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mensile (fondato nel 1973)

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In edicola € 1,00

L’ultima Medea MARIA CALLAS

La fermentazione della leggenda della ‘divina’ Callas passata per il crogiolo creativo del maestro del cinema, del teatro e scenografo fiorentino, Franco Zeffirelli (19232019), non poteva non divenire ‘oro’ anche se d’altro sberluccichio e peso specifico.

Sì, perché non s’è trattato, all’interno della pellicola cinematografica, della rievocazione di Maria Callas al tempo della sua apoteosi circondata da impresari, ammiratori, tecnici di scena, registi, colleghi-cantanti lirici che assieme a lei interpretarono le più grandi opere di tutti i tempi: dalla Norma al Trovatore, alla Lucia di Lammermmoor, a Madame Butterfly, ad Anna Bolena, Tosca, Medea, alla Traviata ed altre ancora.

Il grande Franco Zeffirelli, coetaneo della Callas e da giovane assistente di Luchino Visconti, ha voluto per l’occasione rivalutare un Mito non in via di scadimento – all’epoca in cui era ancora in vita la Callas non fu integralmente compreso – dal momento che del soprano Callas s’è divulgata a livello mondiale solo una parte della sua breve vita, quella esposta alle migliaia di luci della ribalta e non quella della post-notorietà, allorché venne colpita dalla sventura dell’affievolimento del suo grande dono naturale: la voce.

ISSN 2611-0954
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All’interno:

Dialogo con Giuseppe Leone, di Ilia Pedrina, pag.5

Dentro l’uragano, di Manuela Mazzola, pag. 10

Noemi Paolini Giachery, di Ilia Pedrina, pag. 12

Il poeta cercatore, di Manuela Mazzola, pag. 14

Fabiola Confortini, di Tito Cauchi, pag. 16

Francesco D’Episcopo, di Antonio Crecchia, pag. 19

Graziano Giudetti, di Tito Cauchi, pag. 24

Notizie, pag. 32

Libri ricevuti, pag.38

RECENSIONI di/per: Tito Cauchi (Dolce, misteriosa essenza dell’universo, di Rocco Salerno, pag. 27); Domenico Defelice (Questa volta vinco io, di Anna Aita, Emilio Fina e Fabio Aita, pag.28 ); Domenco Defelice (Quando l’amore è negato, di Anna Aita, Maria Cristina Gentile, pag.29 ); Domenco Defelice (Al martire venerabile Conedera, di Antonio Crecchia, pag.30 ); Lorenzo Spurio (Carne e sangue, di Vito Davoli, pag.31).

Inoltre poesie di: Isabella Michela Affinito, Rinaldo Ambrosia, Stephen Blanchard, Mariagina Bonciani, Marina Caracciolo, Giannicola Ceccarossi, Wilma Minotti Cerini, Antonio Crecchia, Lorenzo De Micheli, Rosaria Di Donato, Anna Manna e Pasquale Montaldo, Antonia Izzi Rufo e Imperia Tognacci.

Purtroppo le cose andranno proprio così e lei, dal carattere volitivo e (mai) sazia di trionfi, d’animo ‘penelopeo’ per le sue gagliarde radici greche anche se nata a New York, coraggiosa nel sopravvivere poi nella dimensione capovolta rispetto alla precedente poiché sprofondata nell’assoluta riservatezza – forse anni prima inconcepibile per l’artista abituata ai bagni di folla – dentro la lussuosa casa di Parigi intorno alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Il regista Zeffirelli ce la descrive insonne e in solitudine con una domestica anziana, che comprende discrezionalmente la sua situazione di donna poco più che cinquantenne prigioniera dei suoi ricordi più sonori, dove è la Callas di ‘ieri’ a cantare oltremisura nelle oramai sue notti senza riposo. I suoi fantasmi – così come Maria li chiamava –l’andavano a trovare spesso rievocandole attorno al letto quel mondo stucchevole dai fondali dipinti che è il teatro, colla bocca enorme in cui si verificarono i prodigi della sua lirica. Solitudine e vita passata scandiscono l’ultimo atto esistenziale della Maria

Callas disillusa (interpretata nel film dall’attrice Fanny Ardant), fino a quando un giorno l’impresario Larry (Jeremy Irons) non va a trovarla in casa per proporle un ritorno sulle scene, stavolta sul piccolo schermo che è la televisione. Larry dovrà insistere molto per ridare (metaforicamente) ai polmoni dell’artista l’aria d’una volta, la briosità scaturente dalla recitazione e la convince soprattutto con l’ausilio del playback, ovvero la voce d’un tempo già incisa da sovrapporre all’ulteriore sua interpretazione lirica della Carmen. Tutto sa d’entusiasmante e di miracoloso: la nuova Callas adesso si presenta addirittura più passionale nel ruolo della gitana provetta nel ballo tradizionale dei girovaghi. Risulterà strepitosa e arriverà a piangere specialmente per ciò che la ‘nuova’ Callas dovrebbe rappresentare al grande pubblico televisivo, diverso da quello dalle platee di qualche decennio prima.

Ma Zeffirelli, entrando abbastanza in profon

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dità nel personaggio affranto dell’ultima Callas, evidenzierà il sorgere dell’irrisolvibile conflitto con la sua moralità artistica che non le permetterà di frodare il pubblico attraverso il metodo della voce registrata, arrivando a rinunciare al successivo ruolo propostole nella Tosca salvo la possibilità di poter cantare con la vera voce nonostante lo svilimento delle corde vocali. Il contratto a questo punto s’interrompe e lei ritorna sui suoi passi, ossia nella riservatezza che l’aveva custodita fino ad allora alla maniera d’un suppellettile d’antiquariato destinato all’unicità. Chiederà a Larry di distruggere la registrazione della Carmen appena ultimata per non tradire la sua vera intenzione di fare arte e per non lasciare ai posteri l’immagine sfalsata dell’artista che, invece, ha accettato la disfatta della propria voce scegliendo per questo il nascondimento. Una ricostruzione fantasiosa del periodo finale dell’esistenza di Maria Callas degnamente pregno di romanticismo, soprattutto nel momento in cui lei, Maria Callas, e Larry si ritroveranno seduti su una delle tante panchine d’un parco a meditare circa l’insondabile senso della vita.

Maria Anna Kalogeropoulos, in arte Callas, aveva chiesto al Creatore di poter diventare quello ch’è diventata senza la pretesa ulteriore di realizzarsi in qualità di donna e adesso voleva solamente non essere più riconosciuta da alcuno quando era in mezzo agli altri per proseguire il cammino umano a piedi, magari fra gli alberi che s’incontrano per caso ai lati delle strade che non portano (almeno così fu nel suo caso) da nessuna parte, anzi che portano a Dio: morì a pochi giorni dall’autunno del 1977 lasciandoci la leggenda dell’Artista canora che ha saputo anche ‘perdere’ egregiamente con sé stessa!

“ L’ultima Medea ”

Omaggio al film di Pier Paolo Pasolini del 1969: “Medea”, interpretato dal soprano Maria Callas, che in quell’occasione provò del sentimento per il regista Pasolini, dopo la conclusione dell’infelice legame durato una decina d’anni che lei ebbe con l’armatore greco Aristotele Onassis. La pellicola fu girata tra Grado, la Cappadocia e Alepp oin Siria.

Non più tra le sterpaglie della Cappadocia il dramma del mondo irrazionale della donna atemporale ricoperta di monili per ingannare l’abbandono di Giasone. Ora, Medea ha negato il classismo per diventare umana almeno nei pensieri (?) allo scandire del tintinnio delle collane portate al collo a due a due pesanti quanto la fonderia di Efesto, in te (Maria Callas) c’è stata l’ultima Medea alla ricerca dell’origine non si sa di cosa. Chi era Giasone e perché non trionfò come era stato previsto dagli indovini? Hai rovesciato il mito come bicchiere vuoto che non serve più a nessuno, Medea dagli occhi scuri più della pece avevi già ucciso!

Fotogrammi in successione come litografie di Aubrey

Beardsley: troppo bianco e troppo nero guastano la tradizione, chi era Giasone e perché se n’è andato? Medea non smarrì la ragione è che l’anima non l’ha mai avuta, ieratica e tribale ha distrutto il suo ruolo prima che lo facesse Euripide e la Storia.

Poesia inedita di Isabella Michela Affinito

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Tra Darina, Ninetta ed Emanuela DIALOGO CON GIUSEPPE LEONE

Ho apprezzato tantissimo questo nuovo recente lavoro dell’Amico Giuseppe Leone, così attento ad interpretare, come bene hanno a tutti noi insegnato i due grandi innamorati dell’Amore, della Vita e della Scrittura Emerico Giachery e Noemi Paolini. Per questo in pochi giorni ho tutto chiosato il carteggio tra Vittoriano Esposito e Darina Silone, che porta come titolo IL SILONE

PER CUI MI BATTO, della Ianieri Edizioni, pubblicato nel novembre 2022, aprendomi all’ascolto di queste due vitalità parallele, intercettate ed intersecate anche direttamente dal Nostro. La forma del dialogo a distanza, quali possono essere le Lettere, inviate da Darina Elizabeth Laracy, che decide di firmarsi ‘Darina Silone’ e le risposte e le richieste dell’anima portate in essere dallo scrittore e critico letterario Vittoriano Esposito, ben si addice all’interiorizzazione dei contenuti che il professor Leone ci invita a cogliere, oltre le righe.

Così il dialogo su di loro continua ora, perché i tempi sono maturi affinché cresca la consapevolezza del ruolo svolto da ciascuno di noi, nel suo tempo e nella Storia, individuale e collettiva.

Ilia: Regalaci un profilo di queste tre bellezze ‘letterarie’, tra Darina Silone, irlandese, Ninetta, la sposa di Vittoriano Esposito ed Emanuela Rossi, la tua Amata, ad aprire alla concretezza del fare e dell’agire, nella vita come nella scrittura.

Giuseppe Leone: Più che bellezze ‘letterarie’, le definirei di ‘frontiera’, sono donne

che vivono tra vita e letteratura, tra biografia e storia, tra realtà e immaginazione. Bellezze libere, insomma, miraggi, che, per non essere solo ‘letterarie’, hanno anche riflesso sul vissuto; e per non essere solo reali, hanno anche rimandi nella sfera dell’arte.

Guarda Darina, per esempio. Lei, grazie alle sue condizioni di moglie e traduttrice in lingua inglese delle opere del marito, è oltre la sua letteratura; e, pur non essendone tra le protagoniste dei suoi romanzi, tuttavia ne riflette la luce.

Silone, per lei, “fu una meta, non l’altra metà” - ebbe a dire Don Flavio Peloso, settimo successore dell’Ordine di Don Orione: i due “ebbero una tale identità interiore, intellettuale e progettuale, per cui, pur indipendenti e quasi opposti, erano uniti nel nucleo più profondo della loro umanità”.

E ancora Darina, a proposito della decisione di spargere le sue ceneri nel mare d’Irlanda: anche qui, è lontana, così da vaghe idealità letterarie come da autentica realtà quotidiana; è sempre donna di ‘frontiera’, poiché supera i limiti di qualunque vincolo: quello matrimoniale da cui si emancipa preferendo il mare come teca delle sue ceneri; e quello letterario, da cui si affranca, vestendo d’altra lingua i suoi romanzi.

E Ninetta? Fu lei, durante un convegno a Pescina nel 2003, a farmi il più perfetto dei ritratti di Vittoriano, critico militante, senza la benché minima intenzione di magnificarlo. “Come al solito - mi disse – non ha relazionato su quello per cui si era preparato, ma ha consumato i minuti a sua disposizione per obiettare a un’affermazione che non gli andava a genio”.

E in effetti, Vittoriano aveva risposto, a braccio, al relatore che l’aveva preceduto, il quale aveva parlato di socialismo liberale in Silone, piuttosto che libertario, come avrebbe poi corretto Vittoriano.

Questo aneddoto per dire quanto Ninetta fosse attenta e acuta in questo suo ruolo di compagna e “consigliera” negli incontri letterari di Vittoriano e anche quanto la sua partecipazione fosse puntuale in occasioni

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come queste, destinate a intensificarsi ancora di più dopo la scomparsa del marito. Da allora, già a partire da un convegno alla sua memoria tenuto a settembre nel 2012 sempre nel Centro Silone a Pescina, Ninetta vivrà gli anni che le saranno ancora concessi, impegnandosi a promuovere iniziative per non disperdere la memoria e l’eredità letteraria di Vittoriano.

Il tutto frutto della stima e del rispetto di lei verso un “galantuomo delle lettere”, qual è stato Vittoriano e soprattutto del profondo amore che l’avrebbe legata per tutta la vita a un uomo che le aveva dedicato già al primo incontro versi come questi:

M’avevi guardato! M’avevi sorriso!

Nulla da dirmi aveva il tuo sguardo, ma lo disse in modo grazioso quel nulla.

E il tuo sorriso, in apparenza tranquillo, aveva in germe la favilla.

Erano versi scritti da un giovanissimo Vittoriano Esposito, ancora all’alba del loro amore, quando, firmandosi con lo pseudonimo Amato Amans, gettava la chiave della loro interpretazione in un dominio dantesco, portando a maggior sintesi il celebre Amor ch’a nullo amato amar perdona: Amato Amans, in italiano, Amato Amante, amato che a sua volta ama, nel senso che i versi che lui rivolge a Ninetta non sono richieste d’amore, ma sono la risposta che lui è già pronto ad amarla.

E bellezza di “frontiera” è anche Emanuela, da quarant’anni mia compagna nell’arte come nella vita, per avere aperto “alla concretezza del fare e dell’agire”. Spirituale e tangibile, ideale e reale, vicina e lontana, Emanuela, che mi legge ancora in copia mentre sto scrivendo, è tutte queste cose insieme, come si evince in questo dialogo

tra me e lei al tempo dei nostri primi incontri, nella trasfigurazione di un mio dramma

dal titolo: Il dottor Santarosa:

SANTAROSA Io e tu è il legame che conta

LA SPOSA Siamo pari da quel che sento

SANTAROSA Io e tu per essere liberi

LA SPOSA Non sono la natura da dominare?

SANTAROSA Non è destino che io ti conquisti

LA SPOSA Mi vuoi libera?

SANTAROSA Legata a me in quest’orto di libertà tra recinti d’aria e palizzate di vento, Ilia: Le note di approfondimento al testo del Carteggio sono veramente uniche, perché talora, anche in corpo minuto, forniscono informazioni che vanno direttamente collegate alla nostra più cruda attualità. Ed Eugenio Scalfari occupa un posto particolare.. Giuseppe Leone: È evidente che ti stai riferendo al “caso” Silone. Purtroppo, Scalfari non è stato il solo, ce ne sono stati anche altri che hanno partecipato alla calunniosa marcia di Biocca e Canali contro lo scrittore. È vero che Scalfari risulta tra i più irriducibili detrattori, non solo, per avere scritto che “il “caso” Silone è quello di un dottor Jeckyl e di un mister Hyde, ma anche per l’astio, che lo contraddistingue, dicendo che per il suo comportamento schizofrenico durato un’intera vita e solo oggi fortuitamente scoperto, verrebbe fatto di invocare la seminfermità mentale

Quanto sia stata costruita ad arte l’accusa, contro Silone spia dell’Ovra, lo

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rivelerà, Francesco Sidoti, sociologo, criminologo e professore emerito dell’Università dell’Aquila, durante un convegno tenutosi nel capoluogo abruzzese il 18 marzo 2006, presieduto dal governatore di allora Ottaviano Del Turco, e introdotto da Aldo Forbice, domandandosi come può una tesi del tutto erronea ottenere consensi spropositati. E non solo, come sia stato possibile criminalizzare Silone, dal momento che la sua criminalizzazione non poteva neanche avvenire, perché si trattava di una ipotesi altamente improbabile e inverosimile, come avevano notato testimoni di livello, da Indro Montanelli a Leo Valiani. Domande, la cui risposta, per Sidoti, è solo una: che il caso è destinato ad andare avanti senza possibilità di una risoluzione, perché, qualunque risposta verrà data dalla difesa, non sarà mai dirimente e in mancanza di prove certe, nessuna ipotesi può essere esclusa. I pubblici ministeri - precisa - lavorano su certezze o su quella che è definita “l’ipotesi preferibile” sorretta da un livello molto alto di probabilità. Il ragionevole dubbio esclude l’ipotesi peregrina. … In questa luce il “caso” Silone non soltanto dovrebbe essere definitivamente chiuso, ma non poteva neanche cominciare, visto che storici autorevoli hanno posizioni assolutamente contrapposte, che si richiamano a documenti; come minimo Silone doveva essere assolto, in base al principio del ragionevole dubbio

Ilia: Ricchissima la bibliografia di Ignazio Silone, tradotto anche da Darina con grande efficacia, altrettanto grande quella di Vittoriano Esposito, che il Silone ce l’ha nel sangue fin da adolescente, e lo dice più e più volte a Darina, quasi con l’insistenza mai placata dell’innamorato vero, molteplici e contrastanti i documenti critici e le biografie che hai dovuto consultare. Ne emerge dedizione, passione, conoscenza e competenza acquisite professionalmente e grande capacità di ascoltare i testi: quali i fari che ti hanno orientato sostenendoti nel difficilissimo percorso, evitando interruzioni, pause di riflessione sui duri fatti che emergono da

questo CARTEGGIO inedito, spinte intellettuali a dilatare ogni particolare, offuscando così un poco l’obiettivo primario della pubblicazione?

