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dialoghi
from Dialoghi nr. 272
di riflessione cristiana
Una diocesi rinnovata per il vescovo che verrà
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Alcune piste da percorrere tutti insieme
Siamo tutti in transizione, tra due tempi, sia in prospettiva ravvicinata e locale, che in quella della storia universale. Non a caso la rivista animata dal teologo svizzero Karl Barth tra il 1923 e il 1933 portava il titolo Zwischen den Zeiten , a significare sia la situazione tedesca negli anni di transizione tra la repubblica di Weimar e il regime nazista, come pure la costante situazione in cui si trova a vivere il cristiano, tra la memoria della venuta di Cristo nella storia umana e il suo ritorno alla fine dei tempi. Noi di «Dialoghi» intendiamo riflettere in questo frangente di transizione sullo stato della diocesi ticinese, dopo le dimissioni del vescovo Valerio Lazzeri, e durante la fase transitoria dell’Amministratore apostolico Alain de Raemy. Volgendo lo sguardo a quanto abbiamo osservato il 23 novembre scorso, abbiamo visto una grande folla che ha voluto salutare il vescovo dimissiorario per ringraziarlo del suo servizio prestato alla diocesi ticinese. Anche la nostra redazione si unisce nell’esprimere al vescovo Valerio il vivo ringraziamento per quanto ha fatto per i cattolici del nostro cantone e gli augura di ritrovare presto serenità per continuare il servizio pastorale che maggiormente corrisponda alla sua vocazione più profonda. Due sue affermazioni recenti ci devono far riflettere, poiché non riguardano solo l’esercizio del suo ministero, bensì anche l’operare di ogni cattolico che vive e opera in questa realtà locale.
«Prima di tutto io sono un pastore, non un amministratore. Non ho scelto di dare la mia vita al Signore per comandare o per essere a capo di una struttura articolata e con esigenze formali così forti. Ero consapevole di questa dimensione e ho cercato di fare del mio meglio»;
«Questi aspetti (di governo e di rappresentanza, n.d.r.) sono sempre stati lontani da tutto ciò che il ministero mi aveva portato a coltivare in precedenza».
Queste affermazioni che riprendiamo dal CdT dell’11 ottobre scorso mettono in evidenza le difficoltà strutturali entro cui il vescovo Valerio doveva esercitare il suo ministero e ci spronano a guardare con maggiore attenzione alla situazione della diocesi e ai suoi problemi che evidentemente non cambiano automaticamente con la venuta dell’amministratore apostolico Alain de Raemy, cui pure auguriamo di cuore un inizio di ministero, prezioso e necessario, anche se transitorio. Il prelato friburghese non fa parte evidentemente del clero ticinese, come recita il concordato attualmente vigente, e quindi non può diventare il nostro prossimo vescovo. La situazione transitoria entro cui è chiamato a operare non è certo allettante per lui, ma essa ha perlomeno un vantaggio: egli può guardare alla situazione delle parrocchie, delle istituzioni e delle regioni, come pure del personale che opera in diocesi, senza pregiudizi di parte e senza necessariamente far proprie le proposte che eventualmente gli saranno sottoposte da coloro che finora hanno gestito i cosiddetti affari correnti.
Non vogliamo qui, nello stretto ambito di un editoriale, metterci anche noi a far proposte al vescovo de Raemy. Ci limitiamo a comunicare a coloro che ci leggono alcune nostre impressioni, condivise in redazione, che caratterizzano il sentire e l’operare di molti cattolici ticinesi. Tra di essi convivono, infatti, tendenze alquanto diverse e tra loro conflittuali, sia per quanto attiene alla loro concezione di Chiesa sia per le scelte organizzative da intraprendere e coltivare. Gruppi di orientamento diverso operano sul territorio ignorandosi comunque a vicenda e rivendicando nel medesimo tempo la loro piena adesione al cattolicesimo. Ai margini, alcuni gruppi tradizionalisti vivono la loro fede rimanendo a lato delle parrocchie, altri aderiscono a «movimenti», che, pure molto attivi, non animano direttamente la vita delle parrocchie. Quest’ultime sono a loro volta molto diverse tra loro e, a differenza dei comuni, non accennano a federarsi anche giuridicamente, preferendo la via delle convenzioni con le «nuove città» sorte dal raggruppamento intercomunale. Siamo coscienti delle complessità dei problemi legati alla trasformazione del territorio ticinese e ai suoi riflessi, anche per la strutturazione delle comunità cattoliche e non vogliamo evidentemente proporre all’Amministratore apostolico soluzioni che vanno ben al di là del periodo di transizione che egli ora si trova a gestire.
