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NOTIZIARIO (IN)SOSTENIBILE
from Dialoghi nr. 272
Basta plastica. Gli effetti del naufragio della nave container X-Press Pearl al largo di Colombo nel maggio 2021 continuano a creare problemi. Le spiagge dorate della costa sono diventate nere a causa del carburante bruciato e dei detriti portati dalle onde. La nave si era inabissata dopo aver preso fuoco con il suo carico di pellet di plastica, miliardi di minuscoli granuli usati nella produzione industriale. Non ancora classificati come materiale pericoloso ma in grado di causare danni paragonabili a quelli del petrolio, i pellet sono scambiati per cibo da uccelli, pesci e altre specie marine. Il piano delle autorità per ripulire la costa insieme alla popolazione prosegue, ma l’impresa è titanica: i pellet non solo ricoprono la superficie della costa ma si trovano fino a due metri di profondità.
Veleni. Le persone entrano in contatto con pesticidi in diverse situazioni: lavorando nei campi o nelle foreste, assumendo generi alimentari o acqua potabile. Se subito dopo il contatto si manifestano dei sintomi, in termine medico si parla di avvelenamento acuto. Le vittime possono provare senso di fatica e, come per un’influenza, avere febbre, dolori muscolari e mal di testa. Inoltre, spesso subentrano disturbi al sistema gastrointestinale con nausea, vomito e diarrea. Possono verificarsi conseguenze anche nel sistema nervoso. Nei decorsi gravi sono attaccati gli organi vitali cuore, reni e polmoni fino al collasso. Ogni anno nel mondo 385 milioni di persone si ammalano a seguito di avvelenamento da pesticidi e circa 11.000 ne muoiono. Dal momento che i pesticidi sono difficilmente controllati e contaminano con facilità, sia oggetti, sia generi alimentari ne sono danneggiate anche persone al di fuori dal settore agricolo. Incidenti accadono perché le norme di sicurezza non sono rispettate o lo sono in maniera lacunosa. Come per esempio a Binhar (India), dove 13 alunni morirono per l’olio con il quale era stato preparato il pranzo consumato alla mensa: era stato contaminato da un pesticida usato in agricoltura. Uno studio del 2015 ha dimostrato che in Europa le conseguenze sulla salute di ormoni contenuti nei pesticidi generano costi a nove cifre. Per diminuire l’alto numero di avvelenamenti da pesticidi, l’OMS e la FAO hanno elaborato un codice di condotta. Tra l’altro indica che si deve rinunciare al loro impiego quando per manipolarli è necessario usare indumenti di protezione cari o scomodi. Queste raccomandazioni però non sono state sin qui implementate o rafforzate da leggi.
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Riciclabili. Dal 2001 nel prezzo di vendita delle batterie è inclusa una tassa di smaltimento anticipata che è prelevata per mandato del Dipartimento federale dell’Ambiente da Inobat Batterierecycling Schweiz. Con essa ne è finanziata la raccolta, il trasporto e il riciclaggio. Ogni batteria messa sul mercato nel nostro Paese deve essere dichiarata e può essere riconsegnata a fine vita in qualsiasi punto vendita e di raccolta, senza ulteriore spesa. Dalle batterie tradizionali alcaline si recupera a Wimmis nel canton Berna il ferro, il manganese e lo zinco. Da quelle per le bici elettriche, dopo un procedimento più lungo e complesso che prevede anche il completo scaricamento della carica durante una macerazione in acqua salata, si recuperano in Francia cobalto, grafite, nickel e litio. Le batterie delle bici elettriche possono però anche up-ciclate, cioè riutilizzate, e rivendute sul mercato di seconda mano, dopo che le loro celle non più funzionanti sono state sostituite.
Nero come il... Il carbone è una fonte energetica obsoleta. È il vettore energetico esistente sulla terra più dannoso per il clima e il suo prezzo di mercato non tiene conto delle conseguenze disastrose per il benessere dell’umanità. È quindi necessario prendere ogni misura per azzerare o almeno ridurre drasticamente l’importazione e l’utilizzo di questo vettore energetico.