Giuseppe Leone: Nessun’altra luce se non la gran mole di fatti, avvenimenti, episodi, relativi a Silone, uomo di pensiero e azione, testimone e artefice di eventi che sconvolsero, non solo la propria vita, ma anche l’epoca in cui lo scrittore visse. Pensa a Pavese - al quale Vittoriano aveva dedicato più di un saggio già a partire dalla sua tesi di laurea - che sosteneva che un uomo vale per il ricordo che porta e per il ricordo che lascia.

E Vittoriano e Darina, quanto a bagagli presso, ne hanno portati tanti, come altrettanti ne hanno lasciati al momento della loro partenza.

A ciò aggiungi che, attraverso questo carteggio, all’apparenza non così corposo (37 le lettere: 21 di Vittoriano, 16 di Darina), passa la storia del Novecento, un “secolo breve” - e per fortuna - lo aveva definito Hobsbawn. E quanta e quale storia! Dalla rivoluzione russa allo stalinismo, al nazifascismo; dall’Italia monarchica e fascista all’Italia repubblicana dei partiti; dalla guerra fredda, alla caduta del Muro di Berlino, dal primo “caso” Silone degli anni ’50 al secondo “caso” degli anni Novanta e Duemila, agli attacchi contro Silone e Darina.

Altro che “secolo breve” e poche le mie pause di riflessione! Se ho persino rischiato, come tu dici, di offuscare un poco l’obiettivo primario di questa pubblicazione, è perché mi sono trovato davanti a un universo infinito di fatti e di drammi, con sullo sfondo: da una parte, la Storia con tutte le sue necessità al seguito, dall’altra, Silone con le sue richieste di libertà. Non dimentico che Padre Edoardo Fenu, sull’Osservatore Romano del 23 settembre 1965, scrivendo: “poche volte ci è accaduto di ripensare come durante la lettura di Uscita di sicurezza, alla famosa canna pensante di Pascal”, abbia, forse, espresso il riconoscimento più grande che lo scrittore abbia

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mai ricevuto, in grado di risarcirlo di tutte le offese subite in vita e post mortem.

Ilia: In copertina l’immagine di un Silone schietto, pensoso, con quel suo sguardo che ha attraversato esperienze terribili, incise quasi a ferita mai chiusa nel costato: perché hai inserito in nota il suo CONFITEOR che prende davvero la nostra capacità giudicante sospendendola di brutto?

Giuseppe Leone: Sinceramente, non so dove altro avrei potuto collocare quest’autointervista che lo stesso Silone s’inventò negli anni ’50, allorché prese ad infuriare la polemica sul suo caso letterario, per ragioni ideologiche ancor che estetiche, come oggi è ormai chiaro a tutti.

Vedi, Ilia, inserendo il ritratto di Silone in copertina e confinando il suo Confiteor in calce a una pagina del saggio, non mi pare d’aver tradito Silone, ho semplicemente rispettato la sua etica di scrittore, nonché il rapporto speciale che egli ha da sempre avuto con il segreto. E Maria Zambrano, in questo, ci può confortare. “Chi scrive - fa notare la filosofa spagnola - vuole dire il segreto, ciò che non si può dire a voce perché è troppo vero, le grandi verità non si è soliti dirle parlando … Scoprire il segreto e comunicarlo sono i due stimoli che muovono lo scrittore. Il segreto si rivela allo scrittore, mentre lo scrive, non quando lo pronuncia. … Allo scrittore nella sua solitudine il segreto si rivela non del tutto, ma in un divenire progressivo”.

Come in Silone, che, oltre ad averlo svelato attraverso ogni suo romanzo, lo avrebbe anche ammesso, se pure velatamente, rispondendo a un intervistatore che gli faceva notare di avere in viso la tristezza di chi partì per andare troppo lontano e alla fine si ritrova al luogo di partenza: “No, ti assicuro che non sono deluso, malgrado molti sbagli e sciocchezze che non ho saputo evitare. È difficile però spiegare certe cose a quelli che sono rimasti sempre dove sono nati. Si racconta di un navigatore spagnolo che in alto mare era solito cantare una bellissima canzone. Ai suoi di famiglia che un giorno, a

fine tavola, lo pregavano di ripeterla, egli rispose: “È impossibile; io canto la mia canzone solo a quelli che vengono con me in alto mare”.

Con questo, voglio dire che Silone è persona discreta e riservata, e non c’è da stupirsene se, per primo egli stesso, ne faccia schermo a ogni confessione. Cosa che fa anche capire perché Silone, uomo politico di alto rango nella giovinezza, decida in seguito di fare lo scrittore, perché da politico non sarebbe mai riuscito a comunicarci il suo segreto.

Tra tutti i testi dell’Amico Giuseppe Leone, che ho attraversato con sempre particolare attenzione interpretativa, questo risulta il più intenso per profonda e chiara capacità, rarissima oggi, di affiancare al testo storicotestimoniale di questo Carteggio finora inedito, una dettagliata e ben coordinata capacità di animare i dati rendendoli d’una quotidianità indiretta e, proprio per questo, vitalissima.

Vittoriano Esposito – Darina Silone

IL SILONE PER CUI MI BATTO, Ianieri Editore, 2022, pp. 264

NEL DILEMMA DEL GIORNO

Incrociavamo i nostri pensieri su latitudini diverse, tu a Est e io a Ovest.

E si alzava alta la parabola dell'istante lungo il giorno che pareva uguale ai nostri sogni.

Tu ti tingevi le labbra, e lo specchio appannava la tua immagine.

Comparavamo i desideri nel dilemma dell'oggi mentre la polvere trascinava via i giorni.

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Il pellegrino del plenilunio

(Dicembre 1999. L’ultima luna piena la notte dell’apertura della Porta Santa da parte di Giovanni Paolo II)

Questa notte la luna

Non ha voluto ombre

Sui gradini

Davanti alla porta

Accompagna il Pellegrino poverello

Per annunciare nuovi percorsi

Aprire spiragli

Si titubanti viandanti

Del mondo.

Anche Tu Pellegrino

Sei stella cometa

Nel buio siderale

Dei cuori

Di fine millennio.

Sfinito d’amore hai piegato il mantello

In ginocchio

Tra danze di popoli in festa.

Altro oro

Dal metallo che fonde

Quello che avvolge il tuo manto.

Abbracciato dall’astro che brilla

Sembri fondere

Con i fili della luna

Il futuro di tutte le genti

In una coesione celeste

Che regge alle fiamme.

Altra luce da quella

Del fuoco

Che fa divampare le guerre

Quella dei tuoi occhi fanciulli

Che vuole aprire le porte

Delle solitudini umane

Ti preghiamo

Dacci umili parole

E grandi sogni

Per raccontare la Pace

Per spegnere le guerre

Per accendere di nuovo la vita

E sfidare la morte…

Da: Questa mattina (24/02//2022), Ed. Tabula Fati, 2023

AL COMINCIAMENTO

All’inizio del mondo

è stato il Verbo

nutrito degli orizzonti dal silenzio delle buone parole e delle passioni immaginarie

La speranza è arrivata un altro giorno con le illusioni feltrate in fondo al cuore e la complicità d’un sogno illimite

Solo la solitudine ha perduto l’eco del suo murmure aggrappandosi all’armonia di lacrime indiscrete di un tempo assassinato dall’insolenza dell’uomo in preda ai suoi tormenti

La verità non ha avuto parole da dire

Stephen Blanchard

Da: Les Temps pliés. Libera versione di Domenico Defelice.

Il non finito lascia libera la fantasia del fruitore, che ne viene stimolata. Il non finito assolve per intero quello che è il vero compito dell’arte: non di imitare neutralmente la realtà, né quello di dare la perfezione assoluta.

Domenico Defelice

Da: Domenico Antonio Tripodi – Pittore dell’anima, Gangemi Editore, 2020, pp.95

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Un poeta nel vortice della vita DENTRO L’URAGANO

Sono quarantasette le liriche comprese nel florilegio Dentro l’uragano di Franco Campegiani.

L’uragano è una tempesta violenta che si forma sopra un oceano tropicale con venti che soffiano intorno e un’area centrale di calma, chiamata occhio. Il poeta, forse, si riferisce alla sua posizione privilegiata, centrale intorno a cui ruota vorticosamente ogni cosa. Da questa prospettiva si pone domande, cerca risposte, dialoga con filosofi e ricorda poeti come Pier Paolo Pasolini, John Keats e Giacomo Leopardi, ma parla anche ad alcuni membri della sua famiglia.

Lo stile è caratterizzato dalla scelta di ogni minimo dettagliato e di combinazioni di suoni, dell’utilizzo di preposizioni in particolari posizioni all’interno del verso; il linguaggio colloquiale, intimo ne facilita la comprensione, dal momento che si parla anche di argomenti specifici come ad esempio il pensiero del filosofo Parmenide.

Dalla lettura, in particolare emergono due liriche: Come il pane e Parmenide.

Nella prima poesia Campegiani parla della donna o Madre terra, a cui guarda con fare ammirato: “Ogni giorno ti spezzi come il pane e come il pane si staccano i figli dal tuo seno”. Il pane può rappresentare il rapporto tra il genere umano e la terra, ma anche con la divinità. La donna, dunque, media tra ciò che è terreno e ciò che è divino, attraverso l’atto di generare:

“In te si perpetuano i flussi generazionali/ e si rinnova il cordone ombelicale/ che succhia linfa dal cosmo./ Attraverso te s’avvicendano i mortali/ e si rinnovano i cicli mondani ultramondani”. Il pane è anche simbolo di solidarietà, il quale si spezza e si condivide tra i commensali che possono chiamarsi anche compagni ( dal latino cum panis, con il pane). Sono versi che mettono il luce la figura femminile, in un momento molto particolare visto l’aumento della violenza di genere. L’averla scritta denota una grande sensibilità dell’autore, anche in questo ambito così delicato. Nella seconda avverte il cambiamento e il rinnovamento attraverso i cicli della terra, i fenomeni atmosferici che incontrano gli occhi di chi li osserva e gli animi che ne vengono pervasi: “Non puoi dirmi, non l’accetto,/ che non esiste mutazione/ che tutto ciò che mi respira intorno,/ il cielo azzurro e le dolci colline,/ il vento che spazza/ e l’onda che giunge a riva/ sia tutta una tragica illusione”.

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Il poeta, di formazione filosofica, inoltre dialoga con Parmenide, il quale visse in Magna Grecia, fra il VI e il V secolo a. C. e che scrisse un poema proprio Sulla Natura.

Il filosofo pensa che l’essere è, esiste, ma non il nulla perciò tutto è qualcosa. L’essere, quindi non cambia, ma cambia la sua apparenza. I cambiamenti, secondo lui, vengono si percepiti, ma sono solo apparenti. Nella raccolta, dedicata ai figli, lo scrittore disquisisce di molti e diversi argomenti, quasi un voler dare sostegno a loro, ancora giovani, per indicare i passi futuri.

Nell’occhio dell’uragano, così violento e caotico, che velocemente si muove e porta via con sé ogni cosa, per certi versi come l’attuale società onnivora che distrugge e digerisce, troviamo L’essere è qui, in cui l’autore dice: “L’oltre sta qui, nel cordone ombelicale,/ che mi lega all’altro di me stesso,/ al mistero da cui sono generato,/ alla bocca del vulcano che mi sputa/ e mi risucchia nel ventre suo radioso,/ nei suoi gorghi incandescenti”.

Nonostante tutto, Campegiani si trova al centro della Terra e degli eventi, da cui è richiamato dal fare della vita, dalla famiglia e dal suo lavoro. La Terra con i suoi misteri, così come la donna, ha un cordone che lo lega in maniera viscerale e lo farà per sempre. Anche se egli viaggia col pensiero, con la fantasia, con la poesia, la realtà lo riporta sui suoi passi, forse più leggero e più felice.

Franco Campegiani

DENTRO L’URAGANO, Pegasus Edition, 2021, pp.84.

Manuela Mazzola

Quando d’estate

Quando d’estate il sole tramontava, ti trovavo a casa ad aspettarmi.

Sembravi un monolite nel deserto.

FRANCESCO

piedi scalzi de’ semplici che inseguono colombe

pettoscreziate mani colombe

il saio croce splendore

neve caduta a cancellare la morte

Rosaria Di Donato

Da: Preghiera in gennaio, Ed. Macabor, 2021.

Cosi empatia risplende

Quando dirige la musica che espira attento

E con la maestria del solista gesticolando Dirige la sua orchestra

Filosofia rifugge filosoficamente

Sempre nascosto tra le voci che furono

Fissandole per un istante

Perché non c’è alcuna battaglia

L’oggi è questa guerriglia estenuante

E trae forza con decoro

Mentre canta solo

Tra il solista e il coro

E a domanda risponde franco

È endemicamente logico

Tra il paroliere e il filologo

Non si ritira mai

attraverso i fiumi della sua mente e della sua terra

con onestà vince

o almeno ci porta a morale alto avanti

nella guerra che è in seno al giorno che abbiamo davanti. 04/02/2023

Manuela Mazzola

Da: Parole sospese, Il Convivio Eidtore, 2022

Lorenzo De Micheli (Genova)

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Al Prof. Alessandro Barbero

Vincolati al suo destino

NOEMI PAOLINI GIACHERY di

Ilia Pedrina

Lui è Italo Svevo, lei, la conosciamo bene nei suoi lavori di critica letteraria che interpreta i testi con competenza e passione, è Noemi Paolini Giachery, così questo suo intensissimo ITALO SVEVO IL SUPERUOMO DISSIMULATO, in nuova edizione per i tipi della Aracne Editrice, pubblicato nel 2017, mostra un dinamismo esecutivo tra ricerca sui testi dello scrittore triestino - a partire da quelli che gli aprono la carriera di apprezzato giornalista e in moto verso una sempre maggiore consapevolezza dei propri talenti -, e investigazione comparata tra tutti coloro che si sono cimentati a scrivere su di lui e a capirne i risvolti più segreti, che mi ha non poco vincolato al suo destino, di ebreo, di ebreo triestino, di ebreo triestino dagli orizzonti mentali e creativi oltre ogni Mitteleuropa. A lei ho promesso uno studio altrettanto coinvolgente per rendere questo suo lavoro materiale ardente da tenere in borsette, zaini da passeggio, come pure nei tasconi di grande ampiezza che avvolgano belle persone. La prima ragione per tenerlo così a lato sta nel capirsi come al femminile, dando così a se stesse la possibilità di accedere ad una autoanalisi senza mezzi termini, da condurre in sincerità; la seconda per cogliere lo stile dell’interprete all’opera, così articolato, avventuroso, razionale e passionale ad un tempo. Allora che noi fumiamo o meno, il vincolo a seguire il testo e a capire Svevo diventa cosa ben importante. Basta l’avvio dell’introduzione per capire che là dove lei mette attenzione e misura determinata all’avventura, oltre che piena competenza dei propri mezzi intellettuali, allora

arrivano i guai per tutti quelli che prima di lei si sono cimentati con questo Autore: “Il progetto di scrivere un libro su Svevo non può oggi non essere inizialmente scoraggiato dalla considerazione della immensa bibliografia sveviana, a cui si aggiungono di continuo nuovi, spesso importanti contributi. Eppure, inoltrandosi in questo grande mare, si scopre che non è facile rintracciare dei percorsi lineari segnati da approdi e da acquisizioni definitive… In realtà il nostro autore si è rivelato finora veramente proteiforme, cioè metamorficamente sfuggente a ogni tentativo di presa definitiva… Ora il Soggetto sveviano è considerato capace di acquistare, sia pure gradualmente, un’allegra medietà attraverso il compromesso e l’ironia, ora -ma il caso è più rarosi scopre amaramente e irrimediabilmente estremista e nichilista e chiuso in un universo privo di punti-luce. E la lista potrebbe continuare. E di fatto si allungherà nel seguito di questo discorso…” (Noemi Paolini Giachery, Italo Svevo il superuomo dissimulato, op. cit. pp. 7-8).

Allora abbiamo letto bene: la metafora del

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‘grande mare’ dove gli approdi non si presentano né lineari né segnati sulla mappa della scrittura sveviana è affiancata, per creare ancor più disagio di localizzazioni garantite, dalla precisa caratteristica del ‘nostro autore… metamorficamente sfuggente’. Noemi cerca di consolarci un poco rispetto all’impresa intellettuale che ci aspetta e ci accarezza con quel suo sguardo, quasi novella Atena occhiazzurina, che non ha certo bisogno della nottola sulla spalla, dato che nessuna notte possibile nella scrittura del Nostro può fermarle energia e dinamismo che visualizza ed organizza interpretazioni ben azzeccate, armonicamente indicative del suo reale talento nel costruire passo dopo passo questo lavoro dell’intelligenza, della messa in campo dei materiali, della passione nell’offrirli a tutti.

