua presenza viva nel creato è luminosa traccia che brilla sulla scena della storia.

Elisabetta Di Iaconi

Roma

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