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Ricordo del vescovo Ernesto

L’11 novembre ci ha lasciati a 96 anni il vescovo emerito Ernesto Togni. Nato a Brione Verzasca il 6 ottobre 1926, fu ordinato sacerdote nel 1950 ed eletto vescovo il 15 luglio 1978. Il suo episcopato durò fino al giugno 1985, quando dimissionò per motivi di salute, restando, come amministratore apostolico, alla guida della Diocesi fino alla nomina del suo successore monsignor Eugenio Corecco nel giugno 1986.

Dopo gli studi al seminario di Lugano e a Roma presso l’Università Gregoriana, nel 1951 don Ernesto diventa professore e vicerettore in Seminario a Lugano. Quando viene aperto il Seminario di Lucino ne diventa rettore. Nel 1969 viene nominato parroco di Tenero. Dal ’72 al ’75 è membro del Sinodo. Tra i suoi diversi incarichi riveste, dal 10 giugno 1977 fino alla nomina episcopale, il compito di responsabile della catechesi nel settore primario del vicariato del Locarnese e di delegato dell’Ufficio Catechetico diocesano. Di lui ricordiamo lo spirito di apertura e il sorriso con

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Alla veneranda età di 96 ci ha lasciati Ernesto Togni, vescovo emerito di Lugano. Una presenza corale ai suoi funerali testimonia della forte popolarità che egli aveva nella popolazione ticinese, anche a molti anni dalla sua rinuncia, avvenuta quando aveva 58 anni.

Ho conosciuto don Ernesto all’età di 11 anni, quando sono entrato al ginnasio del Collegio Pio XII a Breganzona, di cui egli era il primo rettore. Con l’apertura di questa scuola, voluta dal vescovo Angelo Jelmini, tirava già una certa qual aria nuova in diocesi, poiché si rinunciava a qualificare questa istituzione come un «seminario minore», anche se si parlava in maniera discreta di «vocazione». Gli allievi non portavano più la veste talare e tra gli insegnanti erano presenti anche laici (così già molto giovane ho avuto Silvano Toppi come docente di economia). Lo stile di vita, ritmato da preghiera, studio e attività sportive, era relativamente libero e gaio, merito del suo rettore don Ernesto. Grazie alla sua conduzione cordiale e per nulla autoritaria, l’atmosfera del collegio era serena. Mi ricordo il suo interesse per le famiglie che ci avevano affidato a lui, interesse che metteva in evidenza la sua convinzione che i preti che avevano la conduzione del collegio non fossero gli unici educatori, bensì piuttosto collaboratori dei genitori. Don Ernesto era particolarmente schivo nel parlarci della sua vita personale, ma su alcuni punti traspariva il mondo dei suoi interessi e dei sentimenti più vivi. Mi sono rimasti impressi nella memoria soprattutto il suo legame con la valle Verzasca e l’amore delle mon- il quale seppe accogliere le sfide che il vento conciliare suggeriva. Seppe andare incontro e accogliere il popolo di Dio che stava in Ticino non come un capo di governo o un amministratore, ma come un pastore che «sente l’odore del suo gregge» e lo protegge e accudisce, senza imposizioni, lasciando lo spazio alle pecore per pascolare. Visse lo spirito missionario dentro e fuori della diocesi: in America latina prima, con la missione di Barranquilla, e più tardi, da quella in l’Africa poi, con l’apertura della missione in Ciad. Proprio a Barranquilla nel 1993, dopo la fine del suo episcopato, andò missionario fino al 1996. «Dialoghi», di cui fu fedele lettore, gli è riconoscente per la speranza che ha saputo infondere al suo gregge e per la testimonianza al Vangelo, che libera e non opprime, che ha offerto anche nei momenti più difficili delle delusioni, suoi e nostri. Ha combattuto una buona battaglia e ci ha lasciato un grande esempio, che ci sprona a guardare avanti con fiducia. Dialoghi tagne ticinesi. I periodi estivi passati a Prato Leventina permettevano una vita comune durante le varie escursioni, in cui la separazione tra gli allievi e i superiori tendeva a sparire, perché nelle capanne si condividevano i bivacchi e i dormitori. Una volta finito il ginnasio, don Ernesto teneva ancora contatto con gli ex-allievi, invitandoli talvolta in estate a intraprendere escursioni comuni. Così mi è rimasta impressa la scalata del Basodino, fatta da alcuni allievi in sua compagnia e in una atmosfera connotata dall’amicizia più che dall’esercizio dell’autorità.

Poi ci siamo un po’ persi di vista, anche perché egli assunse la responsabilità della parrocchia di Tenero. Fui sorpreso dalla sua nomina a vescovo di Lugano e seguii con attenzione il suo primo intervento alla TSI, tenuto con il suo abituale stile modesto, cioè in giacca e cravatta e non con i paramenti della sua nuova funzione. Il suo predecessore, monsignor Martinoli, gli fece rimarcare questa sua «caduta di stile», che non corrispondeva, a suo avviso, alle abitudini clericali necessarie in simili occasioni. Partecipai alla sua consacrazione in cattedrale e mi rimase impressa la sua omelia che metteva in evidenza lo spirito con cui egli comprendeva il suo nuovo compito. Commentando il passaggio degli Atti degli Apostoli in cui l’apostolo Pietro incontra uno storpio e gli dice: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!» (3,6), il vescovo Ernesto chiosò e applicò la parola di Pietro al proprio ministero: «Chiesa che sei a Lugano, il tuo vescovo non possiede né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Cristo, àlzati e cammina».

Parole chiare e coraggiose e che ho custodito nella mia memoria. Durante quegli anni lavoravo presso Caritas svizzera a Lucerna e così, attraverso la mia attività professionale, ebbi l’occasione di riprendere un contatto intenso con il nuovo vescovo di Lugano. Egli mi accolse con la sua proverbiale ospitalità e durante gli incontri in curia riuscii a capire meglio cosa si nascondesse nel conflitto che allora affiorava tra la Caritas Ticino e la Centrale di Caritas svizzera a Lucerna. Don Ernesto era sottoposto a una sorta di mobbing da parte di vari ambienti in diocesi che gli rendevano la vita difficile. Modesto e discreto, non mi parlò della sofferenza che attraversava la sua vita e il suo servizio nel ministero. Pur non essendo particolarmente ferrato in psicologia, avvertii subito la presenza di questa sofferenza anche se non mi aspettavo che essa potesse portarlo fino alle dimissioni dal suo ruolo di vescovo.

Gli resi visita presso la casa di riposo nel Gambarogno alcuni anni fa e lo trovai sereno come sempre, senza alcun risentimento, interessato alla vita di coloro che lo incontravano, e persino orgoglioso delle loro vicende professionali, che interpretava come frutti maturi di un seme che egli aveva potuto deporre.

Riposa in pace, caro don Ernesto, e là dove sei, poni uno sguardo benigno su una terra che forse non ha saputo onorare fino in fondo il tuo carisma.

Alberto Bondolfi

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