L’interpretazione che Noemi Paolini Giachery fornisce dei testi di Italo Svevo viene vissuta dall’interno quasi fosse una partitura vastissima da penetrare con sapiente capacità di ascolto e con disimpegnata, giovanile, ardita scioltezza, perché dà passo dopo passo il resoconto degli obiettivi individuati e messi in luce, armonicamente innestati nel tutto della propria arte: lei non fuma con lui, ma ci lascia vincolati al suo destino! Ed ecco i Movimenti o Capitoli, in tutto nove, che aspettano di coinvolgerci, con Finale ad effetto, che vuole presentarsi come un altro densissimo aggancio, di vorticose inquiete caratteristiche, quale può essere Marcel Proust:

Capitolo I Dissonanze sveviane;

Capitolo II A partire da Shylock. Ettore Samigli recensore autobiografico;

Capitolo III Orientamenti di un disorientato;

Capitolo IV “A sprazzi e ad istanti”. Puntiluce nell’oscuro universo sveviano;

Capitolo V Una rimozione contagiosa;

Capitolo VI La scrittura allo specchio;

Capitolo VII Bivalenza del “malcontento”;

Capitolo VIII Non sempre si tratta di stilemi;

Capitrolo IX Montale e Svevo: un incontro per affinità

Du coté de chez Schmitz

“… Come in un’ouverture, si affacceranno molti dei temi fondamentali che saranno sviluppati nel discorso…”: così ancora nell’Introduzione Noemi sa che dobbiamo avere conoscenza, passione, intelligenza, competenza, originalità e capacità interpretativa bastevoli ad affrontare quest’avventura nel ‘grande mare’ e ci consola, senza abbandonarci ai marosi da deriva, perché lei non fuma con lui, ma ci vuole vincolati al suo destino, rimanendo, con la sua scrittura, sempre al nostro fianco: stimare il lettore è offrire a lui il meglio di sé, in un riconoscimento che è indubbia prova di stima.

Noemi Paolini Giachery ITALO SVEVO

IL SUPERUOMO DISSIMULATO, Aracne

Editrice, 2012, pp. 168.

IO E MIO PADRE

Scrivevo a mio padre

Di un difficile inverno

La neve sul tetto

Un noce abbattuto dal vento

A mio padre donavo

I versi del disordine

Indirizzandogli parole

Che si disperdevano nel nulla

Punto interrogativo

Enigma rimane il padre

E vorrei tanto abbracciarlo

Come rinforzato argine d’acqua

Incerta piuma d’usignolo

Acquista l’urlo furioso del vento

Io e mio padre – sole nel cielo

Bocciolo di rosa a gennaio

Ilia Pedrina

Pasquale Montalto

Da: Cristalli di neve. Il senso dell’altrove, Ed.

Tabula Fati, 2022, illustrazioni di Alice Pinto.

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IL POETA CERCATORE

La via poetica è lunga e complessa. E chi decide di percorrerla sa che alla fine arriverà, forse, a conoscersi meglio, poiché la poiesi rappresenta uno scavarsi dentro, fin nelle ossa. Ed è esattamente questo che il poeta cercatore sta facendo. Nel suo ultimo lavoro …beáti qui non vidérunt et credidérunt si evince una grande sofferenza che lo accompagna nel percorso umano prima, artistico poi.

“E proprio qui sta il dramma di chi cerca la fede, di chi tenacemente la persegue, senza raggiungere il suo obiettivo; qui il senso di colpa, dilaniante; qui il dramma, mai urlato, che attraversa il libro e lo scuote dal profondo”. Scrive così Pasquale Balestriere nella prefazione, il quale rischiara il percorso del lettore in questo viaggio di alto profilo lirico.

Ventisei le poesie che si collegano ai versetti del Vangelo secondo Giovanni, riportati in lingua latina e poi tradotti in italiano.

Lo stile è apparentemente semplice e scarno come l’atto che il poeta compie nei confronti di se stesso per arrivare fino in fondo, nelle profondità per ritrovarsi, glielo auguriamo, davanti a se stesso per capire e comprendersi meglio, ritrovandosi nella vita di tutti i giorni.

Giannicola Ceccarossi vive un’esistenza piena, circondato dall’amore della moglie Patrizia e dei figli; parliamo, dunque, di un uomo che ha una sua professione e una sua famiglia, ma egli desidera andare oltre la

fisicità del mondo per giungere a qualcosa di metafisico, ossia che trascende la realtà sperimentale, è in cerca, infatti, dell’Assoluto, dell’Universale, di Dio. Ciò di cui manca l’uomo e la donna.

Come scrissi già nel saggio “Enzo Andreoli e la Shock Art” : “Si avverte una tensione verso l’infinito, una ricerca spirituale non collocabile in una religione in particolare, ma piuttosto verso un’entità al di sopra degli esseri umani, a cui tendono inevitabilmente, per cercare quel quid, dall’inizio dei tempi.

Quel senso di incompletezza avvertito da tutti i popoli è stato risolto da alcuni con la filosofia e la sua meraviglia, da altri con le religioni e le sue dottrine”.

Anche se per il Ceccarossi è diverso, dal momento che ogni essere umano è unico, ritrovo in questo florilegio, quella stessa ricerca per riempire la mancanza o l’assenza. “Forse è colpa mia/ Forse non ti ho accolto/ con il cuore aperto[…]”e quando sarò dinanzi a te/ spero che tutti i miei dubbi svaniscano”; “Siamo in molti/ Una lampada ci

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Fino a quando la mia gola sarà rigogliosa di luminosità

accompagna/ nella fitta boscaglia. Il poeta prende su di sé tutta la colpa per questo suo sentire, per questo suo essere smarrito e spera che una volta di fronte a Dio, i dubbi si diradino e afferma che come lui ce ne sono molti lungo la strada della conoscenza; la via sembra essere una boscaglia in cui l’unica cosa a loro disposizione è una lampada che faccia vedere loro il passo successivo. Tutto ciò gli procura dolore e pena che gli opprime il respiro: “Malattia dell’esistere dell’ignoto/ Ho camminato senza il mio giaciglio”; “Non c’è strada né vicolo/ dove rifugiarmi”.

Non esiste alcun luogo sulla terra che gli dia un po’ di respiro e riprende a camminare da solo, sempre più solo.

Anche in “Quando il tempo verrà fragile come la Luna”, edito da Ibiskos Ulivieri Editore del 2019, era presente il mistero dell’essere, della vita, ma anche della perdita. Il poeta si poneva alcuni interrogativi che nascevano nel suo animo e che venivano, risolti in senso catartico, nel naturale divenire dei versi.

E come in quella raccolta anche in questa l’autore traspone emozioni e sentimenti che sono umani, nel senso che appartengono universalmente a tutti gli uomini e le donne. Proprio per questo i lettori facilmente possono comprendere i versi sciolti e cadenzati dalle parole scelte.

Chiude la silloge la poesia eponima:

Beati coloro

che hanno avuto il dono della fede

-esseri prediletti –perché otterranno

la grazia e la vita eterna

Beati coloro che credono

perché i momenti saranno più lieti

e il loro bene per il Padre

sarà radioso e perenne

Infine

a te o Padre

rivolgo la mia esortazione

Lasciami la memoria

Perché potrei dimenticarti.

È una lirica con dignità di preghiera, scritta da un uomo che non si accorge o non è del tutto cosciente, del lungo cammino che ha intrapreso e che credo lo abbia composto con umiltà, sincerità e umano dolore e che dunque sia riuscito a trovare la risposta alle sue domande, ai suoi vuoti, ai suoi perché. Fino a quando la mia gola/ sarà rigogliosa di luminosità/ e la mia parola/ intonerà le rime del poeta.

Giannicola Ceccarossi

BEATI QUI NON VIDERUNT ET CREDIDERUNT, IBISKOS Ulivieri Editore, 2022, pp. 45.

LA STELLA POLARE

Le persone vicine, gli avvenimenti imminenti si impongono e modellano le mie giornate, i mesi, gli anni … la mia vita. Ma nei momenti brevi di pausa, nel silenzio, corre il pensiero al tempo trascorso, e al come, al dove, al quando. E allora mi accorgo di tutto quello che avrei voluto fare e che purtroppo ho trascurato. Me ne dispiace, però penso che forse così doveva andare, perché forse voleva il buon Dio per il mio bene che così fosse. Probabilmente, quello che ho fatto è stato fatto bene, quello che avrei voluto sarebbe andato male. Ma inalterato, imperituro resta pur se irrealizzato, bello e sempre vivo, un sogno: quello di rivederti un giorno e di poterti parlare. Là dove mi conduce la mia stella polare. 4 febbraio 2023

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Dio nei pensieri FABIOLA CONFORTINI di Tito Cauchi

Fabiola Confortini è nata a Firenze nel 1948 e vive a Limite sull’Arno (FI);docente di Lettere in pensione é ora “nonna a tempo pieno”. Vincitrice di premi per la poesia, pubblica la presente raccolta, Dentro l’azzurro dei pensieri, che è seconda, dopo essere “comparsa sulla scena letteraria”con “Profumo di vita” del 2020, sempre con la stessa Accademia. L’immagine di copertina è della dott.ssa Elisa Gabbrielleschi (primo piano di giovane donna con il viso coperto dalle braccia alzate come se stesse danzando, nello sfondo un cielo azzurro appena velato di nuvole e il sole abbagliante).

Marcello Falletti di Villafalletto, nella prefazione, afferma che questa silloge si caratterizza per il senso di ricerca che si avverte nelle “profondità recondite di un’anima assetata di verità e di assoluto.”. I componimenti, circa un centinaio, sono raggruppati in tre parti, sinteticamente e nell’ordine: realtà in un lirismo classico, affetti più cari e famiglia, colloquio e preghiere con l’Altissimo. Il Falletti continua affermando che Fabiola si manifesta “donna pensante; sposa devota; madre affettuosa; insegnante diligente; nonna tenera; e protesa verso un futuro vissuto come aspettativa ancestrale”; pur non nascondendo le proprie fragilità e dubbi, la sofferenza e lo strazio in cui è abbandonata la “terra”; tuttavia nutre aspettative legate al sorgere e al tramontare del sole e della natura primordiale tutta. Il Critico rileva una versificazione degna dei rimatori romantici, nondimeno assicura che la Poe-

tessa supera i ruoli tradizionali in cui la donna veniva relegata nei compiti domestici. Avverte, inoltre, che l’uso “eccessivo dei pronomi personali (…) assume un significato profondo e intenso di autentica armonia; che può continuare a cantare infinitamente”. Ciò detto ne rivisitiamo il testo. I Pensieri di Fabiola Confortini prendono avvio dal componimento in cui decanta la sua Firenze dichiarandole che “più grande/ si fa la nostalgia di te”. Per necessità espositiva mi limiterò ad attingere qua e là. La Poetessa si abbandona ai ricordi di una natura floreale che su di lei opera un potere curativo: “Il tocco delle mie dita/ fa germogliare la terra/ arida e stremata”, pur nel contrasto di una forza avversa che “ha fracassato alberi e cespugli,/ ha fracassato fiori e maggiolini,/ farfalle e sterpi secchi.” Scopre sé stessa “per divenire ogni giorno/ più donna,/ dentro questa crisalide/ sentendosi amata.”, e scopre che la bontà può risiedere in ogni luogo e in ogni persona. Della sua adolescenza ammette: “lasciavo andare/ la mia dolce innocenza”, ugualmente volgeva il pensiero al Cielo interrogandosi sul futuro e promettendo l’accoglienza ai più bisognosi. Ma oggi rimpiange il suo “paradiso perduto” (pp. 22, 28 e 46).

Fabiola Confortini usa un “tu” che transita dall’umano al trascendente per fondersi in un tutt’uno come quando chiede: “Come posso crescere/anch’io,/ se non recidi forte/ i miei tralci avvizziti,/ se non mi fecondi,/ se non mi sostieni?” (p.23). Questa fusione vale anche per l’amore sia verso gli umani sia per il Divino, sia per la natura più in generale. Difatti dice di sentirsi figlia e sorella della luna, anche se avverte su di sé una “solitudine infinita”, più volte evocata (p.36), che ricopre tutta la sua vita. Il suo percorso è tracciato sulla sabbia, ma si sente leggera come una farfalla, forse perché è incerta ma capace di sollevarsi. Anche se sa che non si può riavvolgere “il filo del tempo”, pure cede ai ricordi della prima confessione in chiesa, ai sedici anni e al desiderio, non esaudito, di sentirsi dire “ti amo”.

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Siamo entrati nel suo mondo interiore scoprendovi un ventaglio di emozioni che la Nostra trasferisce su carta. Vede nello sguardo che si posa su di lei la presenza del Signore e come San Francesco ama le creature di Dio, cercandolo. La sua gioia oscilla tra il desiderio di realizzarsi come donna e quello di donarsi per il bene degli altri. Nel religioso raccoglimento ricorda Don Walter; in momenti di fantasia sente la tenerezza verso Stellina anche se la graffia e verso Buck che le corre accanto (gatta e cane). Osserva che la realtà contrasta con il biblico Abele che viene ucciso tutti i giorni e lei persiste a considerare il proprio cammino incerto. Possiamo affermare che Fabiola, in questa prima parte, pur nel contrasto, avverte la presenza di Dio.

Si rivolge al figlio immaginando di accompagnarlo nella crescita, convinta di prendere come faro il suo “immenso amore”. Le ansie vissute dai genitori i quali possono indicare la strada, ma spetta ai figli la scelta. L’ansia durante la crescita rimane anche se si diventa adulti, se i capelli si imbiancano. A volte l’amore che si ha dentro non si riesce ad esprimere appieno. Ricorda l’insegnamento ricevuto in famiglia d’origine, le mani ruvide del padre capaci di accarezzare: “Lui non era credente allora, / ma mi ha insegnato ad amare.” (p.61). Ricorda le estati trascorse a Follonica, il ritmo della risacca che accompagnava le sue fantasie di bambina. Il passo è breve per veder-

si rispecchiata adesso nei figli, amati come lo è stata lei, ancora prima di vedere la luce: “Amelia, / dolce sorriso/ della mia età matura. / Lieve carezza/ di una vita ormai vissuta.” (p.65), dono del Signore. Si vede nonna e come tale rivede il proprio nonno, commentando che i ricordi si fanno belli specialmente quando ci vengono a mancare le persone care. Ora, anche i suoi figli diventati a loro volta genitori, possono capire l’ansia nei riguardi dei figli. Quindi dobbiamo credere che la morte porta via solo il nostro corpo fisico, la nostra “crisalide”, non anche lo spirito che viene mantenuto dalla bellezza propria o dal ricordo che lasciamo. Riappare Firenze “tra mozziconi di bestemmie/ e le risate di sabato sera,” nel trambusto della vita cittadina, “nelle automobili di chi cerca/ compagnia/ lungo le strade e nelle discoteche”. Tra il malcostume diurno e notturno, la Poetessa invoca: “Ti ho cercato!/ Signore,/

nell’oscurità di questa Babele,/ che ondeggia e si muove e vive,/ ho temuto di perderti ancora!”. Solo adesso comprende di averlo avuto sempre vicino; e, avendolo trovato, in sua assenza, si sente perduta. È un continuo invocare e un alternarsi di fede e di smarrimento, fino a fare ammissione di essere “figlia dell’unico Dio,/ figlia dell’infinito/ ed infinita anch’io.” Loda il Signore dicendo che la Croce rappresenta la Resurrezione non solo di Cristo, ma anche la sua, di ogni essere umano. Ha una posizione altalenante

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tra la Maddalena e il fariseo, e si rammarica di essere stata richiamata ora che ha i capelli bianchi. Eppure dice di avere cercato Dio nei suoi ‘perché’, dice di ringraziarlo, e promette ancora di ‘contemplarlo’; ripete più volte questi pensieri; esulta di gioia; dice che Dio vuole che lei salga sulla croce e che soffra (per comprendere). In ‘Perdonami’ enumera molte delle sue mancanze, così ancora promette, fa suo il chiodo della crocifissione e riconosce che la sua vita (come quella di tutti gli umani) è misera cosa che vola come una piuma.

Giunti fin qua, penso di potere dire che tutte le poesie di Dentro l’azzurro dei pensieri, di Fabiola Confortini, parlano di lei e del suo mondo interiore, confermando la prevalenza tematica nella tripartizione (realtà, famiglia, preghiere); in ogni caso la “crisalide” le ha fatto da scorza protettiva. Quanto alla versificazione, la Poetessa è libera da canoni specifici (almeno in apparenza) e usa componimenti lunghi, mediamente di 40-50 versi (non vorrei sbagliare), inoltre fa uso del leitmotiv non semplicemente nelle singole poesie, ma mi sembra che si ripeta il tema del contrasto emotivo con sé stessa, specialmente nei suoi colloqui con l’Altissimo. In ogni poesia c’è un messaggio, soprattutto nella prima parte, ma è sempre presente l’indirizzo pedagogico dell’insegnante, in chiave dell’auto psicoanalisi. Nella sua poetica rientrano voci come la finestra, dentro e fuori della quale osserva il mondo: sintomo di ricerca; l’oltre, della siepe, della soglia, del confine, della sua mente, del suo orizzonte: segno di sforzo. Direi pure, che la sua è poetica della confessione e di una sorta di conversione religiosa, sempre nell’alternanza tra fede e promesse; questo mi viene suggerito anche dalla pubblicazione che avviene dopo lunga maturazione.

Fabiola Confortini, DENTRO L’AZZURRO

DEI PENSIERI, Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili, Scandicci, Firenze 2021, pp. 134.

Tito Cauchi

ROTOLA

Mondo sconosciuto, dolente travalicante pensieri ripiegati come trafitture di logoranti ammassi

rotola nell’incessante misura in cui porge la vita il suo tempo.