La diocesi ticinese ha vissuto nei decenni che hanno preceduto, accompagnato e seguito il Concilio vaticano secondo periodi di particolare vivacità e persino di pratica d’avanguardia. I membri della nostra redazione, per la gran parte donne e uomini ora alquanto attempati, ricordano, con affetto venato da un po’ di nostalgia, gli anni che hanno preceduto il Concilio, in cui in Diocesi il rinnovamento liturgico era intensamente seguito e praticato, precedendo persino quanto si praticava in Italia. La formazione del clero avveniva modestamente in un seminario in cui insegnavano preti e laici competenti che hanno formato quelle generazioni di preti che hanno dato il meglio di sé durante gli anni dei lavori conciliari. Durante gli anni ’70 del secolo scorso, i cattolici svizzeri hanno seguito attivamente i lavori dei sinodi diocesani e di quello nazionale, anche se poi i documenti usciti da quegli incontri non furono tradotti in pratica, anche perché gli organismi romani che li avevano ricevuti non diedero alcun seguito alle suggestioni proposte.
A cinquant’anni di distanza, la diocesi, come d’altra parte tutta la cattolicità, vive in pieno una crisi da cui molti di noi vorrebbero poter uscire, anche se i passi da fare non sono solo faticosi, bensì talvolta resi difficili dalla conflittualità interna a tutti i livelli.
«Dialoghi» esprime i suoi migliori auguri all’amministratore apostolico, auguri di poter portare a buon fine il grande impegno che si è assunto, e gli assicura la propria piena disponibilità all’incontro, al dialogo e all’impegno per un rinnovamento della convivenza in diocesi.
Anche se non sappiamo ancora chi sarà il futuro vescovo di Lugano, osiamo esprimere la speranza che egli possa trovare una diocesi rinnovata e volonterosa ad accoglierlo. Per rendere un po’ più concreta questa nostra speranza, vorremo accennare a due nodi che ci hanno preoccupati nel passato e che sono di permanente attualità.
Il primo riguarda il rinnovamento liturgico, che deve poter trovare nuove energie, per uscire dalla routine in cui esso si è troppo spesso installato. Con il rinnovamento liturgico, evochiamo pure la necessità di una riqualificazione biblica e teologica della predicazione, elemento centrale ed essenziale di ogni celebrazione liturgica. Chi dice predicazione evoca al contempo immancabilmente la situazione del clero e della sua qualificazione teologica in vista di una predicazione che sia vicina al Messaggio da trasmettere e alla situazione esistenziale di coloro che l’ascoltano.
Qui si manifesta una forte differenza tra la situazione concreta della diocesi ticinese e quella delle altre diocesi svizzere, con cui, dobbiamo ammetterlo, i contatti sono molto ridotti. Mentre in altre parti del nostro Paese le comunità locali sono animate e dirette da laici e laiche teologicamente formati pure in assenza di preti, in Ticino si è voluto affidare l’animazione delle comunità locali solo a preti, ora in gran parte provenienti da contesti culturali e sociali molto diversi da quelli presenti nel nostro cantone.
Molta carne al fuoco, come si può ben vedere. Non intendiamo qui proporre una mappa esaustiva dei problemi da trattare e possibilmente da risolvere. Solo vogliamo evocare alcune piste da percorrere tutti assieme, sia nella transizione animata dall’Amministratore apostolico de Raemy sia dal futuro vescovo di Lugano. Ad entrambi auguriamo di saper guidare la navicella cattolica ticinese su un lago quanto mai mosso, ma di cui non vogliamo avere paura.
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