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Settembre 2021

DOMENICO DEFELICE DOMENICO ANTONIO TRIPODI Pittore dell’anima di Giuseppe Leone

N

ON è nuovo Domenico Defelice a queste monografie su pittori contemporanei. Dopo averne scritto su Eleuterio Gazzetti (1980); Saverio Scutellà (1988); Michele Frenna (2001); Giuseppe Mallai (2004); Ottavio Carboni (2009), tanto per citarne alcuni, eccolo discorrere ancora d’arte in questo suo nuovo saggio dal titolo Domenico Antonio Tripodi. Pittore dell’anima, edito dalla Gangemi Editore International, Roma, nel dicembre 2020. Un volume, a metà strada fra biografia e racconto, attraverso il quale Defelice ricostruisce la vita e l’opera di un artista a cui è legato da immensa stima e profonda amicizia. Lo fa, attraverso un andirivieni di giudizi e note, ora, sull’uomo Tripodi, la sua nascita a Sant’Eufemia d’Aspromonte nel 1930 e i suoi primi studi in Calabria; ora, sulla crescita e la formazione in Toscana, dove si era

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trasferito a 17 anni; ora, sugli anni della maturazione in Lombardia: prima, a Milano, dove lavorerà nel restauro, e poi a Como, dove assumerà la cattedra all’istituto superiore di restauro e dove “produrrà opere pittoriche dalle pennellate sempre più leggere e fluttuanti” (21). Il tutto in una prosa dai toni distesi e colloquiali, assai più tipici della letteratura da viaggio, che non del saggio critico, dal quale sembrerebbe presto allontanarsi per l’ironia e l’autoironia che lo ispira, almeno nelle pagine iniziali, dove Defelice, descrivendo i preliminari del suo incontro con Tripodi a Roma per un’intervista, ha modo di parlare anche di sé e dei suoi acciacchi per l’età avanzata: “le gambe dolorano, al par delle piante dei piedi e la schiena è infreddolita come se avessimo dormito sopra un cubo di ghiaccio; della spremuta d’arancia, preparatagli da Clelia, che così giustifica: “in gioventù non abbiamo mai fatto colazione; ora, dovendo, ogni mattina, ingoiare una pastiglia e mezza per la circolazione e un’arteria semi calcificata, il dottore ci ha consigliato di accompagnarle almeno con una fetta biscottata e, nell’inverno, usiamo la spremuta al posto dell’acqua”; e sull’indebolimento della memoria, almeno da quello che si evince dalle premure di sua moglie che lo aiuta a prepararsi per non dimenticare nulla a casa, “Prendi i soldi, non girare senza denaro in tasca, com’è il tuo solito. Portati il telefonino. Non fare troppo tardi” (9). Né si può dire che l’ironia l’abbandoni una volta uscito da casa: lo accompagna anche quando descrive la varietà delle persone che incontra per la strada: da quell’indiano, con turbante, (che) se ne sta in disparte a una decina di metri, vicino a un’insegna pubblicitaria, fermo, quasi fosse di pietra lavica, e che così tanto somiglia al filosofo Profeta di Tripodi … ; a quelle


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