Wilma Minotti Cerini

Da: L’alba di un nuovo giorno, Eugraphia,2020

Mimosa (Per la festa della donna)

È la stella di Rio Vivo la mimosa che a marzo, giorno e notte, sventola rami fioriti e saluta gioiosa astri in ascensione nel cielo di mutevole stagione. Sfida i colori del sole, tremula assiste a pallori di luna, dona rifugio al merlo che non ha più corde per intonare l’antica canzone. È lì, simbolo di luce e creatività, brillante e luminosa regina coronata di fiori, ammirevole in densità ed estensione, che, con tacito pudore, mi parla di bellezza femminile, di tenera grazia muliebre che si espone a occhi adoratori, a cuori vibranti d’umane passioni, alla mistica riflessione che l’oggettivazione in essa vede d’ogni sentimento d’amore, che il sapore insegue della vita e di innocenza e amenità si corona.

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Una mitezza che cela una profonda umanità

FRANCESCO

D’EPISCOPO

H o incontrato varie volte, in passato, il chiarissimo docente universitario Francesco D’Episcopo, saggista, poeta, prosatore, giornalista. Il primo incontro a Mirabella Eclano (Av), nel lontano 1993; lui membro della Giuria del Premio di Poesia “Aeclanum”, ideato e presieduto dal grande poeta Pasquale Martiniello, io destinatario di un premio per la poesia in edita. Negli anni successivi lo incontrai a Isernia, Cerro al Volturno , Guardialfiera (paese d’origine di sua madre Aurora), Roccavivara e a Termoli, in occasione di incontri letterari, in cui il professore era l’animatore principale. Il suo nome mi era noto, prima ancora di incontralo di persona; avevo letto e apprezzato v ari suoi saggi critici dedicati a Francesco Jovine (tra i quali “ Il Molise di F. Jovine ”, Edizioni Enne – Campobasso, 1984) e ad altri scrittori di fama nazionale, e già allora lo consideravo un operatore culturale molisano da affiancare ai migliori talen ti della mia terra.

Da buon dilettante e osservatore di profili e caratteri umani, non faticai molto a farmi un’idea positiva delle qualità distintive della sua personalità o, se si preferisce, del suo temperamento decisamente bonario, affabile, signorile, apparentemente distratto ma acutamente interessato a quanto avviene intorno. Lui stesso, nella sua terza raccolta di versi, “Tempo”, ammette che «Essere distratti/ è, in qualche modo,/ essere più atten-

ti/ degli altri». E ancora: “Distrattamente attento/ vivo la mia vita per caso/ aspettando che mi venga incontro”. Una mitezza che cela una profonda umanità, una benevole e innata pazienza nel rispetto delle leggi della natura e delle istanze più segrete delle forze interiori, morali e culturali.

Un essere estremamente pacifico, sempre ben disposto all’incontro, al dialogo, alla comprensione, ad allacciare amicizie salde e durature; occasioni che gli danno la gioia di raccontarsi, di manifestare, nella sua pienezza sentimentale, morale e culturale, la statuaria personalità d’intellettuale aduso a rincorrere e a dilatare tutti i possibili orizzonti che stimolano la diligenza della sua coscienza e della propria esemplare esistenza.

La “nostra consanguineità culturale molisana” (è sua l’espressione) ci fornisce un legame di reciproca stima, anche se la mia statura, in ambito letterario, è alquanto ridotta e marginale rispetto alla sua, glorificata da riconoscimenti istituzionali (ha ottenuto più volte il Premio alla Cultura dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri). Ha conseguito molti premi in agoni letterari, attestazioni di merito e consensi significativi da parte di Accademie, circoli letterari cittadini e associazioni culturali attivamente operanti in Italia e all’estero.

Per il compimento dei suoi settant’anni, ho trattato ampiamente della sua “molisanità”, ossia di quel vincolo di “sangue” e d’amore che lo lega alla terra natale, ricca di storia, sane tradizioni e cultura. Il testo è riportato nel volume antologico “Francesco D’Episcopo Maestro di cultura e vita” (Graus Editore - Napoli, 2019), a cura di Maria Gargotta, in cui sono riportate 27 contributi critici di allievi e amici, a testimonianza imperitura della stima e del consenso che egli gode in ambito nazionale. Altro libro da me letto e recensito è “La Napoli letteraria di F. D’Episcopo” (sempre a cura della Gargotta, pubblicato da Graus Editore - Napoli, 2015). Avuti in omaggio dall’autore e le due prime raccolte di poe-

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sie: “Vita” e “Anima”, mi sono sentito in dovere di leggerle e commentarle. Ora mi trovo a sfogliare lo studio critico sulla sua più recente attività letteraria, che attesta la produzione creativa del Nostro pubblicata dopo l’ingresso nella condizione di pensionato. Mi attivo a condurre un’approfondita lettura del testo a firma di due valenti operatori culturali: Liliana Porro e Elio Andriuoli.

L’introduzione, affidata alla penna di Maria Gargotta (che si pregia di una frequentazione perseverante, amicale e culturale con il Nostro fin da quando frequentava l’Università degli Studi Federico II, a Napoli), convalida e dà veridicità e autorevolezza al lavoro di disamina condotto dalla coppia di critici; lavoro che la Gargotta considera, anzitutto, come “Un riconoscimento dovuto” alla poliedrica attività letteraria del suo Maestro D’Episcopo, di cui lei è stata, oltre che allieva, assistente, ed è perfettamente a conoscenza delle “lezioni” di letteratura del suo Maestro, non solo in “classe”, ma anche in tanti centri urbani, sodalizi culturali e accademie deputati alla divulgazione delle risorse creative locali da loro incoraggiate e patrocinate. Un Maestro itinerante, richiesto, seguito, ammirato e applaudito. In Molise, poi, la sua fama di docente e di critico letterario era ed è di dominio pubblico, accresciuta con le recenti pubblicazioni di libri di poesie e di narrativa. La monografia di Liliana Porro e Elio Andriuoli rappresenta, quindi, il coronamento di una lunga, ininterrotta e qualificata carriera letteraria, la caratterizzazione definitiva di un personaggio che, sicuramente, lascerà un’impronta solida e duratura nel processo del divenire storico del nostro patrimonio letterario.

Se la vita, come affermava il filosofo francese Henri Bergson (1859-1941), è una corrente di coscienza che spinge l’individuo alla conoscenza e all’azione, per fini alti e nobili, Francesco D’Episcopo ha fatto dell’esistenza un’esigenza di esplorazione degli ambiti cognitivi collegati sia ai suoi

interessi ambientali e storici, sia a quelli relativi alla pianificazione ed esecuzione dell’attività didattica in sede universitaria, e poi, nei momenti di immersione nella profondità del proprio essere, di riflessione sulle esperienze intensamente vissute e di creazione letteraria per rendere visibile l’interiore accumulo e padronanza - o amore, come osserva la Gargotta - dela “parola”, quale fonte di luce, raggiante di sapere presente e palpitante negli spazi dell’anima. Riguardo alla “parola”, quale espressione orale o scritta, è una competenza comunicativa che in D’Episcopo assume i caratteri della veridicità e della compiutezza. Chi legge i suoi libri o ascolta i suoi discorsi, le sue prolusioni, i suoi interventi in convegni o tavole rotonde cui è stato invitato, si forma da subito la convinzione di trovarsi di fronte ad un cultore della parola, perfettamente sicuro di sé, persuasivo e convincente. D’Annunzio la considerava dono divino, e soleva dire che “Tutta la bellezza recondita del mondo converge nell’arte della parola”.

Ora, in quiescenza, vivendo nella beata

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condizione di poter gestire a suo piacimento l’illimitatezza del tempo libero, D’Episcopo ha moltiplicato le occasioni per dedicarsi ai viaggi, anche all’estero, e al suo “amore” di sempre: la scrittura, in versi e in prosa. La serie degli scritti esaminati da Liliana Porro comprende sette sillogi poetiche (Vita; Sulla soglia del domani; Tempo; Anima; Il cielo negli occhi; Aria; Il vento della memoria), e due libri in prosa: Clandestino 1 (sottotitolo: Frammenti di vita); Clandestino 2 (sottotitolo: L’arte dell’incontro). Ciascuno di questi due volumi si completa con una sezione di poesie.

Dal canto suo, Elio Andriuoli, si è assunto il compito di esaminare, con quella rigorosità esegetica che gli è abituale, i tredici “volumetti” in prosa pubblicati da D’Episcopo dal 2007 ad oggi: 1) Capri delle capre; 2) Io e mio padre «napoletano»; 3) Elogio della lettera "scritta a mano"; 4) Napoli "città creativa"; 5) In nome dell'ozio ed elogio della pancia; 6) Elogio del Caffè letterario e il culto de1 caffè a Napoli; 7) 'Na Affacciata 'e Fenesta. La mia Napoli; 8) La mia Napoli degli ossimori e dei paradossi; 9) La casa sul mare (vol. I); 10) Le capitali del cuore. Frammenti di memorie; 11) Elogio del sonno; 12) Le mie Campanie; 13) La casa sul mare (vol. II). Entrambi gli autori del saggio monografico pongono l’accento, in primis, sull’amore per la vita, rilevato attraverso l’attenta e partecipata lettura delle opere più recenti pubblicate da D’Episcopo; amore che è consapevolezza di sé, delle proprie virtù congenite e di quelle acquisite attraverso un mai interrotto excursus formativo, a cui hanno posto mano famiglia, ambiente, scuola, comunità e gli studi, essenzialmente umanistici. Un amore che include i migliori propositi, finalizzati alla piena realizzazione del Sé interiore, della propria personalità, interattiva con la fenomenica esterna, di ordine ambientale, sociale e culturale, attivando saggiamente i sensi della serietà, della responsabilità, dell’intenzionalità a farsi promotore di valori che vale la pena coltivare e trasmettere

agli altri per rendere l’esistenza, propria e altrui, palestra di crescita umana, morale e spirituale.

Bene hanno fatto gli autori della monografia a ravvisare che le poesie di D’Episcopo nascono dalla realtà vissuta, sperimentata, attraversata, toccata con mano, e gelosamente conservata nella propria interiorità; ma anche il mondo sognato, immaginato, desiderato si sostanzia in poesie che riflettono la reazione sentimentale, le immagini fissate nella sua coscienza in continuo fermento, il pensiero che, non meno della vita, è seme di poesia.

Le occasioni per la sua versificazione non gli sono mancate, né gli mancano, essendo uomo di mondo in perpetuo transito da un luogo all’altro, in stretto contatto con la vita domestica e cittadina, gli amici letterati, le stagioni della vita trascorsa in ambienti diversi, mai dimenticati, come quelli dell’infanzia vissuta felicemente nella terra natale: il Molise.

Altro elemento che caratterizza il personaggio D’Episcopo, ampiamente affrontato e reso fruibile al lettore, è la “napolitanetà”, facilmente rilevabile, data la frequenza con cui questo aspetto è stato portato sulla pagina dal poeta e dallo scrittore di cui si parla. Più elastica è la mia visione riguardante la clandestinità di D’Episcopo, condizione esistenziale avanzata da “ uno scrittore di successo ” e accolta dal nostro soggetto d’esame critico. Una clandestinità marginale, a mio avviso, se riferita al periodo attuale della vita del Nostro settuagenario; un’assenza che si riduce ai suoi “ otia ” dentro le mura domestiche, nel suo studio, impegnato nella lettura e nella scrittura. Tempi di breve durata, dati i tanti impegni in pubblico quale relatore su eventi di natura artistico/culturale, in luoghi divers i, tra Campania, Molise, Lazio e Abruzzo. E poiché la sua fama ha varcato da tempo i confini regionali e nazionali, i suoi libri sono molto ricercati e in vendita anche on line

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Scrittore e poeta che ha raggiunto larghi consensi, almeno fra la schiera deg li intellettuali, vive la feconda maturità propizia a motivare riflessioni e a esternare emozioni custodite nel sacrario della sua anima poetica. Ha, sicuramente, ancora molto da produrre, da dare, in considerazione del fatto che la sua rivelazione di po eta e di narratore è avvenuta solo di recente, e in modo quasi esplosivo, anche se non ancora di dominio del “grande pubblico”.

È risaputo che, oggi, poeti e scrittori soffrono di una scarsa reputazione, fatta eccezione dei “promossi” (magari su autorevole raccomandazione o incoronazione delle grandi aziende editoriali); ragione per cui i produttori di opere letterarie, anche se di ottima qualità e di rilevanti contenuti come quelle del nostro

D’Episcopo, devono accontentarsi del riconoscimento e del plauso dei colleghi, essendo la “popolarità”, in Italia, riservata ai politici, agli atleti, agli attori, alle rockstar della musica, ai conduttori televisivi e, a quanto pare, ai peggiori delinquenti, latitanti o in galera. Le categorie umane privilegiate dal successo e dal reddito faraonico hanno indubbiamente le loro soddisfazioni materiali , disponendo di beni che poeti e scrittori nemmeno si sognano di avere; anzi, li ritengono del tutto illusori nella scala dei valori umani. Ai cultori della parola, ampiamente dotati di competenza e padronanza dei registri espressivi, importa avere il sole nell’anima, la bellezza negli occhi, la felicità nel cuore, nelle orecchie la musica dell’universo, l’ostia della verità in bocca, le ali della fantasia per salire in alto, nella sfera della spiritualità, ove il sublime e l’armonia si tengono per mano, e, nella loro disposizione alla pittura dei sentimenti, la mobile lingua che parla di vita, di pace, di concordia, di solidarietà verso il prossimo e di speranza : aspettativa che la cultura dell’anarchia, del settarismo, dell’odio e della violenza, oggi

così diffusi e spudoratamente incoraggiati, venga arginata e sostituita dalla cultura della vita e della pacifica e industriosa convivenza. La civiltà e la feli cità non passano attraverso la becera e primiti va dialettica dello scontro, verbale o armato, ma attraverso la bontà delle intenzioni che mirino alla crescita materiale, morale, civile e spirituale dei popoli. Deplorevole l’avida ricerca della ricchezza e del potere. L’uomo saggio sa “ accontentarsi di quello che ha e di quello che è ”, dice D’Episcopo con accento evangelico. Da qui possiamo risalire al messaggio segreto stampato nell’animo di Francesco D’Episcopo, ma anche di coloro che sognano e aspirano all’affermazione in terra delle condizioni indi spensabili per l’attualizzazione dell’equità, della giustizia, della sicurezza e di tutti quei valori che permettano all’umanità di guardare con fiducia verso orizzonti meno foschi affacciati sul futuro.

Liliana Porro e Elio Andriuoli

TRA POESIA E PROSA , Grausedizioni, Napoli, dicembre 2022, pp.

Antonio Crecchia

Davanti a un ritratto

Un amore d’altri tempi

Allor che svela un cor devoto e amante del dolce sguardo il morbido languore, non hanno più beltà, non han valore monili d’oro o fulgido diamante o in rara perla un candido splendore, se posti a lato del tuo bel sembiante…

Spira dagli occhi tuoi sì cara luce, che il mio sopito cor ridesta e accende; sopito – dico – poiché mai fu spento quel bell’amor, sì tenero e soave, che un altro ad esso uguale io non rammento.

Marina Caracciolo

Da: Chiamami ancora amore, a cura di Angioletta Masiero, Amazon Italia, 2023.

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Anti Schwerkraft

Ins Meer zu gehen, bevor es Tag wird um di Morgenröte zu finden, die ich verloren habe, und um diesem amorphen Gewicht zu entkommen, das meine Augen vor Schlaflosigkeit aufreißen lässt.

Mitten in der Nacht will ich allein in See stechen und das Plätschern der Brandung hören und mit dem Mond im Meer schwimmen.

Ich will nicht mit mir auf dem Trockenen sein, nein, noch nicht… sonst wache ich auf… Antigravità, di Corrado Calabrò.

Da Quinta dimensione. Mondadori, Milano, 2021. (Pomezia-Notizie, febb.2023, p. 6. Traduzione in tedesco di Marina Caracciolo)

…Pater, venit hora

La tua ora è giunta

E sarai glorificato

E noi

In ginocchio

Snoderemo le nostre invocazioni

Finché avremo rose da decantare

E chimere da desiderare

Basterà il nostro petto

-martoriato-

Ad auspicare che un soffio

O un alito di libeccio

Ci spinga verso l’empireo?

Lo dedurremo solo all’alba

Quando le brume

Adombreremo gli occhi.

Giannicola Ceccarossi

Da:…beati qui non viderunt et crediderunt, Ibiskos Ulivieri, 2022

Quando la terra trema

Ma non sarete voi, o umani, con le guerre, le ire e le bombe, a distruggere questa nostra terra, né riuscirete a farlo, sia pur continuando a sfruttarla col vostro cieco egoismo. No, non sarete voi, o umani, che nella vostra superbia credete di poter contrastare le forze della natura con i vostri studi, e se anche riusciste un giorno a scoprire tutte le leggi che la fanno operare non potreste imporvi ad esse e farle mutare. Ma basta un cenno della mano di Dio o un Suo pensiero perché essa tremi, e crolli tutto quello che l’uomo ha costruito.