A iniziare dall’industria carbonifera che deve cessare immediatamente di estrarre lignite, la peggiore qualità di carbone dal punto di vista climatico. Le imprese attive nell’estrazione o nel commercio di carbone devono presentare piani plausibili e misurabili per un’uscita totale dal carbone entro il 2030. Governo e parlamento svizzeri devono intraprendere i passi affinché quanto si chiede alle imprese avvenga. Nel frattempo la Svizzera deve integrare le sue emissioni indirette di CO2, causate dalla presenza di tali imprese, nei suoi obiettivi climatici. Un obbligo stringente di trasparenza deve permettere di ricostruire la provenienza del carbone e va istituita un’autorità di controllo per il settore delle materie prime in grado di far applicare le nuove norme e le sanzioni in caso di un loro non rispetto. La piazza finanziaria elvetica deve cessare di aiutare con crediti le imprese dell’industria del carbone che non hanno formulato un piano per la loro uscita da questo commercio entro il 2030. Neppure nuove centrali a carbone devono più essere finanziate. La BNS non deve più investire in imprese che estraggono o commerciano carbone. Anche le banche cantonali devono impegnarsi a non prestare più soldi a imprese attive in questo settore. Basta autostrade. Il settore dei trasporti su gomma, traffico privato e commerciale, non sta contribuendo alla riduzione di gas serra. La statistica 2021 fa stato di 14,8 milioni di tonnellate di CO2 emesse con una riduzione di solo 4% rispetto al 1990. I progressi tecnici che ci hanno dato veicoli più efficienti sono vanificati dall’aumento della loro potenza e del loro peso. Inoltre, la concentrazione dell’offerta di merci in centri commerciali e il turismo degli acquisti hanno cambiato il modo di fare acquisti della popolazione svizzera, tanto che in media ogni persona percorre annualmente 1.739 km in auto, a fronte di soli 95 a piedi, 77 usando i mezzi pubblici e 33 in bicicletta. Un modo efficace per ridurre le emissioni di CO2 sarebbe la riduzione della velocità, perché a 80 km/h si emettono 129,4 g/km, 141,9 a 100 e 167,5 a 120. Intanto, il Parlamento si appresta a votare un credito quadro di 12 miliardi di franchi per ampliare la rete di autostrade. Il 4 ottobre scorso la sezione giovani dell’Associazione Traffico e Ambiente (ATA) ha inscenato sulla piazza federale un’azione di sensibilizzazione. Da una postazione sopraelevata allestita come una finestra aperta hanno buttato volantini facsimile di banconote che recavano la seguente informazione: «Entro il 2030 la Svizzera vuole investire 12 miliardi di franchi in nuove corsie autostradali. Eppure, studi scientifici dimostrano chiaramente che l’aumento dell’offerta non risolve i problemi, perché più strade significa più traffico. Con conseguenze disastrose per il nostro futuro. Il trasporto stradale è uno delle cause principali della crisi climatica che minaccia la vita delle generazioni future. Questi soldi devono essere invece investiti nelle lotta al riscaldamento globale». Anche il Ticino è interessato dai piani di potenziamento autostradale e più precisamente con il PoLuMe (potenziamento Lugano Mendrisio) con tra l’altro 1,8 miliar- di per tre nuove canne di galleria e il passaggio da 4/6 corsie a 10 corsie tra Lugano Nord e Mendrisio. Uno spreco di territorio in una regione già martoriata: dieci anni di cantieri, l’aumento a medio termine delle emissioni di gas serra e inquinanti dannosi per la salute della popolazione. Una coraggiosa coerenza nelle politiche del traffico dovrebbe prevedere lo stop di ogni potenziamento stradale a beneficio di un trasporto pubblico veramente alla portata di tutti.
Amiche piante. Le piante urbane giocano un ruolo cruciale, grazie innanzitutto alla loro capacità di assorbire il CO2. Attraverso la fotosintesi, il carbonio è immagazzinato nella biomassa vegetale e nel suolo: una pianta con caratteristiche medie in città assorbe tra i 10 e i 20 kg di CO2 l’anno. Esse intervengono nella depurazione chimica e batteriologica dell’aria, nella fissazione dei gas tossici e nel filtraggio delle polveri sottili e di altri agenti inquinanti. Per esempio si calcola che ogni ettaro di «verde» sia in grado di assorbire fino a 30 kg di PM10 l’anno. Inoltre, durante una stagione vegetativa, un albero adulto produce la quantità di ossigeno necessaria a 10 persone. Alberi e alberature hanno capacità fonoassorbente, contribuendo alla riduzione dell’inquinamento acustico, cui una persona su sette durante il giorno e una su otto la notte è esposta al proprio domicilio. Un ulteriore fenomeno che deteriora la qualità della vita delle persone è quello delle isole di calore: gli alberi quando si surriscaldano emettono vapore acqueo dalla chioma per abbassare la temperatura delle foglie e di conseguenza quella dell’ambiente circostante con una riduzione della temperatura fino a 8°C. Né è trascurabile che l’abbassamento delle temperature esterne riduce fino al 30% l’utilizzo dei condizionatori (risparmio energetico ed economico). Il verde migliora, già solo visivamente, la qualità degli spazi urbani e ciò genera effetti benefici anche sotto il profilo psicologico. Trascorrere del tempo tra gli alberi fa bene perché aumenta i livelli di energia e le capacità di concentrazione, diminuisce la pressione sanguigna e lo stress. Parchi, giardinetti, viali alberati con panchine costituiscono ambienti semi-naturali in cui le persone possono incontrarsi, giocare e interagire. Coesione sociale e alberi sono strettamente legati; l’accesso a spazi verdi contribuisce ad aumentare il senso di comunità, riduce l’isolamento, l’emarginazione sociale e migliora notevolmente la qualità di vita. Vi sono anche aspetti idrologici, paesaggistici e urbanistici per la presenza del verde in ambito urbano. Gli alberi e le loro radici possiedono qualità straordinarie nella regolazione dell’acqua del suolo e nella diminuzione dei rischi idrogeologici. Nelle città, dove prevalgono superfici poco o nulla permeabili come l’asfalto, le tegole e il cemento, le chiome degli alberi hanno la capacità di intercettare fino al 15% delle precipitazioni. Ciò rallenta il deflusso dell’acqua piovana, soprattutto durante fenomeni meteorologici estremi come le bombe d’acqua, riducendo l’erosione del suolo e le esondazioni. Grandi superfici di alberi e alberature diminuiscono la pressione sul sistema di evacuazione e del trattamento delle acque meteoriche e i relativi costi per l’ente pubblico. La presenza in città di una pianta con un fusto di 40 cm di diametro riesce a intercettare fino a 3.000 litri di acque meteoriche all’anno. In ambiti residenziali il valore economico degli alberi è diretto e tangibile, perché genera un miglioramento urbano. Aumentando l’attrattività del luogo cresce il valore degli immobili, dove la maggiorazione da attribuire al verde può arrivare addirittura al 20%. Infine gli alberi aiutano a pensare le città come spazi per ogni forma del vivente: la piantumazione urbana crea corridoi verdi e permette la circolazione e la sopravvivenza di insetti e animali che accrescono il valore ecologico e la biodiversità. La visione della città come habitat, oltre a non creare fratture tra ecosistemi, aiuta a uscire da egocentrismi antropocentrici e aprire la mente a diversità e varietà.
