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Afghanistan, una lezione per l’Occidente, di Italo Francesco Baldo, pag

AFGHANISTAN, UNA LEZIONE PER L’OCCIDENTE E IN FUTURO…

di Italo Francesco Baldo

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ON siamo riusciti a raggiungere ciò che ci eravamo prefissati” Così Angela Merkel, cancelliere “N della Repubblica Federale tedesca ha sentenziato il fallimento chiaro e veloce di far diventare l’Afghanistan uno Stato, ossia un popolo secondo i dettami della cultura “detta” occidentale. In realtà si trattava di una dimensione solo politica, ossia l’affermarsi nello Stato orientale della prassi della democrazia in politica. L’errore è palese, chi ha tentato ciò ha sbagliato e non si tratta di individuare chi abbia sbagliato, tutti hanno sbagliato, perché hanno assunto la prospettiva della sola politica per raggiungere una nuova realtà per un popolo che ha radici culturali diverse e soprattutto ben radicate come ben dimostra la storia. L’occidente, un temine un po’ generico, ha dopo l’11 settembre 2001 portato avanti la prospettiva che il cambiamento politico di certi Stati, tra cui appunto l’Afghanistan potesse dare direzioni nuove, più moderne, più attinenti al mondo occidentale che si auto-considera, leibnizianamente, il migliore dei mondi possibili, dove il meglio di quanto può avere l’uomo esiste ed è praticato. Non a caso proprio l’occidente ha puntato tutto sulla politica con quella nota espressione “tutto è politica”, e non ha nemmeno considerato quanto il suo mentore, quanto Voltaire ha scritto nel suo “Candido”.

Quale la ragione del fallimento? La principale è quella di aver elevato un modo digovernare, appunto la democrazia, come assoluto, l’unico possibile per tutti, dimenticando la grande lezioneche ci viene dai pensatori greci, in particolare Aristotele, che con semplicità affermava che diversi sono i modi di governare un popolo, uno Stato. Essi sono. monarchia, aristocrazia, politica, che oggi chiamiamo democrazia. Tutti validi sé portano il bene alla popolazione. Essi degenerano in tirannide, oligarchia, democrazia, che oggi invece chiamiamo demagogia o, meglio oclocrazia. L’assolutizzazione di una modalità non è sempre possibile e non sempre è fonte di benessere. Le forme di governo dipendono da una cultura che è propria di una popolazione, nel caso afghano da una cultura che affonda le proprie radici nel Corano e nella prassi che da esso deriva. È una visione del mondo che ha almeno 1300 anni e se non appare così radicata nelle città, ma è discutibile, lo è invece nell’animo stesso della gran parte della popolazione. Questa ha subito le invasioni, le pressioni di diversi popoli, ultimi i Russi e di coalizioni, quella del recente fallimento. Nessuna è stata una vera proposta che all’interno della dimensione culturale propria del popolo afghano. Sono apparse sempre come una imposizione, da “sopportare”, ma anche da combattere, mentre ministri degli esteri immaginavano una realtà che non esisteva e soccorritori lo facevano proprio in nome di quel cambiamento che non era né sentito né vissuto dal popolo. L’esempio ultimo ne è la prova, un esercito foraggiato, addestrato dagli “occidentali” si è di fatto sciolto in qualche giorno, ovvero è ritornato ad essere “afghano”, indipendente dal volere di chi aveva occupato il territorio della nazione. Questo risultato forse può inse-

gnarci che i processi di cambiamento culturale, tra cui appunto la politica, non possono essere imposti, ma se adeguatamente proposti, forse accettati e fatti propri da un popolo. L’aspetto più importante è che i processi culturali non sono veloci, talora possono apparire tali, come nel caso delle dittature totalitarie, ma è più un adeguamento un “tirare spesso a campà”, che non una vera accettazione e introiezione di quei contenuti. Il caso dell’Unione Sovietica ce lo dimostra. Una dittatura imposta con le armi e la forza, attraverso un controllo poliziesco, una costrizione culturale ad accettare contenuti non propri, la distruzione quasi sistematica dell’avversario anche fisicamente (gulag, in altro Stato lager), tra tutti il caso Pavel Aleksandrovic Florenskij, non ha prodotto dopo quasi 75 anni una nazione, uno Stato “comunista” come orgogliosamente aveva proclamato Leonid Breznev. E per rimanere in Italia, 20 di fascismo non hanno fatto gli Italiani tutti fascisti, come la dittatura del politically correct, che oggi sembra dominante e che altro non è che una moda, uno smart, di breve durata nei suoi contenuti, proposti e subito consumati.

I cambiamenti culturali sono lenti, anche se possono avere delle accelerazioni, ma queste lo possono essere perché vi è già un “terreno” disponibile”, altrimenti cadono. In secondo luogo i contenuti culturali profondi non mutano in qualche decennio, basti ricordare quanto tempo ha impiegato il cristianesimo ad essere un riferimento pressoché generalizzato nell’ Impero Romano, circa 300 anni, ma, come ricordano i martiri dell’Anaunia non di tutte le valli, trentine in questo caso.

Forse dalla chiara sconfitta dell’obiettivo che l’occidente si era prefisso di raggiungere, potremo imparare che la via della coesistenza tra popoli, culture diverse passa da ben altre vie, compresa quella della seta, queste sono quelle della proposta di una coesistenza pacifica, di una non ingerenza nella cultura e nella prospettiva degli Stati, e di un rispetto anche di quello che “non ci piace”, verso il quale un atteggiamento di proposta alternativa può essere piùefficace delle bombe e dei mille miliardi di dollari spesi in Afghanistan.

Infine che la politica e la sua realizzazione, la democrazia che è una realizzazione di vita sociale contingente e non assoluta, ha dei grandi limiti e che essa dipende, ben lo scriveva pure A. Rosmini, prima di tutto dall’assunzione di una dimensione morale, che non è quella della moda e delle convenienze singolari.

Italo Francesco Baldo

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