7 febbraio 2023

Giocattoli

Spesso mi divertivo a giocare con i fiori, a comporre, a inventare disegnini: sostavo ad ammirarli ed ero soddisfatta. Oppure costruivo, con i ritagli di stoffa, pupe, bambole di pezza. Una volta mio padre mi portò da Napoli, dove egli si recava per comprare stoffe, una palla colorata. La portavo a scuola per mostrarla ai miei compagni: me la invidiavano e tutti la volevano toccare.

Oggi i bambini hanno tanti giocattoli, non si sa più dove metterli, occupano tutti gli angoli della casa.

Da: Volo a ritroso, Carta e Penna Ed, 2020

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Una poetica genuina, sentimentale e pudica

GRAZIANO GIUDETTI

Ho avuto il piacere di leggere e scrivere su Graziano Giudetti, poeta tarantino nato a Pulsano (nel 1947 e poeta romano per elezione dal 1976). Questo volume, Frammenti di un diario, conferma e, anzi, rafforza la stima che ho di lui; ma non vorrei farmi tradire dalla mia conoscenza personale. Seguirò e verificherò la nota di lettura di Antonio Coppola, il quale afferma che l’opera “è uno scritto per raccontare la ‘tenera gioventù’, gli amori incompiuti e inquieti, un vero nodo dall’età scolare all’età adulta”, entro una cornice vera con una “dimensione salvifica ed esistenziale”, il cui faro di riferimento è Jorge Louis Borges poeta da lui amato, al quale dedica la poesia d’apertura. Un’opera che giunge immediata al lettore, che richiama Sandro Penna per l’autenticità, e richiama Umberto Saba per il nitore. Una poesia trascinante, alla maniera del poeta latino Orazio, secondo il quale “non basta che la poesia sia bella dev’essere anche dolce e trascinare l’animo di chi ascolta”.

I primi Frammenti iniziano dall’anno 19661967 (forse seguiva un corso di studio risolutivo), in essi Graziano Giudetti confida, a un sottinteso compagno, di stare male in salute. In seguito si rivolge generalmente alla seconda persona. Narra così di soffrire le prime pene d’amore, come verso Silvana, una bella sedicenne; verso Anna e poi verso C. P. per colpa di una bidella. Così, dopo avere rivolto una preghiera a Dio, commen-

ta: “Giammai, ho vissuto e letto sul fazzoletto azzurro del cielo, il manifesto oscuro della mia esistenza,” (p.18).

Il suo è un tu conversevole, non necessariamente personale, mettiamo riferito al proprio diario. Guarda ammirato una casa, senza ombre, riempita di “solo affetti sinceri e cordiali”, osserva la bellezza della pace familiare. A volte questo tu sembra essere rivolto a sé stesso e preferibilmente si rivolge alla donna o anche a un elemento della natura (l’onda, il vento, un fiore, la poesia, ecc.). Soffre, anche perché “gli uomini si odiano”, ma sorride alla vita, spera nella primavera che è “promessa/ di gioiosi pensieri”. Si impadronisce di me la percezione di una malattia e di un velo di tristezza, un dolore che lui riesce a trasfigurare o a trasporre in una poetica che sa di carezza, di cui sente il bisogno.

Di tanto in tanto il diario è segnato da date, così ne seguiamo gli spostamenti. Nel 1968 dice “addio ai miei vent’anni”, veste la divisa da Finanziere come da una foto riprodotta, lontano da casa ed “esiliato dal dolce vivere” della sua Pulsano, relegato nell’isola

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d’Elba; lì si sente come gli scogli schiaffeggiati dall’onda “impietosa”. In seguito lo vediamo in altri luoghi, per servizio o altre ragioni, come a Genova (1970); come pure “Nella nebbia fumogena/ delle città padane”. Riscopre la sua vita “avvolta di solitudine” senza di “lei” sentendo di appartenerle sempre di più. Mentre sta di guardia nella garitta ad Ostia apprende che il padre è in fin di vita (20.1.1971), forse trascorreranno altri sei mesi perché lo si colmi “d’inutili fiori”; fin quando riceve la triste notizia (21.9.71). Il servizio lo porta a Cefalù (in Sicilia). La Napoli splendente gli ricorda una canzone che il padre soleva canticchiare «quannu mi dici sì tiennel’ a mmente/ Nun devi fa murì stu core amante.»; non manca una visita a Roma.

Non trascura quanto avviene intorno e nel mondo, chissà un po’ nel vago per alleggerire la tragicità degli accadimenti, per esempio di un annegamento, di quanto succede altrove come sui “tetti afghani impagliati”, della grandine che distrugge il raccolto. Osserva: “Profonda palude/ mutata dal sole/ si specchia felice/ nel triste mio cuore.” (p.95, ‘Fossalon’, in prov. di Gorizia). Riflette: “Scrivere con stile di niente/ scrivere di aria e di sogni/ restare con gli occhi sui vetri/ a cullare orizzonti. / (…) / i poeti che sfiorano cigli/ si perdono nel muto dolore.” (p.104), mi sembra una dichiarazione di poetica. In conclusione, fin qua, mi sembra che Egli dica di non piegarsi e di non spezzarsi, ma sa che “Il tempo ingiallisce/ anche gli steli più robusti.” (p.114).

I suoi interlocutori, anzi i suoi destinatari, come s’è detto sopra, sono anche gli astri che illuminano la terra, è la sapienza che si veste di umiltà, è l’armonia proveniente dalla donna amabile, è il pensiero di “lei” che lo sorregge e la distanza che lo tiene lontano lo strugge. I sentimenti dell’interiore si frammischiano con i sentimenti che dilagano nel mondo. A volte si sente uno straniero in Patria, o sente gli occhi addosso per le strade di Palermo (1973);o fantastica di stare con i ribelli di Gerusalemme. Certamente

non mancano le metafore perciò capita che a prima lettura sfugga il significato o l’allusione, specie quando “Due occhi di marmo/ vivono nel silenzio dei confini.” (p.130, Ventimila giorni fa) con riferimento ai nostri soldati caduti sulle montagne nella Prima Guerra Mondiale. Altra garitta, nell’Isonzo (1987), e il pensiero corre al Carso, al fronte di guerra; si stringe intorno ai nostri caduti che sente come suoi compagni. Ed anche uno sguardo a Venezia, Canal Grande. Vaghi riferimenti al materiale radioattivo (cesio, uranio) portatore di morte. I pensieri si affastellano, la morte gli fa sentire “L’addio di mio padre” (p.144) e i suoi passi di presso (1985). Un pensiero va a Lamberto Sabatini: “Il suo corpo ancora vivo/ fece harakiri sul ferro battuto/ d’una Bergamo danarosa.” (p.195, Passeggiata stridente). Ma trae l’unico suo conforto pensando a lei, confessando: “non vidi altre strade/ oltre un muro d’un bacio/ che sapeva di addio.” (p.183); e si conforta con la poesia; d’altronde è lui che dichiara di esserne innamorato, di avvertire“il lento sbocciare dei versi/ sotto il cielo azzurro/ di cirri striati.” (p.141); ma accusa, fra le ultime poesie: “Ho cultura di pece franosa/ al cospetto di vetrine letterarie, / e parole d’argento nel sangue/ che animano di costanza i pensieri.” (p.197). Frammenti di un diario si chiudono con l’anno 2002.

***

Graziano Giudetti ci ha fatto compagnia fin qui, ma su molte altre cose abbiamo sorvolato. Confermiamo l’autenticità genuina, inequivocabile l’animo che ha sedimentato eventuali scorie cui la modernità ci ha abituati. Sentimento non ingenuo ma sincero, che trova conforto nell’unica donna rivelata. Ha il peso delle sofferenze e delle pene, che sono quasi un refrain, ma lo fa con animo sereno. Non detta precetti, non è sentenzioso, non ha toni forzati ed eccessivi. Il suo lessico è fatto di nostalgia e amarezza, le voci ricorrenti sono: carezze, lacrime, pene, petali, sorriso, muri di tufo; voci tutte associate a frammenti e frantumi; tuttavia, quan-

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te felici immagini ci regala. Insomma ha creato un’opera d’arte di intimità genuina, sentimentale e pudica (magari con qualche angolo nascosto, come tutti, d’altronde!).

lui stesso che definisce i suoi moti come “qualcosa di indecifrabile” (p.83).

FRAMMENTI DI UN DIARIO, E.E.S. Editorial Service System S.r.l., Roma 2016, pp. 212.

II Edizione

PREMIO EDITORIALE IL CROCO

L’Editrice POMEZIANOTIZIE - via Catilina 6 - 00071 Pomezia (RM) – tel. 349/4175191E-mail: pomezianotizie22@gmail.com - organizza, per l’anno 2023, la II Edizione del Premio Editoriale Letterario IL CROCO, suddiviso nelle seguenti sezioni:

Raccolta di poesie (in lingua o in vernacolo, max 500 vv.);

Poesia singola (in lingua o vernacolo, max 35 vv.);

Racconto, o novella, o fiaba (max 8 cartelle. Per cartella s’intende un foglio battuto a macchina – o computer - da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1800 battute);

Saggio critico (max 8 cartelle, c. s.).

Le opere, assolutamente inedite (con titolo, firma, indirizzo chiaro dell’autore, breve curriculum e dichiarazione di autenticità) devono pervenire, in unica copia, per posta ordinaria o per piego di libri (non si accettano e, quindi, non si ritirano raccomandate)

a: Pomezia-Notizie presso Manuela Mazzola - via Catilina 6 - 00071 Pomezia (RM), oppure - ed è il mezzo migliore, che consi-

gliamo - tramite e-mail a: pomezianotizie22@gmail.com entro e non oltre il 31 maggio 2023.

Le opere straniere e quelle in vernacolo devono essere accompagnate da una traduzione in lingua italiana.

Nessuna tassa di lettura.

Essendo Premio Editoriale, non è prevista cerimonia di premiazione (se si dovesse decidere di tenerla, gli Autori partecipanti saranno avvisati in tempo tramite e-mail) e l’operato della Commissione di Lettura di Pomezia-Notizie è insindacabile. I Premi consistono nella sola pubblicazione dei lavori. All’unico vincitore della Sezione Raccolta di poesie verranno consegnate 20 copie del Quaderno Letterario Il Croco sul quale sarà pubblicata gratuitamente la sua opera - lo stesso Quaderno verrà allegato al mensile PomeziaNotizie (presumibilmente a un numero tra agosto e ottobre 2023) e sui numeri successivi saranno ospitate le eventuali note critiche e le recensioni. Gli altri Autori selezionati della Sezione riceveranno offerte vantaggiose per l’eventuale pubblicazione delle loro opere in altri Quaderni Il Croco. Ai primi, ai secondi e ai terzi classificati delle sezioni Poesia singola, Racconto (o novella, o fiaba) e Saggio critico, sarà inviata gratuitamente copia del mensile - o del Quaderno Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro. Pomezia-Notizie, comunque, può sempre essere letta, sfogliata eccetera su:

http://issuu.com/domenicoww/docs/ (il cartaceo è, in genere, riservato agli abbonati e ai collaboratori). Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero scadenti, la Commissione di Lettura può decidere la non assegnazione del premio.

La mancata osservazione, anche parziale, del presente regolamento comporta l’automatica esclusione.

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È

Recensioni

ROCCO SALERNO DOLCE, MISTERIOSA ESSENZA DELL’UNIVERSO

Macabor, Francavilla Marittima (CS) 2021, Pagg. 82, €12,00 Prefazione di Claudia

Emanuela Turco, postfazione di Antonio Spanuolo

Di rado si leggono parole affettuose, per un intero libro, colme di amore, specie verso un animale, nello specifico un gatto, come avviene per la silloge di Rocco Salerno, Dolce, misteriosa essenza dell’Universo:Bombolo rappresentato in copertina disteso su pavimento, nell’opera di Anna Venanzi. Il volumetto del poeta calabrese, residente a Fondi in provincia di Latina, senza che sembri esagerato, è paragonabile a un poema, un’unica narrazione interrotta solo per prendere respiro cinquanta volte nelle due sezioni:“Specchio dell’Universo”, anticipata da versi di Papa Paolo VI, Brina Maurer e F.M. Dostoevskij; e “Ma tu vivi per l’eternità”, anticipata da versi di Anatole France, Dario Bellezza. Due note di lettura introducono e concludono la fatica, integrandosi. Opera dedicata“a Rita Agresti e a quanti amano gli animali”.

Claudia Emanuela Turco nella prefazione dichiara di “conoscere Bambolo, il gatto claudicante protagonista di questo libro” amato, ovviamente, dall’Autore, e anche da molti altri che ne condividono spazi e oggetti in modo francescano. Spiega che il felino in oggetto per natura dimostra la sua gratitudine verso chi si cura di lui; ma un giorno,

verso Natale, non si fa più vivo lasciando un dolore immenso. Mentre Antonio Spagnuolo nella postfazione afferma che “Rocco Salerno diviene il cantore di una strana inquietudine” proveniente dal rapporto di reciproco corteggiamento, con un gatto randagio. Inoltre, quanto alla struttura del volume vengono alternati componimenti brevi e lunghi “di un afflato prettamente lirico epigrammatico” riuscendo a creare un filo conduttore tra i vari momenti, in cui uomo e gatto hanno stabilito una sorta di comunione, commovente.

Leggiamo l’incipit di Dolce, misteriosa essenza dell’Universo: “Il gatto claudicante/se randagio o padronale-/ salvato dai malanni/ chiamato Bambolo/ ha una casa. //…// Si ritrae, / timoroso ancora/ di farsi accarezzare/ della ferinità degli umani.” Luogo di avvistamento è un cortile, forse condominiale o pubblico, ai piedi di un ulivo. Cortile divenuto un Eden, un loro paradiso, cioè di Rocco Salerno e del gatto azzoppato, indifeso e indeciso. Un luogo condiviso in cui si rivolge direttamente al gatto, il quale, mangiato il pasto, si comportava come se fosse rinato, come una sfinge egiziana, grato ma sempre guardingo, “anima francescana” riferito al felino, ma anche a sé stesso;e pure sotto lo sguardo di Girotto (altro gatto).

“Amato gatto, non allontanarti/ non perderti nelle quotidiane/ meschinità” (p.24). Il gatto intenerisce il poeta e chi lo avvista“acciambellato/ sul tappeto d’ingresso// …// così bello/ come una donna splendida/ o immagine perfetta della Bellezza!” (ingresso, presumo di un edificio condominiale). “Sento vibrare in me quand’io ti carezzo/ la dolce essenza dell’Universo/ nelle vene scorrere” (p.29). Salerno assiste estasiato, in perfetta armonia “Specchio dell’Universo/ innocenza perfetta dell’Intelligenza/ su questa landa deserta” (p.33). Fra i due si è aperto un filo di comunicazione attraverso lo sguardo che dà “vampe sul cuore” di Rocco.

Nella seconda parte,le visioni di Rocco Salerno si fanno ancora più tenere, Egli si identifica con l’ulivo dondolante; usa parole d’amore alle quali non siamo abituati, se riferiti ad animali: “Ormai siamo/ la stessa anima/ incarnata, / lo stesso fia-

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to.” (p.43). Ancora,nel cortile, Grigio e un uccellino fanno da sfondo al paradiso, a “un respiro di Dio”, scoprendosi, lui, un Francesco.Un bel dì, il Poeta, senza farsi scorgere, ha seguito il gatto scoprendo come luogo del domicilio, “le tegole del magazzino”. Fin quando “Pepe è stato trovato addormentato/ all’angolo della strada/ e Grigiotto scomparso/ anche tu sei addolorato. (p.54) e il Poeta si rispecchia nello smarrimento del felino. Un brutto giorno non si è più visto; è rimasto il piatto: “come ai Penati/ un oggetto sacro/ all’interno della casa.” (p.61) divenuto spirito che “guida” la sua anima.

Rocco Salerno usa espressioni antropomorfe,descrive la psicologia comportamentale del gatto: le fusa, l’infilarsi fra le gambe, l’agitare la coda, tutto per mostrare la sua gratitudine; la paura dei tuoni e dei fuochi d’artificio; e la stagione d’amore. Accusa più volte la “ferinità umana”, che forse ha azzoppato Bombolo, che infine non è più ritornato. Sappiamo come purtroppo fra gli esseri umani continua la ferinità primordiale selvaggia; perciò a maggior ragione diventa opera meritoria quella del Nostro che ha dato un esempio sul rapporto fra persona e animale; direi, ha fatto educazione agli affetti.

ANNA AITA – EMILIO

FINA – FABIO AITA

QUESTA VOLTA VINCO

IO

Contributi introduttivi di: Aldo De Gioia, Anna Aita, Fulvio Castellani, Roberto Ferrari, Angelo Calabrese. Cervino Edizioni, 2020, pagg. 118, s. i. p.

Un altro romanzo, un’altra analisi delle tante allarmanti e difficili realtà che ci affliggono e che forse sottovalutiamo; un altro lavoro corale, scaturito dall’amore e dalla collaborazione; altro frutto dell’impegno nel sociale che da sempre ha distinto la vita e le opere di Anna Aita.

Questa volta, a farci riflettere è il problema della ludopatia, la bulimia del gioco d’azzardo, che in Italia e nel mondo colpisce milioni e milioni d’individui, in particolare i giovani, i quali, una

volta irretiti, difficilmente ne vengono fuori, rovinando la loro esistenza e quella dei loro cari.