Svizzera sprecona. La Svizzera perde sette posizioni nella classifica che valuta l’impegno dei singoli Paesi nella tutela del clima. In base alla valutazione annuale stilata dalle ONG Climate Action Networks (CAN) e Germanwatch si trova al 22º rango. Secondo il «Climate Change Performance Index» (CCPI) 2023, la Confederazione è fra gli Stati ad aver perso più posizioni nell’arco di un anno, dietro alla Cina (-13, 51º posto). Si colloca alle spalle della media dell’intera UE (19ª), ma davanti a Spagna (23ª) e Italia (29ª). I Paesi meglio classificati sono la Danimarca (4ª), la Svezia (5ª) e il Cile (6º). I primi tre posti non sono stati assegnati, in quanto gli sforzi sono stati ritenuti insufficienti per raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5°C.
Fine dei ghiacciai? II Dipartimento del territorio (DT) comunica che sono state effettuate le misurazioni annuali dei ghiacciai ticinesi (Basòdino, Valleggia, Bresciana, Corno, Tencia e Cavagnoli) tra la fine di agosto e l’inizio del mese di settembre 2022, e sono state confermate le previsioni e le preoccupazioni emerse già durante la primavera: la combinazione di un inverno con precipitazioni nevose molto scarse e un prolungato periodo estivo con temperature elevate e isoterma di zero gradi ad alte quote ha favorito un’importante accelerazione della fusione dei ghiacciai ticinesi. L’arretramento medio dei ghiacciai è di 2-3 volte superiore a quanto rilevato negli ultimi anni e rispetto a quanto misurato nel 2021. Si sono registrati i seguenti arretramenti: Basòdino 29 metri, Valleggia 29 metri, Bresciana (Adula) 18,5 metri, Corno 16 metri, Tencia (Croslina) 15 metri. Il ghiacciaio del Cavagnoli sembra essere il prossimo destinato a scomparire completamente. Nel solo periodo tra il 2021 e il 2022 è arretrato di quasi 300 metri, lasciando dietro di sé rocce, detriti e qualche isolata placca di ghiaccio staccatasi dal resto del ghiacciaio. Quanto ai ghiacciai in cui è stata misurata la perdita di spessore, si registrano valori mediamente raddoppiati rispetto alle medie pluriennali degli scorsi anni. In particolare, al ghiacciaio Valleggia si è rilevata una perdita di spessore tra i 4,5 e i 5 metri (contro i 2-2,5 metri del periodo precedente). Sulla scorta dei dati raccolti nel 2022, e qualora si dovessero prefigurare nuovamente stagioni particolarmente sfavorevoli come quella estiva del 2022, si stima che, inevitabilmente, nei prossimi 5-10 anni i ghiacciai su territorio ticinese saranno in buona parte scomparsi.
Donne in agricoltura. Il ruolo delle donne nell’agricoltura sta cambiando. È quanto emerge da uno studio dell’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG), relativo alla situazione nel 2022. Metà delle 778 giovani donne intervistate in tutte le regioni del Paese afferma che contribuisce nella misura di oltre il 50% al reddito globale dell’azienda. Il 55% delle interpellate è per altro stipendiata o genera un reddito dal lavoro nell’azienda, di cui un buon terzo è proprietaria o comproprietaria. La percentuale di quelle che gestiscono una fattoria da sole è aumentata dal 5 al 9% rispetto alla precedente indagine svolta 2012. Più di due terzi condivide la gestione con il partner. Secondo la ricerca, il 60% delle donne prende una settimana di vacanza all’anno o meno, in parte a causa delle difficoltà ad organizzarla. Tuttavia, la stragrande maggioranza (72%) si dice soddisfatta della propria vita ed è ottimista sul proprio futuro.