La mania del gioco afferra e condiziona al pari delle droghe, provocando sofferenze e drammi ed è inspiegabile come i media non la considerino alla stregua delle altre dipendenze, dedicandole meno attenzione e meno spazio.

Il giovane Fabio narra in prima persona il suo calvario e se riesce a venirne fuori, è grazie all’abnegazione, all’amore, alla costanza di persone altruiste, come Anna Aita, come il pediatra Emilio Fina, che hanno saputo affiancarlo, convincerlo, aiutarlo a risalire la china. La dimostrazione che, senza queste persone speciali, con la nostra negligenza, la nostra indifferenza, la nostra abitudine a scansarci la coscienza, giovani come Fabio sarebbero destinati sempre inesorabilmente a sprofondare nel baratro e perdere la vita. Ancor più tragico e avvilente – lo accenna nel suo contributo Angelo Calabrese – è che lo Stato, in pratica, assecondi la ludopatia, ricavando da essa miliardi di entrate.

Chi viene investito da questa autentica malattia ha bisogno di amore, di essere coinvolto, compreso; essendo morbo della psiche, ha necessità – come scrive Roberto Ferrari – di <<una multidimensionalità diagnostica insieme ad una terapia di vigilanza e di urgenza sociale>>. Per uscire dal mondo della dipendenza, la sola scienza non basta, essa dev’essere coniugata con molto altro e con l’affetto, affinché il soggetto interessato ritrovi il sé smarrito e la voglia di <<risalire dal mondo delle ombre>> (Ferrari), di riprendere a vivere, di riscoprire Il coraggio dell’amore – tanto per ricordare il titolo di un altro eccellente romanzo dell’Aita.

Volutamente tralasciamo di soffermarci sulla intera vicenda di Fabio, fare la cronaca delle sue tante sofferenze, gli sbandamenti, la ripresa. Il libro va letto, fa bene a tutti noi, anche a chi non ha mai avuto contatti con la malattia; sprona a interessarci del disagio, ad aiutare disinteressatamente chi ne è colpito, spronandolo all’orgoglio e alla riconquista della dignità di essere umano. Non dimentichiamoci che la società siamo tutti e

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che, se anche uno solo di noi soffre, se anche un solo tassello viene colpito, tutti quanti siamo destinati a soffrire.

Con la volontà, la determinazione stimolata anche dall’esempio corale degli altri, lo scrutarsi nell’interiore, il guardarsi come si era e come si è, si possono raggiungere risultati e mete impensabili, l’orgoglio di poter gridare finalmente a se stessi e al mondo, ho vinto, non una aleatoria somma di denaro, questa volta, ma il dominio personale e la dignità di essere umano. Pomezia, 2 febbraio 2023

Domenico Defelice

ANNA AITA – MARIA CRISTINA GENTILE QUANDO L’AMORE È NEGATO

Prefazione di Claudio Calvino, Cervino Edizioni, 2022, pagg. 116, € 12,00

Dal disagio della ludopatia di Questa volta vinco io a quello della mancanza d’amore, assai grave specie quando, a negarlo, è una madre nei confronti della propria creatura: un altro scavo nei drammi interiori ai quali ci ha abituati la sensibilità quasi evangelica della scrittrice e poetessa napoletana Anna Aita.

In questo racconto è la vicenda di una bambina e poi di una donna condizionata dalla solitudine – ambientale e più affettiva, la quale vive autentici calvari, che nel suo cervello lavorano come tarme divoratrici, sicché il reale, il conosciuto, il consapevole, contrastano con l’immaginario, il fantastico, l’incognito, il presunto, il fantasma, creando guazzabugli interiori più dolorosi e perniciosi delle sofferenze fisiche, alle quali, spesso, si riesce pure ad assuefarsi, sentendole meno pesanti e dolorose, meno feroci di come sono, mentre, quelle dovute all’inconscio, alla immaginazione, alla semplice elaborazione routinaria del cervello risultano più delittuose e insuperabili, inguaribili, perché scatenano in noi un continuo susseguirsi di angosce.

Tutte le vicende narrate da Anna Aita precedono sempre e sono intrise da una situazione di dolore e disagio, entrambi da lei non solo

sperimentati, ma rivissuti, perché a contatto, in anni e anni di lavoro nel sociale e nelle organizzazioni umanitarie che se ne occupano come istituzioni.

Il racconto/romanzo Quando l’amore è negato ha l’inizio di una fiaba (<<C’era un’incantevole aria primaverile quel mattino>>), ma precipita subito nel dramma con quella durezza di madre verso una bambina che lei non voleva e che, pertanto, venendo alla luce, le aveva <<rovinato la vita!>> e quella degli altri che le stanno attorno: <<Lo hai fatto apposta!>>, le urla Marianna davanti a un piccolo incidente involontariamente provocato dalla bambina, frutto di un improvviso, spontaneo, trascinante, incontrollabile impulso d’amore e del cuore.

Aita rileva che, in tutti i generi di disagio, occorre anche la scienza, il professionista, perché non bastano, cioè, a superare i traumi, l’amore e la comprensione di coloro che ci sono vicini. <<L’ingresso dello psicologo nella mia vita fu molto importante>>, confessa Martina. In Questa volta vinco io troviamo Emilio Fina, qui abbiamo il dottor Giancarlo Rolando ad aiutare Martina diventata donna. Confidarsi, scaricare le nostre ambasce confessandole a persone competenti, che riescono anche a spiegarci gli occulti meccanismi che le originano, oltre a darci conforto, ci aiuta a sciogliere il disagio, come avviene a un pezzo di ghiaccio a contatto con la fonte di calore. I nostri comportamenti hanno spesso legami con avvenimenti che ci hanno traumatizzato nell’infanzia, allorché la nostra psiche era una spugna che tutto imbeveva e registrava. Martina se ne rende conto ogni qualvolta impatta in un bivio e sempre dopo stimoli/domande, rivelazioni, rilevazioni, suggerimenti, insinuazioni di qualcuno: l’amico, l’amica, non solo il terapeuta, lo psicologo; c’è sempre, comunque, un impulso che dà origine allo scavo, all’entrare nell’onirico, a conoscere l’origine della depressione. Una domanda, anche impropria, stimola una risposta; una specie di reazione a catena: comando/esecuzione - nuova

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situazione/soffoco/insicurezzaimpulso/volontà/recupero. Ed è proprio con l’incoraggiamento dell’amico terapeuta che Martina ritrova la forza per andare avanti, riversando sulla sua bambina Vittoria quell’affetto e quell’amore che a lei sono sempre mancati: <<Ora, ero pronta ad iniziare un nuovo viaggio, per ricostruire la famiglia che avevo sempre agognata>>.

Un bel romanzo, in cui non manca la poesia, compresa quella del linguaggio: <<L’aria era tiepida in quei primi giorni di uno strano mese di marzo. Pareva primavera inoltrata e un intenso profumo di mimose già invadeva…>>. Con la primavera ha inizio il racconto, con la primavera termina: una vicenda circolare, compiuta: una vita.

Pomezia, 3 febbraio 2023

ANTONIO CRECCHIA

Domenico Defelice

AL MARTIRE VENERABILE JUAN GERARDI CONEDERA. NEL CENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA NASCITA

Ed. Autonoma, 2022, pagg. 72, s. i. p.

Un libro creato leggendone un altro; una testimonianza che ne trascina un’altra; un volume in prosa (Juan Conedera – Nunca Más, di Anselmo Palini, donato all’autore da Vincenzo Di Sabato) e un altro in poesia di Antonio Crecchia, doni, frutti di amore entrambi, il primo il seme, il secondo la pianta/poemetto: <<Senza la lettura appassionata e approfondita del libro appena citato e dell’incontro con il suo autore – Crecchia confessa -, i versi che seguono non sarebbero mai nati>>.

L’opera, con una nota introduttiva dell’autore, si compone di due parti: il poemetto in versi e un’appendice con la prosa d’intervento dello stesso Crecchia alla presentazione, a Guardialfiera (CB), del libro di Palini, il primo settembre 2022. Juan Conedera – Nunca Más non è l’unico saggio di Palini sui tanti martiri dell’America

Latina che hanno difeso i diritti e la dignità della povera gente e dei nativi di quelle nazioni spesso angariate, oppresse da <<violenze e sventure,/d’aggressioni, stupri e saccheggi,/di mattanze e bagni di sangue>>, massacrate da dittatura, gente disonesta, oppressiva, dalle <<sacrileghe mani,/sanguinanti per avidità di ricchezza/e cupida volontà di padroneggiare>>, esseri privi di scrupoli, assassini, che spesso si professano pure cristiani; di Palini ricordiamo

ancora, per esempio, il libro da lui dedicato a Oscar Romero, dallo stesso Crecchia ottimamente presentato sulle pagine di Pomezia-Notizie del dicembre 2022.

Analizzando e meditando il libro di Palini, Crecchia analizza e medita il venerabile Conedera; si compenetra nelle sue dolorose vicende fino all’esplodere, dal suo animo esacerbato, centinaia di versi sentiti e commossi: <<Era sera quando il lampo della morte/aggredì e distrusse la fragile essenza/del tuo corpo fremente di vita>>.

La storia del martire Conedera narrata dal Palini si intreccia, così, a quella di Crecchia e viceversa: <<Venisti al mondo nella terra dei Maya>>, <<terra di perpetue razzie/per branche di predatori>>. Crecchia non si limita all’augusto personaggio, ma accenna – com’è della poesia che va per immagini – agli esodi in massa in ogni tempo (<<emigranti/giunti dall’Italia in Guatemala>>), alle colonizzazioni (terra <<usurpata da brutale violenza coloniale>>, <<da voraci cavallette d’oltremare>>), alla violenta cancellazione d’intere etnie (<<sterminio tra i popoli>>)

Il vescovo Gerardi Conedera ha combattuto tutto questo e altro con la <<spada della Parola>> e per questo è stato assassinato il 26 aprile del 1998, sicché la sua esistenza <<esce aureolata di martirio e santità, come quella di Cristo>>. Egli non ha avuto <<paura/di alzare dito e voce>> per condannare con <<l’energia del santo>> un autentico genocidio; cercò sempre di sanare le tante strazianti ferite, a volte inferte pure dalla Natura, come il terremoto, durante il quale il presule si prodigò <<a dare consolazione/e sostegno al popolo prostrato/da immane rovina e malasorte>>.

Crecchia enumera le angherie, gli stupri, le nefandezze, gli efferati delitti perpetrati nei confronti dei nativi e della povera gente, le schiavitù, le prigionie, le violenze continue da parte di disonesti venuti da fuori o discendenti

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degli antichi colonizzatori. Auspica, infine, che l’umanità maturi e cessino, così, per sempre e in ogni luogo, odio e violenza: <<Mai più stenti e fame ove la dispensa/è stata saccheggiata da ingordi ladri>>; <<Mai più ombre sinistre di angustie,/tirannide, persecuzioni e mattanze>>; <<Mai più teatri aperti a recita di tragedie/sul palco della corruzione umana>>; <<Mai più pianti e lacrime di vedove/sopra sepolture senza croci, sopra fosse/esalanti odori orridi di carne bruciata>>; <<Mai più nelle cupe caverne della politica/retori dalla lingua biforcuta>>. <<Nunca más>> e la certezza, ancora, che il venerabile Conedera sia ben presto innalzato agli Altari. Pomezia, 28 gennaio 2023

Domenico Defelice

Si affastellano poesie d’amore e di richiami sottaciuti, di corrispondenze parallele e di vera passione, giungendo in alcuni casi al più puro ardore emotivo: “le rapide / rugiade del piacere / e le tue mani candide e cattive / le tue ricerche audaci intimidite” (67). Il verso, pur richiamando un ambito che è quello del sentimento vissuto, del rapporto intimo tra gli amanti (ma anche del pensiero assiduo verso la concretizzazione fisica della relazione amorosa), s’inserisce in quella che potremmo definire una tradizione casta – mai licenziosa – di un dire (di un rivelare) l’erotismo tra desideri malcelati, incontri ardimentosi e fuggiaschi tra esseri legati da un desiderio che è divampante, continuo, che si autoalimenta e cresce ed è in quanto tale reale quanto il foglio di carta che contiene le singole poesie.

VITO DAVOLI

CARNE E SANGUE, Tabula Fati, Chieti, 2022, pp.128, € 11,00

Dopo la silloge Contraddizioni (Edizioni Leucò, Molfetta, 2001) il poeta, scrittore e critico letterario pugliese Vito Davoli (è nato a Bari e vive tra Bisceglie e Molfetta) ritorna con una nuova pubblicazione poetica dal titolo Carne e sangue (Tabula Fati, Chieti, 2022). Il volume è prefato da Daniele Giancane che, in pochi righi, ben si approssima alla sensibilità di questa nutrita e densa pubblicazione di poesia. L’ampia banda di colore rosso profondo disposta in chiave orizzontale nella parte bassa della copertina ben si annoda al titolo del volume che ha a che vedere con la “carne” e il “sangue”, elementi chiave e immagini ricorrenti all’interno del pregiato volume.

Davoli, che è un apprezzato critico del quale si possono leggere validi contributi sulla nota rivista barese «La Vallisa» con la quale da anni collabora attivamente, ci consegna un volume profondamente intimo, radicato in una sensualità di visioni mai trite e di grande suggestione anche per l’anonimo lettore impostato su di una catartica (e quasi mistica, nel senso di “arcana”) evocazione: “Lo sai che questo è il tempo / in cui meno si parla e più si dice” (46).

Sia detto per inciso – per sfatare un’idea mendace, becera quanto ampiamente diffusa – l’erotico (dal greco erotikos ovvero derivato di Eros, dio dell’amore e dal latino eròticus ovvero “desiderio appassionato” o “desiderio travolgente”) non ha nulla a che spartire con il licenzioso, l’osceno e il pornografico, riferimenti quest’ultimi che – sono certo di credere – nulla hanno da comunicare nella dimensione poetica.

Il volume è articolato in tre sezioni: la parte eponima “Carne e sangue” che si apre con un esergo tratto dalla (cara a Davoli) Anna Achmatova (citata anche altre volte nel volume); i “Sonetti claudicanti” (dieci testi in tutto) e “Capitano, quel Capitano” di whitmaniana memoria, all’interno del quale troviamo anche un apprezzabile testo storico-sociale, “Cantami Sarajevo”, dedicato al ricordo della città balcanica negli anni Novanta, doloroso scenario di mirati attacchi bellici e disperazione collettiva per odi esacerbati e recriminazioni politiche e religiose: “tu cantami Sarajevo, / quella di mezzo secolo prima nelle fosse / e cinquant’anni dopo nelle sete / di cravatte severe e banconote effervescenti. / […] / Dio non è che un brandello in coma” (103). Riflessioni sul tempo (e il suo imperterrito fluire) e sul senso della vita non mancano nel volume, ingredienti che danno un tocco filosofico quando

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non addirittura vagamente enigmatico. Davoli colloquia con gli atomi dell’invisibile, pone sfide a limiti, riflette e domanda sé stesso, ce ne rendiamo conto da alcuni versi che, forse più di altri, richiamano l’interesse del lettore per la loro nebulosità e potenza al contempo: “Nessun coccio / s’incastra esattamente con un altro. / Né resta fermo” (11); “Sopra una linea di confine / rientro ed evado / e sono lì finché la vedo” (14); “Il mio tempo è liturgia di segmenti / che serpeggiano eccitati / dai calori e dall’arsura” (21); “Eppure vedo solo se mi tieni la mano / se il tuo soffio mi sussurra l’invisibile” (25).

Le tonalità del rosso, a loro volta collegate a immagini-isotopie, metafore e richiami automatici del cuore e del sangue (del suo ribollire) ma anche del fuoco (del suo divampare) si offrono al lettore come un continuum appassionato di travasi, nella poesia, di un’apoteosi intima, di un’esaltazione sensoriale indescrivibile, di un’estasi da puro godimento (dell’atto) e di evasione (nel pensiero). Per tale ragioni crediamo che siamo ben oltre la poesia d’amore comunemente intesa, quella di neoplatonica foggia o di richiamo esaltato a un’utopistica condivisione d’intenti tra gli amanti. Ben oltre. Il poeta è così abile da rendere le trame del sentimento quali fibre del tessuto carnale, i versi si susseguono non con la cadenza neniosa e dolce di una poetica arcadica, ma con il balzo –più o meno sincopato – delle sistole, dell’eccitazione e della successiva euforia. Non un canzoniere d’amore, semmai un diario lirico di approcci e godimenti nei cortocircuiti della ragione, lì dove la forza del sangue s’impone decisiva e, come in un richiamo arcaico di difficile origine che non siamo capaci di dominare razionalmente, porta il singolo ad agire animato dalla foga e dal desiderio. Un libro, questo di Davoli, in cui il rosso della passione esorbita dai versi, tra nuances di carminio e porpora, tra squarci di luce che intervengono a rischiarare versi e situare l’io lirico nell’oggettivo contesto abituale e sociale al quale appartiene.

L’esplosione del rosso è, dopotutto, l’elogio della carne, l’esaltazione di tutto quel che vive e pulsa, ma anche l’ascolto attento e compartecipe del desiderio dell’altro che si compie unicamente con un atto esplicito e voluto, con l’ardore opprimente che fa dimenticare tutto del mondo esterno e conduce, sia pure un congedo momentaneo e breve, a una piccola morte

Questo libro di Davoli – come ciascun libro di vera poesia – non fornisce risposte né tenta di proporre soluzioni, vie edificanti o più praticabili

da prendere rifiutandone altre. Al contrario, cavalca l’enigma e l’inespresso, interloquisce con l’assoluto. È, dopo tutto,un libro di materia fatto di “parole scintillanti d’arsura, / di carne e sangue” (43).

Jesi, 25/01/2023

NOTIZIE

RISULTATI DEL PREMIO I MURAZZI

DI TORINO 2023 PREMIO ALLA CARRIERA Visti i risultati di maggioranza espressi dalla Giuria dei Soci, composta dagli iscritti all’Elogio della Poesia e vista l’unanimità dei voti espressi

dalla Giuria Tecnica, il Presidente attribuisce il Premio alla Carriera alla poetessa e drammaturga Mariangela

Gualtieri – € 4.000 ***

RISULTATI PREMIALI

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA

ALLA COMUNICAZIONE Mary Attento, Targa, Diploma con motivazione

PREMIO SPECIALE DEL PRESIDENTE

ALLA CULTURA Wilma Minotti Cerini, Targa, Diploma con motivazione

OPERE EDITE

SEZIONE A. POESIA EDITA IN MEMORIA DI NINO PINTO

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Lorenzo Spurio D.Defelice: Il microfono (1960)

All’unanimità dei consensi la Giuria ha individuato i tre premiati seguenti: • Maura

DEL SERRA, Ali straniere, Newton Compton • Piero NISSIM, Sonetti ebraici, Salomone Belforte & Co. • Antonio

PILEGGI, A mani tese. Riflessioni, NemaPress Edizioni

RIEPILOGO DEI PREMIATI POESIA

EDITA

1° Premio € 1.200, Targa, Diploma con motivazione Maura DEL SERRA, Ali straniere, Newton Compton. 2° Premio € 800, Targa, Diploma con motivazione Piero

NISSIM, Sonetti ebraici, Salomone Belforte & Co. 3° Premio € 600, Targa, Diploma con motivazione Antonio PILEGGI, A mani tese. Riflessioni, NemaPress Edizioni. Finalisti € 300,00, Targa, Diploma con motivazione • Paolo DACORSI, Cinquanta haiku per Torino, Albatros • Annamaria

FERRAMOSCA, Per segni accesi, Giuliano

Ladolfi • Daria GIGLI, Sotto la notte si fa casa, Moretti & Vitali • Claudia

PICCINNO, Sfinge di pietra, Il Cuscino di Stelle.

Selezionati, Diploma con motivazione • Lella BUZZACCHI, A chiare lettere, Genesi Editrice

• Emanuela DALLA LIBERA, Infinito andare, Il Convivio Editore • Vincenzo DI GIULIO, Anima mundi, puntoacapo Editore

• Donato DI POCE, Una questione di stile, Eretica Edizioni

• Raffaele FLORIS, La macchina del tempo, puntoacapo Editore • Antonietta

NATALIZIO, I colori delle emozioni, Genesi Editrice

SEZIONE B. POESIA EDITA OPERA

PRIMA FEMMINILE 1° Premio € 600, Targa, Diploma con motivazione Carola

ALLEMANDI, Sembrava il Sole, Edizioni Progetto Cultura. 2° Premio € 400, Targa, Diploma con motivazione Ophelia DELLA

CATTEDRALE, Opera trina, Albatros 3°

Premio € 200, Targa, Diploma con motivazione Carlotta CICCI, Sul banco dei pesci, L’Arcolaio. Selezionati, Diploma con motivazione • Marina DELLA BELLA,

Requiem per una giraffa, Oedipus • Cristina MARTINUZZI, Uno sguardo nell’anima, Montag Editore • Mara MUTI, Il gesto sorpreso del tempo, Neos Edizioni

SEZIONE C. PROSA EDITA

La Giuria ha individuato i sei Finalisti dei quali tre ottengono un rimborso spese di € 300 ciascuno e gli ulteriori tre ottengono i premi maggiori, e precisamente • Massimo

CAPONNETTO, C’è stato forse un tempo, Edizioni Piagge • Paolo CHIAPPERO, Fuga da Berlino, Mondadori • Oretta DE MARIANIS, Apocalysse napoletana, Homo Scrivens • Ezio GAVAZZENI, La furia degli uomini, Mursia • Claudio

GIACCHINO, Venti di terrorismo, Graphot

• Espérance HAKUZWIMANA, Tutta intera, Einaudi

Dopo un’ulteriore valutazione all’unanimità dei consensi la Giuria ha individuato i tre premiati seguenti:

• Paolo CHIAPPERO, Fuga da Berlino, Mondadori • Claudio GIACCHINO, Venti di terrorismo, Graphot • Espérance HAKUZWIMANA, Tutta intera, Einaudi

RIEPILOGO DEI PREMIATI PROSA

EDITA

1° Premio € 1.200, Targa, Diploma con motivazione Claudio GIACCHINO, Venti di terrorismo, Graphot. 2° Premio € 800, Targa, Diploma con motivazione Paolo CHIAPPERO, Fuga da Berlino, Mondadori.

3° Premio € 600, Targa, Diploma con motivazione Espérance HAKUZWIMANA, Tutta intera, Einaudi. Finalisti € 300, Targa, Diploma con motivazione

• Massimo CAPONNETTO, C’è stato forse un tempo, Edizioni Piagge • Oretta DE MARIANIS, Apocalysse napoletana, Homo Scrivens • Ezio GAVAZZENI, La furia degli uomini, Mursia Selezionati, Diploma con motivazione • Giorgio BONA, La lacrima della giovane comunista, Arkadia

Editore • Alvaro COLLINI, Il clochard, Leone Editore • Adelfo Maurizio FORNI, Kintsugi, Genesi Editrice • Stella LAPORTA, A notte fonda, Europa Edizioni

• Giulio REBECCHI, Soldati, Vertigo

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Edizioni • Irene SCHIAVETTA, La tabacchiera di Otto Schmitt, Il Ciliegio Edizioni

SEZIONE D. SAGGISTICA EDITA

La Giuria ha individuato i sette Finalisti dei quali quattro ottengono un rimborso spese di € 300 ciascuno e gli ulteriori tre ottengono i premi maggiori, e precisamente • Bruna

BERTOLO, Donne e follia in Piemonte, Susalibri • Giuseppe CIULLA e Catia

CATANIA, La cala. Cento giorni nelle prigioni libiche, Bompiani • Francesco

GALLINA, «Speculando per sapienza».

Vita, opere e poetica di Giovanni Gherardi da Prato, Rubbettino Editore • Sonia

GIOVANNETTI, La poesia, malgrado tutto, Castelvecchi editore • Monica

LANZILLOTTA, Cesare Pavese. Una vita

tra Dioniso e Edipo, Carocci Editore •

Gabriele PULLI, Inconscio del pensiero, inconscio del linguaggio, Mimesis

• Andrea SCANZI, E pensare che c’era

Giorgio Gaber, Paper First

Dopo un’ulteriore valutazione all’unanimità dei consensi la Giuria ha individuato i tre premiati seguenti: • Monica

LANZILLOTTA, Cesare Pavese. Una vita tra Dioniso e Edipo, Carocci Editore • Gabriele PULLI, Inconscio del pensiero, inconscio del linguaggio, Mimesis • Andrea

SCANZI, E pensare che c’era Giorgio Gaber, Paper First

RIEPILOGO DEI PREMIATI

SAGGISTICA EDITA 1° Premio € 1.200, Targa, Diploma con motivazione Monica

LANZILLOTTA, Cesare Pavese. Una vita

tra Dioniso e Edipo, Carocci Editore. 2°

Premio € 800, Targa, Diploma con motivazione Gabriele PULLI, Inconscio del pensiero, inconscio del linguaggio, Mimesis.

3° Premio € 600, Targa, Diploma con motivazione

Andrea SCANZI, E pensare che c’era

Giorgio Gaber, Paper First Finalisti € 300, Targa, Diploma con motivazione • Bruna

BERTOLO, Donne e follia in Piemonte, Susalibri • Giuseppe CIULLA e Catia

CATANIA, La cala. Cento giorni nelle

prigioni libiche, Bompiani • Francesco GALLINA, «Speculando per sapienza». Vita, opere e poetica di Giovanni Gherardi da Prato, Rubbettino Editore • Sonia GIOVANNETTI, La poesia, malgrado tutto, Castelvecchi editore. Selezionati, Diploma con motivazione • Nicola COCCIA, Strage al Masso delle Fate, Edizioni ETS • Claudio GALLO e Giuseppe BONOMI, Emilio Salgari – Scrittore di avventure, Oligo editore • Davide RICCIO, Il musico David Rizzio. Una storia ritrovata, Genesi Editrice

• Aldo SISTO, Dio assoluto e Dio persona, Genesi Editrice • Marco STERPOS, Il grande Verga, Edizioni Setteponti

OPERE INEDITE

SEZIONE E. POESIA SINGOLA

Tra tutti i Partecipanti alla sezione A, poesia singola, il Curatore dell’Antologia Voci dai Murazzi ha ammesso alla pubblicazione n. 70 poeti su 99 partecipanti. Tra i 70 Poeti pubblicati sono stati individuati i seguenti cinque poeti di maggiore riferimento per le attività dell’Associazione della Poesia, ai quali va un contributo di € 150 ciascuno (o in contropartita n. 10 copie dell’Antologia), e precisamente Livio Bottani, Gianni Giolo, Elisabetta Picco, Giovanni Ronzoni, Maria Ivana Trevisani Bach.

ELENCO DEI POETI PUBBLICATI IN ANTOLOGIA Isabella Michela Affinito •

Stefano Baldinu • Joseph Barnato • Renata

Benedetto Battezzato • Elda Biagi • Erika

Bianchin • Giuseppe Blandino • Livio

Bottani • Fabrizia Caffaratti • Piera Carbone

• Roberto Casati • Guido V.M. Ciavattone •

Roberta Sebastiana Cimino • Bruno Civardi

• Vilma Colombini • Ornella Clelia

Colombo • Giorgio Colombo • Alba Rosaria

Contino • Alessandro Corsi • Sabina De Mori • Corrado Dell’Oglio • Stefano Della

Torre • Luisa Di Francesco • Franca Donà •

Angela Donna • Maria Erovereti • Edi

Fabris • Vincenzo Faustinella • Lionella

Favretto • Giancarmine Fiume • Adelfo

Maurizio Forni • Gianni Giolo • Silvio

Giono-Calvetto • Potito Guadagno • Rita

Imperatori • Alessandro Izzi • Fabio

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Lagormarsini • Elisabetta Liberatore • Aldo

Maggiotti • Salvatore Mammone • Assunta

Marzotta • Orazio Milazzo • Wilma Minotti

Cerini • Giuseppe Modica • Adriana Mondo

• Antonietta Natalizio • Giovanna Nosarti •

Stefania Perno • Fiorenza Perotto • Pietro

Petroni • Elisabetta Picco • Vanda Pirone •

Gastone Pizzirani • Valeria Recalenda •

Giuseppe Romano • Giovanni Ronzoni •

Saverio Rosso • Giuseppe Ruggeri •

Annachiara Salvatore • Andrea Santoro •

Aldo Sisto • Emanuele Stochino • Alessia

Tarantino • Elvira Trap • Maria Ivana

Trevisani Bach • Laura Trimarchi • Luisa

Trimarchi • Alessandra Vasconi • Maria

Angela Zecca • Marian Ciprian Zisu

Tutti gli Autori inseriti riceveranno una copia dell’Antologia in omaggio. Chi desiderasse ulteriori copie potrà averle a € 12 ciascuna anziché € 20.

SEZIONE F. POESIA INEDITA alla memoria del Poeta Nino Pinto. 1° premio ex aequo con pubblicazione gratuita dell’opera, Diploma d’onore Edith Dzieduszycka, Fatui fuochi Carla Killander Cariboni, Il testo della vita

Dignità di stampa con Diploma d’onore: • Paolo Barbagelata, Da queste assi, stelle solo le viti • Joseph Barnato, Irrilevanze •

Livio Bottani, Caduta dal Paradiso • Maria

Silvia Caffari, La tigre • Giorgio Colombo, Vorrei un tempo nuovo • Laura Costantini, Acqua • Narcisa Fargnoli, Tenere braci •

Fiorenza Finelli, Nei pelaghi del cielo •

Gianni Giolo, Ad familiares • Elisabetta

Liberatore, Il congedo • Loris Maria

Marchetti, Prognosi riservata • Aldo Sisto, Alti e bassi • Giovanni Zavattaro, Itinerari di psiche N.B. Il diploma delle dignità di stampa con relativa motivazione può essere richiesto con versamento di quota a parte

SEZIONE G. PROSA INEDITA

1° premio assoluto con pubblicazione gratuita dell’opera, Diploma d’onore: Leandro Lucchetti, Arilli. Dignità di stampa con Diploma d’onore • Francesca Maria

Benvenuto, Gli occhi del mare • Roberto

D’Ettorre Piazzoli, Schegge di pellicola • Alice Franceschini, L’ultima pietra

• Patrizio Pacioni e Daniela Morandini, Artemisia • Chiara Rossi, Cardiomanzie • Teresa Simeone, Il fardello della generosità

N.B. Il diploma delle dignità di stampa con relativa motivazione può essere richiesto con versamento di quota a parte

SEZIONE H. SAGGISTICA INEDITA

1° premio assoluto con pubblicazione gratuita dell’opera, Diploma d’onore Piervittorio Formichetti, La pittura di Balthus e l’alchimia.

Dignità di stampa con Diploma d’onore: • Bruno Civardi, Paese di poesia • Irene Grazi, Il bianco nell’arte • Giuseppe La Greca, Edda interviste a Lipari • Manuela Mazzola, Il poeta che scriveva sulle foglie

N.B. Il diploma delle dignità di stampa con relativa motivazione può essere richiesto con versamento di quota a parte

Tutti gli Autori vincitori con premi in danaro sono tenuti a ritirare di persona il Premio, non è possibile delegare una persona fiduciaria. Inoltre, devono comunicare il proprio CODICE FISCALE e l’IBAN su cui verrà accreditato il Premio ricevuto. Si prega di dare conferma di accettazione del Premio. **

I° CONCORSO LETTERARIO INTERNAZIONALE “CRISTINA CAMPO” 2023. Nel centenario della nascita della poetessa e traduttrice Cristina Campo la UILDM di Rovigo in collaborazione con FideuramIntesa San Paolo Private Banking, la Rivista “Nuova Tribuna Letteraria”, con il patrocinio del Comune di Rovigo, della Provincia di Rovigo e di WikiPoesia, indice il I° Concorso Letterario Internazionale “Cristina Campo” 2023. Il premio si articola in quattro sezioni a tema libero ed è aperto a tutti: SEZIONE A LIBRO EDITO di narrativa a tema libero: Inviare un solo libro di narrativa, edito dal 2015 a oggi, in una sola copia (possono partecipare tutti i generi letterari).

All’interno del plico inserire una busta con i dati del partecipante (compresa mail e n.

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tel.) e 15 euro in contanti per spese di segreteria.

SEZIONE B LIBRO EDITO di saggistica a tema libero: Inviare un solo libro di saggistica edito dal 2015 ad oggi in un’unica copia. All’interno del plico inserire una busta con i dati del partecipante (compresa mail e n. tel.) e 15 euro in contanti per spese di segreteria.

SEZIONE C POESIA INEDITA a tema libero: Inviare da una a tre poesie o videopoesie max 40 versi l’una in lingua italiana o in dialetto del triveneto in un’unica copia. All’interno del plico inserire una busta con i dati del partecipante (compresa mail e n. tel.) e 15 euro in contanti per spese di segreteria.

SEZIONE D LIBRI DI POESIA, NARRATIVA E SAGGISTICA ESTERA

TRADOTTI DALLE VARIE LINGUE, a tema libero: Inviare un solo libro di poesia o narrativa o saggistica edito dal 2015 a oggi, in una sola copia. All’interno del plico inserire una busta con i dati del traduttore (compresa mail e n. tel.) e 15 euro in contanti per spese di segreteria. In tutte le sezioni sono ammesse anche opere in formato digitale da inviare alla mail sotto riportata allegando tutti i dati del partecipante compreso telefono e copia bonifico a: UILDM Sez. Rovigo Iban IT19P0503412201000000002692. Le migliori opere premiate verranno presentate tramite canali radiofonici e web. Le opere devono essere inviate entro il 15/04/2023, farà fede il timbro postale e non verranno restituite. Il giudizio della Giuria è insindacabile. La commissione giudicatrice sarà composta da illustri personalità del panorama letterario nazionale. Presidente onorario lo scrittore e poeta Rodolfo Vettorello, direttore artistico il regista televisivo Andrea Menaglia, Presidente editoriale Vittorio Spampinato, Presidente di giuria la giornalista e scrittrice Angioletta Masiero, madrina dell’evento Dott.ssa Sabrina Silvestrini. I preziosi premi realizzati da un artista internazionale

saranno consegnati durante la cerimonia di premiazione agli autori premiati o a loro delegati muniti di apposita delega scritta. Visto il valore dei singoli premi non sarà possibile un’eventuale spedizione. Il plico delle opere cartacee va spedito all’indirizzo: Dante Bernardinelli Segreteria premio, Via Umberto Giordano 8, 45100 ROVIGO. Per informazioni tel. n. 3338770361 - alla mail: conc.lett.cristinacampo@gmail.com

NATURA VIVA

ARTE DA MANGIARE

Inaugurata venerdì 24 febbraio alle ore 17, la mostra collettiva “Naturaviva – Arte da mangiare” ha avuto una notevole affluenza di visitatori. Organizzata dall’Associazione AssoPleiadiarte di Paolo Sommaripa, l’esposizione ha stupefatto i cittadini incuriositi dal tema del cibo.

Le opere, inedite e non solo, esposte su due piani, hanno lasciato a bocca aperta le persone che sono arrivate da paesi limitrofi come Ardea, Cecchina, Albano, ma anche da Roma. Gli artisti che hanno esposto sono: Enzo Andreoli, Baffonino, Massimo Benassi, Rita Ceccanti, Paolo Derchi, Luigia Gabrieli, Simona Giovannini, Kathy Kieffer, Ingrid Lazzarini, Aurora Mammone, Paolo Sommaripa e Rossana Urbani.

Un percorso multisensoriale composto da raffigurazioni di nature morte, che sembrano

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vive grazie all’uso di colori vivaci e giochi di luce e a rappresentazioni curate nei minimi dettagli, come ad esempio la frutta fresca, gli ortaggi, il pane e i croissant; sembrava quasi di sentirne il profumo. Il cibo é molto più di ciò che mangiamo; coinvolge, infatti, numerosi aspetti della vita affettiva, relazionale ed emotiva fin dalla nascita. Può essere un momento di scambio tra noi e il mondo circostante. In questo caso, i dipinti erano una combinazione di colori, emozioni e sensazioni piacevoli, tanto da stimolare il palato oltre che tutti gli altri sensi.

MOSTRA DI

PITTURA

AMORE PER L’ARTE

È stata presentata dal critico Luca Paonessa e dal maestro Paolo Sommaripa (presidente dell’Associazione AssoPleiadiArte), la mostra di pittura “Amore per l’arte” di Maria Antonietta Mosele Giorgioli e di Enzo Andreoli. I due esperti hanno delineato un profilo preciso e accurato del percorso artistico e dello stile dei due pittori, evidenziandone la grande differenza di espressione.

L’esposizione si è tenuta alla Torre civica dal 10 al 12 marzo 2023 e durante la prima giornata, si sono presentati il Commissario Prefettizio del Comune di Pomezia dott. Gianfranco Tomao e la Segretaria Generale dott.ssa Gloria Ruvo con tanto di seguito fotografico.

Le opere esposte dalla Mosele erano molte, di diversa dimensione e pur non essendo posizionate né in ordine cronologico, né in ordine di argomento, (riguardavano fiori, paesaggi, animali, ritratti di bimbi e di donne, maternità, una paternità, immagini figurative accanto a luoghi stilizzati e composizioni a collage) comunque hanno reso l’idea del percorso evolutivo compiuto dall’artista. I dipinti erano tutti eseguiti con matita, tempera su carta, olio su legno o tela oppure su cartone. Lo stile è classico, ma

innovativo per quanto riguarda la maniera in cui i messaggi sono stati veicolati. I dipinti di Andreoli erano otto, tutti olio su tela, di grandi dimensioni ed esposti in un percorso sequenziale: la donna, prima è sola e raccolta in sé, poi si alza e cammina verso l’uomo, in un secondo momento lo incontra , lo raccoglie e dopo c’è l’unione. Le opere sono state eseguite durante la pandemia poiché Andreoli si rendeva conto di quanto è labile la vita umana e precaria la sua esistenza. La soluzione – dice il pittore - è nel trovarsi e nell’accordarsi sia sui problemi quotidiani sia su quelli planetari. L’artista vede una possibilità nel seguire l’esempio di alcuni grandi personaggi come Madre Teresa di Calcutta, la quale senza

nulla, ma solo con le sue azioni, ha dato importanti insegnamenti a tutta l’umanità. La donna si trova in una posizione iniziale perché è generatrice di vita. L’uno trova completezza nell’altro in una sorta di equilibrio.

Durante i tre giorni c’è stata numerosa affluenza, hanno, infatti, visitato la mostra il poeta-giornalista Domenico Defelice, le varie Associazioni artistiche locali come le AssoPleiadiArte, l’Esperia, la Spiga d’oro e Il Convivio Artisti Lazio Latino Ardea/Pomezia 2014 di Elian, nonché i cittadini di Pomezia che dimostrano sempre di apprezzare l’arte in ogni sua forma.

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LIBRI RICEVUTI

MARIA TERESA INFANTE LA MARCA

– La Sconosciuta, Genesi editrice 2022 , pp. 131, € 15,00. Maria Teresa INFANTE

LA MARCA Maria Teresa Infante nasce e vive a San Severo (FG) Poeta accreditato WikiPoesia – confondatore e presidente onorario.

https://www.wikipoesia.it/wiki/Pagina_princ ipale; V. Presidente dell’Associazione culturale L’Oceano nell’Anima; Responsabile del settore editoriale Oceano Edizioni; Capo Redattore della rivista letteraria mensile on line e in cartaceo OceanoNews; Cofondatore e Consigliere dell’Accademia delle Arti e delle Scienze filosofiche (BA). Direttore del Dipartimento “Solidarietà e promozione sociale”. Collaboratrice del giornale Il Corriere di San Severo del http://www.corrierenazionale.net;

http://www.corrierepl.it7;

https://alessandria.today/2022/04/04/il-miobenvenuto-alla-poetessa-maria-teresainfante-una-nuova-autrice-di-alessandriatoday/.

Articoli pubblicati su La Gazzetta, Paese Italia, Metropolitan Web, Wox Militiae ecc Collaboratrice per la Puglia della Rivista trimestrale di Arte e Cultura “La Ballata” –

Biblioteca dell’Archivio di Stato di Livorno (G. 153), Direttore responsabile Giuliana

Matthieu Chiocchini Collaboratrice della Rivista letteraria Fiorisce un cenacolo, direttore Anna Manzi. Socia FIDAPA BPW

ITALY – Distretto SUD EST – Sezione

FOGGIA CAPITANATA. Ambasciatrice

Premio Letterario Internazionale L. S. Senghor, Africa Solidarietà Onlus dal 2015. Ambasciatrice di Pace Universum Academy

Switzerland dal 2014 (nomina a Lugano).

Accademico onorario Universum of Peace

Switzerland dal 2014 Membro della commissione esaminatrice del Premio Letterario

Nazionale Nicola Zingarelli – IX – X – XI –XII – XIII – XIV edizione. Membro del C.

D. dell’Associazione culturale Verbumlan-

diArt dal 2013 al 2016. Ideatrice e amministratrice della sezione Ciò che Caino non sa, contro la violenza di genere: http://www.oceanonellanima.it/oceano/cai no.html. Ideatrice e presidente del Premio internazionale di Poesia “Ciò che Caino non sa” contro la violenza di genere e verso il mondo dei minori Collaboratrice e direttrice artistica del Premio Accademico Internazionale di Letteratura contemporanea Lucius Annaeus Seneca a cura dell’Accademia delle Arti e delle Scienze filosofiche. Quando parlerai di me, Ed. Rei (2012) C’è sempre ragione, Ed. La Lettera scarlatta (2014). Il Viaggio, Oceano Edizioni (2016). Premio speciale della Giuria Club della poesia, 2017. Oblaci i tišina (Nuvole e silenzio), (2017) Oceano Edizioni, distribuita in Serbia . Itinere, Ed. Sentieri Meridiani (2016). Vince XXI Premio Letterario Nazionale U. Fraccacreta, 2016

Rosso sangue, Oceano Edizioni (2018). Vince I edizione Books for Peace, 2018 Collisione d’interni, Il Convivio Editore (2019) Vincitore del Premio internazionale di Poesia Il Convivio, 2018 Rap di-verso, Oceano Edizioni (2019) Raccolta di poesie per bambini Extrema ratio, Genesi Editore (giugno 2021). Tradotta in Serbia nel 2013 e 2015 in varie rubriche e riviste letterarie. Nel giugno 2016 è membro della delegazione italiana che a Pozarevac, in Serbia, ha firmato il protocollo di cooperazione culturale tra le Associazioni “VerbumlandiArt” e “Club degli amanti del libro Majdan”, al fine di creare un ponte collaborativo culturale tra l’Italia e la Serbia. È tra gli autori dell’antologia poetica La Svolta (Prekretnica), edizione bilingue di componimenti fra poeti serbi e italiani realizzata in occasione della sottoscrizione del protocollo e presentata a Kostolac. Inoltre le sue poesie, con note biografiche, sono state spesso pubblicate (dal 2013 al 2020) nell’antologia di arte e letteratura serba Majdan, curata dall’editrice Slavica Pejovic. NARRATIVA: Il richiamo, Oceano Edizioni (2017). ROMANZO: Torneremo a guardare il mare, Oceano Edi-

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zioni (2021) Prosa /poesia. Come ideatrice e curatrice ha pubblicato: Ciò che Caino non sa, trilogia poetica e letteraria per sensibilizzare contro la violenza di genere, dai sottotitoli: La tela di Penelope Vol. I, 2014. Odi et amo Vol. II, 2015. Amore e Psiche Vol. III, 2016. Alexandrae (Voci di donne) Oceano

Edizioni. Antologia. (2018) Ciò che Caino non sa – Le mani dei bambini, Oceano Edizioni (Infante/Massa) 2018 Terre d’Italia –

Poesie e dintorni di Capitanata, Oceano

Ed.(Massa/Infante), 2019. Terre d’Italia –

Poesie e dintorni delle terre di Bari, Oceano

Ed.(Massa/Infante), 2019. Terre d’Italia –

Poesie e dintorni della Trinacria, Oceano

Ed. (Massa/Infante), 2021

MARIA ELENA DI STEFANO – Clamori

e silenzi – Incontri, Stampa piccola Offset

“Partenone”, pp. 87. Maria Elena DI

STEFANO è nata a Catania e non è stata soltanto pittrice, ma poetessa e scrittrice. A Roma, ha insegnato Educazione Artistica nelle Scuole Medie. Ha allestito mostre personali e ha partecipato a tantissime collettive, riscuotendo sempre notevoli successi, come altrettanto è avvenuto per le sue sillogi di poesia e per i suoi romanzi. Ricordiamo i volumi di racconti Vere e false parole (1978) e Clamori e silenzi. Tra i romanzi: Il segreto di Selenia e Il Sole del 2000 (2004); tra le sillogi di poesia: Nello spazio e nell’anima (1972), Terra, fuoco, vento, luce (1987), Noi, la vita, l’universo e Risonanze di vita (2005). Con L’eco della vita ha ottenuto il 3° posto al Premio Internazionale Letterario Città di Pomezia 2007

ANNA MANNA – Questa mattina (24/02/2022), Edizioni Tabula Fati, 2023, pp. 76. Anna MANNA, nata a Gaeta, vive da sempre a Roma, dove nel 1973 si è laureata in Lettere Moderne presso La Sapienza. È figlia d’arte, suo padre è lo scrittore Gennaro Manna (Tocco Casauria, 1922 –Roma, 1990). Poetessa, scrittrice, saggista e cultural promoter, ha svolto intensa attività culturale a Roma e a Spoleto, fondatrice e

organizzatrice di premi letterari di rilievo nazionale. Nel web ha lanciato il Progetto #grandidialoghinelweb. Ha scritto molti libri di poesie, un romanzo, due libri di racconti, antologie, due saggi. Socio dell’Associazione italiana del libro, dell’Associazione internazionale dei Critici Letterari, del Sindacato Libero Scrittori italiani. È nota la sua attività culturale nella capitale italiana dove ha fondato in Campidoglio e condotto per dieci anni il Premio “Fiore di roccia” dedicato alla donna. Alla problematica femminile ha dedicato l’antologia Poetesse per Pechino (Ila Palma 1995) e Donne di luna e di scure - poesie nel web (Il Convivio 2007), scritto con Daniela Fabrizi. Fondatrice e organizzatrice del premio “Le rosse pergamene” premio di poesia d’amore e solidarietà ha dedicato la sezione della primavera 2013 a Papa Francesco ed alle poesie delle “Periferie del cuore”. “Le rosse pergamene” ha premiato i più bei nomi della poesia italiana e ha lanciato giovani sconosciuti. Il premio è nato nel 2001 dall’omonimo libro di poesie d’amore prefato da Elio. Ha vinto numerosi premi anche a livello istituzionale. I suoi versi sono stati musicati a Recanati presso il Centro mondiale della Poesia, a l’Aquila sono stati scelti per la Mostra Corrispondenze patrocinata dall’Unesco, a Spoleto è stata inserita nel Programma culturale multidisciplinare “Il senso del senso”, a Catania è nota per la fitta collaborazione con la rivista Il Convivio. I racconti pubblicati su 100news sono diventati il libro “Una città, un racconto” edito da Nemapress che ha dato origine al Premio dell’Associazione Italiana del libro “Italiamia”. Ha presentato progetti culturali all’Università La Sapienza, dove ha lavorato come bibliotecaria, alla Biblioteca della Camera dei Deputati, all’Archivio di Spoleto. Le sue poesie sono state tradotte in romeno. Nel luglio 2013 ha pubblicato con Nemapress “Umili parole e grandi sogni” - 5 poesie per 3 pontefici con introduzione di Neria De Giovanni, presidente dell’Associazione internazionale dei Critici

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Letterari. A luglio del 2011 a Spoleto ha lanciato il Manifesto dei Neoromantici che nel febbraio del 2013 si è strutturato nel Manifesto dei Neoromantici per un Nuovo Umanesimo a firma Anna Manna, Daniela Fabrizi e Gilberto Mazzoleni. Durante il convegno “Europa e cultura verso un nuovo umanesimo” del 31 gennaio 2014 ha lanciato ed organizzato la prima edizione del Premio “Europa e cultura” presso la Sala delle Bandiere dell’Ufficio italiano a Roma del Parlamento europeo. È Presidente Fondatrice del Premio "EUROPA E CULTURA" che si svolge presso il Centro di Documentazione europea Altiero Spinelli presso la Facoltà di Economia e commercio Sapienza Università degli Studi di Roma. I suoi saggi sono stati presentati presso la Biblioteca della Camera dei Deputati e presso Casa Menotti a Spoleto. Nell'incontro del 18 luglio 2015 a Casa Menotti ha lanciato con il giornalista Elia Fiorillo il Progetto "POETI PER L'ITALIA". Altre pubblicazioni: “Le poesie di Monteluco”, edizioni Nemapress, 2016; “Migranti. A passi nudi e cuori scalzi” con Daniela Fabrizi, Aracne Editore, 2016; “L’illimite. Incontro con Corrado Calabrò”, Aracne Editore, 2014; “La biblioteca del dialogo”, Il Convivio Editore, 2007; “Maree amare, Pagine Edizioni, 2007: “A Roma i poeti”, Anemone Purpurea, 2006; “A Largo della Polveriera”, Sovera Edizioni 2002; “Le Rosse pergamene”, Pagine Edizioni, 2011; “A Largo della Polveriera” poesie, Il giornale dei poeti edizioni, 2000; “Fragole e Latte”, CIAC Edizioni, 1999, “I cocci in bocca”, Bastogi edizioni, 1998; “La Madonnella al porto”, Edizioni Kappa, 1996; “Noi donne fallibili e degne di miracoli”, Edizioni Associate1995; “Il raggio ridente di marzo”, Ancei, 1994; “Il poeta della ferriera”, Sovera Edizioni, 2004; “Poesie per Karol”, Anemone Purpurea, 2005; “Amori negati”, Le scie mondadori, 2006; “Il paiolo pieno di patate”, Calabria Letteraria, 2012.

È vento, grandine, nebbia

È vento, grandine, nebbia il tuo viso, carcerato, è giorni e giorni di sole e di tenebre, è silenzio sommato al letargo del sentire sopravvissuto alle impervie scogliere dei tempi, che si risveglia nel nuovo pellegrino, nelle sue ore sonore, mentre all’urto del vento si espone, a giorni amari di gelo, alla sfida di feroci tempeste. Vive fiammelle accese tra geometrie di mura, che hanno fondamenta nella nebbia di antichi calendari, mentre cisterne del tempo raccolgono amori, trionfi e sconfitte. E tu, ragione non puoi nel tuo solco condurre la forza dei ghiacciai, né il ritmo cambiare dell’aurora australe, né intrappolare l’oceano dell’anima. Oltre il buio del pensiero onde misteriose ci sospingono, mentre da lontano ci chiama il tempio dell’infinito.

Imperia Tognacci

Da: Il prigioniero di Ushuaia, Genesi Editrice, 2021

Anche al tempo di Leopardi i poeti erano più di diecimila e di essi la storia ne ricorda appena dieci; dei cinquantamila odierni se ne salveranno forse cinquanta, ma sia allora sia oggi, gli altri poeti erano necessari, perché sono loro che muovono le acque, sono loro a tener vivo l’amore per l’arte e a dare, a quei pochi che emergeranno, l’entusiasmo per continuare a scrivere versi, versi forse difficilmente compresi dalla massa.

Francesco Boneschi

Da: Diario di anni torbidi, Domenico Defelice, Edizioni Associate, 2009

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IL CROCO

I Quadreni Letterari di POMEZIA-NOTIZIE

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